236 105 18MB
Italian Pages [501] Year 1996
BIBLIOTECA DI STUDI ANTICHI diretta da Gr~iano Arrighetti, Emilio Gabba, FrancoMontanari
* 77
CALLIMACO
AITIA LIBRI PRIMO E SECONDO Introduzione,testo critico, traduzionee commento a cura di GIULIO
MASSIMILLA
GIARDINI EDITORI E STAMPATORI IN PISA
Volume pubblicato con i contributi del Dipartimento di Studi letterari e filologici dell'Università degli Studi della Basilicata (Potenza) e del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Tutti i diritti riservati
© COPYRIGHT GIARDINI
EDITORI
I gg{Ì BY
E STAMPATORI IN PISA
AgnanaPisanoe Pisa ISBN 88-427-0013-4
Al ricordodi mio padre LeopoldoMassimi/la Al ricordodi CeciliaMangoni Le souvenir n'était qu'un rcgard posé dc tcmps cn tcmps sur dcs etrcs dcvcnus intéricurs, mais qui ne dépcndaicnt pas dc la mémoirc pour continucr d'cxistcr.
M. YOURCENAR
INDICE
BIBLIOGRAFICHE
11 13 15
I. Il primo e il secondo libro degli Aitia Il. La vicenda compositiva degli Aitia III. Metrica e prosodia IV. Presentazione dell'opera
27 29 34 40 45
PREMESSA SIGLE,
COMPENDI E SEGNI CONVENZIONALI
ABBREVIAZIONI
INTRODUZIONE
TES"ro
CRITICO
Conspectus librorum papyraceorum secundum ordinem temporum Etymologicorum codices laudati. Sigla Aetiorum li ber primus Aetiorum liber secundus Aetiorum fragmenta quae ad librum primum aut secundum fortasse spectant Fragmenta incertae sedis quae ad Aetiorum librum primum aut secundum fortasse spectant Fragmenta incerti auctoris quae ad Callimachi Aetiorum librum primum aut secundum fortasse spectant TRADUZIONE
A itia, libro primo Aitia, libro secondo Aitia, frammenti che forse appartengono al primo o al secondo libro Frammenti di incerta collocazione che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia Frammenti di autore incerto che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia di Callimaco COMMENTO
Aitia, libro primo Aitia, libro secondo Aitia, frammenti che forse appartengono al primo o al secondo libro Frammenti di incerta collocazione che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia Frammenti di autore incerto che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia di Callimaco INDICI
lndex nominum et verborum lndex fontium Comparationes numerorum
51 53 55 57 111
128 158 169
I 73 I 75 185 188 194 196 197 199 320 374 450 465 469 471 491 499
Premessa Questo libro è una versione riveduta e ampliata della mia dissertazione di Dottorato, intrapresa nel Novembre 1988 presso il Dipartimento di Filologia classica dell'Università di Napoli e discussa nel Settembre 1992. Nel consegnare il lavoro alle stampe, il primo ringraziamento va al mio maestro, il Professore Marcello Gigante, che fin dall'inizio ha incoraggiato e seguito la ricerca, aiutandomi con numerosi consigli e suggerimenti. Ringrazio inoltre il Professore Graziano Arrighetti, che ha accolto il libro nella Biblioteca di Studi antichi, e i colleghi tutti del Dipartimento di Studi letterari e filologici dell'Università della Basilicata (Potenza), che con un generosocontributo ha reso possibile la pubblicazione del volume. La stesura finale dell'opera ha preso fonna durante il biennio 1992-1993, che ho trascorso a Oxford. Ll ho potuto non solo fruire di splendide Biblioteche (quella dell'Ashmolean Museum e la Bodleian Library), ma anche discutere il mio lavoro con ottimi specialisti. Ringrazio innanzitutto Peter Parsons, che in vari colloqui ha messo a mia disposizione la sua straordinaria esperienza nel campo della poesia ellenistica e della papirologia, oltre a seguirmi con il suo costante aiuto durante tutto il mio soggiorno a Oxford. Un ringraziamento particolare va ad Adrian Hollis per avere letto l'intera opera nelle sue fasi successive di composizione e per avenni generosamente comunicato parecchie sue osservazioni inedite. Sono poi molto grato a John Rea e Revel Coles, che mi hanno accolto con grande disponibilità nella Sezione papirologica dell'Ashmolean Museum e hanno chiarito alcuni miei dubbi sulla decifrazione dei papiri. Esprimo inoltre la mia gratitudine a Gregory Hutchinson per avere letto la parte iniziale dell'edizione e del commento e per avenni fornito utili consigli. Molti ringraziamenti vanno anche all'amico Amd Kerkhecker, che ha esaminato con me varie questioni callimachee e ha notevolmente contribuito a rendere proficua e piacevole la mia pennanenza a Oxford. Ringrazio Nita Krevans, che mi ha inviato una versione preliminare del suo libro The Poet a.sEditor. Nel corso dell'intera ricerca, l'opera di Callimaco è stata oggetto di numerose e utili discussioni con l'amico Giovan Battista D'Alessio, che da un lato ha seguito il graduale formarsi del mio libro e dall'altro mi ha fatto progressivamente conoscere il suo lavoro complessivo sul poeta, in corso di pubblicazione: a lui esprimo la mia più sincera gratitudine. La responsabilità degli errori e delle imprecisioni contenuti nelle pagine seguenti è esclusivamente mia. La duplice dedica di questo libro non ha solo un valore affettivo. Cecilia Mangoni, che è scomparsa a soli trenta anni, con la sua edizione commentata del quinto libro della Poetica di Filodemo (Napoli 1993) mi ha dato un modello mirabile di intelligenza e acribia. Mio padre Leopoldo Massimilla, pur essendosi dedicato alla ricerca in un campo lontano dal mondo classico (l'Ingegneria chimica), mi ha mostrato con il suo vivo esempio che cosa significano l'impegno e l'amore per lo studio.
Roma,Dicembre 1995
G.M.
Sigle, compendi e segni convenzionali 1) NomJ dJ studiosi Gr.-H. = B. P. Grenfell - A. S. Hunt Hu. = A. S. Hunt L. =E. Lobel LJ.-P. = H. Lloyd-Jones - P. J. Parsons Mi. = H. J. M. MilDe N.-V. = M. Norsa- G. Vitelli Pf. = R. Pfeiffer Sebo. = O. Scbneidec Vit. = G. Vitelli Wil. = U. voo Wilamowitz-Mocllendorff
2) Periodici Le sigle dei periodici sooo quelle usare in J. Marouzeau, Du annits de bibliographie classique(1914-1924)I-Il (Paris 1927-1928),J. Marouzeau (poi J. Emst), L'DMit philologique I- (Paris 1928-) e S. Lambrino, Bibliographiede l'anliquili classique1896-19141(Paris 1951). Differiscooosolo: «PdP»= La parola del passato.Rivistadi studiantichi «PU.S» = Paptrs oftht LiverpoolLatin Seminar
3) Sillogi, collane dJ testi e opere dJ riferimento CA= J. U. Powell, Colltctanta Alt.randrina(Oxford 1925) CAF=T. Kock, ComicorumAaicorumfragmelllil(Leipzig 1880-1888) CEG = P. A. Hansen, Carmina tpigraphica Graeca (Berlin - New York), 1: Carmina saeculorumVIII-Va.Chr.n.(1983); 2: Carmina saeculi IV a.Chr.n. (1989) CMG= AA.VV., Corpusmulicorum Graecorum(Leipzig-Bedin 1908-) Cramer, AO = J. A. Cramer, Antcdota Graeca e codJJ. manuscriptis Bibliothtcarum Oxoniensùun(Oxford 1835-1837) Cramer, AP = J. A. Cramer, Anecdota Graeca e codJJ.manuscriptis Bibliothtcae Regiae Parisitnsis (Oxford 1839-1841) EpGr. ... Kaibel = G. Kaibel, EpigrammalaGraecaa lapidibusconltela (Berlin 1878) FGE = D. L. Page, Funhtr Grttk Epigrams (Cambridge 1981). Si citano i versi secondo la
numerazionecootinua FGrHist= F. Jacoby, Dit Frag~ der gritchischtn Hisloriur (Berlin-Leiden 1923-1958) FHG= C. Milller,Fragmtnta historicorumGraecorum(Paris 1841-1873) Frisk = H. Frisk, Gritchischts EtymologischtsW(Jnerbuch(Hcidelberg1%0-1970) GDRK = E. Heitsch, Dit gritchischtn Dichterfragmenttder r(JmischtnKaistrz.til (GOttingen 1963-1964) GGM= C. Milller,Gtographi Graeciminorts (Paris 1855-1861) GP = A. S. F. Gow - D. L. Page, Tht Grttk Anthology. Tht Garland o/ Philip and Some Contemporary Epigrams (Cambridge 1968). Si citano i versi secondo la numerazione continua Gramm. Gr. = A. Hilgard, A. Lentz, R. Scbneider, G. Uhlig, Grammatici Graeci (Leipzig 1867-1910) GVI = W. Peet, Gritchischt Vtrs-lnschri/lfflI: Grab-Epigrammt(Berlin 1955) HE = A. S. F. Gow - D. L. Page, Tht Grttk Anthology. Htlltnistic Epigrams (Cambridge 1965). Si citano i versi secondo la numerazionecontinua IG = lnscripliontsGraecae(Bertin 1873-)
CALLIMACO- AJTIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
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Killmer-Gerth= R. KUbner- B. Gerth, AusfUhrlicht Grammatikdtr gritchischtn Spracht (Hannover-Leipzig 1890-19043)
LIMC= Lexiconiconographicummythologiatclassicae11:a,:ep,ou µ11ve forse Hec. jr. 291, 1 Pf. = 113, 1 H. I 11v11ea µ.Èvyap (se la parola successiva cominciava per consonante). Le precedenti considerazioni rendono molto improbabile la paternità callimachea del jr. inc. auct. 140 I MVflJ.I.OC'UVflC (?) &6e, a meno che non si restituiscano due sillabe brevi invece dell'incerto 111.1.A.c.tv. (Maas, MG § 95, West, GM p. 155). Parole di struttura giambica (--) si trovano raramente davanti alla cesura maschile («seconda legge di Meyer» ). Non si tratta di una regola assoluta. perché nell'opera di C. si riscontrano circa una dozzina di eccezioni. In questa edizione, cf. jr. 131 I 'PT)ytovcic-ruÀ.t1tmve forse jr. 1, 9 1•••••• ] •• Pt1JV(se c'era il verbo Ét}vnon preceduto da un praepositivum). Per gli altri passi, vd. il comm. di Pf. a Aet. jr. 75, 23 con l'Addendum nel vol. I e Wifstrand, Von Kallimachos p. 65 s. Vd. il comm. aljr. 130. m.t.A.c.v. (Maas, MG § 93, Clarke, Maas, Hephthemimeres, West, GM p. 155). Nei carmi caIHmachei in distici elegiaci (Aitia, epigrammi, quinto inno, elegie minori), gli esametri con cesura maschile presentano sempre anche la cesura eftemimere seguita dalla dieresi bucolica («schema a») o la sola dieresi bucolica («schema P»). In ciò l'esametro elegiaco si differenzia da quello usato stichicamente, perché quest'ultimo - quando è inciso da cesura maschile ammette anche una terza configurazione, cioè la presenza della sola cesura eftemimere, purché il terzo biceps sia bisillabico («schema y»). I componimenti di C. in distici elegiaci contengono quattro sicure eccezioni alla suddetta regola, perché in quattro esametri con cesura maschile si riscontra lo «schema y». Una delle eccezioni si trova in un frammento di questa edizione (Jr. 110, 2 _..,..,_ nau]lCO>l AulC\O>l. O'tt cupÀ.Òc Èfl:H[-),ma qui l'irregolarità metrica è in parte giustificata dalla presenza del nome proprio nau]1emt e dell'etnico Au1e1mt,che terminano l'uno prima della cesura maschile e l'altro prima dell'eftemimere. Le altre tre eccezioni compaiono nel quinto inno (vv. 5, 33, 63), ma i versi in questione hanno tutti un nome proprio che termina prima della cesura maschile.
n6' n6'.
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CALLIMACO- MfIA, LIBRIPRIMOE SECONDO
C'è poi un quinto caso dubbio di esametro elegiaco con «schema y» (Aet. fr. 90 Pf.), ma qui il testo è incerto e forse la cesura è femminile (vd. l'Addendum nel voi. Il). In base alla legge enunciata, è improbabile che ilfr. inc. auct. 142 où6' occov µu{11cctuyepmv ȵnaçuo µu8cov - se è callimacheo - appartenga agli Aitia. Vd. inoltre il comm. al.fr. 50, 461eecpaA.1.ft1 fx11etiJµ,tyLov. 111.1.A.c.vi. (Bulloch, Refinement). Si ammette fine di parola dopo il terzo piede solo se l'esametro ha la dieresi bucolica e se c'è fine sintattica di colon (tale da esigere, o almeno raccomandare, un segno di interpunzione) in corrispondenza o della cesura del terzo piede o della dieresi bucolica o di entrambe: cf. p.es. Dian. 91 tpeic 6È 1tapoupa{ouc, tva 6' aioÀ.ov, 01.pa ì..iovtac. Tra gli esametri presenti in questa edizione, la norma sembra violata (per l'assenza della seconda prerogativa) nel fr. 20, 8 d 1eev à.µ 1xJ8aì..6eccav à1t • tiipa v11òc Èì..accnc. Ma, come osserva lo stesso Bulloch, Refinement p. 260, il verso in questione non rientra nella categoria cui si applica la legge: infatti il preverbio in tmesi àn • ha valore prepositivo. m.t.A.c.vii. (Maas, MG § 97, West, GM p. 155). Fine di parola non può cadere contemporaneamente dopo il quarto e dopo il quinto princeps. Per un'eccezione, cf. Del. 311 e6oc c1eoì..1ouì..a1Jup{v8ou I. Vd. anche il comm. alfr. 27. IIl.1.A.c.viii. (Maas, MG § 91, West, GM p. 155). Non c'è mai fine di parola dopo il «quarto trocheo» («ponte di Hermann»). Vd. anche m.2.D. 111.1.A.c.ix. (Maas, MG § 92, West, GM p. 154 s.). Quando il quarto piede è spondaico, dopo di esso non può esserci fine di parola («ponte di Naeke»). Vd. anche ID.2.D. 111.1.A.c.x. (Maas, MG § 96, West, GM p. 156). Un monosillabo alla fine del verso è sempre preceduto dalla dieresi bucolica. Cf. p.es. Ap. 100 6a1µ6v1oc 9i)p I. m.t.A.d. Pause di senso (Maas, MG § 98, West, GM p. 153) Pause di senso si riscontrano di rado in sedi diverse dalle seguenti: -uul-luu-lulu-uul-uu--1 Vd. il comm. alfr. inc. auct. 141 e il comm. di Pf. alfr. inc. auct. 155.
111.1.B. Pentametri 111.1.B.a. Limitazioni relative alle parole che precedono la dieresi (vd. anche 111.2.A., 111.2.C., m.2.D.) m.t.B.a.i. (West, GM p. 158). I praepositiva possono trovarsi prima della dieresi solo se sono preceduti da un altro praepositivum: cf. p.es. fr. 1, 28 àtpt1tto)vc, ti KaÌ C'tt~yotip11v ÈA.act\Ced Ep. XLV 4 Pf. = HE 1090 t~ y', ȵoc · où 1tapèx tèxc ei1eoc1 µeµq,6µt8a. Perciò nel fr. 38 01e 1eaì tecce[p) bisognerà probabilmente scrivere ohe 1eai. 111.1.B.a.ii. (West, GM p. 158). Un monosillabo compare prima della dieresi solo se è preceduto da una parola che consiste di un'unica sillaba lunga o di due sillabe brevi: cf. p.es. Ep. XLVI 2 Pf. = HE 1048 tcòpaµÉvcp· vaì rav, où1e àµa&ìtc o Ku1eì..cov.Eccezioni si verificano quando il monosillabo in questione è un postpositivum (vd. West, GM p. 158 n. 67).
INTRODU7JONE
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m.t.B.Lili. (Maas, MG § 95, West, GM p. 158). Una parola di struttura giambica (---) può trovarsi davanti alla dieresi soltanto se è preceduta da un monosillabo: cf. Aet. fr. 15, 23 Pf. Auy6aµw ou yàp iµ11'ttlµoç E1CT16t: KCXCK e gli altri passi citati da Pf. nel comm. ad loc., cui si deve aggiungereAet. fr. 75, 39 Pf. Vd. il comm. alfr. 130. m.t.B.b. (Pf. II p. 135, Index rerum notabilium s. v. Metrica) Non esiste un esempio sicuro di un'unica parola che occupi per intero il secondo colon di un pentametro. Un caso dubbio si trova nel fr. 68, 9: vd. il comm.ad loc. Ill.1.B.c. (West, GM p. 159) Si evita di porreun monosillaboalla fine del pentametro. m.t.B.d. Pause di senso (Pf. II p. 135, lndex rerum notabilium s. v. Metrica)
Prima della dieresinon può esserci una pausa di senso. 111.2. Prosodia IIl.2.A. Iato (Maas, MG § 141, West, GM pp. 15, 156, 158) Nei componimenticallimacbeiin disticielegiaci,lo iato è ammessosolo tra un princeps e un biceps bisillabico(mai, però, dopo un 1eai o dopo una desinen:za -a1 che può essere elisa). Esistono due configurazionitipiche di iato: a) fra un dativo uscente in -no in -'!) e una preposizionein anastrofe, come p.es. nel fr. 50, 46 1et:q,aÀI. ij1E1t11edJ~EyLov (vd. il comm. ad loc.); b) dopo la disgiuntiva 11,come p.es. nel fr. inc. sed. 714, 3 Pf. (elegiaco) i\ cpiÀ.ovi\ o't' ic èiv6pa cuvɵxopov i\ o'tt: 1ec.oq,aic. Ma ci sono anche altre configurazioni:cf. p.es.jr. 110, 2 Au1eic.o1 o'tt:, Dian. 253 ,i,aµa8'!) icov, Ep. XIV 3 Pf. = HE 1243 I 't~ É'tÉpçt.Si noti inoltre che lo iato non è ammessonella dieresidel pentametro:vd. il comm. alfr. 134. 111.2.B. Correptio 111.2.B.a. Co"epti.o epica ovvero in hiatu (Maas, MG § 129). Nei carmi di C. in distici elegiaci, la correptio epica (che riguarda soprattutto le desinenze -a1 e -01) si verifica di regola soltanto nella seconda sillaba di un biceps: cf. p.es. fr. 9, 11 1eai..i..11 'tJE ,caì. ai6i..a. Ma essa è talvolta attestata anche nella prima sillaba di un biceps: cf. i passi raccolti da Pf. nel comm. alfr. inc. sed. 535, cui si deve aggiungereEp. XLII 3 Pf. = HE 1077. Nella presente edizione,questo tipo più raro di correptio epica si riscontraforse nelfr. 64, 61' K~~ 4cp~[p11c I e nelfr. 50, 62 Èpf!l61è?[c Ei µ11ÈcpÉ)pxt:1 I, dov'è probabile che il supplementosia giusto (vd. il comm. ad loc.). Un casodubbioè costituito dal fr. 26, 13 ciypt:iov 1ç[aì ciµEii..1xov, dove l'integrazione è puramente esemplificativa. 111.2.B.b. Correptio prima di muta cum liquida (Pf. II p. 138, lndex rerum notabilium s. v. Prosodiaca).Il gruppo m.c.l. per lo più rende lunga la vocale breve precedente. Tuttavia, quando una parola termina con vocale brevee la successivainiziacon m.c.l., può accadereche la vocalebreve resti tale (correptio); ma si noti che, se la vocalebreve in questionefa parte di un articolo, la correptio si verifica solo nella seconda sillaba di un biceps (cf. p.es. Aet. fr. 64, 7 Pf. où6è: 'tÒ ypaµµa I), mai nella prima (vd. il comm. di Pf. al fr. inc. sed. 671). Molto rara è invece la correptio davanti a m.c.l. all'interno della
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CALLIMACO - MIIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
medesima parola: in quest'edizione, cf. frr. 3, 4 mc èvì 6itx~1pfo(ic), 20, 10 I _,., ,cekµat '] EÀuç~y È1e[À]1) P,~cavto, 50, 60 I Tptva1epiflc e forse 98, 7 I ...,.,_ o ]~ÀÉouuv (vd. anche Cer. 35 ciç{vaictv o,cÀ{ccacI e gli altri passi citati da Hopkinson nel comm ad loc.). 111.2.C. Allungamento (West, GM p. 157 s.) Nei componimenti di C. in distici elegiaci, è molto raro che una vocale breve posta in fine di parola si allunghi davanti a un vocabolo iniziante con una liquida o una nasale (per delle eccezioni, cf. Aet. fr. 67, 11 Pf. ircì Àactoto -yÉpovioc ì pcil36q>):a maggior ragione, I, ma anche il nostro Jr. 30, 5 I 1eaì tòv È1tL quindi, bisogna escludere che un simile allungamento si possa verificare all'interno della medesima parola (vd. il comm. al fr. 39). Inoltre, prima della dieresi del pentametro non si trova quasi mai una vocale breve che si allunga «per posizione» (come negli Epp. vm 4 e XLVIIl 2 Pf. = HE 1308 e 1166): in altre parole, se il primo colon del pentametro termina in vocale, questa vocale è quasi sempre lunga «per natura». m.2.D. Elisione (Maas, MG §§ 121, 139, West, GM pp. 153, 156, 158) L'elisione è piuttosto rara nei sostantivi, negli aggettivi e nei verbi. Per i sostantivi e gli aggettivi, l'elisione pià frequente è quella di -a (cf. p.es.frr. 13, 6 yi..éòcc',50, 14 rccivt'), ma nei nostri frammenti è anche attestata quella di -o (cf. Jr.50, 82 6u '). Per i verbi, nei frammenti di questa edizione si riscontrano le elisioni di -ai (cf.Jr. 50, 55 epx[e]f e il supplemento µvitcoµ' nelfr. 26, 12), di -o (cf. Jr. 50, 75 ~ ipov8 ') e di -e (cf. Jr. 53, 7 J3aÀÀ' e forse Jr. 9, 8 oppure 12 'i.c.iat'/8',fr. 98, 4 xaip',fr. inc. auct. 140 n6' (?); nelfr. 26, 20 si può congetturare É1eÀu ': vd. il comm. ad loc.). L'elisione è evitata nella cesura dell'esametro (ma vd. le eccezioni elencate da West, GM p. 153 n. 44) e nella dieresi del pentametro (ma vd. le eccezioni raccolte da Pf. nell'app. a Aet. fr. 59, 23 e nel comm. al fr. inc. sed. 498; vd. anche il comm. ai nostri frr. 9, 22 e 134). Essa è bandita dai «ponti» di Hermann e di Naeke (vd. sopra 111.1.A.c.viii.-ix.). 111.2.E. Digamma (Maas, MG §§ 132, 133) In principio di parola un digamma che precede una vocale non ha quasi mai valore consonantico. L'unico vocabolo nel quale il digamma iniziale funge quasi sempre da consonante è il pronome di terza persona oi È (per un'eccezione, cf. fr. 4, 3 µ]tv oi Xcieoc yeveç[ con il comm.). m.2.F. Altri fenomeni prosodici (Lapp pp. 137 s., 144 s.) m.2.F.L Crasi. Ci sono vari esempi di crasi dopo l'articolo, 1ea{e cl,: vd. il comm. alfr. 1, 32 oi>~[a]xuc. m.2.F.b. Sinizesi. La sinizesi è abbastanza frequente e può verificarsi sia nel princeps sia nel biceps. In questa edizione, per il princeps cf.frr. 4, 2 e 55, 13 MoucÉmv, 50, 64 yec.o6a'i'tat, 100, 12 cq,e~v e forse 98, 10 Il]atavit[m]v; per il biceps cf. frr. 26, 5 J3omtÉmv, 30, 13 cq,emv, probabilmente 50, 34 rcacÉ[m]y e forse 64, 4 ~11[xÉmv; non sappiamo se nel Jr. 57 la sinizesi (Tciµµem) occupasse il princeps o il biceps. La sini;resi è molto comune con la parola 8eoc (vd. il comm. alfr. inc. auct. 139 8eùv).
INTRODUZIONE
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m.2.F.c. Sinalefe. La sinalefe, che si verifica sempre nel princeps, non è finora comparsa nei frammenti attribuibili agli Aitia. Essa è piuttosto frequente nei giambi, ma si riscontra anche molto di rado - e sempre dopo la negativa µ,i negli esametri (cf.fr. 636 Pf., Ep. vm 5 Pf. = HE 1309) e nei pentametri (cf. Lav. 52 e forse Ep. XLI 4 Pf. = HE 1060). ID.2.F.d. Aferesi. L'aferesi è abbastanza comune nei giambi, ma molto rara (fatta eccezione per la particella pa=a.pa) nelle opere in esametri e in distici elegiaci. Nei frammenti di questa edizione c'è un esempio di aferesi in un nome 'A8aµav'tOC. proprio: fr. 57 T ).
Frammenti di incerta collocazione che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia Frammenti 116-119 Frammento 117 (SH 272) ... Dioniso(? caso incerto) ... su/per Nasso (?) dalle belle vallate/ le belle vallate di Nasso (?) ... ninfa/sposo ... (5) ... Frammento 118 (SH 273) ... getterete/ affinché gettiate (?) (1) ... a altr- (3) ... Frammento 119 (601 Pf. + SH 274) ... acutissimo (ace. masch. o nom. n. o ace. n.) I acutissimamente ... voi (ace.) ... a Dia: questo, infatti, era il nome più antico per Nasso dove/donde (5) Frammenti 120 (a)-(b) (470 (a)-(b) Pf.) [b è di autore inartoJ (a) Gaudo (caso incerto) (b) e oltre/lungo la piccola isoletta di Calipso Frammento 121 (476 Pf.) e vorrei saziarmi di conversazionepiù dolcemente Frammento 122 (487 Pf.) ma al posto dei neonati il canuto, il giovane, l'adolescente, l'adulto (quattro ace.) Frammento 123 (508 Pf.) quanto desiderò un pingue pezzo di pane Frammento 124 (511 Pf.) ma non conosco la stirpe Frammento 125 (218 Pf., SH 304) giunse (oppure giunsi, giunsero, giungesti) infatti al cospetto delle Muse
Frammento 126 (584 Pf.) Plin. Nal. hist. V 28: (Sirte minore - lido fra le due Sirti - Sirte maggiore) All'estremità del golfo c'era la costa dei Lotofagi ... [la quale si estende) fino agli altari dei Ftleoi, che sono fatti di sabbia. Dopo di essi, non lontano dalla riva della terrafenna, un ampio lago riceve il fiume Tritone e ne assmne il nome; esso viene chiamato Pallantlade da Callimaco, il quale dice chesi trova al di qua della Sirte minore, mentre molti [lo collocano) tra le due Sirti. Il promontorio cbe chiude la [Sine) maggiore si chiama Borio. Oltre [esso c'è] la provincia di Cirenc. Hesycb. s.v. Pallàntide: Il lago Tritònide.
Frammento 127 (599 Pf.) infatti fosti chiamato Imbraso invece di Partenio
TRADUZIONE
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Frammento 128 (603 Pf.) dissero ingiurie Frammento 129 (605 Pf.) dove si tritarono l'agliata Frammento 130 (606 è una pietra rotonda
Pf.)
Frammento 131 (618 Pf.) lasciando (masch. sg.) Reggio, città di Giocasto figlio di Eolo Frammento 132 (656 con lingua malèdica
Pf.)
Frammento 133 (664 Pf.) Schol.(BabPm3) 0v. lb. 477 possa tu tsstrt prtda di quelliche non dovevanoacctdert a Dtlo sacra a Lalona,dopo che Tasofu strappaloanzilempoalla vila] Anio era sacerdote di Apollo delio: suo figlio Tuo, che era giunto da lui di notte, venne dilaniato dai ami, sicché nessun ame si aca>sta a Delo, sccoodo la testiJnonian7,11di Calliroaro
Frammento 134 (668Pf.) Ergino ... eccellentenella gara di corsa Frammento 135 (675 Pf.) ... sede (nom. o ace.) degli Elli (?) ... [sui monti] dello Tmaro Frammento 136 (705 Pf.) verso Asine e Alico e per la città degli Ermionei Frammento 137 (710Pf.) Slepb. Byz. s.v. Paro: L'isola ... era abitaUl inizialmente
da Cretesi e da pochi Arcadi.Si dice che abbia il suo nmae dall'arcade Parofiglio di Parrasio, come [raa:oota] Calliroaro
Frammenti di autore incerto che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia di Callimaco Frammento 138 (727 Pf.)
e gettaronole àncore Frammento 139 (731 Pf.) la dea Artemide(ace.), quali cosepatl
Frammento 140 (735 Pf.) cosl cantava(?), ultimadella gnmosa proledi Mnemosine Frammento 141 (759 Pf.) e cosl parlò Calliope Frammento 142 (784 Pf.)
e non si curavadelleodioseparolequanto[nonci si cura]di una mosca
COMMENTO
Aitia, libro primo Frammento 1
(1, 1-40 Pf.)
(Contro i Telchini)
Il prologo degli Aitia ha una notevole importanza perché documenta nel modo pii) completo i principi poetici di C. L'autore inserisce in vari luoghi della sua operadei riferimenti alle proprie convinzioni letterarie (lamb. fr. 203 Pf., Ap. 105-113, Epp. VII, VIII, XXI, XXVII, XXVIIl Pf. HE 1301 ss., 1305 ss., 1179 ss., 1297 ss., 1041 ss., Ep. fr. 398 Pf. HE 1340, fr. gramm. inc. libri 465 Pf., fr. inc. std. 538 Pf. (?); vd. Wimmel pp. 50- 70, 123127, Hopkinson, Anthology pp. 86-88); ma soltanto in questi versi C. dispiega con una ricca argomentazione i canoni della sua arte (vd. Torraca pp. 75- 79). Non si tratta solo dell'orgogliosa proclamazione di una nuova poesia (vd. Borgogno pp. 132-135): C. espone e sostiene le sue idee in termini che lo avvicinano agli antichi teorici di poetica e retorica (vd. Clayman, Origins)ed eserciteranno un ampio influsso sui poeti Ialini (vd. soprattutto Wimmel pp. 13-49, 128 ss., e inoltre Deaeus pp. 842-860, Hutcbinson pp. 277-354, Hopkinson, Anthology pp. 98-101). Ma il prologo ba anche un cospicuo pregio artistico, che deriva dalle molte e vivide metafore innestate su una fitta rete di richiami alla precedente tradizione poetica, sopratbJtto a Pindaro e Aristofane (vd. Wimmel p. 115 n. 1, Hopkinson, Anthology pp. 8891), a Esiodo ed Euripide. Benché in vari punti la costituzione e l'intcrpretazione del testo siano ancora dubbie, il frammento si lascia dividere in due parti di uguale lunghezza (vd. Kambylis p. 75, Tonaca p. 75):
=
=
1) 1-20: La poetica dell'esilità A) 1-6: L'accusa dei Telchini I Telcbini - cioè gli avversari del poeta-, ignaridella Musa e da lei aborriti fin dalla nud1a, rimproverano C. perché non ba scritto un lungo poema unitario e continuo che tnlttasse di re o eroi, ma si è bamboleggiato con poesie di breve respiro, nonostante la sua età avanzata. Queste critiche sono probabilmente rivolte agli Aitia stessi (vd. Pohlenz p. 320=51, Wimmel p. 77, Schwinge p. 20), se davvero C. premise quest'elegia all'edizione definitiva dell'opera (vd. lntrod. Il.I.). Il biasimo dei Telcbini ha motivazioni palesemente letterarie: C. è venuto meno ai dettami della Poetica di Aristotele, secondo i quali «l'unità, la continuità, la compiutezza e l'estensione erano gli elementi fondamentali nella struttura di qualsiasi opera artistica,. (Serrao p. 930, vd. anche Wimmel p. 71 s., Pfeiffer, Storia p. 226 s., Torraca p. 27, aercµa KleiD, Role pp. 217-228; diverse sono le inteipretazioni di Heath p. 56, di Hunter, p. 193 e di Cameroo pp. 343-345). Non credo invece che in questi versi si possa cogliere anche una larvata forma di recusatio da parte di C., il quale con i suoi nuovi principi letterari cercherebbedi svincolarsi dall'ingerenza dei Tolemei nelle sue scelte contenutistiche (vd F. T. Griffiths, Theocritusal Coun, Leiden 1979, pp. 6-8 e Schwinge pp. 40-43). I Telchini menzionati dagli Scholia Fiorentina 1-10 sono: due ignoti Dionisi (il secondo dei quali viene designato come 1:ij>Ùi,etovt, che potrebbe nasconde'l'e un 1~tovei o un 1~imv1., come propongono da un lato Pf. e dall'albO Gallavotti), gli epigrammisti Asclepiade di Samo e Posidippo di Pella (IV-ill sec.), un retore e un altro personaggio dei cui nomi sono leggibili rispettivamente la fine e l'inizio, cioè -irippo (p.es. Pirippo, come nota Pf.) ed Ana-, quest'ultimo corredalo forse di un epiteto terminante in -bo (sul tipo di Lembo, come osserva Pf.), e il filosofo peripatetico Prassifane di Mitilene (IV-ill sec.). Si pongono tre problemi: 1) Bisogna dare aedito alle informazioni fornite dallo scoliasta? Se è sicuramente errato vedere in questa rassegna di nomi non gli avversari di C. ma «gli autori, le fonti che l'erudito commentatore cita ( ...) per spiegare il contenuto dottrinale della polemica»(Rostagni, Nuovi frammenti p. 200=321; vd anche «RFJC,. 84 NS 34, 1956, p. 289), bisogna peroconsiderare
ev
200
CALLIMACO- AmA, LmRI PRIMOE SECONDO
la possibilità che i personaggi menzionati negli Scholia non fossero antagonisti di C. in ma'effettiva polemica letteraria, ma che invece l'antica erudizione avesse monlato, in relazione a questi versi, una contesa fra C. e quei dotti sulla base di notizie desunte dai loro saitti (vd M. R. Letkowitz, ne Lives of the Greek.Poets, London-Baltimore 1981, p. 127 s.). Nel caso di Asclepiade e Posidippo, ci si poteva rifare ai loro epigrammi di lode per la Lide di Antimaco (Asclep. Anlh. PaL IX 63 = HE 958 ss., Posidipp. Anth. Pal. XD 168 = HE 3086 ss.) critiC818 da C. (Ep.fr. 398 Pf. = HE 1340; cf. anche fr. inc. stti. 589 Pf.), nonché alla parodia del secondo verso dei Lavacri di Pallade calliroachei compiuta da Asclepiade o Posidippo (Anth. Pal. V 202, 4 = Asclep. HE 911; vd. il comm. di Bullocb all'inno di C.). Nel caso di Prassifane, ci si poteva appellareall'opera calliroachea Ilpòc Ilp~lovl). 1 •••••• h ILOl TE1zivEc l,ntputouuv àa.olliiì: Questo è certamente il verso iniziale degli Aitia, come dimosrrano due considerazioni (vd. app.): 1) L'esametro è il primo della colonna sia nel.fr. 1 del POxy. 2(179sia nel.fr. 1 degli Scholia Flortntina (dove funge da lemma). 2) Il metricista Efestione esemplifica i vari tipi di pentametro citando i vv. 2, 6 e 20, che egli desume dal prologo degli Aitia a partire dall'inizio (vd. il comm.al v. 2). L'incipit degli Aitia e, più in generale, il tono polemico del prologo saranno ripresi da Filippo di Tessalonica in un epigramma rivolto contro i grammatici (Anth. Pal. XI 321 = GP 3033 ss.): cf. soprattutto il v. 2 I uÀ.xinc JHPMi>ve il v. 7 s. JCatatpuçovtu cilupoi I iilMi>v. L'esametro callirnacbeo ha influito anche su due passi delle Dionisiacht di Nonno: XVII 374 lppllCtÒvUKOtpuçmvKOÀ.ucovuµov uµvov Ùol6;;c e XXXIX 359 8ECKEClTI MÀ.ov uµvov i>Kotpuçovtoc Ùol6fi (vd. Cataudella, Nuovi frammenti p. 57=247); ma si tratta di un'imitazione formale, perché qui la parola ùoi.&;noo significa potsia, canlo come nel modello callirnac-.heo, bensl cantiltna, incanttsimo. Il primo verso degli Aitia è imitato inoltre da Michele Coniate (Carm., Il p. 375 v. 17 Lambros): tic JCEvi,ntpuçmv veµuYJcn cuJC;;c ùol6fi (vd. Pf. Il p. XXXII s. e il mio comm. aifrr. 9, 24 ivi. 11JVTJ11n 1Cat8eo,9, 30 e 25, 2 s.). Dell'incipit callirnacbeo risentono pure [Apolin.J Mtt. Ps. XL 15 Kavuc ÈKltpuçen:ov ÙKq8ÉE( Ùl&'P • ȵoì. civ6pu, CXI 20 s. Ùtac8aÀ.ov civ6pa ... I ff11CE60Vl tpuçovta JCatji cp8ovepoiuv ò6ouuv (cf. v. 8), Greg. Naz. Carm. Il 1, 19, 72 (PG 37 p. 1277) Kolloì. µÈv tpuçECICOV qlOlCKa8ÉECClV ciKlC"tOl. ...... b: La prima parola degli Aitia era forse KoÀ.À.clJCh, come suggerisce Lobel (vd. Cameronp. 339). Pf. osserva che sarebbe anche possibile l'integrazione Kavto8b (già Mau aveva suggerito •avtot)~). dato che quest'avverbio è glossato nel lessico di Esicbio (Kavto8l · Kavtaxou ). Come nota Pf., la parola è impiegata, sL anche da Arato, Meleagro e Nonno, ma Esicbio non trae mai glosse dall'opera di questi poeti. mentre invece inserisce nel Lessico molti tennini desunti dal prologo callirnar.beo (vd l'app. delle fonti ai vv. 1, 2, 3, 9, 10, 33). Si osservi, tuttavia, che Esicbio potrebbe ricavare la glossa Kavto8l dai Theriaca di Nicandro (v. 476). Inoltre, come riconosce lo stesso Pf., qui ci si aspetterebbe Kavto8Ev: infatti, nel passo omerico tenuto presente da C. per l'impiego del verno i1tnputouuv (Il. IX 311 riportato nel comm. a ÈKltpuçouuv), compare l'avverbio aA.A.08Ev.Quanto al supplemento ol6' oth di Vogliano, CMO è troppo breve per lo spazio disponibile in lacuna. ILOlTù.xivu: Il nesso, che introduce l'acaisa rivolta a C. dai suoi avversari, avrà il suo pn,danz nel nesso Te[À.)xiuvi-yci,(v. 7), che precede la risposta del poeta. . ILOl... itntpvtouuv àLo\Sfl:Pf. ritiene che il nesso equivalga a µol tputouuv àì. ùol6fi, allegando il.fr. inc.auct.781 Pf. tol ... ixì. ctYJ8uu Kquvtal I, e dubita che possa ttattarsi di un «doppio dativo» secondo lo cxii!LUKa8 • oÀ.ovJCaÌ.µÉpoc, sul tipo di Hom. Il. XV 162 I Ei 6i µol oùJCÈfl:Éuc• ÈKlKElutal, I 150, [lbeogn.) 1024. Stando a Pf., infatti, nella poesia di C. mancherebbero esempi di questa costruzione. Ma ciò non è vero, come fa notare Lapp p. 92, che cita Att. fr. 26, 1 I cJCéòÀ.oc ... µlv Étu•E 1to6òc8Évap, Iamb. fr. 194, 34 s. Pf. Teµ1to8ev µe tÉ1LvOuclvI ÒpÉmvmK' ci1epmv,Dian. 239 I .,,yip i>KÒKpÉflvq,(ma vd il comm. di 8(1fflrnann);d. forse ancbe.fr. inc. ud. 117, 4. Si può quindi riconoscere qui lo cxi;µa 1Ca8'oÀ.ov1eaì.µÉpoc. Tù.xivEc: I Telcbini erano demoni collocati nell'Egeo (per lo pill a Rodi), dediti alla lavorazione dei metalli (d. Call. Dtl. 31) e alla magia, maligni e capaci di lanciare il malocchio: vd. H. Herter, RE V A (1934) pp. 197-224, Wimmel pp. 72-74. Definendo Telcbini i suoi avversari, C. pone l'accento sulla loro invidia anistica (vd Kambylis p. 76 s.): Diodoro Siculo, infatti, definisce i Telcbini cp8ovepoìÉv tj\ 6l6ac1CaA.lQt téi>vuxvéi>v (V 55, 3). Per la connotazione dei Telcbini come stregoni maJeauguranti, d. Call. Att. Jr. 15, 64 s. Pf. y611tac I Tuxivac, Ov. Mtt. VIl 365 s., Noon. Dion. XIV 36, XXX 226, Paul. Sii.
202
CALLIMACO- AmA, LIBRI PRIMO E SECONDO
Ecphr. Soph. 195. A Hollis mi segnala Mich. Cbon. Epist., II p. 60. 9 Lambros •Eu 'tou
f86vou, •EU 'tci>vTùxivmv. f86vo, liv o 'toic ciyo:8oic P~1e11v~ 1cd•. Crane pp. 276-278 mette in relazione i Telcbini di C. con le K11)..1166vEc di Pindaro (PaeanJr. 52 i, 68- 79 Sn.M.). i1n~pi>touuv: C. tiene presente l'unico luogo omerico nel quale compare il verbo 'tputco (Il. IX 311): Achille dice agli inviati di AgamennoneciKIl-ii flO\ 'tput11n 1taPiiJLEVO\ ciUo8Ev cill.oc. Gli scoli BT spiegano~ 'tPUXTIU'tTIVciicoiiv ~ 'tov8opuç11u ed Eustazio ~ ltOÀ.\l~VE'iv. Cf. anche il lemma È1t1'tputouuv di (p. 751. 11) 'tpuçElv 'tÒ 1toÀ.uÀ.oyE'iV &icbio nell'app. delle fonti. Per l'uso del composto È1tt'tpuçm,cf. Theocr. II 62 O'incanteaimo che Testili deve borbottare per conto di Simeta), Euph. CAfr. 134 p. 53 È1tt'tpuçouu • (i fantasmi che stridono intorno a un mono), Babr. CXII 8 Oo squinio di UD topO, vd. M. J. Luzzatto, «ASNP» S. m 5, 1975, p. 41), [Apolin.J Met. Ps. XL 15 (il mormorio degli inaeduli, vd sopra), Paul. Sii. Anlh. Pal. VI 54, 7 = 4, 7 Viansino, Agarh. Anth. Pal. X 14, 5 = 38, 5 Viaosino (il garrito di una rondine), Mich. Chon. Carm.,II p. 375 v. 17 Lambros (il mormoriodel critico, vd sopra). Anche il verbo semplice 'tpuçm e gli altri composti indicano il mmnorare e lo stridere, spesso con riferimento al m~ animale. Qui il verbo sembra alludere da UD lato al carattere subdolo della critica dei Telchini (vd K&te-Handel p. 63), dall'altro al senso di superiorità che C. prova nei loro confronti: in modo analogoE'zodico (SH 494, 3 = FGE 235) definisce i gnimrnarici aristarcbei I ymv10P6JLPu1eu, ronz.antiili un angolo. Può anche esserci un riferimento all'insistem.a degli avversari: dalla radice del verbo 'tpuçm, infatti, deriva la parola 'tpuycov, che designala tortora, uccello di proverbiale loquacità (cf. Theoa. XV 88 con il comm. di Gow ed Enstath. p. 594. 26 con la nota di van dcr Valk). Questa considerazione potrebbe costituire UD elemento a favore del supplemento 1toll.aich all'inizio del verso. ciLo,lfi:L'integrazione di Coppola si basa sugli Scholia Florentinafr. 1, 1, dove i resti del lemma~ ]çouuvcxo\6ti: negli ScholiaFiorentina,infatti, lo iota non è mai uaiuo. Ma nooè del tutto certo che si debba integrare il caso dativo (vd app. e il comm. al v. 2 viJ16EJc... Mouc11, ... .,U.01). Il vocabolo significa qui ars canendi,come già talvolta nei poemi omerici (IL II 595, 599, xm 731, Od. vm 44, 64,498) e in altri luoghi ca)limacbe, (Ep. XXXV 1 Pf. = HE 1185, Dian. 137); cf. anche il V. 19. 2 v-lt,laJc ot Mouc11cove iy,vono Questo veno, il v. 6 e il v. 20 sono fl'Bsmessi da Efestione, che li cita per esemplificare i vari tipi di pentametto (vd. app. delle fonti: cf. anche Iamb. Jr. 191, 1 Pf. con il comm. e vd. Pf. II p. XXXII). Come ba notato Maas, Recensione p. 129, il metricista trae i suoi esempi dal celebre prologo degli Ailia, partendo dall'inizio: il tipo di pentamettoche nel primo colon ba _,..,_ è esemplificato dal dal v. 20 (per il tipo ___ ..,..,_, v. 2, il tipo che ba_..,..,_..,..,_ dal v. 6 e quello che ba----
.o.cn:
vd il comm. al/r. 5, 2). Non bisognerà quindi integrare _..,..,_prima del v. 20.
UD pentametto del
dpo --
oppure
Il verbo i:yévono va inteso nel senso pregnante di nacquero:l'inimicizia delle Muse nei nascita si conttappone all'amore delle dee per C. dai rempi confronti dei Telcbioi fin dalla lcqc:Cf. tpp. adtspp. Anth. Pal. IX 191, 5 s. e 583, 1 s. Ei ... I vijK e1puc Moucécov. Un'espressione simile è forse impiegata da C. nel fr. inc. std. 633 Pf. MoucÉcov tx:Evoct, se sotto la corruttela si nasconde l'aggettivo 1CE\VOC (vd. Pf. ad loc.). C., al conttario, si definisce Et µÈv cio,8,iv I Ei66toc nell'Ep. XXXV Pf. = HE 1185 s. v-q,&a,c... Mo6c11c... ,..oiL i:A.{ucov. Molto meno plausibile è l'integrazione È).,[auvco di Friedlllnder (vd. app.). In proposito, non mi sembrano probanti le ossecvazioni di Lcbnus, Callimacofr. 1.5 Pf.,che allega [Metrod.] Anlh. Pal. XIV 121, 10 s. J, fL«xKap,ik 6ic,cu ijvoca xv..\ci6cu:, I 1tpòc&· E't\ KÉvt' È1tÌtaiL Élca'tOV'tCX6astano spesso Filita e C. come esponenti della medesimapoetica (Prop. II 34, 31 1, l; 9, 43 s., IV 6, 3 s., Ov. Ars 329, Rtm. 160, StaL Silv. I 2, 252 s.). Per di pii) s., nei canoni antichi, da Proclo (Phot. Bibl. p. 319 B) a Tzetze (in Lyc., II p. 3. 15 Scheer), rome massimi rappresentanti del genere elegiaco compaiono sempre Mimnermo, Filita e C., spesso preceduti da Callino. Herter, Bursian 255 p. 102 scrive: «Sarebbe già inverisimile che Callimam avesse assunto una posizione discordante nei confronti di Mimnermo; ma sarebbe ancora più sorprendente che egli non avesse approvato nella sua interezza la produzione di Ftlita, al quale, in séguito, viene cosl spesso accostato: un ypaµJ&a Kaxu fra le opere di questo A.EKtoc?». Alla Lidt pensava già Vogliano p. 206. Mau, Rtctnsiou Il p. 163 e ap. C. Gallavotti, «SIFC» NS 11 (1934), p. 93 vedeva un riferimento alla Lide non nella J&eyaÀ.11 yuvii del v. 12, ma nel monosillabo caduto all'inizio del v. 10, e - proponendo una variazione del o ypwv (vd. app.): in séguito, Mau supplemento di Gallavotti (vd. sopra) - integrava YP1JUY ripudiò quest'interpretazione, accettando la tesi del confronto interno ai carmi di Mimnermo e Filita (vd. Pf. I p. 499). Una critica ad Antimaro viene riconosciuta ancheda Frucr II p. 1053 n. 253 e p. 1058 n. 287 e da Herter, Kallimachos II p. 195 s. Gli interventi più circostanziati in favore dell'interpretazione «anfirnacbea» si devono a Puelma, serondo il quale il riferimento a Fllita deve essere cercato nella sezione successiva al v. 11, dove si parla di Mimnermo: la sequenza Mimnermo-Fillta sarebbe suggerita dalla aonologia dei due poeti, dall'ordine nel quale essi vengono nominati negli Scholia Flore111ina 13 s. e dalla necessità che la menzione di Filita sia più esplicita di quanto non risulterebbe dalle metafore del distico 9 s., che andrebbeinvece inteso in senso proprio ( «il grano è superiore alla quercia»;si noti che le considerazioni di Puelma sono anteriori alla proposta di supplemento del v. 9 avanz.ata da Wimmel, per la quale vd. sopra). In tte conttibuti successivi, Puelma ba supplito un riferimento a Filita in modi diversi e in differenti punti del teslO. Puelma, Lucilius
m
m
210
CALLIMACO - AmA, LIBRI PRIMO E SECONDO
p. 223 n. 1 intapunge dopo civ6pa (v. 15) - vedendo in JUX1tpòv ... civ6pa il Gran Re persiano - e integra al v. 16 Kmiou] ~[i. j,,iulC]. Puelma p. 109 propone o di interpungere dopo civ6pa e saivere Képa\] c~h16ov(6t:c], o di supplire Kéi,ov·] ci[,16ovt6t:c], intendendo che i dardi dei Massàgeti si riversano (inutilmente) su Filita come le critiche dei Telchini su C. In concomitanza con l'insieme di queste tre prime ricosttuziooi, il critico ba interpretato il toiv 6È] ~voiv del v. 11 o come genitivo neutro di specificazione («le tenui poesie dei due libri di Mimnermo ... ») o come genitivo partitivo maschile («tra i due poeti ... ») o come genitivo partitivo neutro («tra le due opere ... »). Come quarta proposta, Puelma, Kallimachosp. 96 s. = 466 s., ripudiando le sue precedenti integrazioni, supplisce al v. 11 s. ~Li 1Catà À.t:Ktov I Kcina\] (vd. app.), interpretando cosi: «Tra le due opere, le sottili fanciulle di Cos (cioè, le brevi poesie di Filita), non la grande donna (cioè, la Li& di Antimaco) dimostrano la dolc:eu.a di Mimnenno (al quale entrambi i poeti si ricbiamanQ)». Secondo Mattbews p. 136 (vd. app.), nel v. 9 Kipoc 6tJ] yq.p E'IJY[òÀ.]\yocnxoc introdurrebbe una decisa asserzione della ÒÀ.\yocnx(TJdi Filita, alla quale terrebbe dietro una cuyicplClCfra la Demetradel poeta di Cos e l'Artemide(fr. 75 Wyss) di Antimaco (8EUv] KoJ~V ttJVµa1CpiJv, supplemento - come si vedrà - già proposto l'anno precedente da Hollis): un analogo paragone fra le brevi poesie di Filita e la Litk di Antimaco (in rapporto a Mimnermo) sarebbe riconoscibile nel distico successivo. Nel medesimo senso si orienta la lettura di Milller pp. 89-92 e «RbM» NF 131 (1988), p. 199 s. (vd. app.): dopo l'affermazione dell'òl1yocnxb1 di Fùita (v. 9, Kcoioc - li] yq.p EIJY[òÀ.]\yocnxoc) e il confronto fra la quercia e Demetra(da intendere sia come metonimia di grano sia come titolo dell'opera filitea), ci sarebbe la ci,y,cplClCfra i piccoli carmi di Filita e la Lide di Antimaco (si noti che Milllerrccupem.per l'inizio del v. 12, il supplemenlO 06t: µÈv] di Milne, Callimachlls:vd. app.). Alcuni individuano nei versi di C. altri bersagli polemici, oltre alla Litk di Antimaco. Edwards p. 110 accetta per l'inizio del v. IO il supplemento 6puv di Housman e vede qui un'allusione alla sacra quercia di Doclona il cui legno servi per costruire la nave Argo (cf./r. 18), e quindi alle Argonautiche di Apollonio Rodio, che sarebbero giudicate inferiori alla DetMtra di Filita. Nel medesimo senso si orienta l'interpretazione di Vogliano ap. Milne, «JEA» 17 (1931), p. 118 e Smotrytsch p. 250, che all'inizio del v. 10 integrano rispettivamente V1JUVe vauv (vd. app.), pensando anche loro alla nave Argo e quindi alle
Argonautiche. Barigazzi p. 167 s. ritiene che nel v. 11 s. venga asserita la superiorità di Mmmermo rispetto ad Antimaco: toiv 6è.J &11oivsarebbe da interpretare o come un genitivo di specificazione riferito ai due libri delle poesie 1tatà À.EKtovdi Mimnermo («che MimDermoè dolce, lo mostrarono le brevi poesie dei due libri, non la Li&») o come un dativo attribuibile a una divisione in due libri sia delle elegie di Mimnermo sia della Lide («che Mimnermo è dolce, lo mostrarono con i loro due libri le brevi poesie, non la Lide»). Nei vv. 13-16, poi, Filita sarebbe contrapposto al poeta epico Cherilo di Samo (pp. 171-182). L'allusione a Cherilo si svolgerebbe tramite un riferimento a due vicende forse narrate nei suoi Persica (SH 314-323, frr. 1-12 pp. 191-196 Bemabé; sono anche tramandati i titoli Bappapl1Ca e M116\1Ca):l'attacco di Dario ai Traci e agli Sciti, che si svolse sulle coste occidentali del Ponto Eusino, dove abitavano i Pigmei prima della guerra con le gru - forse cantata da Cherilo stesso - (v. 13 s.), e la spedizione di Ciro contro i Massàgeti, durante la quale il re morl sotto le frecce dei nemià (v. 15). Filita sarebbe menzionato al v. 16: Barigazzi p. 172 propone di saivere cppov-r(]ij[u ai Képal], riprendendo l'integrazione ai. Képm già suggerita - come si è visto - da Gallavotti (vd. app.; il supplemento di Barigazzi, troppo lungo per lo spazio della lacuna, viene accolto da Fraser Il p. 1052). All'interpretazione di Barigazzi aderisce Eicbgriin pp. 69-81: C. contrapporrebbe la Nanno di Mimnermo alla Litk di Antimaco e i Persica di Cbcrilo alla Bittitk di Filita.
COMMENTO: AEr. I FR. 1
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Una posizione intermedia fra le due tesi fondamentali sostenute dalla critica è quella di Hollis, Fr. 1 p. 403, cbe integra 8Euv) all'inizio del v. 9 (vd. app.) e suggerisce, con molte riserve, di intendere: «La De~tra di Filita è di gran lunga superiore all'Artemidedi Anlimaco ... e le poesie brevi di Mimneimo sono molto migliori delle sue stesse poesie lunghe,. (p. 406; a sostegno del supplemento si può richiamare Prop. II 34, 45 s. tu non Antimacho,non tutior ibis Ho~ro: I despicit et magnosrecta puella deos). Hollis, comunque, ribadisce il carattere ipotetico della sua proposta e afferma che l'interpretazione pià probabile del v. 9 s. è quella del confronto interno alle opere di Filita.
E in verità l'ipotesi di lettura «tradizionalei. resta la pià plausibile. Si vedano in proposito le considerazioni di Wimmel, Philitas, cbe respinge su ogni punto (p. 347 n. 4 = p. 71 n. 4) l'ultima ricostruzione del v. 11 s. proposta da Puelma (vd. supra). Difendendo la tesi della ciry,cpu:lc fra componimenti brevi e lunghi di Filita e Mimnenno, Wimmel, Philitas p. 348 s. = 71-74 controbatte un'obbiezione fondamentale degli avversari, quella cioè che mette in evidenza, presso i poeti romani, l'entusiasmo incondizionato pei- i due elegiaci e il frequente accostamento di Filita e C. come espooenti del medesimo fllone poetico. Wimmel osserva che gli autori latini potevano trovare espressa pià chiaramente in altri luoghi di C. (ora perouti) la sua ammirazione per Mimnèrmo e Filita. e inoltre cbe i poeti di Roma si richiamavano ai modelli greci essenzialmP.nte per sostenere le proprie recusationes, sicché una distinzione interna ai carmi di Mimnermo e Filita risultava superflua, se non dannosa (per altre considerazioni volte a negare un riferimento alla Lide, vd. Wimmel p. 89 s.). Inoltre il disprezzo della Lide da parte di C., cbiama1n in causadai critici cbe vedonoin questi ve.rsi un'allusione ad Antimaco, non fu fone cosl radicale ccme in genereFiammette(vd. Del Como p. 67, Krevans, Fightingp. 159 s.). La sintassi stessa del y. 11 s. non pennette di identificare la µrycU.11'YUV11 con la Lide. Infatti, basandosi su una lettura senza pregiudizi delle parole impiegate da C., nessun leuore porebbe intendere «che Mimnermo sia dolce, lo mosttarono le sue esili composizioni, non la Lide di Anlimaco,. o «che Mimnermo sia dolce, lo mosttarono le sue esili composiziooi, ma la Lide non mostro [che Antimaco è dolce),. (vd in proposito le giuste osservazioni di Hollis, Fr. 1 p. 405 s.). Si può infine chiamare in causaun arsomento di natura contenutistica. C. intende chiarire che l'ÒA.lyocnxi11è in ogni caso preferibile alla ,coA.uc'tlXlt'I,anche quando il medesimo autore ba composto poesie lunghe e poesie brevi, come notano Norsa e Vitelli (PSI XI, 1935, p. 141 n. 2): «Ognun vede che il confrontare poesie lunghe e brevi dello stesso poeta era per Callimar.o argomento pii) valido che non il confronto fra lunghe composizioni di un poeta inferiore e composizioni brevi di un maggior poeta. In quest'ultimo caso si può sempre dire che, non alla brevità o alla lunghezza della composizione è dovuta la differenza di valore poetico, bensl al maggior talento di un poeta rispetto all'altro,. (vd. anche Pretagostini p. 131). Quest'intapretazione, come si è visto, è anche condizionata dallo scioglimento in aÙ't(éòv) - e non in aù"t(a) - dell'au't' che si legge nel rigo 15 degli Scholia Fiorentina (a meno che non si voglia pensare a un fraintendimento dello scoliasta o ricorrereall'improbabile ipotesi di Pohlenz p. 318=49, per la quale vd. supra). Lo scioglimento aù't(iòv) non può essere messo in dubbio: vd. McNamee p. 84 s., LJ.-P. ad PhiliL SH 615, P. Parsons ap. C. W. Mttller, «RhM,. NF 131 (1988), p. 200 n. 9. Per concludere, in base ai dati a nostra disposizione sembra che si possa vedere nel v. 9 s. la conttapposizione fra un componimento lungo di Filita (dal titolo incerto) e la Deme1radel medesimo poeta, nel v. 11 s. il confronto fra i piccoli caimi di Mimnermo e la sua stessa grande Nanno o Smirneide. Ne risulta uno schema chiastico: Filita ,coA.ucnxoc - Filita ÒA.lyocnxoc - Mimnermo ÒA.lyocnxoc - Mimnermo ,co)..ucnxoc. All'inizio del v. 9 si raccomanda - per i motivi precedentemente esposti - l'integrazione di Wimmel Konoc où)~ cie• EIJY[òA.)lyocnxoc; (anche senm punto interrogativo). Il "totv 6è:J ~votv del v. 11 andlà verisimiJmP.DteintelpretalO in senso generico («fra le due opere ...,.), sema riferimento ai due
CALLIMACO- AmA, LIBRI PRIMO E SECONDO
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libri delle poesie di Mimnenno menzionati da Porfiriooe (vd. supra). Quanto ai vv. 13-16, noo è escluso che essi possano contenere - accanto a delle metafore di polemica letteraria (vd. Bormnann. Callimacheap. 49 s.) - un'allusiooe ai Ptrsica di CbaiJo comesu&Berisce Barigau.i (vd. Bemabé ad Choer.fr. 4 p. 193 = SH 332).
9 J • •llaJY: Se qui c'era il verbo EflY non preceduto da un pratpositivum, si noti la violazione della «seconda legge di Meyen. (vd. Introd.ill.l.A.c.iv.). [ò)..]ly6c-nxoc: Se si vuole riferire l'aggettivo non a Filita. ma (com'è meno probabile) a C. stesso, si dovrà probabilmente intendere che l'autore riconosce di avere saitto pochi versi nelle singole elegie degli Aitia: nel prologo - verisiroilmente a&Biunto a una seconda edizione dell'opera (vd. In1rod.Il. I.) - C. difende il suo ampio componimento frammentato in elegie di breve respiro (per quest'interpretazione di [òì..]tJOC'ttXOC, vd. p.es. HCitel', Bursian255 p. 112). L'aggettivo òì..ty6cnxoc è impiegato p.es. da Diog. Laen. V1I 165 e da Greg. Naz. Carm. (PG 37) I 1, 11, 15 (p. 471)• (vd. il comm. al v. 4 noUai, ... xv..uiuv), Il 2. 7, 304 (p. 1575)* (vd. B. Wyss, «MH,. 6, 1949, p. 193 D. 43). Yd. anche il comm. al V. 3 oùx iv ae1'µa 6tf1v&icic. L'òì..tyoutxiTt è tipica della poesia epigrammatica. come dice Filippo di Tessalonica nell'introduzione alla sua Ghirlanda (Anth. Pal. IV 2, 6 = GP 2633), mentre la KoÀ.ucnxiTtè estranea all'epigramma, cooie affermano Parmeniooe (Anlh. Pal. IX 342. 1 = GP 2608) e Marziale (IX 50, 1-4): ingtniummihi, Gtuut, probas sic ust pu.silbun,I carmina quod faciam quat brtvilate plactnt. I conjiltor, std tu bis stnis grandia libris I qui scribis Priami proelia, magnus homo ts? 1em8ii1ucet: Il verbo è impiegato metaforicamente da Aristofane (Ran. 1398), nella
scenadov'è
descritta la pesatura della poesia escbilea ed euripidea: Dioniso esorta Euripide a cercare qualcosa di grosso che tiri giù il piatto della bilancia dalla sua parte (vd. Hollis, Fr. I p. 404 e il comm. al v. 17 s.). Spetta a Gargiulo pp. 123-128 il merito di avere per primo osservato che C. imita. sl, la metafora di Aristofane, ma ne ribalta il senso:mentre nelle Rant vince il poeta che mette sul suo piatto della bilancia i vei-si più pesanti, qui «la Demetta, io virb) della sua À.Elt'tO'tflC,"manda giù", "fa andare giù", "fa scendere (nell'altro piatto dtlla bilancia)" la poesia ad essa paragonata. che a sua volta si caratterizza per grandezza e pesantezza,. (p. 125); cosl facendo, C. recupera anche la norma dle governa la pesatura dei destini sulla bilancia di 7.eus, nei modelli omerici parodiati da Aristofane (Il. VIIl 69-74 e 209-213): chi va giù peroe(p. 123 s. e p. 127 n. 16). Cf. inoltre Galen. XIX soprattutto p. 190 Killm 'tpOlpll ... ica8ÉÀ.ICEt 'tà KaY'ta, ma andle 1beocr. XYil 95 o).pcp l,lèv 1tciV'tac ice ica'tapp{8ot Pacv..;;a, (a proposito di Tolemeo, vd. il comm.di Gow). 10 è,p.sv,a 9ecp.of6pq[c: Deroetta viene designata nel suo duplice aspetto di dea dei cereali e di dea Legislatrice: i due attributi sono accostati ancora da Cali. Cer. 18-20 ic&Utov (scii. ì..éyuv ÈuÌ) mc KOÀ.lECClY i:a66'ta 'tÉ8µta 6éòice· I icciU,ov, mcicaÀ.aµav u icat i.epà 6pciyµa'ta Kpci'ta I àuaxumv à1tÉ1C011'E icaì Èv P6ac fiice Ka'tiìcat e Ov. Mtt. V
xx:n
341-343. Per il vocabolo attico oµKv,o,, cf. Cali. Htc. frr. 287 e 357 Pf. = 111 e 144 H. con i çomm. L'aggettivo è accostato a Demetra anche da Lyc. 621, Ap. Rb. IV 988 s., F.ratostb.CA fr. 16, 17 s. p. 62, [Oxph.] fr. 280, 9 Kem, Nono. Dion. XI 213, XXXI 39, XLVII 50, Pamprep. fr. 3, 115 Livrea (C. impiega anche il sostantivo affine oµKfl, focaccia: cf. frr. inc. std 658 Pf. e 681, 1 Pf.). L'epiteto 0ecµocp6poc è connesso alla festa dei Thtsmophoria, celebrati dalle donne greche in onore di Demetra: dei Thesmophoriaattici ttauava C. nel terzo libro degli Aitia (fr. 63 Pf.). L 'aggettivo viene impiegato - oltre che passim nelle Thtsmophoriazusae di Aristofane - p.es. da Herodot. VI 91, 2; 134, 2, Aristoph. Ecci. 443, Asclep. Anlh. Pal. V 150, 2 = HE 851 •, Cali. Att. fr. 63, 10 Pf.•, [Oxph.] Arg. 27. 11 ~'lOLY:Pei- il raro uso del duale da parte di c ..vd. il comm. al/r. 65, 19. M(1&vapp.océSn: Mimnermo viene menzionato da C. anche nel tredicesimo giambo (Jr. 203, 7 Pf.), dove (probabilmente ai vv. 43-49; cf. Ditg. IX 36) si parla pure di Ione di Olio
COMMENTO:AET. I FR. 1
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nel contesto di una polemica letteraria (cf. inoltre le critiche rivolte da C. ad Arcbiloco nel fpaquiiov fr. 380 Pf. e nel /r. inc. std. 544 Pf.). Per la traitctio di on, cf. Call. Att. fr. 80, 20 Pf. + fr. 82, 2 Pf. (Pf. Il p. 113), Att. SH 260 A. 10. y1.ucuc: Per la dolcezza di Mimnermo, cf. Hennesian. CAfr. 1, 35 s. p. 99 M(µvepµoc 6É, tòv ii6ùv oc ,;upeto 7toÀ.À.Òv àvatÀ.ac I ~xov 1CaÌf1aÀ.a1Cou 11:veuµatÒ nevtaµÉtpou. L'aggettivo yÀ.u1CEpoc è spesso associato alla voce e al canto: cf. Hes. Theog. 91 = [Hom.] Hymn. XXV 5, [Hom.] Hymn. VII 59, Pind./r. 152 Sn.-M., Ap. Rh. IV 1773 s., [lbeoa.] XX 27, [Moscb.] m 72, Bionfr. 3, 3 Gow; cf. anche v. 16 µEÀ.txp[o]upal con il comm. 1Cat'fà1.e1n6v:Cosi venivano definite anche le opere minori di Arato (SH 108 s.) e di Virgilio. 12 fi aaya1.11 Per l'uso di 6É al terzo posto, cf. più giù i vv. 24 e 35, fr. 9, 12 (dove 6É potrebbe anche essere al quarto posto), fr. 50, 74, i vv. 12, 36 e 74 di Att. fr. 15 Pf., la.mb.fr. 202, 65 Pf. (Pf. Il p. 119), lov. 46, Dian. 51, Lav. 85. aeyu1.ri ••• yv,ni: Molto incena è l'ipotesi di Papangbelis pp. 381-383, che vede un'allusione a questo nesso callimacheo (con il suo connotato dispregiativo) nel carme LXXXVI di Catullo, dove il poeta afferma che la longa Quinzia è meno affascinante della formosa Lesbia (vd. Cameron p. 317 n. 74). C. impiega spesso l'aggettivo µÉyac in senso negativo: vd. M. Bissinger, Das Adjtktiv µfrac in der gritchischen Dichlung, Il (MUncben 1966) pp. 331-334.
a·:
b) 13-20: Callimacoribadiscela sua scelta C. delinea il tipo di poesia da lui aborrito, mediante tre metafore: il lungo volo (o il gracidare) della gru, che si dirige verso la Tracia dopo avere combattuto in Egitto contro i Pigmei (v. 13 s.); il saettare a distanza dei Massàgeti conuo i Medi, che non può servire da modello per le composizioni poetiche, tanto più dolci quanto più sono brevi (v. 15 s.); il fragoroso tuono di Z.Cus, che non è imitato da C. nelle sue composizioni (v. 19 s.). Fra la seronda e la terza immagine si inseriscono un'invettiva e un ammonimento ai Telcbini (v. 17 s.): vadano essi alla malora e imparino a giudicare la capacità poetica con l'arte, non con la hmghiAAiroapertica persiana! Per i vv. 13-16 vd., nel comm. ai vv. 9-12, gli interventi di Gallavotti, Cataudella, Alfonsi, Pue1ma, Barigazzi, Eicbgrun e Bommann. nonché le mie osservazioni finali. 13 s••••• .)qv i11:ì. 8pliicmc cis' Aiyux'loto [sho\'lo I at'lflat'lh Il'lTflat(mv i)&qaçv11 [y)Épa[voc: I Pigmei sono un leggendario popolo di nani, collocati per lo più a Sud dell'Egitto. Famosa è la loro lotta contro le gru (cf. Favorin. Dt txiL p. 387. 3 Barigazzi). Il modello del distico calliroad1eo è Hom. n. m 3-6 ,iuu 1tep 1CÀ.a'Y'Yìl yepavcov 7tÉÀ.Eloùpavo8l 7tp0, I a.l t • ÈltEÌ oòv XElJléÌ>Ya cpuyov ICaÌ cx8Éccpatovoµppov, I ICÀ.arriìtal YE ltÉtovta\ È7t' 'OICEavo'ioj,ocicov, I àv6paCl Iluy11atolCl cpovov ICaÌ ICilpa cpÉpoucat (vd. L. Muellner, «HSPb» 93, 1990, pp. 59-101). Ma le gru, che neU'lliadt muovono a battaglia. sono qui desaitte nell'atto di tornart dall'Egitto (cioè dallo scontro con i Pigmei) veno le regioni settenttionali della Tracia: cf. anche Stat. Theb. V 12 decedunl ... Nilo I, Opp. Hai. I 620-623 éo, 6' ot' IX7t'Ai8io7tCOYu ICaÌ Aiyu7ttoio poacov I UVl7tE'tTIC I "AtÀ.aY'tOCYllpOEY'taKayov ICaÌ xe'i11a lp\J'YO\JCIXl I yepavcov xopòc ipxetal ,iepocpci>vcov, Iluyµa(cov t" ÒÀ.tyo6pavÉcovàµevrivà yÉve8À.a, Claudian. Carm. min. XXXI 13 tt Nilo
Pygmaea gruts post btlla rtmenso. 13 •... .]qv: Pf. osserva che potrebbe trattarsi di µa1Cp]qv, come suggerisce il confronto con i vv. 10 e 15: in unione al verbo [11:Étoito, integrato da Lobel in fme di esametro (sulla base di Hom. Il. m 5, vd. il comm. al v. 13 s.), l'avverbio esprimerebbe il lungo volo della gru dall'Egitto alla Tracia (vd. app.). Il supplemento 1CÀ.ayy]qv (rumorosamtntt, cf. Babr. CXXIV 13, CXXXV 3), proposto in precedenza da Pf., Alttrsgtdicht p. 305=100 sulla base di Hom. Il. Ili 2, 3, 5 (ICÀ.a'Y"f\1, vd. il comm. al v. 13 s.), ha avuto il consenso di Gallavotti, Rtcensiont p. 94, che richiama Lucr. IV 181 s. = 910
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s. parvus ut tst cycni melior canor, illt gruum quam I e/amor in attheriis dispersus nubibus austri, e di Puelma, Lucilius p. 223 n. 1, che propone per la fine del verso [,épolto (voli, in sostanza un equivalente dell'integrazione [1tÉtotio di Lobel, vd. app.). Se l'integrazione x:l.ayy]qv coglie nel segno, C. alluderebbe alla poesia magniloquente e rozza(come nel v. 19 s.).
9pTJilCCIC: Per la quantità lunga dello iota, vd. il comm. di Livrea ad Ap. Rh. IV 905 0Pfl (x:wc Per la connessione delle gru con la Tracia, cf. i passi di Giovenale e Nonno nel comm. al v. 14. 14 11ip.11tb Q11y1L11{mv ~aq1tY11 [y]Épcx[voc: L'incegrazione del pentametro - che si deve a Pf. - può essere considerata cena. perché si basa su un breve epigramma di Giuliano Anticensore (VI sec. d.C.), che nel secondo verso impiega palesemente le parole di C.: Anth. Poi. XI 369 ruq,aÀ.É(l)LOllC1JLOY Èv cic.ui:, µ~ u x:oÀ.al!'YlI a'iµan Iluyµa(mv i]6oµÉY1) yÉpavoL (contro un nano). Inoltre, il pentametro callimar-beo viene imitato da Ovidio nei Fasti: VI 176 ~e quae Pygmaeo sangui~ gaudet avis. Per il sangut tki Pigmei, cf. anche Nono. Dion. XIV 332-336 I 8p11i:dolL ytpavo\uv ÈolKO'tEL,EO'tE ... I ... I Iluyµaimv ciyù..116òvÈ1tctluouu x:a~vou I ... x:al òçue>EY'tlyevdcp I oùn6aviiL òUx:ouu À.ucoc8evu atµa yevÉ8l11c il passo è anche rilevante per l'epiteto 0Pfli:x:iotL (cf. qui il v. 13). Per il motivo della gru e dei Pigmei, cf. inoltre fr. atksp. SH 996, 8 con il comm., 0v. Mtt. VI 9092, Iuv. XIII 167-173 (v. 167 Thracum volucrts, cf. qui il v. 13), Babr. XXVI 10, Claudian. Btll. Gild. I 474-476, Rutil. Nam. I 291 s.; cf. anche Lucill. Anth. Poi. XI 265, 6. Per il cemadell'uccello vorace di sangue, cf. Call.fr.inc. std 641 Pf. e forse ifrr. inc. ml. 523 Pf. e 691 Pf. i,aq1fY11:Il verbo compare una volta soltanto nei poemi omerici (Od. IX 353). Cf. Cali. Lav. 44 a6op.Éva•. 15 s. M11cCC1JTi'fC1\ L1CJq\ p.111epòv òic-r&UO\~Y is' civapcx I llijaov]: I Musàgeti avevano le loro sedi a Est del Mar Caspio ed erano famosi per la loro abilità di arcieri. Il supplemento Mij6ov] di Pf. - come già il IlÉpL11v]propostoda Cataudella, troppo lungo per lo spazio della lacuna(vd. app.) - si basa su Herodot. I 214, 2 aùioùc 6uxciavtac ù ciU~À.ouL ioçzuetv (riferito ai Musàgeti della regina Tomiri e ai Persianidi Ciro). Perla maestria dei Massàgeti nel tirare con l'arco, cf. inoltre Simm. CA fr. 1, 3 s. p. 109 MacLayÉ'tal ... I ... ioçotC\ KEKOl80'tELmx:uPoM\C\Y I, fr. tpic. adesp. SH 939, 1 I MacLayÉi11v ciipax:tov con il conun., Dion. Per. 740 I MacLayÉtat ... 8oiòv pu'tijpu òi'uiòv I, 1067 I ioçoq,opmv ... M~6mv I, Orac. Sib. V 117 MacLayÉ'tac u •\À.oK'tOÀ.éJlouL ioçotd u 1t\uouL (1tuiouL Meinete: 1taviac codd.), XIV 68 MaLLayÉ'taL IlÉpcaL u, q,apupoq,opouL civ8pm1tOUL. Per la collocazione dell'etnico MauayÉ'tTIL all'inizio dell'esametro, cf. anche Orac. Sib. XIV 176•. Per il nesso civ6pa I Mijliov ], vd. il comm. al fr. 9, 19 CÌYTIP 'Avaq,atoc. 15 M11cc11Jyh11\ L1CJq(: Per la posposizione di x:ai, cf.fr. SO,vv. 48, 53, 64;/r. 89, 3, Aet. fr. 93, 3 Pf., Vict. Sosib. fr. 384 Pf., vv. 24, 27, fr. inc. sed 681, 1 Pf. (sempre all'inizio di verso, tranne che neifrr. 93, 3 Pf. e 384, 24 Pf.) e gli altri passi elencati da Lapp p. 49. p.111epòv òictsuo\,v: Il vocabolo µax:pov andrà inteso in senso avverbiale, secoodo un uso già omerico (Il. 81 al.). Per il nesso, cf. Babr. LXVIII 1 µax:pà ioçeumv I, ma anche Pind. Pyth. I 45 I µax:pà 6È pivau, lsthm. Il 35 I µax:pà 6\L~catL. 16 411[liov{&ec]: L'integrazione fu proposta da Housman quando era disponibile soltanto il POxy. 2079 (che aveva solo ]upa1 alla fme del verso) e non e.raancora noto il POxy. 2167: le tracce offerte da quest'ultimo (~(l)l)EµEÀ.txp)sembrano confermare il supplemento (vd. app.). Non mi pare giustificato lo scetticismo di Bulloch (nel comm. a Cali. Lav. 94), che ritiene improbabile il supplemento perché le prime attestazioni del vocabolo cx(ri)6ovk compaiono nella poesia dorica: infatti la parola - come osserva lo stesso Bullocb - si ritrova anche in epigrammi di dialetto epico-ionico e forse presso Partenio (vd. oltte il comm.).
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Il vocabolo àt116mvviene talora impiegato nel senso di piccolo carme grazioso: cf. Cali. Ep. Il 5 Pf. =HE 1207 (C81Dlidel poeta Eraclito), ep. adesp.Anth. Pal. IX 184, 9 =FGE 1202 'AÀ.xJLavocàt,,66vu, Pallad. Anth. Pal. X 92, 2 (attività poetica di Palladastesso); cf. inoltre Hesych. s.v. àt,,66va· cI>611v. Anche il poeta stesso è a volte designato con la parola àt116mv: cf. p.es. Hes. Op. 203 (?), Bacch. ill 98, Simm. Anth. Pal. XV 27, 4 = CAfr. 26, 4 p. 119, Posidipp. SH 705, 18; Nosside definisce ciri6ovic Riotooe (Anth. Pal. VII 414, 3 = HE 2829). Per l'accostamento fra poeta e usignolo, cf. [Tbeogo.) 939, [Tbeocr.) VIII 37 s. Per il diminutivo àtri6ovic cf. - oltre al citato luogo di Nosside - fr. adesp. SLG 460, 8, [Eur.) Rhts. 550, Call. Lav. 94, [Theocr.) vm 38, ep. adesp.Anth. Pal. IX 380, 2, GVI 1938, 6 (Roma, II sec. dC.) e forse Parthen. SH 646, 2. La forma àt6ovic viene impiegata da [Theoa.) Ep. IV 11 Gow e [Mosch.Jm 46. '' &3&:Probabilmente il rigo 14 degli Scholia Londintnsia (~~E· ov-cco(c)-i)6u(upc:n) iv torici fllx(poic)) si riferisce a questo punto del testo e non all'inizio del v. 12, come invece pr.nsaoo Milne e Miiller (vd. app. al v. 12 e comm. ai vv. 9-12); il senso di Z>6Esembra essere outmc cix ixouuv (cf. p.es. Schol. A Il. II 271), cioè fll1CpaLPer 6 • Z>6Ein questa sede del pentametro, cf. Call. Lav. 100; per il solo Z>6(E),cf. Call. Lav. 104, Epp. XII 4, XXVIII 2, LilI 2 Pf. = HE 1240, 1042, 1154. JL&l.lxp[6Jt&p111: C., in un suo epigramma (XXVII 2 Pf. = HE 1298), impiega il superlativo µEÀ,lxpo-catov• per designare la poesia di Esiodo: nel verso seguente dell'epigramma c'è anche la parola À.EK-cai (cf. qui vv. 11 e 24). Cf. inoltre Hedyl. HE 1860 µEÀ.lxpoupov• (avverbio riferito al poeta Socie). Simia (Anth. Pal. VII 22, 5 = HE 3290) ed Ermesiaoatte (CAfr. 7, 51 p. 99) definiscono µEÀ.lXPOC rispettivamente Sofocle e Anacreoote. Cf. anche il v. 11 yÀ.uxuc con il comm. 17 IU.&1:& B1K1t11vL1Jc ÒM>Òvyavo~: Bacxavi.11 è la dea del malocchio: cf. Pap. mag. Grate. I 4, p. 120 v. 1451 Preiseodaoz. Il nome comune Pacxavi.11è impiegato ancora da Call. Ep. XX1 4 Pf. = HE 1182 o 6 • ijuctv icpÉLcovaPacicaviric I, anche qui a proposito di se stesso e della sua poesia. L'invettiva di C. è riecheggiata da Eupb.(?) SH 429 I 23 xacc)qc8t 6È Pacxav-ciipu I (e.g. suppi. Carden; vd. il comm. di LJ.-P.); simili imprecazioni sono anche attestate nella poesia la1ioa (cf. i passi raccolti da Wimmel p. 100 o. 3). Lebous, Notizie p. 27 richiama Even. Gramm. Anlh. PaL IX 251, 5 s. = GP 2300 s. 'll'El I pacicavcp (per il contesto dell'epigramma, vd. il comm. al v. 2). Il tema del malocchio viene toccato anche da Apollonio Rodio in un'accorata (e ironica?) invocazione a 2.eus (IV 16731675). lUH&: Sia Eustazio sia gli Scholia Londinensia tramandano la lezione lU.au, forma eolica di iÀ.au, siate propizi (vd. app.). Dato il tono polemico del prologo, si è sempre accolta l'emendazione ÉÀ.À.nt, dove si dovrebbe riconoscere un equivalente di q,pau, andate in malora: il riferimento a eppau (haptu morfologico nei poemi omerici, Il. XXIV 239*) è certamente presupposto dal contesto della citazione in Eustazio (vd. app. delle fonti). Ma è forse preferibile accogliere la lezione ttàdita eÀ.À.au, presupposta dal commento offerto negli Scholia Londintnsia 15-17 (infatti [i TelchiniJ,anche se non possono nulla, in qualche misura danneggiano): C. inviterebbe ironicamente i Telcbini a essere benevoli e impiegherebbe a questo scopo la formula tipica delle preghiere agli dèi (cf. fr. 9, 13 ÉÀ.À.au con il comm.). A sostegno di questa ipotesi, inoltre, si osservi che i Telcbini sono qui apostrofati nel loro aspetto di divinità maligne, come funesta stirpe del Malocchio (vd. il comm. supra e al v. 1 TEÀ.xivu). 1118,: Qui l'avverbio corrisponde ad alinc, come poi nel v. 35 (vd. il comm. di Pf. a Call. Iamb. fr. 197, 49). Il vocabolo viene impiegato in questo senso anche da Llcofrooe (vv. 732, 1127). L'uso di ai8l come sinonimo di alitic suscitava le critiche dei gnunmatici: vd l'app. delle fonti al v. 35. 17 s. dxV11... co,t,.,v:Le parole coq,ia e cotpOC(co•luac) sono già frequentemente adottate da Pindaro in àmbito poetico (01. I 9 aL, I 116 al., Isthm. V 28). Ma bisogna rilevare
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CALLIMACO- AmA, LIBRI PRIMO E SECONDO
- come fa R. Hlu81er, Das historischeEpos der GriechenrwJ Ramer bis Vergil,I (Heidelbcrg 1976) p. 47 n. 93 - che la ,oq,{a pindarica è soprattutto un dono della q,ua (01. Il 85-87; cf. anche 01. IX 100-104 e Nem. m 40-42, con le osservazioni di Lanata p. 83 s.), mentrela rnq,{11cammacbea vuole essere giudicata in base alla 'tÉXYTI• Koster p. 119 commentain proposito: «Pec Callimaco, ciò che conta è la creazione razionale e teaùca». Un punto di riferimento essenziale per la formulazione callimachea sembra essere Aristofane, che nelle Rane - a proposito della contesa fra Eschilo ed Euripide - saive 'tÌJv 'tÉXY'lY,oq,coupo, I (v. 766) e 'tO\l'tOYyàp ÉycoI (Olpl'i'KplY(I)6Euupov Elva1 (v. 1518 s.): le Rane hanno influito sul prologo di C. anche in altri luoghi (vd. i comm. ai vv. 9 x:a8H ..LKEl,19 p.Éya voq,Éou,av ci016,iv, 19 s. cio1&,;vI 't11euc8a1, 24 ÀEK'taÀÉ11v).Sul piano formale, cf. Telest. PMG 805 (b), 3 I ,ocp&t ... 'tqvac O'auletica), [Hom.J Hymn. IV 483 I 'tÉXYTI 1eaì ,oq,{n (l'arte di suonare la cetra), 511 é:dPTJ,coq,111,... 'téxv11vI (l'arte di suonare la siringa), Call. lamb.fr. 202, 56 Pf. cotpij, ... 1~VTI' I (il canto di Apollo). Per la coq,111 poetica, cf. - oltre ai citati passi di Pindaro -, Hes. fr. 306 M.-W., Sol. fr. 13, 52 W. = 1, 52 Gent.-Pr., (Theogn.) 770 al., Aristoph. Ran. 882, Call. Epp. VIl 4 e XLVI 4 Pf. HE 1304* e 1050•, Theocr. Ep. X 3 Gow, Dionys. Anlh. Pal. VIl 716, 3 HE 1449, Honest. Anth. Pal. IX 230, 3 = GP 2420, ep. adesp.Anth. Pal. VIl 44, 4 = FGE 573, EpGr. 1093, 2 Kaibel •. Cf. anche Enn. Ann. 211 Skutsch sophiam con le osservazioni di J. H. Waszink in Studi in onore di A. Traglia (Roma 1979), pp. 51-54, Hutchinson p. 279 n. 4 (contraSkutsch ad loc.). 18 cxo(JI!• D1pdl1: La pertica persiana era un'unità di misura che andavadai trenta ai sessanta stadi, cioè dai cinque chilometri e mezzo agli undici chilometri.Per l'aa:ostamenlo della cxoivo, alla poesia, cf. Pind.fr.70 b, 1 s. Sn.-M. ~Lpìv p.Èv EPKEcx01vo'tÉvua 't' cio16a I ~~~ upap.jiwv (vd. Newman p. 181). Il passo calJima~heo è imitato da Oreg. Naz. Epist. 51 (I p. 66 Gallay) 'tl yap; li tji IlEpcutji cxo{vcpp.E'tpEic8a16Ei 't'Ìlv,oq,{av; Cody p. 41 ritiene che a questo luogo di C. alluda anche Hor. Carm. I 38, 1 Persicos odi, puer,
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apparatus. 19 s. JL11a• cis' Ì1Lau a,,&J-ç1 JLiya •o,ioucav cko,<v I dwc·nc8111• Ppov~ii,v oùs i1L6v, L1i11cì,A,6,: Il distico segna il trapasso alla seconda parte del prologo (vv. 21 ss.). C., che fino a ora ha esposto soprattutto il contrasto fra K0Àuu1x111e òl1you1x111,approfondisce qui la cootrapposizione fra la poesia altisonante e quella tenue: i due aspetti sono del resto strettamente connessi, come osserva Herter, KallimachosIl p. 250. 19 a\•ii,-ç1: Il verbo viene ancora impiegato da Call. Epp. XXXI 2 e forse XLI 5 Pf. = HE 1036 e 1061. Cf. già Hom. li. XVI 747, Hes. Op. 374, e poi Herod. VI 73, Crinag. Anth. Pal. IX 559, 3 = GP 1957, Oreg. Naz. Carm. Il 2, 4, 70 (PG 37 p. 1511), nonché i composti come civa61q,aw (Cratin. PCG 2), È.x:6upaw(Herod. VIl 78), ÈpEji061q,am(Aristoph. Nub. 192) e i sostantivi derivati 6up~'twp (Opp. Hai. II 435, Oreg. Naz. Anlh. Pal. VIIl 230c, 1, Nonn. Met. XX 17, XXI 35) e ÙC'tpo6{qnic (Herod. m 54). 1LÉ1a•o,éouccxv mo\3{iv: Analoghe sono le espressioni di Aristoph. Nub. 1366 s. Aicx{,Àov... I .-6q,ou KÀÉY P'!P,a't(l)YI (a proposito di Baco; vd. il comm. al v. 17 s.). Per la poesia reboante, cf. Call. Iamb.fr. 215 Pf. ~ne 'tpaycp6ò, JLou,a À111eu8(~ou,a.Pei- il valore di cio16,iv come artem canendi, vd. il comm. al v. l ciL016iì.Il p.Éyaavverbiale è frequente nell'opera di C.: vd. Lapp p. 146. 19 s. cio,1-lavI dwc~a,8a,:Per quest'uso metaforico, cf. Eur. Herc. 767 E'tEKov ci016cu I, Aristoph. Ran. 1059 'tà p,ip.a'ta 't11eu1v (vd. il comm. al v. 17 s.) e lo stesso Cali. Iamb. fr. 203, 14=66 Pf. I 'tà xmÀ.à't11eu1v. 20 ppov~iiJv où11:&JL6v,Lm1lcì, Aloe: Per il rifiuto della poesia tonante, et. Prop. Il 1, 39 s. sed neque Phlegraeos lovis Enceladique tumultus I intonet angusto pectore Callimachus,IV 1, 133 s. rum tibi pauca suo de carminedicllllApollo I et vetal insano verba tonareForo,Mart. VIlI 3, 13 s. I an iuvaz... I aspera... paribus bella tonaremodis?I (parole di una Musa al poeta: il passo di Marziale mi è stato segnalato da A. Hollis). Il tuono è
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tradizionalmente connesso a 2.eus e chi lo imita commette empietà, come l'eroe Salmoneo (Hes. fr. 30, 1-23 M.-W., Verg. Atn. VI 585 s.): cf. anche Rbian. CA.fr. 1, 13 p. 10 I tea A1ì JipoµÉE1(a proposito del superbo). La secondametàdel pentametri'\ caJlimaclleosarà ripresa da Sttatone (Anlh. Pal. XII 4, 6): oinc:ɵov, ciU.à A16c•.Vd. in generalePretagostini, Valtnza.
2) 21-40: La poetica della rafftnateua A) 21-28: Le ingiunzioni di Apollo C. ratifica il secondo principio basilare della sua poetica (la rafjinaler:z.a),presentandolo come un comando ricevuto durante l'infanzia da Apollo: quando per la prima volta C. si è posto la tavoletta scrittoria sulle ginocchia, Febo gli ha imposto di nutrire grassa la vittima ma esile la Musa, di evitare i cammini battuti dai carri e di guidare il suo cocchio non lungo le onne altrui né per la via larga. ma per strade non calpestate, anche a costo di percorrereun sentiero pill stretto. Per il tema delle ingiunzioni e proibizioni poetiche impartite da Apollo o da altri personaggi, cf. Verg. Ecl. VI 3-5 (riportato nel comm. ai vv. 22-24), Hor. Carm. IV 15, 1-4, Prop. m 3, 13-24, IV 1, 133 s., Ov. Ars Il 493-508 e gli albi passi raccolti da Wimmel pp. 135-141, con l'aggiunta di [Verg.] Culex 12, 36 e [Tib.] IV 1, 178. CC.anche Cbristod. Anzh. Pal. Il 346. Per il rapporto fra questa scena e il successivo incontto onirico di C. con le Muse, vd. il comm. ai.frr. 3-4. 21 i:iu& Kp19nç-rov: Cf. Hom. Od X 462•. Per il solo 1tpcqnçtov, cf. Cali. Lav. 9 1tpanuov•, dove il valore è avverbiale come qui. L'avverbio 1tpci>nua viene impiegato da Esiodo (ThLog. 24) per rievocare il tempo della sua consaaazione poetica sull'Elicona (vd. Reiosch-Werner p. 338). ÈK(: Apollonio Discolo cita il v. 21 s. (da icat a youvauv) fta gli esempi di anasttofe dell'accento nelle preposizioni, e scrive perciò bt1: il parere di Apollooio viene contraddetto da albi grammatici (vd. app.). Per la bnesi ÈKÌ... E&,,ica,vd. il comm. al.fr. 20, 8 cix' i)Épa
u..cucnc.
VT)ÒC
3U.-rov: Cf. fr. 9, 13 s. con il comm. e Cali. Att. fr. 75, 66 Pf. 21 s. lp.oic ÈKÌ aa-rov l9"ic11 I yovve1c1Jv: Per la costruzione della frase, cf. Cali. fr. inc. sed. 471 Pf. Mouca( VlV i:oic È1tÌ tuvvòv É8EV't0I (youvau}. I modelli ÈKÌyouvau &;jicEI, XXI 55 cpW>ILÈ1tìyouvau Otica I. omerici sono Od XIX 401 cpO..olC Bergk ha individuato un'imitazione del passocaUimacheonel proemio della Batracomiomachia pseudo-omerica. che egli ritiene aggiunto al carme in epoca successiva: cio16;jcI ftv vÉov Èv 6il.to1L1v ȵoic È1tÌyouvau 8;jica (v. 2 s.). CC.anche Ov. Fast. I 93 haec ego cwn sumptis agilartm mtnlt tabtllis (per questo passo ovidiaoo, vd il comm. ai vv. 22 dxtv o µ01 A'(nnoc e 23 cio16É). 22-24 ·1t11qU.mv &tK&Y lj fl.O\ Avuoc · I • . . • . • . .1 . . . ào1ai. 'rÒ p.Èv 8voc 6-rn KGXLC'rOY I 8pi.,n. dt]~ M0Gc11v dtya8l l.&s-ralib1v: Pf.' Alttrsgtdicht p. 322=115 ha riconosciuto un'imitazione di questi versi da parte di V erg. Ecl. VI 3-8 Cynlhius aurtm I vtllil et adnwnuil: 'Pastortm Tityrt pinguis I pascere oportet ovis, tkductum dictrt carmen.' I nunc tgo ... I ... I agrtstem ttnui mtdilabor harundint Musam (per questo luogo di Virgilio, vd. il comm. ai vv. 3-5 e 29 tép x186µT))v e Clausen p. 1 s.). Bignone p. 477 ha individuato un riecbcggiamento del passo callimacbeo nella preghiera che Orazio rivolge a Mercurio (Sat. II 6, 14 s.): pingue ptcus domino facias tt ctttra praeter I ingenium. Per l'immagine, cf. anche Cali. fr. inc. sed 494 Pf. èiica1tva yàp aiÈv cxo160(I 8uoJLEV. 22 dKEY o p.01 A'1ic1oc:Cf. Ov. Fast. I 95 ... /anus I, 100 I tdidit hos nobis ... sonos I (per questo passo ovidiaoo, vd. il comm. ai v. 21 s. e 23 cxo16É).
a.
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CAU.IMACO - A/TlA, LIBRI PRIMO E SECONDO
Il pronome penooale 110\(che si riferisce a d1tEv) si interpooe fra l'anicolo e il sostantivo: cl. fr. 29, Att. fr. 64, 8 Pf., lamb. fr. 194, 56 Pf., "E,dJ.'Ape,.fr. 228, 59 Pf., fr. inc. ~d. 554 Pf., Dian. 139, Del. 188, Ep. LV 1 Pf. = HE 1125 (per un'analoga inserzione dell'enclitica .,a.u, cf. Ep. fr. 401, 2 Pf. = HE 1346). C. colloca talvolta il pronome persooale fra la preposiziooe e il sostantivo: cf. Htc. frr. 235, 1 Pf. = 9, 1 H .• 300, 1 Pf. = 51, 1 H., 304, 1 Pf. 46, 1 H., lov. 10, Ap. 74, 75, Epp. LI 1 Pf. HE 1121, LVI 2 Pf. HE 1162, Ep. fr. 400, 2 Pf. = HE 1344 (vd. Lapp p. 37). Per l'inserzione di un aggettivo fra la prq,osiziooe e il soslalltivo, cf.fr. 98, 10. Vd. anche Sdmeider II p. 356 s. Gli esempi citati dimostranoche è supr.rflua la congettura El1tEvq1oi di Wilamowitz (vd. app.). AvltUK: Nella scelta dell'epiteto si può forse ricooosceie un c:,magg;9 di C. alla sua patria Circne: la parola Au1Cloc.,infatti, era da alcuni coonessaa lu1Coc.(lupo), e Savio (in Vcrg. Atn. IV 377) racconta che Apollo si unl a Cirene dopo essersi ttasformato in lupo (transjigurazu.sin lupum cwn Cyrtne concubuil).Ma si può anche pensare che C. impieghi l'epiteto per ribadire la propria superiorità sui Telchini: infatti lo stesso Servio (il quale nel passo citato offre otto diverse spiegazioni di Licio) dice che Apollo in lupi habilll uccise i Tekbìoi (vd Coppola p. 126 n. 2 e Toaaca p. 50; co111ra si era espreuo Rostagnìp. 20 = 277 s.). Gli Scholia Londintnsia 23-27 spiegano l'epiteto Licio in tre modi diversi: 1) Apollo si rallegraMgli çÉvol. Probabilmente quest'esegesi si riferisce al fallo che Apollo mia frequmlare popoli stranieri come i Lici e gli lperl>oreie parteggia per i Troiani cootto i Greci; oonsembra invece cbe si parli qui di Apollo protettore degli ospiti (~Évioc.) o degli esuli (tpuçwc.). 2) lo Licia esisteva un oracolo di Apollo. Si trana dell'oracolo di Palara: cf. Herodol. I 182, HOI'. Cann. m 4, 64. 3) l..alonasi trasformò in lupa (lu1Coc.)al momento della nascita di Apollo: cl. Aristot. Hisl. an. VI 35 p. 580 A 17 e i luoghi citali oell'auootaziooe agli Schol. Lond. 25. 23 •••••• .] • • • ùcn5É: A sostegno della leuura e dell'integrazione •ilhcn · cioi6É (vd. app.), cf. Euph. SH 443. 12 tpiÀ.E... ~qJ.6É I con il comm. Oe letture e i supplementi a)~y e Ufl)lf.J.Ydi Hunt DOll corrispoodoooalle tracce). Per il solo CÌO~É, cf. Ov. Fast. I 101 I duce ... vazts (pez"questo passo ovidiano, vd. il oomm.ai vv. 21 s. e 22 dxEv o
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l'Ol A '!IC\O(.).
d, ,.lv 86oc:Cf. fr. 1• con il comm.Il plurale 8um è già omerico (IL VI 270, IX 499, Od. XV 261) ed esiodeo(Op. 338). Per il singolare, cf. Aesch. Ag. 14()1),Antip. lbess. Alllh.
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Pal. IX 72, 4 GP 612, Leonid. Alex. Anlh. Pal. VI 321, 3 FGE 1866•, Pamprep. fr. 3, 116 Livrea, ma soprattutto la poesia cristiana, dove 8uoc. è l'ostia:Greg. Naz. Alllh. Pal. VIlI 28, 4• al., Carm. I 1, 3, 70 (PG 37 p. 413)• al., [Apolio.J Mtt. Ps. CXL 4• aL Nicandro (Af. 203,452) designacoo 8uoc. l'olio profumalo. Vd. anche il comm.alfr. 7 e Van dee Valt I pp.
460-462. ont xcixiuov: In campo poetico, la 1taxu't'llc. è contrapposta alla ln1:6Tl'lc. (v. 24):
allo stesso modo gli aggettivi 1taxu e 1:op6v sono messi in reciprooo contrasto nel giudizio callimacheo sulla Lùk di APtimaro (Ep.fr. 398 Pf. = HE 1340 I A'001)ICCIÌ.11:cqùTPCXJIJlCI uxì où 1:opov). 24 8piycn): Il supplemento di Pf. si basa su Call. lamb. fr. 222 Pf. 1:pi.,m I 1:11v Mouc.av e sul luogo della sesta ecloga di Virgilio ripOl'talO nel comm. ai vv. 22-24, che oomesi è detto - dipende da questi versi di C.: già RosragniavevainlegralO ~1CE1v, C'CO'dendo perolo spazio disponibile in laama La presenza dei due passi paralleli rende 8.,i.-xl superiore agli altri supplementi proposti dagli studiosi (vd app.). riJJy Moucav 5': Per l'uso di 6É al terzo posto, vd. il comm al v. 12 ii 1,qul..ii 6'. my118i: Hunt scriveva c1• ya8É, ma la crasi (per la quale vd il comm. al v. 32 m.2.F.a., IB.2.F.d. ou~a)xuc.) è più plausibile dell'aferesi (vd. app.). Vd. /111rod. 1E1t-r111niv: Gli aggettivi À.txt6c. e lunalÉoc esprimono l'ideale poetico ellenistico: Reittenstein, Stilthtorit pp. 25-40 segue l'evoluziooe semantica dei temrini CODDCssi a À.atoc. a partire dalle Rane di Aristofane (v. 828 al.; vd. il comm. al v. 17 s.). L'importanza del ailerio stilistico di 1E1t1:01:11c presso ; poeti ellenistici è confermata dalla presenza - nei
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Fenomenidi Aralo (vv. 783-787) - dell'aaoslicoAEOTH, scoperto da J .-M.Jacques. «REA» 62 (1960), pp. 48-61: l'aaoslico è cenamente volontario, come dimostra il fatto che MKffl è anche la prima parola del v. 783. Proprio i Fenomeni sono definiti dallo stesso C. À.e1ti:afI iniuu (Ep. XXVIl 3 s. Pf. = HE 1299 s.; cf. qui il v. 11 s. con il comm. ai vv. 9-12); e À.e1ti:0Myo,viene detto Arato da Tolcmeo re d'Egitto (SH 712, 4 = FGE 314). In àmbito latino, gli aggettivi Àr.1ti:o,e Àr.1ti:aÀfoccorrispondono a tenuis (cf. Hor. Carm. Il 16, 38, Ep. Il 1, 225, Ars 46). L'aggettivo Àr.1ti:aÀÉo, è un hapax nei poemi omerici: Il. XVW 570 s. Mvov 6' i>Kò,ca).òv cir.i6r.I Àe1ti:aM'(l,a,viì,C. lo utiliu.a in Aet. SH 254, 15 e - avverbialmente - in Dian. 242 s. u1tiie1,av 6È À1ye1a1 I Àe1ti:aA.éov (UplTJU, 2S-28
a,
spò, ,1) ,çq l ,61' 6vmyu, 'SG ..... KCl'S,D11'\V 611.11tu,I ,. ,111(l31Jn, b'p•v tzv,u p.fix118' Op.G I l(•pov U,Jfiv 1L11I' ot1LDVùvù I liip(sio]'lt, al xul u11.,o,,p11v iMK1u: Qui s1cliuv, liUcì xd,d,8ou, mnpaiono e si fondono due metafore:quella della sllada poetica e quella del cocdlio poetico. La prima. cosl cooie viene ulilizzarada C., sembra avere un lontano asccodeotenelle Opere di &iodo (vv. 286-292), che in àmbito morale distingue la piana e vicina via della 1Ca1Coffl, dalla faticosa. lunga, scoscesa, aspra e difficile via dell'cipr.ni (vd. Reinscb-Wcmer pp. 334336; per l'inaccessibilità della virtù, cf. anche Sim. PMG 579). Sccoodo Gow e Page (HE p. 1S6, nel comm. a Cali. Ep. II 1 = xxvm 1 Pf.), «forse l'immagine deriva, in definitiva. dal precetto pitagorico (lambl. Protr. 21) i:àc À.eOMpOpouc o6où, ÉaÀfvcov 61à i:éòvCÌ'fpad,v PalhCr.» (per la connessione fra questo precetto e il puso di C., cf. già i luoghi dei commenli di Olimpiodoo>al Ftdont plalooicoe di Eusta1.ioall'lliade omerica riportati DCll'app. delle fonli ai vv. 25 s. e 26; vd. anche Wimmel p. 1()()).Analogamente, La Penna pp. 232-234 propone di vedere, nella metafora della via non battuta o calcata da pochi, un colorito iniziatiro e misterico: cf. Pano. 28 B 1, 26 s. e 6, 3-5 D.-K., [Orpb.]fr. 245, 6 s. e 247, 7 s. Kem d, 6· àt{pa\YE I cì,:paK\"l:OU e lo stesso Cali. Ep. vn Pf. = HE 1301 ss. (v. 1 1Ca8a,,Ìlvo6ov, V. 2 &r.u8o,). Vd. in generale O. Becker, Das Bild des Weges und verwandle Vorstellungenim /rflhgriechischm Denun (Wiesbadeo 1937), B. Snell, R simbolodella via.in La clUluragreca e lt origini del pensiero europeo (tt. iL Torino 1963), pp. 335-347, Wimmd pp. 103-111 e i comm. ai vv. 25 s., 26, 27 1l116'otµov ùvà 1tÀai:uve 27 s. Pec la metafora del cocchio poetico da guidare su cammini1lOll calpestati, C. si rivela seguace di Pindaro: cf. soprattutto Paean VII b 11-14 =fr. 52 b, 11-14 Sn.-M. 'Otnipou [y' oihr. ,:p1]1ti:Òv ,ca,:' ùµaç1,:ov I iovi:u q[u,:' cl,vÙÀ.]~pta1' civ' lKK01', I ... 1t]'favòv Uf)JUII Moua[ - secondo la ricostruzionee.g. di G. B. D'Alessio,Procetdings o/ the XIX lnttmational Congress o/ Papyrology, I (Cairo 1992) pp. 353-373 -, imitato già da Aristoph. Vesp. 1022 OÙ1C ùU.oi:ptO>Vcill' OÌ1CElCl>V Mou,éòv c,:oµa8 · iJvwxiiwc, Ma cf. anche Pind. 01. VI 22-24 cl,~\V"l:1',ciu.à c,u~ov 1161) 1,101 ,8Évoc T)JllOVCOV, I~ ,:czxoc,o.pa Kù.ev8cp ,:' Év 1Ca8~ I Pa.cop.r.voqov e (per la sola immagine della via poetica contrapposta alla sttada battuta dai carri) Pyth. IV 247 s. JU11Cpa µ01 vei8ou: I. In favore del supplemento, si noti inoltre cbe l'aggettivo ci"tpunoc è un hapai nei poemi omerici (Od. XXI 151) e viene impiegato per esprimere la metafora della strada poetica da Antipatto (di Sidone?) in lode di I p.a1E1(Anth. PaL VIl 409, 5 Antiroaco: ai "tàv a'tpunov 1eaì àvÉp.f3a"tovà'tpaxòv ~u: s. = HE 642 s.). Un'espressione simile è usata anche da Dionigi di Alicamasso a proposito di Tucidide: 1Ca\Vf1Y 6É nva 1CaÌà'tpi.ji~ 'tOic aUou: Jiou)..T18Eù: o6ov (Dt Tlwc. 9, I p. 336. 9 Useoer-Radermacber). Cf. infine Pind. Paean fr. 52 b, 11 Sn.-M. ouu 'tp1]11:"tòv1ea"t' cip.a~1"tovI, riportato con il contesto nel comro. ai vv. 25-28. La presenza di questi passi paralleli e il fatto che prima del sigma ci siano ttacce di IDl'astaverticale rendono Ù"tpmo]vc di gran lunga superiore alle altre integrazioni proposte dagli studimi (vd. app.). Per l'immagine della nuova strada poetica, cf. Lucr. I 926 s. = IV 1 s. avia Pitridum peragro loca nulliusante I trita solo, Verg. Gtorg. m 291-293 std mt Parnasidestna per ardua
dlllcis I raptatamor; iuvat irt iugis,qua nullapriorum I Castaliammolli devtrtitur orbila clivo, [Verg.] Attn. 8 ptr insolilum Photbo duct tutius itur I, Prop. m 1 17 s. opus hoc de monlt Sororum I dttulil intacta pagina nostra via, IV 6, 10 pura novum vati laurta mollit ittr, Nemesiao C)'n.8-11 ptr avia, qua sola numquamI trita rotis.iuvat auratoproctdert CUT11l I ... I ... inlactoprtmimus vtstigia musco I (dove compare anche il motivo del carro poetico) e forse fr. tpic. odtsp. GDRK XXXIV 33 vuv 6È vÉ1)vuEi]Icoµ.Ev [tht"] 4'tpaxòv EÙ&x[1cimv (suppi. Wifstraod). Un esempio prosastico è offerto da Plin. Nat. hist. praef. 14 iter tst non trita auctoribru via (passo segnalatomi da A. Hollis). Vd. inoltre il CQlllDl. al v. 26 ixvux JL'I 1ea8· oJLa. Anche la scelta della parola 1etÀau8oc - come nel caso di otp.oc - consente una doppia lettura: si tratta nello stesso tempo delle strade sulle quali deve dirigersi il cocchio di C. e delle strode pottiche che C. deve percorrere. Quest'ultimo significato del vocabolo 1eu.Eu8oc è frequente nell'opera di Pindaro ( 01. VI 23 riportato nel comro. ai vv. 25-28, Pyth. Xl 39, lsthm. II 33, IV 1, VI 22,fr. 191 Sn.-M.), ma si trova anche altrove: d. p.es. Xenopbao.fr. 7 W. = 6, 1 Gent-Pr., Bacch. V 31, XIX 1, Simm. Anth. Pal. XV 22, 7 = CAfr. 25, 7 p. 117, Call. Ep. VIl 2 Pf. = HE 1302 (riportato nel comm. ai vv. 25-28), Ep. XXVllI 1 Pf. = HE 1041.
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CALLIMACO- AITIA, LmRI PRIMOE SECONDO
28 ai 1tcxì. uanotép11v éMicau;: L'espressione cammadlea ba avuto un ampio influsso sui carmi di Gregorio di Nazianzo, dove viene spostata dall'àmbilo poetico e adattala"' contenuti cristiani: cf. Carm. (PG 37) I 2, 2, 64 (p. 583) cuivòv 6È 6ie~ù.cicnc 11:ui..eéòvaI, I 2, 17, 55 (p. 785) ctEl"'I11,Èv11:ui..eéòvoc o6òc 8eioio tÉ'tux:tai, II 1, 1, 461-463 (p. 1004) oc (scil. Xpiuoc) 11,e6ià uuvijc u x:aì. àpyaÀ.Étlc b:ì. À.exniv (d. qui i vv. 11 e 24) I u{v(l)v àtpmntoio 11:uÀ.11v cùv cipafovi 11:011,,tji, I oun Pa-ritv ,i;oU.Otu ... lrr', II 2, 1, 111-114 (p. 1459) C'tE\Y'IVyàp àtap,i;ov I xaupoiuv 1,1.apOfl:(l)V iv8ci6' o&auo11ÈY11V I oi6e (scii. 11,ovaxo{) 6ie~&À.ciouu, x:aì àpyal.iov ,i;uÀ.eiòva, I téòv àya8iòv 11:oUoic cniPot1evov 1eat1citoic, II 2, 5, 129 s. (p. 1531) I cuiV11 ... I èi.11,Paiocou•oU.Oiu (a proposito della via del bene), II 2, 8, 200 (p. 1590) uevit yàp OV't(I)(njc à)..118e{aco6oc. L'aggettivo angustus, cbe è un cquivalcnae latino di cnivoc, viene impiegato in un contesto di preccaistica poetica da Plopcaio (Il 34, 43): incipe iam angusto wrsus includere tomo (vd. il amun. al v. 5 i11:ì.wt8ov).
8) 29-40: L'ideale poetico di Callima.co
C. ba obbedito ad Apollo: dopo avece affcrmaaodi can1ae fra a>larocr amanoU frinire della cicala e non il frastuono degli asini (v. 29 s.), C. lascia ad allri il raglio asinino cd esprime il desiderio di divtntart lui SleSSO una lieve e alata cicala, in modo da potere cantare cibandosi solo di aerea rugiada e saollarsi di dosso la vttd,iaìa cbc pesa su di lui come la Sicilia sul giganae Encelado (vv. 31-36). Ma ancbe cosl C. ronlinucià a esse.repoeta. pert:he roloro cbe sono cari alle Muse fin da bambini noo ne perdono in età avamara la bcncvolema (v. 37 s.). Segue probabilmenae un riferimento al cigno, cbe canta con il massimo vigore quando non può più muovere le ali (v. 39 s.). Le immagini di questi versi trapassano veloccrnenrel'una nell'altra, imprimendoall'insieme un acscendo liriro. Per la giustapposizione della cicala e dell'asino, cf. Aesop. Fab. 195 Hausratb-Hunger (vd Rostagni p. 22=280, Borgogno pp. 129-132 e il comm.ai vv. 33-35). Teocrito, nell'àmbito di IBia rontcsa poetica, conbapponeil roozio della vespa alla melodiositàdella cicala (V 28 s.). 29 •• tip tn86p.11 )v • ivì. toic ycxp cia!loJl&Y oi 1,yvv lsxov I tÉ'tnyoc, a· où,c i•(111ccxv ~vmv: Francis pp. 141-145 ba individuato un 8Jopufiov il baccano riecheggiamento del distico nell'Epistola di Orazio a Floro (Il 2): rappresentando delle sttade di Rooia, cbe distoglie dall'esercizio letterario, il poeta desaive l'impresario che si affretta sollecito con i muli e i faccbioì (v. 12/tstinaJ calidus nwlis gtrulisqut rtdtmptor, cl. qui ov(l)v) e chiede ironicamenae a Floro: tu me inttr strtpitus nocturnos atqut diurnos I vis CIIMrt? (v. 79 s.; cf. qui ivi toic ycxpcmlioJlEv ... 8)6pupov ). Il richiamo di Orazio al prologo degli Aitia nell'Epistolaa Floro era swo già riconosciuto da E. Fraentel (vd il oomm.ai vv. 25-28). 29 ti 1n8611,11Jv:Dopo il discorso di Apollo, è probabile cbe C. inttoducesse una fOIDlula di transizione per ricominciare a esprimersi in prima persona. Ciò rende poco plausibile il supplemento un{ym)v di Hunt, cbe non interpunge prima di iv{. L'interpunzione si deve a Wilamowitz e Maas, cbe inaegrano l'uno -tép ,n8op.11)v e l'altro 11y1xcci1,1.11 )v (vd. app.). In favore di tép K\801,1.11)v, cf. [Apolin.) Mtt. Ps. protMor. 44 I ivvexu, aùiàp ÈyÒ>,n8ot111v (dopo l'esortazione di Marciano) e - sul piano formale - QuinL Smym. ill 473 tép ,i;i8op.11v•, ma ancbe Hom. Il. IX 453 I tj\ 11:18ot111v x:aì ipa;a. Per il senso, cf. inoltre [Opp.J Cyn. I 421 e1eÀ.uov,àeWO> (dopo l'escxtazione di Artemide; per qllCltO passo, vd. il comm.ai vv. 3-5 e 26), Verg. Ecl. VI 6-8 I mmc tgo ... I ... I ... meditabor (dopo l'esortazione di Apollo; per questo luogo di Virgilio, vd ;1mmm ai vv. 3-5 e 22-24). C. impiega in vari paui il pluralis tnodtstiM a proposito di se scesso: vd ci.tlop.av: Lapp p. 134. 1.,.,vv lixov: La parola ltxoc indica propriamenle il frinire che la cicala - come spiega Aristoaele (Hist. an. IV 9 p. 535 B 7) - produce attraverso una mmbrana (up.i)v) posi& sull'addome, al di sotto delle ali (cl. Hes. Op. 582-584, doveal v. 583 rompmc anche il nesso
COMMENTO: AEf. I FR. 1
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À.lT'JP'IV... cxol&i)vI, e Sappb . .fr. 101 A Voigt, nel cui v. 2 si legge À.lyupav cxoi6av I). Di qui l'epiteto iixha/cixé'ta che si accompagna a tÉ'tn~: cf. Hes. Op. 582, [Hes.J Scut. 393, Pampbil. Anth. PaL VII 201, 3 = HE 2841, Arcbias Anth. Pal. VII 213, 3 = GP 3718. Con il vocabolo ìJXÉ'tTJc./àxÉtactout court viene designato il rnaschio della cicala: cf. p.es. Amn . .fr. 5, 6 W., Aristoph. Pax 1159, Av. 1095. Cf. inoltre Mcl. Anlh. PaL VII 196, I = HE 4066. Vd il comm. di Gow a 'Ibeoa. I 148 e XVI 96. Sul piano formale, cf. Hedyl. HE 1845 À.lyùv laxov• e Mosch. II 98 yÀ.uicùv laxov. Per l'uso callirnacheo del vocabolo ~xoc., vd. il comm.al.fr. 25, 2 cil.òc.laxov àicouEl e d. Del. 14&' con il comm.di Gigante I .anzara. 30 -ié-rnyoc): L'integrazione di Lobel è un miglioramento del nttiya>v] già proposto da Wilamowitt e Maas, che risultava ttoppo lungo per lo spazio disponibile in lacuna. Hunt che aveva supplito tntiya>v] all'inizio del verso precedente (vd. il cornm. al v. 29 tcp in86J.L11]v)- proponeva qui l'integrazione J,Laiovun] (ricercano), basandosi sulla glossa 8u.ouuy[, che si legge nel margine destro del papiro, all'alte:aa di questo verso(Pf. osserva che potrebbe trattarsi di 8U.ouuy [cìicouuv). Ma - come nota Vogliano - è molto pià plausibile che la glossa in questione si riferisca a ~iÀ.11c.av.Vd. app. i•U.11,11•:L'uso dell'aoristo al posto del presente è molto comuneper i verba adfectuum (d. i passi raccolti da Gow nel cornm.a lbeoa. vn 60 i•0.118Ev). Si vedanoancheCall..fr. SO,53 •O.ato, Hec. SH 287, 14 = fr. 49, 4 H. ]J.LacE•lÀ.11c.[ con il comm.di LJ.-P. 31 8,ip\ ILÈv OJ\lC1t61vn s11vsb:d.ov òyrqccnto: C. paragona la voce di un uomo al raglio asinino anche nel secondo giambo (Jr. 192, 11 Pf.). Sul piano espressivo, d. Cali. fr. inc. sed. 725 Pf. = (Hec.) fr. inc. sed. 178 H. icaì. À.uicoc.mpuol!L11vI. L'uplicit dell'esametro callimac-.beo può avere influito su [Opp.J Cyn. Ili 271 aavEiicrl.ov m,nica\o• (passo indicatomi da A Hollis). 8',pl 11-lvOJ1lll..1ouc:) pa merito della celebrità letteraria del figlio (p. 293 s. = 111) ... Appare del tutto naturale che in quella sorta di testamento poetico-morale c:be è il primo prologo degli 'Aitia' Callimaco, divenuto a sua volta vecchio, avvertisse l'impulso di riprendere i versi dell'epitafio saitto tempoaddietro in onoredel padre• (p. 296 = 115 s.). 2) All'inizio del v. 37 si può integrare il nesso où vɵu1c: (non t riprovtvolt), che è tramandato nel v. 5 dell'epigramma? Il supplemento è sconsigliato sia dal calcolo dello spazio nella lacuna sia soprattutto dal senso (contra dubbiosamente Giangrande, Dichltn pp. 721-723 = 335-337 = 251-253 e n:cisamente Faraone p. 54, nonché Livrea, Epilajio p. 296 = 115 s.). Sllbito dopo avere constatato che la vecchiaia lo opprime (v. 35 s.), è probabile che C. esprimesse cn - con una formula sintetica - la sua noocurama di fronte a questo fatto, motivala dall'ininterrotto amore delle Muse nei suoi confronti (v. 37 s.). Come osserva Pf., il contesto richiede forse una frase con il senso di non dtbbo lamtntarmi. Ma è plausibile anche l'integrazione di Colonna oùx: ai6co·J (non t vtrgognoso). Vd. app. 3) All'inizio del v. 38 bisogna acooglierc il µ~ >..oçcptràdito dallo scolio a Esiodo, laddove nel distico finale dell'epigramma XXI Pf. - l'Antologia Palatina (VD 525, 6) e la Planudea ttamandano axp1 p{ou? Nel nostro passo bisogna senzadubbio accettarela lezione dello scolio, ma anche nel testo dell'epigramma il nesso cixp1 Pfou è difficilmente comprensibile, tanto c:be Pf. lo considera una corruttelae albi - come KObnkeop. 437 n. 44 e Livrea Epitajio p. 296 s. = 116 - correggono cixp1 Pfou in µ~ >..oçq,.Giangrande, invece, ritiene sananell'epigramma la leziooe cixp1 Pfou, che significherebbe sillo alla fint della vita, ma ammettela possibilità di leggere µ~ >..oçéj,negli Aitia (Notts p. 189=76, Dichltn p. 711 s. -=321-323 = 237-239,
Callimaqut p. 315 n. 8 = p. 49 n. 8).
raov
lS8µqt "H ... !Lit >..o~ip:L'affetto ininterrotto delle Muse per C. si oppone alla loro perpetua malevolenza nei confronti dei suoi avversari (cf. v. 2 con il comm.), e nello stesso tempo l'occhio non torvo delle dee è antitetico all'invidia e alla Pac:x:av{11dei Telcbini (d. vv. 8 e 17 e vd. Karnbylis p. 91=83). Molto simile (ma ribaltata) è l'espressione di Orazio qutm tu, Mtlpoment, stmel I nasctnttm placido lumint vidtris (Carm. IV 3, 1 s.). Per l'immagin,:, si veda anche[Tbeocr.] IX 35 s. 'tOC:C:OV Èp.Ì.v Moic:at 1p{>..a1.ouc: yàp Op2UY'tl I ya82uc:a1 'tÒ>C:6. OU'tl 1tO'tcp 6a>..iic:aio K{px:a(vd. Meillier p. 142).Il giro della frase somiglia a un altro passo degli Aitia (Jr. 85, 14 s. Pf.), dove leggiamo a proposito del dio Epopsio (probabilmente Zeus): 'EKO'l'[lOY), LOC'tl(CÌJÀl'tpouc:I aÙJya~elY ì8i.apaic où 6vva'ta\ )..oyauv. Gow e Page - nel comm. a HE 1183 s. = Ep. XXI 5 s. Pf. - citano GVI 1168, 1 s. I ol,p)l()(, ov Moipa1 ... I ... ci8P11c:c1>u ya>..11va{nu[v Ò1t11>1taic (suppi. Rohel). Per il nesso i6ov o8µan ... >..oçépe simili, d. Ap. Rh. IV 475 s. >..oçéj,i6ev ... I of.LJl.an, Nic. Al. 222, Antip. Thess. Anth. Pal. VD 531, 6 = GP 206, [Opp.] Cyn. ID 416, Nono. Dion. V 308 s., XV 238 s., XIX 222, xxv 278 s., XXIX 151 s., XLV 64, Mtt. xvm 78 s. Per l'espressione op.µa >..oçév e simili, cf. Ap. Rh. ID 444 s., Damaget App. Pian. 95, 3 s. = HE 1433 s., tp. adesp. Anth. Pal. VIl 546, 4 -=FGE 1255, Opp. Hai. ID 612, Nono. Dion. XXX 39. Per l'uso di >..oçéve >..o;a avveibiali in unione a wrba videndi, d. Cali. Htc. fr. 374
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Pf. = 72 H. con i luoghi citali nei comm., ai quali si possono aaiungerc Opp. HaL m 501, Greg. Naz. Cann. II 1, 11, 1806 (PG 37 p. 1156), Nonn. Dion. X 252, 414, XLVIII 341, Musae. 101. Gli equivalenti latini di À.çoc sono obliquuse torvus. Particolarmente vicini al passo di C. - per l'uso della litote - sono Hor. Ep. I 14, 37 s. non iSlic obliqMOoculo mea commoda quisquam I limat e Stat. Silv. V 2, 124 spectabant Tyriae non torvo lumine matres (vd. Bommann, Note p. 440). Notevole è anche Ov. Met. Il 787 obliquo ... lumine cernens I, percbè la frase si riferisce alla dea Invidia (per queslO luogo ovidiano, vd. il comm. al v. 8 1111e[Elv]~11:ap i1e1c-rciµttvov).Cf. inoltre Stat. 1Mb. m 377 respectentvetruces obliquo lumine marres,Silv. Il 6, 102 obliquoq,u nouu Proserpinavullu I (dove peronon si parla di 1mosguardo malevolo). 37 '5811,qL'rJ\:La forma eolica o8Jla (d. Hesycb. s.v. o8µata· OllJl.ata. Aìouic) era forse l'unica adottata da C.: essa oompare cinquevolte nei papiri(qui e oeifrr.97, 29; 99, 10; 63, 9 Pf., 67, 21 Pf., bJUi degli Aitia) e una volta nei codici (Jr. inc. sed. 614 Pf.). Cf. anche Nic. Ther. 178, 443, Al. 33, 243, fr. eleg. adesp. SH 961, 16, Hymn. in Isin Andr. 151 (o8Jlau: IG XII 5, 739; vd. W. Peck, Dtr lsishymnusvon Andros lllld_ verwandteTexte, Berlin 1930, pp. 82 e 112). 39 s. • • . • . • . . • • •• J v itri,isv): La spiegazione offerta dal Commentarius O:u,niensisfr. 1, 19-23 dimostra che $[ è l'inizio della parola 8uiuk. Mentre la lezione a testo ci è ignoca, apprendiamo dal Commentarius che esisteva la varia lectio 8uf,LÒvitriiiev (si avvicinava all'animo): per l'espressione, cf. Hom. Il. II 171 al. 8uJlÒV'i1CavevI, XI 88 ii6oc 'tÉ µw 'i1Cn0 8utLov I, XVIII 178, [Horn.) Hymn. Il 90. Per il testo callimacheo, Livrea propone la basandO!li sul fatto che nella plausibile integrazione ~[uJlÒvuinliev (si insinuavanell'animo)> spiegazione offerta dal CommenlariusOxoniensis(Jr. 1. 21) il copista - riponaodo la varia lectio iniiiev - in un primo momento saissc per errore u11:iiiev:come osserva Livrea, è probabile che egli ripetesse pcr more la lezione a testo appenatrasaitta (rigo 19). Vd. app. Pf. ritiene che ci sia un riferimento al 8ulloc di C. che sogna,come nelfr. 35: in questo caso,C. anticiperebbe il terna del suo dialogo con le Muse (vd. il alllllll. al lernrna S). Ma è anche possibile che qui 8uJloc designi l'animo in senso pi1l ampio, come nel jr. 89, 21 e nei passi raccolti da Bing, Note p. 273 o. 3. Harder, Betweenp. 12 s. si richiama all'esordio della Batracomiomachia (xopòv i~ 'EÀ.11Céì>voc I il.8eiv eic ÈllÒv?i'top i11:eux0JlC.
Frammento 3 (1, 41-45 Pf. + 2a Pf.: lemmi + 696 Pf.) 1 • • . • • 51c]ai,: C. definiva le Muse un gruppo di dieci. Gli Scholia Londinensia 46 s. e il CommentariusOxoniensisfr. 2. 10-15 tentano di spiegare la a,sa, oongetturando che alla schiera delle nove dee venisse aggiunta la regina Arsiooe, moglie di Tolemeo Il: come osservano Pf. (comm. ad loc. e II pp. XL e 116) e Wcbei' p. 262, il fatto stesso che la parola
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CALLIMACO- MI1A, LIBRI PRIMOE SECONDO
6Eicckrichiedesse una spiegazione del geoae significa che Aninoe non eramenzionalanel testo camrnacheo (contraTonaca p. 84 s., Lebous, Callimacop. 82, Livrea, Franunenzo114 p. 56). Stando al Commen.tarius Oxon.iensis,l'inserimento di Arsinoe fra le Muse poteva essere giustificato dal fatto che la regina veniva onorata oon le Muse e aveva una statua nel Museo: a sosregno di questa spiegazione, si noti che lo stesso C. (Ep. LI Pf. = HE 1121 ss.) chiama la regina Berenice quarta Caritc, appunto per la prc"'$CD'13di una sua statua acornto a quelle delle tre dee. L'aggiunta di un personaggio fcmminil~ al gruppo delle Muse è del resto topica nella poesia epigrammatica: si tratta in genere di Saffo (cf. Antip. Skl. Anth. Pal. vn 14, 1 s. e IX 66 = HE 236 s. e 244 s., Dioscorid. Anth. Pal. VD 407, 1-4 = HE 1565-1568, [Plat] An.th.Pal. IX 506 = FGE 624 s., tp. adesp. An.th.Pal. IX 571, 7 s. • FGE 1210 s.), ma talvolta di altre (cf. GVJ 675, 5; 1989, 16, Agalh. An.th.Pal. VD 612, 1 • 24, 1 Viansino, Lcoot. App. Pian. 283, 1, ep. adesp.An.th.Pal. V 95). Il CommentariusOxon.itn.sisfornisce altre due possibili spicgazioai di &n:cic.. Il cooamuto della prima è incerto (fr. 2, 5-7, vd. app.). Secondo l'altra eaegesi, C. concavanel gruppo delle Muse ancbc Apollo MouC1JyÉff1c (Jr. 2, 7-10). La figma di Febo CXlllle guida delle Muse appare di frequeore in poesia: cf. p.es. Sappb.fr. 208 Voigt, Pind. Non.. V 22-25, Paeanfr. 52 e Sn.M., Parthen..fr. 94 e Sn.-M., Collutb. 24. I righi 42-46 degli Scholia Londinmsia (che pmc si riferiscono al lemma 6Eicrk) sono difficili da leggae: una possibilità noo particolarmcntc raccomandala dalle tracce (vd. app. alla l 45) è che si parlasse qui della dico:ndema di Arsinoe da Dioniso (vd. il comm. ai frr. 5-9 18); ma una notizia del generenon sembra peltiDeotc all'esegesi di 6ark. In aggiunta alle spiegazioni suddette, si può pensarecbe C. dcuc alla parola 6E1eac il significato generico di gruppo (et. Eur. Suppi. 219). Pii) tradizjonaJmmte, BcsantiDo(Anth. Pal. XV 25, 15) definisce Eiva.cla schiera delle Muse. 2 >..(ya,a: A quanto risulta dagli Scholia Londin.en.sia48-52, l'aggettivo si riferiva al nome Mouca: per il nesso, cf. Hom. Od. XXIV 62 (citato negli Scholia), [Hom.) Hymn. XIV 2, XVD 1, XX 1, Alcm. PMGF 14(a), 1 (citato negli Scholia), 30, Stcsich. PMGF 240, [Stcsich.J PMGF 278, 1, Pind. Paean.fr.52 o, 32 Sn.-M.,.fr. adesp.PMG 1045, Theocr. XXD 221. 3 'Apcal( ) ••IL•( ): Come propone Livrea, le abbreviazioni si potrebbero sciogliere in 'Apica!{'lc 11:É1111:ouuv oppure11:Éf111:ovuc (vd app.). Gli Scholia Londinen.sia5358 spiegano che C. parlava degli asini arcadici: i Pelopoonesi tentavano di allevarli presso di sé, ma essi tornarono in Arcadia. Forse C. accennavaa quei cocciuti animali per esemplificare la sua ferma intenzione di restare fedele alle proprie scelte poeliche (vd Poblcoz p. 322 s. = 53 s.). Meno attraente è l'ipotesi che C. - impiegando la medesima metaforadel fr. 1, 30-32 paragonassel'ostinatem degli asini alhatenacia dei poeti di stampo tradizionale (vd. Ambabl p. 212). Gli asini arcadici erano particolannente rinomati: cf. Plaut. Asin..333, Vano R. r. Il 6, 2 Pelopon.n.tsicum potissimum eos (scii. asin.os)a Arcadia tmant, Pers.m 9, Iuv. VD 160. Per un'altta varietà di asini, cf. Call. fr. inc. sed. 650 Pf. 4 mctvì. Mi •CJ'fPW(\C): La spiegazione offerta dagli Scholia Londinen.sia58-61 (non certo come in.democrazia:c'l in.fallilicenza di [compiere)molte cose) fa intravedere qui un esempio dell'atteggiamento aristocratico di C. Eccezionalmr,n(e l'alpha non si allunga davanti al gruppodi muta con liquida all'interno della medesimaparola: vd. Introd. DI.2.B.b. 5 ci~>i,o1ea>..6(v): Gli Scholia Londin.en.sia61 s. spiegano che il nesso significa diverso bello o diversa belkzza. Pohlcoz p. 322=53 ritiene che qui C. esprimesse la volontà di essere originale, rifiutandodi adornare la sua poesia con motivi presi in prestito da altri (cf. l' à.U.o'tplov icciU.ocesecrato da Platone nel Gorgia,465 B). Per l'uso di cilloc come sinoaimo di cilloioc, cf. p.es. Hom. IL XIlI 64 (citato negli Scholia),XXI 22, Plat. Phaedr. 241 A. 6 'Ayav(s1n1J:L'integrazione è resa certa dal Commen.tariusOxonien.si.s fr. 2, 23 s. (i, 11:polElpTJ]llÉVTI 'Ayav11J1JT1). Benché nel Commentarius si dica forse che l'Aganippe e l'Ippoaene sono la stessa fonte (Jr. 2, 16-19, vd. app.), ~ impossibile attribuire
COMMENTO: AET. I FR. 3
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quest'identificazione a C.: a quanto pare, negli Aitia 11ppocrene - presso la quale le Muse vennero incontro a Esiodo (fr. 4, 1 s. di quest'edizione efr. 112, 5 s. Pf.) - si trova sotto la cima dell'Elicona (cf. Hes. Theog.23 'E).ucéòvoc uitò ça8ioio I), mentre l'Aganippe,figlia del fiume Permesso, scorre più in basso, nella valle delle Muse (vd. il comm.al lemma 8 e cf. i luoghi di Pausania ivi riportati). La fonte Aganippe è menzionata per la prima volta da C. e poi spesso dai poeti Ialini: oltre ai luoghi di Catullo e Virgilio riportati nel comm.al lemma 9 e a quello di Claudiano riportalo nel oomm. al lemma~. cf. p.es. Ov. Met. V 312/onte Medusaeo(scii. Hippocrene)et Hyantea Aganippe, Fast. V 7 fontes Aganippidos HippocrenesI (dove 11ppocrene e l'Aganippe sono confuse, vd. il comm.alfr. 4, 1 nap· ixviov òçio, innou), Iuv. VII 6 s. tksertis Aganippes I vallibus. Di particolare rilievo - per il suo riferimento all'arte poetica - è Prop. Il 3, 20 Aganippaeae... lyrae I. Vd. R. Mayer, «G&R» S. Il 33 (1986), p. 48 e il oomm.ai tre lemmi seguenti. 7 IlEPll'l"o]i}: Il supplemento si ricava con certezza dal CommentariusOxoniensisfr. 2, 20-24, dove si legge cbe il Pennesso è un fiume beotico, dal quale sgorga la fonte Aganippe.Il Permesso compare già nel proemio della Teogoniadi Esiodo; nelle sue acquesi bagnano le Muse eliconie: ).ouu1µEYa\ 'tÉpEva xpoa llEPl'Tl"O'io I ii '11t1tO\J X:P1JYT)( ii 'O).µElou (v. 5 s.); ZenodOIO dava qui la lezione TEPJlTl"o'io, per la quale vd. F. Jacoby, Hesiodi carmina L Theogonia(Berolini 1930) p. 74 s. Da Esiodo dipende Nic. Ther. 11-13 Ei iuov 1tEp I ... I 'Hd.060, x:a'tÉ).EçE 1tap · u6au llEpl'TJ"o'io. Lo scolio al luogo citato della Teogoniae Strabone (IX 407) informano che il Permesso nasce dall'Elicona e sfocia nel lago xcoP«ilx:aì. èL1t' Copaide, nella Beozia occidentale: 'tèu 6È fl:TITèuEXEl iv tji 8u1tiatji aù-rij, pEi Ek 'ttlY Kco1tctl6a ).(µv11v (x:aì-).(µYT)v secl. Flach) e x:aì. llEPJlTJ«OC icaì 'O~Elo,, iic 'tou 'E).lx:éòvoc ,vµpii).).ov'tu èLUii).oit, tic. 'ttlY aÙ'ttlY ȵ1tui:'tovu ).(µYT)v ff!Y Km,utl6a 'tou 'A).uxp'tov ,i;).11dov (forse da Apollodoro, cf. IX 411). Cf. soprattutto Prop. Il 10, 25 s. nondumetiam Ascraeos nonmt mea carminafontis, I sed modo Permessiflumine lavit Amor (riportato anche nel comm. ai frr. 34), Man. VIII 70, 3 sacram ... Permessidae StaL Theb. VII 283 tuque, o Permesse.canoris I et felb: O/mie vadis. Vd. Wimmel p. 227, Crowther p. 1 n. 4 e il comm. ai lemmi 6, 8 e 9. 8 sap8avo]ç: L'integrazione è resa certa dal Commentarius Oxoniensis fr. 2, 25-29. Come si ricava dal Commentarius stesso, C. impiegava la parola nel senso di figlia. Combinando questo lemma con i lemmi 6 e 7 (e le relative spiegazioni), si può ricostruire il concetto espresso da C.: la fonte Aganippe èfiglia del fiume Permesso. Se poi si prende in considerazione anche ;I lemma Q 'Aoviou (plausibile supplemento di Lobel) e si congettura che quest'aggettivo fosse accordato a llEPl&TJ«o]v (lemma 7), è possibile ipotizzare- come fa Pf. che C. saiv~se: 'Ayavfn1t11 I _,_, lltpµ11«ou 1tap8Évoc 'Aoviov (vd. app. ai lemmi 6-9). Che l'Aganippe sia figlia del Permesso viene detto anche da Pausania (IX 29, 5): iv 'E).ucci>vl 6È Kpò, 'tÒ cU.co, Ì0Y'tl 'tmv Mov,éòv Èv cìpiuEp~ JlÈV ii 'Ayavf1t1tT) 1tTJTTI, 8vya'tÉpa 6È Etvai 't~v 'Ayav(fl:1tTJY'tO\I TEPl&TJ«ou (sic) ).éyovuv · pE'i 6È x:aì of>'to, o TEpJlTJ"OCntpì 'tÒv 'E).ix:iòva. Lo stesso Pausania (IX 31, 3) infonna che l'Ippocrene si trova più in alto dell'Aganippe: ÈKavap&vn 6È na6la cìnò 'tO\I cU.cou, 'tOÙ'to\J (cioè delle Muse a Tespie, città posta ai piedi dell'Elicona) ri>,dicoc\v unv ii 'tou '11t1tov x:aÀovJlÉYTJKP1JYTJ• Una fonte che scalUriscedal fiume Permesso sembraesserestata nota a W. M. Leake, Travels in Northern Greece II (London 1835) p. 492 s. Ma molti preferirono riconoscere l'Aganippe non in questa fonte, bensl in un'altta situata più in alto, dalla quale nasce il Permesso: ciò dipendeva da IDl'mata interpretaziooe dell'ambiguopasso di Servio ripcRlto nell'app. delle footi alfr. 3, 6-9, in base alla quale si aedeva cbe l'Aganippe fosse la sorgentedel Permesso (vd. il rornm a Paus. IX 29, 5 di Frazer V p. 152 s. e di Hitzig-BlilmDer m 1 p. 480). La stretta c:oonessione fra il Permesso e l'Aganippe è anche asserita da Claudian. Laus Serenae (Carm. min. XXX) 5-8floribus illis I quos ... I.;. 1/onsAganippeaPermessiuseducat unda.
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CALLIMACO• AmA, LIBRI PRIMO E SECONDO
Per l'uso di 11:ap8Évoc come sinonimo
di 8uycxi11p, cf. Baccb. I 2 (citato nel
Commentarius), Soph. Otd. Tyr. 1462 I iaiv ... ttap8Évow ip.aiv I (parole di Edipo)., Eur. Htrc. 834 I Nunòc ... 11:ap8ÉvEI (con i comm. di Wilamowitz e Bond), Photn. 159 s. Étt'tà 11:ap8Évcov... I N16~c,.fr. 515, 4 s. N2.'A).8a{av ... I ... 0uifou ... 11:ap8ÉvovI, TrGF atksp. 454, 1 (probabilmente Euripide) Aavaou 11:ap8~vcov,Aristoph. Ran. 875 A1òc ... 1tap8Évo1, Hippocr. Epid. V SO, V p. 236. 11 Littré (cf. Erotian. Voc. Hippocr. p. 70. 6 Nacbmanson 11:ap8Évov vuv iìtv 8uyatÉpa A.Éyt:1),Ap. Rh. III 86 I 11:ap8Évov Ahiuco (dove lo scolio spiega àviì. iou 8uyatÉpa), 142, Damag. Anlh. Pal. VI 277, 3 s. = HE 1311 s., Moasalc. Anzh. Pal. IX 70, 1 = HE 2655, fr. adup. SH 99111. Anche 11:ap8EVuc,;può significare 8uycxi11p: cf. p.es. [Hom.J Hymn. XXX 14, Call. IAv. 34 (?), Ap. Rh. IV 1743. Vd. il oomm.ai lemmi 6, 7 e 9. 9 'Aovfou]: Il supplemento è mollO plausibile, ~ il Commenzarius Oxonitnsis fr. 2, 30 dà a questo lemma la breve spiegazione B Jqunifou. L'etnico 'A6v1oc significa, appunto, beotico: gli "Aovu. secondo Pausania (IX S, 1), erano antichi abitanti della Beozia, debellati da Cadmo; si conosce anche l'eroe eponimo Aone (Schol. Stal 7Mb. I 33). A sostegno dell'integrazione, si osservi che: 1) L'aggettivo 'Aovwc noo è atteslato prima di C. e sembra una sua creazione: d. fr. inc. std. 572 Pf. con il comm. (al quale si rimanda per l'uso della parola): la prima imitazione si riscontra presso Euforiooe (SH 442, 1 'Aovi.o[1]0). 2) Il corrispondente Ialino Aonius è connesso alla fonte Aganippe (d. il lemma 6) da Cat LXI 28-30 Aonios specus I nympha quos super inrigat lfrigtrans Aganippt (per il canne LXI di Catullo, vd. il comm. fra i lemmi 9 e 10) e da Verg. EcL X 12 Aonie Aganippe I. 3) L'etnico 'A6v1oc e soprattutto il corrispondente latino Aonius si ritrovano spesso in cootesti proemiali o programmatici, con riferimenlO allo scenario eliconio: cf. da un lato [Opp.J Cyn. I 25, dall'altro Elegia adtsp. in Matctnalem I 37, Ov. Am. I 1, 12 al., Sii. VIII 594 aL, Laus atksp. Pisonis 165, Mart VII 63, 4, Stat Silv. I 4, 20 al., Nemesiao. Cyn.. 3, Claudiao. Pantgyr. Mani. Thtod. cons. 271. 4) Le Muse vengono spesso àiiamate Aonides: cf. Ov. Mtt. V 333 al., Sii. Xl 463 al., Mart VII 22, 2, Stat Thtb. IV 183 al., Iuv. VII 59, Auson. Mos. 441. Per gli equivalenti latini di 'A6v1oc, vd. R. Mayer citato nel comm. al lemma 6. Vd. il comm. ai tre lemmi p,ecedenti. Come si è detto, la spiegazione del lemma 9 occupava solo la linea 30 del Commenzarius Oioniensisfr. 2: infatti, dopo la parafrasi B]cq1oii.ou, nel papiro c'è uno spazio vuoto. Perciò ID1 nuovo
lemma doveva comparire nella linea 31. Il frammento 2 (b) del POry. 2262 (= Comm. Oxon. fr. 2, 32-40) è un frustulo che contiene la parte inferiore di una colonna. Come ha stabilito Lobel, abbiamo qui certamente la fine della prima colonna del.fr. 2 (a) ed è probabile che tra i due frammenti non manchi alcuna linea (vd. l'inizio dell'app. al Comm. Oxon. fr. 2). Non sappiamo se le linee 32-34 contenessero ancora la spiegazione del lemma santo nella linea 31 o se in esse comparissero uno o più nuovi lemmi. Un nuovo lemma figurava catamente nella linea 35, come si deduce dallo spazio vuoto che precede le lettere ca[ . J .~)i.I. Pf. congettura che qui venissero menzionate le stelle Pleiadi, Q),[a,ci&ac (linea 35) o Ild,[Hlilac (linea 37), il che si annonizzerebbe con le tracce ]~a~~v[ (?) nella linea 38 e con l'avverbio çull11~[i]pc~ nella linea 39 (vd. app. alle ll. 3537; ma non è detto che le li. 36-39 spettassero ancora al lemma della I. 35, e del resto J~apQ~y( e çull11~[ihicéòc potrebbero anche riferirsi alle Muse: vd. app. alla I. 39 e cf. Où[pav(ac nella I. 42). Forse C. stesso nominava le P(e)leiadi. Richiamo l'attenzione sul fatto che • come attesta il .fr. inc. sed. 693 Pf. • C. effettivamente menzionò le P(e)leiadi in una è costituito dalla testimoniani.a di uno scolio a qualche sua opera. Il frammanoin questione TeocrilO, nel quale si legge che C. considerava le P(e)leiadi figlie della regina delle Amau.ooi.
COMMENTO:A.ET.I FR. 3
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Lo scolio fornisce poi altre notizie, ma non è chiaro se esse dipendano ancora da C.: le P(e)leiadi per prime istituirono la danza e la veglia verginali (cf. qui Comm. O:xon.fr. 2, 38 ]~apQ,'![7); seguono i loro sette nomi. Pu0 darsi che il fr. 693 Pf. spetti al nosbO passo proemiale,se qui si ttattava davvero delle P(e)leiadi(vd. nel testo l'annotazionedopo il/r. 4). Le linee 41-71 del CommenzariusO:xonitnsisfr. 2 sono tramandate nella seconda colonna del POxy. 2262, fr. 2 (a). Non sappiamo se nelle linee 36-41 comparissero nuovi lemmi. Di certo, le linee 42 e 43 contengonola fine di una spiegazione,nella quale - come ha visto Pf. viene probabilmentemenziooatoil dio delle nou.e Imeneo e si dice forse che egli è figlio della Musa Urania (Où[paviac. o I 'XJLivq[1o]c). Pu0 darsi che Imeneo e sua madre Urania comparissero nel testo calliroacheo.Cf. in proposito Cat. LXI 1-4 colliso Htliconii I cullor, Uraniat gtmu I ... I ... o Hyme111Ut (per questo carme di Catullo, vd. il comm. al lemma 9), Nono. Dion. XXIV 88 s. I Oùpavh1 6' 'YJLÉvaiov ... I Kai6òc i:où yovoEv'toc b:mvuJLov, XXXIII 67 s. 'YJLÉvaioc... uic:ouC1JcI Oùpav111c.Forse sia Catullo sia Nonoo dipendono da C.: a una ooroune fonte alessandrina aveva pensato Wilamowitt, HtlL Dichl. II p. 283. Cbe Imeneo fosse figlio di una Musa, è già detto da Pindaro (Thren.fr.128 c, 7 Sn.-M.); secondo altre fonti, la madre era Calliope (e il padre Apollo o Magnett:) o Clio (e il padre Piero) o Tersicore: vcl.RML I (1884-1890)p. 2800. 101icX11ç: Il Commentarius O:xonitnSisfr. 2, 44-46 spiega che C. impiegava la parola nel sensodi convtrsazione.Il vocabolopob'ebbc riferirsi al dialogo fra il «perSOD8UioC.» e le Muse. mcttc:ndooein evidenza il tono coofidenzialc: il «personaggioC.» si sente pari alle sue doUe interlocutrici e in vari casi dispiega davanti a loro la sua ricca erudizione (vd. Introd. 1.4.A.e Hutcbinson p. 44 s.). La parola l.ÉcXTfsi ttova una volta sola nei poemi omerici (Od. XVIII 329 UcXTtv), dove perosignifica sala pubblica, luogo di riunione. Per l'uso di l.É I); nell'Iliade si ttova anche l'epiteto KTfYEd1,1,al.l.oc, in riferimento a un ariete (IIl 197). Nell'uso omerico, 1t1116c significa solido, compazto(cf. anche Alcm. PMGF 1, 48); ma gli antichi interpreti credevano che la parola volesse dire bianco o Mro e discutevano vivacementein proposito: vcl.Rengakosp. 24 s. Il Commen.tariusO:xon~nsisfr. 2, 52 s., a quanto pare, spiega (Èic:6oxit)che il vocabolo aveva qui il senso di nero (JL[Él.avoppme JL[Él.ava). C. impiegal'aggettivo anchenel v. 90 dell'inno ad Artemide, dove defmisce iiJLicu11:TfTDUC I i cani donati da Pan alla dea: gli scoli danno alla parola il significalodi bianchi (Pf. II pp. 55 e 61). Benché in entrambi i casi non si
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CALLIMACO- Al11A, LIBRI PRIMOE SECONDO
interpretinocorrettamente l'WII'callirnedw>dell'aggettivo, è possa deciderese i CCJIDDleolatori chiaro cbe C. - nell'impiegarlo - partecipaalla disputa degli esegeti omerici. Anche albi poeCi usano la parola, ma soltanto in alami casi si può stabilire quale significaJO venisse prescelto: Antirnaco interpreta il lt1JTOC omerico nel senso di nero (Jr. 145 Wyss); Licofrooe è a favore di bianco, perché nel v. 336 dell'Alessandra scrive KTITIP••. 11:À.ox:rp I per definire la chioma del vecchio Priamo; il commediografo Stratooe, parodiando le n..iòc.,11\di Filita, usa KTITO'come equivalente di sale, e quindi dà all'aggeUivo il significalo di bianco (PCG 1, 36; vd. il oomm. di BCWDroannII Call. Dian. 90); in un'epigrafe tombale del m sec. aC. le ossa sono definite KTJTll, cioè bianche (GVl 1821, 5). lovece altti poeti nonprendonoposizione, perché si rifanno all'ambiguo nesso odissiaco IC'UµanltTITIPI: Euforione (SH 415 I 16) scrive ~yoio 6[l • u6 ]11to, e Antipalro di Tessalonica (Anlh. Pal. IX 143, 1 = GP 597) riproduce l'espressione omerica nella medesima sede mettica. Può darsi cbe la scelta di non definire univocamente il significalo di lt1JTOC risalga proprio al passo citato dell'inno callirnacbeo ad Artemide: infatti come osserva E. Livrea, «ZP& 40 (1980), p. 30 = Studia Hellfflistica I (Firenze 1991) p. 242 - sembra che C. scriva ijµKu 1t111oiKI proprio per lasciare aperta la questione del colore
designaao dall'aggeaivo. 14 iT1t[o]lK1[: Pf. propone di ricooosc:crc qui una forma dell'aggettivo iyxoA.1tlo, (posto in grembo), collegata forse al succeasivoyovcp. Pec iy,col,noc, cf. HeracliLAUegor. XXXIX 7, Grcg. Naz. Carm. Il 1, 88, 140 (PG 37 p. 1440). 15 yovcp µ[: Pf. suggeriscedi dare a yovoc il significalo di prole, discendetllJl,e cita in proposito ilfr. inc. auct. 140 I MYT1flOP1Jµa. Vd. il comm.al lemma precedente. 18 "'mv: Lobel osserva che forse tk veniva qui usato con valore relativo (dei quali, delle quali), origiDaDdo per questo motivo la spiegazione del Commentarius Oxoniensis: d. Cali. fr. Att. 15, 60 Pf. con il cornm.
i•
Frammento 4 (2 Pf.) 1 •• 1tD\ILJ4Y\ 1&;\lcx vilRLOY'n 1tmp' [xv1ov òtaoc IKKOU I ·euolHp_ Mou,amv &elL~Lc g"• 'Ì!vda,av: C. rievoca l'iDcootro fra le Muse e il pastore-poeta Esiodo sul monte Elicona presso la fonte Ippocrene: quest'ultima viene chiamata orma dell'impetuoso cavallo, perché scaturl dal colpo di uno zoccolo di Pegaso, il cavallo alato di Bellerofonte sorto dalla Gorgone Medusa decapitata (vd. il comm. al v. 1 11:ap • ixv1ov ò~éoc 'i1t11:ou ). Il distico viene ripreso quasi letteralmente da C. nell'epilogo degli Aitia (fr. 112, 5 s. Pf.): 'tip Mouca\ 11:oUà YqlOY't\Pota I cùy µu8°"' Èpa;Aovto11:ap.ixv[ l]OYÒ~Éoc lK1tOU. Alcuni poeti successivi a C. descrivono le Muse che appaiono a Esiodo mentte pascolale pecore, ma queste descrizioni sembrano dipendere non tanto dagli Aitia, quanto dal proemio stesso della Ttogonia esiodea (a'i vu 11:08''Hdo6ov x:aA.ttvi6wa~av cìol5,iv, I apvac 1tolflaivov8' 'EA.lx:éòvoc uaò ~a8éow, v. 22 s.): cf. Arcbias Anlh. Pal. IX 64, 1 s. = HE 1018 s. (epigramma atttibuito anche ad Asclepiade) a-inaì KOlfllltvov"a µu11f'PplYÙ µiilu u
COMMENTO: AEI'. I FRR. 3-4
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Mouccn I wpcn:ov iv 1tpcxvcxoicoupulv, 'Hdo6e (vd. H. Wbite, New Essays in Htlknistic Poetry, Amsterdam 1985, pp. 87-91 e i c;nmmaifrr. 3-4 e, piO giO, al v. 1 1tcxp• ixv1ov oçéoc t1t1tou e al v. 6), Ov. Ars l 27 s. nec mihi sunt visae Clio Cliusquesorores I servanli pecudes vallibus, Ascra, tuis, Fast. VI 13 s. ecce deas vidi, non quas praeceptor arandi I viderat, Ascraeascum sequereturoves. Sembra invece che i veni callirnacbP.iabbiano influito (a livello fonnale) su [Theoa.J VllI 1 s. Acicpvl6ltép xcxpl&Vtlcuvcivuto PoulCOMOY'tlI JLijM VqLCDV, mcq,cxvt{.Kilt. mp&ll llCXICpà MevciÀ.KaL.Per la scena, cf. anche lbeoa. VII 91-93: 1t0Uà IÒJllÈ6i6uçav àv' mpm Pou1t0Uovia I ic8ì.a. 11èvciU.a I Nu11q,111 1 JL;\la vÉIJlDYn: Esiodo stesso, nel proemio della Teogonia, dice che pascolava le peoore quando inconlJ'ò le Muse (I apvaL nolJUXivovO·,v. 23): vd. il comm. al v. 1 s. Anche Quinto Smirneo, dopo avere affennaro - come C. - di essere slalOistruito dalle Muse al tempo della prima pubertà (vd. la fine del comm. ai frr. 3-4), precisa che il suo incontro con le dee avvenne mentre pascolava le greggi a Smirne: CJLUPVTI'iv 6a1t~o1u K&plùuià JLijÀ.a cf. anche p.es. [Hom.JEp. XVI 4, Eur. Cycl. vqa.ovn (Xli 310). Per il nesso11ijÀ.avÉJLElV, 28, [Tbeocr.J vm 2 riportato nel romrn al v. 1 s. acap' [zvlDv òtÉDcinov: Nel proemio della Teogonia, Esiodo si limita a menzionare la fonte Ippocrene("11t11:ou KPTIVTI'• v. 6). Il milO, semndo il quale casa scatml da un colpo di zocmlo del cavallo Pegaso, viene esposlO da Aralo nei FfflOmeni(vv. 215-221): cf. soprattutto i vv. 219-221 "IKKocfLlV m•& ••. I ... 1t411TIÌ 1tpoupou 1to6oc. oi 6È VOJLijUI 11:piàto1K&ivo Uri mmmcotarioad Arato spiega che Pegaso batté il suolo 1tOtÒv6l&""11llCCXV 'l1t1tOUKPT1V11V. con lo zoccolo, tji oK41Ì(p. 219. 3 Maass; cf. inoltre [&atosth.J Catast. p. 120 s. Robert). PuOdarsi che Aralo parlasse anche altrove di Pegaso e dell'Ippoaeoe: cf. SH 91 con il comm. La nascita tiella fonte dal colpo di uno zoccolo di Pegaso veniva desaiua poi da Nicandro nel quarto libro delle Metamorfosi, come ci infonna Antonino Liberale IX = Nic. Jr. 54 p. 62 Schn.: o Ilit-yac.oc tji 01t4TIfllV 1topu~v KatciçaL (scii. 'E4lKmvoc). La storia è narrata aocbe da Strabooe(Vll 379; vd. il comm. al/r. inc. w1. 546 Pf.). J.'immagjne di Pegaso che batte il suolo con lo zoccolo e fa scaturire l'Ippoaeoe è molto comune in poesia: cf. Arcbias Anth. Pal. IX 64, 5 s. = HE 1022 s. (epigramma attribuito anche ad Asclepiade) Kpcivcxc'EÀllCCDVl6oc iv8&0v u6mp, I tÒ Ktavou KCD40UKpoc8&v EKO'l'&vovuç (vd. il comm. aifrr. 3-4, pià su al v. 1 s. e poi al v. 6), Honesl Anth. Pal. IX 225, 2-4 = GP 2415-2417 (riportalO nel comm. al v. 4), Ov. Met. V 256 s. novi fontis ... I dura Medusaei quem praepetis ungula rupil (ptt praepetis, d. l' oçéoc tKKou di C.), Fast. Ili 456 cum kvis Aonias ungulafodil aquas, V 7 s. dicile, quaefontes AganippidosHippocrenesI grata Medusaei signa tenetis equi (vd. il comm. al fr. 3, 6), & P. IV 8, 79 s. unda ... illa I ungula Gorgonei quam cava fecil equi, Stat. Thtb. IV 60 s .• Silv. II 2, 36-38, Il 7, 4, Rutil. Nam. 1 266, Besanl Anth. Pal. XV 25, 18 s., Nono. Dion. XLIV 6 s. L 'Ippocrene viene spesso designala con un riferirneolO a Pegaso: d. p.es. Call. Lav. 71 I 'iK1trpÈ1tÌ 1tpa:vfsl'EÀt1tmvi6l, [Moscb.Jm 77 I IlayaLi6oc: 1tpcivcxc,Anlip. lbess. Anth. Pal. XI 24, 6 GP 92 Ilmcxci6oc: I (vd. il comm. aifrr. 3-4), Honesl Anth. Pal. IX 225, 1 GP 2414 1tP11V11 ••. Il11ycxck(vd. il comm. al v. 4), id. Anth. Pal. IX 230, 2 = GP 2419 I Il11y11Li6oc: KP11VTI' (vd. il COIDID. aifrr. 3-4), Prop. ID 3, 2, Ov. Met. V 312, Tr. li 7, 15 Pegasidas ... undas I, Mart. IX 58, 6 Pegasis unda, Nono. Dion. VII 234 s. 1t11yiìcI Il11-yac.i60,.•. tKKlOvu6cop I, XLI 227. Pf. congettura che il frequente impiego dell'aggettivo Il11-yac.i.c.!Pegasis da parte dei poeti successivi a C. derivi dal nostro v. 4 (vd. il comm. ad loc.). Per il nesso ixvlOv ... t1t1tou, cf. Xenoph. Anab. I 6, 1 ixvla (v.l. ixV11)t1t11:cov. KClf> • [zv10v: Per la collocazione metrica del nesso, cf. - oltre a Cali. Aet. Jr. 112, 6 Pf. riportalO nel comm. al v. 1 s. - Dian. 97 ÈK' ixvlOv•, DeL 19 ed Ep. I 11 Pf. = HE 1287 11ei' ixvm•. òtBDC tasov: C. pone il nesso alla fme dell'esametro DOD solo nell'epilogo degli Aitia, dov'è ripreso per intm> il secondo emistichio (fr. 112, 5 Pf., vd. sopra iJ mmm al v. 1 s.), ma anche nell'elegia per la vittoria di Sosibio, se si aa:euala plausibile integrazione di Lobel (fr.
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384, 13 Pf. ò;éq[c 'ixxou). L'aggettivo ò;uc, che esprime allo stesso tempo la D8lUr8 focosa e la velocità, è applicato a Pegaso da Giorgio Sincello (p. 190. 2 Mossbarnrner): Il11yacoc ... 'i1t1tocò!;uc (forse dipendente da Didimo, che è la fonte di quanto Giorgio dice sùbito prima a proposito di Perseo = Didym. Jr. 1 p. 358 Scbrnidt). Ma già Esiodo (Jr. 43 (a), 84 s. M.-W.) riferito ai cavalli, compare come variante scriveva Ilinaco[v ... I rinrutatov: l'aggettivo IÒ1CUc, di ò!;uc in UD passo di Erodoto (V 9, 2 lKKOUC... ò!;u-iatouc, v.l. CDICUtatouc). Per e ò!;uc, vd. Zinato pp. 225-228.Cf. inobrc Ov. Mtt. V 257 l'interferenza semantica fra ci>1CUc riportato più su nel comm. a xap · rxvwv òçÉoc 'iKKou. 2 'Huol,11: La menzione di Esiodo nel proemio degli Aitia è simile a quella di Ipponatte all'inizio della raccolta dei giambi callirnar.tiei (Jr. 191, 1 Pf.): I ùic:ouccx8' 'IKKO>YlllC'tOC,
Movd■v up.4Lc: Cf. soprattutto Antip. Sid. Anlh. Pal. VIl 34, 3 s. • HE 284 s. ÙKÒ Mouciàv I ••• qLijvoc (vd. il comm. alfr. 52 ÙKeK1-accno), ma ancheArisropb.Nub. 297 8Eii>v... qLijvoc (a proposito delle Nuvole), Grcg. Naz. Carm. I 1, 6, 5 (PG 37 p. 430) 8ai,v nv' «11.ov. Per l'uso ttaslato di «11.ocet.Jr.17, 3 con il c:omm. o-i' -fivduuv: Per la posposizione di ou (qui all'undicesimo posto!), vd. Lapp p. 49 e il comm. di McLennan a Cali. lov. 21 ou. La costruzione di civtuim a,n il dalivo romp8IP. già nei poemi omerici (Il. VI 127 = XXI 151, XXI 431, Od. xvm 147), dove peroesprime il farsi incontro in senso ostile, lo scontrarsi. Cf. invece Cali. Dian. 142 -iol ùvnomvuc, a proposito degli dèi che accolgmo nell'Olimpo Artmùde di ritornodallacaccia (vd. il c:ornrn di
Bommann).
3 p.Jiv ol Xmoc yav1ç[: Per difendere la sua integrazione 11.Jtv(vd. app.), Pf. osserva che spesso, a partire dai poemi omerici, le vocali di 11.ive yap non si allungano prima di oi., mentre in questa posizione altre sillabe brevi tmninanti in coosonante sono molto rare e noo compaiooo affatto presso i poeti più rispettosi della metrica: infatti, come si è detto nell'/ntrod. m.2.E., generalmente il digamma del pronome oi i: ba valore CODSODBDtico vero e proprio. Cf. i passi raccolti da G. Hennann, Orphica (Lipsiae 1805), pp. 773-811: Hom. Od. V 2341 00>1c:e llÉYoi, Arat. 50 ii µÉv oi. ÌilCf>TII, 485 tò µÉv oi. 8ivap, 707 -ià JlÉv llÉYoi., xm 430 I ICCXP'l'E oi. ic:ata, Cali. 'EdJ. i\pc. Jr. 228, 43 Pf. iipn yap oi. (unico esempio nell'opera di C.), Theoa. XV 112 I 1tàp JLÉvoi. éop1a (unico esempio teocriteo, ma il testo è certamente sano), Ap. Rh. III 1205 tò µÉv oi. 1tapoc (onico esempio nel poema di Apollonio, ma il testo è certamente sano), Marcell. Sid. IG XIV 1389, 46 I djµa µÉv oi. (am il a,mm di W-llamowitz, «SPAW» 1928, p. 16 = Kleine Schrijten II, Berlin 1941, p. 209). Pf. nota che si potrebbe integrare t:lxe µ]tv oi. Xaeoc yÉvt:ç[1v,gli disse l'originedtl Caos (il supplemento xpéì>ta µUv sarebbe troppo lungo per lo spazio della lacuna, vd. app.), considerando dxe il predicato verbale del soggetto MoucÉ'tovyÉvu' aùtiàv. I li tO\ µÈ:v Kpmnua Xaoc yÉVE't'. Quest'ultimo luogo è molto rilevante, per la presenza di Xcuoc yÉvt:ç[nel DOSb'Overso. Se - com'è probabile - C. impiegava qui una forma della parola yÉveuc, cf. Hom. Il. XIV 201•=302•, 246•. 4 KdPl!'l' 1Sa1t[:La parola KtÉPY11compare una volta sola nei poemi omerici (Il. XXII 397), con il significato di calcagno. In questo senso il vocaboloè impiegaro8Dcbep.es. da Aesch. Chot. 209, Lyc. 500, Cali. fr. inc. std. 670 Pf. 11:tÉpY11 8 · '6'Koc V..CXuvoµevocI, [lbeoa.] XXV 268, Colluth. 135 Livrea. indichi qui lo wccolo di Pegaso,sulla base degli scoli Lobel ba congetturato che 1ttÉPY11< (s2s3s4) al v. 835 dell'Alessandradi Licofrooe (ic:alAa,pp{ou ~(cµa9' 'EpllCl{ou 1to&6c): ... Èv Ai8101t{qt'Ep11.;jc,u1.anmv ic:atà ~ou1.~v tO\I d\ÒC fflY1m...ICClla,.,.;,ac U.UIC't\Ce
,st
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ritv Tiìv ICIXÌ. àvWCOICl!V u6mp, o8Ev ICCXÌ. 'Epµou 1tdpva KUA.l!i'tlX\ (mc IlTJJCUOU ltjnlY'IJ, aggiunge T?.etze). L'ipotCSi di Lobel viene accolta da Pf., che àta in suo favore UD passo dei Smania (ludic. V 22), nel quale l'espressione uÉpval 't1t11:ou I designa appunto gli zocooli del cavallo. Pf., inoltre, ritiene probabile che all'uso callimacheo di 11:tÉpv11si rifaccia l'epigrammista Onesto, il quale scrive cosl a proposito delle fonti Pirene (a Corinto) e Ippocrcoe,S ,ca,cà uuxmv. Pf. suppone che il verso di C. designi Lt opere e i giorni nel loro insieme, cosl come nel v. 3 Xcuoc yEv~[ sembra indicare la Teogonia: secoodo Pf., d1D1que.C immag;nache le Muse, sull'FJiconae presso 11ppoaene, dettassero a Esiodo non solo la Teogonia, ma anche gli "Epya (per il Ca1alogo vd. il romrn al V. 6). A sua volta. il verso di C. è irnitalO da Lucillio: oc6' cll.).q, acuacàtl!ÙXEl,éép acuacòv ij,urn nuxel (Anth. Pal. XI 183, 5; vd. nell'app.delle fonti il passo di Plutarco}. Per il nesso 1ea1eòv/ic:a1t:à uuxelv, oltre al modello esiodeo, cf. Aesch. Choe. 730, Eum. 125 (ma in entrambi i casi l'espressione è usata assolutamente). Sono analoghe le frasi omeriche- accompagnate dal dativo - cll.yro uuxt:iv (p.es. Il. I 110) e lC'IJ6muuxelv (p.es. Od. I 244). Ma cf. anche Call. Cer. 65 'EpudxQovl uuxE KOY'IJpci I e Nic. 'l'Mr. 16 Bouotcp uuxouca 1ta1CÒV µ6pov 'Oapicovl. Per ijltCXt\cf. fr. 1, 8 con il comm.; per la 11'8smissiooe del verso da parte di Eustazio vd. il comm. al fr. 1, 26; per la testimf\oiaoui di Plutarco (De ser. mun. vinti 9) vd. Van der Valk II p. 280 s. 6 ]ci ~CD&\Ylit\ov 11(:Se le due parole çcoe\v e açlov costituiscono un nesso, cf. Aristoph. Nub. 1074 tt col çijv al;lov;, Av. 548 çijv ouacal;lov iiJ&ivI. Il concetto opposto è espresso da Call. Ep. XXIII 3 Pf. = HE 1275 I a~lov ou6Èv i6còv 8avcitou 1ta1t:6v. Come si è detto nel comm. al v. 5, può darsi che secondo C. le Muse dettassero a Esiodo sull'Eliconasia la Teogonia sia Lt opere e i giorni. Archia, in un epigramma pià volte citalO (vd. il comm. aifrr. 3-4 e, qui su, ai vv. 1 s. e l 1tcxp'rxviov òçÉoc 'i11:1tou), dice che le Muse eliconie ispirarono a Esiodo non solo questi due poemi, ma anche il Catalogo: µaacapmv yÉvo~ epya u µ0À.1taic I ,caì. yÉvoc cipxaicov eypacpt:c'1Jll8Écov(Anth. Pal. IX 64, 7 s. = HE 1024 s., epigramma attribuito anche ad Asclepiade). Dagli scarsi resti dei vv. 6-8 non si possono ricavare elementi certi per deàdere se anche C. aggiungesse il Calalogo alla lista, ma sembra che le parole superstiti si adattino meglio alle Opere: Lobel propone di vedere nel v. 6 IDI riferimento al mito dell'età dell'oro e integra dubbiosamente çcoew açlov ci[8ava'tmv sulla base di Hes. Op. 112 I éocu 8wì. 6 · içcoov (Colonna premette il supplemento ai]éò, vd. app.}; secondo Pf., gli infiniti çcot:lv e xpr,ccuv possono forse riferirsi alle in1:08ij,ca\ contenute nelle Opere; ai vv. 286-292 degli "Epya si ispira l'integrazione esemplificativa pccposta. da Barberperil v. 7 s. (vd. app.).
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7 smvuc: es: Se la lezione Kav'tuu· del papiro è giusta e non va corretta in Kmvucct (come propone dubbiosamente Lobcl), è anche possibile dividere in KmY't'i.e.cÉ (vd app.). Per la posizione di cE prima della cesura, cf. Cali. Dtl. 27-29 I AijA.e•U.'1, 'toioc u ... I Ei 6È )..('lv Koliu cE ... I Ko{n ÈvutÀ.Éçm cE (nell'ultimo caso - come qui - c'è anche inrapumionc dopo cE). CC.inoltre Cali. /ov. 43 al. Per le ttacce seguenti, vd. il comm. al v. 6. 8 sp-ltcca,v 1-6t1a[:Nel papiro c'è UD7t sopra.saitto al µ (vd. app.). Forse si leggeva EÙµapi.c.con la variante soprascritta EÙ1ta4u: gli aggettivi significano eottambi stmplict, ma il secondo vocabolo è di gran luoga più raro del primo (cf.fr. adtsp. PMG 932, 9 e Ap. Rb. Il 618, al quale si riferisce l'El. Gtn. B s.v. EÌ>Kaliac). Se invece veniva modificata solo una lcaera, il papiro offriva forse le varianti 1ùµa(8 cd EÙKa[8.Pt.r un'integrazione esemplificativa del verso, vd. il comm. al v. 6. Per quanto riguarda il tratto di testo OOl)Cl'tOdai frr. 3-4, abbiano già ouervato che, con ogni probabilità, C. adoperava l'aggettivo cipnyÉvEUK per indicare la sua ccà adoJesamiale al tempo del sogno eliconio (vd. il comm. aifrr. 3-4). All'incontro fra il cpcrsooaggio C.» e le Muse potrebbe risalire il fr. inc. std. 125. Si è aocbc detto che il fr. inc. std. 693 Pf. spetta forse a questa pule degli Aitia (vd. il comm. alfr. 3, Ira i lemmi 9 e 10). Può darsi, infmc, cbc ilfr. inc. std. 546 Pf. ICf)TIVTII 4EUICÒYu6copcivÉPCIÀ.À.Ev si riferisca all'lppocreoc (cf. i vv. 1 e 4 del fr. 4) e risalga al nostro proemio: ovviamente quest'ipotesi è sostenibile solo se si cambia in qualche modo l'ordine delle parole, pcrcbe - cosi cooi'è - il fnvomeoto CODtic:nc due csarnetti successivi (vd il comm.di Pf. ad loc.). Vd nel testo l'BDDOCaZiooc dopo ilfr. 4.
Frammenti 5.918 (Le Cariti) Il contenuto del primo aition è esposto negli Scholia FlortnlUlll 21-37. Il «penooaggio C.» chiede alle Muse perché nell'isola di Paro i saaifici alle Cariti vcogooo compiuti sema flauti e ghirlande (Jr. 5). La spiegazione gli è offerta da Clio. Mentre Minosse, egemone delle Cicladi (Jr. 6). sta celebrando in Paro UDsaaifacio alle Cariti (Jr. 7), gli viene annunciata la morte del figlio Androgco. Minosse, senza interrompere il rito, depone flauti e corone in segno di lutto, inauglll'8Ddo cosi 1'usao1,a Da questo racconto Clio trae lo spunto per detenoinare l'esatta genealogia delle Cariti. Il «per5ooaggio C.» menziona tre opinioni diverse io proposito: secondo alcuni, esse SODOfiglie di Zeuscd F.ra, secondo albi di Zeused Eurinomc, secondo albi di Zeus ed Evaote (fr. 8). Ma Clio dichiara che le dee sono nate da Dioniso e dalla Ninfa di Nasso Coronide (Scholia FlortnlUlll 30-35). Infine, alle Cariti - che a Paro sooo effigiate non nude, ma riccamente vestite - C. rivolge la preghiera di darefama durevole alle sue elegie (Jr. 9, 1-18). Gli Scholia Flortnlina 35 s. informanoche, per questo aition, C. dipende dagli storiografi Agia e Dercilo (FGrHist 305 F 8, vd. Poblenz p. 316 s. = 47 s.), menzionati altrove come autori di UD'opera intitolata AP70À.uc:a.Sulla aooologia di questi due scrittori, l'unico dato sicuro è che essi precedettero C. Poiché nella maggior parte delle citazioni i loro nomi compaiono insieme (e sempre nell'ordine Agia-Dercilo), Jacoby ba supposto che Agia componesse UDtrattato di storiografia argolica all'inizio del IV secolo, rielaborato da Dercilo nella prima età ellenistica (FGrHist voi. m B, Kotnn1Lntarp. 18). C. utiliZ7.òl'opera di Agia e Dercilo io albi due luoghi degli Aitia, cioè nelle parti dedicate a Lino e Corebo (Jrr. 28-34) e alle fonti di Argo (Jrr. 65-66 Pf.). Ma mentre in questi due casi l'ambientazione argiva delle storie narrate spiega la dipendenza di C. dagli 'AP704uc:a, per l'aition del sacrificio alle Cariti nell'isola di Paro ci si chiede in che modo Agia e Dercilo inserissero uoa vicenda del genere nella loro trattazione. Una possibile spiegazione è offerta da Cassio p. 260: «Ciò che sappiamo degli storici locali di Argo mostta in essi UD'impressiooantetendemaad appropriarsi, attraverso 0
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legami spesso tenui, dei grandi cicli mitici della Grecia ... e non è escluso che qui si fosse verificato qualcosadel genere.Cv 1CaÌ cutpcivmv iv Ilaprp 8uouu ta'ic x:d .. (cf. fr. 6; Pf. congettura che lo pseudoXaplu. J1U où ao)..ù 8CXMXCcox:pa-réòv Apollodoro dipenda da scoli a C.); Plut. Mor. 132 E (De tuend. san. 19) o6È Mivmc 1eaì -ròv Cf. anche PluL Mor. 1102 B (Non aù)..òv àtptw tiic 8udac 1eaì -ròv ui..,avov incò )..i>1t11c, passe suav. viv. 21) aù)..òv 11Èvyàp ivimv i:op-réòvx:aì ui..,avov à•a\pOUJlEV, 16 C (De fJIIII. poet. 2) 8udac ... àxopouc x:aì. àvauMuc, 277 F (Quaest.Rom. 55) civauAa 8uov-rmv. Cf. anche i luoghi di Cassio Dionee Svetonio riportati nel comm. alfr. 7. Prr quanto riguarda la causa della morte di Aodrogeo, le fonti sono discordi: il giovane restò ucciso dopo 1D10scontto con il toro di Maratona ([Apollod.J m 15, 7, Paus. I 27, 10) o men1re si recava a Tebe per partecipareai giochi funebri in onore di I.aio ([Apollod.J ibid., Diod. IV 60, 5); per il personaggio, cf. anche Cali. Aet. fr. 103 Pf. con le osscnazioni di Hollis, Attica p. 7 s. Kassel p. 237 s. nota l'affinità tra la sUXiadi Minosse e Androgeoe 1Dl episodio della vita di Senofonte, raccontato fra gli altri da Diogene Lacrzio (Il 54): menlre Senofonte stava compiendo UD saaificio, gli fu riferita la morte di suo figlio Grillo; Senofonte si levò la coronama se la rimise sul capo quando seppe che Grillo era mcxto valorosamente sul campo di battaglia Kassel individua 1Dl8 contaroioazinne fra i due racconti nella Consolatioad Marciam di Seneca (XIlI 1), dove Seoofoote (cbiamatn genericamente pater), appresala morte del figlio, si leva la coronaSCD7.8pi~ rimettersela e fa tacere il flautista. A quanto sembra. l'isola di Parotrasmise il culto delle Cariti alla sua colonia Taso (contra H. Seyrig, «BCH» 51, 1927, p. 184 n. 1, che però non oppone argomenti decisivi). Da Taso, iofaai, provengono due iscrizioni, che facevanopane del medesimo altare: alla fine dell'una si legge où ,i:a1mvi~ua1 e nell'altra Xap1uv alya où 8ÉJllCoù6È xo'ipov (IG XII 8, 358 = SI
stando le Muse dell'invocazione (Jr. 2) e del sogno eliconio (frr. 3-4) alle Cariti del primo aition, il poeta si riallaccia a una ricca tradiziooe che, a partire da Esiodo (Theog.64), collega fra loro i due gruppi di divinità: le Muse rappresentano la sapiema, le Cariti la grazia e il successodel canto; vd. E. Schwarzeobcrg, Dit Grazitn (Bonn 1966), p. 44 s., K. Deicbgrlber, Charis IUldChariltn. Grazit IUldGrazitn (Muncbeo 1971), pp. 21 ss. e i luoghi raccolti da ~assirnilla, Tnvocaziontp. 323 n. 6. Su C. deve avere sopauuuo influito il passo corale dcll'Eraclteuripideo, al quale il poeaasi ispira nella pane finaledel prologo (vd. il comm. al/r. 1, vv. 36 e 39 s.). Infatti nei vv. 673-675 del coro si legge: où n:auc.oJLal 'tCÌC Xcipnac I taic MoucaK (uyKatCIJLEdyvuc, iJ6iuav ,uçuyiav. C., come qui al principio degli Aitia menziona prima le Muse e poi le Cariti, cosl alla fine dell'opera celebra probabilmente prima le Cariti e poi le Muse {Att. fr. 112 Pf.). Vd. anche il oomm. alfr. inc. auct. 140 x11pitv'to,. Per un'analoga disposiziOllf' i;pN::11lme, vd. la fine del comm.aifrr. 919-23.
Frammento 5
(3 Pf.)
xli,
c1~[u 11'611tvI L~'t1,v 1c:11lu1,ia,v 1G11a1 ~• D11p(•i= C., come qui spiega perché i Pari compiono sacrifici per le Cariti stnza flauti e ghirlande, cosl alttove raca>nta che nella Ciclade Cimo si sacrifica a Meoedemo stnzo.usare feno giacché, nel corso della guerra troiana, quell'eroe morl sotto i colpi di molti coltelli (Jr. inc. std. 663 Pf.); sirniJmente Apollooio Rodio motiva l'usanza rodia di fare sacrifici stnzo.fuoco con l'odio dei Rodiesi nei confronti di Efesto, che tentò di violentare Atena (CA/r. 11 p. 7). 1 1Clòcc1y[u 11v1&v:L'integrazione di Mass si basa sull'tpigr. Cyrtn. EpGr. 418, 3 Kaibel "t11Vav\c aùM>v• (vd. app.): vd. il comm. ad Atl. fr. 15, 43 Pf. L'avverbio 1téi>c introduce spesso le domande di cootcnuto eziologico: cf. frr. 9, 19; 50, 87; 89, 24. Per la forma civK, cf. Aristopb. Ach. 798, 834 (fra le parole del Megarese), Lyc. 283, 350, Nic. Al. 419 (v.L cinu). 2 L piitt,v 1c:11l ua,iimv 1G11&a d; Dap(cpi: L'attribuzione del pentametro a C. e la sua connessione con il verso precedente sono congetturali e dipendono dagli Scholia Flortnlina 22 s. çll't]ti 6(là) 'ttv~ [ai'tiav Èv Dcip]q, xmpÌL a(>[À.ou 1t(aì.) cul•civou 't~ic
COMMENTO: AEI'. I FRR. 5-9 18; 5-7
249
"[cx)p,u t)[uou)u (vd. app.). Per quanto riguarda Jatrasmissionedi questo verso da panedi Ffestione, vd. il comm. al fr. 1, 2. Saive Maas, RecensioneII p. 164: «Ora diventa anche chiaro perchéEfestione, nel cap. 15 § 15, trae dal fr. 491 Schn. [cioè, da questo verso] l'unica forma di inizio peotamettico cbe egli non spiega lnllllite Ja sua prima auestazkme all'intemo dell'Elegia contro i Telcbini, cioè Ja fcxma _ _,..,_: il v. 26 dell'Elegia contro i Telcbini si trovava per lui troppo lontano dall'inizio, mentre il fr. 491 era famosoin quanto prima domandadegli Al"Cux». ;,,tatv: Il verbo poteva accompagnarsi a un accusativo, ma aocbe essere usato aunnsitivament.e (cf. Hom. IL D 400 al.). C"C&•a•v: L'assenza di corone io un sacrificio per le Cariti doveva apparire particolarmeote sttana, dala Ja passionedelle tre dee per i fiori e le gbirlande: d. Sappb.fr. 81, 6 s. Voigt, Ov. Fast. V 219 s., Greg. Naz. Anlh. Pal. VIIl 127, 2 a6a&a: Cf. fr. 36, 6 con il CQIDID.
Frammento 6
(4 Pf.)
v.ficev iwhawa lllap~v tvyl,v a'6x,v\ liUvec: L'attribuzione del frammento agli Ailia e a questaparte del racconto t congetturale e dipende dagli Scholia Fiorentina23 s. Mivrp ... 8cxl.acco1epa"Co(où)vn (vd. l'annotazione dopo il testo). I. Kapp, Callimachi Hecallu fragfflDllll(Berolini 1915), p. 58, ritenendo che Greg. Naz. Carm. I 2, 2, 641 ( I 1eaì.~uyòv aùxivi 9ii1er.,vd. infra) dipendesse direttamente daJl'esarne-trodi C., aveva ipotizzalo che quest'ultimo risalisse all'Ecale.Ma. come obbietta Pf., anche ammettendo cbe xal
Gregorio imitasse C. e non il modello stesso del veno callimacbco (cioè Hes. Op. 815 s., vd. infra), ciò non prova che il frammento appartiene all'Ecale: infatti Gregorio conosceva altrettaoto bene l'Ecale e Japarte iniziale degli Ailia (vd. i comm. alfr. 1, vv. 1, 3 oùx iv a&ICJLU ~\'IVIEICU, 4 ,roU,aic ... XV..\CXUV, 8 'f1}1C[&\V] fi,rap ÈK\C"CCXJl&VOV, 9 [ò)..)lyocnxoc, 18, 28, 36). Per l'egrmonia di Minossesulle Cicladi, cf. HerodoL I 171, 2 s., 1buc. I 4, [Scymn.] 543545, Pbaedr. LXXXIIl 18 s. Apollonio Rodio (Il 516) definisce le Cicladi Mivmt&ac... V11COUC I (cf. lo scolio ad loc., p. 170. 16 Wendel). L'imposizione del giogo c:omemetaforadella soaomissione politica si ritrova p.es. nell'Alessandradi Licofrone (v. 1344) e nell'inno a Romadella poetessa Melinno (SH 541, 9-11 ). L'esametro di C. è modellato su Hes. Op. 815 s. 1eaì i1rì. tuyòv aùxévi (aùxévi Hermann: aùxiva codil.) 8eivai I Pouci. Il veno de Lt opere e i giorni ba awto IDl'ampia fortuna presso i poeti successivi, illustrata in parte da A. Rzacb, Hesiodi carmina (Lipsiae 1902) ad loc.: d. [Hom.] Hymn. II 217 Èfl:Ì.yàp tuyòc aùxivi 1eei"Cai I, [Theogn.J 1023, 1357, Aie. Mess. App. Pian. 5, 3 =HE 36, Moscb. fr. 4, 3 Gow =HE 2685, epigr. adesp. FGE 1580 (vd. il comm. di Page), [Orph.J Hymn.LXI 5 Quaodt. Orac.Sib. m 448, vm 126, XI 67, 76, XIII 94, XIV 308, [Apolin.] Met. Ps. xvn 95, XLVIIl 30, LXXI 22, XCIX 2, CI 44, Oreg. Naz. Carm. I 2, 2,641 (PG 37 p. 628), Cbristod. Anth. PaL D 401. Un parallelo formale è costituito da TrGF adesp. 372, 2 s.: i\ EÉP~'I' papuv I tau~ac (passo ~gnala•omida A. Hollis). 8aÀ.a«'lc aùxiv • 'Ell'lc•oniac xaì y,qcev: Naete propose di scrivere V'!Ccxmvsulla base di Atl. fr. 67, 8 Pf. (vd.
app.). papbv tVf6v: Cf. Oreg. Naz. Carm. (PG 37) D 1, 45, 283•, D 2, 1, 345• (pp. 1373 e 1476), ma aocbe Aescb. Ag. 1639 s. "CÒv3ì: tl'I 1r11i8cxvopa I tau~m pap&iaic (scii. tauyM\C).
Frammento 7 (5 Pf.) d, 1Llv 8'60, iipzno IIGU.&\v: L'attribuzione del frammento agli Aitia e a questa panedella viceodaè cmseauralee dipendedagli Scholia Fiorentina 24 s. "Ca'icXap[ ikw iv [J(cxprp&i>lovn(vd. l'aoootazionedopoil testo).
CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
250
Il nesso 'tÒ JÙ:v8uoc si ritrova nel .fr. 1, 23•, dove 8uo, è la vittima, cioè J'anirnale destinalo al saaificio (vd il comm.ad loc.). Qui invece - a quanto pare - ~ indica l'olfena, le primizie della vittima riservate agli dèi e gettale nel fuoco (ànapxal). 1nquesto contesto, il verbo PaU.uv è già usato nei poemi ornerici, dove si accompagnasempre alla frase iv 11:up(: et. Il. IX 220 o 6" Èv 1tupt j3ciU.E8U1JA.a'I (vd. app. delle fonti), Od. m 3411 yl.uKcm 6' Èv ,i:upì Pa:U.ov, 446 1eecpa)..ij,1:p(xm Èv nupì Pa:Umv I, XIV 422 1e~ij, 'tPlXCKÈv ,i:upì j3a:À.À.ev. Forse - come ipotizza Pf. - anche C. impiegava il nesso Èv 11:up(nel pentametro sua:essivo (vd. app.). Nell'opera omerica ed esiodea, i" attestato solo il plurale 8uea (vd. il comm.al.fr.1, 23 'tÒ JÙ:v8uoc), che ba sempre il significaro di à,i:apxa(: l'unica ea:cziooe è forse Il. VI 270, dove la parola potrebbe anche designare le vittime del sacrificio (vd. il comm. di West a Hes. Op. 338). Il singolare 8uo, compare per la prima volta ncll'Agamennonedi Eschilo (v. 1409 I "to6• ÈKÉ8ou8uoc), dove il senso è dubbio (vd. il comm. di Fdnkel). Diverso da~ è il vocabolo 8uov, che significa legnodi cedro e rompare una volta sola nei poemi rmerici (Od. V 60; vd. app. delle fonti); di questa parola C. impiega il plurale 8ua, nel senso di piante aromatiche(Jr. inc. std.. 564 Pf.). Nello scolio a Hom. Il. IX 219 s. (che è la fonte del frammento) C. viene rimp-ovcra&o per avere conferito a 8uoc il senso di offena (vd Van der Valk I p. 460 e La Penna, Callimacop. 182 n. 3). Pf. osserva che con ogni probabilità Jo scoliasta identificava erroneamente 8uoc e 8uov, dando loro il significato di 8uJL(aµa (incenso),come facevano gli albi grarnmatict (vd. il cmun. di Pf. al/r. inc. sed. 564): invece C., come si è visto, distingueva fra 8uoc e 8uov. Secondo Pf., il 8uo, di C. venne frainteso, oltre che dallo scoliasta, anche da Svetonio (Tib. 70), che racconta il seguente episodio: quando morl Ottaviano Augusto, l'imperatore Tiberio volle imitare il comportamento di Minosse in occasione della mone di Androgeo: l1IIJXilne ••• curavit notitiam historiaefabularis ... et quo primum die post ucessum Augusti
curiam inlraviJ,quasipietati sinwl ac religionisatisfacturu.sMinoniseumplo ture quitkm ac vino, verum sine tibicine supplicavit, ut illt olim in mone jilii. Qui Svetonio, se ba per modello C., interpreta 8uoc come tus (incenso). Pf. ritiene che questa interpretazione sia contraddetta dall'epigrafe di Taso citata nel comm. aifrr. 5-9 18, dove si parla di vere e proprie vittime saaificali proibite nel culto (non si usa [sacrijican] allt Carili né una pecora né un maialino). Le conclusioni di Pf. sul significato della parola 8uo, nel nostro frammento sono contestate da La Penna, Callimaco p. 183: «Ammesso che ci sia fraintendimento nell'interpretare CaUimaoo, esso non risale a Svetonio, com'è incline a credere il Pfeiffer, ma eragià nella fonte: la notizia dell'incenso è, infatti, anche in Dione Cassio LVI 31, 3 1eaì 'tou JLÈvÀ.\l3avC1rtou ic:aì au'toÌ (scii. Tiberius et Drusus) e8uuxv, 1:ép6 · aùÀ.11tjìoù1ei,xp,i,av'to. Dmvaziooe di Dione da Svetonio è ritenuta, salvo qualche rarissimo caso, molto improbabile; il frain&endimento risale allo stesso Tiberio, anzi, probatiilmente, ad enneneutica anteriore; ma io non sono affatto sicuro che il fraintendimento ci sia poi davvero».
Frammento 8
a' lvs1e'
(6 Pf.)
lnx-rev: L'attribuzione del frammento agli Ailia e a questa panedel racconto è congetturale e dipende dagli Scholia Fiorentina 33 s. 1tup' o[t], 6(È) ~[upulv]OJLTI''t(ijc) ·nic:eavoi, ic:(aì)Auk (vd l'annotazione dopo il testo). Gli Scholia Fiorentina32-35 mostrano che il «per50naggio C.» menzionava le genealogie ol
Eùpuv6p.fl T\fflYllÌc
dsuv
a lui note delle Cariti, prima che Clio gli rivelasse quella esatta. Il poeta gioca con un procedimento tipico degli inni, secondo il quale - nel trattare l'origine della divinità invocata ... oi. 6é, fmché si offre la versione ritenuta vengono riferiti diversi pareri, introdotti da oi. JLÉV giusta. Qui il 8uJL.OC di C. menziona le opinioni erronee, mentrela Musa dà la vera genealogia, che (come si è detto nel comm. ai frr. 5.918) ba il valore di un omaggioai Tolemei. Per
COMMENTO: AET. I FRR. 7.91-18
251
... I ,ac·,oi 6 • ... I oi 6 • ... I oi &i ... I ... questi' schema iDDodico,e!. [Hxcp Eùpuv61&11 T1.'t1Jvlcic), cf.frr. 26, l; 48, 2; 50, vv. 51, 64 e 65; Att. SH 254, 7, Att. frr. 66, 2 Pf., 73, 2 Pf., 75, 58 Pf., 110, vv. 59 (? vd. app.) e 77 Pf.; Htc. SH 283, 4 = fr. 36, 4 H., frr. 299, 2 e 301 Pf. = 116, 2 e 117 H.,frr. inc. stil. 483, 1 Pf., 592 Pf., 617, 2 Pf., 681, 1 Pf., 714, 3 Pf.,fr. inc. sed. SH 295, 1, lov. 65. Vd. in generale F. Vollmcr, «Sitz. Ber. bay. Akad.» (1918), 4, pp. 4 ss., che tnlWl sopraauao i poeti latini, e Lapp pp. 35-39, 135 s.
Frammento 9, 1-18 (7. 1-18 Pf. + SH 249 A
'verso') J )s11"• c6U.T11.:La parola colla indica forse che qui si parlava già di swue delle Cariti (cf. vv. 9-12): per l'uso del vocabolo ,colla in UDcontesto del genere, e!. Plut Mor. 983 E; cf. anchegli aggettivi 1eoU11'toce 1eou.iiac nei poemi omerici (Il IV 366 al. e XV 389). A UD'iDterpreCazione di questo ti.posi 8llaaaancheil supplemento t.g. cuve&q)1eciudi Pf. (vd. app.): cf. p.cs. 1buc. IV 4, 2. 4 Jn111Cli[: Va probabilmente iDtegralOUD qualche caso del femminile i-rra1cn (vd. app.):l'aggettivo sarebbe approprialo alle stalUC del1cCmiii. 8 1,11"1l.a[ ...... .)ov: Per spiegare la successione di lettere hci·n~&[, Pf. richiama dubbin.camcnte l'epilogo degli Aitia, dove C. saive a proposito delle Cariti (forse cileDcc): Xcip('to,v... I •••1... aavJq. J[M-)u~pov (Jr. 112, 2-4 Pf.). Lobel ritiene che si possa inserire a questo punto UD veno tnnDandato laam058JDCllte nel IDBrgineiDfCl'ioredel PSI 1217 B, fr. 1: J:ci1EÀD[.. ]~cpo[ (con UD8 soprasaiao al secondo 't). Basandosi su questa idea, Mass suggerisce di dividere le tracce del V. 8 iD u):ci't' Èlf,[ oppure U)'tci8· ÉÀ.~[(vd. app. al v. 12): il verbo euci't ·18· si riferirebbe alle Cariti, come i successivi ijÀ.8E'fLe (v. 10) ed EUau (v. 13). Alla fine del pentametro, dunque,c'era fone la parolaÀ.O•Jou: Pf. rid:tiarnain proposito il colle delle Carili a Cirenc, per il quale e!. fr. inc. std. 613 Pf. Vd. in generale
l'app.
9 ckvdp.o~[u): L'aggettivo compare una volta sola nei poemi omerici (Od. m 348 -oc•) ed~ spiegato cosi dallo scolio E: il&ci't(0>v ciaopouvtoc. L'impiego cal)imactw--0della parola, iD relazione alle Cariti, ba influito su Nono. Dion. XLvn 280 s. d, Kcipà Na~cp. I d, XaplV ixMXivo,uv civE11tovci; (nella favola di Dioniso e Arianna). NODDO usa l'aggettivo ancbe in altri luoghi delle Dionisiache:V 307, XII 377, XXXV 107 (sempre•), a proposito rispettivamente di Artemide, di una Naiade e di Calcomedc.Ma e!. anche Greg. Naz. Carm.Il 2, 3, 144 (PG 37 p. 1490)•. Lo stesso C. dice altrove che le swuedelle Cariti non sono pill nude nel sanlllBriodi Era ad Argo: oùdn yup.vac I Kai&ac Èv 'Hpci(cpct11cop.EvEùpuv61&11c (Vict. Sosib.fr. 384, 44 s. Pf.). Per la nudità delle Cuili (che nelle 8l1i figurative si afferma a partire dal periodo
252
CALLIMACO• AmA, LIBRI PRIMOE SECONDO
ellenistico), cf. Euph. CA fr. 87 p. 46 'Opxo1uvòv Xap{ucuv CÌ.«pÉc,v ÒpX118Év'ta,tp. lJlllsp. Anth. Pal. IX 616, Hor. Carm. IV 7, 5 s.; vd. in genenle W. D6oona, «RA» S. V 31 (1930), pp. 274-332. 9 s. 4~ò 1e61.sq11I l'IJ'tpÒc ... ~1.8qL 11:Cf. soprattutto Arcbias Anlh. Pal. IX 111, ,cpòc q,aoc ipxop.Évouc, ma anche Call. lov. 1S lv8a e· 2 = GP 3695 fl'll'tÉpocix: x:oÀ.Kcov ÈKEÌ.ll11•11Pµtya.1.cov cixte,jx:a'to x:oÀ.Kcov. Per l'uso di x:oÀ.Koca proposito del grembo materno, cf. Cali. Dtl. 214 con le osservazioni di Kuiper p. 11 e di Mineur ad loc.; d. inoltre Eur. Htl. 1145, Leonid. Tar. App. Pian. 182, 1 = HE 2098. 10 'E1.u8u(11,ç ... PJQLu1.011iv11c: Ilizia è la dea che assiste le partorienti. Nel dire che le Cariti nacquero con ilfavort di llizia, C. non inll'Od~ un'osservazione irrilevante,visto che si ttatta di un parto trigemellare: cf. anche Ov. Htr. VI 121 s. proltmqut gtmellam I pignora Lucina binafavtntt tkdi. Nella poesia di C. il nome di llizia romparc sia nella forma 'EÀ.-sia nella forma Eil.-: vd. Pf. Il p. LXXXVIll e i comm. di Mclfflnan 11/ov. 12 e di Hopkinson a Ctr. 131. 11 1ea:ll11 'tJll 1t11\ ... priae ': Per x:a.À.1.11, cf. Aescb. Ag. 923 I iv KO\'IC\M\C ••• x:allEClY I, Eup. PCG 363 Pa.KU\Y 'tÙ 1eall11 'tÙ KEpiup.va tjì 8&q,. Polluce (VD 63) spiega la parola nel veno di Eupoli erme 'tàc Kopqnipopa•Eic ù8ij,ac. La medesimaesegesi è offerta nelle 'Ex:Àoyaì 6,a.opcov À.É~ECOY s.V. x:aÀ.À.11 (Cramer, AO Il p. 4SS. 4)· 'tÙ Kopq,upiì iµcina: qui sono citati Eupoli ed Eschilo (quest'ultimo omesso per errore da Cramer). Dalle 'Ex:Àoya( derivano Suid. s.v. 1eaÀ.À.1t, che cita solo Escbilo, e l'Et. Gtn. AB s.v. x:alla,a (Kassel-Austin ad Eup. I.I.), dove sono citati sia Eupoli sia Escbilo (= Et. M. p. 486. 47 Gaisf.; cf. Et. Gud. codil. Paris., Cramer, AP IV pp. 23. 13 e 63. 17, cod. Sorb. ap. Gaisf. ad El. M. l.l., cod. Gud. p. 294. 28 Stun). Queste fonti grammaticali, dunque, si offerta da riferiscono tutte a Eupoli ed EM:hilo,non a C. Né a C. si riferisce l'altta spiegaziooe, Hesych. s.v. x:ciU11· &ve,. Kopq,upiì ... ,cpòc Pac,,lv, che si ritrova più o meno nei medesimi termini presso Paus. Att. fr. 219 Schwabe ap. Eustath. p. 1278. SO,Ammoo. Diff. vtrb. 261 p. 69 Nickau, El. Gen. B s.v. x:all11 (= Et. M. p. 486. 43 Gaisf.). ... 61a.«1Y11C Per Ptu6Ea, cf. Sapph.fr. 177 Voigt ap. Poli. VIl 49 Ptu6oc ... up.lJEpllCOV ne x,tcov(noc., Parthen. SH 646, 6 Ptu6&a 1tap8&v,1eaì. MlÀ.T1d6u ipp,j~ano. Gli Etimologici s.v. Ptu6&a oppure Ptu6oc danno alla parola il senso di 1to,1ei1.a-i\sop.,,p& ip.cina e cilano il verso di C. (vd. app. delle fonti). Secondo i grammatici, dunque. sia x:all11 sia Ptu6ta significano vtsti tintt di porpora. Ma Pf. (basandosi anche su Poli. VIl 49 citato), congettura che secondoC. Ptu6&aindichi le tuniche lunghe e x:all11 i manttlli, dei quali le Cariti sono rivestite nel bassorilievo di Taso menzionato nel comm.aijrr. 5.9l8 (vd. anche il comm.al v. 12): come si è detto, infatti, il culto delle Cariti fu importato a Taso dalla madrepattia Paro (cf. qui Év ... Ilcipq,). In merito agli abiti delle dee e alla tessitura, cf. Cali. fr. inc. std S20 Pf. con il comm. aio1.cs: Cf. Cali. Dian. 91•,fr. inc. std S1S Pf.• 12 ••••• cis' ou,~d,n•• a• 11Uv 1111,11 ph1.:Per l'inizio del verso, in un primo momento Maas propose di integrare il verbo lc'ta't' riferito alle Cariti. Successivamente, però, egli suggeri di supplire questa forma verbale nel v. 8 (vd. il COOllll. ad loc.) e di integrare qui l'aggettivo irypov riferito ad aÀ.tupa, secondo una veccbia proposta di Valckenaer. Su questa linea, faccio notare che un supplemento altemaliw sarebbe cippov: cf. fr. SO, 12 s. x:apJ~an ... n6cox:a I ... cippà À.{KJ1J con il comm., Noon. Dion. XIV 17S cippòv ciluq,a (cippòv Falkenburgius: ciq,pòvcodd.). Vd. app. I capelli delle Cariti sono riccioluti anche nel bassorilievo di Taso menzionato nel comm. aijrr. 5-9 18 (vd. anche il comm. al v. 11 x:all11 'tJE x:aì.... Ptu6&'). Lo stesso C. parla delle Cariti dallt btllt trtCCt dell'isola di Ceo (Att. fr. 1S, 73 Pf. XapCtcov ... ÈUKÀoKap.cov I): cf. anche [Hom.J Hymn. m 194 ÈuxÀ.o,caµo, Xap,uc, Menophil. Damasc. SH SS8, 12-14. La bella chiooia delle Cariti è del resto un mOlivo ricorrente a partire dai poemi omerici: cf. Hom. 11.XVIl 51 x:oµa, Xapiuct,Lfrn•v I': Per l'uso di 6i al terzo posto, vd. il comm. al Jr. 1,12 ii P.-EYW..11 6 ·. Se all'inizio del verso si integra vypov o a(Spov (vd. sopra), il 6i è al quarto posto. òuJ~L br7mv: Per ouÀ.1yç nel scoso di ricciolo, cf. (oltre ai passi grammaticali riportati nell'app. delle fonti) SchoL Nic. Al. 410 ouÀ.1yyac ... À.É'fu toùc Poupuxouc. Basandosi sullo Schol. Ap. Rb. I 1297, che è tta le fonti del pentametro callirnacbeo, non si può decidere se Filita (SH 675 B) impiegasse la forma ciuÀ.1yçcon il significato di scintillio (come octÀ.1yçpresso Apollonio Rodio) o di ricciolo (come ouÀ.1yçpresso C.). èi1&,.CJ: Questa forma collatenle di ciMupup è impiegata p.es. da Hes. Theog. 553 (Et. Gtn. s.v., ma i codici banno aÀ.u,ap), Hippon. fr. 58 W. = 60 Degani, Aescb. Ag. 322, Quint Smym.XIV 265, Nonn. Dion. XIV 175 (per l'ultimo puso, vd. app.). 13 s. 111cx·u vllv,J ia,1iJTQln LB•J iY1.w,(i,csc8iaJ11.,u6,u1e I x•lJPCll, ifLOic, Yvcx11.0J}~ou~v 1ivmçuJy hoc: Come osseva Harder, Callimachus p. 11, il distico pone un problema: chi invocale Cariti è il poeta C. o il «personaggio C.» che dialoga in sogno con le Muse? Poiché l'invocazione è una richiesta di lunga fama per le elegie, ritengo pb) probabile la prima soluzione: il poeta, alla fme dell'aition, spezza per un momento la cornice del sogno e si rivolge alle Cariti in prima pecsooa.Bisogna inoltre ricordare che, come si è detto nel comm. aifrr. 5-9 18, il prirno aition è strettamente legato alla parre proemiale dell'opera, sicché un'allocuzione diretta dell'autore alle Cariti è perfettamente appropriata al contesto. In modo del tutto originale, C. invita le Cariti a stofinart k mani sulle sue elegie per renderle celebri: come nota Bing p. 18, dall'espressionr. callirnacbea si può concludere che le elegie stesse sono intese qui come mattriale serino su tavolette o rotoli (nel fr. 1, 21 s., C. menziona esplicitamente la tavoletta saiuoria che usava da bambino). Anche questo fatto spinge a crede.reche la preghiera fosse prmunciara dal poeta al di fuori della oomicc narrativa Vd. Introd 1.4.E. L'immagine della divinità che, strofinando le mani, dispensa il suofavore viene ripresa da Teocrito (XVIl 36 s.) e Crinagora (App. Pian. 273, 1-3 = GP 2070-2072). Ma in nessunodei due passi si parla di composizione poetica: nell'idillio di Teocrito, Afrodite strofinò le mani delicate sul grtmbo odoroso di Berenice ('t~ µÈ:vKu1tpov qol.Ca Auovac ltO'tY\a lCOUpaI lCOÀ.KOV ic &ùm6,ipa61vàc ic&µaçato x&ipuc); nell'epigramma di Crinagon. Asclepio unst la sua mano di panacta t strofinò la scienza dell'artt curativa sulpttto del medico Pnmaglc,cml comeviale fonnulaao da C., influirà mollO sulla poesia successiva.Nel primo canne della sua raa:oll:a,OcuDo dricdc in qucslOmodo alla Musa di garantire lunga DOIOrietà al propriolibro di poesie O 9 s.; vd. il oomm. di Ellis): quod, o pazrona virga, Iplus ,mo maneat perew wclo_ Catullo, dunque, uy É'tOC.Ovidio, alla fine degli riprende palesemente l'espressione \Va llOJ!,~ou)i.\] P.,ÉVmçt Amorts (Ili 15, 19 5.) definisce le sue tltgit un'operadestinalaa dllrart (inbtllu tlegi, gaaialis Musa, valett, Ipost mta mansurum/ala superlks opus):è c:hiso il rifeaimeuWall'"MJ'JC?K!e al y.Évcoçt uy caDimacbci. Nel quiDIOlibro dei Fasti, Ovidio coocludeun aition rivolgendosi alla dea Flora (vv. 376-378): man.rii odor; possts scirt ft,isst dtam. ljlortat ut toto carmtn Nasonis in aevo, I spargt, prtcor, donis ptctora nostra tuis. Qui toto ... in ano richiama ~ou)i.v ... E-ioc e J'imrnagioe della dea che sparge i suoi doni sul peno del poeta (cf. l'epigramma di CriDagora riportato pill su) fa pensare alle Carili che suo6nam le mani sulle elegie di C. Ma anche alla fine delle Argonautichtdi Apollooio Rodio (IV 1773-1775) si puO a,gliae un parallelo alla preghiera callimac:bca (DOlalO da A Gercte, cRbM»NF 44, 1889, p. 249; vd. anche Harder, Aspects p. 105, Massimilla, Invocazjonep. 325). ApoUoaio si rivolge cosl agli Argonauti: ·o.cn · àpU:'tT!COVµa1eapcov TÉVOC· at51! 5 • ào,&cd I dc e-ioc È~ euoc 1A.uupc.oupa, itlitv àit(&uv I àv8pci,,tou. Come C., Apollooio chiede lunga fama pec la sua opera: l'espressione itic E-tocÈ~ Euoc corrisponde alla frav. callirnacbea ~ou)i.v ... hoc. Ma mentre Apollonio invoca gli effettivi protagonisti del suo poema, C. si appella alle Cariti, simbolo di quella grazia raff'marache il poeta inteude trasfondetein ogni singolo ailion della sua raccolta. 13 l1MS-r&:Il verbo '{1t18,,cosi come l'aggettivo i'l.cxoce il 'Verboil.q1eoi, sono tipici delle invocazioni a partire dall'Odis.rta e dagli inni omerici: cf. Od. m 380, XVI 184, Hy,nn. I 17, III 165, XX 8, XXIlI 4, XXIX 10. La forma Ellcxu è eolica: cf. Sim. PMG 559, 2 iU.a8, (cosl lo scolio Ba Hom. ll. X 252 secoodo Dindorf: 'O..cx8, secondoBsm), Baccb. XI 8 llla8, con a lungo. Si veda Cboerob.Dt orthogr., Cramer, AO Il p. 224. 16 ewx8, · oi AioA.Eic.,àp rua8, (forse dipendente da Herodian., Gramm.Gr. m 2, pp. 499. 19 e 605. 8 Lentz). Da Cberobosco deriva l'Et. Gud. s.v. xU.,o, p. 566. 32 Sturz. La formaru.«xu va forse letta anche nelfr. 1, 17 al poslOdi lUitu (vd. app. e comm. od loc.). Per il singolare '{A.a8,.et. Cali.Jr.inc. std. 638 Pf. e Ctr. 138 con il comm. di Hoptmson. Vd. in generale H. L. Ahrens, «Philologusi. 38 (1879), p. 231 = Kltint Schrgten I (Hannover 1891) p. 306 s. 4L1éJt«no: Come osserva K. J. Dover in E. Degani (ed.), Potti grtci giambici td tltgiaci. Lttturt criticht (Milano 1977), p. 59 n. 10, questo è «il pill anlico sicuro esempio di un'equivaleom lM-yo, = iA.l!Titiat».L'uso della parola nr,oc come composizjonein distici tltgiaci si ritrova presso Apollonid. Anlh. Pal. X 19, S = GP 1277. &vt,ri)c«1c8L1tJ: Il verbo ȵ.aco è UD haptU. 1,scitcL«1c:Il presente A.utomcompare una volta sola nei poemi omerici,come v.l. di puKoco (Od. XIX 72; cf. Cali. Htc. SH 289, 3 = fr. 11, 3 H. A.tit6a>v'tacol comm di Hollis e vd. Rengako5,Homerttxt p. 150). Per il participio A.u1:omv, cf. i passi raccolti da Livrea nel comm. a Dionys. Gig.fr. 11. 8 ~!-~ocov-ia,con l'aggim1tadi Opp. Hal. IV 129, Noon. Dion. xn 264, XVI 32. Per la contrazione, cf. Cali.fr. inc. std. 553, 1 Pf. civui>Y'toccon ;1comrn
COMMENTO: AEI. l FRR. 9 1• 18; 9 19-23
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14 liDJJ, 11ou~i1 1ivatçLU'l hoc: Un'imitazione sollaDto formale è quella di Anton. 1ball. Anlh. Pal. VI 235, 6 = GP 3419: Kou1ù 11ivo1cbt' &oc•. Per di più, mentre Bectby aca>glie in testo JlivoK, che si deve al cmellOl'C del oodice palBUM,Gow-Page coasavano la lezione originaria 11É1ou e ritengono che la somiglianza con il luogo di C. aia presumibilmeotrcasuale (vd Massrn,ma InvocawM p. 324). 1ov~'4: Questa forma compare solo una volta nei poemi omerici (Od. XIX 387, v.l. KoWv).
15-18: Il contcouto di questi versi è oscuro. Se è correuala coanessiooe proposta da Maas fra il PSI 1217 B fr. 1 da un lato e il PSI 1217 A fr. 1 e il POry. 2167 fr. 2 col. I dall'abro (vd. app. ai vv. 14 e 19). i due distici seguivano sàbito l'invocazione di C. alle Cariti (Jr. 9, 13 s.) e prccedevano immediatamente la SUA domanda alle Muse su Anafe e Lindo (frr. 919_23), oflleodo la ll'BDSizionefra il primo e il secondo ailion. Lobe1 propone di integrare
iv )va· all'inizio del v. 15 (vd app.). Forse appaneogono all'ailion delle Cariti ifrr. ÌIIC. wl. 116-119 e 137. Pouebbero risalire a questa parte degli Aitia anche llfr. ÌIIC. wl. 673 Pf. I i\ ÙKÌp crùc·u11.i.ovXap{'tmv Ào~v di anbientazione cireoaica (vd il comm. alfr. 9, 8) e ilfr. ÌIIC. aiu:t. 740 Pf. Vl.lqlEYCll X:P'IY1JC lipCll,lOv 'A~i'lc, che ha per argomento le abluzioni delle Cariti nella foale bcolica Arpfia. Vd nel testo l'anootazionedopo ilfr. 9, 18.
Frammenti 919.23 (Il ritorno degli Argonauti e il rito di Anale) Il «perSODaggioC.» pone alle Muse una doppia domanda, a proposito di due culti loolaDi geograficamente, ma vicini per le loro modalità (vd. Introd. 1.4.B.• l.4D.a.). Perché nell'isola Sporade di Anafe i saaifici per Apollo sono accompagnati da ingiurie? pcn:bé la città rodia di Lindo onora Eracle con imprecazioni? Gli risponde Calliope, ~do per primo l'ailion di Anafe. La Musa invita il cpersooaggio C.» a rirordare il ritorno degli Argooautidalla Colchide e la furia del re Eeta (Jr. 9, 19 ss.), dovuta anche all'uccisione di suo figlio Apsirto, avvenuta nel palazzo (fr. 10). Gli Argonauti fuggono attraverso il Ponto Eusino (cioè il Mar Nero), la Propontide (cioè il Mar di Mannara) e l'Egeo - già percorsi in senso inverso durante il vi3&gio di andata -, mentre i Colchi inviati da Eeta per inseguirli si dividono in due gruppi: uno intraprende la risalita dell'lstro (cioè del Danubio), l'altro compie la medesima rona dei fuggitivi (fr. 11). Il primo contingente, stanco dell'inutile ricerca (fr. 12) e impaurito dall'ira di Eeta, imbocca il ramo dell1stro che - secondo un'opinione errata degli antichi - sfocia nell'Adriatico e, navigando verso Sud su questo mare, si ferma in Illiria (cioè sulla costa orientale dell'Adriatico stesso), dove fonda la c-ittadina di Pola (fr. 13). Il secondo manipolo arriva al Mar Ionio e trova gli Argonauti nella sede dei Feaci - da C. identificata con l'isola di Cordra (fr. 14) e chiamata llllche Drepane (fr. 15) -, che ha un porto a doppia enttata (fr. 16). Questi Colchi sono indotti dal re feacio Alcinoo a lasciare andare Medea e gli Argonauti e, non volendo tornare da Eeta, fondano un insediamento a Corcira; dopo molto tempo, costretti a emigrare, essi costtuiscono la città di Amantinanella regiooe di Otico, in Illiria (fr. 17). Prndo l'Egeo sulla nave Argo, che è parlante perché nella sua chiglia c'è del legno proveniente dalla quercia profetica di Dodona (fr. 18), gli eroi sono sorpresi da una tcoebrosissima notte: il timoniere Tifi non sa dove dirigere la nave, perché anche l'Orsa Maggiore non è più visibile in cielo (fr. 19). Gli eroi invocano il soccorso degli dèi, e Giasone si rivolge specificamente ad Apollo, souo i cui auspici l'impresa del vello d'oro è cominciata (Jr. 20). Febo dà ascolto alla preghiera: sceso dal cielo sugli scogli Melantei, tra Nasso e Tera (fr. 21), il dio CID8D8 un bagliore che squarcia le nubi (fr. 22) e rivela una piccola Sporade, sulla quale gli Argonauti sbarcano. Si originano cosl l'epiteto Eglete di Apollo e il nome Anafe dell'isoletta (rispettivamente da uiy)..fl, bagliore, e cxvcz~ivm, rivelo; d.fr. 9, 23). Al sorgere dell'Aurora, gli eroi celebrano un umile saaificio in onore di Febo. Le schiave feacie
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CALLIMACO- MI'IA, LmRI PRIMOE SECONDO
donale a Medeadalla regina ArelC - e forse Medea stessa - scambianoCClll gli eroi un arguto moueggio, che ~ rimasto nel rito (Jr. 23). Per la ricostruzione di questo schema narrativo, gli Scholia Flortntina 38-43 SODO di scarsissima utilità: essi, infatti, contengono solo una spiegazione molto malridotta del fr. 9, 19-25. Anche i eommentarii Btrolintnsis e Michigantnsis servono a poco,perché coprono soltanto rispettivamente il fr. 9, 23 ss. e ifrr. 19 e 20; essi, per di pii\, si soffermano a lungo su brevi tratti del testo callirnacbeo. Ma sia i mitografi Conone e pseudo-Apollodoro sia Slefano Bwmtino narrano la vicend,1l dc::Uagliarammte: Conon Ditg. cap. 49 (FGrHist 26 F 1 IL, voi. I p. 210) 'Aaollcov AiyA.11ff1c• iv 'AvlXfP!I tjì v11ccp(au't11 6 · ÈctÌ.vini:ÈpV11cou9iipac oùx i:1Càctijc Amce6cx111ovuov) i.Epòv
mc
'Aaoll.covoc AiyA.11tou'{6putcxl, iv 4>cùv tco8ac11cpoi iKlXCOPlOl 8uouu ih. cxiticxv to\CXu't1}v. (2) ou 'Icic.mviK KoA.xmvM116e1cxv cipacic.ac oi1tcx6• i,i:A.E1,xe111èovcxùtoùc a.cxtoc KEplÈcXEICCXÌ. ci1111xaviaKUCCX. EÙXOl,lÉVCDV 6è: ICCXÌ KOÀ.À.à téòv iv tjì 'Apyoi 6to11Évmv, 'A,i:oll.cov to~ov cxùtéòv UKtpcxvcxcxèov tà 6uvà 61ÉA.UCEV UKCXVtCX ICCXÌ. mc célatoc ~ oùpavou 6utkcovtoc vijcov civuxev il yij ile tou Pu8ou, ek iìv op111Lci11Evo1 Kpéòtov ò.eeiccxv "• ilA.iou ton 'Avci.,riv CÌKÒtijc cuvtuxicxc i1CciMccxvICCXÌ. i.epòv 'AaoÀ.À.mvocAiyA.11toui.6puccxvto. ICCXÌ. eù,pcx{vovto tijc civtA.aiuou téòv ICCXICGIV 6è: cùv -rcxic ciacxA.)..cxyijc (8udcx\C) (add. Heyne) ICCXÌtcxiLciUcx\Ceùmxicx\C.(3) M116e1cx CÌl,l'• cxÙtTIVyuvcx1~iv, cxi 25éòpov1tccxvycil,l(Dv-rci>v1acovoc, acx{~ouccxl11età Jd8'iv ECIClDKtov toùc fipmac iv tjì acxvvuxi61· oi 6È civutco8a~ov tàc yuvcxi,ccxc.(4) ÈK toutou toiycxpouv 1tcxì.'Av~imv ('Avcx•cximv Bekker: civcx,Émc codd. AM: /ort. 'Avcx,cxioc Pf., si t poeta) o A.cxòc(cp,c{c8'Jyàp il vijcoc) civà aiiv itoc 'Aaoll.cov1 AiyÀ.11tt1 ,ceptojlouvtu cill.iJ1ouc ÉoptÌJv 1tatà ll11l1JClV È1teivmvciyouclv. [Apollod.] I 9, 26 aÀ.Éovuc 6è: vu1ttÒc c.«>6pcp(scii. oi. 'Apyovcxutcxl) 11:ep1Kiatouu XElllGIVl.'Aaollcov 6è: nàc ÈKÌ.tàc MEA.cxvtiouc(MtA.avtiouc Gaie: jlEVOltiou codd.) 6e1pcic.,to~eucac tcp Pu..tl ek tTIY8ci)..acccxv1ta"f'lc-tp«x'1'EV, oi 6È 1tA.11cuxv i8ecic.cxvto · vijcov, tcp 6È ,i:cxpà 1tpoc60,ciav civcx,avijva1 1tpocopjllC8Évttc 'Avci~v È1tciA.ucxv i.6pucCXjltVol 6è: Pm11òv'Aaollcovoc AiyA.11tou(Aiyaiou A) 1taì.8uucic.cxvtu ia' eùmxicxv 8epciacxivcxl toùc ciplCtÉcxc itpaK1Jccxv. 6o8eiccxl 6 • uaò 'Ap11t11cM116eiqt 6co6e1Ccx EC'ICCDKtOY l'Età Kcx1yviac.o8ev in ICCXÌ. V\IViv tjì 8uciqt cuv118u Ècn CICCOKtElV tcxiL yuvcxiçiv. Stcpb. Byz. s.v. 'Avci.,ri· vijcoc 1,Liatmv Caopci6mv aA.11ciov&qpac .•. toiL 6' 'ApyovcxutcxlC UKÒ XEljlGIVOC tpuxojlÉVOlC ICaÌ. CICOt01l11Y1JC civcx,cxveiccx, 'Avci~ ÈK11tÉKÀ.1Jtcxi. 1Ccxì'Avcx,cxioctÒ i8v11t6v. Probabilmente Stefano dipende da scoli ad Ap. Rb. IV 1711 più ampi degli scarsissimi resti superstiti nei codici delle ArgonauticM alla fine del quarto libro. Questa sezionedegli Ailia è imilata da Apollonia Rodio DOD solo nelle parti del suo poema dove sono narrate le medesime vicende (IV 212-337, 507-521, 982-1222, 1694-1730), ma anche in altri luoghi delle ArgonauticM (vd. soprattutto i oomrn.aifrr. 9, 27-34; 17; 17, 6; 19; 20; 20, 1-4; 20, 6-15; 20, 9; 20, 10; 20, 11; 20, 12 s.; 21; 23, 6 s., nonché Introd Il.I.). Già Hecker, e.e.p. 33, basandosi sui frammenti di C. noti per tradizione indiretta, aveva supposto che Apollonio, nel narrare il viaggio di ritorno degli Argonauti, si ispirasse a un modell(\ callirnacbeo (vd. Benedetto p. 40 n. 52, 55-58 e Prologus p. 6 s.). Le somigliame fra questa parte degli Aitia e le Argonautiche SOD(l analiuate da EicbgrUDpp. 125-133. La vicenda di Anafe è brevemente narrata anche nelle ArgonauticM orfiche (vv. 13531359): vd. i comm. aifrr. 19, 21, 22 e 23. Poiché i mitografi e Stefano Bizantino fomiscono sulla storia di Apollo Eglete e di Anafe dei partioolariassenti nel racconto di Apollonio, Knaac:k,Callimachea pp. 1-5 supposecbe essi derivassero tutti da C.: a questa idea si e.ragià opposto Pf., Kallimachosstudien p. 75 s. Grazie
ai papiri, sappiamo ora cbe C., a differenza dei mitografi, di Stefano e dell'autore delle Argonautiche orfiche, non menzionava la tempesta. ma la notte tenebrosa, seguito in ciò da Apollonio. Resta iDcet1ose nel racamto di C. comparissero altri elementi: l'arco sollevato da
COMMENTO: AET. I FRR. 9 19-23; 919-40
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Apollo (cf. Conone e Ap. Rb. IV 1709 s. riportato nel romm alfr. 22) o la freccia scoccata dal dio (cf. lo pseudo-Apollodoro e [Orpb.J Arg. 1356 s. riportato nel comm. al fr. 22); il festeggiamento ad Anafe (cf. Conone e lo pseudo-Apollodoro). Vd. anche il comm.. alfr. 23. C., come qui pone dopo il primo ailion un racconto sugli Argonauti, cosl inserisce prima dell'ultimo ailion una narrazione dedicata all'Ancora della nave Argo (Jrr 108-109 Pf.): per un'analoga disposizione speculare, vd. la fine del COOllll. aifrr. 5-9 11. Un altto episodio tratto dal ritorno degli Argonauti veniva narrato da C. nell'ottavo giambo (Jr. 198 Pf.): anche in questo caso C. è irnitalO da Apollonio (vd. il comm.di Pf.). Vd. nel testo l'annotazione dopo ilfr. 23.
Frammento 9, 19-40 (7, 19-34 Pf. + SH 249 A 'recto') 19 x&c ai, 8asJ:Il «perSOD8Uio C.» intezpella le Muse tramite l'avverbio 1eci>c., che è spesso impiegato per inlrodmre le domande di contenuto eziologico: vd. il comm.alfr. 5, 1. Per la movenza della frase, cf. Ap. Rb. IV 552-555 I CÌÀ.Àci,8ea(, xci>c... I ... I ... 'Apycp11c xepuoua d111ata YTIO(I YTll'EP'tÈt,cu,: Eeta chiama il Fasi re dei nostri fiumi perché la sua gmodeu.a supera quella degli albi cani d'acqua nella Colchide. ADalogamentel'autore delle Argonauzicheorfichemette in rilievo la possam.adel Fasi con gli aggettivi ipuµvoc ed eùpu11ev11c(vv. 85, 894, 1052): vd. F. Vian, «ICS» 6 (1981), p. 140. L'integrazione di Schwartz 11:oirxµci>v (contro il 11:rxdpcovdi Wilamowitz, vd. app.) è SOSlCDUta da Dion. Per. 353 9uµppic iuppE1'f11C,KO'flXllO>V Prxul.eutlX'fOCciUmv, Verg. Georg. I 482 lfluviorum ru Eridanus,Aen. vm n comiger HesperidJUn jluvius regnalor aquanun (a proposito del Tevere; i due luoghi di Virgilio sono stati ricbiamatida F. Vol.lmer ap. Pf., Kallimachosstudienp. 42 n. 4), Ov. Mel. IX 17 regem(v.l. domimun) ... aquarum I (a proposito dell'Acbeloo). Ma cf. anche Bacch. IX 45 J, 11:oiut11A.CDn: civrxçaoirxµéòv I (detto dell'Asopo), Enn. AM. 63 Skutscbfluvius, qui est omnibus princeps I (detto del Tevere), Mart. X 7, 9 I Thybris ... dominus, Sii. vm 367 sceprriferi ... Thybridis, StaL Silv. m 5, 111 s. duclor aquarumI Thybris,Theb.IV 118 s. jluvionun ductorAchivum,I Ino.che. 35 ~&.[:Forse c'era qui una forma della parola "Açuvoc (scii. 11:ovioc,vd. app.). Il Mare inospitale, cioè il Mar Nero, era in genere eufemisticamente chiamati) Euçe.ivoc, ospitale: ma cf. Pind. Pyth. IV 203, Eur. Andr. 793, Iph. Taur. 218 al., Hel. 404. Sul Mar Nero si lanciano in fuga gli Argonauti(cf.fr. 11). 36 ts\11:[: Si ttatta forse dell'aggettivo aiic:poc(vd. app.). Si può pensare all'acqua amara del Mare Inospilale:per quest'usodi ,nic:poc,cf.fr. 20, 11 con il comm. 39 a. 1'16&,'1[ ••. ax8pats .[: Qui c'è forse un riferimento all'odioso operalO di Medea o al fatto cbe Medea teme le aziooi ostili di Eeta e dei Colchi.
Frammento 10 (8 Pf.) L'attribuzionedel f'nunmeob:)agli Ailia e a questaparte del raccontoè oongeumalee deriva dal suo contenuto. Forse un riferimento all'uccisione di Apsirto si può cogliere nel
Commentarius Berolinensis 24 s.; vd. anche l'app. alfr. 9, vv. 27, 29 e 29 s. Secondo C., Apsirto venne assassinatonella reggia di Eeta, cioè prima della partenza degli Argonauti. La medesima versioneera offerta da Sofoclenelle Colchidi(TrGF343 ap. SchoLAp. Rh. IV 223-
230 d): Corpoic:Ài\c6È Èv KoÀX\Cl'P'lci ic:rxiàiòv olic:ov.tou AiiJiou iòv Krx'i6rxcrprxyijvrxi. Euripide non solo dice cbe Apsirto fu trucidato nel palazzo, ma chiarisce cbe l'assassina fu Medea: Eur. Med. 1334 ic:irxvoucrxyàp 61) còv ic:cxciv11:rxpÉcnov.In base agli elementi a nostta disposizione, non si può dire chi uccise Apsirto secondo Sofocle e C. Cf. Schol. (B) Eur. Med. 167 àvnpi\c8rxi 6È rxùiòv oi µÈv u11:òM116t:(rxc, oi 6È uxò ici>v'Apyovauiéòv. Per Apollonio Rodio (IV 452-481), l'assassino di Apsirto è Giasone: ma nelle Argonautiche l'omicidioavviene non nella reggia, bensl in lsttia durante l'inseguimento.Sulle varie versioni relative all'autore e al luogo dell'uccisione,vd. Roscher-Seeliger,RML l (1884-1886)p. 3 s., Wilamowitz, HeU.Dichl. Il pp. 191-197e il comm. di La Pennaa Ov. /b. 435 (vd. anche De Cola p. 114). Vd. l'annotazionedopo il testo.
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Frammento 11
CALLIMACO - AITIA, LmRI PRIMO E SECONDO (9 Pf.)
L'attribuzione del frammento agli Aitia e a questa punto della vicenda è congettmale e deriva dal suo contenuto. Le fonti sono tre scoli ad Apollonio Rodio, sui quali Pf., Kallimachosstudienpp. 48-52 aveva accolto o proposto egli stesso degli interventi congetturali e avan7.al0 delle interpretazioni ipotetiche: gli uni e le altre sembrano ..ov ycìp È1Ctd.iec8cnòfo11at. I, Il. XII 217 I Z>at: iilla).).a: Nello scolio ad Ap. Rb. I 1309 (che ttamanda questo verso), a C. e agli albi poeti post-omerici viene rimproverato l'impiego dell'imperfetto 1111d.Minvece di i11d.).r.. La forma ii11Ell.ovsi trovava presso Hom. /1.XII 34 secondo il testo di Zenodoto: I mc.1111Ell.ov 01uc8r. (vd. Rengakos, HomerttXl p. 61 s.). I nosbi codici banno invece mc.cip· i11d.).ov, dimostrando l'efficacia della censura mossa a Zenodoto da Aristarco: cf. Schol. (A) ad loc. ZTlvoootocyp~r.t 'mc. ii11r.Uovonte8r.·. iut liÈ !iap!iapov. In alcuni casi, la forma ii11ù.).ov è garantita dal metto: cf. Hes. TMog. 478 (con il comm. di West), 898, [lbeogn.J 906, Aristoph. Ran. 1038, Ecci. 597; C. la adotta anche in Iamb.fr. 191. 38 Pf. e in DeL 58* (vd. Kuiper p. 195). La poesia calJimar.bea mostra in vari luoghi di essere influenzala dal testo omerico di Zenodoto: cf. Att.fr. 67, 13 Pf., Htc.fr. 238, 19 Pf. = 18, 5 H.(?), Hec. SH 286, 6 =Jr.47, 6 H., Hec. SH 288, 58 = Jr. 74, 17 H. (ma vd. il 00mm.di Hollis e le sue osservazioni a p. 12 dell'introduzione), frr. inc. sed. 472 Pf., 497 Pf., 630 Pf., Dian. 103 (con il comm. di Bommann); vd. anche il comm. di Pf. ad Aet. fr. 15, vv. 46 e 48 (?) e cf. Vict. Sosib. Jr. 384, 32 Pf. In albi casi C. attesta variae ltctiones omeriche che si devono a studiosi diversi da Zenodoto: cf. Jr. inc. sed. 177, 17 Pf. = Att. SH 259, 17 (Callistrato), Htc. Jr. 238, 17 Pf. = 18, 3 H. (Riano), Htc. Jr. 315 Pf. = 122 H. (nvéc.), Jr. inc. std. 548 Pf. (ai ci1tò iéòv 1tò>..r.(l)v Èx:liòutc.). Vd. anche Pf., Storia p. 229 s. e le osservazioni critiche di H. Erbse, «Hermes» LXXXI (1953), p. 179, che aggiunge il/r. inc. sed.633 Pf. aUa lista dei passi nei quali si può ric:oooscere l'influsso di Zeoodoto, nonché Reogakos,Homertat pp. 79-87, 140151. llHIÌ zp61rov:Per il oesso (oltre ad Ap. Rb. I 1309*, IV 1213*, Nonn. Dion. IV 421*, XX 142• riportati più su), cf. già Herodot. Il 52, 2; 57, 2; III 1, 4 e ancora Nonn. Dion. XXXV 334*.
Frammento 18 (16
Pf.) L'appanenema del frammento agli Aitia e a questa punto della vicenda è congettmale e (parlante) la deriva dal suo contenuto (vd. anche il comm. al/r. 19, 11). C. chiama fv). Vd. in generale T. Schreiber, Apollon Pytholaonos (Leipzig 1879). cÌtl:a0.1u: L'uso del verbo à1ttl.À.Éwnel senso di faccio voto compare già io due luoghi dell'Iliade omerica: XXIII 863 s. où6 · ii1te0..11cEvavmcn I ... pÉçew ... Élcatoµ,P,,v I e (con lieve variazione) 872 s. ii1ttO..TJctvÉ'IClJ~oÀ. 'A,i;ollcovt I ... pÉ~ew ... Élca-r6µ,P,,v I. Anche qui (come nella pregbieia di Gwone) vengono promessericche offerte ad Apollo. 7 i, Ilu8m sÉJµ,•uv, sq)i,l.cì ~' ù 'Op-ruyi11v: L'integrazione è praticamente cena, perché si basa su Ap. Rh. I 418 s. e IV 1704 s., che imita C. (vd. il c.ommai vv. 615). Se Apollo disperderà la tenebra, Giasone fa voto di mandargli molte offerte nei suoi due principali luoghi di culto: la città di Delfi io Focide e l'isola ciclade di Delo. Pito è il nome originario dell'oracolo delfico e si trova già nei poemi omerici (ll. Il 519, IX 405, Od. vm 80, XI 581). L'inno omerico ad Apollo (vv. 363-374) ne spiega l'etimologia: Febo uccise la dragonessa che infestava la zona da lui prescelra per il suo oracolo e sul cadaveie del mostro gridò: «Imputridisci!» (v. 363 1tu8to); il sole «fece imputridire» (v. 371 icadxuc ·, v. 374 ,i;uce) la carogna. Il toponimo llu8m viene impiegato da C. anche nel.fr. 34, 7 e in Ap. 100. Delo veniva chiamata Ortigia (cf. ancora Cali. Ap. 59, Ep. LXII 2 Pf. = HE 1322) o perchéin essasi rifugiò I.atonamurara in quaglia (opru~). quando la gelosa Era la perseguitava (cf. Schol. Cali. Ap. 59) o perché l'isola fu colonizzala t\alla città etolica di Ortigia (Nic . .fr. 5 Sebo.= FGrHist 271-272 F 5 ap. Schol. Ap. Rh. I 419). sq>il,ci: L'anafora di ,colla viene ripresa da Apollonio Rodio nel passo corrispoodente 0V 1704 s. riportato nel com.m.introduttivo a questo frammento, vd. il comm. di Livrea) e sostituita con l'anafora di alla nella prima preghiera di Giasone (I 418 s. riportato nel comm. ai vv. 6-15). 8 d 11:av ci1uxJ811l.6acc11v cis' 'Ì!Ép11 v11òc U.a.cq1c: Per la configurazione metricadel verso, vd. Introd. m.t.A.c.vi. ciµ,txJ811l.6acc11v: L'aggettivo compare una volra sola nei poemi omerici: Il. XXIV 753 Aijµvov àµ,tx8a16Eccav I (nesso ripreso da [Hom.) Hymn. ID 36). Lo scolio al passo dell'Iliade, che è fonte di quest'esametro, offre tre spiegazioni: feconda. nel dialetto di Cipro; scoscesa o importuosao inospitale(alphaprivativo+ µ,i-yvuµt); nebbiosa (cf. òµ,ixÀTJ,nebbia). Un'analoga discussione si trova nel Commentarius Michiganensis 5-30 (vd. anche l'annotazione ad loc.). C. opta per la terza interpretazione, che - come osservaVan der ValleI p. 280 - «non è basata sull'etimologia della parola,ma su dati generici. Lemno, infatti, conteneva UD vulcano. Perciò gli intapreti possono aver pensato che l'isola fosse "nebbiosa. nuvolosa"»; vd. anche Rengakos p. 38. Come ha notalo Pf., da C. dipende Collulh. 208 Livrea àµtx8ai..6Evtoc à1t' iiépoc oµ~pov àeka (cieka Livrea: ieka vel àvEka codd.) I. Lo scolio all'Iliade attesta che Anlimaco, nel testo omerico, saiveva µ,tx8al.6ecca (Jr. 141 Wyss), probabilmente per evitare fine di parola dopo il «guano trocheo». La forma µ,tx8CIA6acca si ritrova in UD onomasticumpoetico (SH 991, 65) e nel Lessico di Esichio. CÌK• 'Ì!Ép11 v11òc il.accnc: Qui 'l'IP ha il significato omerico ed esiodeo di nebbia, 1, foschia, come in Hec. fr. 319 Pf. = 19 H. e forse in Hec.fr. 335 Pf. = 135 H.; cf. io~.fr. 34 ÉlC6tTJcT1Époccon il comm. Dall'uso epico C. trae anche il genere femminile della parola, come nel.fr. 1, 34 (vd. il comm. ad loc.). Per l'immagine del dio che disperde l'iiTJP, cf. Hom. Il. XVD 649 aÙ't\lCa 6' iiépa µ,Èv cicÉ6auv icaì CÌ1téÌ>(EV ÒlllXÀ.TJY (7.eus), Od. xm 352 mc ei1touca 8eà cicÉ6ac • iiÉpa, eicato 6È x8mv (Atena); probabilmente il primo passoè il modello di C., dato l'accostamento di iiÉpa e òµ,ixl.TJv(cf. qui àµ,txi8ai..6eccav ... 'Ì!Épcx). II vocabolo iiÉpa si interpone fra la preposizione e il sostantivo: cf. Htc. fr. 251, 1 Pf. = 35, 1 H. I ÈIC6' aptOU( U1tUTJ8tvcon i comm. Per la bncsi à1t' ... u.cic.C{lc,d.frr. 1, 21; 64, 16 e forse 17, 4 s.; 26, 11; 27; SO, 66 e 55, la-1; d. inoltre - in Att. fr. 75 Pf. - i vv. 7, 39, 62 e vd. Pf. Il, lndex rerum notabilÌllffls.v. tmtsis (p. 140) e Lapp p. 47 s.
COMMENTO:AET. I FR. 20
277
9-15: Giasone, nella sua preghiera, dice che Apollo è tenuto a soccorrere lui e i suoi compagni, ptrchi (on) essi, basandosi sul suo oracolo (v. 9), banno sciolto le gomene, sorteggiato i remi (v. 10) e banuto con questi l'acqua del mare (v. 11); a Pagase, prima di mettersi in viaggio, essi hanno innalzato UD altare e un tempio, l'uno in onore di Apollo «che presiede all'imbarco» e l'altro in onore di Apollo «litoraneo» (v. 12 s.). Grazie ai ricordi di Giasone, C. può rievocare questi episodi precedenti alla paruma degli eroi dalla Tessaglia, cbe altrimenti non troverebbero posto nella sua narrazione: come vedremo, Apollonio Rodio utilizz:a qua e là questi versi nel primo libro delle ArgoNlllticht. 9 c{iv, ~otlle., 1Ca'f'aiup.iTtv: Per aiuµ{Tl come equivalente di p.avu{a, vd. l'app. delle fonti. Prima di inttaprendere la spedizione, Giasone si è recato a Delfi per inteirogare Apollo: tramite un vaticinio, il dio gli ba promesso di mostrargli il cammino e di dare 00U1pimento al suo viaggio, se l'eroe inaugmerà la spedizione con saaifici in suo onore. Nel primo libro delle Argonauticht di Apollonio Rodio, Giasone rievoca il fatto in due occasioni: 360 s. 'Aaollcovoc, o P,DlXPl.lCOV UKÉ6tt't0 I u1µcxvÉElV6e{~e1.v'tt KOpouc alo,, prima del varo della nave (per ciO che precede, vd. il comm. ai vv. 12 s. e 10 È1C[À.]1JP.'9'avt6 'f' Èpnp.a); 411-414 ava~ ... I •.. p.DlUKU't'lt I Ilu8oi XPEl.Op.Évcp avuuv 'ICaÌae{pa8' o6o'io I '"p.avuw, aùtoc 1àp ÈKCX\'t\0(EitÀ.euciÉ8À.cov,dmante la preghieradi Giasone ad Apollo prima della partema (per il séguito, vd. il comm. al v. IO ,cekp.at '] au~qy). L'impresa degli Argonauti era anche connessa a UD altro oracolo di Apollo, dcsaiuo già da Pindaro nella quarta Pitica: recatosi a Delfi, Pclia 0'usmpatore del trono di !oleo) apprese di essere destinato a morire per opera dei discendenti di Eolo (bisnonno di Giasone) e venne csorwo a guardarsi dall'uomo che sarebbe giunto a !oleo cal7.ando un solo sandalo; costui arrivò, dicbiarO di essere Giasone figlio di Esone e reclamò il regno; per sbarau.arsene, PeJialo inviò in Colchide (cf. sopnauutto vv. 70-73 tk yàp cipxà 6É~cxto vaunlicxc.; I ... 8ucpatov ... I ... I ... p.avuup.a e vd. il comm. di Bruwell ai vv. 71- 78). Il vaticinio di Apollo a Pelia viene rievocato succintamente da Apollonio Rodio nei primi versi delle Argonauticht, all'interno dell'invocazione proemiale al dio: a Pelia era stata profetizzata la morte per mano di colui che, fra il popolo, egli avesse visto indossare un solo sandalo (cf. specialmente v. 5 I toi'lv yàp IleÀ.1'1, cpanv ex:À.uev);costui - cioè Giasone - arrivò stcondo il vaticinio e venne mandato in Colchide. L'espressione di Apollonio che apostrofa Feboè 'fd)v 1Ca'fà lla;w (v. 8): essa sembra ispirarsi al ,iiv ... x:cxt'cxie1.JllflV di C. 10 seicp.a'f'] il.uçcn: Che in lacuna si debba integrare ttei,p.(a) o ad,p.at(a) è praticamente certo, data la frequem.a del nesso Kekp.a (aekp.ata) À.uuv: d. Hom. Od. xm 77, Cali. Htc. SH 286, 9 s. = fr. 47, 9 s. H., Ap. Rh. I 422 s. al., [Orph.J Arg. 360 al., Quint. Smym. VII 372, XIV 371, Greg. Naz. Carm. (PG 37) I 2, 1, 686 (p. 574), Il 1, 1, 311 (p. 993), Nono. Dion. IV 227, vn 47. Per di pii), Apollonio Rodio impiega l'espressione nella preghiera di Giasone ad Apollo prima dell'imbarco, che esibiscevari punti di contatto con il frammento di C.: I 422 s. À.u,a1.p.1. 6 ·, civ~. ix· ci1n1p.ovlp.DlPTII aekp.a'fa CflV 6\à p.frnv (per ciò che precede, vd. il comm. al v. 9). i1C[À]1JP.4cav'f6 'f' ipup.ci: I banchi dei rematori sono stati sorteggiati dagli Argonauti prima della partenza: cf. Ap. Rh. I 358 aeaaÀ.ax8e x:a'tà x:À.Tti6ac Èpe'fp.a I (esortazione di Giasone; per il séguito, vd. il comm. ai vv. 12 s. e 9), 395 x:À.Ttt6a, p.Èv xpéòta ttaÀ.cp 61ep.01p11uxvto, 529 I rix t6atav'fo xapol8ev Èpe"Ép.ev. Cf. anche Verg. Aen. m 510 I sonili rtmos, Prop. m 21, 11 rtmorumque parts ducilt sont victs. Si noti che, in ix:[À.]1Jpf9C.avto, eccezionalmente l'tpsilon non si allunga davanti al gruppo di mula con liquida all'interno della medesima parola: vd. Introd.m.2.B.b. 11 tn.:pb'( f1Co•av Glep: C. varia l'espressione omerica iiÀ.a 'fUatov Èpe'fp.oi, I (Od IV 580, IX 104, 180, 472, 564, xn 147, 180; cf. anche XII 214 s.), ripresa da [Orph.] Arg. 457. Da C. dipende Ap. Rh. I 914, Il 590 I x:oxtov u6cop. L'aggettivo a1.x:p6, indica la salinità del mare: d. Hom. Od. IV 406 I K1.x:pòvcixoxveiouta1. cv.ò, ... ò6p.11vI (a proposito delle foche di Proteo), V 322 s. w..p.11vI Klx:p{iv.Per il nesso 1tlx:p9v ... u6cop, cf. Heliod. SH
o,
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
472, 3 s., Greg. Naz. Carm. (PG 37) I 2, 2, 97 (p. 586), Il 1, 11, 217 s. (p. 1044), Nono. Dion. XII 143, XXXIX 234. Vd. anche il comm.al/r. 9, 36. 12 s. t•mvu11ov "E11,Sqç(o\o ••. l{.11yqLcJ11ic: Igino (Astr. Il 37, vd. app. delle fonti) attesta che, mentte secondo Pindaro la nave Argo fu costruita nella città tessalicadi Demetriade (cf. Pyth. IV 188), secondo C. essa venne edificata in Tessaglia accanto al tempio di Apollo «litoraneo» (" A,cnot) - che gli Argonauti stessi eresseroal momento della partenza -, nel luogo chiamato in séguito Pagase (da 7t11yvuµ1)appunto per la costruzionedella nave. Il passo di Igino riguarda palesemente questi versi. Le parole ~mvu11ov "El'P~w10 si rifcrisoono all'erezione di un altare in onore di Apollo «che presiede all'imbarco», come mostrano due luoghi delle Argonautichedi Apollonio Rodio influemati da questa parte degli Aitia: I 359 s. Pa,µòv È11:a1cnov"El'Pacww I 8E(o1uw, esortazione di Giasooc prima del varo della nave (per ciò che precede, vd. il comm.al v. 10 Èic[À.),Jp~avt6 t" Èpn11ci; per il séguito, vd. il comm. al v. 9); I 403 s. V'liEov aù1681 pmµòv Ènaicnov 'AnoÀ.À.covoc,I "Aic1fou 'E11Pacfo10 1· ixci>vuµov, Schol. G& (vf16v)] ypci•na1 Pm116v(per il séguito, vd. il comm. ai vv. 6-15, 9 V..uç"v); come si vede, Apollonio nel primo passo impiega l'epiteto e 10 xdc11at') "EµPado10 alla fine dell'esametro cane C., nel secondo riprende da quest'ultimo la sequenza ÈKi:ovu11ov"E11Pacfo10(invertendo l'ordine delle parole). Nelle Argonautichedi Apollonio, gli m>i costruisrooo anche un altare in onoredi Apollo «protettoredello sbarco» ("EicPci.cux) dopo il loro arrivo a Cizico (1966); per Apollo "EicPci.c1ocessi compiono saaifici, una volta gilmti in Misia O 1186). Come si deduce da Igino, C. narravache gli Argonauti, prima di partire.edificaroooanche un tempio ad Apollo «litoraneo» (" Aictwc): Lobcl congetturò che le parole 'A1edou e YTtOV comparissero nel testo callimacbeo (vd. app.). Cf. Stepb. Byz. s.v. 'Ami· ... un icaì. 'A1m1 Mayvt)dac, cicp• ~e "An1oc icaì. "Exci1C11oc'AxoÀ.MDvn11iì1a1 (la Magnesia è UD distretto orientale della Tessaglia, dove si ttovano sia lolco sia Pagase, cf. il passo di Igino nell'app. delle fonti). La devozione di Giasone - e degli Argonauti in genere - nei coofrooti di Apollo è UD tema ricorrente nelle Argonautichedi Apollonio Rodio: oltte ai luoghi già citati, cf. Il 493 s., 694-713, 927-929. Pagaseè il luogo di imbaroo degli Argonauti anchesecondoApollonio Rodio: cf. I 237 s. i'cav 11uà vija ... iv8a KEp 'A1etai I icÀ.ttfov-ia1Ilayacaì. Mayviin6u coo lo scolio. Nel poema apollooiano, l'Apollo di Pagase viene invocato da Giasone pima della parteDZa: I 411 I 1c:À.u81,cival; Ilayaccic ... va(cov I (per il contesto del passo, vd. il comm. ai vv. 6-15). Apollonio fa sbarcare gli eroi a Pagase nell'ultimo verso delle Argonautiche: cicxadcoc ciic1àc Ilayau1(6ac dca,cÉPflu (IV 1781, cf. gli scoli). Il culto di Apollo a Pagase ~ attestato per la prima volta presso [Hes.] Scut. 70 ciÀ.coc icaì. Pm11òc 'A1tollcovoc Per la derivazione del nome Dayacafou I; cf. anche Hesycb. s.v. Dayad'tflc · 'A,coÀ.À.cov. Dayaca( da n~yvuµ1 in rapporto alla nave Argo, oltte al passo di Igino riportato nell'app. delle fonti, cf. Schol. [Hes.] Scut. cit. t61toc ti\c 0EnaÀ.uxc, còvo11ac11Évocxapà 1ò È1etti 't11V 'Apym ,cnijx8a1 (= Et. Gen. B s.v. Dayacafou 'AxoU.COvoc), Strab. IX 436 CÌKÒti\c vauffTjy(ac ti\c 'Apyouc icaì. Dayacàc À.Éyu8a1 11u8E'i>ouu 1òv 'te>Kov,Schol. anonym. Greg. Naz. Or. I c. Iulian. col. 641 A 7 = PG 36 p. 1236 Dayacal .•. cixò 1ou t11v 'Apym 11:ayijva1. Il riferimento a Pagase in rapporto alla spedizione degli Argonauti diventa topico nella poesia latina Properzio(120, 17 s.) e Lucano (VI 400) rievocano la partenza degli eroi da essa. Gli aggettivi Pagasaeuse Pagastius si riferiscono spesso alla nave Argo: cf. Ov. Met. VIl 1, XIII 24, Lucan. Il 715, Sil. XI 469, Val. Fl. I 422, V 435, VIlI 378, Stat. Ach. I 65. Valerio Fiacco def'miscegli Argonauti Pagasaeaiuvtntus(VII 556).
Frammento 21 (19
Pf.), di autore incerto isl shpuc: L'attribuzione del frammento a C. e la sua appartenenza a questo punto degli Aitia sono congetturali e si ricavano dal suo contenuto.
Ma1uv,a I v;\cov Èlrnc:À.TJCICOUC:\ 11:epllC'tlOVIC av8pCOKOl(V. 1358 S.). Conone saive che gli Argonauti celebrarono la salvezza insperata; durante la veglia (11:avvuxk), Medea e le sue ancelle feacie (che le erano stare donate per le nozze con Giasone) sotto l'effetto del vino si burlarono degli eroi, che le rimbeccarono; da allora gli abitanti di Anafe festeggiano annualmente Apollo Eglerc apostrofandosi a vicenda con motti pungenti. Apollonio Rodio dice che gli Argonauti allestirono con mezzi di fortuna un sacrificio sulla spiaggia deserta; le ancelle feacie di Medea, al vederli libare acqua sui tizzoni ardenti, scoppiarono a ridere, abituate com'erano ai ricchi sacrifici di buoi compiuti nel palano di
frr. 9 19-23)
COMMENTO: AEI. I FRR. 22-23
281
Alcinoo; fm le donne e gli eroi si accesecosl un arguto motteggio; da allora. durante i saaifici per Apollo Eglete, gli uomini e le donnedi Anafe si insultano a vicenda: piçov 6 • otci icev av6pu Èpeµain ÈvÌ. piçelY I ciictji Èq,01tÀ.lC(E\aY. o 6,i cq,eac OltltO'tE6aA.o'ic I u6Q)p ai8oµÉvotuv ànUe{pov-iac wovto I M116ei11c 6p.cpaì.ltat11d6ec, oùicit • EKEtta I icxiµev (icxiµev Rzacb: icxetv coda.) Èv ct,i8uu yÉÀ.mc8Évov, ota 8aµeuic I aìÈv Èv 'AÀ.ictvooto Poonaciac opoOKa\· I tàc 6' aicxpo'ic ~pmec ÈKlctoPÉE(ICOY EKUUYI XMUTI T1180CUYO\' yÀ.UICEPTt 6 • cive6aino µÉc.crpI ICEp'tOlll'licaì. YE'ilCOC È1tuPoA.ov.ÈIC6É YUICE\YTI( I µoÀ.,ri\c TJPCOCOY v,iccp ÈvÌ. to'ia yuva'ilCE( I civ6pciu 611p1ocovta1, ot' 'A1toÀ.À.cova8u11A.a'icI AiyÀ.,i'tTlv"Avaq>'lcnµ,iopov wiciccovta1 (IV 1719-1730). Lo pseudo-Apollodoro racconta che gli Argonauticompironosaaifici perFebo e si diedero ai festeggiamenti;le dodici schiave donate a Medea da Arete preseroin giro gli eroi; da allorale donnedi Anafe pronunc:iaDo parole salaci durante il sacrificio. Il nostro frammento mostta che C., sàbito dopo avere desaitto il sorgere dell'aurora(v. 3 s.), menzionava le ancelle di Medea e lo scherzoso motteggio con gli eroi, paragonandoloforse al rito eleusino in onore di Demetta (vv. 5-10). Perciò l'eziologia dei nomi Eglete eAnafe (d. fr. 9, 23) e - evenmaJmente- la rievocazione dei monumenti eretti in onore di Apollo dagli Argonauti dovevano comparire nel ttatto di testo precedente. Non si può stabilire se, nel racamto di C., il baaibeca> coinvolgessesolo le ancelle (come dicono Apollonio e lo pseudoApollodoro) o con loro anche Medea (comeracconta Conone): vd. in proposito il comm.al v. 5. Ma di ceno, secondoC., il culto di Apollo ad Anafe non consisteva nelle burle delle donne agli uomini (come dice lo ~Apollodoro), bensl in un alterco reciprooo (come raeoootano Conone e Apollonio Rodio): d. infatti Jr.9, 19 S. CÌYflp'Avaq,a'ioc i1t' aic[XPOK I ... CX'Jl!l 8uc1f1Y. 1 J .1&,vù.,o[: Lobel osserva che l'enigmatica sequenzadi lettere J1v\À.t(con epsilon molto incerto) si ritrova neJfr. 25, 13 e congettura che essa si riferisca al comune carattere escrologico dei riti di Anafe e Lindo: ma Pf. fa giustamente notareche il saaificio degli Argonauti in onore di Apollo (dal quale si origina il rito anafeo) viene desaiuo solo a partire dal
V.
5.
2 b:\ P1a•[ap: Pf. suggerisce una ricostruzione di questo tipo: dopo che gli eroi approdarono nottetempo ad Anafe, «il sonno cadevaper pochissimo tempo (o non cadeva affatto) sulle loro palpebre»(1t11tuv] iaì pÀ.eq,[apolC,vd. app.); gli Argonauti, cioè, appena sorsel'aurora (v. 3 s.) allestirono il saaificio per Apollo. Per il nessoÈl:ì pÀ.elP(ipolC,d.fr.
99, 1•. 3 s. t6.pC1 a' ÀY\flCO\IJCCI À.6,ov Pob, 'l ypuo TltlD I Aaop.aaovta(9] aa,a\ xpoiccap.[sv11: Sorge l'aurora, il momento del giorno net quale si impone il giogo ai buoi. La dea F.os viene chiama~ Tito: come spiegano le fonti, questo nome è una fonna ipocoristica di Tt-iavk (Eos era figlia del Titano Iperione). Ella si Jeva dal giaciglio nel quale ha dormito con il suo giovane sposo Titono, figlio del re troiano Laomedonte (l'integrazione all'inizio del v. 4 è molto probabile). La parola 1tat6i contiene un'indicazione cronologica: ai tempi dell'impresa argonautica, Titono (fratello di Priamo) è ancora un fanciullo; la sua esttema giovinezza allude per conttasto alla decrepita vecchiaia che lo coglierà in futuro; l'anzianità di Titono è anzi un motivo proverbiale (cf. Cali. lamb. fr. 194, 53 Pf.; vd. il comm. alfr. 1, 33-35 e 39 s.). Con arte tipicamente ellenistica, C. fonde l'immagi11eesiodea dell'aurora che aggioga i buoi (vd il comm. aJ v. 3 ùv1,icouJca À.ocpov Pooc) con quella omerica di F.os che sorge dal Jetto di Titono (vd. il comm. al v. 4): vd. A. W. James, «MPhL» 3 (1978), p. 169. Un accostamento simile si riscontta presso Quinto Smimeo (VI 1-4), dove peroil motivo dell'aurora che porta la fatica non è riferito ai buoi, bensl agli uomini (vd. il comm. al V. 3 CÌY\Tl(OUJ(IX À.oq,ovPooc): I 'Hèoc .•. À.ÉICtplX À.l!tOUCaI T18covou 1tpocéP11 JlÉ.lavoùpavov .•. I ..• I toì. 6 • eic lpya tpci11:ovtoppo-ioi. La descrizione del nuovo giorno che sorge dopo l'approdo degli eroi ad Anafe è molto pia sobria nelle Argonautichedi Apollonio Rodio (IV 1713 s. riportato net comm. introduttivoa questo fmmmento).
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CALLIMACO-AITIA, LIBRI PRIMOE SF.CONDO
3 "OffCI a·:Impiegaaoassolutamente. tC>ffCX 6i significa frallalllo, cane anc:bc in an passo dell'Ecale (SH 288, 27 = /r. 70, 12 H.). Cf. già Hom. Il. XIII 83• aL e poi Ap. Rh. I I, a ptopositodell'apparizione di Anafe), Tbcodoc SH 1207•, IV 1711 (civà t«>.p' r..a«v&ti 764, 4•.
civ1.iiuv1as ~• Ilo«:L'aurora sorge per affliggere ooo il giogo la cervice del bue. Come osserva Pf., C. ricava il motivo da Esiodo (Op. S80 s.): ,;mc, ii u .«veica aoAiac àiP.,ct 1C!À.ro8ouI civ8pco1to\K, xoll.oid t" ài ç'U'Jà jioud t{9'iuv. Un'immagine smaloga è ttaneggiala da Ovidio (Ani. I 13, 16) che, rivolgendosi ad Aurora.dice: prima vocas tardos sub iuga panda bovts. Al coottario, la stella Vespero libera i buoi dal giogo (ed è perciò driamara ~ouÀ.utoc nei poemi omerici, IL XVI 779, Od. IX 58): cf. Call. Aet. SH 2S9, S s. CÌCfllp tit') cip' lp.tÀ.À.t ~oéòv cno 11,uca~ [À.uctlV I aUÀ.lOC]l, 6u811T1JVduv Ult iiù..fou. Per la coob'appSiziooefra il giorno e la notte dal punto di vista dei buoi, cr.ekg. anonym. in Maectnalt!m I 99 s. lw: tst: taurus arar; no:xtst: rtquiescit arator, I libtrat et merilo fervida colla bovi. Io un altro passo degli Ailia, l'aurora riserva ai buoi una soffcrem.a ben maggiore:fr. 15, 10 s. Pf. 'lq>Ol p.i:v l11,t.U.ov iv u6an 8u11,òvcitiuçtlV I oi. Puu òçtiav 6ep1Cop.tvol 6op(6a (a proposito dell'imminente sacrificio per le nozze di Cidippe). La sottomissione del bue al giogo viene descritta da C. anche nel Jr. inc. sed. 6Sl Pf., e Apollooio Rodio, in mi'ampia siroilimdine (Il 662-667), tratteggia la falic:adei buoi che arano; d. inolb'C Ov. Mtt. I 124 prtssique iugo gt1flllere iuvtraei I. IÌV\iicou1c11: Questo participio futuro è stato restituito da Pf. dalle variae lecrious presenti nei codici degli scoli a Licofrooc, che tramandano il v. 3 s. (vd. app.): d. Hom. Od. D llS civl,iu1 'JI?• (con iota lungo come qui); cf. ancbefr. 20, 5 civl)açmv coo il romm Eos.dunque, porta la fatica sulla terra: per questo tema. d. anche Call. Htc. SH 288, 6S69 e fr. 14, 24-28 H. e forse Htc. fr. 291 Pf. = 113 H. (vd. i comm. ad loc.). Il motivo è aN,astanz.a frequente: olb'C ai passi riportati nei comm. al v. 3 s. e al v. 3 civl,icouJca ~v Pooc. d. [Hom.J Hymn. IV 98 op8poc ... 61')p.1oq,yocI, Verg. Atn. XI 182 s. Aurora inttrta (d. qui to•pa 8 ') mistris monalibu.s almam I t.Itukrat lucem, rtftrtns opera atque laborem, l'intera elegia tredicesima del primo libro degli Amorts ovidiani. Ov. Mtt. IV 664 s. I admonilorque operum ... I Luciftr, Manil. I 243 s., Sii. XD S1S, Stat. Theb. VI 2S s., QuinL Smym. li 184 s., IX 529 s., [Orph.J Hymn. LXXVW 6 Quandt, nonché[Men.] Sent. S32 Jadtel. A.o.-,v ,Sooc:Cf. Eustatb. ad Hom. li. XXID SOS, p. 1313. 31 À.o.«>n il culto di Apollo ad Anafe. L'incerta lezione viirt[i]~ sembra riferirsi a un altro elemento caratteristia> del rito eleusino, cioè il digiuno, che prendeva origine dall'inediadi Demetra stessa, quandoandavain cerca della figlia perduta: cf. [Hom.] Hymn. Il 49 s. où6É ttot' IÌflPpoci11c1eaì vÉnapoc ... I 11:ciccat",200 cixactoc i6,ituoc, Call. Cer. 6 cixactOl I, 12 out· cip' l6tc, Pbilic. SH 680, 37 viiçt11y I, Nic. Al. 130 I v11cuip11c ~11ouc, ComuL Theol. cap. 28, p. 55. 7 Lang V1')Cttuouu 6 • r.ic n11~v 'ri\c ~'lll'lltpoc. Pf. ossava anche che le parole cittupu.-avto 1a[ e vii ç1 [1 J~ç sono molto simili alla formula dei misteri eleusini riportata da Clemente ... cint8ɵ11vtic 1eci1a8ov (Protr. Il 21, 2, I Alessandrino: ÈVflctEUvtaupmv CÌKÒ t;jc ap.cx;11cEÙO,XEitO8ucac. o 6È POTIM"t'ICPOT181t'ìv i:autip P.TI 6uvap.EYOCuàc ÈKl tlYOCopouc 1CU"t1'1Piìto. 61ò xaì. VUY, Ènu6àv 8ua>ClV 'Hpa1C4EÌ, p.&tà xatapéòv tO\JtO n:pattOUCl, Conon. Dieg. cap. 11 (FGrHist 26 F 1 XI. I p. 194), Origen. Contra Celsum VIl 54, IV p. 140 Borret, LaclanL Div. inst. I 21, 31-36, p. 220 Monat (cf. anche Div. inst. epil., Corpus Script. Ecci. Lai. XIX p. 689. 19 Brandt), 7.enob.IV 95, I p. 113. 10 Leutscb-Scbneidcwin, Schol. (P; d. GZ) Ov. /b. 499, p. 144 La Penna (il testo delle fonti è fornito per esteso da Pf., Kallimachosstudienp. 90 s.). Eracle Bou8o{vac è spessomeozioèucouuv (v. 2), che pero nella prima similibldioe si accornpagoa all'accusativo e nelle altre al genitivo, passaodo cosl dal significato di sentirt,udirea quello di starea sentire,dare ascolto:le ultimeIre siJniJibJdioi sono concentrale io un solo distico (v. 4 s.). Il primo paragone è di cmauere prezioso ed COll IDI linguaggio ancoraeleVIIIO,il terzo ba IDI erudito, il secondorientraoelJa sfaa eroac:a
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tono piano e famiJ~. l'ultimo rivela un'impronta decisamente comica, sostenuta dall'inciso che richiama l\lla mente del lettore la singolare morte cli Uno (vd. il comm.al v. 6); come DOia HPtcbinson p. 47, «ci muoviamo vertiginosamente fra diverse sfere cli realtà». Inoltre l'ultima sùnilitudine - che ba la forma cli un'allocuzione - serve a ricondurre l'elegia al personagio cli Eracle, dopo la dispersione provocata dai precedenti paragoni. Per questo passo, vd. H. P. DrOgemUller, Dit Gltichnisst im helknistischen Epos (Diss. Hamburg 1956), p. 212; pii) in generale, per l'impiego cli sinlilillldini brevi nella poesia ellenistica. vd. le pp. 208-213 della medesima opera. Nella parte successiva del fnmuneoto restano dei riferimenti al rito lioclio (v. 14 s.) e un'invocazione a Eracle (v. 21 s. = 19 s. Pf.). 1 àicdp11:Non è plausibile l'interprctazione suggerita dubbiosamente da Pf., in base alla quale l'aralOreparagonecebbe :Eraclealla stella pouA.vtoc.,cioè Vespero: d. IG XIV 2.012, 15 s. = GVI 1924, 15 s. e Cali. Att. SH 259, 5 s. (vd. il comm. al jr. 23, 3 civliicouJca A.6•ov Pooc). Il contadino, cioè, direbbe che Eracle è eccellente non solo nello sciogliere i buoi dal giogo, ma addiritturanel farli a pezzi. Ottima mi sanbra invece l'interpretazione cli Trypanis (p. 20), che vede in ciuÉpa una designazione del bue ucciso, in base al confronto con (1bcocr.J XXV 139 s., dove si desaive l'ecccllema del bue Fetonte - che verrà poi ammazzato da Eracle - fra i dodici buoi del Sole: ov pa PoTilpu I cictÉp1Kavuc iicx:ov. Sull'accentuato callimacbism'l cli questo idillio pseudo-teocriteo, vd. Gow a p. 440 del comm..,Pf. Il p. Xl.Ili e G. Serrao, Il ca~ XXV del Corpus teocriteo (Roma 1962), p. 59; si noti, inoltre, che l'autore dell'idillio sembra dipendere da questa panedegli Ailia in un altro luogo (vd. jl 0(]111111'1 alfr. 24 CKOP\Jl'IV auA.ax:a). vml w::ap11Av lrilt\Y èiplCu lloAv: Già nel poema esiodeo Lt noue di Ceict (fr. 265 M.-W.) e in un componimento cli Pindaro (Jr. 168 Sn.-M.) veniva desaiao Eracle divoratore cli un bue: cf. poi Samius Anlh. Pal. VI 115, 8 = Antip. Sid. HE 489, Antip. Thess. Anlh. PaL IX 59, 7 = GP 323, F.ryc. Anth. Pal. IX 237, 5 = GP 2210, ep. adesp. App. Pian. 123, 1. Uccidere un bue era considerato nell'antichità un sacrilegio (vd. Barigam, Erack t Twdamantt p. 231): cf. Arat 132, Ov. Mtt. XV 120-142, 470, Greg. Naz. Anth. Pal. vm 217, 4, Carm. I 2, 2, 485 = PG 31 p. 616. vml ... lp1.C~s:Per l'impiego cli va{ in un'aposlrofe al vocativo, cf. Cali. Ep. XXXIl 4 Pf. = HE 1014 I vai. Ap. Rb. IV 1073 oon il comm. di Livn:a. Cf. aocbe Cali. Ep. XXVIIl 5 Pf. = HE 1045. w::apdv ... llolDv: Per il nesso, cf. Cali. Aet. fr. 61, 10 Pf.•, Tbeocr. XVI 37, (Tbeocr.] XXV 17, 123, F.tyc. Anlh. Pal. VIl 174, 3 = GP 2240,fr. adesp. SH 1053, Noon. Dion. XI.Il 327. L'aggettivo 1c:Epaoc compare due volte nei poemi omerici (IL m 24 V..cxrpov ICEpaov, Od. IV 85 apvu ... ICEpao{);cf. poi Arat 167, Cali. Ap. 63, lbeocr. 14, Ep. I 5 Gow, Ap. Rb. 11279, 691, Antip. Sid. Anlh. Pal. VI 118, 3 = HE 498, F.tyc. Anlh. Pal. VI 96, 2 = GP 2201, Opp. HaL IV 320, 330, [Opp.J C)n. II 48, m 1, [Orph.J Arg. 642, Noon. Dion. 1196 al., e forse jr. tpic. adesp. SH 940, 9 (vd. il comm. cli LJ.-P.). lrilt'lv èip"&ua:L'uso cli ap\Cu con l'accusativo cli relazione corrisponde alla pratica omerica: C. sembra ispirarsi a ll. XXIIl 483 I Atav n'ix:oc aplCn.Cf. inoltre Il. m 39 = XIIl 769, XVIl 142 (sempre d6oc ap\CU). Il vocabolo pij~\C è di uso prevalentemente prosastico, ma d. p.es. Eur. Phoen. 1256. a':Calliope ba smesso cli riportare gli insulti dell'aratore e rivolge ora 2 o 11ìv ••• un'allocuzione a Eracle (d. ancbefr. 26, 2 s. con il comm.). i)p&~o: Il verbo cipao11a1usato intransitivamente nel senso cli imprtcart si ttova p.es. presso Sopb. Otd. Tyr. 1291 ed Eur. Aie. 714. Wc ~xov ci11:06s,: Scrivendo ~xov ci1c:ouE\, C. varia un explicit esamettico piuttosto frequente nei poemi omerici, dove il verbo ci1eoumba peroggeao il sostantivo 6oUKoc:cf. n. X 354 e Od. X 556 6ou1tov cix:oucac•, Od.XII 202 6oUKovèix:ouca• (a proposito cli Scilla e Cariddi), XVI 10 60U1tov cix:oum• (in Od. V 401, il nesso viene riferito - con una diversa
.,o..e,
cu
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
posizione metrica - al rumore del mare sugli scogli). La frase caUQnacbea ~xov à.1CouEwè ripresa da Moscb . .fr. 1, 12 Gow (a proposito dello scrosciare di una fonte), [Theocr.J xxvn 57, Nonn. I 390, 486, XXV 268, 428, XXVI 15, XXXVI 97 (sempre •). Per il nesso a)..òc I (con i ~xov, cf. Dionys. Bass. fr. 6 b, 4 Livrea e Quint. Smym. XII 429 aMc Ì1X11Écc11c passi raccolti da Campbell nel comm.a Quinto), Quint Smym. XIV 539 CXMcxoAurixÉoc, Musae. 26 aAi11xÉa 1top8µ6v. Ma cf. già Hom. Il. Il 209 I Ìlxii, mc Kuµa KtA., e poi anche Mosch. Il '36,.fr. 1, 4 Gow, [Orph.J Arg. 13S3,fr. 168, 28 Kem,Orac. Chald. 133, 2 dcs Places, Nono. Dion. XLII 405, Musae. 206 (con i passi raccolti da Kost nel comm.), 242. Per l'uso callQnacheo del vocabolo ~xoc, vd. il comm. al.fr. 1, 29 )..iyùv ~xov. 2 s. mc cit)..òc~xov m1COUE\I C]EAÀÒc iv\ T1u:1pCou oupu\Y ·11cup(11c.:La similitudine ha il valore di un adynaton. I Selli, infatti, sono gli interpreti dell'oracolo di Zeus a Dodona, città dell'Epiro posta ai piedi del monte Tomaro o Tmaro: essi, dunque, SODO lontanissimi dal Mare Icario. che è la parte sud-orientale dell'Egeo. Si noti l'effetto di preziosismo che deriva dall'inserzione dei Ire nomi proprinel pcntamccro. Questo passo viene ricordato da Michele Coniata in un'epistola (Il p. 350. 12 Lambros; vd. app. delle fonti e il comm.al.fr. 1, 1). 3 C).WC iv\ TILCIP(o"olp1K1.v:I Selli sono già menzionati nell'Iliade (XVI 234): comeITSl1Jlandann gli scoli ad loc.• si discutevase in questo luogo rmcrico bisognasse saivcre Cù.l.o1 1 o e· 'Ello{ I (cf. anche Sttab. vn 328). La forma e.Ello(. privilegiala da Aristarco, è impiegata da Sofocle (Trach. 1167); Pindaro, invece, ha 'E)..)..éòv(Paeanfr. 59, 3 Sn.-M.). Uno scolio papiraceoal passo di Pindaro (riportato nell'app. delle fonti) sembra attestare che C. adottava enttambe le grafie (cf . .fr.135, 2 che forse oorrisponde al nostro pcntametto; per le due forme CEllo1 e 'Ello(. cf. le testimonianze raa:olte da Scbrocder ncll'8DDotazione a Pmd . .fr. 59). Per i Selli, cf. anche Cali. fr. 97, 14, Del. 286 ed Eupb. SH 427, 3; per Dodona nella poesia callQnacbca, vd. il comm. al.fr. 62. La menzione del Sello insieme ai monti dello Tmaro allude al nome Tomuri, con il quale venivano talvolta chiamati i sacerdoti di Zeus a Dodona(cf. Sttab. VII 328 e probabilmente Euph. SH 418, 28). Per la collocazione occidentale dello Tmaro (conttapposto qui all'orientale Mare Icario), cf. TrGF adesp. 21 a Per il nesso Èvi Tµapfoic oupeuv, cf. Call. Cer. 51 I mpeuv Èv TµuplOIL\Y,.fr. 97. 91 'Pumwu ... OUpEOC. Lapp p. 131 raa:oglie i passi nei quali la parola opoc (o unadi analogo significato) è unita a un aggettivo che designail nome geografico del monte. La notizia data dallo scolio nel margine destto del papiro, secondo la quale i Selli erano originariamente un popolo tracio, conttasta con l'opinione di AlessaDdroEtolo ( CA fr. 14 p. 128 e8voc elvai toùc 'Elloùc à.itéryovovTupP'lvéÌ>v). 'l11:up(11c.: Il Mare Icario compare già nell'Iliade (Il 145). Esso doveva il suo nome all'isola di Icaria presso Samo, ma una celebre leggenda voleva che quel ttatto dell'Egeo fosse stato chiamato cosl dopo che nelle sue acque era caduto Icaro (vd. app. delle fonti al v. 2 s.). Il Mare Icario è spesso menzionato dagli antichi: cf. Sopb. Ai. 702, Herodot. VI 96, Cali. Del. 14, Euph. CAfr. 141, 4 p. 54, Hor. Carm. I 1, 15, Ov. Fast. IV 566, Tr. V 2, 28, Manil. IV 621, Phil. Thess. Anth. Pal. IX 267, 1 = GP 2833, Sii. IV 245, Quint Smym. IV 78, Claudian. In Eutrop. Il 265, Nono. Dion. XLW 291, lulian. cons. Aeg. App. Pian. 107, 4. Alla famosa caduta di Icaro nel mare che da lui prese il nomo fa riferQnento in pià luoghi Ovidio (Ars Il 96, Met. VIII 230, Fast. IV 283 s., Tr. I 1, 89 s., m 4, 22). 4 ÌJl]8émv mc1&ci:z)..11 •\À'l-iopoc cl,-i11KEVlzpou: Il tema dell'amante (e poeta) povero e dei ragazzi venali è frequente nella poesia callimachea: cf. Iamb.fr. 193, 17 Pf.,frr. inc. sed. 549 Pf., 695 Pf., Ep. XXXIl Pf. = HE 1071 ss.; vd. Wilamowitz, Hell. Dichl. I pp. 171-180. Cf. anche p.es. Aristoph. Plut. 153-156, Tib. I 4, 57-62, I S, 61-68 (dov'è notevole l'anafora di pm,per che corrisponde a KEvixpou), I 9, 11-20, 51 s. Pii) in generale, per il contesto pedcrolico, cf. fr. 48 con il comm.
ou
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111]8smv:La parola è impiegata in un contesto analogo da Call. Ap. 49, che descrive l'amore di Apollo~ Admeto: 1118éoui>K' ipmn 1ee1eauµÉvoc'A6µirto,o. Cf. forse ancbe/r. inc. ud. 500, 1 Pf. fLux1m: L'aggettivo è un haptu nei poemi esiodei (Op. 586 I µaxÀ.otatal 6È yuvailCEC). . •ll.iiiopo,: Per il genere maschile, cf. Cali. Branch.fr. 229, 16 Pf. (da q,,À.Éco=bacio), Strab. X 484 ed Hesycb. s.v. La parola viene invece impiegata al femrniniJ"'-da Aescb. Ag. 1446. Il vocabolo q,lÀ.11tmpè usato come aggettivo nelle opere di Nonno (Dion. m 398, XXI 21, Met. xvm 55; sempre•). s&v,xpou: L'aggettivo compare una volta sola nei poemi omerici (Od. m 348*). Cf. anche Call. Att. SH 259, 25•, 263, 4 (in quest'ultimo caso si tratta forse del lemma di uno scolio). S a,c U,1eo1 s11iapmv uiau: Per la similitudine, cf. [Tbeoa.J IX 12 s. téì> 6È 8ipeuc q,puyovtoc iyò, 'tOCCOYµw6m{vm I OCCOYipéòv tÒ KCltpòc µu8mv 1eaì. µatpòc cì1eoue,v, dove µw6aivm corrisponde all'[ò,n]~C?ll[Ev]oc caUimacbco(v. 7) e si riscontrano (come nei nostri versi) l'ellissi della negazione- estesa nell'idillio anche alla proposizione principale - e l'impiego del verbo cì1eoumcoo il genitivo (per i problemi testuali posti dal v. 13, vd. il comm. di Gow). itc cù 1vP1'1c: Secondo W-llamowitz, C. esprime la totale sordità di Eracle al suono della lira JPMiaoce un'allusione al proverbio ovoc À.upac O'asinoè J'aniroaJ~ UJ1oucovper eccellenza, d. fr. 1, 30-32): cf. Cratin. PCG 247 OVOl6 • CÌKCOtÉpco lCa~vtal 'rijc À.upac, Men. Misum. 41,fr. 460 KOrtc-lbierfelder, Pbaoias Anth. PaL VI 307, 7 = HE 3016 À.upac 111COUEV OKCOC ovoc, Phacdr. CXIII, Aelian. Nat. an. X 28, Greg. Naz. Cann. Il 1, 41, 44 (PG 37 p. 1342). Per l'avversione di Eracle nei confronti della lira, cf. forse Aet. SH 260, 8 con il comm.Il riferimento alla lira introduce il comico inciso del v. 6. 6 icc)ì Y4P où 11,.U' IÈÀ.Cl•poc, ii 11:m\..\itflC oiS e' lz& 1a~cn: Il testo non è sicuro: il papiro sembra offrire la lezione ~~pqc (meno probabilmence ~~~qc, vd. il puso di Suida riportato più avanti), che fu sanata in ,MV9' da Wilarnowitz; l'integrazione iccU Y4P di Pfeiffer, sostenuta dal confronto con Call. lov. 9 ed Ep. IV 1 Pf. = HE 1269, dà al verso la funzione di un inciso (vd. app. e più giù il comm. a Y4P où JlaÀ. • Uaq,poc). Eracle non è ~ Diente facile (ma è anzi difficile da trattare, violento,pericoloso),come ba sperimentalo Lino. La storia cui sembra alludere C. è questa: Lino era il maestto di musica del piccolo Eracle; un giorno egli picchiò l'allievo, irritato dalla sua svogliateu.a; Eracle si infuriò e uccise Lino colpendolo con la lira. Cf. [Apollod.] Il 4, 9 uKÒ 'Hpa1eÀ.Éoctjì 1Cl8ap~ KÀ.1JYEÌ.C ci1tÉ8avev, Diod. m 67, 2. Esistevano aJtte versioni della storia: Eracle uccise Lino con il pleuro (Aelian. Var. hist. III 32) o con una pietra (Suid. s. v. i1tPaÀ.ovta · o 6È 1taic mv in, t6v 6,6ac1eaÀ.ov A{vov KÀ.1)yàc aùtéj> ÉJlPaÀ.ovta ... À.{8cppa4ò,y CÌKÉlC'tE\YEY, forse da Nicola Damasceoo). Pausania (IX 29, 9) non specifica in elle modo avvenne l'omicidio. yqp où 11,al' i1u•p6,: Un'espressione simile si trova nel primo verso dell'inno caJlirnacbeo ad Artemide, in una frue parentetica: où yàp ÈÀ.aq,pov.A. Meinelce, Callimachi Cyrenensishymni et epigrammma(Berolini 1856), p. 156 parafrasava: «gJave et cum pericuJo coniuncbllll»; questo senso, come si è detto, corrisponde al nostto passo. C. impiega spesso delle aggiunte esplicalive (per lo più in forma negativa), introdotte da yap: oltte a Dian. 1, d. fr. 89, 17-19 e gli altri passi raccolti da Lapp p. 53. Per il nesso où JlaÀ.' ù..aippoc, cf. Greg. Naz. Carm. (PG 37) I 2, 9, 99 (p. 675) où 1taÀ.' ù..aq,poc I e I 2, 2, 369 (p. 607) où 1taÀ.' U.CX.poi I (ma in entrambi i casi il significato è diverso da questo luogo di C.). Per µaÀ. • uaippoc, d. Greg. Naz. Carm. (PG 37) Il 2, 7, 156 (p. 1563) 1taÀ.' ù..aippov I, Il 1, 13, 13 l'aÀ.' ÈÀ.aq,pa I (p. 1228). Per où 1tci:À.', cf. Call. lov. 85 où 1tci:À.a*,fr. inc. std. 538 Pf. où puÀa. L'aggettivo U.0.p6c, nel seuso di gentile, mite, viene impiegato p.es. da lsoa. XII 31. 7 1.u}Tpitv "' tlfilDYovatv [os,]t~11[av]oc: Per l'immagine, cf. Jr. inc. auct. 142 con il comrn
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1u)Tp&v ••• kmv: L'uso omerico più simile di À\l'fpoc si riscontra nel nesso 1uypit cìyyù..iT1 (Il. XVII 642 al.). où5ày [Òsl)tq11,[&v]oc: A supporto dell'inrcgnzione, cf. [Tbeogn.) 1148 où6i:v -01•, 734 1'116È:v-oc•, Manetb. VI 218 I où6i:v -11· La costruzione del verbo ò•iço1,La1 con il genitivo nel sensodi curarsi,darsi pens~ro (attestata SIJlche nei tte passi citati) è successivaai poemi omerici, dove il verbo si accompagna all'accusativo e significa guardo con rispeno, pava&to. 9 s. Llv111eavJI no,111>"tT1CJ: Uno scolio nel margine superiore del papiro spiega in quale contesto C. impiegava le due parole: Eracle non solo ignorò le conrumelie dell'ara&ore, si trattava di roba altrui (vd. in app. il ma anzi mangiò con più gusto il bue, proprio~ supplemento t.g. di Wilamowitz). CODODC, Origene. I -8Uanzìo e gli scoli all'Ibis di Ovidio, citati come rcstimonidella favola lindia nel camm.aifrr. 24-25, dicono bitti cbe l'eroe trasse UDparticolare piacere dal suo pasto, grazie agli insulti del contadino (Conone: où6É1tou "tiòv cipiòv; Origene: ilc8&ìc ~- otc CÌK&q,8Éy~a"to 8oiYT1,i16iovoc ci1t0Àauca1;; -riic 1,LE"tà t1c:sivoc 1c:a"tapm1,L&voc EÀ.ETExpòc aù"tòv ic8iov"ta; Lauanzio: illum sibi amarissime convicianlemcum risu ti cachinnisauditbat; scoli all'Ibis:ait st, cum cometkret, numquam libentius tpulatum). Cf. ancbe Elias Cret. ad Greg. Naz. Or. IV 103, Greg. ed. Colon. 1690 II 2p. 367 B. 11 LILC1X"tlap1.11.1: Uno scolio nel margine superiore del papiro collega la parola a 1,Lan&1v(nel senso di nutrirsi, cf. Schol. Aristoph. Pac. 741) e a 1,Laça (nel senso di nutrimento, cf. Et. Gen. B = Et. M. p. 573. 22 Gaisf.). Qui, dunque, 1,LC11C'"1P1a significa cibo, evidentemenrc in relazione al bue divorato da Eracle: a quanto pare, questo valore del vocabolo non è altrove attestato (nel cap. 16 del Conviviotki stat sapia&tidi Plutarco = Mor. 159 D, la parola 1,LU1C"t1Jpio1c è una forma dell'aggettivo 1,LUK""1P1oc, cbe significa di un impastalort). Cf. anche Call. fr. inc. sul. 721 = (Htc.) fr. inc. std. 162 H. ci1,Laç6vu con i c:omm.In un passo di NODDO (Met. XIII 22), Koechly propose di sanareil corrotto ~pwv in 1,La1C"t'1P1ov: si parla qui del panno di lino cbe Cristo adoperòper asciugare i piedi dei discepoli {la lezione del Vangelo è Èlc1,LUCCE1v). 13. ,vll.i: Per questa sequenza di lettere, vd. il.fr. 23, 1 con il comm. Si li!pensato a una qualche forma del vocabolo 0..1yyoc,vonict (vd. app.). 14 iJ1L•IJ11div A(vlo,o: Se si accetta l'integrazione di Pf., forse qui parla UDabitanrc di Lindo: potrebbe trattarsi del saccrdotc preposto al culto di Eracle,che pronunciaUDdiscorso o una preghiera al dio in prima persona (vd. il passow J .auaozio citato nel comm. ai frr. 2425, nonché il comm. al v. 21 s.). L'aggettivo i11L&6a•6cè conialo sul modello dell'omerico ciU.o8a1t6c (Il. m 48 al.): cf. Aristopb. PDJ:220, Call. /r. inc. sed. SOSPf.,Jr. adesp. SH 1079. 15 a,v"tac.a IÌl'(uuU-qv tLll~pov i1ncx11I( ): Il pentametto descrive il saaificio dei Lindi per Eracle: poiché l'eroe ha divorato UDbue intero, i devoti immolano in suo onore UDtoro sema tagliarlo in pezzi {la parola "taupoc indica che il Pou, sacrificato è di sesso maschile, cf. Hom. Il. XVII 389). Per questo particolare, cf. Elias Crel ad Greg. Naz. Or. IV 103, Greg. ed. Colon. 1690 II 2 p. 367 B eo nomine se iactans (scii. Htrcuks), quod bowm integrumvorasset.Cf. anche il passo(li 1.auaozio citato nel comm. aifrr. 24-25. IÌl'(c"tul.lq v: L'aggettivo è un hapax. Cf. peroOrac. Chald. 152 des Places CÌl,l\C"tU1ÀEU"tOC, Procl. Hymn. VII 11 CÌl,l\C"tUA.MU"tOY. b:1Cx115(): Lo scioglimento del compendio nell'EtymologicumGtnuinum (fonrc del pentametro) è incerto (vd. app.). La congettura di Reitzenstein ÉKÌ cxa1(6mv (sulle forcelle) può forse essere confermata dalla preseD7.8 degli òpù.oi (spiedi) accanto al velbo l,l\C"tUÀ.À.o> (cf. qui ci1,Linullov) nel verso formulare omerico 1,LinuWv "t' cxpa "tcllla 1:cxìcil,l•' òPù.oiuv iKE1p11v(Il. I 465 al.). La ~ta di I>ObnerÈK' ùxapo.1v significherebbe sull'altare dove si bruciano k vittime.
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21 •· (= 19 s. Pf.) xuipa ltupue1dsmv, is(-iux-iu 1LÈY iitlix\ lolli, I ix I' uù-iuypad,ic so11ax\ so11à xu11,év: Il distico contiene forse la preghiera di saluto rivolta a Eracle dal sacerdote lindio (vd. il comm. al v. 14), come pensano Hener, Bursian 255 p. 123 e Pf. Le altre possibilità sono che l'invocazione sia pronunciata da Calliope o dal poeta. L'ultima soluzione • che richiede una temporanea interruzione della cornice narrativa (cf. già.fr. 9, 9-14) • è quella preferita da H11tcbinson p. 43 n. 35 e •Krevans p. 215. A sostegno di quest'ipotesi si potrebbe ricbiarnafP.un passo di Apollonia Rodio 01 708-710), nel quale il poeta invoca in prima persona Apollo mentre desaive il canto di Orfeo in onore del dio. Per la preghiera di saluto a Eracle, cf. Vcrg. Aen. Vlll 301 s. (con le osservazionidi George p. 66) e Prop. IV 9, 71 s. (invocazionepronunciata dal poeta in prima persona:passo segnal:alomi da A. Hollis). Vd in generaleInzrod.1.4.E. Eracle viene invocato come colui che ha compiuto le famose dodici falicbe imposte da Euristeo. Cf. [Theocr.] XXIV 171 (assente nei codici, ma tramandato in un papiro di Antinoopoli edito da A. S. Hunt • J. Jolmson, Two TMocritus Papyri, London 1930, p. 55) xaipE 6u(l)6E]icap.ox8E (suppi. H. Fraenkel e M. Pohleoz, «GGA» 1931, p. 373). Cf. anche Nonn. Dion. XXXV 335 'HpcxicA.~a6uCD6accu81ov011010indicatomida A. Hollis). Dalla formulazione di C. (i:;aicl 60\a) dipende Ov. Met. XV 39 o cui ills auli bis su fecere labores. 21 (= 19 Pf.) ltupucx(amv: L'epiteto è un hapax. Per )'immagine,d. Ov. Fast. Il 325 clavamq,u gravem (di Eracle). Il motivo di Eracle armato di clava risale a Stesicoro (PMGF 229) o al poeta epico Pisandro di Camiro (fr. 1 p. 167 Bemabé = .fr.1 Davies) e si riverbera su bitta la letteratura successiva:d. anche Cali. Ep. XXXIV 1 Pf. = HE 1151. às(-iux1u: Cf. Pind. Pyth. IV 236 con le osservazioni di.Schmitt p. 157. &~X\ lo\U: Cf. Paul. Sii. Ecphr. Soph. 690 i:;a:IC\6ouruc•. Smiley p. 68 considera i:çtx'IC\UD8 creazionealessandrina, O fOl'SI! alllimachea,SU modelli come KOila'ICl e U'tptx1Cl (Pind. Nem. vn 104, Cali. Ep. Lll 2 Pf. = HE 1068): la forma i:;mc\C è invece auesraaaa partire da Pind. 01. vn 86. Per il nesso, cf. Cali. Dian. 33 e 34 I ,:pie 6Éica, Lav. 23 6ìc i:;t;1c:ov1:a.Vd. anche il comm. al v. 22 sollalCl itou.à 1CCXJ10>V. 22 (= 20 Pf.) b: &' e1ù,111p1d11c: Oltre alle dodici fatiche imposte da Euristeo (&8Àa), Eracle ne ha compiute molte altre di sua libera scelta (napu8Àa). Il medesimo c:oocetto viene espressoin un luogo di Pindaro, dov'è desaiuo il viaggio che l'eroe compl fino alle tene dell'estremo Occidente i6(qt, di sua sponlllnta volonlà (Nem. m 24; UDOscolio a questo passo è appunto la fonte del distico cammacbM). Il sostantivo aù,:cxypu.iTJ• che non compare alttove • è conialo sulla base dell'hapax omerico aù1:aypE1:oc(Od. XVI 148; d. anche [Hom.] Hymn.IV 474=489). so11.ax, so11à xu,c&v: Si noti il parallelismo fra soÀ.MICl so11a e il nesso i:;a1tl 60\a del verso precedente, nonché l'effetto allitterante. Per l'espressione, cf. Aristoph. EccL 1105 ia:v n sollà sollalClc na:8m I e vd. Lapp p. 66. Per soÀ.À.à icap.cov,d. soprattutto Nonn. Dion. XXV 197 I nou.à 1c:ap.ci,v (a proposito di Eracle) e• per la posizione metrica• epigr. odesp. FGE 1521*, ma cf. anche GVI 1256, 4; 436, 1, Rufin. Anth. Pal. V 75, 5, Quint. Smym. XIlI 301, Musae. 259. Frasi simili sono impiepte dallo stesso C.: d. DeL 153 sou.à ... ÈKEÌicap.ev, 187 sou.à 1c:up.ov,:oc I. 23 (= 21 Pf.) Lip.1Lo1ov,:Come spiegano UDOscolio nel margine superiore del papiro e le altre fonti grammaticalicitate nella relativa annotazione,la parola deriva dai p.énu, gane che si applicano per riempire le piaghe in suppurazione. Il siJnificato basilare della parola (frequentenelle operemediche) è, dunque, messonelk gane: tealicamente, l'aggettivo poteva riferirsi alla piaga (e al piagato) o al medicamento o alla terapia. L'aggettivo viene anche impiepto metaforicamenteda Eschilo nelle Cotfort (v. 471, vd il comm. di Garvie). Per la storia del vocabolo, vd. Wilamowitz, Orestie II (Berlin 1896) p. 202 s. e K. Sier, Die LyrischenPanio& tkr Choephorentks Aischylos (SIUUgart1988),p. 176 s. Non sappiamo in che contesto C. impiegasse la parola. Essa è stata inserita nel testo da Pf., appunto perché la
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CAU..IMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
sua etimologia viene spiegata dallo scolio nel papiro. Wilamowitz riteacva che C. usasse il sostantivo JlO'ta, menzionato all'inizio dello scolio. Lobcl, invece, pensava che il poeta impiegasse l'avverbio aJlo'tov o l'aggettivo aJlo'to,. Il primo è già attestalo nei poemi rmerici (Il. IV 440 al.) e significa insaziab~ntt: anch'esso è collegato dai grammatici a 11o'ta, nel senso originario che le garze applicate alla piaga non riescono a riempirla (cf. lo scolio all'lliadt e gli Etimologici citati nell'annotazione allo scolio del papiro). L'aggettivo derivato ci11o't0c si trova presso [lbcocr.) XXV 242 e [Mosch.) IV 104. Sia ci110'tov sia «Jlo'tot sarebbero adatti a designarela ghionoocriadi Eracle, ma - come fa notac Pf. - nessunadelle due parole compare nello scolio papiraceo. Vd. in geoeraJel'app.
All'aition di Lindo appartengono forse il.fr. 39 del primo libro e il.fr. inc. sed. 123. Può darsi cbc il.fr. inc. sed. 135, 2 oorrisponda al.fr. 25, 3 (vd. il romm tJiJloc.). Potrebbe risalile a questa parte dell'opera ilfr. inc. std. 521 Pf., dal quale si ricava che C. menzionavail mese Aloc8uoc: questo nome, infatti, è ampiamente alteStato a Rodi. L'inveuiva contenuta oclfr. inc. sttl. 530 Pf. (xoÀ.fl6 · ica yÉvta 1uua\o I) sarebbeadattaallo sfogo iracondo dell'aratore, comeba osservato Barbcr. Non è verisimile che appartenga a questa sezione degli Ailia ilfr. dub. 812 Pf., dove si parla dei buoi di bronzo cbc - in caso di pericolo - muggivmosul monte Atabirio a Rodi. Vd. nel testo l'annotaziooe dopo il.fr. 25.
Frammenti 26-27 (Tiodamante driope) L'episodio di Eracle e Tindamante, che costituisce il quarto aition dell'open, è a,llcgaro alla storia dell'aratore lindio (frr. 24-25) pqdlé i due raca,nti banno un contenuto molto simile (d. Schol. Fior. 51 s. e vd. ln1rod. 1.4.B.,Swiderck p. 231, •Krcvanspp. 239-241). Eraclesta attraversando la terra CIOlicadei Driopi (nei pressi del moote Eia) con in braccio il figliolcao mo, che si è graffiato un piede e ba una fame da lupi, quand'ecco che si imbatte nel re Tiodaroante, vecchio ma vigoroso, intento ad arare un maggese; l'eroe gli chiede di dargli qualcosa da mangiare per mo, ma T;ndamantP. gli oppone uno sgarbato rifiuto e lo insulta; a quanto pare, queste offese vengono paragonate alle parole ingiuriose rivolte dalle donne a Pelco, che aveva ucciso il fratellastro Foco o la moglie Antigone (fr. 26). In un tral10 di teslO cbc non ci è pervenuto, Eracle uccideva uno dei buoi del re per cibarsene, scatenando cosi una guerra contro i Driopi. Il .fr.27 è un verso che risale al punto della vicenda nel quale Eracle trapianta i selvaggi Driopi nel Peloponneso, dove essi prendono il nome di Asinesi, cioè /nofftnsivi. A qucst'aition dedica un ampio saggio Pf., Kallimachosstudien pp. 78-102. Può darsi che la storia di Eracle e Tindaroaote fosse già narrata nel poemetto esiodeo Le nozzt di Ceict (frr. 263-269 M.-W.): vd. R. Mcrtelbach - M. West, «RbM» NF 108 (1965), p. 304 s. Il trasferimento dei Driopi ad Asine era rievocato da Baccbilide (Paea.n. fr. 4 Sn.-M.): vd. W. S. Banctt, «Hermes» 82 (1954), p. 425. La principale testimonianza relativa all'incontto fra Eracle e Tiodamante e al llE'tOl1C1Cll°' dei Driopi è lo Schol. Ap. Rh. I 1212-1219 a, riportato nell'app. delle fonti aijrr. 26 e 27, perché la vicenda narrata è attribuita a C. Lo scolio fornisce gli antefatti dell'episodio: Fncle sposa Dcianira e soggiorna nella città etolica di Calidooc, ma durante un simposio uccide il coppiere Ciato; l'eroe parte allora in esilio con Dcianira e, durante il cammino,uccide il centauro Nesso sul fiume etolico Eveoo. Portando in braccio il piccolo figlio Eracle arriva nella terra dei Driopi, famosi per le loro ruberie; l'eroe incontra Tiodamaott:, gli chiede invano un po' di cibo, uccide uno dei suoi buoi e lo mangia dopo avere compiuto un sacrificio. Tiodaroante e il suo popolo attaccano Eracle (per le armi dell'eroe, cf. Call. fr. inc. stil. 692 Pf.); questi si trova in tale difficoltà da far combattere aocbc Dcianira, che viene ferita al seno; risultato vincitore, Eracle uccide TindamantP., fa prigioniero Ila (il figlio del re) e trasferisce l'intero popolo dei Driopi nel Pelopooneso, affmcbé il contatto con altre genti lo incivilisca; si dice infine che il tutto avvenne vicino alla città di Tracbinc e al monte Eta, nella zona confinante con la Focidc. Lo scontto con i Driopi e il loro Jlrio,1eicp.l,c SODO rispettivamente
mo,
COMMENTO: AET. I FRR. 25; 26-27
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esposti anche nello Schol. (Ba) Ov. /b. 487 e nell'El. Gtn. s.v. 'Auveic., riportati nell'app. delle fonti alfr. 27, perché le vicende in essi narrate sono attribuite a C. Per la storia di F.raclee TiodamantP.disponiamo anche di altri testimoni: - [Apollod.] II 7, 7, 1. Gli antefatti cm"ispondonoa quelli fomiti nello sa>lio ad Apollonio Rodio (ma il coppiere ucciso si chiama Eunomo). L'esposizione della favola driopica è molto breve. Lo pseudo-Apollodcro(a differema- sembra - di C.) dice che F.raclefu aiulalo dal re di Tracbioe Ceice nella guerra contto i Driopi. - 'Nonn.' Hist. I 41 ad Greg. Naz. Or. IV 77, 103, 122 (PG 36 p. 1008 = A. Westemwm, Myrhographi Gratci, Brunsvigiae 1843, p. 370. 33). Come si è detto nel comm. aifrr. 24-25, qui la vicenda di Tiodamante viene per errore esposta come spiegazione dei riferimenti di Gregorio Nazianzeno a Eracle Bou8o(va, (appellativo spettante alla favola lindia, d. frr. 2425). Filostrato (lmag. Il 24), Aouniano Marcellino (XXII 12, 4) ed Elia cretese (ad Greg. Naz. Or. IV 103, Greg. ed. Colon. 1690 Il 2 p. 367 B) chiamano per sbaglio «Tindamante»l'aratore di Lindo; già Conone (Ditg. cap. 11, FGrHist 26 F 1 Xl) mostra di confondere i due racconti, perché inserisce nella favola lindia il motivo della fame di mo. Vd. in generale il mmm aifrr. 24-25. - Uno scolio papiraceoa Call. Dian. 161 (PAmh. 20, 12-20, Pf. Il p. 56 s.). Il testo è cosl frammentarioche non se ne ricava alcuna infonnazioae. All'aition callimacbeo di Tiodaman•e si riferiscono i lacunosi righi 51 ss. degli Scholia Flortnzina: in essi si dice probabilmente che C. accosta alla favola lindia la simile vicenda driopica; segue la menzione dell'inconttofra F.raclee Tiodamanr.e. L'uccisionedel bue di Tiodamanteda parte del famelico E'.racleviene cmiicamc:oterievocala tn passanl da C. in un luogo dell'inno ad Artemide (v. 160 s.): tt\ oi (sciL 'HpaKA.ij\) napa V1)6ù, ÈICElVT), I tji fl:Ot cipotpU:)(a>Vtl CUVT)VtE'tO 8uo6ajlUVtl. Apollonio Rodio dedica all'inoontto fra Eracle e Tiodaman•ee alla guerra dell'eroe contto i Driopi un rapido ucursus, sàbito prima di desaivere il rapimento di Ila da parte di una ninfa, avvenuto in Misia durante il viaggio di andata degli Argonauti (I 1213-1220): 6fou 8t\o6allavtoc, ov iv ~puonuuv &~vtv (scii. 'HpaicA.ijc) I V1JA.E\éÌK, Poò, CÌjlcptyefa>jlopoucivnofa>vta. I iito\ o jlÈ:vv&\oio 0
yuac tÉjlVUICltVcipotpcp I 81t106ajlCICciv(n PePoA.T)jlÉVOC. aùtàp o tovye I Poùv IÌpDfllV 11YOJTE napacxÉll&Y OÙICi8u..ovta. 1 \HO yàp xpocpauv KOMflO\J~pUOKUC\ PaA.u8a\ 1 I CÌA.À.àtà jlÈv tT)À.ou 'ICEV A.euyaA.ÉT)v, Ènei out\ 6(xT)c CÌA.Éyovu, iva\ov. ci11:onÀ.ayçeu:vCÌo\6ij,. Come si vede, mentre C. colloca l'episodio dopo il matrimonio di &acle con Deianira e la nascita di mo, Apollooio lo pone prima della spedizione argonautica. Un'altra differell7.8si riscontra nella presentazione del personaggio di Tiodamante: egli è un vecchio vigoroso secondo C. (Jr. 26, 5), un lavoratore afflitto secondo Apollonio. Nelle
Argonauticlu, infme, manca il motivo della fame di Illo e si specifica invece che Eracle richiese il bue fin dal primo momento, solo per acare un casus btlli contto gli ingiusti Driopi. Su questa parte degli Ailia sono siate espresse valutazioni varie, che dipendono anche dal diverso modo di ricostruire i rapporti aonologici e di stabilire le differenze di tono fra i tre passi dedicati a Tiodamante nell'operadi C. e di Apollonio Rodio. Ardizwni pp. 452-467=5-22 individua una polemica fra i due poeti: l'impostaziooecomica dell'episodionegli Ailia avrebbe indotto Apollonioa trattare la steMavicendacon serietà e riguardo, a chiarire che F.raclecm:ava solo un pretesto per sconfiggere gli iniqui Driopi e a porre nel v. 1220 una piccola rtcusatio polemica nei confronti di C.; ma quest'ultimo avrebbe ribadito nell'inno ad Artemide la sua venione comica del mito. Tale chiave di lettura, condivisa da Corbato pp. 7-12, è confluita nel comm. di Ardizzoni al primo boro di Apollonio (pp. 260-263; vd. anche la sua bibliografia a p. 261). Diametralmente opposta è l'interpretazione di Barigazzi, Eracle t Tiodamantt, che vede prevalere - nell'episodio caJlimadleo di Tiodamante - un tono serio e patetico, in contrasto con l'ispirazione burlesca della storia dell'aralOl'e1indio(vd. il comm. aifrr. 24-25 e inoltre Harder, Asptcts p. 102 s.): Eracle, secondo Barigazzi, è qui un benefattore dell'umanità, pcrcb~
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
ttapianta e incivilisce i selvaggi Driopi (p. 229); la fame di mo accentua il carattere patetico della scenae conferisceall'uccisione del bue un motivo pià nobile di quanto non sia la voracità di F.mcle (pp. 229-231); TirvJaroante è presentato come UD vecchio dismnano (p. 232 s.; vd. il comm..al v. 13). Sulla bue di queste considezazioni, Barigazzi 1Rferisce pensare che l'accenno ironico e convenzionale al mito nell'Inno ad Artemideprecma la versiooe seria e innovativa offerta dagli Aitia. Benché sia impossibile stabilire la aonologia relativa dei tre passi, si dovrà comunque ammettere che il rapido excursus di Apollonio presupponel'estesa narrazione della vicenda negli Aitia: vd. Eichgriln pp. 133-137, F. Vian - E. Delage, Apollonios de Rhodes. ArgonautiquesI (Paris 1974) p. 46. Il carattere disumano di Tiodamante e la sttage dei Driopi compaiono anche nell'Ibis di Ovidio (v. 487 s.): tamque cadasdomilus, quam quisquisad arma vocanum I iuvil inhumanum ThiodamantaDryops;lo scolio P ad loc. spiega: Thiodamas fuil quidam,qui inermis inermes suos duxit ad protlium. L'atteggiamento inospitale del re dei Driopi nei confronti di Eracle si contrappone alla generosa accoglienza offerta all'eroe dal povero Molorco, desaitta da C. nel terzo libro degli Ailia (SH 256-268C); la •\ÀoçEv111 è anche il tema centtale dell'Ecale (cC.frr. 231, 2 Pf. = 2, 2 H. e 263, 4 Pf. = 80, 4 H., nonché lo studio dello stesso Hollis alle pp. 341-354 della sua edizione; il valore dell'ospitalità viene esaltato anche da Apollonio Rodio, m 192 s.). Molto simile al burnw:oso incontro fra F.racle e Tiodamaot.e è invece quello fra i Dioscuri e Amico nel XXII idillio di Teoaito (vv. 54-74): Polluce chiede ad Amico il pennesso di ba'e a una fonte, ma quello rifiuta, lo insulta e lo sfida a UDO scontro di pugilato. Una figurazione artistica dell'episodio di F.racle e Tiodaroante - ma arricchita di un happy end per il bue - viene desaitta nell'tp. adesp.App. Pian. 101. A. Hollis mi fa notare che, se negli Ailia figurava il particolare di Deianiraarmata da Eracle Dellaguerracontro i Driopi (vd. lo SchoL Ap. Rh. I 1212-1219 a riportato nell'app. delle fonti alfr. 27), C. potrebbeesserela fonte di NODD. Dion. XXXV 89-91. Per la pocoplausibile attribuzionedel fr. 24 a questo ailion. vd. il comrn ad loc.
Frammento 26 (24
Pf.) Tra ilfr. 25, 18 e il primo verso di questo frammento mancanocon ogni probabilità solo diciannove versi, nei quali aveva luogo il ttapaSSO fra i due aitia (vd. app.). Non sappiamo quale Musa stia parlando. Nel testo che lftCCMK (IL XIII 564), 8Évap (Il. V 339) e KElYTi (Od. XV 407). Il vocabolo c1ewÀ.oc ha nell'Iliadeil significato di palo, ma le fonti grammaticali attestano che, secondo Aristarco, esso designava UD tipo di spina (il senso che si riscontta qui): cf. Schol. (Aint) Horn. n.xm 564, Apion n.B,ccat 'Op.11p\1eai ed. A. Ludwich, «Philologus» 75 NF 29 (1918), p. 100. 14 (vd. Neitzel ad Apion fr. 121), Apoll. Soph. Lex. Hom. p. 143. 5 Bekker o 6È: 'Apiuapxoc à1ea:v8f1cn yÉvoc. Vd. Reogakos p. 25. Per l'impiego della parola, cf. anche Aristoph. Lys. 810, Cali. Ael. SH 251, 13•, Htc. fr. 368, 2 Pf. = SH 287, 25 =fr. 49, 15 H.• con il comm. di Pf. Il vocabolo 8évap nell'lliadesignificapalmo della mano,menlre qui esso indica la pianta del piede. Per il nesso no6òc 8Évap, cf. Arat. 718 9Évap 1to6oc, Nono. XXV 546 no6òc 9évap•. La parola ha il
COMMENTO:AET. I FRR. 26-27; 26
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senso di pianta del piede anche ncll'ep. adesp.Anth. Pal. XIV 7, vv. 2, 4, 6. La voce se{YTI, dopo l'attestazione omerica, è sopraltlltto impiegata in prosa (cf. anche PJouse1vav nel v. 11). c.1ecil.oc isd 111v: La violazione della «prima legge di Meyer» è attenuata dal postpositivum: vd. Introd. m.t.A.cJ. Per la prolessi del sostantivo, vd. il comm. alfr. 8. La posposizione di È1t2{compare anche oeifrr. 36, 4; 53, la, 110, 7, in Del. 157 e in Lav. 121. ILlY &v•• ao&òc.8ive1p: Il verbo iusnw ammette il significato di pungere dopo il periodo arcaico: cI. soprattutto lbeocr. X 4 iòv 1t66a ICCXIC'tOC e'tU"'E I, IV 53 ÈiU1tflY(vd. Barigazzi, Eracle e Tiodamante p. 237 s.), ma anche Philit. CA fr. 16, 2 p. 93 1C1X1Ciou fl>lll'a, Theoa. IV 55 iu1111a.Vd. il comm. di Gow a Theocr. IV 51. Per la costtuziooe del verbo con il doppio accusativo, cf. p.es. Hom. IL XXI 180 I yauipa yap 111vfl>..,2. 2 8v1111Cvmv: Cf. [Hes.J Scut. 262, Aristoph. Nub. 610, 1478, Eup. PCG 206, (Cali.) fr. inc. auct. 732 Pf. = (Hec.)fr. inc. auct. 165 H., Ap. Rh. m 1326. 2 s. 1.a:zv11vniJ8eoc aD.1ea d8av I lp11~ci11avoc:Allo stesso modo, nell'inno di Callimaco ad Artemide (v. 76), la piccola dea afferra i peli petlOJ'8lidel tenibile Ciclope Brooteo, sulle cui ginocchia è seduta: cni82oc iK l'EYIXÀou1.adTlc È6pcxçao xai'tflc (immagini simili erano frequenti nel dramma satiresco: vd. il comm. di Bommaoo ad loc.); basandosi su questo luogo dell'inno, Lobel ha proposto di correggere MXYTIYin 1.cxxvTlc,che dipenderebbe da 6paça11Evoc (vd. app.), ma l'intervento non sembra necessario. Per il nesso MXYTIYcni82oc, cf. Hom.. Il. xvm 415 cni82a 1.axvtiEvia I, Nono. Dion. XXVIlI 210 e XXXVI 324 e XLVI 196 I cni8ea 1.axvii2via. Anche Properzio (IV 9, 49) parla dell'hirsutum ... pectus I di Eracle, in uo'degia che sembra risentire di ques1a pane degli Aitia (vd. la fine del comm. ai frr. 24-25). Il participio 6p11çcquwoc non è attestato nei poemi omerici. dove compare solo la forma 6E6pay11ivoc (R. xm 393 = XVI 486). Per l'allocuzione a F.rade, vd il comm. alfr. 25, 2 l'Èv .•. cu 3 dv: Per la forma dorica, vd. i comm. di Mcv:ouo a lov. 4 vlv e di Hollis a Hec. fr. 15 = 281 Pf. fl>. l»Ym:Cf. Call. Ep. XXXIV 1 Pf. = HE 1151• (ancora in riferimento a Eracle). Per la aasi, vd il comm.al/r. 1, 32 ou~[11]xuc. Til.cK civ111{c.THD16_,.,: CC. Noon. Dion. XI 96 I siv8ei 11içE yÉÀ«Dta, XLVI 270 I 11iç11e6cx1Cpuyil.con. Un'espressione simile a quesla degli Aitia si trova nell'inno calUmacbeo a Delo (v. 217), quando la timorosa Iride comunica a F.rache I Jltona è sul punto di partorire nell'isola di Delo: ~pcp 6' ùv211icyEio 11u8oc• (faccio ooiare che da questo luogo 11u8q,•). Il dell'inno dipende il fr. epic. odesp. GDRK XXXVI 3, 4 yooc (6 ') ÙVEl'lL'YE'tO modello di C. è Hom. Od. X 235 s. ùvi11tcy2 6È dic, I ,cxpp.a1C111.uyp · (a proposito di Circe): è quesla l'unica attestazione del verl>o ùva11icym nei poemi omerici. Sul piano 13, 13 W. = 1, 13 formale, cf. anche [Theogo.J 961 u6mp 6' ùva11ky2ia1 u6e1•,Sol.fr. GenL-Pr. (1t1.ouioc) 6' Ùvaµu:yEtal ain•, 4 eic61ee: L'uso della congiunzione con l'indicativo (v. 5 ùpoif!u) invece del coogiuntivo è frequente a partire dalla poesia ellenistica: la costruzione è attestata anche Vd. Schneider I p. 286 {con un'ampia nell'inno a Delo di C. (v. 150 I EÌLon ... ÈICÉKÀ.Ei:o). raa:olla di pusi), Wilarnowitz, Callimachihymni et epigrammata(Berolini 19073 ), p. 12 o. 1, Pf. Il p. XC e il comm. di Gigante Laozaraal puso citato dell'inno a Delo. ip(ao1ov va16v: Il modello è omerico ed esiodeo: Hom. n.xvm 541 s. ve1òv ... I ... ipiso1.ov, Od. V 127 e Hes. Theog. 971 I nuj> ÈvÌ.iptso1fp. Cf. poi [Theoa.] XXV 25 ip11to1.otc ... Èv vewiuv I, ma anche CaU.Dian. 175 s. v2tòv ... I nipcxyuov {e Ap. Rb. m 411 s., 497, 1343 s.). IÌY&pxo11Évip: La costruzione del verbo con J'accusativo è singolare. 5 ÌtllDTipmv In wov1ftc. lkv"ip: L'espressione ha influito su Ap. Rh. I 760 I Pc,UKatc ou1tco1toU6c, a proposito di Apollo grandefanciullo, non ancora uomo/ano (trad. Ardizzoni). In questo caso, Apollonio mette io operal'oppositioin imitando(vd Giangrande, 'Arrealhuiva' pp. 88-90=14-16).
o
a·.
296
CALLIMACO- AJTIA, LIBRI PRIMOE SF.CONDO
àt9LOyipmv: La parola significa qui vtcchio vtgtto, ancora in font, come nella sua unica attestazione omerica (IL xxm 7911 cDµoyÉpov'tci, a proposito di Odisseo): vd. A. Fresenius, Dt A.É~ECov Aristophanearumtt Suetonianarumtxctrptis Byzantinis (Aquis Mattiacis 1875), p. 86 s., Aristoph. Ilq,ì. òvoµadac iiA.uc\O>Y fr. 63 Slater. Cf. tp. Olhsp.Anth. Pal. VII 363, 9• e Nono. Dion. XVIII 149. Dalla formulazionecallimacbea dipende Ftlostrato (lmag. II 2A, vd. il comm.ai frr. 26-27), che presenta cosl Tiodarnaote: O 6è upuq,vòc ic:aì.Èv à,µq, 'tq> y,ip~. Il corrispettivo fPJDrniniledi cDµoyÉpcov è à,µòypauc (Meo.fr. 734 K0rte-1bicrfddt1). I nessi equivalenti io Latioo SODOcruda StMctllS (Verg. Atn. VI 304, Sil. XVI 331, Tac. Agr. 29, 4) e cruda stntcta (Sii. I 405). Il vocabolo roµoyÉpcovba invece il sensodi invtcchialo prtcoctmtntt presso Paul. Sii. Anth. Pal. V 264, 1 = 51, 1 Viaosioo: questo secondo sigoif\cato deriva dall'espressione omerica ed esiodea roµòvyijpac (Hom. Od. XV 357, Hes. Op. 705), cheequivale a vtcchiaia prtcoct (cf. anche GVJ2037, 4). In xoul.ùc ùviip: Per in xouA.uc, cf. forse Cali. Ep. LXI 1 Pf. = HE 12 3 3. L'aggettivo ba qui il senso di gagliardo: per quest'uso, cf. p.es. Dem. XL 53 xoA.ùc ic:aì. 'tOA.flT)p6c Ècnv iiv8pco1toc. li,S6l.T1e&: Il verbo comparea partire dai poeti ellenistici come equivalente di àtY'tiPoUm: cf. Call.fr. inc. std 619 Pf. = (Htc.)fr. inc. std. 159 H., Ap. Rb. II 770, m 1145, [Orpb.J Arg. 470 (vd. Bredau p. 48). Il sostantivo derivato cij30A.,t'tcop veniva impiegato da Aotirnaro (Jr. 76 Wyss), come anche forse l'astratto àtfJoA.T)'t'Uc (Jr. club.161 Wyss). Lo stesso C. adoaa l'hapax ~vçT1!JoA.iolo io Att. SH 257, 29 e forse il nesso11,Sol.ov ,Jiµap(Jr. inc. auct.1o/ Pf.). ,Som-cimv:Il verbo è un hapa.x esiodeo (Op. 391 •). 6 a& 1Cmx [o ]VY ... &11:11\YIIY: Come spiega lo stesso c. io questo verso e nel successivo, l'aic:a\Ya è un'asta lunga dieci piedi (cioè circa tre metri), che funge contemporaneamenteda pungolo dei buoi e da strumento per la mismazione della terra (vd. anche l'app. delle fonti ai vv. 6 e 7). Lo Schol. Ap. Rb. III 1323 b (riponato oell'app. delle fonti al v. 7) specifica cbe l'ciic:alYafu un'invenzione dei Pelasgi per il primo uso e dei Tessali per il secondo: la prima spiegazionederiva dall'impiegodella parola presso Apollonio Rodio (III 1323 Ilr.).cuyi6l ... ciic:a{vnI). Il vocabolo designa lo stimolo dei buoi anche io UD epigramma di Agazia (Anth. Pal. VI 41. 3-= 65, 3 Viaosioo): !JouKA.T)lC"CpOY a1Calvav. Vd. Bredau p. 86. Per 6r.ic:axouc,cf. Aristopb. Ecci.652. 7 Ùfl•Jlttapov: L'avverbio è sempre all'inizio del verso nei poemi omerici: cf. Il. III 179 al. Cf. anche Cali. Cer. 35•. 11:mpov ... ,SoBM. v,: Il nesso corrisponde all'omerico !Joux)..itç(Il. VI 135). ~11ì 1Li-cpovcipo'6P11c: Cf. Nono. Dion. IV 277•. 8-19: F.racle chiede a TiodarnaotP. un po' di cibo per mo (vv. 8-12), ma il re glielo nega insultandolo (vv. 13-19). 8 •.. J ••• ov: Doveva comparire qui una fonnula introduttiva al discorso diretto di Eracle (cf. il successivo x~'ipr., che è il saluto dell'eroe a Tinclamanr~):l'integrazione 1c:aì.J 11\1$ou· di Barigazzi(t dictvi, vd app.) dà il senso richiesto. ~,!v•'! ... [ ..... JJl&vmv:Probabilmente è un genitivo assoluto: Wilamowitz ba supplito [cuvav-co]µÉvcovsulla base di Cali. Dian. 161, dove cuvitvu-co è impiegato a proposito dell'incontro fra Eracle e TIQdamaotc(vd. app.). L'eroe fa sàbito appello ai doveri dell'ospitalità (ç~$vmy). 9 ..... 1'1:La propostaol,..uu (vd app.; per l'elisione di -e, vd. Introd. m.2D.). Per l'uso metaforico KA.Eic'tOC oÀ.lc8ocEV\ I e Dion. Hai. di ÒA.ic.8ol,cf. (Call.) fr. inc. auct. 754 Pf. O'tEyÀ.ci>ccn Comp. VI 22, 35 À.Éçtc... ÒA.lc8cxvouca 6w 'rijc.cìtccriic. 22 uilci1lC1CJ:La parola è stata dubbiosamente inserita in testo da Pf. sulla base di uno scolionel margine superiore del papiro, dove si dice che l'acciaiosi speu.a solo se su di esso si versadel sanguedi capro(vd. app.). Forseil feroceT'JOdamamc veniva paragODIIO all'acàaio
Frammento 27 (25 Pf.) 5u111(01e 'AuvaGuv il,s\ -rp,,s-rfipoc tci•accxct: L'attribuzione del frammento agli Aitia e a questo punto della vicenda è congetturale e si ricava dal suo contenuto: gli Etimologici che tramandano l'esametro lo inseriscono nel conresto del llE'tOltclCµoc. imposto ai Driopi da Eracle; una volta giunti nel Peloponneso, essi furono chiamati Asinesi, cioè Inoffensivi,e fondarono la città di Asine in Argolide. Il trasferimento dei Driopi segnava la fine dell'aition, come si ricava dallo Schol. Ap. Rh. I 1212-1219 a (vd app. delle fonti). Questa vicenda era forse già nanata da Fcrecide (FGrHist3 F 19 in Schol. Ap. Rh. I.I.; vd l'app. delle fonti alfr. 26): cf. poi Herodot VIll 43, Diod IV 37, 2. Strab. VIll 373, Paus. IV 34, 9. Il verso è corrotto: si parla dei miseri Asinesi e di un pestello; forse C. paragonava la durezza di Eracle nei confronti dei Driopi ai colpi di un pestello. La congettura di Pf. ÈKÌ tpuniip oca 2taicac (da Ènutaico) significherebbe: avendo inferto sui miseri Asinesi tanti colpi quanti un pestello (per Ja tmesi, vd. il comm. alfr. 20, 8 cì,c' tiépa Vf1ÒcÈ.Àac.cnc;si osservi che il verso cosi ricostruito non violerebbe la nonna metrica enunciata nell'lntrod. ID.LA.e.vii., perché il preverbio in tmesi ini avrebbe valore prepositivo). Invece Barber propone inì. tptn'rijpa ntcxc.c.ac(da ÈnlntÉ~co),cioè avendo premuto il pestello sui miseri Asinesi:se si accoglie questa coogeuura, il verso - con la sua clausola dorica - diviene simile a Theocr. IV 35 ,cuiçac• (vd. Barigazzi, Eraclee Twdamantep. 238). Vd in generalel'app.
COMMENTO: AET. I FRR. 26-27; 28-34
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L'irnrnag;oe degli Asinesi battuti dal pestello di Eracle sembraavere un corrispettivo conaeto nellapena cui fu condannato 2.eoonedi Elea pez aver tentato di abbattere il tiranno della sua città: cf. Diog. Laert. Anth. Pal. VII 129, 3 s. 6~ ycip u Aa~còvo -rupcivvociv oÀ.Jlcp I "o•e. Cf. anche (a proposito del fllosofo Anassarco fatto pestare in un mortaio da Nicocreonte) Cic. Nat. deor. m 33, 82, Ov. lb. 511 s., Diog. Laert.Anth. Pal. VII 133. aau.cdo":L'aggettivo è impiegaro frequentemente dai ttagici; cf. anche Call. Att. Jr. 93, 5 Pf.•, Cer. 83•, 93•, 100. "P'•fl\poc:Cf. Nic. Ther. 95,fr. 10, 15 Scbnei~ (AL 494• in altro senso). Forse appartengono alla favola di Tiodarnant.eilfr. inc. std. 136 e ilfr. inc. aucl. 142. Il fr. inc. std. 528a Pf. ('14eà p.f:vj,i;ac, q8pà 6è:,re1eoJL2v2) pottebbe contenere le minacce di guena rivolte dal re dei Driopi a &ade, ma la paternità calJirnacbeadel fnirnJDP.11to è dubbia (vd. Pf. I p. 509). Vd. nel teslO l'annotazionedopo il/r. 27.
Frammenti 28-34 (Lino e Corebo) Dopo l'episodiodi Tiodarnant~ vengono a mancare gli Scholia Fiorentina,che assicmano la successione ininterrotta degli argomenti a partire dal prologo. Dalfr. 31 si deduceche l'ailion di Uno e Corebo era narrato nel primo libro (vd. app. delle fonti ad loc.), ma ignoriamo a che distanza si trovasse questa sezione dalla favola driopica (frr. 26-27). Si sa solo che essa precedeva imfnN1iatamenteil racconto di Artemide leucadia (frr. 35-38): infatti nella Diegesis Oxoniensis la storia di Lino e Corebo viene esposta nbito prima della vicenda di Lc•. 11cade Sulla base del rigo 5 della Dieg. Oxon./ab. Lini ti Corotbi, Pf. congeuura che questo ailion seguissesema soluzione di continuilà i due racconti dedicati a &ade (frr. 24-27): ma si ttatta di un'ipotesi molto incerta (vd. l'annotazione ad loc.). Ugualmente dubbio è che il rigo 7 della Ditgtsis tramandi - sotto forma di lemma - la parte finale dell'esametro con il quale C. dava inizio alla nuova narrazione (forse {i Kev:vd. l'annotazionead loc.). L'ordine dei frammenti all'interno dell'ailion è incerto (vd. l'annotazione alfr. 28): sulla base delle testimonianze a nostra disposizione (vd. oltre) si può ricosttuire questo schema
namdivo: Perchégli Argivi cbiamann un mese 'Apnioc (degli agMlh) e pen:bé nel corso di questo mese essi uccidono i cani che si trovano nei paraggi?Una Musa (non sappiamo quale, cf. Jr. 35) espone l'aition: Apollo seduce Psamatc, figlia del re di Argo Crotopo; la fanciulla partorisce Lino e lo affida a UD pastore; il bimbo cresce umilmente fra gli agnelli (Jr. 28), ma i cani del gregge del re sbranano Lino, nipote di Cro1opo(Jr. 29): ciò spiega l'usanza argiva; il dolore di Psamate fa scoprire ogni cosa a Crotopo, che uccide la figlia; Apollo si vendica abbalteodo su Argo UD mostro che rapisce i bambini (Jr. 30); l'eroe Corebo uccide l'orribile aeatura (frr. 31 e 32); Febo allora scaglia contro gli Argivi una pestileoz.a; Corebo, andato a Delfi per purificarsi. riceve dalla Pizia UD tripode. con l'ordinedi portarlo con sé: dove l'oggetto gli scivolerà di mano, egli dovrà cosb'UireUD tempio ad Apollo, fondare· UD nuovo centro e prendere dimora; questo avviene nella Megaridc.dove Corebo edifica la ciUàdi Tripodisoo (frr.
33 e 34). Della Diegesis Oxonitnsisfabulat Lini ti Coroebiè leggibile solo la parte frnale 01.1825): si racconta cbe Corebo e i suoi compagni fondarono Tripodisco; viene poi data la spiegazione dell'aition,dalla quale si può dedurre il contenuto della domanda posta alle Muse dal cpersonaggio C.» (vd. sopra); si specifica infine che C. ttasse la storia dagli storiografi Agia e Dercilo (FGrHist 305 F 8 bis, voi. m B p. 757): vd. io proposito il comm. aifrr. 5918 e Cassio p. 262. Sulla favola di Lino e Corebo e sull'usanza argiva abbiamo inoltre le seguenti teslimoniaD7.e: - CODOD Dieg. cap. 19 (FGrHist26 F 1 XIX, I p. 195). Secondo Cooooe, Lino è affidato da Psarnate a UD putore che lo alleva. finché i cani del gregge DOD lo sbranano (la figura del
300
CALLIMACO• AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
KOlJlTIY compariva probabilmente anchenellaD8l'l'8Zionr. callìrnac:bea). Si dice poi cbe Psarnate, a causa del suo dolore, si ttadisce agli occhi di Crotopo e viene da lui uccisa. A differenza di C., Conone non parla del mostro e di Corebo, ma sùbito della pestilema abbattuta da Apollo su Argo ('AxoU.Wv 6È tép tij, ÈpcoµÉVTI(q,ovcp xoMll8ek M>lJlcpICOA.ai;El'tOÙ( 'Apyefouc). Per liberarsi dal contagio, gli Argivi consultano l'oracolo di Delfi, che ordina loro di preslare oo1111v Èvtati8a oi!C'iìcat). Pausania desaive infiDe la tomba di Corebo nell'àyopci di Megara: vi sono isaitti dei versi elegiaci, che narrano la storia di Psamatee Corebo; sul sepolcro c'è una scultura rappresentante Corebo che uccide llotvq (Kopo(pcp 6i Èctl tcxq,oc Èv tft Meyapécov àyop~ · yÉypa1ttat 6È V..qeia tà Èc 'l'aµci811v KaÌ tà Èc aùtòv exovta KopotPov ICUÌ.lÌfl ICUÌ.ÈK{81)µciÈc'tl tip tcif(p Kopo1Poc .OVEUCl)V't'IV llotYTIY-ta\Ìta àycxÀ.flata KaÀ.alDtata, oaoca M8ou KEK011111ivaÈctÌ.v "EU.11uv, wcòv
ot&x).
Wilamowitz, Htldtnsagt p. 231=110 e Pf. ritengono che gli iMytia menzionati da Pausania corrispondano a un epigramma adespoto tràdito nell'Antologia Palatina (Vll 154 =
COMMENTO:AEI. I FRR. 28-34
301
FGE 1456 ss.), il cui titolo nel codice palatino equivale al nostro Jr. 31. L'epigramma è questo: icowòv i-ym METapeuu icaì. 1vax(6cnuv ix8upJLaI 'i&puJLat,'l'aJLci8tic iic61.icov I EÌJLÌ. 6È Kitp tuµPouxoc. o 6È IC'tE\VacµE KopotPoc, I ICE'ita\6. a»&. U1t.Èflo'ic 0ÙÀDJLÉV11C, KOCtpvfl6uc:Possono essere i giorni degli agnelli menzionati da Clearco (o da Eliano) riportato nel comm. ai frr. 28-34. Ma è anche lecito pensare alle feste degli agnelli: infaaj Conone riportato ibid. parla di una i:opfll 'ApY11k,alla quale fa riferimento ancheAlben. m 99 E riportato ibid., chiamandola Kuvo•ovnc:. Sulle possibili grafie dell'aggettivo in questo luogo, vd. app. 3 w::uì.8civ1t.(: Probabilmente si parla di Lino. Poteva esserci qui la terza persona 8avE o la seconda persona8avr.ç (vd. app.):in quest'ultimo caso,ci si rivolgeva al fanciullo con un'allocuzione (cf.frr. 28 e 29). 5 w::ul d,v isL l pcilll• p.08ov o•C1\YD1L&YDY: C. si riferisce all'attività dei rapsodi, che secondo la tradizione recitavano i poemi epici tenendo in mano una verga (j,cip8oc:): la parola j,ci:p6ocera dagli antichicollegata al verbo j,m.-q,6ÉcoOetteralmcnte cucio canti, vd. Kambylis pp. 64 e 117). Per questa metafora, cf. Pind. lsthm. IV 37-39 "(>tlTjpoc... I ... ic:m,:àj,ci:p6ov lq,pmc:EvI 8Eu:u.uov Èfl:Écov con lo Schol. 63 d (su questo luogo di Pindaro vd. WilamowilZ. Pindaros,Berlin 1922, p. 339 n. 3). Cf. anche Pind. Nem. Il 1 s. '(>tlTjp\611\I pCXKdòvÉffÉcoV... ào\6oi I, Paus. IX 30, 3 ÈKÌ j,ci:p6ou 6a•Y11' n6E (scii. Esiodo). All'immagine di j,ci:p6oc:/j,m.-q,61tiv C. sovrappone quella allreUanto antica del canto itllessuto (i1tpmtvo11Evov,vd. La Penna, Properz.iop. 122): cf. Pind. Pyth. IV 275, Nan. IV 44 s.,fr. 179 Sn.-M., Bacch. V 9 s., XIX 8 s. Dal punto di vista formale, per il nessop.ù8ov Ulpngetturale e si deduce dalla menzione di Coreboe della tremendaIlolvi)/K:ftpoppure del tremendo Corebo:l'aggettivo 6cxcd.;;ia (la cui etimologia ci è ignota, vd Frisk s.v.) può essere un'accusativo femminilP. riferito a Iloivi)v o a K;;pa (nome che doveva comparire nel resto circostante: vd app.) o un 11cminatiVf) maschile da aaudare a Kopol!Mx. Nel primo caso, bisognerà ritcnel'e che nelle viciname ci fosse 1m verbo come uccise, vin.se e a>ngetturare che gli Etimologici testimoni del frammento abbiano esttapolato dal testo calJimacbeo due parole prive di un reciproco legame grammaticale. A favore di quest'iporesi si schiera decisamente Pf Infatti, a partire dai poemi omerici, l'aggettivo 6acd.i;iic/6cxcw:1fic designasempreesseri o coocetti spietati e tenibili. Nell'opera omerica l'! attestalo - solo una volta - il femminile 6cxcw:1;;iK: Od. XV 234 8ECi 6acx1;;nc• "Epwuc I (vd. gli sa>li VH e - nell'app. delle fonti - l'Et. Gen. s.v., dove la seconda pane della spiegazione deriva dagli scoli all'Odissea).L'uplicil cmeria> ricompare in un frammento che appartiene al corpus esiodeo (fr. 280, 9 M.-W.) o al poema epia> Minyas (fr. dub. 1, 9 p. 139 Bemabé); il solo nesso 6cxcxl;;iic• "Epwuc si ritrova nelle Argonautiche orfiche (v. 869). La forma 6cxc11:l;;ncfigma anche presso Lyc. 1452 va11:cxc 6ac11:À.fin6cxc I (vd. Tzetz. ad loc.), Tbeoa. Il 14 'Eicaia 6cxc11:1i;n (vd. Schol. e - nel DOSIIO app. delle fonti - l'Et. Gen.) e Hy,nn. Mag. GDRX LIX 10, 48 = 12, 19 6cxcK1i;-n(a proposito della Luna, vd. ~cblauer p. 50). Il nominativo 6acx1fic sembra apparire solo in una glossa corrotta di Esicbio: 6acKÀfl da F.mico Stefano)· JL&ycv..cov 1eaiciilvcxvtal1LKÀ.a1LÉVT1 iciA..Da questo (corretto io 6cxc11:À.fic ncminalivo derivano le forme impiegate da Simonide (PMG 522, 1 6cxc11:l;;iaXapuP6tv I), da C. qui e poi da Euforiooe (CA/r. 94 p. 47 6cxcn1i;iu ... I ... I Eù1Lev(6u),Nicaodro (Ther. 609 6um 6acKÀ.;;u ... 6paicovuc I) e Paolo Silenziario (Anth. Pal. V 241, 3 = 54, 3 Viaosioo 6cxcK1;;ia6wicxciv). Il valore negativo del vocabolo 6cxc1tÀ.fic risulta inoltre dalle sue numerosissime attestazioni nell'opera di Nonno (Dion. IV 371 al., Met. V 12 al.). L'aggettivo ricorreva forse anche (non sappiamo in quale fonna) nelfr. epic. adtsp. GDRK XXXIV 101 6cxc[11:À.T1't (suppL Vitelli). Pf., dunque, esclude che nel frammento di C. 6cxcxl;;ia possa applicarsi a Corebo, uccisore del mostro e benefattore degli Argivi, e ritiene che l'aggettivo definisca Oowfi/Kiip. Nella Tebawe, per di pià, Stazio desaive a>sl l'menda creabJra: monstruminfandis Acheronte sub imo I conceptumEumenidumthalamis (I 597 s.); e Corebo stesso, rivolgendosi ad Apollo delfia>, dice: ego sum qui caede subegi I Phoebe,tuum mortalenefes (1645s.). Invece Scboeider Il p. 677, basandosi sul oomioalivo mascbile 6cxcKÀ.fi't1JC - presente solo negli Epimerismi alphabetici in Homerum (p. 302. 37 Dyck) e forse aeato dai grammatici a>me corrispettivo del femminile 6cxcKÀ.;;i"- vedeva io 6cxcKÀ.;;ia un 11ornina1ivnmascbile eolico riferito a Kopoipoc. Quest'ipotesi, cbe ba il vantaggio di nonoalizzare la citazione negli Etimologici, è Slata appoggiala da Uoyd-Jones, Callimachusfr. 30 Pf. p. 69 s. = 127 anche sul piano dei contenuti. Lloyd-Jones, infalti, ritiene cbe Stat. Theb. VI 286 (speciesque ho"endo. CoroebiI) dipenda da C.: io questo frammento degli Ailia Corebo sarebbe tremendo
CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
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pezcbé porta confitta nella spada la testa del mostro (d. Sw. Theb. Il 221; per i due luoghi di Stazio, vd. il comm.aifrr. 28-34). I dati a nostradisposizione nooci consentonodi sceglierefra le due alternative. Per unapià ampia discussione, vd. Massimillap. 190 s.
Frammento 33 (31 Pf.) Stefano Bizantino dice che Tputo6iu:o, o Tputo6{oco1 o Tputo6k1CT1 è UD borgonella Megaride e attesta che C. negli Aitia lo definiva una città. L'appartenenza del frammento a questo punto della vicenda è dimostrata dal rigo 19 della Ditgtsis Oxonitnsis f abu/LJtLini ti Corotbi: Tripodisco è il nuovo centro fondalo da Corebo nella Megaride; d. anche Paus. I 43, 8 riportalo nel comm. aifrr. 28-34 (una versione diversa - come si è detto - compare presso Conone riportato ibid). La Ditgtsis prova che C. scriveva Tputo6kicoc come Tucidide (IV 70, 1). Per la fonna Tputo61,ico1,d. Pausania riportato nel comm. aifrr. 28-34; per Tpu1:06k1C1ov, cf. Conone riportato ibid. e Strab. IX 394 citato infra; per Tputo61,ic11, cf. Stepb. Byz. testimone del nostro frammento. L'etnico è Tputo6k1C1oc(cf. Susarioo v. 2, West, lamb. ti El. Gr. p. 147, Stepb. Byz. l.l). I codici lta A di Plut. Mor. 295 B (Quanl. Graec. 17) danno comeetnico Tputo6Kicaio1, che è forse uoacorreaaderivazione da Tputo6k1CT1 (gli albi codici banno tputo6Kicouvo1). C., dunque,definisce Tripodisco una 11:6)..K, come fa anche Conone(riportato nel cm,m ai frr. 28-34). Per questo scambio fra ICCDllTI e 11:6)..1,, cf. Poli. IX 27, Cbarax ap. Stepb. Byz. s.v. 'Yda (= FGrHist 103 F 7 bis); altrove, Stefano Bizantino tramanda che C. chiamava città il demo attico di Alimunte (fr. inc. sed. 704 Pf. = (Htc.)fr. inc. std. 170 H., vd. i comm.). Per Tripodisco, d. inoltre Strab. IX 394 'Tputo6cov u· (in merito a Hom. /l Il 558, vd. il camm. di Kirlt).
Frammento 34 (31a
Pf.) L'appartenenza del !momento agli Aitia e a questo punto del racconto è congetturale e si ricava da due considerazioni: innanzitutto, la nota in margine al v. 6 ('tp(11:06u) e le parole leggibili nei vv. 7 e 9 (Ilu8co, òÀ.[i],8n) si adattano molto bene alla storia di Corcbo e Tripodisco, cosl come viene narrata da Pausania riportato nel comm. ai frr. 28-34; inoltre, la secondacolonnadel frammento papiraceo che tramanda il nostro testo contiene l'inizio di versi (fr. 36) del tutto congruenti con la favola di Artemide leucadia (frr. 35-38), la quale seguiva senza soluzione di continuità l'episodio di Lino e Corcbo (vd. l'inizio del comm. aifrr. 28-34). Ecco, dunque, il probabile contenuto di questi versi: Corebo, recatosi a Del/i dopo l'uccisione di IlolYfl, riceve dalla Pizia IDltripode, con l'ordine di portarlo con sé e di costruire UD tempio ad Apollo, di fondare UD nuovo centro e di stabilirsi dove l'oggetto gli scivokrtl di
mano. 3 J .6Y~CK:Si
tratta probabilmente di UD participio aoristo (vd. app.). Il plmale fa forse riferimento a Corebo e ai suoi compagni (cf. Ditg. Oxon. /ab. Lini et Coroebi I. 18 e vd il comm. al v. 11). 5 ]cxc:\:Si tratta forse della fonna verbale lau (vd. app.). 6 J .e: Il papiro, come si è detto, reca in margine la nota tp111:06u. Pf. congettma che essa spieghi l'uso della parola À.ÉP11tec nel testo callimacbeo e richiama in proposito Atben. Il 37 F (vd. app.). Non sembra invece plausibile che l'annotazione si riferisca alla città chiamata 'Tpbto6e, · nell'interpolazione megarica al catalogo delle navi omerico, citata da Strab. IX 394 (vd. il comm. alfr. 33). 7 Du8m: Equivale a Aù.1p0{: vd. il comm. alfr. 20, 7. Per la consultazione dell'oracolo delfico, vd. il comm. alfr. 36, 5. 8 Forse Apollo parla in prima persona per bocca della Pizia e si riferisce al tempio che Corcbo deve costruire in suo onore.
'"'=
COMMENTO: AET. I FRR. 32-34; 35-38
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9 òA.[{Jc;8n: Nel racconto di Pausania riportato nel comm.ai frr. 28-34, cf. soprattutto ÉKKÉCTI, àKOÀ.lC8cov ed ÉKKECCOY. 11 ] .ono: Per il plurale, vd. il comm. al v. 3.
Può darsi che ilfr. 43 del primo libro risalga a quest'aition. Alla favola di Lino e Corebo appartengonoforse ifrr. inc. std. 122 e 133. Vd. nel testo l'anootazionedopo il/r. 34.
Frammenti 35-38 (Artemide di Leucade) La Ditgtsis Oxonitnsis dimosua cbe questo aition seguiva UDD1ediatarnPDte l'episodio di Lino e Corebo (vd. l'inizio del comm. aifrr. 28-34). Essa ci permette anche di ricoslnlire lo sviluppo di gran pane della favola. Dopo che una delle Muse ba tenninato il racconto di Lino e Corebo, il «personaggio C.» pone alle dee un'alba demanda (fr. 35): perché nell'isola di J..e,JCadeta swua lignea di Artemide ba sul capo un mortaio? Segue l'esposizione dell'aition. Alami Epiroti, mentre saccheggiano Leucade, trovano nel santuario di Artemide una statua della dea con in testa una corona d'oro, che prelevano sostituendole scherzosamente un mortaio, da loro usato per tritare l'aglio. Il giorno dopo gli abitanti di Leucade sistemano al posto del mortaio una nuova corona, ma il mallioo seguente la trovano caduta ai piedi della statua. A nulla serve inchiodare la corona al suo posto, perché per albi due giorni l'oggetto viene rinvenuto a tena Ci si rivolge allora sulla testa il mortaio (Jr. 36). all'oracolodi Delfi. il quale chiarisce cbeArtemidedesiderarmerc La collocazione dei frr. 37 e 38 non è determinabile: forse essi noo appartengono a questo aition.
Huxleyp. 310 s. ba scoperto che una versione della storia era già DOblad Aristolele, come si ricava da Eraclide Lembo (Exctrpta Poliliarum 45, p. 28. 8 Dilts): MoA.onoì. 6È 'rilc Apiqn6oc cuA.itcavuc iò i.epòv ,caì. iou çocivou XPUCO\IY ~EÀ.oflEYO\uÉ,pavov 8udav Éi(8uav àvi· aùiou. iéòv 6È KE,pau.iJvmv cillov ÉKl8Évimv,iouiov àKÉ~aÀ.EYii 8Eòc 1eaì.xap.uì. KE\JI.Evoc EupÉ61).I Molossi, saccheggiando il santuario di Artemide a Cefalonia. soaraggooo una corona d'oro alla statua lignea della deae vi sostituiscono una 8uda (sic); gli che peroviene ritrovata a abitanti di Ccfalooia meaooo sul capo di Artemide un'altra corona. tena In questa storia la parola 8ucw va senz'altro corretta in 8uEw (monaio). Si noti che Ccfalonia è, come Leucadc, un'isola del Mare Iooio e che i Molossi sono una bibl) dell'Epiro. Per il legame fra le Costiluzioni di Aristotele e gli Aitia, vd. il comm.aifrr. 5-9 18. Sul culto di Artemide a Leucade non siamo altrimenti informati. A quanto pare, soltanto in monete leucadie successive al 168 a.e.viene effigiata la swua della dea (che peropotrebbe risalire a un'epoca anteriore): vd. P. Gardner, A Catalogut of tM Grttk Coins in the British Mustum. Thessaly to Attolia (London 1883), pp. 179-182 e fotografie XXVIII 15-16 e XXIX 1, LJMC Artemis 727 = Aphrodite 40a con fotografia. Che si tratti di Artemide, è dimostrato dalla presenza di un cervo accanto alla deae di una piccola luna aesceote sul suo capo.Perciò è enata l'opioiooe di E. Curtius, «Hermes» 10 (1876), p. 243, che riconosceva qui una 'A•po6{fll AivElooa: questa falsa interpretazoneè condivisa da B. V. Head, Historia ruunorum (Oxford 19112), p. 330 s. e J. von Keitz, Dt Attolorum tt Acamanum sacris (Diss. Halle 1911), p. 73. Da parte sua, C. Combe, Nwnmorum veterum populorum et urbium, qui in Museo Gulitlmi Hunttr asstrvantur descriptio jiguris illustrata (Londinii 1782), p. 172 e fig. xxxm 6 pensò di vedere UDO staio sulla tesla della dea: a quest'intezpretazionesi rifanno T. E. Miomrnet, Dtscription de mldaillts antiques, grecques tt romaines, Supplimtnt III (Paris 1824) pp. 462~ e «Gazette archéologique» 7 (1881-1882), p. 83 e n. 3, HOfer,RML II (1890-1897) p. 1984, Kock, RE XII (1925) p. 2210. Ma coloro che banno successivamente studiato queste monete coocordano Delriconoscere noo UDO staio, bensl una luna crescente sul capo di Artemide: vd. sopratllltto G. Macdonald, Catalogut of Gretk Coins in the Hunttrian Collection Il (Glasgow 1901) p. 25 e fotografia XXXII 7 e le descrizioni in L/MC ciL A 0
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
quanto pare, dunque, non restano altre ttacce del mortaio che - secondo il raca,oto di C. - si trovava sulla testa della swua di Artemide leucadia. A una statua è dedicato anche l'ailioncallirnacbeo di Apollo dello (Jr. 64, 4-17): per altti paralleli, vd. il comm.ad loc. In particolare, per mi'altta swua di Artemide, cf. fr. 111.
Frammento 35 (31b Pf.)
i è Jç lllv 1.,. · icìc a• at8ap illl>ç sul.,v ar1,io 8ull6,: Questo esametro funge da lemma nella Diegesis Oxoniensised è quindi il primo verso dell'aition.Il soggeuodi EfP11 è la Musa che ha narrato la favola di Lino e Corcbo. L'animo di C. che sogna (cf. frr. 3-4 e vd. il comm. alfr. 2, 3) pone sùbito alle Muse ('tàc 6') un altro quesito, riguardante la statua di Artemide leucadia Per il mcccanislJlodel colloquio fra il «personaggio C.» e le Muse. vd. Introd. 1.4.D.;per le imitazioni di Ovidio nei Fasti, vd. il comm.alfr. 9, 22. Nelle transizioni del dialogo fra il «personaggio C.» e le Muse, è tipico l'uso di éoco 'tcix o Z>6E(Jr. SO, vv. 56 e 84,frr. inc. auct. 140 e 141) - che corrisponde all'ovidiano sic (Fast. m 171, IV 195, V 193, VI 655, 801, 811) - e del verbo ""11&i (Jr. SO,56). Per il trapassodalleparoledi unaMusa a una nuova domanda,cf. Ov. Fast. IV 215, 349 s. Barber e Maas propongono di inserire nel pentametro seguenteilfr. inc. auct.139; a sua volta Pf. suggerisce di integrare [AEu1Cci6inJ all'inizio del ~mo pentalJV!h'O, cosl da avere: [AEu1Cci6inJ 'tT)v8Euv "Ap'tEl'lVot· e,ui8Ev. Per la struttura sintattica che ne risulterebbe, Pf. richiama Pind. 01. VI 48 s. affCIV'tCK Èv oilCCpI EipE'tOKat6ci, tòv Eùalivci 'tROl. Per il dativo di luogo AEu1Cci6in, cf.fr. inc. sed 655, 2 Pf. con il comm.Vd. app. t à, Jç tiè:v EfTI· tcìc a· ct8ap: Per t mJç 1&Èv, cf. Aet. fr. 61 Pf. •, ma non si può escludere il supplemento iò]ç (vd. app.). L'incipit è imitato da Apollooio Rodio (Il 408): mc cip' e1p11· toùc li' d8ap*. Per il solo tùc 6" d8cip, cf. forse Hes.fr. 1, 12 M.-W. toùc 6' d~[cip]•. L'avverbio Et8cipè già nell'Iliade 001erica, dove significa direttamente(V 337, XX 473) o - come qui - sùbilo (Xl 579 = XllI 412 = XVII 349, xn 353, XVII 119, 707, xxm 256): cf. Schol. (T) Hom. Il. V 337 nvÈc 1Ccit'i8u, ~ civtì. tou 'taxi>, Hesych. s.v. d8cip 6é (ad Hom. Il. V 337) · tcixÉcoclii, ro8Écoc,ij6E 1Cat· Eù8u. Per l'uso dell'avverbio, cf. inoltre Antirn. fr. 20, 5 Wyss, Ap. Rb. m 1313, IV 1606, [Theoa.) XXV 213, Nic. Ther. 541, Al. 517, EpGr. 1034, 27 Kaibel, QuioL Smym. I 584• = m 345• al., Eudoc. Cypr. I 7, 11•.
Frammento 36 (31c Pf. > L'appartenem.a del frammento agli Ailia e a questo punto della vicendaè coogetturale e si deduce da due considerazioni: innanzitutto, le parole leggibili nei vv. 3-6 si adattanomolto bene alla parte della favola leucadia esposta nei righi 15-22della Diegesis Oxoniensis;inoltre, la prima colonna del frammento papiraceo che tramanda il nostto testo contiene la fine di versi (Jr. 34) congruenti con la storia di Lino e Corebo (frr. 28-34), che precedeva senza soluzione di continuità l'episodio di Anemide leucadia (vd. l'inizio del comm.aifrr.28-34). Ecco, dunque, il probabile contenuto di questi versi: la corona d'oro messa sul capo della statua al posto del mortaio fu trovata il mattino seguente davanli ai piedi della dea (v. 3); dopo che questo fu successo per tre giorni (v. 4) i Leucadi andaronoa consultare l'v ,uiòv &iù 'tt)Y xiéva ICUÌ.'tÒV 1Cpuciallov, ciU' ivU.miai. ICUÌKIIY'tU &È 'tÙ i,,n.A.o>JlÉYaop11 Uiyuo ctaÀ.alCpai, Hcsycb. s.v. ctaA.a1Cpai e ctaA-a1Cpov. L'aggettivo ctaA.a1Cpaio, viene impiegato pill o meno come equivalente di iluo o di troianoda Llcofronc (vv. 24, 1170) e Nicaodro (Ther. 668, Al. 40); cf. gli scoli a tutti questi luoghi e soprauutto lo Schol. (s 3) Lyc. 24: ii "161)iò opcx ipux CÌICpKòctaA.111CP1Jv, KP1JéÌ>Ya "16,ic ipt1Cap11vou,ma pensa ancbc chesi possa scrivccc~Kpijc (cosl da avere soao la vettatricipilt brullo Ida), in base al confronto con il luogo di Stefano Bi7.antinoriportato sopra. Fondandosi sul passo di Colluto, molti banno pcnsalOche il frammento di C. risalisse a una narrazione della storia di Paride: vd. Scbneider II pp. 48 e 74, F. Zoellncr, Analtcta Ovidiana(Leipzig1892), p. 112, A. De Lorcnzi, «RIGI» 13 (1929), pp. 42-49. Invece Knaack, Callimachta p. 12, partendo dal v. 1170 dell'Alessandra di Licofrone (vd. sopra), ritiene che il frammento appartenesse al racconto delle fanciulle locresi mandate a Troia (cf. jr. 42 con il comm.). Pf. osservagiustamente e.besi uauadi ipotesi inccnissmle. Si noti che Troia vicoc menzionala nel jr. 97, 20. Hollis suggerisce di ricondurre a questo frammento ilfr. (815) Pf. Vd l'annotazione dopo il testo.
cui
Frammento 41 (35
Pf.) Durante l'assedio di Troia, Aiace loaesc tiglio di Oileo violenta Cassanin nel santuario di Atena.la cui statua lignea rivolge gli occhi verso il soffitto, a dimostrare l'ira della dea. Mentre i Greci navigano sulla strada del ritorno, Atena si vendica dell'olttaggio abbattendo su di loro grandi tempeste in prossimità dcll'Eubca e uccidendone molti. Aiace, messosi in salvo sugli scogli Girci (vicino alla Ciclade Micono), si vanta di essere scampato alla morte a dispetto degli dèi. Allora Posidone spacca lo scoglio sul quale si ttova l'eroe e lo fa annegare: il suo cadavere, rigettato dalle onde a Delo, viene sepolto dalla pietosa Teti. Ma Atena, non ancora placata, abbattesulla Loaide una pestilenza Viene consultato l'oracolo di Delfi, che riconosce nell'empio atto di Aiace la causa del contagio: i Locresi dovranno inviare a Troia ogni anno e pei- un millennio delle fanciulle scelte a sorte. Le ragazze vengono lapidate dai Troiani: quelle che riescono a salvarsi e a giungere di nasc:osto nel santuario di Atena, diventano sacerdotesse della dea; le uccise vengono bruciate su rami sccdli e le loro ossa sono scagliate in mare dal monte Trarone. Questa lunga sequela di vicende è esposta in uno scolio all'lliacu omerica e in uno scolio all'Altssandra di Llcofrone, che coocludono il loro resoconto dicendo che la nmraziooe si uova nel primo libro degli Aitia di C. I due scoli espongono momenti diversi della storia: il primo
COMMENTO:AEl'. I FRR. 4042
313
va dallo stupro di Cassandra alla morte di Aiace e fa solo UD breve accenno al tributo millenario imposto da Atena ai Locresi; nel secondo sonomenzionati la peste e l'oracolo ed è raccontata nel dettaglio la storia delle fanciulle di Locri. Non sappiamo quali di questi fatti comparisseronegli Aitia: non sembra plausibile che C. narrassetutta la storia dal saailegio di Aiace al tributo dei Locresi (come invece ritiene C. Roben, Dit griechischeHtldensage Il, Berlin 1920-1926, che tratta delle fanciulle di Locri nelle pp. 1270-1275, dell'oltraggio di Aiace nelle pp. 1266-1268 e della morte e sepoltura dell'eroe nelle pp. 1450-1453). Secondo Pf., forse C. descriveva soltanto la pestilenza e l'invio delle fanciulle (narrati alla fme dello scolio omerico e nello scolio a Licofrone) e il destino delle fanciulle stesse (esposto nello scolio a Licofrone). Ma è anche ammissibile che nella narrazione callimacbea figurasse - se mai solo in UDflash back - la scena della statua di Atena che distoglie Io sguardo: infatti la stessa immagine compare anche nelfr. inc. sed. 662 Pf., dove il simulaao di Atena chiude gli occhi per non vedere il massacro compiuto nel tempio della dea a Siri (vd. le osservazioni di D'Alessio nel comm. alfr. 40). Per UD possibile accenno alla sepoltura di Aiace da pane di Teti, vd. il comm.al Jr.50, 6. Già nell'Odisseaomerica compaiono il naufragio di Aiace, le sue empie parole e la sua morte causata da Posidone, che spaccacon il tridente la rupe Girea (IV 499-511, vd. il comm. di St West). Licofrone parla estesamente delle fanciulle locresi (vv. 1141-1173) e narra la violazione di Cassandracon il particolare del Palladio che distoglie lo sguardo (vv. 357-364), nonché la morte di Aiace sugli scogli Girei in ~guito al colpo di Posidone e la sepoltura dell'eroe a Dclo per mano di Teti (vv. 387-402). Tutte le testimoniame sulle fanciulle di Loai SODO raccolte da w. Leaf, Troy (London 1912), App. C pp. 392-396, che peroatblbuisc:e per erroreagli elegiaci Aitia tre esametrianonimi relativi al sacerdozio delle fanciulle stesse nel tempio U'Oianodi Atena, citati da Plut Mor. 551 D (De ser. num. vind. 12). Questi versi, a partire da J. Toup, Epistula critica (London 1767), p. 163, sono di solito attribuiti a Euforione (CA/r. 53 p. 40), ma la loro paternità resta incerta. L'ipotesi che l'autore dei tre esametri sia Euforione è ora forse confortata da UD frammento papiraceo, nel quale questo stesso poeta menziona una certa Peribca (SH 429, 4): costei, come osservano LJ.-P. nel comm., potrebbe essere una delle fanciulle inviate dai Locresi ai Troiani. Sulla ttadiziooe del mito, vd. Wilamowitz, Die Ilias und Homer(Berlin 1916), pp. 383-395 (per C., p. 386). Come ci infonna uno scolio al v. 1155 di Licofrone, Timeo parlava delle fanciulle di Loai nel tempio di Atena a Troia (FGrHist 566 F 146, vd. l'annotazione nel testo del nostto frammento): esse erano in numero di due; alla morte di una, un'altra subentrava al suo posto; quella morta non veniva sepolta, ma bruciata su rami secchi; le sue ossa venivano gettate in mare (invece, come si è visto, secondo lo scolio al v. 1141 di Licofrone - che è fonte del nosU'OfT'llmroento- questo ll'lll1amentoera riservato alle fanciulle lapidate dai Troiani). Come talvolta accade (vd. i comm. aifrr. 17, 5; 47; 50, 18-83; 54), è difficile stabilire se TIDleo è la fonte di C.: p.es. Knaack, Callimacheap. 12 ritiene che sia Licofrone sia C. dipendano dallo storico; di opinione contraria è Manni, Locridip. 178 s., secondo il quale l'influenza di Timeo DOD è sicura nemmeno per Euforiooe. Lo stupro di Cassandra, l'ira di Atena, il naufragio di Aiace, le parole blasfeme pronunciale dall'eroe sullo scoglio Gireo e la sua morte causata da Posidone sono anche nanati da Quinto Smimeo (XIll 420-429, XIV 435-439, 548-589): mentre F. Kebmptzow, De Quinti Smymaei fontibus ac mythopoeia (Diss. Kiliae 1891), p. 36 s. ritiene che Quinto attingesse a C., A. Taccone, «BFC» 11 (1904-1905), pp. 205-208 reputa che - in merito alla storia di Aiace l'autore dei Ponhomericasi rifacesse piuttosto a repertori manualistici. Per una possibile connessione del frammento conilfr. 40, vd. le osservazioni di D'Alessio nel comm. ad loc. Può darsi che il frammento fosse collegato alfr. 45 (vd. il comm. ad loc.). Su Troia e sul possibile legame fra la storia delle fanciulle locresi e la vetta dell'Ida chiamata Falaaa, cf. fr. 41. Si osservi che Troia è anche menzionata nel Jr. 97, 20. Colonna, Rtcensione p. 47 propone di ricondurre all'episodio di Aiace UD altto frammento di C., che è stato inserito nelfEcalt (Jr. 374 Pf. • 72 H.) sulla bue della legge di Hec:ker (per la quale vd. il
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
comm. al fr. 19, 9 Nmva1e:p{vT():ii 6È KÙ..16vm82ica 1e:aì 01111au l.oçòv i>Ko6pcìç I òcco!liVfl.SecondoColonna,queste parole esprimerebbero lo sdegno di Atena per la violazione di Cassandra. Qui, infatti, C. imiterebbe Alceo (Jr. 298, 24-27 Voigt), che impiega il rarissimo verbo ,cù..16vooµa1 (divtnto livido) quando descrive il corruccio della dea nei confronti dell'eroe e il naufragio di quest'ultimo. Ma la ricostruzione del passo di Alceo è tutt'altto che sicura: vd. il comm. di Hollis al v. 1 del frammento callimacbeo. Vd. l'annotazione dopo il testo.
Frammento 43 (36 Pf.) C. menzionava il monte Aracneo, in Argolide. Cf. già Aesdl. Ag. 309 'Apaxvaiov utKoc, ciuuyE{tovac c1eo,ccu.,dove lo scolio (MF) spiega: opoc vApyouc. Informazioni dettagliate sono fomite da Pausania (Il 25, 10): 1eatà 6È tiiv i.e.'E,c{6uupov 2ù8Eiciv(veoendo da Argo, dopo Tirinto e Midea) ù.n ICCOJlfl Aijcca, vuòc 6È 'A8T(v&cÈv uùtji 1e:uìçoavov où6Év n 6icicpopov;j tò Èv à1e:p0KoÀ.E1 tjì Aup{cn. Eetl 6È opoc i>xq, tiìc A11ccT(c tò 'Apuxvuiov, Ka.A.CX1 6È tccixuc ÈA.atcovt (sic P: cuxuuA.citcov Va, in marg. RPa) ÈKÌ 'Ivcixou tò ovo11a EÌÀ.11cp21. Pm110ì6É EÌC\VÈv aùtép A1oc tE ICU\"Hpac. 6Ei\cav oµppou ccp{uv Èvtau8a 8ùouu. Il monte Aracneo, dunque, sovrasta il borgo di Lessa; su di esso si ttovano altari di Zeus ed Era. Nel testo di P211sania, l>OUO la conuuda cciKuc ÈA.atmvsi cela l'antico nome del monte. Questa denominazione originaria dell'Aracneo è ttumessa in forma divena da altte fonti: cf. Hesych. s.v. 'Yccu..1ov· tÒ vuv 'Apaxvaiov opoc Èv "ApyEl ICaM>UJlEYOV, lbeognost. Can., Cramcr. AO Il p. 24. 9 'YccÉÀ.E10v, Suid. s.v. 'Yctu.l.21ov. Vd. anche A. Boetbius, RE XII (1925) p. 2136 s.v. Lusa. Non conosciamo la collocazione del frammento all'inlelllo del primo libro. Ad Argo si svolge la favola di Lino e Corcbo (frr. 28-34). Vd. l'mmotaziooc dopo il testo.
Frammento 44 (37 Pf.) Sulle acque del lago (o del fiume) Trilone, nei pressi di CircDe, Atenanacquearmata dalla testa di 2.eus, che Eiesto aveva colpito ron la sua ascia L'atlribuzione al primo libro degli Aitia è sicura (grazie alla testimoniama di Stefano Bmntino) solo per il v. la Ad esso Pf. ba unito congeuuralmeote i due versi successivi, àtati in UD papiro che tramanda 1mcommento a UD testo poetico (come ritiene Lobel nell'tditio princtps) o un'opera teologica forse identificabile con il IlEpì 8Eéòydi Apollodoro (come propone R. Merkelbach, «APF» 16, 1958, pp. 115-117, seguito da Pf., Storia p. 398 s. e H. J. Mette, «Lusttum» 21, 1978. p. 22 s.); vd. anche A. Henricbs, «CF.rc» 5 (1975), pp. 20-22. Per il mito - che nelle linee generali risale alla Teogoniadi Esiodo (v. 92A riportato nel comm.al v. 2) -, vd. S. Kauer, Dit Gebun der Athena im altgriechischenEpos (Wilrzbmg 1959). la Lot11 H Tphmvoc ... 65cxc,v 'Acl56ct110J: L'aggettivo 'AcPunT(c equivale a cirtnto, come sempre nell'opera di C. (cf. Ap. 76 con lo scolio e Vict. Sosib.fr. 384, 6 Pf.): cf. Herodot IV 170 'AcPuua1 ... i>KÈpKuPi1Vf1c oidouu. PeràO qui il Tritone - sia esso il lago o il fiume - è quello cireneo nei pressi di Evesperide-Berenice: cf. p.es. Sttab. XVIl 836 e vd. Delage pp. 261-270. Di un secondo Tritone, posto a Occidente oltte la Sirti Minore, parla p.es. Erodoto (IV 178 ss.): su di esso, vd. l'annotazione di C. Milller a Ptol Geogr. IV 3, 3 e 6, pp. 624 s. e 635 s. (per l'impiego delle parole Tp{tmv e 'AcPuctflc da parte di Licofrooe, vd. il romm. di Pf. alfr. inc. std. 706). Per la oasàta di Atena dalla testa di Zeus (cf. v. 2) sulle sponde del Tritone (dal quale derivano gli appellativi Tritonia, Tritonùle - attestato presso lo stesso Call. lamb. fr. 202, 28 Pf. - e Tritogtnia), et. Hes. fr. dub. 343, 11 s. M.-W. ap. Cbrysipp. fr. 908, SVF Il p. 257 fflV µÈv Et\lCtE 71:afflpàv6péòv u 8ECi>v u I 7tCÌpICopucp{iv, Tp{tmvoc ÈK' ox8nuv KOtu11oio (vd Reinscb-Wemer p. 348 e, per il séguito, il romm. al v. 2); ma qui si parla forse del fiume Tritone in Beozia (vd. il comm.di Livrea ad Ap. Rb. IV 269). Per il solo motivo della nascita di Atena presso il Tritone, cf. poi Aescb. Ewn. 292 s. ed Bm. fon 872 s.
COMMENTO: AET. I FRR. 42-44
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Dalla formulazione di C. dipende Apollonio Rodio (IV 1309-1311): iipéòcca1 A1P1J11c 1ltµoc ot' ÈK1tatpòc ,ce,pal.ijc8opl! 1ta11~ivouca, I àvtOJll!Va\ nµ11opo1, a'i 1tot' 'A8itV11V, Tp{tcovoc Èq,· u6au xuiÀ.a>cavto: poiché Apollonio è l'unico a dire che le Nmfe libiche lavarono Atena appena nata nelle acque del Tritone cireneo e poiché C. (Jr. inc. sed. 126) chiama PallonJiodeo Pallantideil lago cireneo Tritone, Pf. ooogettmache la scena descritta nel passo delle Argonautiche sia un'imitazione di C. (vd. il comm. al fr. 126). Per Atena e il Tritone, cf. poi Lucan. IX 350-354(dove compare anche il motivo della nascita dalla testa di 2.eus, cf. qui il v. 2), Sil. m 322 s., IX 297 (cf. anche IV 533). Le teslimooiaoze sulla nascita di Atena in riva al Tritone sono raccolte da C. Wendel nell'annolaZione agli Schol. Ap. Rh. I 109 e IV 1311. Il verso di C. sembra avere influito su Apollonio Rodio non solo nel passo riportato pià su, ma anche - da un punto di vista formale - in un luogo dove sono desaitte le abluzioni di Artemide (IIl 876 s.): o'i116È )..1apoiuv iv u6au Dap8evio10, I ,\È icaì. 'A11vicoio)..oucaJliYTJ Il nesso caJlirnacbeo Tpitcovoc u6auv è imitato ancorada Ap. Rh. IV 1totaµoio IC'tA.. 1391 Tp1tmv{6ocu6au )..{JlYTJC I e Dion. Per. 267 Tp1tcovt6ocu6ata l.4aY11C ,. L'esamettn callimacb"° è spondaico: vd. Introd. m.l .AB. 1 'B•qk'lou l.6x\ov 8,it[11J11i'!ov aU.1,cvv: Efesto, dopo avere affilato la sua scure,ha colpito il capo di Zeus per consentirgli di partorire Arma. Come spiega lo pseudoApollodoro (I 3, 6), il colpo d'ascia fu inferto secoodo alcuni da Prometeo, secondo altri da Efesto: n:)..11çavtocaùtou fl!Y ice,pal.11vn:i!l.Éic1t1 Dpoµ118Écoc iì 1ta8ci.1t1tp ciU.o1 l.iyouuv 'H.,aictou, ÈK ,coputpijc È1tÌ.1tota11ou Tpitcovoc "A&,,viìcùv 01tMic àvÉ8opev (forse la seconda parte del passo dipeode da C.). Che fosse Efesto a colpire la testa di Zeus, è già detto da Pindaro: 01. VII 35-37 avix' 'A~ictou tixvaicw I xal.1tùatcp 1ti!l.É1te11tadpoc Po~ (lo scolio 'A8avaia ,copu~v 1COt't • a,cpav I àvopouca\C • àÀ.a)..açev UK1tpµci.1t1t\ specifica che ciò avvenne iv 'Po6cp), Hymn. fr. 34 Sn.-M. oc ,caì. tu1teì.c lryvip 1ti!l.ÉK1t1 tÉ1t1tto çav8àv 'A8ci.vav. Il motivo ricompare nelle Dionisiache di Nonno, che imita il pentametro caJlimacheo: XXVII 324 s. còv 1tW1CUV 1COUIP\~I! p.oyoct01COV, o.pa cacocnc I cip l.oxirpPoux)..ijy1uijc vamjpac 'A8itV11c,XLII 250 1tw1CUc... )..exmwc(cf. anche VIII 80 "H.,aicu, p.oyoct61t1t Tp1tOTEv1ti11c I). La versiooe secondo la quale fu Prometeoa colpire coo la scure il capo di Zeus è attestata presso Euripide (lon 4S2-4S1). Colluto (v. 181 s. Livrea) menziooa il colpo d'uda, ma non specifica chi fu a infliggerlo. l6z1ov: L'aggettivo è euripideo: il suo impiego in questo verso deriva dal v. 452 dello Ione, citato più su; cf. inoltre El. 656, lph. Taur. 206, Bacch. 89. Per altre attestazioni della parola, cf. Call. Aet. fr. 65, 2 Pf., Ap. Rh. IV 706, Eupb. CAfr. 9, 11 p. 31. 8,it[11Jiuyou: La lezione non è del tutto certa (vd. app.). Questo aoristo medio aimpare una volta sola nei poemi omerici (Il. II 382 66pu Eh,çci.c8co). 2 l5piy11,[a]1:o[c] h: 3(q10 cùv lv[1:]&C\'! [;j]l110 s11"1p6c:Secondo lo scolio ad Ap. Rb. IV 1310, il primo a dire che Atena balzò armata dalla testa di Zeus fu SleSicoro: 1tpéòtocCt1Jdxopoc Etpllcùv ox)..oic ÈKtijc tou A\ÒCn.,al.ijc àva1t116iica1fl!V 'A&,,viìv (nelle arti figurative, il motivo compare già su un pito di Teno, databile alla prima metà del VII secolo: UMC Athena 360). La notizia si riferisce chiaramente a un passo stesicoreo (PMGF 233) citato proprio nel papiro che tramanda i vv. 1 e 2 del nostro frammento (vd. app. delle fonti): n](>xu1 )..aµ1toµÉv[a Dallà]ç opouuv Èx· eùpeicxv x8[6Jva. Non è certa, comunque, la priorità cronologica di questo luogo di Stesicoro su altri due passi, dove pure compare il particolare delle anni, cioè Hes. fr. dub. 343, 18 s. M.-W. I aiyi6a ... I cùv tjì iye{vato µ1v, 1tOMJl1Jlauuxe· lxoucav (per ciò che precede, vd. il comm. al v. la) e [Hom.J Hymn. xxvm 4-9 (che ha stretti rapporti di contenuto e forma con il puso di C.) Tp1toyevij, 't'lV aùtòc i:yeivato l,Lfl'tll!'taZeuc I uµvijc ÈK 1Cl!cpa)..ijc, 1tol.e1111ianuxe' mpOUCl!V lxoucav I XPUCl!a1taJLq,aVOCDV'tOt ... I ... ii 6È 1tpoc81tvA\ÒcaÌT\OXO\OI ÈcCUl,LÉVCl>C ù · à8avci.to10 1taP1JvouI cdcac' òçùv a,covta. Ancora secondo le infonnazioni fomite nel papiro, il motivo delle anni e.raripreso da lbico, ma il testo leggibile si riferisce solo alla fuoriuscita di Atena dalla testa di 2.eus (PMGF 298, 3 s.). Il papiro tramanda inoltre cbe la
r..·
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CALLIMACO- AJTIA,LIBRI PRIMOE SECONDO
nascita di Alma armata dal capo di Zeus cn menzionalaancbe da Emipide (Jr. 1009 a Soe11, 2, Hildeabeim1964, p. 19). Supplementumad A Nauck, TragicorumGraecorumFragmen1a Allo splendore delle anni fa poi riferimeolO la parola Kall.«ivouca, che designa la dea balzata dal capo del padre nella desaiziooe di Apollooio Rodio (v. 1310 riportalood cunm al nostto v. la; cf. in proposilO 1tall.«v6cov1:a nel v. 6 dell'inno omerico sopra ripÀ.iv1tal 60À.1xàc 8ivac È1tlPM1tEu, I JlTJtÉpa JlOl ~coou,av ò•é.Uur.,fr. inc. std. 706 Pf. sulla città di Ausigda,fr. club.810 Pf. in merilO al re libico Enialio (per altri frammenti cirenaici, vd. il comm. dopo ilfr. 23). Se poi C. qui parlava di Atena con una certa ampiezza, è possibile riferire a questa sezione dell'opera altri frammenti dedicati alla dea: fr. inc. std. 561 Pf. ii6ol,lÉYTJ vn:a:6uclY fÈ1tl(ICUpéòvt KOA.Él,lOlO,fr.inc. std. 592 Pf. xi1IlaA.A.ac, Ar.~oi Y\Y i6puovto Ilpovai11v,Jr. inc. sed. 638 Pf. I wx8i l,lOlf(lÀapin, KUÀal!,UXXE, Vd l'annotazione dopo il teslO.
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COMMENTO: AET. I FRR. 44-41
317
Frammento 45 (38 Pf.) C. menzionava la città di Mallo in Cilicia (regione nell'Asia Minore del Sud). Eusrazi'l (ad Dioo. Per. 875) nana che, in quella zona, un corvo depose sul suolo dei fiocchi di lana (l,a).).o{), sicché i due celebri indovini Mopso e Anfiloco fondarono Il una città e la chiamarono Mallo: MaU.oc ... i\ rtltÒ 11.aU.éì>v, ;}youv e'tEJI.JI.Ci'tQ)V, x:6palCOCàp1tacaV'téC ii 11:6)." 1ea'tà xp11cµòv uxò M6"'ou 1eaì. xo8ev 1eaì. 1ea'ta8Év'toc Èvtau8a, È1C'tic811 'AµcptÀ.6XOU 'téòv uµvouµÉvcov µavucov, Ol ICaÌ.MaÀ.À.ÒvÈICUÀ.&cav fflV KéÀ.lVÈICtéòv 'totoU"tcovµaU.éi>v.A quanto sembra, questa favola eziologica non compare alttove: secondo Stefano Bizantino (vd. app. delle fonti), la città di Mallo deve il nome al suo fondatore. Nel séguito, Eustazio dipende da Stefano e da SIJ'abone (XIV 675 s.). Quest'ultimo racconta che i due indovini Mopso e Anftloco, di ritorno da Troia, fondarono Mallo; Anfiloco andò ad Argo dal padre Anfiarao e, una volta tomaro, si vide negare da Mopso la sua parte di regno; i due di batterono in duello, si uccisero a vicenda e vennero seppelliti in modo che i loro sepolai non fossero in vista l'uno dell'altto. Scbneider Il p. 69, basandosi su Paus. I 34, 3 al., ritiene che C. parlasse dell'oracolo di Anftloco a Mallo. Ma è molto più probabile che negli Aitia fossero narrate la contesa e la morte dei due vati, in tutto simili a quelle di Eteocle e Polinice. Queste vicende, infatti, sono esposte anche da Licofrone (vv. 439-446) e ricompaiono presso Euforione e forse presso Eratostene, entrambi seguaci di C. Euforione (CAfr. 98 p. 47 in Schol. Lyc. 440) saive: xoÀ.tv 6· ÈICticcato MaU.ov (il soggetto sarà MaÀ.À.oc,piuttosto che 'Aµcpwxoc), I fic xÉpt 3iìptv i8&V't0x:a1eocppa6urlÀ.À.T)À.olCl I Mél!'OCt' 'Aµcpwxoc n., ICaÌ.aicpt'ta 6')ptv8Év'tu I pouvà~ ciUictoto xuÀ.ac lPav 'Ai'6ov;\oc. Per quanto riguarda F.ratoste:oe,gli scoli ss 3 al v. 444 di Licofrone (Èv Jl.&'tatxµicp I Mayapcoc éryvwv iipimv ua811c&'tat) informano: llÉJI.V11'tat aùtou 1eaì.'Epatoc8ÉV1}c(Il p. 163. 23 Scheer). Eralostene, dunque, menzionava il colle Magarso, che - secondo Licofrone - si erge fra le sepolture di Mopso e Anfiloco: questo frammento, che non compare nelle raccolte di Berger e di Powell, sembra risalire alla produzione geografica di Eratostene (vd. LJ.-P., SH p. 186). Su Mopso, cf. anche Call. lamb. fr. 200 Pf. con la Diegesis. Non sappiamo in quale punto del primo libro fosse collocato il frammento:Pf. propone dubbiosamente di metterlo in relazione con il Jr. 42, perché le storie forse narrate da C. riguardano il ritorno da Troia sia di Aiace locrcse sia di Mopso e Anflloco. Vd. l'aonocazione dopo il testo.
a
Frammento 46 (39
Pf.) C. parlava di Posidooe Mesopontio venerato a Ereso, città di Lesbo. Meineke, nell'annotazione al passo di Stefano Bizantinoche è fonte del frammento,colloca a &eso il tempio del dio nell'isola, basandosi su Archesttat. SH 135, 5 iv AécPcp, 1CÀ.&tv;\c 'EpÉcou AécPou). Ma quest'ipotesi non è xepucuµovt µactép (da lui emendato in eiv 'EpÉccp,1eÀ.&tvijc plausibile, visto che - a quanto sappiamo - l'unico sacrificio per Posidone a Lesbo e la favola eziologica a esso collegata non sembrano riguardare F.reso, ma o la scogliera Mec6yatov o la città di Metimna: la prima versione compare nei Moraliadi Plutarco (163 B = Sept. sap. cmrv. 20), che in un più breve resoconto dellla storia (Mor. 984 E = De soli. an. 36) cita come sua fonte lo storico Mirsilo di Lesbo (FGrHist 477 F 14); la seconda versione si trova presso Ate:oeo (XI 4-ca aci.poc sigifica/acik, agtvolt già in un passodell'lliadt omerica (XXIl 287), doveesso come qui l'avverbio il.cq,pov - viene usato nella forma comparativa. 21t0Gpo1.-iòv flÀ&ouuv: Per la prolessi del sostantivo, vd il comm.alfr. 8. &6v: Apollonio Discolo, che tramanda il secondo emistichio dell'esameb"O, rimprovem C. per avere impiegato Éov al posto di c~v qui e nel Jr. inc. ud. 471 Pf. Il g,arnrnadt:0 cita per quest'uso anche Hes. Op. S8 ÉÒv xaicòv à111paya1tci>vuc I: vd in proposito il comm. di West al passoesiodeo e Rengakos, Homentxz p. 116. ot11:Per la posposizione dell'avverbio, vd Lapp p. SO. yov;\11:Si potrebbe anche acceuare la lezione -colcilcx. ""8rn8DdaratJa Stobeo (vd app.). 3 xa1.pòc ... lyouu: La costruzione si rifà a modelli omerici: d. IL l 323 I XElpÒC ÉÀov-c·, IV 154 I xupòc Exmv al. Per l'immagine, d. Ap. Rh. II 243, che desaive Zete nell'atto di prendere per mano con gesto affettuoso il veccbio Fmeo: ZTl'CTI' cicxaÀt>mv-coc i:MovXEPÌ.XE'ipayq,ov-coc. ix' ... lzp1e: Per il nesso, cf. Ap. Rb. IV 1403, Rbian. Anth. Pal. VI 278, 4 = CA fr. 68, 4 p. 19 = HE 324S, Orac. Sib.xm 17, Noon. Mtt. I 117.
COMMENTO:AET. I FRR. 41-49
319
Come si è detto, ilfr. inc. sed. 571 Pf. ba in comune coo questo frammento l'argomento pedcrotico, ma non è dimosttabile che i due passi risalgano al medesimo passo: vd. l'annotazione dopo il testo.
Commentariodi Teoneal primo libro degli Aitia Frammento 49 (42
Pf.)
Il ftlologo di età augusteaTconc, nel commentario al primo libro degli Aitia, raccontava questa storia: dopo il diluvio universale, Polibo parte da Argo guidato da una giovenca, obbedendo a un oracolo; a UD certo punto l'animale colpisce il suolo con UD corno (icÉpac.), facendo scaturire una fonte, che viene appunto chiamata Bouicepctk, e in quello stesso luogo Polibo fonda la città di PI.alea. Invece secondo Sereno nel oompcodio dell'opera di Fllone Sulle cilUl (FGrHist 790 F 18), chi ricevette il vaticinio fu Poliido. Queste notizie sono fomite dagli Etimologici (vd. nel testo). La sea>nda vcrsiooe è anche implicita in UD pa.uo di Plutarco (Aristid. 11, 3), dove Poliido figura tta gli IÌPXTl'YÉ'tCI\iéòv Ill.cncx\Érov. Ciò dimostta che la favola riguarda la città beotica di Plalea, non l'omonimo 6ii11-oc di Sicione. Polibo è forse il nonno di A.ciruto. Per il Irma degli animali che guidano gli uomini in determinali posti, Vd. Eblers p. 43 n. 109. Non è possibile stabilire se C. narrasse qualcosa di attinente alla storia di Polibo. Sappiamo solo che la vicenda veniva raccontala da Teone Df!Irornrnenlario al primo hbro degli Aitia. Forse, come proponePf., Teone ricordava l'origine della fonte Buchenide in rapporto alla fonte Ippocreoe e al passo caJlirnacbeo J ~Kt1tiÉpYT1cu6~[ (fr. 4, 4): vd. l'annotazione dopo il testo. Ma si noti che lo stesso Teone cita, nel commentario al secondo libro degli Aitia, UD frammento attribuibile ora all'Ecalt (fr. 261 Pf. =SH 289 = 71 H.). Egli riporta anche, in un commentario a C. o a Teocrito (forse a IV 51), due frammenti: il primo, che viene citato senza il nome del poeta, risale all'Ecalt (fr. 274 Pf. = 45 H.); l'altto, oorredato del nome di C., si può ora attribuire al terzo libro degli Aitia (SH 254, 4). Sui commentari di Teone, vd. Diebl, Hypomntma pp. 320-326, che si serve delle copie dell'Etymologicum Gtnuinum di Weodel (vd. RE V A, 1934, p. 2055), e inoltte Pf. Il p. XXVII. Per il rornrnentario di Epafrodito, cf. ifrr. 61 e 62. Vd. l'annotaziooc dopo il testo. Al primo libro degli Aitia appartengono forse ifrr. 63-68, 97-115, ifrr. inc. std. 121, 124 e i frr. inc. auct. 140, 141. Invece il fr. inc. auct. 151 Pf . .,8Éyyeo icu6ki11 g).e\oiÉpn q,cipuyl - anche ammesso che ttarnandi un'allocuzione di C. alla Musa - non sembra risalire al dialogo fra il «personaggio C.» e le dee nei primi due libri degli Aitia: infatti il registto solenne del frammento conttasta con il tono coofidenziale di quel dialogo (vd. il comm. alfr. 3, 10 e Introd. 1.4.A).
Aitia, libro secondo In questo libro l'ordine dei frammenti è ignoto, a eccezione del.fr. 60, che è probabilmente l'ultimo verso del libro.
Frammento 50 (43
Pf.) (Le
dttà sidllane - Aliarto e Creta)
Il frammento è molto interessante, perché fa luce sui meccanismi narrativi adottati nei primi due libri degli Aitia. Il «perSOOaggioC.», dopo aver formulato una domanda alle Muse (che sembra cominciare nel v. 18 e concludersi nel v. 27), sviluppa fmo al v. 53 uo'ampia cd erudita digressione e ricapitola nel v. 54 s. il suo quesito. Segue la risposta di Clio (vv. 5683): nell'intera opera. questo è unodei pochi ailia conservati dall'inizio alla fine (cf. forse anche il.fr. 64 Pf., che appartiene al teI7.0 libro, e il.fr. 64, 4-17 di quest'edizione, che probabilmcote risale anch'esso al teno libro). Dopo uo raccordo narrativo di soli due versi (v. 84 s.), il poeta desaive il cpersooaggio C.» nell'atto di porrealle Muse una serie di interrogativi (vv. 86 ss.), che inttoduoono argomenti del rutto nuovi. Da questa struttura emerge COll chiarezza l'impianto vario e disarmonia> degli Aitia. Vd. in geoerale Introd.1.4.
Frammento 50, 1-83 (43,
1-83 Pf.)
(Le dttà sidliane)
1) 1-17: Il banchetto istruttivo Il contenuto dei vv. 1-11 è incerto (vd. il comm. ai singoli versi). Nei vv. 12-17 C. (o meglio, cooie vedremo, il «perSOmggio C.») dice di avere partecipalo a un banchetto, durante il quale si è messo sul capo uoguenti e corone e ba inghiottito cibi; niente di rutto questo gli è rimasto fino al giorno dopo, ma solo ciò che ba udito in quell'occasione è ancora presente in lui. Questo banchetto aveva certamente una funzione sttutturale all'interno della narrazione: si parla di uno specifico oonvito (v. 12 'rijJlo,), dmante il quale è stato appreso quanto segue (v. 17 tcwu~).e cioè che l'usanza di invocare per nome l'ecista durante la 6ak tenuta in suo onore è comune alle città siciliaoe elencate fmo al v. 53, ma non vige a Zancle (vd. p.es. KOrtcHandel p. 69 s.). Va perciò respinta l'opinione di Poblenz p. 315=46, che riconosce nei vv. 1217 una digressione isolata ( «anche durante il convito - direbbe il poeta secondo Poblenz - bo appreso degli ailia, ma ora voglio parlaredi ciO che bo imparato da Clio», cf. v. 56). Ma qual è il oollegamento fra la rievocazione del banchetto e il dialogo del «perSOD&ggio C.» con le Muse, che compare nei versi immediatamente successivi? Le soluzioni possibili sonodue: 1) Nella cornice del sogno elioonio e della conversazione con le Muse, il «perSODaggio C.» dcsaive alle dee UJl banchetto al quale ba partecipato. Se si accetta questa chiave di lettura - che è a mio parere molto plausibile-, può darsi che il banchetto rievocato dal «per50naggio C.» sia quello tenutosi in Egitto a casa dell'ateniesePollide, durante il quale C. dialoga dottamente con Teogene, venuto dall'isola di lco (Jr. 89). A sostegno di quest'idea si possono fare due considerazioni: in primo luogo, è improbabile che C. - attento com'era alla KO\K\À{a inserisse due volte negli Ailia il tema del banchetto isttuttivo; in secondo luogo, nei vv. 4 e 6 del nostro frammento si potrebbe cogliere un riferimento al rito celebrato a lco per commemorare la morte di Peleo ( cf. Jr. 89, 23 ss. e vd. il comm. al v. 6; per tutta l'interpretazione e il relativo dibattito, vd. il comm.ai .frr.89-96). Se le rose stannocosl, C. poteva ricavare le notizie sul culto dell'ecista in Sicilia da Teogeoc stesso - che, come mercante, conoscevaforse l'Occidente - o da qualche altro coovitalO. 2) Al banchetto in questione partecipano anche le Muse: tutto il frammento 50 si inserirebbe cosl in un contesto conviviale (che non sarebbe collegato all'episodio di Pollidc). Kllrte, Lilerarische Tuze 1932p. 38 pensaa un'apparizione delle Muse durante un baDcbeaoin
COMMENTO:AEF. II FR. SO
321
loro onore. Pii) radicalmente,Barigazzi,Saghe pp. 21-23 - basandosi sui vv. 12-17 e sul.fr. 3, 16 s. (3aka't~, sav8ow0 - afferma che nei primi due libri degli Aitia era descritto «UD simposio sull'Elicona, al quale il poeta Callimaoo, ttasportato in sogno in mezzo alle Muse, è stato invitato ... , UDgrande banchetto ... nel quale si svolgeva il colloquio del poeta con le Muse» (p. 22); secondo Barigazzi, nei vv. 12-17 «il poeta con un intervento personale commenta la scena del banchetto» (p. 22 s.). Le ipotesi di Kijne e Barigazzi non mi sembrano convincenti: da un lato, infatti, è improbabile che C. ambientasse il dialogo con le Muse anche in una scena diversa dal sogno; dall'altro lato, nessuna testimonianza tramanda che i primi due libri degli Aitia avessero come cornice narrativa UD banchttto onirico di C. e delle Muse sull'Elicona. 2 xoup&\a: La sequenza può essere interpretata come K' oupE\a (montani) o come KOUpEla (vd. app.). Nel secondo caso,avremmo il plurale di KOUpE\ov:questa parola designa la vittima offerta nella terza giornata delle Apaturie ateniesi (chiamata appunto KoupEéòt1c), quando gli efebi venivano registtati nelle frattie: d. Soph. TrGF 126, El. M. p. 533. 29 Gaisf. Secondo Esichio, il nome KoupEéònc deriva da Kdpro, perché in quel giorno i capelli dei giovinetti venivano rasati: vd. il comm. al v. 4. 4 itp ei6ÒKon 8V1)'tÒc~ ,òv 8uflÒv cie~e I up11:6µevo, 8cv..inu · 8cxv6vn 'tOl OU'tl(OV1)CK. I x:cxì. yrtp iyèo (1to6oc eiµi, Ntvou f,lE:Jcil.11, PcxuÀ.eucac.I 'tll\l't. i:xm O((. ~cxyov x:cxì.i,puppltll x:cxì.j1E't.Epm'tO(I 'tÉpKV.E1tcx8ov.'tà 6è: itoÀ.À.àxcxì.o;\.pux xeiva À.ÉÀ.eunai(cf. aoche le imitazioni raccolte a p. 156 del SH). Molto simili ai veni di c. SODOperciò le parodie deU'Epilojiocomposte da Ciatete cinico (SH 355: dmv cxµvf1Jlon'i.Il pill vicino parallelo aJJ'immaginecallirnacbea della vr.ialpa cxxcip\Ctocè costituito da un lrimetro giambico sulla ,acnip, che ricorre presso divecsi autori (Cbares m 3 Yoimg,Il 3 Jaekel = Greg. Naz. Carm.I 2, 10, 587, PG 37 p. 722): Jl0Yflyàp &iv1tÉ1tov8r.voù1CExu xaplv. Inoltre - come ba ossavato Herter,Recensione p. 79 - un'immagine 100ltosimile è tratteggiala dallo stesso C. nei vv. 88-90 dell'inno a Demetra, dov'è desaitta J'insaziabile voracità di Erisittone: 1Ca1tà6 •
°''
324
CALLIMACO- AmA, LIBRI PRIMO E SECONDO
È~cv.A.uo yacnip I ciieì. tuillov Uovn, ,:à 6 • Èc ,Su8òv otci 8cx1ciccac I à.A.quxnoc cixaplC'tCI1CCl'tÈppeev d6ci,:ci KCXV'tCI (anche qui compare l'aggettivo cixaplC'tOC:esso pero non si riferisce al ventre ma ai cibi, e quindi significa sgradito). Herter cita poi Cere.Jr.(59) Livrea, 66 Lomiento = Greg. Naz. Carm. I 2, 10, 595-603 (PG 37 p. 723). Si può anche richiamare un frammento molto lacunoso attribuito dubbiosamente a Cercida (CAfr. 18, 13-19 p. 217), che sembraavere il seguente contenuto: il cibo dà piacere solo finché dura il pasto, ma quando ba varcato la bocca ed è entrato nel ventre, è come se venisse risucx:biato da una spaventosaCariddi. dell'invettiva alla yacnip, Più in generale, l'espressione 01Jlimacf>PJlsi inquadra nel 1:011:oc già presence nell'Odisseaomerica (VII 216-218, XV 344, xvn 286 s., 473 s., xvm 53 s.). 16 l1L1\v1v ic. 116p1.Jov:Cf. Hom. Od XI 351 ÈKlJlEivcil i, ciuplov•, [Eur.J Rhes. 96 JlEVEivi.e ciupwv I (dove peroil verbo significa attendere).Per il solo nesso i.e ciupwv, d. p.es. Hom. Il. vm 538*, Od. vn 318, Eur. Aie. 320, [Eur.J Rhes.600, Greg. Naz. Carm. I 2, 9, 43 (PG 37 p. 670)*. Per il concetto espresso da C .• cf. Stat. Silv. IV 6, 4 s. luuc imos
animi perlapsa recessus I inconsumpta manet e Mart..XD 48, 5 s. sed cras I nil eril (passi segnalatirni da A. Hollis). qLxoucxic: L'uso del vocabolo nel senso conaeto di orecchio è già presso Saffo (Jr. 31, 12 Voigl). cr. v. 10 ouci-ici[ con il comm. ai vv. 9-11. C. rnette in risalto l'impmUDZa dell'udito anchenel passo degli Aitia dov'è desaitto il suo colloquio con Teogene (Jr. 89, 30), cbe - come si è detto nel comm. ai vv. 1-17 - si ttovava probabilmente sàbito prima dclfr. 50. cr.inoltre Call. Hec.fr. 282 Pf. = 1()1)H. (onocov òf8aA.poÌ.yàp ci11:a>8iu,OCCOV cìxou,i I ei6uA.ic)con i comm. La supremazia dell'udito sugli altri sensi è ancheasserita da Similo (SH 726, 3 s. riportalO nel comm. ai vv. 12-17). cr. Call. Lav. 75 E'tl JlOIVO(,Ep. XXX 3 Pf. = HE 1099 JlOUVOV ., 17 In ... ILOVVII: E'tl.
,:m&La:Il pronome si riferisce a quanto segue,~ alle notizie appresedal cpenonaggio C.• sulle città siciliane. Una trattazione erudita è inlrodoaa da ,:a6e anche nelfr. 98,
s•.
2) 1~83: Le città siciliane e /'aition della fondazione di 7.ancle L'ambientazione siciliana di questi versi si inquadra nello spiccato interesse di C. per Rcxna. 11taliae la Magna Grecia, che si rivela in molti albi luoghi delle sue opere:cf. - anccn nel secondo libro - ifrr. 52-54 e - in un libro imprecisato degli Aitia - ilfr. 114, e inoltre Aet. frr. 84-85 Pf., 93 Pf., 96 Pf., 98-99 Pf., 106-107 Pf., lamb. fr. 201 Pf., fr. gramm. 407 Pf. passim,frr. inc. sed. 613 Pf., 615-617 Pf., 635 Pf .. 661 Pf., 662 Pf. (?), 666 Pf., 669 Pf., SH 296, 5 (?), frr. inc. auct. 758 Pf., 794 Pf. In questo settore, le conoscenze di C. (cbe aveva a disposizione la ricchissima Biblioteca di Alessandria) sembrano derivare non solo da Tuneo,ma ancbe dagli storiografi precedenti, soprattutto di ambiente peripatetico (vd. Fra.sa I pp. 764767). Per i problemi posti talvolta dal rapporto fra Timeo e C., vd i comm. aifrr. 17, 5; 42; 47; 54, noncbé l'annotazione di Pf. alJa Diegesisdi Aet.fr. 93. Anche nel caso specifico di questi versi, è difficile stabilire a quali fonti si rifaccia C. Secondo Ehle.rs pp. 25-28. qui il poeta dipende da opere Ilepì. ClxEA.uxce soprattutto dalle CuceÀucat ici:op(al di Timeo. Invece Fraser I p. 766 ritiene cbe lo sfondo storico del passo callirnacbeo possa derivare da Tucidide (VI 3-5) e da albi antichi resoconti sulla colonizzazione greca in Sicilia Secondo F~er. il debito di C. nei confronti di Timeo non va sopravvalutato: talvolta. infatti, le informazioni offerte dal poeta non coincidono con quelle fomite dallo storico, come nel caso di Minoa (v. 48 s.) e di Zanclc (v. 70 s.): vd. i comm. ad locc. Per la questione delle fonti impiegate da C. nel racconto delJa fondazione di Zancle, vd. il comm. ai vv. 56-83.
COMMENTO: AEI. II FR. 50
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A) 18-55: La domanda e la digressionedel «personaggioCallimaco»
Il contenuto della domanda posta dal «per50naggio c.,.alle Muse si ricava dai vv. 54 s. e 78 s.: perché Zancle è l'unica colonia greca in Sicilia a non invocare per nome l'ecista durante il bancbetto rituale celebrato in suo onore? Il tipo di richiesta corrisponde alla frase ç11ut 61.à 'ttva ah{av 1C'tÀ.., impiegata negli Scholia Fiorentina22 e 39 a proposito rispettivamente dei frr. 5, 1 e 9, 19. Non è possibile determinare con esattezza in quale verso avesse inizio il quesito: forse esso cominciava dal v. 18, perché nel PO:ry. 2210 sembra esserci una paragraphos tra i vv. 17 e 18 (vd. app. e Barigazzi, Saghe p. 9). La domanda si concludeva certamente prima del v. 28, dove - comesi deduce dallo scolio marginale - il «per5onaggio menzionava Siracusa nel suo catalogo delle città siciliane. Forse il quesito terminava nel distico 26 s., perché la parola 'tÉ8µ~QYpuò riferirsi al rito in onore dell'ecista e l'infinito q11wat può far pane di una proposizione interrogativa (vd. Ehlers p. 9). Dopo avere formulato la domanda, il «personaggio c.,.coglie l'occasione per dimostrare alle Muse la sua dottrina, elencando le colonie greche a lui note in Sicilia. Nei vv. 28-45 erano menzionate Siracusa, Catania, Selinunte, Nasso, forse Etna, probabilmente Tapso, Camarina, forse Agrigento: ma può darsi che in questa sezione molto mutila figurassero anche altte città. Nei vv. 46-53 compaiono Gela, Minoa, Leontini, forse un'altra città (Adrano?), Megara lblea, Eubea ed Erice. In nessuna delle colonie suddette - specifica il «personaggio c.,. - l'eroe fondatore viene invitato al banchetto festivo senza esserecbiarnatn çon il suo nome (v. 54 s.). Questi versi dimostrano cbe la conversazione erudita fra il «perSODaggio c.,.e le Muse si svolge su una base di perfetta parità (vd. Introd. 1.4.A., Hutclainson p. 44 s., •Krevans p. 200 s.). Vd Harder, Callimaclwsp. 11. 18 .)vve .[: Barigazzi propone di integrare i)vve~[e (vd. app.) e di intendere il verbo come UDimpaativo rivolto alla Musa. Ma pottebbc mcbe trattarsi di UDindicativo riferito a Tcogcoe o a UDaltro commensale,che na"ava a C. gli usi delle città siciliane (vd. il comm. ai vv. 1-17). 28: Pf. stabili clae la lacuna successiva al v. 20 non è di quauro veni (come riteneva dubbiosamente HUDt),ma di due: perciò la numerazione di Pf., a partire dal v. 23, è più bassa di due vcrsi rispetto a quella di Hunt. Ma R. Coles ap. MBMiroilla, Nuove letturep. 17 n. 1 ba notato cbe J'allinearnento delle fibre fra la prima e la seamda colonna del PO:ry.2080 sembra escludere l'esistenza di lacuna dopo il v. 20 (vd. app.): in base a questo dato, il v. 23 di Pf. diverrebbe il v. 21 e cosl via fino alla conclusione del frammento. Si acerebbc cosl un divario di ben quattro vcrsi fra la prima colonna. che ne conterebbe 43, e la seconda, cbe ne conia47. Data l'iDcertel2a della questione, bo preferito adoUare la numeraziooe di Pf. 24 s. 8e1'1,[ ... i)ç•ap(ouc: Pf. cita Call. Galal. fr. 379, 1 Pf. i:u:epfo\o 8c:wicc11c I: ma - ammesso cbe qui ci sia una forma della parola 8al.acca - è improbabileche le dueparole oostituissero UDnesso, visto il numero plurale di i:)ptq,fouc (vd. Barigazzi,Saghep. 9). Forse l'aggettivo è glossato in uno scolio marginale. 26 J. n -ra8pJq~: La parola è forse impiegata a proposito del rito in onore dell'ecista (vd. il comm. ai vv. 18-55). La forma dorica ed epica 'tÉ8µwc (come il sostantivou8µoc) trova uso frequente nella poesia di C.: cf. Aet.fr. 15, 2 Pf., Hec.fr. 278, 2 Pf. = 99, 2 H., Ap. 87, Dian. 174•, Cer. 18• {per un'altra possibile attestazione nell'Ecale, vd. l'appendice Vj nell'edizione di Hollis, p. 361). Essa compare già presso Pind. Non. XI 27, lsthm. VI 20 e poi presso Greg. Naz. Carm. (PG 37) I 1, 18, 48 (p. 484), I 2, 2, 8 (p. 578)•, II 2, 5, 166 (p. 1533)•. Vd. Sclamitt p. 31 n. 10. Basandosi sul passocitato dell'Ecale, Pf. proponedi leggere 9 1J d8µ~QY (vd. app.). 27 lt111YC1\:L'infinito lµevat segna forse la fine della domanda del «pe:rSOD8ggio alle Muse (vd. il comm. ai vv. 18-55). 28: Siracusa. Uno scolio vergato nel marginedestro del papiro all'alteml dei vv. 28-30 dimostra che qui veniva menzionata Siracusa.La città, situata sulla oosta orientale della Sicilia, fu fondata circa nel 733 a.C. da Archia di Corinto, appartenentealla famiglia dei Jlacx:biadi
c.,.
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CALLIMACO-AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
discesi da Eracle. Cf. Thuc. VI 3, 2, Theoa. XXVIIl 17, [Scymn.J279-282; sea>od() Sttabone (VI 269) Arcbia si mosse da Corinto insieme a Cbersiaate, che si fermò a Corcira e vi impiantò una colonia (vd. il comm.alfr. 17, 5). Uno scolio marginale spiega l'etimologia dei due possibili nomi di Siracusa, Cup111eme (upaKOCCU.l (= (upaicooca.t); non sappiamo SC C. impiegasse effettivamente una di queste forme nel testo ora perduto. Il nome Cupaicm, cbe compare in un frammento di F.picarmo(185 Kaibel), proviene dall'omonima palude o dalla fonte poi chiamata Arelusa, rome informano lo scolio marginale e altre fonti (vd. l'annotazione). Lo scolio pusa poi a spiegare l'etimologia di Cupaicoccat. Secondo le integrazioni proposte dubbiosamente da Hunt e Pf., la forma deriverebbe dal nome della moglie di Arcbia. Pf. è molto scettico su questa ricostruzione, perché la sposa di Archia è altrimenti ignota: forse - come osservalo stesso Pf. - nello scolio compariva, sl, la parola yuv,j (cf. le lettere yu[), ma essa serviva a offrire l'esempio di flessione nominale yuv,j: yuva'ìicu analogo a quello Cupaicm: Cupcx1eoc.,at (cf. Et. Gen. s.v. Cupa.icou,). Lo scolio dà infme una seconda etimologia di Cupciicoccat: il nome deriverebbe dalle figlie di Archia, Cupa e Ko,u1. Questa spjP.gaziooeè DOia 8DCbeda altre fonti,ma secondo lo pseudo-Plutarco (Mor. 773 B) le due fanciulle si cbiamavano 'Opwy{a (nome dell'isolotto sul quale fu inizialroP.Dtefondata la città) e CupCXK01Jta(vd. l'anootazione). 29 K111:civ11v: Catania. Fu fondata sulla costa orientale della Sicilia (alle pendici meridionali dell'Ema) da IDl contingente calcidese ixovenieote dalla siciliana Nuso e guidalo da Teocle (d. v. 36), circa nel 729 a.C., contemporaneamente a Leontini (vd. il comm. al v. SO ot6a Aeovi:ivou,); ma i Catanesi coosidezarono Evarco l'ecista della loro città: cf. Thuc. VI 3, 3 0ouicÀij, 6È KBÌ oi XaÀu6ij, ÈK Naçou op11118ivu, ... ointouu •.. KCl'tCXYTIY' OÌ1Cl('tTIV 6È aùi:oì Ka-iava'ìol ÈKOl1J(BV'tOEuapxov. Per le vicende di Car•oia sotto lerooe I di Siracusa, vd. il corom. al v. 38. Uno scolio marginale nel papiro spiega l'etimologia del D01DC CarlDia· una delle navi con le quali Evarco giunse in Sicilia fml su uno scoglio e perse una grattugia (in Siculo, ,cai:civTJ); Il Evarco fondò la citrà. Tale racconto corrisponde alle integrazioni proposte dubbiosamente da Pf. per la parte finale dello scolio e accolte in questa edizione (si noti cbc, secondo Plutarco (Dion. 58), Callippo diede a Catania il nome allusivo di 1:upo1ev11cnc., grattugia). Invece Hunt aveva offerto, per la fme dello scolio, la seguente ricostruzione (sconsigliata per altto dalle ttacce del papiro): una delle navi di Evarco urtò cootto uno scoglio e affondò; perciò egli chiamò Kai:a:vf1 la città (icai:ci + vii,, forma dorica di vauc; una versione analoga si ttova presso Stefano Bizantino (s.v. Kai:civ11), che però attribuisce la vicenda non a Evarco, ma a Teocle: l'oscillazione fra i due personaggiè giustificala dal fatto che - come si è detto - Teocle fondò Catania, ma Evarco ne fu considerato l'ecista). Vd. in generale l'annotazione allo scolio e inoltre il comm. al v. 32. 30 spoÉ&[p)ac:: La parola indica o il posto di prima fila in teatro (IG 5 (2), 113) o la cameraaffaccialasul lato anterioredella casa (IG 14, 291). Forse essa viene qui impiegata in senso geografico (vd. anche il comm. di Fabian, p. 194). 32 ij),.~o• ci6-ie1: A quanto pare, la frase significa che una città (forse Catania o Selinunte, cf. i vv. 29 e 33) invocava,chiamavain aiUloun altro ecista. Per questo valore del verbo àui:Ém, cf. Hom. Il. Xl 258, Eur. Hipp. 161, Aristoph. Lys. 717: vd. il comm. al v. 39. Come osserva Fabian nel suo comm. (p. 195), il nesso potrebbe spiegarsi alla luce della notizia fornita da Thuc. VI 3, 3 (il cui testo è riportato nel corom. al v. 29): beocbé Catania fosse stata fondata da Teocle, il suo popoloinvocavaun allro ecista, cioè Evarco. Hunt aveva scritto il presente àuut, ma Pf. preferisce l'imperfetto à~ut pei- due motivi (vd. app.): in primo luogo, da Omero in poi alla fine dell'esametto il verbo viene impiegato nella terza persona dell'imperfetto, con la sola ecceziooe di Hermesian. CA fr. 1, 5 p. 98, dove compare la terza persona del presente; in secondo luogo, l'imperfetto si adatta meglio ai tempi storici della narrazione (vv. 24, 34 e forse 36). Invece Barigazzi, Saghe p. 8 approva
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l'interprclazione di Hunt (vd. app.), perchéritiene che il presente si riferisca aJl'usanu ADOOra viva di invocare l'edsta, come nei vv. 55 e 79 s. Le ipotesi sono entrambe plausibili. 33 Jç 'l'f P.• v&mp: Selinunte. Uno scolio vergato nel margine destro del papiro all'aJtezza di questo verso prova che qui si parlava di SelinUDte.La città. situata sulla costa sudoccidentale della Sicilia, fu fondala circa nel 628 aC. da Megara lblea con il supporto di alcuoi Megarcsi Nisei: l'ecista fu Pammilo. Cf. lbuc. VI 4, 2, (Scymn.J 292 (Diod. XIIl 59, 4 fa invece risalire la fondazione al 651 aC. circa). Saccheggiata da Cartagine alla fine del quinto secolo, venne rifondata dagli esuli. Uno scolio marginale spiega che il nome Cù.tvouc,a deriva dal fiume Cù.tvouc. La forma Cù.tYoucca (forse impiegata da C. nel testo ora perduto) non è aJtrimenti nota. Ma si osservi che la città di EleUDte vieor. chiaroat:\ sia 'EA.atouc sia 'E>..atouua: la medesima oscillazione tta le forme io -ouc e io -ouua doveva esistere anche per Selinunte, come si deduce da Stefano Bizantino s.v. (EÀtvouc · ,té,)..u Cucù.{a,, cip,evtKii>tO\XaÀICl6;\( Èç EùPoia, KÀEucaviu f1Età 8ou1CÀÉouc oinuou Na~ov ip1C1,av,F.phor. FGrHist 10 F 137 a 9eod.ia 6 · 'A&tiva'iov •.. XMIC\6Éat ... ioùc Èv Eùpo{qt ,uxvoùc KapaÀapovia ICaÌ.iéàv 1covmv 'tlYCU... KMUCa\. ioù, ... XMICU)W IC'tt,a1 Nci~ov, [Scymn.) 276 s. (= Ephor. F 137 b) oi XaÀ1C16e'i,I IC'tiçouu Nci~ov. Per le vicissitudini di Nasso sotto Ierooe I di Siracusa e per il rapporto fra questo verso e gli scoli marginali vergati all'altezza dei vv. 37, 38, 39 e 41, vd. il comm.al v. 38. Nel 403 Nasso fu distrutta da Dionisio I di Siracusa: sebbene il luogo non venisse del tutto abbandonato, la città fu sostituita da Tauromenio (vd. il comm.ai vv. 56-83). L'integrazione del vocativo 9eoK)..]iu, proposta da Huot, trova appoggio presso Sttat. Anlh. Pal. XD 181, 1• (vd. app.). Con ogni probabilità, le parole if>xm Nc:i;lov formano un nesso: J>CI' l'uso di if>xo11a1con l'accusativo semplice nella poesia di C. (soprattutto - come qui - con nomi propri), d. lamb. fr. 203 Pf., vv. 12 e 64, Dian. 261, Del. 287 s., Ep. Xli 1 Pf. = HE 1231.Il verbo può casere o UDimperativo presente o un indicativo imperfetto: nel primo
on
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caso (Teock, vieni a Nasso),il «perSODaggioC.» riporta la formula con la quale l'ecista viene invitato al banchetto pubblico (cf. v. 37 con il comm.) tenuto in suo onore, come poi farà Clio a proposito di Zancle (v. 82); nel secondo caso (Teock, andavi a Nasso),il «penonaggio C.» rievoca il momento nel quale Tcocle colonizzò Nasso. 37 &'1t1,0dT1Y:Forse si parlava qui della 6afr (6att1J) pubblica alla quale veniva invitato l'eroefondatore (vd. il comm al v. 36). Per l'usodell'aggettivo, vd. il comm.di Hopldnsoo a Cali. Cer. 43 6ap.odav. Il papiro offre anche la varia kctio 6alp.ovt11v, cioè divina, meravigliosa.Vd. app. 38 •Upmvu: Si tratta di lerone L tiranno di Siracusa dal 478 al 466. Saràbene discutere qui i complessi problemi che derivanodalla necessità di annoniz.zarei dati offerti dai vv. 36-39 e dagli scoli marginali vergati all'altezza dei vv. 37, 38, 39 e 41. Ecco ciò che resta del testo callirnacbP-0:nel v. 36 compaiono Nasso e probabilmente il suo ecista Teocle; nel v. 38 è menziooato lerone; nel v. 39, a quanto pare, viene apostrofala la città di Tapso. La situazione degli scoli è la seguente: all'alteu.a del v. 35 non ci sono scoli, perché il margine destro dopo la fine del verso è lasciato in bianco; non sappiamo se ci fossero scoli all'altezza del v. 36, perché esso si concludeva dopo la frattura nella pan.edestra del papiro, siocbé il margine destro si è perso; al livello del v. 37 si legge .[---IE[---; all'altezza del v. 38 si legge rt,(---1 i1ce[-; fra questo rigo di scoli e il successivo c'è forse una paragraphos; all'altezza del v. 39 si legge ,\~o(--1 ipxE[---; non sappiamo se ci fossero scoli al livello del v. 40, perché esso si conclude sàbito prima della frattura nella parte destra del papiro, sema lasciare spazio nel margine; all'altezza del v. 41 si legge Èx:~À.11(--IAitY11y[---. Lo stato degli scoli permette di fare alcune considerazioni: in primo luogo, data l'assenz.a di scoli al livello del v. 35, gli scoli a partire dal v. 37 (cbe cominciavano forse già all'alteu.a del v. 36) nV u6mp. Non sembra probabile che a questo esametto callimacbeo spetti il frammento di scolio 725a Pf. 'recto' Kcxµcxptv( ), da attribuire piuttosto a Att. fr. 64, 1 Pf. (vd. app.). ..r.,m: Il verbo è pronunciato ovviamente dal «personaggio C.» (vd. il cornrnai vv. 46-
50). •[sscxpJJLCJ: Il fiume è già menzionato da Pindaro (OL V 12). Cf. anche Sil. XIV 229 s. pauptris alvti I Hipparin, dove l'espressione pauptris alvti può far pensare alla tortuosità
(~:y,çuM>c). qy~uio, iPL•u: Cf. Dion. Per. 123 e Nono. Dion. VII 328 e XXVI 194 ciyicuto, qntcov•: ma nei primi due passi la frase si riferisce a un &pciiccove nell'ultimo a un o•t,. qy~ul.oc: C. impiega l'aggettivo a proposito di un fiume anche nel fr. inc. std 646 Pf. 11:cxp • cxyicuMv ixvo, 'Apcit8ou I. Nelle Dionisiacht di Nonno compare molte volte il nesso ciy1CUtov u&cop: oltre a XIIl 317 (riportato sopra), cf. III 166 al. L'equivalente latino di cxyicuMc, con riferimento al corso dei fiumi, è l'aggettivo curvus: cf. p.es. Verg. Gtorg. II 12. lpuru: I poeti successivi a C. useranno spesso il verbo i:pti:Etv nella medesima sede metrica a proposito dei fiumi: cf. Dion. Per. 222. 496, Nonn. Dion. VI 341, XIII 323 O'Alfeo; il verbo è preceduto da 011:11, cf. qui 'iv'), XXIII 165, tp. adesp. Anlh. Pal. IX 362, 2. Nonno, inoltre, impiega nel medesimo senso i verbi Ép,ruçco e &up11:uçco:cf. da IBl lato Dion. XI 381, XXVI 226 (nel secondo passo il verbo è preceduto da Olt1J,cf. qui 'iv'), dall'altto Dion. XIII 565, XXVI 356. Cf. anche Cali. Ap. 111 civÉp1tt1 I (dove il verbo è applicato alla piccola goccia che wnpilla da una fonte) e forsefr. inc. std 699 Pf. conil cooun.L'equivalente latino di &p1tEtvcon riferimento al corso dei fiumi è strptrt. Cf. Tab. I 7, 13 s. an tt CydM canam, zacilisqui ltnittr undis I catru~us placidis ptr vada strpis aquis? Pià in generale,la sequenza di dooumde retoriche presenti in quest'elegia tihulliana (v. 13 an ... canam?, v. 17 quid rtftram?, v. 23 s. quanam passim ... dictrt causa I aut quibus in ttmsn ricorda la successione di 'l"l'co, ot&a (v. 46) e ot&a (v. 50) che si riscontra nei versi di C.: vd. Bulloch, Tibullus p. 73 e il comm. ai vv. 46-50. Per strptrt, cf. anche p.es. Ov. Mtt. XIV 598, Tr. m 10, 30, Lucan. I 215, IX 974, Stal Silv. IV 3, 91. 44 Jrl~C?'!1J[: Barigazzi, Saght p. 6 pensa che in questa zona del testo si parlasse di Agrigtnto, la cui assem.adal catalogo delle colonie siciliane sarebbedavvero sorprendente. La città, situata sulla costa meridionale dell'isola, fu fondata circa nel 580 a.e. da Gela, sotto la guida di Aristonoo e Pistilo: cf. Tbuc. VI 4, 4, [Scymn.J 292 s. Poiché sono tramandati i nomi di due ecisti, è probabile che Agrigento venisse fondala sia da Gela sia daRodi, principale madrepatria di Gela stessa: vd. Lescbhom p. 53. Barigazzi ritiene anche che qui ci fosse l'aggettivo yoy}yv~y. rotondo (vd. app.). 46-53: Questo tratto di testo meglio conservato permette di notare che la rassegna delle città siciliane è vivacizzata dalla variatio stilistica: il «personaggio C.» impiega una designazione geografica e storica per Gela (v. 46 s.) e un riferimento mitologico per Minoa (v. 48 s.); dopo il danneggiato v. 50, che riguarda Leontini e forse un'altra città, Megara lblea viene presentata con una notazione storica (v. 51 s.), Eubea semplicemente menzionaaa (v. 52) ed &ice desaitta in relazione al culto di Afrodite (v. 53). 46-50 ot&u ... ot&cx:Per l'anafora di ot&a all'inizio dell'esametro, cf. Hom. IL VII 2AO s., [Hom.J Hymn. Il 229 s., Nic. Thtr. 805, 811, 822, 829 (in un elenco di animaliIIOCivi), Orac. Sib. VIIl 361-363, Nonn. Dion. X 96 s. Può darsi che C. abbia presente l'anafora di i&µev presso Hes. Thtog. 27 s.: i&µev 'l'EU6Ea w:ollà ~tv iwµo1.Ctv oµo'icx, I r&µev &',
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Eit· i8u.co1uv, cu..118ÉaYTIPUcac8al.Questo passo della Ttogonia proviene dalla j,i}uc proemiale delle Muse e precede immediatamente la scena nella quale le dee consegnano lo c1Ci\1ttpovpoetico a Esiodo (vd. il comm. mfrr.3-4): forse C. allude volutamente alle parole delle Muse esiodee, ora che il «personaggio C.» pronuncia da pari a pari davanti alle sue Muse l'erudito catalogo delle città siciliane. Per l'anafora di ot6a (ma all'interno del medesimo verso), cf. Ap. Rh. IV 1319, Colluth. 347 Livrea. I due ot6a dei vv. 46 e 50 sono anche collegati al fPliccodel v. 42: cf. Hcrmcsian. CAfr. 7, vv. 49, 61, 73, 75 p. 99 s. I ylyvmcxElc ... I qrru,ì..•. I ylyvmcxElC•.. I ok8a (nella rassegna dei poeti e delle donne da loro amate, riferita da Emlesianane Il Leonzio). Cf. infine Tib. I 7, vv. 13, 17, 23 s. riportali nel comm.al v. 42 Ef)LKEl. 46 s. otau rala.cu KO'tClflOLUI IC&.ulLiil IK\ IC&\IR&'!LOV ciuu I A(v&o8av cipxu{11l [c)1tlflK[-r61levo)~ yava[;;,: Gtla. La città. situata sulla costa meridiooale della Sicilia alla foce dell'omonimo fiume, fu fondata circa nel 688 a.C. da Rodi e Creta: i Rodiesi, che venivano in rnassima parte dalla città di Lindo, erano guidati da Antifemo; i Cretesi erano capitanati da Entimo; il gruppo dominante era quello rodiese, com'è dimostrato dal fatto che l'incediamento originario di Gela si chiamava Lindi. Cf. lbuc. VI 4, 3 raav 6è: 'Avt(cp1)flOC
É'IC'Po6ou xaì. "'EV'tlflOC È1CKpi)'t1)C•.. hncav •.. x:aì.tjì l'Èv 1t0Ml CÌKÒ 'tOUraa 1tO'tClflOU 'tOUVOflaÈyÉVE'tO,tÒ 6è: xcopfov of> vuv fi KOÀ.IC Éc'tÌ.ICUÌ.o 1tpéòtov ÉUlXK8" A(v6lOl ICaÀ.Eital. La prevalenza dell'elemento lindio e del personaggio di Antifemo nella colMizzaziooe di Gela è un dato comune a bJtta la tradizione (vd. Eblers p. 14 e n. 12) e si rivela anche nel nostro v. 47. Già F.rodoto (VII 153, 1) narra che la città fu fondata dm Lindi rodiesi e da Antifemo, cui si aggiunse Gelone di Telo. E la città siciliana di nome Lindo, della quale parla Stefano Bizantino presso Eustazio (p. 315. 21), sarà certamente da identificare con il nucleo originario di Gela, menzionato da Tucidide. Sappiamo che i Geloi inviavano oggetti a Rodi, dedicati alla Atena di Lindo: cf. Chron. ttmpl. Lind. CC 25, 28 = Xenagor.FGrHist 240 FF 12, 15. Ma, visto che quest'elegia di C. riguarda il culto degli ecisti (cf. vv. 80-83), il dato pii) interessante è che a Gela Antifemo era oggetto di venerazione: nella città. infatti, esisteva un Htroon di Antifemo, dov'è stato ritrovato un vaso del VI secolo, sul cui piede si legge l'iscrizione Mvau8cv..11c cìvi81}n 'Avn•aflcp (H. Collitz - F. Becbtel edd., Sammlung tkr griechischenDiaklct-In.schrifttnm 2, GOttingen 1905, or. 5215). Bisogna comunque osservare che il culto di Antifemo dovette finire intorno al 280 a.C., quando Agrigento ttapiantò gli disttutta dm Mamertini (vd. il abitanti di Gela a Fmzia. Gela stessa venne successivamente
romm.mvv. 56-83).
Che il nome di Gela derivasse dal fiume locale (cf. v. 46) è noto da varie fonti: cf. in primo luogo Duris FGrHist 16 F 59 (riportato nel comm. al v. 33). Diodoro Siculo (VIII 23, 1) racconta che la Pizia ordinò ad Antifemo ed Entimo di fondare unacittà xàp xpoxoàcKO'taf.Loio raa cuvoµmvuflov éryvou. Vd. anche il comm. al v. 46. A sua volta, il grammatico Epafrodito O sec. d.C.) spiegava che il nome del fiume Gela proviene dal fatto che esso produce molta brina (in Siculo, yÉÀ.a):cf. Tzetz. in SchoLTbuc. VI 4, 3 (p. 330. 7 Hude) I OU'tCi>C 'E1ta.po6ltOC ... yparpEl· I raa, 6' ÉICÀ.T)81) tép 1tCXXV1)V xoA.A.itvq,Épuv. I 1eÀ.i}nvÉlcEi yàp ii naxv11 taut11v q,Épu. Come osserva Diebl, Hypomnemap. 326 n. 29, è molto probabile cbe Epafrodito esponessequest'etimologia quando delucidava il nostro v. 46 nel suo commentario al secondo libro degli Ailia (cf.frr. 61-62 e vd. il comm. dopo il fr. 62). La spiegazione di Epafrodito concorda con quanto dice Stefano Bizantino s.v. raa. 46 otaa rtl.L a1 KO'tClflOL VI 1C&.ul.Lili la, 1ed1t1&'!LOVitov.1n questo caso, l'innovazione caJlimacbea avrà un'immensafortuna. sicché la parola 1etu6c designerà spessissimo il cinto di Afrodite: cf. Bion I 60, Philod. Anth. PaL V 121, 3 = GP 3208, Antiphan. Anlh. PaL VI 88, 2 = GP 126, Nono. Dion. IV 67 aL, Collutb. 95 s. Livrea, Christod. Anth. Pal. Il 101, Leont App. Pian. 288, 2, Paul. Sil. Anlh. Pal. V 270, 8 = 71, 8 Viaosioo. Il calco latioo ctstus verrà impiegato da Maniale (VI 13, 8 al.), Stazio (7Mb. II 283 al.) e Claudiano (Epilhal. de nupt. Honor.
124). 54 s. 'tmmv où3111utl ycì[p iS)'ttc sq[d:J
uixoc 13&,ILII I vmvu1Lvi vol'{llll'! lpx[sh' i•' 11llcs•iY111!= Il «per50naggio C.» presenta qui l'elemento comune a bJtte le città catalogate: io nessuna di esse l'ecista viene invitato al banchetto io soo onore sema essr.re chiamato per nome. 1n questo modo, egli si richiama implicitamente alla domanda che aveva posto alle Muse (nei vv. 18(?)-27, vd. il comm. ai vv. 18-55): perché Zancle è l'Lmica colooia greca io Sicilia a non invocare per nome il suo fondatore? Il riferimento sottinteso 117.aocle si ricava dalla struttura litotica del periodo: d. iacov où6e.f1tiì (cioè, tranne che a 7.aocle) .•. YCOYUJlYi. 54 KQ['t,): Nel V. 67 compare la forma ionica ICO't(E).c. oscilla aocbe altrove fra K0U e 1eou: vd. l'app. a Att. fr. 75, 54 Pf. e il comm.di Bommano 11Dian. 238 1c:ou.
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~•izoc Ua,,a: Per il nesso, cf. Hom. Il. VII 436 -av•, IX 349 -e, XIV 32 uixoc ... -av•, XXI 446 -a•, [Eur.] Rhes. 2321 uiXII ... 6dpac I. Cf. anche Call.fr.inc. sed. 467 Pf. iaeipapev auea p.op-ioi I. 55 vmvu,v(: L'avverbio - che è un hapax (vd. Blomqvist pp. 31 e 33) - corrisponde all'aggettivo vrovup.voc. Allo stesso modo tìtvmvull(e)i corrispondead tìtvrovup.oc: cf. Schol. Dion. lbr., Gramm. Gr. I 3, p. 18. 19 Hilgard (tìtvmvup.e{ tìtvmvup.mc FV) ed Et. M. p. 764. 22 Gaisf. (= Proltgomena de comotdia XVI 15 Koster). Per gli avverbi t.ermiDanti in -l lungo, cf. Cali. Bee. fr. 298, 2 Pf. = l 15, 2 H. I tìtd.au-ii con i cormn e Dian. 65 Òtfpuc:-ii con il comm. di Bommenn. Si noti la paronomasia vmvup.v~vo11i1111y. Cf. Aesch. Chot. 483 6aiuc. Évvop.ol. La parola ei1a11:iv11 vop.(p.11'! ••• aU.at1:('!1J'!: indica gjà nei poemi omerici il banchettosoltnnt: cf. IL xvm 491, Od. I 226. lpz[•J·f: Per la rara elisione della desinenza medio-passiva -al, d. Cali. Lav. 137 I q,xe,:'efr. inc. std. 535 Pf. 6qmp.' con il c:omrnCf. 'i!JDChefr. 26, 12. Vd. Introd. W.2D.
e:
B) 56-83: La risposta di Clio Clio, la Musa della Storia, rievoca la fondazione di ZAnde P. le vicende che condussero al alllo aoonimo dell'ecista. Uomini provenienti da Cumae Caidde e guidali rispettivamente da Periere e eratemene costtuirono il nuovo ioce4iernento senza badare al volo dell'uccello harpasos, particolarmente ostile ai costruttori di città. Se mai il «personaggio e.»dovtà foodare una colonia, la Musa si augura che possa farlo a>n buoni auspici. Allora, invece, Pmere e Cratemr.ne,quando ebberoposto le fortificaziooi aw:moalla falce (~crp::A.Ov)che servi a Crono per mutilare Uranoed è n nascostasouotma, litigarono per stabilire chi dovesse CISel'C a>nsideralo l'ecista e, per risolvere la questione, si rivolsero all'oracolo di Delfi. Qui ricevettero il respoosochené l'IDlo né l'altto doveva essere ritenuto il palJ'ODOdella cillà. Perciò a Zancle fin da allora i magistrati invitano l'ecista al banchcUo rituale senza dirne il nome, avvisandolo che puOfarsi aa:ompagnare ancheda altri eroi. Sarà bene seguire brevemente la storia di Z-ancltdalla fondazione all'inizio del sec. La città fu impianwa tta il 730 e il 7W sulla punta Nord-orientale della Sicilia, ioìzìalm~te da predoni di Cuma. Dopo l'afflusso di molti uomini da Calcide (madrepattia di Cuma) e dal resto dell'Eubea, si ebbe la coJnnizzazìooe ufficiale: gli ccisti furono Periere di Cumae Cratemene di Calcìde. Cf. 1buc. VI 4, 5 Zcrrd11 6È ff!Yp.Èvcipx,iv cittò Ku1111c. -rilc. Èv 'Cnmdqt Xa1u6uc;;c KOA.ECDC 1nuéòv tìt•ucop.Évmv cpx:k~. ucupov 6È x:aì. tìt11:ò Xa1x:{6oc x:aì. -rilc cill11c EùPo(ac. x1ii8oc a8òv ~uyx:auvdp.av-io -iiJv yiìv · x:uì. x:aì. Kpatalp.ÉY,tC., p.Èv ÙKÒ Kup.11c., 6È tìtxò Xcwd6oc. Da Tucidide OÌX:lL'taÌ.IlEPl11P11C. dipende, con molti errori, Pausania (IV 23, 7, vd. F.blers p. 34 n. 84). Secondo un'altta tradizione- oon accolta da e.e risalent.eforse a Efcro -, 2'.andefu fnndeaa,JaUa sicìti8D8Nuso
m
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a.e.
o
(cf. [Scymn.] 284-286, Sttab. VI 268). Il nome Zancle è di origine sicula, perché il luogo assomiglia a una falce (tayx:A.Ov in Simlo equivale a 6pÉ11:avov):cf. 1buc. VI 4, 5, Strab. VI 268 e vd. il comm. al v. 70 s. Dopo la caduta di Mileto (494), un ampìo contingente di Sami e alcuni dei Milesi superstiti partirono per la Sicilia su invito di Zancle, con l'intento di st&Dziarsì tta MUazro e lmera (colonie ZBDClee),ma furono poi convintida Anassilao tiranno di Reggio II imparlmtmsi della stessa Zancle. La città chiese aiuto al tir.umo di Gela lppoaa1e, cheal conttario sostenne i Sami e schiavi.u.ògran parte degli 7.anclei.Cf. Herodot. VI 22-24 e - pmconciwnente - 1buc.
VI4, 5. Intornoal 490 ADBssiJB0 espulse i Sami (probabilmente solo in parte) e popolòla città con IDl corpo misto di coloni, ribattezzandola Messene - in Dorico, Mess&Da - perché dalla Messenia proveniVBDOi suoi &Dtenati.Cf. Herodol Vll 164, 1, 1buc. VI 4, 6, Strab. VI 268, Paus.IV 23, 6-9 (quest'ultimocon molti mori). Dopo alterne vicende, nel 396 il generale cartaginese Imilcone sì impadrool di Mess8D8 Granparte degli abilalti si rifugiò nel lmitmio cbcostante, ma il resto fu passato per le armi.
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CALLIMACO- Al11A, LIBRI PRIMO E SECONDO
Le mura e gli edifici vennero rasi al suolo (Diod. XIV 56-58). Nello stesso anno Dionisio I di Siracusa, dopo aver battuto e respinto i Cartaginesi, ripopolò la città: agli esuli sopravvissuti aggiunse numerosi coloni provenienti da Locri, da Mcd.ma e dalla Messenia; quest'ultimo nucleo fu però sàbito ttasferito a Tmdari (Diod. XIV 78). Dopo pià di un secolo, intorno al 288 i soldati mcn:coari campani che erano stati assoldati da Agatocle di Siracusa (morto nel 289), mentre lasciavano fonatameote la Sicilia, occuparono Messana, massacrando gli uomini e impossessandosi delle donne, delle case e dei beni (Polyb. I 7, Diod. XXI 18, Strab. VI 268). I soldati assunsero allora il nome di Mamertini, o «figli di Marte», dal nome del dio osco Mamerte. Nel 264 essi invocarono l'intervento di Cartagine e poi di Roma contro lerone II di Siracusa, il che diede inizio alla prima guena punica Come si è visto, C. concorda con Tucidide per il racoonto della fondazione di 7.ancle da parte di Periere e Cratemene. Ma è improbabile che il poeta. avendo a disposizione la ricca Biblioteca di Alessandria. tenesse presente soltanto il conciso resoconto tucidideo. Egli si rifà forse - direttamente o attraverso opere storiche intermedie di ambiente siciliano - alla probabile fonte di Tucidide, cioè ad Antioco di Siracusa: questo logografo del quinto secolo aveva composto una storia della Sicilia dal mitico Cocalo al 424 (vd. Eblcrs p. 35 s.). C. è invece indipeodeote qui da Tuneo, almeno per quanto riguarda la leggenda della falce di Cnn- n81C0518 nel sottosuolo di Zancle (vd. il COOllll. al v. 70 s.). Il culto anonimo dell'ccista a Zanclc/Messana può essere motivalO sul piano storico. De Sanctis p. 115 s. = 46 ritiene che la tradizione di invitare Perieree Cratemene al banchetto rituale durasse fmo all'invasione samia (493 circa), il che spiegbaebbe come si conservassero i nomi dei due ecisti. Secondo De Sanctis, da quel momento l'uso si iDlcnuppe: in stguito le allerne vicende della città e le frequenti variazioni etniche dei suoi abiranti oscwaroool'identità dei due ecisti e produssero l'epiclesi anonima. L'osservazione di De Sanctisviene ripresa e perfezionala da .Eblas p. 57 s.• sr.cmdo il quale il culto di Periere e Cratemene non cessò con l'invasione dei Sami, ma un secolodopo, quando Messana fu distrutta dai Cartaginesi (396). Ehlers sottolinea in primo luogo che i nomi dei due ecisti erano noti ad Antioco di Siracusa (probabile fonte di Tucidide), il che significa che essi erano ancora conosciuti in Sicilia alla metà del quinto secolo, cioè dopo l'invasione samia. In secondo luogo - osserva Eblers - l'attacco dei Cartaginesi fu un evento ben pià traumatico dell'arrivo dei Sami, perché Messana fu letteralmente rasa al suolo. I coloni di origine dorica. che - per volere di Dionisio I - ripopolarono la città, con ogni probabilità non avevano mai sentito parlare di Periere e Cratemeoe. Perciò, quando furono ripristinati i festeggiamenti della fondazione (forse sono Timoleonte), si ricorse al culto anonimo dell'ecista. Ma questo culto, come osservano sia De Sanctis p. 115 s. = 46 s. sia Eblers p. 58, non sopravviveva pià a Messana quando C. scriveva il suo aition (presumibilmente nei primi decenni del m secolo: vd. Introd. II.8.). Intorno al 288, infatti, la città era caduta nelle mani dei Mamertini: data la loro provenienza osca, essi non conservarono certamente il rito di origine greca. Anacronismi o imprecisioni storiche di questo tipo si possono cogliere anche nel precedente catalogo delle città greche in Sicilia, che - secondo il «personaggio C.» - invitano bJtte per nome i loro ecisti al banchetto rituale (vv. 28-55). I casi pià eclatanti sono costituiti da Tapso (probabilmente menzionata nel v. 39), Eubea (v. 52) ed Erice (v. 53): la prima resaò disabitatapoco dopo la foodazione; la seconda fu spopolata da Gelone nel 483 a.C.; la ter7.a non era nemmeno una colonia greca. Ma forse si possono riconoscere altre prove dello scarso interesse di C. per il dato storico nella rassegna delle città siciliane: Nasso (v. 36) fu distruua da Dionisio I di Siracusa nel 403 a.e. e venne poi sostituita da Tauromenio (ma il luogo non restò del bJUOabbandonato); Gela (v. 46 s.) fu spopolata da Fmzia di Agrigento nel 280 a.C. e successivamente distrutta dai Mamertini (ma a quel tempo C. poteva già aver saino il suo aition). Infme, se davvero nel catalogo figurava Etna (v. 38), il «personaggio C.» attribuiva il culto dell'ecista a unaneofondazione di Ierone I subenlrala a Carania per soli quindici anni, dal 476 al 461 (ma, come si è detto nel oornrnal v. 38, la menzione di Etnaprobabilmentenon
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e.raorganicaalla 111SSCgoa, bensl si trovava in un excursus). Perciò sono imlevanti le ipotesi di Manni pp. 11-14 che, per dare attualità storica al racconto di Clio, colloca la composizione dell'aition caJliroacboo o prima del 288, quando avvenne l'invasione mamertina di Messaoa o almeno prima del 264, quando Roma - allo scoppio della prima guerra punica - sancl la presenzadei Mamertini nella città. La consultazione dell'oracolo di Delfi desaitta da C. è parsa a Eblers pp. 56 e 58 s. un'invenzione del poeta, volta a creareun legame fra il racconto della fondazione da parte di Periere e Cratemene e l'uso reale dell'epiclesi anonima all'ecista; anche ammessoche la fonte di C. avesse già notato la ~panza fra la tradizione di Periere e Cratemene e il culto anonimo del fondatore (vd. anche Swiderek, Conctption p. 53), la storia del litigio fra i due ecisti e del vaticinio di Apollo sarebbe una trovata caUiroacllea. Diametralmente opposta è l'ipotesi di Malkin, Apollo pp. 966-968, secondo il quale la consultazione dell'oracolo narrata in questo aition avrebbe piena validità storica. Il problema va ricondotto al dibattito generale sulla funzione dell'cncolo delfico nella coloniznzinne greca arcaica. In questo campo, è coosigliabile assumereuna posizione intennedia, senza né esagerare né sottovalutare il ruolo di Delfi (vd. Leschhom pp. 105-109): nei tempi pii) antichi la Pizia forniva già una sanzione divina all'attività colooi:uattice, ma non esercitava ancora un influsso politico; fu lo sviluppo della colonizvizinne a raff017.8l'C l'oracolo delfico, non viceversa; solo nel quinto secolo Delfi assunse un ruolo determinante pel' il processo di cokmimizione. Peiciò, nel caso del nostro ailion, può darsi che C. ampliasse poeticamente il motivo della coosultazione dell'oracolo, trovandolo auribuito a 2.ancle in unafoote storica. La narrazione caUiroacbea ha un notevole valore per le infmmaziooi cbe fornisce sul culto degli ecisti noo solo a 2.ancle, ma anche nelle altre colooie siciliane (vd B. ~cbroid, Studien zu gr~chischen Ktisissagtn, Diss. Frciburg in der Schweiz 1947, p. 63. Le.schhornpp. 17-23 e 101. Ma1kin pp. 197-200). I versi di C. provano che agli ecisti venivano ogni anno tributati onori eroici in un festeggiamento statale presieduto da magistrati ufficiali (cf. v. 80 ~Q.(l]o2py9{ con il comm.): queste celebrazioni fecero in modo che i nomi degli ecisti e gli anni delle fondazioni si conservasserocosl a lungo nella aadizione; il rito consisteva in un banchetto comunepresso la tomba dell'ecista, preceduto da un sacrificio con spargimento di sangue nella tem (cf. vv. 80-83). 56 ci\c i•a:fLIJY·K>.inà, 5l lQ [&Jav-r,ROY ;jpz[a-ro SL)vtt[ov: Quando il «personaggio C.» smette di parlare, Clio comincia il suo seoondo racconto: la Musa ba già esposto il primo ailion del primo libro, quello delle Cariti a Paro (cf. SchoL Fior. 30 aifrr. 5918). Per il meromismn del colloquio fra il «personaggio C.» e le Muse, vd. Introd 1.4D. Per le imitazioni di Ovidio nei Fasti, vd. il comm. al/r. 9, 22. Nelle transizioni del dialogo fra il «personaggio C.» e le Muse, è tipico l'uso di mc. o 'tmc. o &62 - che corrisponde all'ovidiano sic - e del verbo 1prui{: vd. il comm. alfr. 35. Per Clio, cf. Ov. Fast. VI 801. 1q [5Jav-ruiov: Cf. Hes. fr. 16, 19 M.-W., Lucian. Anlh. Pal. IX 367, 11 e 13, Nonn. Dion. Il 5 al., Mtt. I 69 al., tpp. odespp. App. Pian. 251, 1; 377, 5 (sempre •). ;jpz[no p.JvQ[ou: L'espressione omerica è iipxuo p.u8mv• (Od I 367 al.). La frase conispondente, alla fine del discorso di Clio, sarà À.\KEp.u[8]ov(v. 84). Il verbo apxop.al viene impiegato per introdurre la trilcK di una Musa anche nelfr. 9, 22 (~exno KcxU.loltTII). 57 xaip' is' ù~,>-.111\c 111-0'! ip11u A.i;µa Kopcov(6oc, Sopb. El. 1427 I µ11ipipov ... ~11 ') produce, con la sua solennità, UDeffetto ironico. Per la parola A.i;µa (estranea all'uso epico), cf. Call. Htc.fr. 345 Pf. = 13 H. e vd. il comm. di Wilamowitz a Eur. Htrc. 1416. 60 Tp\Ycn:p111, ilsilh1,11[v] in(z1.ç,11\! &i sol.tt11: Si DOii il chìlSJM, per il quale vd. Lapp pp. 40-42. Tp,v11xpi11,: L'isola dai trt promontori (d. ancbe Dian. 57) è la Sìcilia: cf. frr. 1, 36 e 47 con i comm. Eccezionalmente l'alpha non si allunga davanti al gruppo di mutacoo liquida all'interno della medesima parola: vd. Introd. ID.2.B.b.La forma omerica 8p,vux:(11 sì trova sempre- come qui Tp\Yax:p~TJC - all'inizio dell'esametro (Od. XI 107, XII 127, 135, XIX 275). ÈsiP11c11[v]:Cf. [Hom.] Hymn. II 127 I TIKE(pou iaiPTJccxv•. il-sdz..ç,11\!lì a641111:Per il nesso, cr. lbuc. I 93, 1 iflYao1lY iidxtt11v, Call. Att. fr. 15, 70 Pf. I i:Éccapac ... KOÀ.TJUC ... u{xuu. il-sdz..ç,11\!: Per le osservazioni su questa lezione, dle sostituis0e l'iu(utoy di Hunt e Pf., vd. MassiroiHa Nuovt knurt p. 18 s. Il verbo u,x(tco compareuna volta sola nei poemi omerici (Il. VII 449 I u'ixoc Èie1xkcavi:o). s6111a: Questa fonna di accusativo non è omerica e appareper la prima volta presso [Hes.JScut. 105•. 61 lipKIKOY ... fVAU[tt01,Lavo1.:I vv. 61-63 e 66 s. testimoniano l'interesse dì C. per l'omitomauzia· sembra che gli studi omitomantici godessero di UD certo successo nel periodo ellenistico (vd. Eblers pp. 44-46). L'auspicio di UDuccello vìeDe trascurato anche in un altro passo callimacbeo (Jr. inc. std. 528 Pf.). Per gli interessi omìtomantici di C., vd. ì comm. ai vv. 62 Èpq,lhg[c &i1111 ÈtpÉ)pKEl,63 icaì. yàp o Pacx:ajvu, 66 s. e 66 µÉp1,Lv[o)u e ~upuyuq .... [ ...... ]qu u. Agli uccelli C. dedicò un'opera intitolara Ilepì. òpvÉcDv(frr. gramm.414-428 Pf.): vd. anche il comm. aJ.fr. 98, 6. apacxcov: Si tratta di UD uccello sconosciuto, la cui origine mìlica veniva D8JDla da Beo nella 'Opvl8oyov{a e da Simia nell'Apollo (CAfr. 2 p. 110 = AntoDìn. Ub. XX 5 p. 35. 9 Papatbomopoulos i.ci:opt:'i Boioc ('Opvl8oyov(ac} p· icaì. Cll'JlLUCo 'Po6wc 'AKoUcov,): Clinide, fondatore di Babilonia e marito di Arpe, era molto caro ad Apollo e Artemide e con loro assisté spesso ai saaifici di asini compiuti dagli Iperborei in onore di Apollo (d.fr. 97, 10); intenzionato a compiere i medesimi saaillci in Babilonia, Clinìde condusse gli asini all'altare, ma Apollo gli ordinò di ripristinare le offerte usuali, pena la morte; fra i quattro figli di Clinide, Licio e Arpa.sosuggerirono al padre di saaificare gli asini. Ortìgio e Artemìcbe di obbedire ad Apollo; i primi due, con un'azione di forza, spinsero gli asini JRSSOl'ara; allora
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Apollo fece impazzire gli 1Dimali,che divorarono l'intera famiglia; Posidone impietosito trasformò Arpe e Arpaso negli uccelli che portano lo stesso nome (v Apfllv iùv 1eaì. u Ap11:acov cp1etupt Ilocu6éì>v 1eaì. i11:0111uv aùtoùc opvl8ac tép aùtép À.tT011Évouc òvo11an); Apollo, J)CI' intercessiooe di Artemide e I.atona, mutò Clinide in una{uoc, Licio in corvo, Artemicbe in 11:1.lyçe Ortigio in cingallegra. Per il poteri'! malefico dell'harpasos,d. lo scolio marginale nel papiro e vd il comm. al v. 63 1eaì.yà.p o Pac1ea$vel. La upfll compare già nell'lliadt cmaica (XIX 350). qJmvtiv: La parola è già impiegata nei poemi omerici per indicare gli uccelli augurali (Il. XII 237, Od. XV 532). Cf. IDche Cali. Hec. SH 288, 38 = fr. 73, 9 H., lov. 68. 62 lx8\uov ,cdn11luv: Si noti l'allitterazione. Il vocabolo 1c:i1u11c - impiegato 1Dcbe nel v. 69 (vd. il comm. al v. 79 oiucniv) - è di uso prosastico (ma cf. Lyc. 964): non è necessaria la congettura IC't\Cta\Cwdi Hunt (vd. app.). Il nesso richiama pe.rcontrasto il luogo dell'inno calJimacbeo ad Apollo, nel quale il dio - ttamutatosi in corvo - guida Batto nella fondazione di Cirene (vv. 65-67): $oil3oc ic:aì.l3a8ùye1.0v i11iiv 11:oÀ.tv i•pace Battrp I ic:aì. AtPUllv Èctovn 1eopaç ii'Y'icato À.aép,I 6tçtòc oiic:lC'rijpt. Èpip5,q[c d IL~ i•iJpst\: Prima della lacuna. il papiro ha epmnq[, con un 6 soprascritto al primo t in modo tale da cucellaralo (epm61.Q[).Si tratta cenamcote della parola ipq,6\oc. L'm con\ sottoscritto è postulato da Erodiano (Gramm. Gr. m 2, p. 924. 13 Lentt). Vd app. ed Eblers p. 10 e p. 37 n. 95. L'integrazione ti 11'1 di HUDtnon è certa, perché è leggennente atipicadal punto di vis1amelrico. Infaai C., nelle elegie, non ammette di solito la corrtptio epica nella prima sillaba di un bictps (vd. Introd. Ill.2.B.a.): ma Pf. OSSCl'V8 che in questo caso C. si ispira forse a esempi omerici come Ei 11'1'A11:0Umv• (IL xvm 454) ed Ei 11'1 'Axill.ti• (IL XXIII 792). Vd app. Del resto, il supplemento di Hunt offre un senso soddisfacente: il cattivo auspicio dell'harpasos viene neutralizz.ato dal successivo volo di un airone. Quest'ultimo uccello è di buoo augurio già nella sua unica comparsa all'interno dei poemi omerici, dove il suo nome occupa anche la medesima sede metrica del nostro verso (Il. X 274 s.): to'iu 6È (cioè a Diomede e Odisseo durante la sortita notturna) 6Eç1Òv~ic:tv Èpm6tòv iyyùc o6o'io I IIaU.àc 'A8,iva111. Gli scoli bT al v. 274 commentano ùya8òv ).{av tÒ c1111e'iov,e nel medesimo sensosi orientano le osservazioni di Eliano sul passo iliadico(Nal. an. X 37). Cf. poi Hippon. fr. 16 W. = 23 Degani 6e;tép ... I ... pq,6tép. Ermonatte di Delo (CA p. 251) scrive che l'ipq,6tòc 11:tWc è un uccello fausto peci guenieri e i predooi. Su questi e altri passi relativi all'airone, vd. Eblers p. 38 n. 97. Lo stesso C. distingue, nell'opera Ilepì. òpvÉmv, tre tipi di iprp6to{ (Jr. gramm.427 Pf.). Il fatto che il cattivo auspicio di un up11:acoc possa essere annullato dalla successiva apparizione di un Èprp6t6c trova conforto solo in due testimonian:,,e relative alla scienza augurale romana, richiamate da Eblers p. 38 s. e p. 39 n. 98: SchoLDan. Verg. Atn. IV 462 e Schol. Dan. Verg. Atn. m 374. Nel primo passo si dice che l'influsso negativo di UDuccello è e1iminato dal volo di UDuccello seguente, nel secondo si affenna che l'auspicio di un uccello è sopraffatto da quello di un uccello successivo. Anche il supplemento i•ÉJp11:eipuò trovare UDqualche sostegno: infatti, nel Prometeo incatenatodi Eschilo (v. 1024), il verbo i:pnttv è impiegato a proposito dell'aquila che divora il fegato del Titano (vd. Eblers p. 37 n. 96). Vd. 1Dche il comm. al v. 63 1Caì.yà.p o Pacic:aivei. Per gli interessi ornitomantici di C., vd. il comm. al v. 61 ap11:acov ... oùxì. ~À.a[CCOfl.EVO\.
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63 •· ,cca\ yùp o ,SCK,ca(vu trvpyov i[ya,p611ev]qv I yam&caha, XCIL \J ,sa.p-ia a,11vL&1CÙal-iaJ Pa.1avoical: Il verbo l3ac1eaivu è impiegato prima come traositivo attivo in unione al complemento oggetto sùpyov, poi come inttansitivo seguito dalla proposizione temporale introdotta da etu (per l'equiparazione di un sostantivo e di una rrmporale. vd. il comm. alfr. 89, l iiu (vd. il C()lllm alfr. 8). 63 1eal Tf'P o ,Sac1eajvu: La frase si riferisce all'harpasos (v. 61). Invece KOrte, Littrarische TtXlt 1932 p. 37 e Desrousseaux p. 146 ritengono che esso spetti al sostantivo piè vicino, cioè all'airone(v. 62). Ma quest'idea è esclusa da due considerazioni: io primo luogo, la formulazione dello scolio marginale vergato all'alteu.a del v. 61 (a.pKcu:oc.et(6(oc.)) òpyÉou Pau:av(ov)) deriva dal Pau:aivel del nostto verso; io secondo luogo, l'airone - cmie si è detto nel comm. al v. 62 Èpcp619[,ei l'TIÈ,pÉ]p1te1 - è quui sempre considerato un uccello di buon augurio (per quesre osservazioni, vd. Ehlers p. 37 n. 96). Per il verbo pau:atvr.o io poesia. cf. p.es. Theocr. V 13 (riportato nel comm. alfr. 1, 8 l'!IC[E\V] finap ÈKKta1&evov),VI 39, Euph. CA Jr. dub. 115, 2 p. 58, Strat. Anth. Pal. XII 187, 5, Pallad. Anlh. Pal. X 51, 2; vd. anche il comm. al/r. 1, 17 llleu Bw:,cavl.11J'òl.oòv yÉvoc Per il malaugurio degli uccelli, cf. Cali. Htc. SH 288, 37 s. = Jr. 73, 8 s. H., Jr. gramm.428 Pf. (dall'opera Depì. òpvmv). Sugli interessi omilomaoticidi C., vd. il comm.al V. 61 a.pKW:OV ... oùxì. .,UMl[(Coµevot. 1tcx\yàp Cf. Jr. 89, 11. Kvpyov i[yup61'ev)qv: L'integrazione di Housmao (vd app.) si basa su Call. Ap. 64: cI,6• E1&a8ev-rà npéi>ta 8e1&eO.ta->oiPoc.f:ydpetv (vd. il comm. di WiJliams) Per il nesso, d. Dio Cass. XLil 12 1tupyouc ... Èyeipav-roc..Un altro KUPJOv(v. 27). Per quest'uso del vocabolo C'tE\YOC, cf. Hom. IL XXllI 4191 cuivoc ~ou 1eo0..11c. ),aupcic: L'aggettivo compare una volta sola nei poemi omerici (Od. VII 123): )..aupcp Èvì xci>prp1 (a proposito della vigna di Alcinoo). Lo scolio V ne offre la spiegazione: )..dcp, Ol,lCWP, ~ w:Àau'i. Le strade, dunque, sonospianaU, ampie. tq1[muv o]lfouc.: Cf. p.es. Thuc. Il 100, 2 o6oùc l!Ù9dac iull•• 66 s. Il É p Il v [ o Ju l'q} ~upu7ac.q . . . .[ ....• .) qu 'tE YBO\Q • I d 1c:o·nn~[.) .• IJY )..csòv lw:o\1c:ovìi[you: Bench~ il testo dei due versi sia molto incato, sembrache se ne possa trarre il seguente significato (grazie soprattutto all'integrazione a(yo1.t di Housman): Clio augura al cpersonaggio C.» di muoversi (vÉoiç, ottativo di vÈollCll piuttosto che genitivo di vioc) con il buon auspicio dello sparviero (l'ÉPl'Y[o)u) e di un altto uccello, se mai condmrà della gente a fondare una colonia. Come osserva Pf., l'augurio della Musa risulta tanto pià grazioso, se si pensa che C. discende da Batto, il quale guidò un contingente da Teta in Libia. a impiantare Cilene: Clio contempla la possibilità che anche il «pCt"SODaggio C.», al momento solo mpnyÉvuoc (cf. Schol. Fior. 18 e vd la fme del comm. ai frr. 3-4 ), possa UD giorno imitare il suo illustre antcDato.Un augmio di fortuna basalo sul volo di un uccello si uova anche presso Call. lov. 68 s. 8';1ecso6' oimvci>vllÉ"f' inu:{poxov myyÙ..lCO't'llV I cci>vupcicov· a t' iJtoiu •lMlc. Èv6é~ia q,a(volc.. Un concetto simile era probabilmente espresso anche in Hec. SH 286, 10 s. = fr. 47, 10 s. H. (vd. i comm. od loc.). Per gli intc'l'CSSiomitomantici di C., vd. il comm.al v. 61 apw:acov ... ovxì ~)..cs[cco"evol. 66 l'ÉPl'V[o)u: Si tratta di un tipo di falco, considerato qui - a quanto pare - di buon auspicio: il genitivo dipende dal seguente ~upvyuq. Secondo Elimo (Nat. an. XIl 4), il "Ép"voc è sacro alla Madre degli dèi. a. inoltte Hesych. s.'Il. 1'Ép1'Y11C. 'tPlOPXOC, Epimerism. alph. in Hom. p. 167. 41 Dyck ... JlÉPllYTI'•L'identificazione del 11ép"voc/11Épllv11c.con il tpiopxoc (aaeswa da Esicbio) è inlcressante per le caratteristiche augurali di quest'uccello: d. infatti Plin. Nat. hist. X 21 triorcMm a numero testium, cui principazum in auguriis Phtmonoe dedit (Femonoe fu la prima Pizia). Per gli interessi omitomantici di C., vd. il aJIDID. al v. 61 apw:acov ... oùxì ~)..cs[cc611evo\. Sui vari tipi di fak:hi, d. Call.fr. granun. 420 Pf. (dal Ilepì òpvémv). ll'lJ.=La lettura si può considerare cena (vd. app.). Il dalivo è etico. .Jqu u: Dopo q, le lettere pià probabili sono 11upvyacq •.. .[ ..••• ma SODOpossibili anche Y\!Y•La lettura e l'integrazione di Powell ~up,ryuqy ,~9[u (segui le ali dello sparviero)SODO adattealle ttacce. ma lasciano nell'incertez7.a il resto del verso. Le leaere ]9u seguite dalla congiunzione u fanno pensare che nella lacuna si sia perso l'inizio del nome di un uccello di buon auspicio nel caw genitivo, dipendente - come JlÉpllv[o)u • da ~up,ryuq. Se è cosi, il dalivo ~up,ryuq deve essere retto da UD preverbio in bDCsidel successivo véol9, collocato sàbito dopo ,cupuy«q. Housman pensa che l'uccello in questione sia l'aìyuw:\oc (avvoltoio) o l'ì1et'ivoc (nibbio) e propone di integrare ~up,ryuqy "[ìyuw:l)Qu oppure ~'tepuy«q 11-H·i[1Ct(E){v]9u(possatu andaresono le ali di ... oppure con le ali di ...): queste integrazioni sono molto soddisfacenti per il tipo di volatili (vd. oltre), ma non per i preverbi e 11-,·(, perché - come si è detto - dopo q sembra esserci v,~o v,v. Le intuizioni di Housman sono riprese da Kone, che apporta un nuovo elemento in favore dell'integrazione "[iyu,n)9u: il nome di quest'uccello sembra comparire nello scolio marginale vergato sul papiro all'altezza del nostto verso, dove si legge"~[. Perciò KOrtc, con maggior rispetto delle ttacce, propone ~'tepuy«qy t~· "[ìyuKl]Qu (in concomitanzacon [= Ted. bei] le ali di ...). Invece Ehlers integra ~up,ryuuy tv "[ìyuw:l)Qu e intende con la protezione delle ali di. A sostegno del suo supplemento e della sua interpretazione, Ehlers si richiama a una testa egizia di Chefren (segnalatagli da L. Deubner), dove il falco di Oro siede sulle spalle del re e gli spiega le ali sul capo in segno di protezione: il re è «nelle ali» dell'uccello (vd H. Scblfer - W. Andrae, D~ KllllStdes alten Orienu, Berlin 19423, Taf. Il; esistooo anche altre <t$lazi.-. del
udvuc:
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v~·
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motivo nell'arte egizia). L'integrazione di Eblers non è convincente: comeosservaBarigazzi. Saghe p. 13, la testa di Cbcfren suggerirebbe u1to, noniv. Tutto coosiderato, il supplemento più plausibile è quello di KOrte, che si adatta meglio alle tracce del papiro: ~ • può equivalere o al tedesco bei (come propone lo stesso KOrte) o a dietro, dopo (come suggerisce Barigazzi. Saghe p. 13, richiamando Xcn. Cyr. VIII 3, 16-18). Per tutta la questione, vd. app.; per la anesi, vd. il comm. alfr. 20, 8 ri11:'T)ÉpaY1)Òcil.accnc. C. impiega anche altrove la parola 1ttÉpvyu a proposito degli auspici: cf. soprattuao Hec. SH 286, 9 s. = fr. 47, 9 s. H. ai.8uiric yàp Lu11:ò1tiepuyu.uv D.uc- I 1tEKJ1Lata (auspicio infausto perché foriero di tempesta), ma ancheLav. 123 s. -yvcoceitcx\3 • opvlxcxc, cxiclOCo'i u KÉtovtat I ijA.t8a KCXÌ. 11:ouovoÙICiLya8aì. 1ttÉpvyu (parole di Atena su Tiresia, vd. il comm.di Bulloch). La menzione di un cxiyuKloco di un i'IC'tivocsarebbe molto adatta al contesto, perché gli avvoltoi sono uccelli augurali Kat • i;oxiiv(vd. Eblers p. 40 s.) e rappresentano di solito un buoo auspicio: cf. p.cs. Hcrodor. FGrHist 31 F 22 b, Plut Mor. 286 A = Aet. Rom. 93 (passo di particolare interesse, perché si parla della fondazione di Roma). Cf. anche gli albi luoghi citati da Eblers p. 41 n. 104. Un altro uccello fausto sembra CSSCl'e, sea>ndo C., la (vd. i civetta: cf. fr. inc. sed. 608 Pf. = (Hec.) fr. inc. sttl. 168 H. I Kapt' iLya9ii 1Cl1CUluok comm.). Inoltre un volatile di buon augurio è forse presso Cali. fr. inc. sttl. 469 Pf. (vd. il comm. ad loc.). Cf. infine lamb. fr. 191, 56 Pf. ~idq, citin I. Per gli interessi omitomantici di c., vd. il comm. al V. 61 éip1tcxcov... oùxì. cpuA.a[cco11evol. 67 d 1eo-rn1.~[.] •. 11v: Il papiro ha u1Con, con u soprasaùto ad o, cosl da avere la sequenza1?t1Coun. Prima della lacuna, ; sembra l'unica lettera possibile. Le tracc:edopo la lacuna sono confusissime. Il successivo 11vè più probabile di \!~v. Le leuere iniziali vanno certamente divise comel?llCO't(E): per la forma ionica ICO'tl?altemata al KQ['tÉ) del V. 54, vd. il comm. a quel verso (KQ['tÉ)). Sono poi possibili le divisioni d Kot' Én (se mai ancora) oppure Ei KotÉ n (se mai in qualche modo). Hunt propone di emendare e supplire il testo in ~[E]JY1Jv.Egli, cioè, suggerisce di mutare il secondo t in un K, questo modo: er Kot' È(11:)ì. richiamandosi al v. 84. dove compaiono le variae lectionesftt ed i1ti. U senso sarebbe: se mai condurraigentecoloniWllrict in terrastraniera.L'integrazione ei Kot' ijei}1f11v di Barigazzi ha il merito di non introdUITCcambiamenti nel testo. U significato sarebbe: se mai condurrai ancoragente colonizzatricein terra straniera.L'impiego del verbo aym000 doppio accusativo (del complemento oggetto e del complemento di moto a luogo) noo fa difficoltà: d. p.cs. Ap. Rb. I 1316. Lascia invece un po' perplessi l'avverbio in, che Barigazzi spiega come un'allusione a Batto, l'antenato colonizzatnrP, di C. (vd. il comm. al v. 66 s.): se mai tu ... dovessiancora(comeil tuo avo Batto) condurreuna coloniain terrastraniera.Vd. in generale l'app. 1cz~y ltso\1cov &[yo1e: Del medesimo nesso faceva forse uso Nicandro nelle Metamorfosi(Jr. 38 Scbneider), se l'acerptwn di Antonino Liberale (IV 4) ricava dal testo del poeta l'espressione A.cxòve1tol1Covciyayeiv. L'aggettivo É1totx:ovveniva forse spiegato in uno scolio marginale (vd. nel testo). Clio mette ironicamente sullo stesso piano un'eventuale attività coloniu.abice del giovaniwmo 4CJ)ers0naggioC.» e la fondazione di Zancle da parte di Pe.riere e Cratemeoe, impiegando - per descriverle - le medesiJDP.parole (d. v. 58 s. ÀaÒc. ... ov ... ijyaye). 68 ciU • iS-ra5-IJ: La congiunzione ciA.l.cisegna il contrasto fra la fortuna augurata da Clio al «pmonaggio C.» (v. 66 s.) e il litigio di Pe.ricrc e Cratemenc. La particella 6ii indica che Clio riprende il filo del racconto, interrottosi nel v. 61. Sul piano formale, d. forse Call. fr. inc. sed. SH 296, 4 aU.ou3ri[ all'inizio di un pentametro (vd. il comm. ad loc.). 1L6ccuv11e: L'elevazione delle torri di legno e dei relativi bastioni (i1tciA.;eu) segna la fine dei lavori di costruzione. La parola 11occuvnon è di origine greca. Essa si trova per la prima volta ncll'Anabasidi Senofonte (V 4, 26), dove si parla appunto del popolo niatioo t\ei Mossinéci, abitatoridei 11occuvu..Cf. poi Lyc. 433 llOCvutxmv 1eaì.téòv xupymv (per altre fonti grammaticali,vd. l'annotazione di Adler). Vd. l'annotazione allo scolio. [xaptuv8i)v-cuc: L'esametto è spondaico: per gi; esametri spondaici negli Ailia, vd. Introd. m.1.A.a Vd. app. 69 ql x:ticta1.: Si tratta ovviamente di Pcriere e Cratemene. Pei- il vocabolo, vd. il comm. al V. 62 q8tc't0V K't\C'tfl\C\V. Maas proponedubbiosamente di emendare qi. 1C't\C'tU\ in oi1etc'tal, rifacendosi al v. 79 oi1C\Cfl1V (vd. il c:anm ad loc.). Vd. app. lpnavov 8iv-co s&[p\ ltp6v1.o)v: La frase è spiegata nel distico seguente (vd. il comm. al v. 70 s.). Pf. prende in considerazione la possibilità che Periere e Cratemene inna!zassero torri di legno rinforzatt con bastioni (v. 68) inlomo al luogo aaao, sotto il quale era nascosta la falce di Crono, e che il luogo in questione foae il porto ricmvo, simile a una falce (~a:TKÀov)ed eponimo della città (cf. lbuc. VI 4, 5, Strab. VI 268 e vd. il comm. al v. 70 s.). Ma probabilmente Clio intende qui il completamento dei lavori di fortificazione a 2.ancle, che è swacostruita tutta inttra intorno alla falce di Crono. Come osserva Eblers p. 49 e n. 122, in modo analogo molte città furono erette intorno a tombe di eroi: di particolare intaesse è un passo delle ArgoNJJltichedi Apollonio Rodio (Il 846-849), nel quale Febo ordina ai Beoti e ai MegaresiNisei di onorare ldmone come loro xoÀtccouxoc (cf. qui il v. 77 11:oÀtccouxoucon il comm.) e di fondare una città intorno all'oleasuo che segna la sepoltura delferoe. lpésuvo,r: Il vocabolo compare una volta sola nei poemi omerici (Od. XVIll 368) e viene già impiegato a proposito della falce di Crono nella Teogonia di Esiodo (v. 162). Certamente mala è la grafia ApÉKavov di Hunt. COlretla da De Sanclis e da Maas (vd. anche Ehlers p. 47 n. 118). Vd. app. 70 •· ~l!i81. ycìp In -cci yovi\o, cisffpua tlL"ila" ix,atiYJQç I ~é1epus-cc11 TVtn'I'-tlX'flCM>Y v,nb x8ovt111.:Nella nmazione di Clio, il distico rappresenta un inciso, volto a spiegare (ya:p) la frase 6pé11:avov8ivto x!(pì Kpovto)v del v. 69: nel sottosuolo di 7.ancle sta nascosta la falce (ça:TKÀov)che servi a Crono per mutilare suo padre Urano. In questo modo la Musa fornisce anche - in modo ellittico - l'etimologia del nome Za:TKÀfl. &so deriva dalla parola ça:TKÀov,che in Siculo significa/alct (6pé11:avov,v. 69): cf. lo scolio marginale nel papiro, lbuc. VI 4, 5, Strab. VI 268 e - nell'app. delle fonti - Schol. Lyc. 869, Steph. Byz. s.v. Za:yKÀfl.Si noti che con grandemaestria, nell'intero discorso di Clio, 2.ancle noo vienemai menzionata txprtssis vtrbis. Il nome Za:TKÀfl- già presente nell'opera di Ecateo (FGrHist 1 F 72 op. Steph. Byz. s.v. Za:yicÀfl,vd. app. delle fonti) - è coonesso a ~ttyKMv da Tucidide (VI 4, 5), cheperofmnisce una spiegazione diversa da C.: secondo lo storico, il luogo dove fu fondata la città era 6p1t11:avou6~c.A Tucidide si associa Strabone (VI 268). Le altre etimologie proposte dagli antichi per il nome ZttyKÀflvengono passale in rassegna da Stefano Bizantino s.v. (vd. app. delle fonti). Secondo alcuni - c:aniDcia Stefano - esso deriva da z.anclo nato dalla tena Questo
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parere compare presso DiodoroSiculo (IV 85, 1): il passo di Diodorodipende fonc da Timeo (Geffcken p. 120. 23, conzra- a quanto pare - F. Jacoby, FGrHin voi. m B p. 336 n. 397: vd. Fraser II p. 1071 n. 348). Stefano dice poi che, secondo altri, Zci:yicA.11 fu cosl chiamata dall'omonima sorgente. La terza etimologia ricordala dal grammatico si rifà cbiarameote - anche sul piano della formulazione verbale - a questo luogo di C.: 2.aocle si chiamacosl, pcrcM Crono nascose ll la falce (in Siculo, çci:yicÀ.ov)con la quale recise i gcoil&li del padre. Stefano cita di séguito un verso di Nicandro (FGrHist 271/2 F 15 = fr. 21 Scbneider): ica{ ne 1taì. Zci:T1CA.11, i6ci:ti 6pnav11·{6oc èkn,. Qui l'espressione Zanck a forma di falce non va ricondotta alla versione callimachea, ma a quella tucididea (6pu:av11·{6oc deriva dal 6p&Kavou6Éc di Tucidide). Per quest'esametto di Nicandro, vd. il comrn.al v. 46. Come si è detto. può darsi che Timeo e C. assegnassero al nome di 2.aocle due diverse etimologie: esso derivava dal re 7.anclo secondo lo storico e dalla falce di Crono secondo il poeta. E anche ammesso che la notizia sull'eponimo 2.aoclo non risalga a Timeo, è certo che egli collocava la falce di Crono non sotto 2.aocle (come C.), rna sotto Corcira (FGrHist 566 F 79, vd. il comm. alfr. 15). Non è escluso che la leggenda della falce di Crono nascosta sotto Zancle fosse un'invenzione callimacbea, forse modellala proprio sul racconto di Tuneo relativo a Corcira (vd. Ehlers p. 49). Invece Fraser I p. 766 ritiene che il racconto callìrnacheo possa derivare da un'aristotelica Costituzionedegli Zanclei. Comunquesia, l'opinione di C. influi fcne su Ovidio nei Fasti (IV 474): quiqllt locus curvae nominafalcis habet (con riferimento a 7.ancle); non sappiamo, però. se l'espressione ovidiana debba essere ricondotta alla veniooe callimacl:lea o a quella tucididea (vd. sopra). Ma il parere di C. si ripel'cossecertamente su un passo di Silio llalico (XIV 48 s.) nec Zanclaeagenuu obscurammoo&iafamam,I dexzeraquam rribuitposito Saturnia telo. Per gli altri toponimi coonessi coo la/alce, vd. il oomm.alfr. 15. Nel rievocare l'evinmone di Urano. C. si ispira innanzitutto alla Teogonia di Esiodo (vv. 179-181): DJ..a~EV apKT)YI ... lpV...O\J 6• CÌKÒJ11J6&aKatpoc I Èccuµivcoc iiJ11JCE. L'ci11:É8plCE callimacheo dipende da Archiloco (Jr. 222 W.): lvac 6È µEA.imv (téòv µÉcmv) ci11:É8ple& (v.l. µ&6Émv: µtçÉmv (om. 6È) Blomfield: téi>v µÉcmv add. Wesr). Forse C. tiene auche presente un passo della Tebaide di Aotimaco (Jr. 44 Wyss): 6p1t11:ci:vcp tɵvmv c'i11:oµ116&a Katpo, I ••• Kpévoc. A sua volta, il distico di C. influi su Apollonio Rodio (IV 983-986), che pero- come Timeo - colloca la falce di Crono nel sottosuolo di Corcira, cbiarnara per questo anche Drepane: I ciµ1plA.a'Pilc... v;;,o, (cf. fr. 16), I fi uno 6Tt1t1tic8al 6pÉKavov q>einc 'O..au Moucai, 1 O\IIC È8ÉA.mvÈvÉ-n:mKpotÉpmv EltO( - 'P CÌKÒKatpoc I J11J6Ea V1JMlCDC. t:taµEv Kpovo, (segue la seconda spiegazione del nome Drepane, in b~ alla quale sotto Corcira si cela la falce usala da Demetra per insegnare ai Titani a mietere il frumento, vd. il comm. al fr. 15); Apollonio. come spesso accade. impiega le parole di C. per un diverso argomento (vd. Eichgriio pp. 137-139). L'evirazione di Urano viene desaitta anche da Ov. lb. 273 s. e Nono. Dion. vn 226 s., xvm 223, 225, 227, XXI 255 s. Cf. gli altri passi poetici cilali nel comm. al fr. 15. 70 cia:É8plu: Quest'aoristo (anche nella versione non sincopala ci11:08qnçe) è l'unica forma atteslala del verbo. Il suo impiego nel nostto passo - rome si è detto nelcomm.al v. 70 s. - deriva da Arch. fr. 222 W. Cf. poi Eur. Htl. 1188, Or. 128, Mel. Anlh. Pal. IV 1, 17 = HE 3942•, Phil. Thess. Anlh. Pal. VI 107, 2 = GP 2166, Nonn. Dion. XXXII 140* al., Agath. Anth. Pal. Vll 204, 5 = 35, 5 Viaosino• al., Metrod.Anlh. Pal. XIV 120, 2*, ep. adesp. App. Pian. 255, 4. Per un possibile impiego del verbo da parte di F.ratosteoe, vd. A. S. Hollis, «ZPE» 89 (1991), p. 28 s. 71 'YUK1Jl:La parola - che significa buco, cavità - è un haptu e viene glossala 11ellessico di Esichio (vd. app. delle fonti). Essa deriva da TU'I', sicché il suo sigoifcato originario è covo di avvoltoio. Cf. anche Hesych. s.v. yu1tac icaA.u~a, 1e:aì.8aA.ci:µac ... CKtJMla. ,ci'flCÀov: La forma parallela çci:yicA.11 viene impiegala da Nicandro (Al. 180). 72 • [ • J • ucxv 41'•Ì.KDÀfloc: Clio comincia qui a parlare della disputa fra Periere e Cratemeoe. Hunt integra ~[l]f kav (allora andavano illlornoalla città). Ma, come nota Pf.,
COMMENTO:AEf. II FR. SO
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l'avverbio eha non è mai usato da C. Inoltre, come osservano Eblers p. SOn. 12S e Pf., il supplemento di Hunt non offre un senso adeguato, pe.rcbéqui ci si aspetterebbe qualcosa come andavanoin giudizioriguardoalla ciltà (per quest'uso di àµcp{con il genitivo, cf. Hom. IL XVI 824 s. µaxu8ov I 1t16a1eocliµcp' òi..1Y11c). L'integrazione 'Ìjp\cav di Lobel (conteseroriguardo alla cinà) viene respinta da HUDte Pf. sia per ragioni paleografiche sia perché qui non ci si allellde già un litigio - che comparirànel v. 74 -, ma una consultazione pubblica. Date queste osservazioni, risulta molto attraente il supplemento ~[i]ç.\cav di Barigazzi: «Il verbo dcE\fl\ è un termine tecnico dell'amministrazione giudiziaria in Atene, per indicare le parti che compaiono in giudizio per una disputa, e spesso è usato assolutamente, come avviene di eidpxoµa\ ... Callimaco ba scelto il vocabolo per indicare che la disputa era pubblica, davanti ai due gruppi di cui erano a capo Perieree Cratemene.Perciò il verllo significa: si presentaroDO in pubblico per una deliberazione o disputa intorno alla città.» Vd. in generale l'app. 72 s. q µÈv 811( •••....•• .]u8cl\ I . .J . .[ .]v: L'iniziale q µÉv e il successivo o~ •si riferiscono ovviamente a Periere e Cratemene. Hunt suggerisce l'integrazione 8É[i..ev ouvoµa 8Ju8a\ I -rò] ç.t[6Jv (voleva imporre alla cinà il suo nome). Ma Eblers obbietta giustamente che ciascuno dei due contendenti non vuole diventare eponimo della colonia, bensl esserne considerato l'ecista (cf. v. 76 s.) e propone di supplire i..i:y]ec8a\ alla fine del v. 72 (cf. v. 75 i..q-oq[o). Il suggerimento di FJilers viene ripreso da Kalinka che integra 8É[i..ev iiuu U}yu8a\ I au-rou (volevaCM la cinà fosse dtna sua, vokva si dicesse CM la ciltà appanenevaa lui): ma il supplemento au-rou nori soddisfa, visto che nel v. 73 il v è chiaro (inoltre la correptio epica nella prima sillaba di UDbiceps è rarissima: vd. Introd. W.2.B.a.). Barber integra8iji..e µouvoc. lip)u8a\ I ici..),J~[6Jy'(vokva arrogarsida solo la/ama di averfondato la ciltà). Infine Barigazzi mette insieme le proposte di Hunt, F.hlen e JCalìokae supplisce 8É[i..ev iiuu i..q-Ju8a\ I -rò) ç.t[6Jy (il senso corrispoode a quello dell'integrazione di Kalinka). Vd in generale l'app. 73 qvd~ovv: Quest'aggettivo ionico è formato da mvti + ~Ém (levigo): il senso originario è che due oggetti non sono levigati in modo da combaciare. La parola ricorre frequentemente nelle Storie di Erodoto (I 174, 4 al.); cf. anche Ap. Rb. Il 79, Nonn. Dion. XVIl 194 al. Il verbo civn~oÉm compare già presso Pindaro (OL XIIl 34): d. lo scolio ad loc. Vd. FJilers p. 51 n. 128. &,zo[•pocvv11v: L'integrazione è di Hunt, che propone come alternativa 6\xo[c-rac{11v (vd. app.). I supplementi sono entrambi possibili, ma hanno una diversa sfumatura di significato: 6\xo•poc.UYTJsi applica a un contrasto privato, meotte 6\xoc.-rad11si riferisce a una sedizione politica e implica l'intervento delle fazioni dei due contendenti. Il vocabolo 6\xocppod>YTJè di uso prosastico e non compare prima di C.; ma l'aggettivo 6\xocppc.ovè già impiegato da Eschilo (Sept. 899). Invece 6\xouac{11 è piuttosto frequente in poesia (anche presso Call. Dian. 133, Ap. Rh. IV S00): per il senso d. Baccb. XI 67, per la collocazione metrica cf. Theogn. 78, Sol. fr. 4, 37 W. = 3, 37 Geot-Pr., epp. adespp.Anth. Pal. IX 188, 6, App. Pian. S6, 6. Per il pleonasmo àvti~ouv 6\X,, vd. Lapp pp. 70-72. 74 i"-v11c11v: Il verbo è un hapax. Cl. Choerob. in Theodos. Can., Gramm. Gr. IV 2, p. 162. 28 Hilgard i..uéi>i..u11c0>(i..uéi>6É Écn tò uauatm), p. 424. 22 Hilgard i..uéò i..ui)cm. La diatesi media compare presso Hesych. s.v. i..uiìta\· uac\a~e\, 6\acpÉpeta1. Il sostantivo i..ua è già impiegato da Alc.frr. 36, 11; 70, 10 Voigt e da Pind. Nem. IX 14. Lo scolio al passo di Pindaro spiega: -cn uace\, La scelta del verllo implica, dunque, che il litigio fra Perieree Cratemene causò una vera e propria sedizione (uac\C), nella quale si opponevano il gruppo cumano dell'uno e quello calcidese dell'altro. Vd. anche i passi di Ennio e di Diooisio di Alicamasso riportati nel cmun. al v. 75 e il passo di Diodoro Siculo riportato nel romrn '1 V. 76 S. ic 'A•6M1mva al ll11vJt,ç: L'integrazione di Pf. colma la lacuna meglio di ic 'Axoi..[Àmva 6° iovh~ç proposto da Hu. (vd. app.); per l'uso di 8É al terzo posto, vd. il
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oomm. alfr. 1, 12 ii tJquÀ1J 6'. L'oracolo di Dclfi viene c:onsuhato in vari passi degli Ailia: vd. il comm.al Jr. 36, 5. 75 ,rpov8" 011:11:0'tÉpourdCllCI U1cn,[o vuy: Sia l'uno sia l'altro cootcndentc vuole essere considerato l'ecista della colonia. Pf. osserva che il conttasto fra Perierc e Cratemene è simile a quello fra Romolo e Remo, cosl come vicoc dcsaiuo negli Annali di F.nnio (177 Skutscb): ctnabant (cf. V..u11cavnel v. 74) urbtm Romam Rtm0rtJ1t1M vocartlll. Ancora pii) affine è il resoconto su Romolo e Remo offerto da Dionisio di Alicamauo in an passo delle Antichittl romant (I 86, 1), richiamato dallo stesso Pf.: i11:E1mJoù6~v qiEwVto (tÒ) ~( ctlX(E(I)( (cf. ÈÀ.u11cav nel V. 74), 6o~av à114'0iV tip ll1Jtpo11:citop1 (ci~ a Numitore) È1t1tpÉ•a1 itapijcav EÌC titv "A).pav. o 6È aùto'ic tau'ta intod8na1· 8EOÙc 1to111cac8a1 6ucactcic, OK0tÉpcru XPTItitv ci11:ouciavÀ.É'yu8a1 1eaì titv 'ITEflOV1av Etva1. Vd. anche il passo di Diodoro Siculo riporWo nel comm. al v. 76 s. (relatiYo a Turi). 01nro'tÉpou IC't\Cl'CIl.é.,011[0 vÉov: Per l'cspressiooe, d. Call. Dian. 35 'Apd1116oc 1ealiu8a1 I (a proposito delle città donale da 2.eusad Artemide). 1tdc1LC1: La parola è di uso prosastico, ma d. Lyc. 78, tp. adesp.FGE 1722 = SH 978, 5, NODD.Dion. xm 401, Mtt. Il 100. 76 •· Cl'Q'tCÌp o ~. ll"i't' olv Dap,naggio C.» (vv. 18(?)-55). Vd. Introd. 1.4.D.a. 85 Ji ya.p li.O\ 8mp.l5oc:uss-ip&f[H)q: Si tratta, a quanto pare, di un inciso. Per quest'uso del vemo, cf. PlaL Rtsp. 560 A téì>v... è,n8uJluiv èiUai i>K0tP2fPOJl1?Yui nÀ. 86 s. K]uco6c,ac sap' Glap 8sola(cua Kp1[((CIY &)QR'riiv I fa] 1161u fa KmlJlov dìc 'illup,oc: ly[&l: Il «personaggio C.» si chiede in primo luogo come
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CALLIMACO- AIDA, LmRI PRJMOE SECONDO
mai la città beoticadi Aliarto celebri la festa aetesc delle Teodesic presso la fonte Cissusa Le Teodesie - identificate con le pii) comtmi Teossenie (d. anche lo scolio marginale nel papiro) erano caratteri7.Z8IC soprattutto da UD banchetto offerto agli dèi (8wc + 6ak), ma non appaiono connessea UD dio specifico: vd. M. P. Nilsson, GriechiscMFeste von rtligill~r Bttkut1U1g mii AusschlujJtkr Altischen (Leipzig 1906), pp. 279 s., 471 s. Le Teodesie sono attestale nelle iscrizioni cretesi: vd. M. Guarducci, Jnscriptiones Cretenses l (Roma 1935), 13. 9 (Cnosso); nel commento a questo luogo (p. 71), Guarducci osserva che a Creta le Teodesic, ollre che a Cnosso, si celebravano a Ieraputoa (F. Blass. Kret. lnschr. 5044.8 s., in H. Collitz - F. Becbtel, Sammlungtkr griechiscMnDialeb-Inschriftenm 2, GOuingen 1905, p. 318 s.), a Lato (5. 43 Guarducci; qui compareanche il mese 0t:o6aiuoc: 4 A 7 e 5. 2 Guarducci), a Litto (11. 2 e 11. 5 s. Guarducci) e a OIUDte(5. 42 Guarducci). Un mese aetese Theodosi(us) (sic) figura in UD emerologio fiorentino: vd. W. Kubitschek, Die KalentkrbUcMrvon Florenz.. Rom und Leiden, 4enkschr.dee kaiserl. Akad. der Wissensch. in Wien», Philosoph.-hist Klasse LVII 3 (1915), p. 8. Le iscrizioni non testimoniano che i Cretesi celebravano le Teodesie in onore di UD particolare dio, ma è molto probabile che questa festa fosse da loro collegata a Dioniso. In favore di questa supposizione, si deve notare innanzitutto che il nome di Dioniso compare nello scolio marginale del papiro, vergaao all'alrezza del v. 86, e che il nesso fra le Teodesie e Dioniso è attestato sia dalle epigrafi di altri luoghi (Andro e probabilmente Lindo) sia dalle fonti grammaJicali: cf. Hesych. s.v. 0t:o6aiuoc · A1ovucoc, Suid s.v. 'Auu6pop.ux · ... 9w6akw Eopt11,Èv fi È'tip.c.ovA1.0vucov,caì. 'tàc Nup..,ac. Sulle Tcodesie, cf. anche Hesych. s.v.11pé,x1.a(«Vix sanum,'Hpo~Èvw?» Lane)· 'tà 9w6akw· oi. 6È i:op't'llv, oi. 6È i.t:pa. A sostegnodell'idea che le Teodesie cretesi fossero dedicate a Dioniso, bisogna in semodo luogo osservareche la fonte beoticaCissusa - menzionata nel v. 86 in relazione a quella festa ha a che fare con il dio. Plutarco (Lys. XXVIII 7), nel narrare la bauaglia fra il generale spanano LisaDdro e i Tebani sotto le rnura di Aliarto (395 a.C.), compie UD breve excursus sulla aistallina e dolce fonte Cissusa dal colore del vino (situata appenafuori le mura della ciUà), nelle cui acque si racconta che le nutrici lavarono Dioniso appena nato: 'ta»v ... ipa61tov •.. UltÒ 'tTJVICPTJV1)V 'tTJVK1Lcoucav (-ccav EniPaic.ov oi. p.Èv Éçco 1,1.El,I.EVTIICO'tEC iv8a µu8oÀ.oyouu 'tàc Schaefer coU.[Plut] Mor. 772 B = Narr.am. 1) 11:poccryopEUop.ÈV1)v, n&iivac V111t1ovÈIC'riìc M>XEiacCÌ1t0Àouca1'tÒv A1.0vucov· ,caÌ. yàp oivCOKÒvÈKIL'tv..PEl'tÒ XPéÌ»p.a,caì. 61avyÈc ,caÌ. 11:1t:ivij61L'tov (per il séguito, vd. il comm. al v. 88 s.; per il tema degli dèi infanti lavati sàbito dopo il parto, cf. fr. inc. sed. 126 con il comm.). Le nutrici menzionate da Plutarco sono le Ninfe della Cissusa, per le quali - in UD puso delle Narrationes amaJoriaepseudo-plutarcbee (1 = Mor. 772 B) - una fanciulla di Aliarto compie i tradizionali sacrifici prima delle nozze: 111COPTI JCa'tà 'tà 1ta'tp1a ÈltÌ. 'tTIVK1'COl!C.cav1Ca40Ufl.ÈV1)V ICPTJV1)V ,catjie1 'ta'ic Nup.1pa1c'tà KpO'tW\a 8ucouca. Il nome stesso della Cissusa (= ricca di etkra) fa pensarea Dioniso: d. Cali. Ep. VIl 1 s. Pf. = HE 1301 s. 86 lt]lccouu1c sup' u5mp: Per il nesso, cf. v. 33 con il comm. Pf. osserva che forse si deve saivere K1Lcouc(c)Tlc(vd. app.): cf. infatti [Plut] Mor. 772 B = Narr. am. 1 (riportato nel comm.al v. 86 s.) K1ccéucav, Call. Aet. fr. 15, 58 Pf. I 'Y6pouccav,fr. inc. sed. 581 Pf. 'Aya8oucca, Ap. 91 Mup'toucc11c, fr. gramm. 407 X Pf. 'Oq,1ouccav, fr. inc. sed. 619 Pf. 1ta16ouca?, lo scolio al v. 33 Cù.woucca, Euph. SH 415, 3 . .1.... 1toucc11ccon il COIDID. ltpij[ccuv i:]QRff!V:Il «per5onaggio C.» si chiede come mai la beotica Aliarto celebri una festa aetese: per il tipo di quesito, cf. fr. 89, 24 ,ca,c '11tm1 ~uv[à 'tà 8ucaA.1]1ca con il
comm. 86 s. &]QIJfllY... !y[&\: Per il nesso, cf. p.es. Herodot I 147, 2, 'Ibuc. IV 5, 1. 87 ii] ,6a.u ii Ktiap.ov:Aliarto non è chiarnara altrove cind di Cadmo (il fondatore di Tebe). Forse l'espressione equivale a città beotica,visto che la Beozia era anticamente della Cadmeide (cf. 'Ibuc. I 12, 3 Ka61,1.11i6a yilv). Può darsi e.besulla scelta del nesso abbia influito il successivo Mivm ... aç.tu1 (v. 89).
COMMENTO: AEl'. Il FR. 50
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xmc:Per l'impiego dell'avverbio all'inizio di un aition. vd. il comm.alfr. 5, l; per la sua posposizione(all'undicesimo posto!), vd. Lapp p. 50. 'A1uzp'toc: La città - meoziooala da C. anche nei Lavacri di Pallade (v. 61) - si trova in Beoziaa Sud del lago Copaide. Vd. ancheil comm.al v. 88 ao1kp.cxcl[v è&~· 'A~UKJ't~~88 s. 1C]ql uvpl>v iv 9Louvo,u soÀ(..icµau[v ci~· 'A}+l4p-t0}~).Un elemento in favore del supplemento si può forse ricavare dal passo di Plutarco riportato sopra (Lys. XXVIIl 8), dove leggiamo che i Kp,iclol uupa1eu crescono tutt'intorno non lontano dalla fonte Cissusa (où Kpocco 1tEp11t~u1eac1v): data la prossimità topografica della fonte e di Aliarto, il verbo KEplK~ICausàvop.oyp11•({11c:Data la menzione di Radarnaoto, è probabile che la fonte qui nominata sia anoorala Cissusa (v. 86). presso la quale si nanava che l'eroe avesse dimorato e fosse stato sepolto (vd. Plul. Lys. XXVIII 8 riportato nel comm. al v. 88 s.). Le restanti tracce della sua ltgislaziont si riferiscono ancora a R;ldamanto (vd. il comm. al v. 91 vop.oypa•l iric). Per il resto, il senso e la sintassi del distico sono oscmi. Hunt integra e divide dubbiosamente 1ei]éò8E6È 'tt, dichiarando di non riuscire a spiegarsi come il verbo 1el]ci>8e (.filava)possa riferirsi a una fonte. Secoodo la divisione di Hunt, la nuova interrogativa indireua - coordinata ttamite 6É alle due precedenti (vv. 86 s. e 88 s.) - verrebbe introdoua dall'avvctbio 'tt. Ma Pf. osservache si può anche sai vere 6 • in, rifercodo l'En a i'Jxvw ... À.olxa: in questo caso, l'interrogativa del nostro distico sarebbe ancora introdotta (come le due prea:denti) dal 1eiòcdel v. 87. Pf. propone inoltre, con molta cautela, di scrivere KA.Jiò8r.,che sarebbe un duale derivante dall'omerico KÀ.éòSu(Od VII 197): le due Filatrici,le dut Moire; a sostegno della sua ipotesi, egli cita altri pa.ui, nei quali le Moire sono due invece di tre: d. Hom. n. VIlI 70 = XXIl 210 K;\pE, Plut. Mor. 385 C = De E ap. Delph. 2 6uo Moipac, Paus. X 24, 4 Molpéi>v6uo, Anlh. Pal. Appcnd. VI 265, 1. voi. m p. 521 Cougny I 60\éi>vMolpa8E 6È 'tl ICpT)YTj 'Pci6ap.av8uo[c occa 6 ·in· [Ècn]v (t perchi verdeggiavalafonle di Radamanloe quantetraccedella sualegislazionesono ancora superstiti).Per l'uso di 1eM08mcome equivalente di x)..oa~m. Barig87.Zirichiama Nic. Al. 93, 528, Ther. 237 (secondo lo scolio G), 647 e Hesych. s.v. 1eM08u· PÀ.ac'tavr.l .•. au;nal: l'espressione verdeggiava a proposito della Cissusa si spiegherebbe pensando all'abbondante edera (IClccoc)che la circonda e le dà il nome. Ma alla proposta di Barigazzi si può obbiettare che non si vede perché C. avrebbe dovuto usare l'imperfetto 1eÀ.éì>8r.. Inoltre, l'integrazione di Barigazziper la fine del v. 90 sembra eccedtre lo spazio a disposizione nelle
xm
lacune. In conclusione,
oc
il distico non ba &Dcora trovato un assetto testuale e sintattico sndctisfacmte. Fra l'altro, l'autopsia del papiro mostra che la letteta fra le due lacune del v. 90 nonè un 1, ma probabilmente una leueca rotonda. Vd. in ge.nerale l'app. 90 'Pcxlcxp.mv8uo[c:Figlio di Zeus ed Europa. divenne uno dei giudici degli estinti nell'Eliso. La sua menzione in questo verso si deve probabilmente al fatto che egli visse e morl Per il mito, oltre insieme ad Alcmena non lontano dalla fonte Cissusa (cf. v. 86 e qui 1CPT1Yfl). al passo del Lisandro di Plutarco (XXVIlI 8) riponato nel comm. al v. 88 s., si dispone di altre fonti. Lo stesso Plutarco (Mor. 578 AB = De gen. Socr. 5) attesta che, giacché Agesilao aveva scalenato l'ira divina scavando la tomba di AJcmena vicino ad Aliarto, il generale Lisanorida andò a ricoprire la sepolblra e a versare libagioni per Alaneaa e A1eo(cioè Radamanto, d.
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CALLIMACO- Mr/A, LIBRI PRIMOE SECONDO
PluL Lys. XXVIII 8). Secondo lo pseudo-Apollodoro (Il 4, 11, 7 e m 1, 2, 3), Radarnaoto fu esiliato da Creta e si recò nella città beotica di Ocalea (nei pressi di Aliarto), dove sposò Alcmena dopo la morte di Anfilriooe. Tzecze (od Lyc. 50) - che dipende da una versione ph) ricca della Biblioteca di Apollodoro - offre la medesima ~toria, ma specifica che Radamantn fuggl da Creta per avere ucciso suo f'ralello (Minosse?, Sarpedone?)e iosegoò a Eracle l'arte di tirare con l'arco (vd. il comm. al V. 106): µucì ... 8av,nov 'Aµ.ltpucovoc 'Pa6aµav8uc civù..ò>v t6v i61ov ci6r.).q,òv 1CaÌ.•uyèov ÈK Kp11UfÀ.a,che è un lemma di Esicbio spiegato come tcì op1111nica (vd. app. delle fonti e app.). Se op1111n1Casignifica danze impetuose (si noti che Headlam rorregge la parola in ÒpX1'Jµanica), bisogna ricordare che Creta era considerata la pallia della danza, specialmente di quella armata dei Cureti (cf. p.es. Hes.fr. 123, 3 M.-W., Call. lov. 52 s.). Piì'l specificamente, in rapporto a Coosso e al ballo sfrenato, cf. Hom. Il. :xvm590 s. xopòv (=pista da ballo) ... I ... Èvì.Kvcocip,Soph. Ai. 699 s. Muua Kvmc.t' òplXflµat' (Muua PO:zy.1615, Suid. s.v. Nuc1a, con riferimento alla Magna Mater. Nuua codd., con riferimento a Dioniso; vd. L. Lebous, L'inno a Pan di Pindaro,Milaoo 1979, p. 96 s.), Atben. XIV 629 C ,capcì KPT1cì.vòpd"'lc (oome di un tp6soc -rijc ÒpXflcECDC). Per il motivo della danza nelle arti figurative a Creta, vd A. Evaos, The Palaa o/Millos m (London 1930) pp. 66-80. Ma lo stesso Pf. osserva che forse il lemma di Esicbio deve essere ameno in Kvmc.tcx ,cijl.a e riferito ai violenti dardi cretesi (vd. app.):si ricordi che, secondoTzetr.e, Radamaoto
COMMENTO: AEI. II FR. 50
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giunse esule da Creta a Ocaleae insegnò a Eracle l'811edi tirare con l'arco (cf. v. 90 con il comm.).Per gli arcieri aetesi, cf. Cali. Epp. XXXVII e LXII Pf. = HE 1129 ss. e 1321 ss.,fr. inc. sed. 560 Pf., fr. inc. auct. 186 Pf. 114 vcxc~[: Può essere o UD presente del verbo vacCOITC fine alla siccità che da nove anni affligge la suaterra (fr. 51), fa saaificare sull'altare di 1.eus gli stranieri sopraggiunti nel regno, seguendo in questo modo i consigli di UD vale cipriota: ma proprio l'indovino è la prima vittima del re. L'esempio di Busiride viene seguito dal tiranno di Agrigento Falaride (Jr. 52), che mucia vivi gli sttaniai facendoli entrare in un toro di bronzo: a inaugurare lo strumento di tortura è il suo stesso inventore, le cui grida di dolore all'interno del toro producono - grazie alla sua stessa abilità di artigiano - UD suono simile a un muggito (frr. 53-54). Nel fr. 55 - di incena sede in questo gruppo - ttoviamo il fittissimo turbinlo delle Cbcre, un sogno,i pica>li ai quali gli dèi danno cosepica>le, le Muse. Nel aesrocalJimacb«> superstite, l'indovino immolalo da Busiride e l'artigiano ucciso da Falaride non SODOmai menzionati. Le footi oscillano tra Fruio e Trasio per il primo nome,tra Perilao e Perillo per il secondo. Riguardo alla prima oscillazione, vd. - nel comm.al fr. S l l'annotazione ad [Apollod.J Il 5, 11, 6 e vd. il comm.al fr. 53, 2 ou•l- Per la seconda oscillazione, si noti che Perilao è la forma usata da bitti gli saittori greci (a eccezione di [Plut] Mor. 315 Ce Stob. IV 8, 33, fonti delfr. 54), mentre la forma Perillo compare presso [Plut] e Stob. citati e presso bitti gli scrittori latini. Il nome Paillo è un diminutivo di Perilao: cf.[ Plut] Mor. 179 F = Regum et imptratorum apophlhegmata6 e vd. O. ff(\ffmlDD, Die Malcedonm, ihrt Sprache unti ihr Volkstum(GOttiogen 1906), p. 212. La posizione di questi frammenti all'interno del secoodo libro è stata discussa sulla base del fr. 55 (la cui apparteDc:Dza al gruppo,e più in generale al libro secondo, non è per altto sicura: vd. il comm. ad loc.): ilfr. 55 potrebbe risalire alla cornice eliconia (cf. frr. 3-4), data la menzione di UD sogno e delle Muse; si è anche osservato che ilfr. 55, se nel v. 11 compare il remadella povertà, potrebbe essereconnesso alfr. inc. lib. Aet. 99. Il possibile legame fra i frr. 55 e 99 fu gia notato da C. Meillicr nell'editio princeps del PSorb. inv. 2248 («REG» 89, 1976, p. 78 s.). LJ.-P. (SH p. 99) propongono dubbiosamenae di collocare il frammento all'inizio del secondo libro, perché dagli Scholia Fiorentina 16-20 (ad frr. 3-4) risulta che C. parlava del sogno e delle Muse non solo nel proemio, ma anche in altri punti degli Aitia; saremmo di fronte a un'elegia piuttosto lunga, che comprenderebbe anche il fr. 99 e avrebbe un argomento di questo tipo: «fu davverogradito questo sogno eliconio (cf.fr. 55, 10), che mi rese poeta, cioè povero!». Harder p. 29 s. suggerisce invece di porre ifrr. 51-55 e il/r. 99 alla fine del secondo libro (vd. anche 1.etzel, Fragmauary Pleasuresp. 354): la prima metà degli Ailia risulaercbbe cosl racchiusa fra un proemio e un epilogo accomunati dallo scenario elicooio. Harder osserw innanzitutto che ilfr. 55 ba dei punti di contatto con ifrr. 34, per poi notare che il fr. 53 (e con esso i frr. 51, 52 e 54) può inserirsi nel medesimo contesto dei frr. 55 e 4, perché le punizioni di Frasio/Trasio e di Perilao/Perillo vengono spesso rievocare dagli antichi per esemplificare il concetto espressonel/r. 4, 5 (che uno,se/a del male a un altro, ne fa al proprio fegazo): cf. p.es. 0v. Ars I 655, Claudiao. In Eutrop. I 157 s. La conoessione Ira il fr. 55 e il fr. 99 - secondo Hardcr - può essere dedotta dal fatto che entrambi affrontano forse il tema della povenà e sembrano conaencre affermazioni programmatiche (vd. inoltre il comm. introduttivo al/r. 99). Anche •Krcvans p. 202 s. ritiene
COMMENTO: AET. Il FRR. SO;51-55; 51
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ifrr. 51-5S e 99 appartengano il.Jr.55 proviene dalla conclusiooe
alla fine del secondo libro. SeamdoCameroopp. 137-140, del libro secondo. vista la Bisogna comunquetenere presente che queste ipotesi sono altamente ~Jladve, scarsezza dei dati a nostta disposizione: come si è detto, l'appartenenza delfr. SS alla favola di Busiride e Falaridc, e pi~ in generale al secondo libro, non è certa; e non sappiamo nemmeno se nel fr. 55 compaia il «petaC.» che parla di se stesso. Si ricordi anche che l'ultimo verso del libro sccoodo ci è probabibnente pervenuto: si traaa delfr. 60, una lode di Atmc. C. collega le due storie di Busiridc e Falaride per l'affmità dei loro argomenti (vd. /ntrod. 1.4.B.). Per l'ambicnrazione siciliana della favola di Falaride, vd. il comm.alfr. SO, 18-83. Non si conosce la foote di C. per la viceoda di Falaride. Tuneo parlava del toro, dicendo cbe esso fu geuato in mare dagli Agrigentini (FGrHist 566 F 28): può darsi che questa notizia confluisse nel racconto callimacbeo (cf. fr. S3, 9 con il comm.). Ma la triste fine di Perilao/Perillo noo sembra essere attestata prima di C. Pf., perciò, ipotizza che la forma vulgata del racconto - cosi come si trova p.cs. presso Diodoro (IXfrr. 18-19 Vogel) e Plinio (Nal. hist. XXXIX 89) - derivi da una ditgtsis agli Aitia. Diversa è l'opinione di S. Biancbctti, Falarùh t Pstudofalarùh. Storia t ltggtnda (Fucme-Roma 1987), p. 108, che atttibuiscc a Tuneo anche la storiadi Perilao/Perillo: «ma mentre per Timeo erano gli homophyloi ad essere puniti nel toro, per Callimaco questa sorte toccava agli xtnoi. La variante callimacbea ttovcrebbe una ragionevole giustificaziooe nell'ipotizzalo confrooto stabilito dal poeta fra il c:ooc:euo di ospitalità di Falaridc e quello di Busiridc» (vd. anche jl cnnm alfr. 54). cbe
Frammento 51 (44
Pf.)
A(yua~oc apoaa.po,8av ia' ivvi11 11:a.p•Ho ao(11Dti dedicati alle imprese dell'm>e. Pur semaaccettarel'ipotesi di Knaackin tutti i suoi particolari, non si può escludere che il poeta narrassequi il •apt:pyov egiziano di Eracle. Un'eventualità del genere è ritenuta improbabile da Pf., il quale osserva che Ovidio non parla di Eracle nei numerosi passi dipendenti da questa pane degli Ailia (vd. Knaack, Callimachea p. 7 s., il c:omm.qui sopra e quello aifrr. 52 e 53, la-1). Ma bisogna notare cbe la morte di Busiride per mano dell'eroe viene rievocata - anche se in cootesti esttanei a Frasio/Truio e a Falaride - dallo stesso Ovidio (Met. IX 182 s.), da Penladio (117 s.) e da Claudiano (Praef.Rapt. Pros. Il 43). Pm:iò. può anche darsi che la storia della morte di Busiride permanodi Eracle fosse rievocata da C. Vd. anche la fine del allDID. alfr. 53, la-1 e Weber p. 373 s. Afyusioc 1:po1:mpo,8ev:Il modello dell'emistichio è omerico (Od. IV 355): Aiyux,:ou Kpo11:apo\8E•. Nel passo dell'Odissea Kpo11:apol8E è preposizione di luogo acc:ompagnara dal genitivo, mentre qui - con studiala varialio - il vocabolo diventa avverbio temporale accosbllO ,, oorniMtivo. Prz la collocazione metrica di Aiyuxi:oc, cf. anche Call.fr. inc. sed. 655, 2 Pf.• à' èvvu .:mpfno sofac: La siccità sembra riguardare le inondazioni del Nilo, più che la pioggia (vd. oltre). Come spiegano le fonti del frammento, qui xo{ac equivale a ÈvU1U1:ouc.Su quest'uso della parola esistono altre testimonianze grammaticali, nelle quali non compareil nome di C.: cf. SchoL lbcocr. Ili 32 i:òv Èv\au,:òv xo{av, Schol. (A) Eur. Tr. 20 11:o{ac(11:oiàc cod.) i:oùc Èvuxutouc. Per l'accento sulla penultima sillaba, cf. [Arcad.] De accenz.(= Exc. ex Herodian. Pros.) p. 100. 16 Barlcer= p. 114. 13 Scbmidt papuvua\ KO\U. Secondo l'EtymologicumMagnum (p. 770. 9 Gaisf.), sono possibili sia la forma ossitona sia quella parossitona. Nell'Etymologicum Symeonis (cod. V) s.v. 11:oa(ap. Gaisf. ad Et. M. p. 677. 56, dopo le parole riponate nell'app. delle fonti) compare una regola divena, stando alla quale bisognerebbe scrivere KO\a: 11:apoçuvua\ ... xoa ••. òçuvua\ ..• KO\IX (ma non è atteatata IJD,ll distinzione fra KO\U parossitono Poi:aYTIe KO\IXossitono Èvuxu,:oc). A quanto pare. l'uso traslato della parola xo{a passò da C. ai poeti successivi. Cf. Rhian. CAfr. 54 p. 17 = FGrHist 265 F 44 Èctpa,:ocov,:o I XEl!1U1:IXu KO\UC u Suco ICUÌ.ÈEllCOC\ •acac. Pausania(IV 17, 11), che è la fonte del frammento di Riano, spiega xo{ac come un equivalente di estati (affiancate agli inverni, xdlla,:a), perché è il nome del frumento verde poco prima della mietitura: XE\l&UIVUCyàp ICUÌ.8Éf)TI ICU1:U..Eçe,KOUC EtKÒJV,:Òy
=
=
•oa1
COMMENTO: AEI'. II FRR. 51-52
363
XÀ,O>pÒv dtov ;\ ÒA{yov xpò CÌJLfl'tOU (per altre possibili imitazioni caJlirnacbee da parte di Riano, vd. il cornm.di Pf. a Hec.fr. 266 -=84 H.). Con ogni probabilità anche C. impiega qui la parola xo{ac (e non Èvtauiouc), perché vuole indicare propriamente il tempo delle
inondazioni del Nilo, cioè l'estate (d. Sen. Quaest.nat. IV a 2, 16 nell'app. delle fonti; sulle sorgenti del Nilo ecc., vd. il comm. di Pf. a Vict. Sosib.fr. 384, 31 s.; per altre infonnaziooi sull'Egitto attinte a C. da 'Seneca'(?), vd. il comm.di Pf. alfr. dl,.b.811). Presso i poeti seguenti, talvolta non è chiaro se il vocabolo xo\a significhi estate o genericamente anno (Leonid. Tar. Anth. Pal. VII 731, 4 = HE 2462, Antipbil. Anlh. Pal. VI 252, 1 = GP 791*). L'impiego generico della parola è invece sicuro in un epigramma di Diodoro (Anlh. Pal. VII 627, 5 = GP 2134*). Come in Greco xo{a, oosl in Latino messis può anche significare estale o genericamenteanno. Pe.rciòla frase calliroacbeaix' Èvvw. ... xowc è fedelmente irniwa da Stazio in UDluogo delle Selve (14, 77): perq,u novem ... messes I. Per il nesso ix' ÈvvÉa, cf. Hom. Od XI 577*. Per l'e:xplicitica.p.,eio xo\ac, cf. Euph. (?) SH 429 I 2 icap,po\aio xoiat I con il comm. Puòdarsi che l'esameuo di C. abbia influito su Ovidio in un passodei Fasti (IV 299), dove pure si parla di siccità: sicca diufuerat tellus, sitis usseratherbas-,la parola herbas alla fine del verso semln UP'irnitaziooedi 11:0\ac,ma nel
suosensoconaeco.
Frammento 52 (45 Pf.) 1ea{you •&Umpu spii~,v àlsasl.&umio: D pronome icdvou si riferisce a Busiride: C., seguito da Ovidio e Clandìan'l, narra una dopo l'altra le simili favole del re egiziano e di Falaride (vd. il comm.alfr. S1, il comm.pià avanti e il comm.alfr. 53, la-1). Gli scoli a Lyc. 717 (vd. app. delle fonti) confondono il tìranno di Agrigento Falaride C0ll il fondatore di Napoli Falero - del quale parla Licofrooe nel verso in questione - e citano per sbaglio il peolalDellOdi C. Nel riportare il verw calliroameo, gli scoli oscillaoo tra ~a.MJpD(, ~~"pov e ~ru.apoc (vd. app.; UDOscambio e U11'osciUazi1JDe del genere si riscontrano anche negli scoli a Ov. /b. 437:fallari/.fallaris P,faleri B, phalari G,fallerislfalaris C).Va senz'altto accettata la congettura ~a.Aaptc di Bentley, inutilmente messa in dubbio da Diehl, Hypomnemap. 378. Non è probabile che questo pentametto precedesse inJJDMìararnenteilfr. 53 (vd. il comm.al/r. S3, la-1). Oltte che nei passi segnalali nei comrn.aifrr. 51 e 53, la-1, Ovìdìo e Claudianoaccostano anche alttove Busiride e Falaride: cf. Ov. Tr. m 11, 39-41 (compare qui anche Perilao/Pcrillo; per il séguito, vd. i cornro aifrr. 53, la-1 e 54), u P. m 6, 41 s., Claudian. In Rujin. I 251255. •.Uupic: Fu tiranno dì Agrigento circa dal S70/65 al 554149a.e.Del suo famigerato toro di bronzo parla già Pindaro (Pyth. I 95 s.; gli scoli a questo passoSODOle footi delfr. 53, la-1). Per le teslirnoniam.esuccessive,vd. Knaack.,Callimacheap. 10. cixas1ci,uio: Il verbo ci11:011:1accm è proprio della statuaria (modello, rappresento, d. Plul Aem. 28, 2). L'uso del vocabolo in questo frammento allude forse al fatto che la audcltà di Falaride, emulo di Busiride, si esplicò nel suo far plasmare da Perilao/Perillo il toro di bronzo. L'aoristo ùttEKMcaio compare alla fine del pentarnetto presso molli epigrammisti. che imitano C. Bisogna considerare innanzitutto Antip. Sid. Anth. Pal. VII 34, 3 s. = HE 284 s. ot (cioè dì Pindaro) 11wc Eiccdmv q,8Éy~aui icEv mccittò Moucéi>v I Èv Ka.611ou 8aMJLOlC c11ijvoc CÌKEKMCll'tO.AnlipabO dipende doppiamente da c., perché l'espressione ùttò Moucéi>vI ... qlijvoc riprende il Moucéo>v UJLQlCdel DOSUO/r. 4, 2 (vd. il comm. ad loc.): ma la sintassi contorta del distico ba dato àdìto a dubbi sul testo (vd. il rornro dì Gow-Page). Per la posizione metrica di CÌKEKMCaio, d. anche Anlip. Tbess. Anth. Pal. IX 215, 4 e 238, 6 = GP 218 e 540, Paul. Sii. App. Pian. 77, 2 e Anlh. Pal. V 255, 10 • 27, 2 e 58, 10 Viansino, Agadl. Anlh. Pal. I 34, 2 e V 222, 4 • 18, 2 e 93, 4 VìansìDo (nel primo luogo, Suida ba civettMv 1CàVEKtq,pacioi 6uai I 1Cat ni)p.ai • Èu(v. Aggiungo che un'espressione simile verrà poi impiegata da Giovenale (X 218 s.): circumsilitagminefacto I morborumomM genus. la L t,o,ula 8v11,otc, xanclÌ 1e11xAvt:Wilamowitz accoglie la proposta ioici6E (ioi) di Berglc e suggerisce di saivere 1Ca1Céi>v 1Ca1Ca(West preferisce aggiungere (ycip)). Ma lo iato 1Cmc:ààp.q,l non è arnrniuibile: vd. Introd. Ill.2.A. V d. app. la-1 àp.•( ·nt ~PECJ I ail.&J~YLu1J1-: La parola àp.1p( può essere un avverbio o un preverbio in tmesi: nel secondo caso, si osservi che àp.1pu:v..Éco sarebbe un hapax (sulla tmesi, vd. il comm. alfr. 20, 8 àn' ,ÌÉpa V11Òcaciccnc). Per l'immagine, cf. Quint. Smym. I 310 s. Ktpl 6É cq,\u K;jptc I À.tuya).Éa\ npcoq,éi>vio, III 44 ij6t yap oi. K;jpu à11E().\xoi 548 s. KijpECàp.E().\XO\«lccouu I KCXV'tll àvà Kto).(e8pov, XIV àµq,E1to.iòvto, ma anche 293 s. KijpEc I qutp6aÀ.Éa1 KoÀ.Éud p.• Ènv..i)cavio icaicoiu. 1 afc6vçLu: La parola è rara e di uso prosastico. Questa lezione, tràdita dai manosaitti di Plutarco, è stata confermata dal papiro, che ba smentito la congettura di Bergt lic6uuc (uscita). Come osserva Bossi p. 327, C. - rifacendosi al passoomerico riportato nel comm. ai vv. la-1 (Il. XII 326 s.) - mette in atto l'oppositio in imitando: nell'Iliade incombono innumerevoli sciagure, sicché è impossibile sfuggire a esse,mentrequi le sciagure si stringono cosl fitte intorno agli uomini che nemmeno una punta di spiga può introdursi attraverso di
xn
esse. à8ip,: Cosi Wilamowitz corresseingegnosamente l'ai8épi tràdito nei codici di Plutarco. La congettura è confermata da un passo di Enea di Gaza, che allude a questo luogo di C. (vd. app. delle fonti e app.). 2 •• .]uic[ .]o .[ _ •• .J ,apv 1t1nxu[: L.J.-P. osservano che, se si tratta di una
Musa (cf. v. 14), le tracce sono compatibili con ii 6' o)ù ic[p)ov[op.É)ycqv (non battute, a proposito delle corde della lira). Le lettere successive possono essere divise, fra l'altro, come àì (lni) XEi[p• (vd. il gesto di una Musa nel jr. SO, 57) o come i1rixei[p· (salario; per il precedente vtl ... I ... oilC'tpà ... &moplCE. Il motivo della miscricmtia di Alme ebbe unafortuna imrnmsa,i:-Jlc viene io pane seguita da O. Scbnxler, Dt laudibusAlhenanun a poetis tragicis ti ab oratoribustpidicticis txcultis (Diss. Gottiogae 1914), pp. 36-60. I miti coonessi a questo topos sono: la difesa dei figli di F.racle contro Emisreo (argomento degli Eraclididi Euripide); la sepolturaresa ai seue argivi caduti a Tebe (arg001mto delle Supplicidi Euripide); l'assoluziooe di Oreste; l'ospitalità offe.na a Medea; l'accoglicmza P,iargita da Teseo a Eracle, che ba ucciso i propri familiari; la sepoltura di Edipo. In aggiunta ai numerosissimi passi citati e discussi da ScbrOder, cf. i vv. 28-30 della ttagediaPiriloo, probabilmente di Euripide (PO:,:y.2078ed. Hunt). Lo scolio LRM a Soph. Otd. Col. U,O - cioè lo scolio successivo a quello dov'è citalo il verso di C. - menziona l'altare delle Pietà ad Atene: Èaeì.,caì. 'EÀ.ÉouPmJLÒ,iv 'A&iivaK 'l6puia\. Pressoquest'altare si rifugiarono gli F.raclidipcneguitati da Emisreo, come racconta lo pseudo-Apollodoro (Il 8, 1, 2), dal quale derivano lo scolio molto tardo ad Aristoph. Eq. 1151 e l'iote1p01azionc presso Zenob. Ctm. Il 61. Secondo Stazio e alcuni mitografi, furono gli Eraclidi stessi a fondare l'ara, dopo essere stati soccorsi dagli Ateniesi: cf. Stat. Theb. xn 497 s. con lo scolio, Serv. in Verg. Atn. Il 761, Philostr. Ep. XXXIX. Stazio, Claudiano e alcuni mitografi nammoche all'altare giunse Adrasto io veste di supplice: d. [Apollod.J m 7, 1, 2, StaL Theb. XII 481-518, Zenob. Ctnt. I 30, Claudiao. BtlL Gild. I 404-407. Pf. ipotizza che queste testimonianze dipendano da C., perché nessun prosatore o poeta antico collega l'altare della Pietà alle stmie degli F.raclidie di Adruto. Di argomento 11eniese è il/r. dub. 115 (vd. l'annotazione dopo il testo).
Frammenti 61-62 Commentariodi Epafroditoal secondo libro degli Aitia
Frammento 61 (52
Pf.) Nel commentario al secondo libro degli Aitia, Epafrodito (filologo anivo nella seconda metà del I sec. d.C.) ttaccia questa genealogia: da Melanto (figlia di Deucaliooe)e dal fiume Cefiso oacqueMelèna; da Melèoa e Posidooe nacqueDelfo; da Delfo presero nome e origine i Delfi. La fonte del frammento è lo scolio M ad Aesch. Eum. 16: gli scoli ai vv. 21 e 27 ttamaodano versi callimachei di argomento delfico (frr. inc. std. 592 Pf. e 593 Pf.), traendoli forse ancora dal commentario di Epafrodito (vd. Wilamowitz, Einltitung in dit Attische Trag(Jdit, Berlio 1910, p. 187 o. 128). Ma, comeosservaPf., nel nostro caso lo scolio non consente di trarre cooclusioni sul contenuto del passodi C. commentato da F.pafrodito. Vd. l'annotazione dopo il testo. Melena è il nome di UD luogo vicino a Delfi: cf. [Hippoa.J Ep. xxvn (Ilpupeuiucoc), IX p. 406 Llttré, Dioscorid. in Galeo. La. Hippocr. s.v. 1LEÀ.aivK,XIX p. 120 Kflhn = p. 520
372
CALLIMACO• AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
Franz. Il fatto che Posidone sia considerato il padre di Delfo si spiega in rappono all'identificazione di Posidonestesso con il partdros di Gea.venerata nel santuario de1fioopima di Apollo: proprio C. (fr. inc. std. 593 Pf.) dice probabilmente che Posidone cedette ad Apollo il santuario di Delfi e ricevette in cambio quello di Calamia. PCI' l'antico culto delfico di Posidone, vd. F. Càssola (ed.), /Mi omerici (Milano 1975), p. 90 e cf. anche Aristooous, CA
I 33 s. p. 163. Si.mili genealogie di Delfo sono attcstate anche altrove: secondoPausania(X 6, 4), egli era figlio di Melena (nata da Cefiso) e di Apollo; nello scolio a Eur. Or. 1094 si legge che da Melantea (figlia di Deucalione) e da lamo nacque Melenide, la quale partorl Delfo; Tzetze, in un'aggiunta allo scolio a Lyc. 207 (Il p. 98. 11 Scbeer, vd. l'app. delle fonti alfr. inc. stil. 643 Pf.), tramanda che Delfo era figlio di Posidooe e di Melanto, nata a sua volta da Deucaliooe: anche secondo Ovidio (Mtt. VI 120) Posidone si unl a Melanto, sotto forma di delfino. Sappiamo poi che dal fiume Cefiso nacque la fonte Castalia: cf. Paus. X 8, 10 (testiJDOlledel frammento 307 b Vogt di Alceo, restituito in modo incetto da W. Aly, «Sitzungsb. del' Heidelb. Akad. der Wissensch.» 1931/1932, 1, p. 10 s., sulla base di Strab.VIIl 388 integrai() tramite il codice Vaz. rtscriptus 2306, fol. 216v), Schol. Pind. Ptuan. fr. 52 f, 7 s. Sn.-M (POxy. 841, col. 23). Per una diversa spiegazione del nome .6~i. vd. l'app. delle fonti a Cali. fr. inc. std. 511 Pf.
Frammento 62 (53 Pf.) Come tramanda Stefano Bizantino s.v. 6co6citYTt, nel commentario al secondo h"brodegli Aitia Epafrodito scriveva che, secondo Trasibulo (FHG Il p. 464), la città di Dodona assunseil nome di un'Oceanina, mentte, secondo Acestodoro (FHG Il p. 464), il toponimo deriva da Dodono, figlio di Zeus e di Europa. Anche in questo caso non è possibile congetturare il contenuto del puso callimar.beo commentato da Epafrodito. Se C. parlava di Dodono figlio di Europa, il frammento di scolio 725b 'verso' Pf. pottebbe riferirsi a questo luogo degli Aitia (vd. l'annotazione nel testo). Temi relativi a Dodona si riscontrano frequentemente nei frammenti di C.: cf. frr. 18; 25, 3; 97, 11-14;frr. inc. std. 483 Pf., 630 Pf., 631 Pf. (cf. SH
297). 135. Acestodoro era di Megalopoli in Arcadia e scrisse un'opera intitolala IlEpì KoMcov(cf. Steph. Byz. s.v. MtyaA.11tto).lc): egli viene collocato nel ID sec. aC., percht Stefano lo menziona - in un catalogo di Megalopolitaoi illustri - dopo un discepolo di Teofrasto e prima di Polibio. Per Trasibulo, vd. E. Bux, RE VI A (1937) p. 576 s.: riguardo alla sua aonologia. sappiamo solo che era anteriore a Epafrodito (I d.C.), il quale - come si è visto - lo cita; forse era coevo di Acestodoro, insieme al quale viene per lo più menzionato; poiché altte fonti attribuiscono a Trasibulo la spiegazione del nome di Dodona assegnataglida Stefano Bizantino (Schol. AD Hom. Il. XVI 233, Et. Gtn. s.v. .6w6covaioc,Et. M. p. 293. 9 Gaisf., vd. oltre), può darsi che la fonte comune a tali testimonianze sia Epafrodito: tenendo presente che quest'ultimo scrisse Hypomnemalasu Omero ed Esiodoe che la spiegazionedi Trasibulo viene collegata a Hom. Il. XVI 233 (vd. oltte), è possibile che l'txctrptum di Trasibulo provenisse da un suo commento omerico. Lo scolio T a Hom. IL XVI 233 tramandache, secondoak,mi, il toponimoDodonaderiva da Dodooo, figlio di Zeus e di Europa, mentte, secondo alai, Deucalione sposò l'Ore.anina Dodona e chiamò cosl la città: cÌ>voµac-tal6È IÌutò.:\co6wvou'tOUàlÒC icaì. Eùpcint11~ fllC
'OICEUYOU ... cll.>..otcpad .6Euica).(cova... YTll,lUY'ta 6co6wv11v'Oicwv(6a fflVKOA.\V OU'tCD Kpocovoµacal. Cf. anche gli scoli AD a Hom. Il. XVI 233 (dai quali derivano Et. Gen. s.v. 6w6wvaioc ed El. M. p. 293. 9 Gaisf.). &stazio offre notizie parzialmente confuse o corroae o lacunose nel commento a Hom. Il. II 750 (p. 335. 45) e in quello a Dion. PCI'. 428 (dipmdeote da StefanoBi7.antino).
COMMENTO:AET. II FRR. 61-62
373
Un teno frammenti)del commentariodi F.pafroditoal sccoodo hDrodegli Aitia spetta alfr. 50, 46 s. (vd. il comm. ad loc.). Si conosconopoi vari estratti da opere incerte di Epafrodito, citali da testimoni di frammenti caJliroacllci (Att. fr. 10 Pf., Htc. fr. 236, 2 Pf. = 1O, 2 H., .frr. inc. std 505 Pf., 506 Pf., 701 Pf.). Non è possibile attribuire al commentario agli Aitia altri fnumnentidi Epafrodito, oome banno tentato di fare E. Liinmer, Epaphrodili grammatici quae suptrsunt (Diss. Bonoac 1866), pp. 46-48, L. Cohn, RE V (1905) p. 2713, Diehl, Hypomntma pp. 326-330. Su Epafrodito, vd. Pf. II p. XXVIII. Ultimamente Lehnus, Epafrodito p. 370 s. ha congetturato che ilfr. 27 Liinmer di Epafrodito - riguardante la città tessalica di Driope - si riferisca alla favola caJJiroad:1eadi Tiodamantt driopt (frr. 26-27 del libro pimo): se l'ipotesi è correua. bisognerà concludereche Epafrodito allestl un commentario non solo al &ealDdo,ma anche al primo libro degli Aitia. Vd. l'annotazionedopo il testo. Anche Teone saisse un commentario al secondolibro degli Aitia: vd. il comm. di Pf. a Htc. fr. 261 =SH '289=fr. 11 H. e in generale vd. il comm alfr. 49.
Al secondolibro degli Aitia appartengono forse ifrr. 69-115, ifrr. inc. std. 121, 124 e i frr. inc. auct. 140, 141. Invece è improbabilecbe ilfr. inc. auct. 151 Pf. spetti al dialogo fra il «personaggioC.» e le Muse: vd. il comm. dopo ilfr. 49.
Aitia, frammenti che forse appartengono al primo o al secondo libro Forse dal libro primo Frammento 63 (113 Pf.) (Ciris?) Il frammento va forse attribuito al primo libro, perché è tradito dal POry. 2208,
fr. 2: ilfr.
1 del medesimo papiro contiene il fr. 4 degli Aitia. Secondo L., i frr. 1 e 2 del papiro potrebbero provenire rispettivamente dalla parte inferiore e superiore di mi'lmica colonna. Ma è difficile immaginare in che modo questo frammento possa collocarsi prima del proemiale fr. 4, dov'è rievocato l'incontro fra Esiodo e le Muse. Per un tentativo di collegare tematicamente il nostro frammento alla parte iniziale degli Aitia, vd. la fine del comm. Nei vv. 4 e 9 le lettere ]up1v appartengono probabilmente a un nome proprio. L. propose di integrare Il]up11v (vd. app. al v. 4): Pirene era fratello di Bellerofonte, che lo uccise e dovette perciò lasciare Corinto (cf. p.es. [Apollod.) Il 3, 1, 1). accidentalmente Quest'integrazione ha il merito di creare un nesso fra il nostro frammr.nt.o e i vv. 1 e 4 delfr. 4 (dove si parla della fonte Ippocrenescaturita dallo zoccolodi Pegaso, il cavallo di Bcllerofoote), ma non può essere accolta, pcrdlé richiede di correggere due volte 11up1v del papiro in ]ElfJl'IV, in un contesto lacunoso. Molto attraente è invece il supplemento K]etp1v di Pf. Com'è noto, ciris è il nome dell'uccello nel quale fu mutata Scilla, figlia di Niso re di Megara:mentrela ciaà eraassediata da Minosse, ella recise a tradimento dalla testa del padre un ciuffo di capelli (o un capello) di colore rosso (o d'oro), dal quale dipendevano la vita del re e la salvcu.a di Megara, consegnando cosl la città nelle mani del nemico. La prima menzione di Scilla compare nelle Coefore di Eschilo (vv. 613-622), dove si dice che la fanciulla si lasciò rorrompcrc11'8Dliteuna collana. Secondo gli autori successivi, il movente di Scilla fu il suo amore per Minosse. Questa versione - che si trovava già in una ttagedia sconosciuta (cf. Ov. Tr. Il 393 s.) - è implicita in un passo dello stesso C. (Hec. fr. 288 Pf. = 90 H.), dove Scilla vier chiamata prostituta (ica'taicfxca). La trasformazione del personaggio in uccello (cf. Hcsycb. s.v. iceip1' • opveov. iipa~. oi 6È ciÀ.lruéva)noo è attestata prima delle Metamorfosidi Parteoio (SH 637). Secondo Virgilio (Georg. I 404-409), Scilla mutata in uccello viene inseguita da Niso, divenuto a sua volta aquila marina Il mito è ampiamente trattato nell'ottavo libro delle Metamorfosidi Ovidio (vv. 1-151): questi narra la duplice trasfigurazione di Niso e Scilla e - alla fine dell'episodio (v. 150 s.) - chiama esplicitamente ciris l'uccello nel quale fu mutata la fanciulla, specificando che il nome deriva dal verbo icEipEw, in riferimento al capello tagliato dalla testa di Niso (in avem mutata vocatur I ciris et a tonso est hoc nomentJlkpta capillo).Alla favola di Scilla e Niso e alla loro metamorfosi è dedicato il poemetto pseudo-virgiliano Ciris:nel v. 487 s. leggiamo che Anfitrite provò pietà per la fanciulla trascinata in mare dalla nave di Minosse- che cosl la puniva per il suo tradimento (cf. Parthen.SH 637, Prop. m 19, 26) - e la mutò in un uccello, chiamato ciris per l'azione compiuta da Scilla (I aeriis ... sublimen sustulit alis, I esset 1lt in terris/acti tk nomi~ ciris). Sulle varie trattazioni del mito, vd. G. Koaack,«RbM» 57 (1902), pp. 205-230, il comm. di Pf. a Hec.fr. 288, A. S. Hollis, Ovid. Metamorphoses Boot VIII (Oxford 1970), pp. 32-35, R. Lyne, Ciris (Cambridge 1978),pp. 5-14. Pf. sostiene la sua proposta con alcune considerazioni. In primo luogo, l'idea che si parlasse qui della ciris si ac.cordamolto bene con la parola 9ùovéc nel v. 3. Inoltre, Pf. osserva che nel v. 2 si potrebbe integrare l1a\J[À.ui6u: è questo un comune epiteto delle sorelle Procnc e Ftlomela, derivante dalla città di Daulide o Daulia in Focide, dove regnava Tcreo marito di Procne (cf. [Vecg.] Ciris 199 s. puellae I Dauliades,Ov. Her. XV 153 s. maestissimamater I ... Daulias ales ecc.). Secondo Pf., può darsi che C. accostasse la metamorfosi di Scilla in ciris a quella di Procoee Filamela in usignolo e roodinc, prqrio come fa l'autore della Ciris(v. 199 s.). Infine, la desincD7.aattica]. 'f'tm nel v. 8 - da integrare per esempio come fapy),J'Ffcp (che
COMMENTO: FRR. INC. UB. AEI. 63-64
375
è il nome di un demo) - non sarebbe inadatta alla storia di Niso e Scilla (per questo tipo di desinenza, che conisponde allo ionico -Ttctoc, cf. anche Hec.fr. 238, 25 Pf. = 18, 11 H.). Si può aggiungere che la ttattazione caUimachllanell'Iliade e nell'Odissea (per l'uno, cf. Il. IV 132 al; per l'altro, cf. IL IV 187, 216, XXIII 683, Od. XIV 482; sulla questione, cf. SchoL Hom. Il. IV 133, 187, 216). SecondoW. Leaf, «JHS» 4 (1883), pp. 73-82 (specialrnl".lllep. 74) e 7"MIliad I (London 1900) p. 580 s., che è coperta dallo Cvi lpTICl ICU8&tec8at tcìc Xap1tac 61à t1JV KpÒccxùtòv OllCElOttJtU.Èv yovv A~oic Oeggi ATJ>..cp: Delft e Delo sono confuse anche nello scolio A ad Hom. Il. II 11, riportato da Pf. nel comm. a Hec.fr. 281 = 15 H.) aì. -ri;c &Eç1ac eiuv i.&puµÉvcx1iou 'A11:6Ucovoc.Altrove Pindaro attesta che a Delo si compivano saaifici in OOOl'C sia di Apollo sia delle Cariti (PaeanXIIfr. 52 m, 6-8 Sn.-M.): 8uci[u(1) I .•. Xcxpituu t1i-,6uv I Ku]v8wv 11:cxpà KP111'vov.Vd. anche il comm. al v. 10 s. i&cxvmc:Come spiega Esicbio s.v. i&uvii, l'aggettivo significa delicato, grazioso (vd. app.delle fonti). Cf. anche Hesych. s.v. i&uvov · ti>El6,Jc· 1CCXÌ. tò ii&uoct1ov.L'uso della parola in relazione alle Cariti viene ripreso da Museo (v. 76 s.): ioi11v &• ou Kot • 011:m11:cx vaiv
a.e.
n.ax·
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
i6av11v 8' (vÉ1)v i6av;jv 8' B: gli albi codici banno lezioni pià corrotte) axa1iJv u· I~ tcixa Kintplc ÉXEl Xap(tmv p.wv 011:A.oupcimv.Cf. inolbe Hymn. in Arsinoen-Aphroditen (?), CAfr. epic. adesp. 9, col. m lOp. 83 i~al!OXPOa ... av8tt I. 10-17: La statua di Apollo, rispondendo all'ultima domanda, spiega per quale motivo tenga l'arco nella sinistra e le Cariti nella destra: ciò esprime la maggiore inclinazionedel dio a elargire grazie piuttosto e.be a iDfliggere punizioni. Ho indicato il probabile contenuto di questo passo nel comm. introduttivo ai vv. 4-17: il fllo del discorso, come si è detto, non è del tuUO chiaro. Apollodoro (ap. Macrobio) e Fdooe di Alessandria sembrano seguire molto da vicino la formulazione c.allimac-bea (vd. il comm. ai vv. 10 s., 12 s. e 14 s.): perciò bo riportatoi loro passi nell'app. delle fonti ai vv. 8-17. A quanto pare, la statua dice che Apollo è piuttosto pigro nel punire (v. 13), ma sempre pronto a ricompensare (v. 15), e forse aggiunge che questo compcxtamento puOesseredi buon esempio per un re (v. 17). Il concetto fu ripreso da Ovidio in un passo delle Epistulaeex Ponto (I 2, 121), dov'è applicato ad Augusto: sed piger ad poenas princeps. ad proemia velox. Il rapporto fra il luogo di C. e il verso ovidiano è stato individuato e discusso da Lecbi p. 131 s. 10 s. 'lv' q•povac ISJlp[UK [cxm I ... "oic ci)ya8oic òpÉym: La swua dice di avere l'arco nella sinistra per tratknere i dissennatidalla tracotanzae le Cariti nelladeslraper elargireai buoni. Per quanto riguarda 4•povac, si noti che C. e Apollonio Rodio impiegano raramente composti in -ippmv: vd il comm.di Livrea ad Ap. Rh. IV 731. Per il v. 11, cf. Filone tà p.Èv à.ya8à òpÉyElv. D'Alessio p. 13 ba scoperto che mi interessante parallelo al v. 11 - e a qucst'aition in geoeiale - viene fornito da 1m epigrammadi Leucade, nel quale Leucade stessa è elogiata per avere saputo onorare in modo adeguato un benefattore (/G IX 1 539, 4 s.): J, itoÀ.t, YlYYC1K1CEtc yàp o).çt XEPÌ. 1eaì. 6tavoiqt I toic à.ya8oi, ÒpÉ'yElYci8avcitou, xcipnac. Qui, olbe all'espressione toic ciya8oic ÒpÉyE\Y che COITispondeal toic à.)ya8oic òpéyco di C., sononotevoli i vocaboli XEpÌ.(cf. il nostro v. 8) e xapltaC (cf. il nostro V, 9). 12 s. 8v)1J'toiu 1eo1.aq,o[I ... ùpy6]'tapoc: Qui forse si dice che Apollo è piuttosto pigro nell'infliggere castighi ai mortali.Sulla bue di Apollodoro ap. Macrobio (ad nozam... pigrior), Pf. ba integrato à.pyo)upoc nel v. 13 e ba proposto - per il v. 12 - il supplemento 1eoA.acp.o[i>,da accordare ad à.pyo)tEpoc sul modello di Acscb. Sept. 4111 aicxpéòv .•. à.py6c (vd. app.). Stando al LSJ, la parola ICOÀ.acp.oc si ritrova solo nell'opera di Plutarco(Aie. XIIl 5 al.). Cf. Filone 1eoA.a:u\c. 14 s. •()..a xalpl la"[ .)ç I ... )v"ac l'tD\llDY ùd: Apollo è sempre pronto a disbibuire (ma Lobel diceva di non riuscire a vedere qui 6auic8al, lettura difesa ora da Livrea: vd. app.) con la mano destra cose gradile. Cf. Apollodoro ap. Macrobio manus ho(p.ou. Sul piano formale, cf. Cali. Del. 231 aièv noip.a. promptior, Filone 16 'l)v' i p.ulÌ ca{ n voijca,: Apollo è magnanimo, affinché agli uomini sia anche lecitoricretkrsi su qualcosa,oppurepentirsidi qualcosa(ma n pottebbe essere inteso iD senso avverbiale: in qualche modo). Sui vocaboli p.navoeiv, p.uavota, p.uap.ÉA.ua, p.E'tap.ÉÀ.op.ai,dopo E. Norden, Agnostos theos (Leipzig-Berlin 1913), pp. 134-140, vd p.es. G. Kittel (ed.), TheologischesWlJnerbuchzumNeuen TestamenrIV (Stuttgart 1939) pp. 630633 s.v. p.uap.ÉÌ..op.al, à.p.uap.u.ritoc. Sull'etica apollinea del p.uavoE'iv, vd. Pf., Jmage pp. 30-32=69-71, Storia p. 426 s. Cf. anchefr. 99, 5 con le osservazioni di Kassel riportate nel comm. introduttivo a quel frammento. D'Alessio p. 12 nota e.beuna frase molto simile è pronunciata dalla statua di Paenitentia nell'ultimo distico di un epigramma di Ausonio (XXXIII 11 s. Peiper): sumtka, quaefactique et nonfacti exigopoenas, I nempe ut paeniteal. sic Metanoeavocor.La circostanza - continua D'Alessio - è tanto pià interessante, in quanto il carme ausoniann contiene nei primi otto veni una ttaduzione dell'epigramma posidippeosulla statuadel Kcnpoc. di Lisippo (App.Pian. 215 =
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COMMENTO: FR. INC. UB. AEf. 64
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HE 3154 ss.), che - come si è detto nel comm. ai vv. 4-17 - ba strettissimi punti di con1auo coo q~t'aition di C. Per la 1mesi 11ttà ... voijan, vd. il comm. alfr. 20, 8 cu·ÌJÉpa vt1èKÈÀ.accllc. 17 ùy118òv lkscù.ai: Forse si diceva qui che il comportamento di Apollo può essere UD buon esempio per un re (vd. D'Alessio p. 12 s.).
Frammento 64, 18-15 (114,
18-25 Pf.) (Una storia tracia incerta) Come osservaPf., il v. 18 sembra inttodurre un nuovo argomento, cbe nonè collegato alla sezione precedente (è probabile che il POxy. 2212, fr. 19 offrisse qui un aition diverso dal POxy. 2211, foL 2 'verso': vd. il comm. inttoduUivo al noslrO frammento). Ecco gli elementi che possono essere utili a una ricostruzione del contenuto: nei vv. 19 e 21 compaiono due eblici di genere femminile, argolica e bi.stonidi(cioè tracie); nel v. 20 c'è un'espressione cbe sembra adattarsi bene a un contesto eziologico (infatti da quelli/e); nel v. 22 troviamo la menzione di un carro e l'apostrofe a qualcuno, cui venne fatto un dono;nel v. 23 si parla di un signore; nel v. 24 è di nuovo apostrofato qualcuno, con un riferimento al passalo; nel v. 25 oomparel'eblico iliaco (cioè troiano). Pf. congettura cbe nel v. 21 8lC'tovi6~ç si riferisca alle cavalle di Diomede, figlio di Arese re dei Bistooi in Tracia (nella regione di Abdera), che le nutriva con carneumana(cf. [Apollod.J Il 5, 8 àv8pco11:otperyol): in una delle sue fatiche, Eracle uccise Diomede, lo diede in pasto alle cavalle e portò q~te ultime a Euristeo. A sostegno della sua ipotesi, Pf. osservache Diomede viene semprepresentatocome re dei Bistoni: cf. Eur. Aie. 485 ou11:co 8\C'tovcovl!)..8ovx8ova I (parole di :Eracle che sia per andare da Diomede), 1021 s. EO>C àv 111:11:ouc 6E\Ìpo 8p111dac aymv I rum, 't'Upavvov 8lC't0V(l)VICa'tanavcav (parole di Eracle cbe torna dall'impresa); per l'epiteto 8lC'tovi6~ç in relazione alle cavalle, cf. anche Pind.fr. 169 a, 11 Sn.-M., Lua. V 30 s. Secondo Pf., 'Apyo~laiv (v. 19) si riferisce al fatto che Eracle portò le cavalle ad Argo, da Eurisaeo (cf. Eur. Alc. 491): può darsi che, con la frase m11:au ycxp 'tO\, si apostrofi Euristeo e si desaiva Eracle nell'atto di donargli le cavalle (per unadiversa interpretaziooe della frme, vd. pii) avanti). Si può aggiungere che, ancora nell'Alcestieuripidea (v. 483), :Eracle dice 'tÉ'tpmpovmpJLa~\OJL'16ouc di dover prelevare il carro a quattrocavalledi Diomede (8P111eèK JLé'ta):q~to fatto può spiegare oxov nel nostto v. 22. Pf. individua anche il possibile valore eziologico della storia: fino al I sec. a.e.,ad Argo esisteva una stirpe di cavalli chesi credeva discendessero da quelledi Diomede.DiodoroSiculo (IV 15, 4) dice che Euristeo consacro le cavalle a &a e che la loro stiJpe sopravvisse fino all'epoca di Alessandro Magno. Molto pii) avanti nel tempo - cioè nel periodo della tarda repubblica mmana - ci porta un racconto di Aulo Gellio (Ili 9, 3), che dipende da Gavio Basso e Giulio Modesto, vissuti rispettivamente nel I sec. a.C. e nel I sec. d.C.: un tale Gneo Seio aveva UD cavallo nato ad Argo, che veniva consideraloun discendcote delle cavalle di Diomede; si trattava di un bellissimo anirnalP., che perO panava sfortuna ai suoi proprietari (sed eundem equum tali fuisse fato ... ferunt, ut qui.squi.shaberet eum ... ut is cum omni domo, familia fortunisque omnibus suis ... tkperiret). Nel testo di C., un riferimento alla stirpe delle cavalle si può riconoscere in È.x: yàp È.1eE1vmv/È.x:eivéòv (v. 20). Pf. osserva inoltre che l'ambientazione della storia in Tracia si accorderebbe con il v. 23 ]11f1vocava;, dove ]JLflVOC potrebbe esSel'e la parte finale dell'epiteto tracio di un dio (forse Ares padre di Diomede o Apollo) in -'lvoc: vd. D. Detschew, «Zeitscbrift fUr vergleichende Sprachforscbung» 63 (1936),pp. 235-240,specialmente 239 s. Ma, proprio per il v. 23, D'Alessio ba proposto un brillante supplemento che si adatta molto meglio alla ricosttuziooe generale suggerila da Pf., cioè ÌJ~l'tO]11T1voc ava; (vd. app.):il signore che sbagliò mese sarebbe Euristeo, il quale fu partorito da Alanena dopo solo sette mesi di gestazione per volere di &a ostile a &ade. L'integrazione è tanto pià attraente in qUBDtol'aggettivo ÌJÀl'tOJLflVOC compare solo una volra nei poemi omerici (/L XIX 118), dove indica proprio Euristeo vcnUIOalla luce nel mese sbagliatograzie a Era. Inoltre, comeouerva
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CALLIMACO• AmA, LmRI PRIMO E SECONDO
D'Alessio, dalfr. inc. sed 529 Pf. si può forse dedulTe che C. impiegò in qualche sua opera l'aggettivo 11À.ito1u1voco cxÀ.t't"ll'EPoc(vd. il comm. di Pf. ad /oc.). D'Alessio nota iofme che 11À.it6]1L11vo,civii~ potrebbe essere il soggetto del verbo m1tiiu, donò, nel v. 22: in questo caso, la destinataria del dono apostrofata nel medesimo verso (tot) potrebbe essereEta, cui Euristeo - a lei debitore della sua nascila precoce- dedicò le cavalle di Diomede, C001e rac:coota Diodoro Siculo (IV 15, 4; per una diversa inte.rpretaZiooe della frase, vd. sopra). La vicenda delle cavalle di Diooiede viene rievocata in vari pusi ovidiani: Jb.379 s., 399 s. (cf. gli scoli), Her. IX 69 s., Met. IX 194 s. Cf. anche Quint. Smyrn. VI 245-248. Per gli argomenti traci nell'opera di C., vd. il comm.di Pf. alfr. inc. sed. 662. Lo stesso Pf. ammette che la sua ricostruzione non spiega l'aggettivo 'IÀ.ia,cou nel v. 25: infatti non conosciamo nessi fra Troia e la storia di Diomede cracio. Per risolvere la difficoltà, Pf. osserva che xm, ... Kot" (v. 24) potrebbe introdurre un altro tema, o in alternativa fa notare che molti hanno congetturalO l'esistema di un qualche legame fra Dimiede tracio e Diomede re degli Argivi, combattente a Troia. D'Alessio p. 21 pensa che, se nel v. 22 il pronome tot esprime un'apostrofe a E.ra (vd. sopra), forse il personaggio designato coo d. nel v. 24 è ancora la dea. Ma lo stesso D'Alessio p. 21 n. 49 rileva che l'aggancio tematico con i vv. 18-23 potrebbe anche essere costituito da F.racle, il quale a Troia ebbe a che fare con altri celebri cavalli, quelli di Laomedonte: cf. frr. inc. ud 537 Pf. (?) e 698 Pf. (per l'argomento, cf. fr. adesp.SH 992). Abbiamo dunque veduto quanto sia promettente la linea inrerpretativa proposta da Pf. per i vv. 18 ss., quella cioè che riconosce qui la storia di Eracle e delle cavalle di Diomede uac:io. Tuttavia sarebbe lecita anche un'altra ricostruzione(suggeritacon molte riserve da D'Alessio p. 21), cbe scaturisce appunto dall'esigenza di spiegare 'IÀ.ia,cou (v. 25) in modo pifl soddisfacente: l'ailion potrebbe riferirsi alle cavalle ttacie che Odissco e Diomede sottrassero a Reso,da loro ucciso durante la guena di Troia (cf. Hmi. Il. X, [Eur.] Rhes.; quest'eventualità è scartata senza spiegazioni da Pf. nel comm. al fr. inc. tulct. 801); Reso potrebbe essere il destinatario delle apostrofi oei vv. 22 e 24. D'Alessio osserva cbe il carro di Reso (cf. v. 22 oxov) è oggetto di attenzione nel decimo libro dell'/lituk (vv. 438, 501, 504), dove - secondo alami interpreti - esso sarebbe stalO effettivamente porwo via da Diomede; nelle Metamorfosi di Ovidio (XIll 252), Od.isseosi vanta di essere tornato dall'impresa in trionfo sul cano stesso (cf. anche Dyct. Cret. II 45). Poiché in Il. X 567-569 si specifica che le cavalle di Reso andarono a Diomede, esse - secondo D'Alessio - potrebbero essere giunte con lui in Argolide: forse C., sfruttando l'omonimia di Diomede tracio e Diomede argivo, reinterpretò la razza equina di Argo sulla base non dell'impresa di E.rade in Tracia. ma di quella del secondo Diomede a Troia. Se si accetta l'ipotesi che il tema dei vv. 18-25 siano le cavalle di Reso, è possibile che a questa parte degli Aitia risalga il fr. inc. tulCt. 801 Pf. ùvÉpa 6È Tpo111 0pTJ·{,ctovoun cpoP'litEt(vd. il cmim. di Pf. ad loc.). 18 08euc11\: n verbo compare una volta soltanto nei poemi omerici (ll. XI 569•); cf. anche Cali. Vict. Sosib.fr. 384, 31 Pf.•, Del. 18•. 21 BlctovUSfç: L'epiteto è anche attestato in relazione alle Muse: cf. p.es. [Moscb.J m 181 Butov{au Nuµ.,uuw. I poeti latini impiegheranno gli aggettivi coonessi con la Bistooia nel significato generico di tracio:cf. p.es. Sen. Ag. 673, Claudian. Praef.Rapt. Pros.II 8. 24 zie: Per la aasi, vd. il comm. alfr. 1, 32 ou)i.[a]xu,. Come si è deUo nel comm. ai vv. 18-25,può darsi che a questa panedegli Aitia risalganoo 537 Pf. e 698 Pf. o ilfr. inc. auct. 801 Pf. Vd. l'annotazionedopo il testo.
ifrr. inc. sed
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Dal libro primo o dal libro terzo
Frammento 65 (115 Pf.) (Onnes e Tottes) Dal punto di vista papirologico, il frammento può essere attribuito al primo o al terzo libro. Le parti finali di bitti i suoi versi compaiono nel POry. 2167, fr. 5: ifrr. 1, 2. 3 e 6 di questo papiro tramandano sezioni del primo libro, cosl come il POry. W19 e il PSI 1217 A, che appartengono al medesimo rotolo (cf. sopra ifrr. 1, 9, 13, 19, 20). Gli inizi dei vv. 11-21 sono traditi dal POry. 2211,fol. 2 'recto': ilfol. 1 'verso' e 'recto' di questo papiro contiene i frr. 63-64 Pf. e «,-67 Pf. del terzo libro. Tuttavia la derivazione del frammento dal libro teno è pii) probabile, perché il POry. 2211,fol. 2 've.rso' contiene i vv. 14-25 delfr. 64, che - come si è detto nel comm. inttoduttivo a esso - sembra fare parte del terzo libro. Vd. l'mmotazione dopo il testo. Per uno sbldio approfondito del frammento, vd. Massimilla, Callimaco:parte di ciò che segue è una versiooe abbreviata di quel saggio. Il dato di partenza per la riCX>Struzioneè offerto dal nome "Ovv11,, che si legge nel v. 13. L'unica fonte a nostra disposizione su questo personaggio è UDexcerptwndal sesto libro delle Storie di Nicola Darnasccno (FGrHist90 F 52). Dal racamto di Nicola (per il quale vd. oltte) apprendiamo che Tottcs e Onnes eranodue giovinetti provenienti dalla Frigia. i quali durante UDassedio preslarollo soccorsoalla citlà asiatica di Assesso, recandonascosti in una cesta gli oggetti saai dei Cabiri. L'identificazione di Toaes e Onnes con i Cabiri, JXOP()Stada O. Kaibel, «OGN» (1901), p. 513 e accolta da B. Hemberg, Die Kabiren(Uppsala 1950),pp. 137-140,sembra confermala da C. nel nostro frammento. I vv. 11 e 12, che prec:edoDoimrnedialarnP.Dtela menzione di OJmes, descrivono con ogni verisimigliama l'apprendistalodei due fanciulli presso le fmnaci di Efesao (si noti che, nel v. 12, lo saiba del POry. 2211 vergò probabilmente il duale Ètpmpffllv al posto del plurale ftpCX4>ev: ciò rappresenta UDdato importante per riconoscece negli apprendisti di Efesto un gruppo di due, e cioè probabilmente Toues e Onnes), e l'immagine viene ripresa nel v. 17: l'attività dei Cabiri comefabbri al servizio di Efesto ~ attestata (vd. il cornrn ai vv. 10 s. e 12 aipcimv 1ÉpyJ1~lh6CXLu~Q~'1VDi). Pii) in particolare, già O. Kem in P. Wendland - O. Kem, Beitrage zur Geschichle der griechiscMn PhilosophiLund Rtligion (Berlin 1895), p. 107 aveva supposto che gli oggetti saai contenuti nella cesta di Tottcs e Oones fossero i genitali di Dioniso. Lo studioso giungeva a questa conclusione mettendoa confronto lo iepòc ).oyocdi Assesso con quello di Tessalonica riferito ai Cabiri, CX>Sl comeviene narrato da Clemente AJessandriDO(Protrept. II 19, 4, per il quale vd. oltre): secondoquesto racconto, infatti, i Cabiri recavanouna cesta Èv fi tÒ tou .àiov,xou a~o'iov CÌKÉKEtto. Una volta ammessa l'identificazione di Toues e Onnes con i Cabiri, Pf. respinge la cauta ipotesi di Lobel - secondo il quale si parlava qui degli dèi gemellisiciliani chiamatiPalici, figli di Efesto ed Etna - e ricostruisce il frammento di C. sulla falsariga dello iepò, A.oyo, di Tessalonica, per il quale si dispone delle seguenti fonti: Clem. Alex. Protrept.II 19, 1 e 4, I p. 15. 1 Stllhlin = Euseb. Praep. ev. II 3, 27 e 29, VIII 1 p. 83. 9 Mras; Amob. Adv. nat. V 19, p. 273. 2 Marchesi; Fmn. Mat. De err. prof. rei. 11, p. 100 Tmcan; [Orpb.J Hymn. XXXIX (KopuPav-roc) 6 Qwmdt (vd. B. Hemberg,DiLKabirtn, Uppsala 1950,pp. W5-210). La ricostruzione di Pf. verte su due punti: lo svolgimento della vicenda e la sua ambientazionegeografica. In primo luogo, Pf. propone questa trama: «A quanto sembra, due uomini, che si sono costruiti qualcosa di ferreo (pobabilmente scudi), tendono un'insidia a un teno, lo uccidono e celano in qualche modo il fratricidio (15-21)». Tale schema narrativo si basa su Clein. Alex. 1 = Euseb. 27 Ei 8U.ei, 6' ÈKOKnikai ,c:aì Kopupci:vtmv opyia, tòv 'tpl'tOV ci6~v cì,i:o,c:u{vavu, of>toi niv 1c:e1paA.iiv-rou vnpou 1poivtd6i È1te1c:aA.uvch11v ,c:aì icat~dvavu i8ava't1Jv, q>Épovtu ÈKÌ XaÀ.irii, ci"r{6o, utrò tru utrCDpd~ -rou 'OA.u1ttrou (pii) avanti, come si vedrà, Clernenceidentificherà esplicitamente i Coribanli e i
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CALLIMACO- Ail1A.,LIBRI PRIMOE SECONDO
Cabiri); la rnt.deùrna vicenda viene rievocala nei citali paui di Amobio, di Finnico Malano e dell'inno orfico (riportati per esteso da Massimilla, Callimaco p. 36 s.). Tutte le fonti raca>ntano che due fratdli Cmbanti/Cabiri ucciseroun teno fratello. Clrmente aggiunge cbe i due assassini avvolsero il capo del morto in un drappo purpmeo, lo incoronarono e lo seppellirooo, portandolo su UDO scudo di bronzo alle falde dell'Olimpo. Firmico omette i particolari del drappo, dell'iDc:orooameDtoe dello scudo, ma specifica che la scpollura ai piedi dell'Olimpo fu dovuta al timore che si scoprisse il fratricidio: il Cabiro morto - continua Finnico - è vc:oerato dai Macedoni; a lui insanguinato i TessalODicesi rivolgevano UD tempo pregbicre con le mani imbranate di sangue. In secondo luogo, Pf. proponequest'ambientazione: «Forse già il v. 11, cenamente il v. 20 (se vi compare il nome proprio [Lipari]) speua all'Oc.cidcnte, ci~ alla regione dei Tureni', ai quali è collegato il nome dell'isola di Lipari, riguardo al fatto alrOce narrato nel fr. 93 (vd. aocbe il fr. 723 sul Cadmilo degli Etruschi)». Cf. in proposito Clrm. Alex. 4 = Euseb. 29
KmPeipouc 6È -ioÌK Kopufianuc 1eaÀouvuc (scii. oi iepeic) 1eaì UÀ.efllv KaPelpllCTIV -ritv Kiu11v àveÀol'Évm, iv ft yàp 6È -iouuo -icòà6~novco icu-iayriUouuv · a'l>'tcÌ> -iò-iou ~wvucou ai.6oiov à11:È'ICel-io, eic TupPflviav ica-nnayov, eÙICÀ.eo\K EflKOpolq,opdou· mnau8a 6inpiPÉfftv, •vra6e ovu, -ritv 11:otu-ii1'11-iov eùupeiuc 6l6ucica4iav, ai6oia KUÌ. icic't'lv, 8PTiocri>elv11:apa8Ejlivm TupPf1voic.Clemente spiegacbe i sacerdoti. chiamando Cabiri i Coribanti. pmclarnaoo flDCbeil rito cabirico: infatti i due fratticidi, presa la cestache conteneva i genitali di Dioniso, la portarono in Tineoia, dove si stabilirono come esuli, istibJeDdofra i Tmmi il ailto dei genitali e della cesta. Pf., dunque, riconosce nel v. 20 una menzione dell'isola i:iciJiaoa tJi Lipari, scrivendo Auuip[ comegià dubbi0S11DenreLobe1oell'edilioprinceps,e i.polizzache aoc:bei vv. 11, 12 e 17 - dove si parla .delle officine di Efesto - si riferiscano all'Occidente, ci~ alla regione dei Tirreni menzionata da Clemente Alessandrino. Ilfr. 93 Pf. di CaUimam. al quale si ncbiarna Pf., risaleal quarto libro degli Aitia: il poeta narrava che i Tureoi. combattendo contro Lipari, promisao ad Apollo di saaificargli - in caso di vittoria - il pii} valoroso dei nemici; risultati vincitori, immolarooo al dio il combatteote Teodoto. La staia attesta UD legame fra la Tin'eoia e Llpari in merito a un episodio auento simile a quello dei Cabiri. PCI'quanto riguarda il fr. inc. sui. 723 Pf., dalle testimonianz.e dei grammaaici si può forse dedurre che Callirnaoo chvunasse Càdrniln (o Osmilo o CadrnUo o CamiJlo, vd. A. S. Hollis, «HSPh» 94, 1992, p. 273) l'Fnnes l:iJreDicovenerato nei misteri di Samotracia:può darsi che il frammento spetti al giambo nono, nel quale - come informa la Diegesis - si parlava di una statua dell'Ermes tirrenico, rappresentato in stato itifallico ICU'tà l'UC'UICÒV 4010v.Anche qui compare la Tmenia, collegata a quel Cadrnilo che veniva ritenuto ora setvitme dei MqllÀol 9eoi ora figlio di Efesto e CabirOe padre dei Cabiri e delle Niofe cabiriche (vd. MassimiJla Callimaco p. 38 DD. 14 e 15). A sostegno dell'ambientazione oa:identale del frammento, Pf. fa due considerazioni. In primo luogo, il raro vocabolo alpa=man~llo (v. 12) viene ripreso da Euforiooe nella desaiziooe delle officine di Efesto a Lipari (CA/r. 51, 8 s. p. 40): ij 11:ouMMlyouvi6\ -ioia\ I l'UPl'apuyai, aifJ11uv on i>iiccoltoci611poc.In secondo luogo, lo stesso C. pone le fucine di Efesto a Lipari in Dian. 41 s. (cf. lo scolio) e nel vulcano Etna in Del. 141, e dopo di lui molti poeti ellenistici e romani collocheranno le officine del dio nelle Eolie o all'interno dell'Etna (pel' la seconda veaione, cf. già Acscb. Prom. 366 s.): oltre al passo citato di Baforione, cf. Tbeocr. Il 133 s. Al11:apaimI ... 'A.«iiuow cilac •toyepconpov (con lo scolio), Ap. Rh. m 41 s. Xa4'1CEmva icaì alCl'OVUC ... I VTJCO\O Il~c (cioè di un'isola Eolia; cf. lo scolio e vd. i passi paralleli citali da Wendel), IV 761 s. o8l i· a1C11ovu 'H.-XlC'tO\OI XWE\O\ c-nfiapfiuv àpaccov'ta\ 'tUKi6uuv (con lo scolio), Verg. Acn. VIIl 416422 (dove la parola caminis viene impiegata alla fine del v. 418, come qui Kal'ivoic), Sii. XIV 55-70 (idem alla fine del v. 56, per imitazionedi Virgilio), Prudent Contra Symmach.I 308 Aeoliae summus faber ... vel Aetntu I. A questi luoghi indicati da Pf. si possono
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aggiungere Iuv. xm 44 s., CJaautiao PDMgyr.de lii cons. HoMr. 196, Rapt. Pros. Il 173175. Mentre l'identificazione di Toues e Oooes con ; Cabiri è pienamente coodivisibile (per i motivi sopra indicati), la ricostruzione generale del frammento proposta da Pf. (e accolla da Seccipp. 101-103) si JRS1aa delle obbieziooi. La difficoltà maggiore sia nel fallo che, accettando la lioea interpretativa di Pf., non ci si riesce a spiegare la parola Katpo.«Svou del v. 20. Nell'annotazione, Pf. sembra dare conto del vocabolo con la frase «necem fratemam»; poco pià avanti, egli riporta l'espressione «parricidalis amentia», con la quale Filmico Materno designa il fratricidio commesso dai Coribanti/Cabiri. Ma mentre in Latino le parole parricidium,pa"icida, pa"icidalis (blue impiegate da Fumico nel passo in questione) possono riferirsi all'uccisione di parenti in geoeraJe, in Greco la parola aatpO.«Jvoc significa esclusivamente uccisoretkl padre:noo è un casoche Clemente Alessandrino definisca ci6wpo1C'tovmi due fratricidi. Una volta messa in dubbio - a causa della parola Katpo•ovou - la ricostruzione del frammento secondo lo iEpoc À.o'Y0' di Tessalonica. l'ambientazione occidentale della viceoda diventa pocoplausibile. In suo favore resta valido il richiamn di Pf. ai frammenti callimacbei 93 Pf. e 723 Pf., ma d'altta pane la oostl1l unica fonte su Tottcs e Onnes(Nic. Dam. FGrHist 90 F 52) DOD collega in alcunmodo i due persooagi all'Occidente. Pf., inoltre, ritiene che i vv. 11, 12, 17 e 20 si riferiscano alle officine di Efesto nelle isole Eolie, e io particolare a Lipari: ma ocssunateslimooianu allude all'esistenu tli mi cullo cabiriooin questa zona. Nel v. 20 si può ovviamente fare a meno di Lipari, saivendo Àlaap[ (da Àlaapcx). Le fucine di Efesto menzionate nei vv. 11, 12 e 17 saranno quelle di Jonoo, dov'è ampiamente attestato il culto dei Cabiri: vd. B. Hemberg,Die Kabiren (Uppsala 1950), pp. 160-170, specialmeo•~ 163-165. Le due ossavazioni proposte da Pf. perSOSleoerel'ambienlaziooe occidentaledel fnmnnmto DOD banno valore cogente. In primo luogo, il fallo che la glOSP callirnacbea alpa.=martello (v. 12) venga utilizzata da Euforione (CAfr. 51, 9 p. 40 riportatosopra) nella desaizione delle officine di Efesto a Lipari non dimostra che C. impiegasse la parola nel medesimo contesto geografico; d'altta parte - come osserva Pf. stesso - l'explicit esamettico Kap • 'H.-cxiuow (v. 11) viene ripreso da Nonno (Dion.XXIX 376) per indicare le fucine di Efesto a 1CC11.L1vo1e Lemno, cosl come il nessonapà A1111via1e1eaJ1(vo1esi legge nell'Anacrtonteaxxvm 2 West. In secondoluogo, benché - comesi è visto - molli poeti ellenistici e romaniponganole officine del dio nelle isole Eolie o all'interno dell'Etna, anche la loro collocazione a Jonoo I: attestata: oltre ai passi citati di Nonno e delle Anaèrtonttt, et. Val Fl. Il 338 s. murmura fiamma.e, I hospes,et incussaesonitwnmirabert massae(lssipile a Giasone), Nonn. Dion. V 578-580 EÙ1eel.cx6ou6É I Ait11v1occipndl.euov E'tl ffVE\OVtaICCII.L\YOU I KOllC\M)V opJLÒV iuwE (dove la parola 1ea111vouviene impiegalain fine di verso, come qui 1ea11(vo1e), XXVIlI 6 6a,6al.a ffOÀÀàffÉaacto, ta KEp 1CClflE AfllLY\OC ci1CJ1,llC'tlDvu, impiegata al v. 9). Molto plausibile mi sembra l'ipotesi di Barber su cìµq,iupilC'twvu. (supplemento già presoin considerazione da Pf., ma scartato per motivi mettici, vd. app. e comm. al v. 9): l'idea di un riferimento al sesto tempio - contemporaneo a C. - si adatta molto bene a iò 6 • É~v ù[ (v. 8), che sembra introdurre una proiezione nel futuro (forse ù [uc.upov, come propone Pf., vd. app. e il comm.). Una desaizione del tempio di Trofonio e Agamecle, cosb'Uito in pietta, si armonizzerebbe con i versi iniziali del frammento, data la presenza del verbo À.]Eiaivouu (v. 2) e forse dell'aggettivo À.E~ (v. 5). Non è verificabile l'ipotesi di R. F. Thomas, «CQ» 77 NS 33 (1983), p. 98 s., il quale basandosi sulle parole À.)ua(vouu (v. 2), È~ aùhq~xJ6iT1c. (v. 3) e p,&l.ixeo1[ (v. 6) congettura che C. impiegasse una metafora architettonica per descrivere la sua arte poetica, sul modello di Pindaro all'inizio della VI Olimpica(vv. 1-4). Cf. anche Verg. Georg.m 13-39. Una particolareggiata desaizione di lavµÉvcov,'A•l611, 6' n«xxe ç6cpov TJEpoevta, I Zeù, 6' u.ax· oùpavòv eùpuv, [Hom.] Hymn. Il 85 s.,fr. lyr. anonym. SH 990, 3-11. Nell'inno a Zeus (vv. 58-67), C. confuta espressamente la tradizione omerica, dicendo che Zeus ottenne il dominio sul cielo e sugli albi dèi non per un'esttazione a sorte, ma per la sua fona straordinaria: cf. specialmente v. 60 611va\0Ì 6 • où ,caµn:av èù..118Éu?i,av à.o\60( e v. 66 ou u 8eéòv ic,ijva Ka.M>l8É,av, q,ya6È XElpiÌ>v.Pf. osserva giustamente che nel nostro distico il poeta non conttaddice le affennazioni dell'inno, perché qui egli non parla dei regni dì Zeus e dei suoi fratelli (come ritiene enooeamente A. Meineke, Callimachi Cyrenensishymni et epigrammata,Berolini 1861, p. 131), ma degli onori (tlµa{) distribuiti per soneggio fra tutti gli dèì nella città dì Mecone, dopo la vittoria sui Giganti. Questo mito non è altrove attestato nella sua interezza, ma i suoi singoli elementi ci sooo noti da altte fonti: 1) Mecone. Secondo la Teogonia dì Esiodo (vv. 535-542), a Mecone ebbe luogo la separazione fra dèi e uOOJ.ini- i quali in p-ecedenza vivevano e mangiavano insieme•, dopo che il celebre espediente dì Prometeo(vd. il comm. al v. 3) istitul fra i due gruppi la relazione dì tipo sacrificale: d. specialmente V. 535 s. È,cp{vovto8wì 8Y11tOlt' iiv8p1111tol I M111emvn. Gli scoli al passo dì Esiodo dicono che la separazione fra dèì e uomini, avvenuta a Mecooe, si realiu.O µetà tòv KOÀ.e1,LOv: poiché nella Teogonianessuna gUCITll è collegata a quest'episodio, Pf. ipotizza che l'aggiunta degli scoli risenta in qualche modo del distico callìmacbeo.
COMMENTO: FR. INC. UB. AEI. 69
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Comunque sia, i chiaro che, per Esiodo, a Mccone si verificò la divisione fra da e uomini, non la ripartizione delle n1ux{ fra gli dèi: perciò lo scolio pindarico che tramanda il nostro v. la sbaglia a citare il v. 535 s. della Teogoniaa proposito degli onori divini (vd. app. delle fonti). Ugualmente fuorviante è un luogo delle Questioniomerichedi Eraclito (cap. 41), che cita il passo dell'Iliaderiportato sopra a proposito dell'estrazione a sorte fra Zeus, Posidone e Ades (XV 189-192) e colloca quel soneggio a Sidone: où µà à{', où "MlPOCo µu8eu6µevoc iv
(11CUWY\1:auta ICaÌ. 61a{peuc cì6eÀ.mv OUtCOCcìvmµaloc ... KO.Cyàp o µu8oc 11Ufl'YOPflta1KtÀ. 2) Gli onori (1:1.1uxt). Esiodo ttaUa le nµa{ degli da in vari passi della Teogonia(vv. 73 s., 112, 392-403, 422-452, 881-885), ma questi luoghi presentano due differenze esscoziali rispetto al nostro distico: in primo luogo, nel poema esiodeogli onori vengono elargiti da
Zeus agli altri dèi e ooo sono mai assegnati per sorteggio; in secondo luogo, nei passi dove si specifica in quale momento le nµa( furono distribuite (vv. 73 s., 392-403, 881-885), si dice che tale dislribuziooe avvenne dopo la guerra cootro i Tllani. La prima differenza rispetto a Esiodo - cioè la spartizione delle ,:4141 in ~guito a smteggio - è già attestata presso Alcmaoe e Pindaro, i quali concordano nel dire che l'estrazione a sorte avvenne sotto il controllo di Zeus. Per quanto riguarda Alanaoe, gli scoli AOOeo. a Hom. Il. I 222 - spiegando l'impiego del vocabolo 6a{µovac al posto di 8EOuc- citano questo veno del poeta lirico (PMGF 65): to'ie8evt 11:ci.>..coc EKIXÀ.e 6cnµovci.c,:' i6ci.cca1:o(11:a>..01c Schol.: -mc Bergk; ina>..À.e(v) Schol. AD: f,ca>..av Schol. Geo.: E,ca)..e Ursinus; 6a1µovci.c t' i6accato Nauck. probavit P. Maas, «Zei~chr. f. vergl. Sprachforsch.» 60, 1933, p. 285 s. = KuiM Schriften, Mfiocheo 1973, p. 195 s., coli. Aescb. Eum. 727 s.: 6a{µovci.c,:' i6ci.ccato Schol. Gen.: 6a{µovci.cu6ci.ccav1:oSchol. AD). Pii) istruttivo è il passo di Pindaro (OL VII 55-61): quando Zeus e gli allri dèi si dividevano la ten'a (v. 55 x86va 6atÉovto Zeuc u Kaì. cì8ci.va1:01I), l'isola di Rodi non era ancora visibile sulla superficie marina, ma stava nascosta negli abissi; ora.poiché il dio Elio era assente, nessuno aveva messo avanti una sorte anche per lui (v. 58 cì11:eov1:oc 6 • ounc Ev6e1~evA.ci.xoc 'Ae>..wu), sicché egli era rimasto senza ten'a; quando Elio fece presente la cosa. Zeus stava per ordinare una nuova estrazione (v. 61 Zeùc aµ11:alov µ&Uev 8iµEv I), ma (come spiegano i versi seguenti) ciò non fu necessario, pen:hé Rodi emerse dalle acque e andò in dono a Elio. Lo scolio A a questo luogo pindarico (SchoL A Pind. 01. VIl 101) colloca l'origine della storia in resoconti locali: ù,cò tiòv Kap1a oi KO\fltai. Per l'idea delle nµa{ sorteggiale, cf. anche Att. SH 267, 2, dove Argo è definita Mxoc di Era. 3) La Gigantomachia.Nella Teogonia di Esiodo non comparela guerra fra gli dèi e i Giganti, figli di Gea fecondata dal sangue di Urano (cf. Hes. Thtog. 185). Eua è cosl desaitta dello pseudo-Apollodoro (I 6, 1): attaccati dai Giganti, gli dèi vennero a sapere che avrebbero poblto vincerli solo grazie all'aiuto di tm mortale; chiesero perciò soccorso a Eracle e, insieme a lui, scooftssero i nemici. Gli scoli AD a Hom. Il. VIII 247 tramaodano che, durante la Gigantomachia, l'aquila volò accanto a Zeus, sicché il dio - quando avvenne la ripartizione degli uccelli - scelse per sé l'aquila (Èv tjì 61av&11TJ..eto,cf. anche Schol. bT Hom. l.l.): può darsi che a questa 61avɵf1uc si riferisca anche Call. fr. inc. sed. 519 Pf. = (Hec.)fr. inc. stil. 167 H., dove si dice che la civetta spettò ad Atena (ma vd. il comm. di Hollis). Uo rapido cenno alla Gigantomachia compareanche nell'esordio dell'inno a Zeus di C. (v. 3), dove il dio viene definito I IlflÀ.ayovcovil.atijpa: infatti, come spiegano gli scoli a questo passo e altri testimoni, i n11>..ay6vecsono i Giganti (non i Titani, come voleva Wilamowitz, Htll. Dicht. II p. 1 o. 1). Nei Lavacri di Pallade (v. 7 s.) C. descrive il ritorno di Atena dalla Giganuxnacbia con le armi spm:be di sangue. Lo scolio M a Eur. Hec. 472, che tramanda il nostro distico (vd. app.dellefonti), aitica Emipide per avere detto Titanial posto di Gigantie rimproveraC. per essere caduto nell'errore opposto, cioè per avere saiao Gigantomachiaal posto di Tilanomachia.Ma - osserva Pf. - il dotto poetanon ba rnnrnessn una simileconfusione,bensl si è distaccato dalla vulgata esiodea
ou
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
(che, come abbiamo visto, collegava fra loro la Titanomacbia e la distribuzione delle 'tl.JUX{) e ba seguito 1Dl'altra tradizione relativa alla guerra contro i Giganti, attestata solo presso qualche poeta lirico e tragico, ma ampiamente documentata nelle arti figurative a partire dal VI sec. aC. La vera e propria confusione fra Titani e Giganti si risamtrerà presso gli scrittori greci pro tardi e presso i Latini. l 1u41ouc ilS~ov-ro: Cf. Hom. Il. XXIII 352 e Od. XIV 209 1tA.tipouc ip&v'to I. lhaxp(vcsv-ro Il -r'IUic:Cf. Ap. Rb. IV 1179 6u1tp{vov'to 8Ép.1uac• con il comm. di Livrea, [Theoa.) XXV 46 6tà 6È 1tp1vouc18ɵ1C'tcxc•. 2 f1yav'taiOL u ••• ix so1Ép.ou: Cf. Ov. Tr. Il 71 Gigantei ... belli I. Per la collocazione mettica di f1yavuwL u, cf. Pbil. lbess. Anth. Pal. IX 708, 6 = GP 3020•. 6a{p.ovac: La scelta della parola è appropriata al contesto. Il vocabolo 6a{p.mv, infatti, è collegato ai veibi 6awp.a1, 6a'tÉop.a1 (divido): cf. Alcm. PMGF 65 riportato nel comm. al v.
1 s. 3 )ap1t11-r11p.[: Pf. osserva che si pottebbe dividere e integrare c)cip1ta 'tap.[, sulla base di Hes. Theog.536-538 (desaizione dell'espediente di Promeceo, che imbandisce a Zeus delle ossa coperte di grasso e agli uomini carni e inleriora nascoste in una pelle, vd. il comm. al v. 1 s.): d. specialmente V. 538 caplCCICu ICCXÌE'f1Ca'ta K\OYU 6t)p.cp I. Ma lo stesso Pf. nota che si potrebbe divide.re e supplire anche y)àp 1ta'tÙ p.[ (vd. app.). Può darsi che questo frammcnro e il fr. 98 appancoesscro alla medesima ICZiooedegli Ailia, ~ anche n (nel v. 13) viene menzionala Sicione. Inoltte, poi~ ilfr. 69 tramanda UD mito non attestato altrove nella sua interezza (vd. sopra il comm.al v. 1 s.), esso - come osserva Pf. - pottebbe essere collegato al fr. S6 del libro secondo, dove compaiono notizie altrimenti ignote sul bisecolare amore di Zeus per Era durante il regno di Crono. Vd l'annotaziooedopo il testo e la fine del comm.alfr. 56.
Frammento 70 (120Pf.) 5 K6Jsp1lo[c: Il supplemento di Lobel è molto probabile, ma la parola Kuspu non è abbastanza rara da provare che qui vada integrato ilfr. inc. sed.654 Pf. 8tPpiic Kusp16oc app.oYU)C I (vd app.).
Frammento 74 (124Pf.) Forse il v. 4 di questo frammento conisponde al v. la del/r. 69 (vd. il comm.ad loc.). Se è cosi, Pf. propone e.g. delle integrazioni che si adatterebbero bene ai contenuti di quel frammento (v. 2 4l'IP, v. 3 È)ic:KQ[A.ep.).Vd. app.
Frammento 75 (125Pf.) 3 au,ciyya>t,[: Prima della pubblicazione di questo frustulo, l'aggettivo 6ucayyel.oc ci era noto solo a partire dalle Dionisiachedi Nonno (V 382, XI 225, XX 184, XXIV 144, XL VIl 212, sempre •). Pec un composto simile, cf. Call. Hec. SH 288, 48 = fr. 74, 7 H. 1Ca1Cayy1&A.ov•.
Frammento 76 (126
Pf.) 3 so1v1[: Pottebbe trattarsi della Musa IloA.up.vw (vd. app.), la cui menzione sarebbe adatta a UD frammento proveniente dal secoodolibro degli Aitia. Vd. Introd. l.4D.b.
Frammento 78 (128Pf.) 8 J .si.ICI[: Pf. propone il supplemento ù]çs{6a e osserva che si pottebbe integrare qui il fr. inc. sed. 683 Pf. éoc't'ÌIYcics{6a ta'tovt ÉM>v (?) (vd. app.): la cosa, ovviamente, è molto incerta.
COMMENTO: FRR. INC. UB. A.ET.69-81; 89-96
399
Frammento 79 (a) (129(a)
Pf.) 4 ]JLVICMX.[: Probabilmente non si può leggere il nome della città laconica di 'A)t1uicl.cxh sicché Pf. propone di saivae p.es. 'A)t1u1t~ (eroe eponimo) o 'A)JLud.cd)[ev. Per Amicle, cl.fr. 100, 13 e vd. il comm. di Pf. alfr. ÙIC. sed.617. Vd. app.
Frammento 80 (B) (130(B)
Pf.) 3 ]vau,v .[: Pf. osserva che sarebbe possibile integrare il fr. ÙIC. sed.52APf. Eivcx-i111v ot166~uv ÈK' c»6{vuuv i6ouc.cx (vd. app.), ma i resti sono troppO esigui per confermare l'ipotesi.
Frammento 81 (131 Pf.) 2 ]1c:po[:Pf. nota che qui si pottebbe integrare Kp6[ vou ~e (= fr. ÙIC. sed. 641 Pf.), cioè il nome di UD colle di Olimpia: l'idea si accorderebbe oon l'ipotesi di Lobcl esposta nel comm. al v. 3 (vd. anche app. al v. 3). Si ttaaa, com'è ovvio, di una proposta molto incerta. 3 Jcxccu .[: Lobel osserva che forse qui si deve supplire il fr. Pf. (dal teno libro degli Aitia): 'HA.w àvaccu:8111, AÙX oiaciov, ùl.1KE ~uA.Ei. Se cosl è, può darsi che anc:he altri frammenti del gruppo 69-88 facdaon parte noodel secondo,beDsldel 1aZO libro. Ma Pf. nota che esistono anche altre possibilità di integrazione, p.es. ivv ]ci.ccuf)[ cx1 (uplicil di IDI esametro spondaico). Vd. app. 4 o6Jz od11[: L'integrazione di Pf. si basa su Aet fr. 15, 5 Pf. (vd. app.).
n
Vari frammenti callirnachfli potrebbero speaarealle lacinie c:r cosdbrisc:moifrr. 7M8: vd. sopra i comm.aifrr. 70, 5; 78, 8; 79(a), 4; 80(B), 3; 81, 2; 81, 3 e nel testo 1'8DJIOblZinlle dopo il fr. 88.
Forse dal libro secondo Frammenti
89-96 (Ico)
Nessuna testirnoniama antica garantisceche questi frammenti taccianoparte degli Aitia: l'attribuzione, tuttavia, si ricava con certeZ7.a dai vv. 21-30 dàfr. 89, dove vengono poste delle domande relative all'origine di un culto (vd. oltre). I frr. 89-94 sono tramandati in sei frammenti del rnedesimo papiro, ed è probabile che ifrr. 90-92 fossero molto vicini all'ultimo verso delfr. 89 (vd. app. alfr. 90). lfrr. 95 e 96, che provengono da tradizione indireua, SODO stati congetturalmente assegnati a quest'ailionda Pf., in considerazionedà Imo argmnento(vd. i comm.od locc.). Per la probabile appartenem.a di questi frammenti al secoodo libro, vd. pia avanti il comm.V d. in generale. nel testo, l'annotazione dopo il fr. 96. Lo scenario del fr. 89 è UD banchetto tenuto in Egitto - probabilmentead Alessandriadall'ateniese Pollide (cf. Athen. XI 477 C nell'app. delle fonti al v. 8), che osserva anc:he all'estero le feste attiche, come i Pithotgia (= A.ptrtura thgli orci) e i Chots (= Boccali), cioè rispettivamente il prirno e il secondo giorno delle Antesterie. Ora, nel festeggiare la solennità dedicata al suicidio di Erigone, Pallide invita a banchetto alcune persone che hanno le sue stesse abitudini Fra di loro c'è UD rnercante proveniente da Ico (isola Sporadc posta al largo dà promontorio di Magnesia in Tessaglia): per un felice cmo, questi si trova a occupare il posto vicino a C., che nota di avere in comunecon lui l'avversione per le bevute eccessive di vino. C. perciò, dopo avere appreso che l'uomo si chiama Teogene e viene da Ico, lo invita a temperarel'asperità del vino conversando con lui e lo prega di rispondere alle sue domande· perchéa Ico c'è l'uso di venerare Pclco e di tenere in suo onoreuna processione,nella quale una fanciulla porta una cipolla? C. chiarisce che queste cose gli sono note solo per sentito dire, perchénon ha mai viaggiatosul rnare.Teogeneesalta la fortuna di C., che non ha espcricma di navigazione: lui, invece, ttasame fra le onde marine pià tempo dà gabbiano. A questo ponto si intenompe il fr. 89: dei frr. 90-94 non è possibile dctaminarc il contmuto (ma vd. il c:omrn
400
CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
alfr. 92). Ilfr. 95 si riferisce
a Peleo destituito dalla sovranità su Ftia Nelfr. 96 si parladelle
dooDedi lco. L'attribuzione di questi frammenti al secondo libro dipende dall'ipocesi che il banchetto desaitto nelfr. 89 coincida con quello rievocato nelfr. 50, 12-17: secondo tale 1icostnaiooe, che risale a Coppola pp. 165-168 e Hertcr, Bursian255 pp. 125 e 129, ifrr. 89-96 precedono il
fr. 50. La possibilità che i nostri frammenti appartenessero al primo o al secondo libro era rirenuaa molto improbabile da Pf.: secondo lui. il dialogo fra C. e Tcogene non si sarebbr. adattato allo schema del colloquio fra le Muse e l'adolescente «personaggio C.» (cf. Schol. Fior. 18 ci]1rpyÉvt\o, e vd. la fine del comm. ai frr. 3-4). Pf., perciò, propose di collocare questi frammenti all'inizio del terzo libro, prima del tratto di testo coperto dalle Diegeseis milanesi (vd. anche Hutcbinson p. 44 n. 36). Basandosi su un'ipotesi di Wilamowitz ap. Malten p. 173 - secondo la quale il banchetto di Pollide fungeva da dedica a un libro degli Aitia -, Pf. aveva supposto che i frr. 89-96 costituissero l'esordio del terzo libro: sappiamo oggi che questa congettura è impossibile, perché l'inizio del libro terzo è occupato dalla Vittoria di Berenice (SH 254-268C). Anche Hollis, Altica p. 15 preferisce auribuire il bancbeUo di Pollide al terzo libro: egli riconosce nel nostro fr. 89 e nel fr. 63 Pf. (dal libro terzo, prima delle Diegeseis) rispettivamente l'inizio e la fine di un unico carme, che sarebbe introdotto da una rapida menzione della festa attica delle Antesterie (Jr. 89, 1 ss.) e concluso da una pià ampia trattazionedelle Tesmoforie (fr. 63 Pf.), anch'esse celebrate in Attica; proprio l'ateniese Pollide - secondo Hollis - spiegherebbe per quale motivo le vergini non possono partecipare alle Tesmoforie. Una soluzione inrennedia è quella di 7.etzel p. 32 s., che identif'ica il banchetto di Pollide con quello desaitto nelfr. 50, 12-17 e attribuisce ifrr. 89-96 all'inizio del secondo libro, ma pensa che C., nel desaivere il convito, spezzasse la cornice del sogno eliconio: soltanto pià avanti nel libro• secondo Zetzel - ricompariva il dialogo con le Muse, com'èdimostrato dalfr.
50, 56ss. Quanto a me,ritengo che ci siano ottimi motivi per identificare il banchetto di Pollide con quello rievocato nel fr. 50, 12-17, e quindi per attribuire i frr. 89-96 al secondo libro e collocarli prima del.fr. 50: vd. in proposito i comm. al.fr. SO,1-17 e alfr. 50, 6. Penso anche che la scena del convito rientrasse nella cornice del sogno: il «per5onaggio C.» racconta alle Muse di avere partecipato al banchetto di Pollide ed espone alle sue interlocutrici ciò che ba appreso in quell'occasione. L'espediente del raccontonel raccontosi armoniz7Jl con la raffinala tecnica compositiva degli Aitia: vd. in proposito Harder, Callimachuspp. 9-11, che cita (p. 10 n. 31) un passo delle MelamOrfosioyidiane (V 250 ss.), nel quale l'incastro dei livelli narrativi è ancora pià complesso. Vd ancheSwide.rek p. 234 n. 18, Fabian, Banchtao p. 133, il comm. dello stesso Fabian ai nostri.frr. 50 e 89 (pp. 157 s. e 314 s.), •Krevans p. 215 e Cameroo pp. 133-135 (che pone ilfr. 89 all'inizio del secondo libro). Vd. inollrc la mia Introd. 1.4.E. Questa ricosttuziooe ba due conseguenze piuttosto importanti, che riguardano l'una la trama del proemio degli Aitia (frr. 3-4) e l'altra la biografia di C.: 1) Se il «per50naggio C.» dice alle Muse di avere preso parte a un banchetto tenutosi in Egitto, ciò significa che egli, quando fu trasferito in sogno sull'Elicona, non si trovava pii) a Circne, ma già ad Alessandria:vd. Herter, Bursian255 p. 129 e l'inizio del comm. aifrr. 3-4. 2) Nel fr. 89, 27-33 C. spiega a Teogene che le sue informazioni sull'isola di Ico non derivaooda una conoscemadiretta, ma dai racconti di altri, perché lui non ba mai viaggialo sul mare;Teogene esalta la fc ÈvÉ,cov[uv)potevano derivare dall'auidografo Fanodemo, che saisse nellasecoodamelàdel IV secolo un'opera intitolata 1xuX1Ca(FGrHist325 T 7; vd. Pfeiffer, KaUimachos.studien pp. 105-107, Fraser I p. 732). Come osserva Hardcr, Callimachusp. 10 n. 32, il contesto conviviale nel quale si innesta la conversazione fra C. e Teogene ha degli antecedenti in alcuni passi dell'Odisseaomerica (lii 103-328, IV 235-295, IX 1 ss.) e un parallelo nelle Argonauticht di Apollonio Rodio (II 468489). Le scene di banchetto sarannopoi ampiamente rappresentate nelle Metamorfosidi Ovidio (cf. i passi raccolti da Malten p. 176 s., De Cola p. 61 s. e L. P. Wilkinson, in L'influenct grecquesur la poisie latinede Catulltil Ovidt, Vandoeuvres-Genève 1956, p. 236 s.).
Frammento 89 (178 Pf.) 1 iiàKovlè 1n801yk è>i,civ8cavev: Il frammento
si apre con UD où6É in seconda posizione, il cui valore può essereconnettivo o (menoprobabilmente) correlativo come il successivo où6 ·. Nei versi precedenti doveva comparire un accusativo dipendente da ~av8avtv e riferito a Ilollic - cioè all'Ateniese che offre il banchettoin Egitto -, come si deducedalla testimonianza di Ateneo (XI 477 C ripmtato oell'app. delle fonti al v. 8). La forma del nome, che non è attestata in Attica, venne messa in dubbio da Meiàe (ap. Scbneider Il p. 378; contraMalten p. 150).L'osservazione di Meineke è stata ripresa e sviluppala da Ziegler p. 2.55 s., il quale nota che al m. 15293 della ProsopographiaAnica di Kircbner compare, per l'anno 283/82, l'efebo Xap'lc Ilollfou 'A~Tlvituc; dal genitivo Ilollfou Ziegler risale al nominativo Iloll{ac (a differema di Kircbner,che postula UD nom. Ilollioc, Prosopogr.Aa. m. 11897); Ilolltae, dunque, e noo Iloll\C si chiamerebbel'ospite di C.: nel testo di AI.CDCO, IlOAAIAI si sarebbe corrotto in IlOAAIAI;Ziegler ritiene che il padre di Carete e l'amico di c. possano essere la stessa persona. Contto l'ipotesi di Ziegler, H. F.rbse, «Hennes,. 83 (1955), p. 416 n. 2 osserva che una parola di struttura eretica come Iloll{ac non ttova posto nel distico elegiaco, a menodi non pensarea unacorreptioin hiatu del genitivo, del dativo o del vocativo. L'auroradell'aperturadegliorcidesigna i Pithoegia,cioè il primo giorno delle Antesterie, la Festadeifiori celebrata in Primavera ad Atene e in molte altre città ioniche (cf. Thuc. Il 15, 4) in onore di Dioniso: vd W. Burkert, Homo necans (Berlin - New York 1972), pp. 239-255. Durante i Pithoegia,gli orci d'argilla - che eranostati sigillati dopo la fermentazione del vino venivano aperti nel santuario di Dioniso Limnèo (cf. Cali. Hec. fr. 305 Pf. = 85 H.) e si beveva il vino mescolatocon acqua in onore del dio: cf. Pbanodem. FGrHist 325 F 12 coo il comm.di Jacoby. Si ttauavadi una giornata preliminare rispetto al giorno pià importante delle Antesterie, cioè i Choes (vd. il comm.al v. 1 s.). Sul piano strutturale, è interessante notare che le feste attiche menzionate nei vv. 1-4 riguardano tutte il vino: in questo modo, C. crea lo sfondo per l'ampia sezione dedicata a quest'argomento poco pià avanti (vv. 11-20; vd. soprattutto la fine del comm. al v. 3 s.). Pià in particolare, un'allusione ai Pithoegiacompare nel v. 20 (vd. il comm. ad loc.). iicb,où&è ,n8o,yk ... 061' IS-r&: Per l'equiparazione di un sostantivo e di una proposizione temporale, cf. Jr.50, 63 s. con il comm.Per il valore di on come illud tempus quo, cf. Cali. Hec. fr. 260, 64 s. Pf. SH 288, 64 s. fr. 74, 23 s. H. ot · oùxÉn xt'ipte con il comm. di Pf. &aypoi I 1p1~T1tÉmv -lime où&è ,n8o,'fk: Per l'ordo verborum,cf. (Cali.) fr. inc. auct. 760 Pf. I T{puvc où6É fl fElXOC. qcft,: La parola sembra indicare genericamente il giorno, come talvolta già nei poemi omerici (Il. I 493 al.); presso i poeti pià tardi, essa puòdesignareaddirittura l'ora del ttamonto (cf. Musae. 110, 288). Ma forse in questo caso l'impiego del vocabolo è specifico e si giustifica in relaziooe all'antica aooologia religiosa. SCCODdo la quale un giorno iniziava la sera
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CALLIMACO-AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
e si concludeva al 1ramonto dell'indomani: qui, pemò, iimcpuò riferirsi in particolare alla seconda parte dei Piihoegia, dopo la notte. Vd. anche il oomm.al v. 4 ipcioc. 1n80\yk: L'aggettivo è un hapax. 1 s. 003. O'f& 3ov1.cn.c I 1uuxp 'Op&e'f&\O\ 1.avd,v èiyovu xoec: Pollide non dimenticava di celebrare i Choes (= Boccali), cioè il SCCX>Ddo giomo delle Antesterie, istituiti quando Oreste giunse ad Atene per purificarsi del matricidio: per gli schiavi, questae.rauna giornata fausta (~µap ... À.Euic:ov), perché essi godevano di particolari licenze. I Chots erano il giorno più importante delle Antesterie. Il loro nome deriva dal fatto che, mentte di consueto il vino e l'acqua si irovavano in un cratere ed erano versati dai mescitori nelle varie coppe, in questo caso ogni partecipante alla festa sedeva a UD tavolo singolo e aveva UD boccale (xouc) privato, contenente la sua porzione di vino e acqua. Si svolgeva allom una gara: coronati di eden. i partecipanti bevevano in silenzio, riempiendo le loro coppe ciascuno dal poprio boccale; vinceva la competizione chi perprimo svuotava il xouc.. Secondo il mito, la peculiare celebrazione ebbe origine quando Oreste arrivò ad Atene per purificarsi dell'assassinio di ClitenDestta (cf. qui 'Opuu\o\). La storia è narrata dallo stesso Oreste nell'Ifigenia in Taurilk di Euripide (vv. 949-960): quando l'eroe giunse in città, gli Ateniesi lo accolsero nello stesso edificio dove essi banc.benavano, ma - per non essere contaminati dal suo delitto - gli diedero una tavola a parte e non gli rivolsero la parola, facendolo mangiare e bere da solo; in quell'occasione, gli Ateniesi ebbero ciascono un recipiente e.be conteoeva la medesima quantità di vino, inaugurando cosi l'usanza Ulteriori informazioni sonoofferte da Fanodcmo (FGrHist 325 F 11): quando Oreste arrivò ad Atene, il re Demofonte lo accolsein città, ma.per impedire che egli si acooscasse agli oggetti sacri e si unisse alle libagioni comuni prima di essere sottoposto a giudizio, fece chiudere a chiave i saai utensili e darea ognuno dei presenti un boccale privato; Demofonte disse anche e.bechi avesse per primo svuotato il boccale avrebbe avuto in premio una focaccia. Secondo Apollodol'o (FGrHist 244 F 133 ap. Schol. Aristopb. Ach. 961), il re ateniese in questione non en. Demofonte, ma Pandione (vd. il comm. di Jacoby al puso citato di Fanodemo): all'arrivo di Oreste, gli Ateniesi stavano celebrando la festa di Dioniso Lenèo; Pandione, per impedire che l'eroe attingesse al aatae comune e per evitare allo stesso tempo che egli si rammaricasse di essere l'unico a bere da solo, fece dare a ogni convitato un boccale singolo. La medesima versione è offerta dallo scolio a Aristopb. Eq. 95 (qui, però, si dice genericamente che gli Armiesi stavano celebrando una festa pubblica). Come scrive C., i Chots erano un giorno fortunato per gli schiavi. Varie fonti, infatti, attestano e.be durante le Antesterie essi godevano di speciali libertà: Antigono di Caristo ap. Atbeo. X 437 E (p. 126 Wilamowitz) tramanda che il filosofo stoico Dionisio Eracleota (SVF I p. 94. 24) festeggiava i Chots insieme ai servi; Proclo (in Schol. Hes. Op. 366) scrive che durante i Pithotgia era illecito impedire ai servitori e agli stipendiati di gustare il vino; in un'isaizione di Eleusi (/G IlJill21672. 204) sono notificate delle spesesostenute per schiavi di stato in occasione dei Chots. Il fatto che le Antesterie rappresentavano una piacevole ricmrenza per gli schiavi è alla base del proverbio 0vpmçe KiìpEt, oùic:l,;· Av8«'f11pux,secondo una delle due spiegazioni offerte da Zenobio (Ctnt. IV 33): durante le Antesterie, i numerosi servi provenienti dalla Caria si divectivano e non lavoravano, sicché, quando la festa fmiva, con quella frase li si esortava a riprendere le loro mansioni. L'altta interpretazione fa dei Cari gli antichi abitatm di una parte dell'Attica: nel corso delle Antesterie, essi venivano ammessi a libare in città e nelle case, ma poi - a festa finita - con quella frase erano scherzosamente esortati ad andare via. O. Crusius, Analtcta crilica ad Parotmiographos Graecos (Lipsiae 1883), pp. 48 s. e 146 ritiene cbe eottambe queste spiegazioni rispeccbino una tradizione antica e degna di fede, che egli fa risalire all'attidografo Demone (IV-m sec. a.C.). Il proverbio ci è anche pervenuto nella versione 9'6paça Kijp«, oùic:i't' 'Av8«fllpux (d. p.es. Suid. s.v. &upmçe),secondo la quale le anime dei morti si aggiravano per la città durante 0
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le Antesterie e, quando la festa finiva, venivano mandate via con quella frase: ma Crusius reputa questa fmoa del proverbiom'aggim1tatarda.iDlrodoUafme da Didimo in polemicacon Damone. La presenza della variante K;jpEc si spiega alla luce del fatto che i Chots in partioolare erano considerati un giorno di COPtaroioazione, durante il quale le anime dei morti risalivano sulla teaa ed era necessario esorciu.arle fin dal mattino, masticando le bacche di un particolare arbusto e ungendo le porte di pece (cf. Pbot s.v.111.apàiJµÉpa). Come si è detto nel comm. al v. 1 iicòcoù6È 1n8otylc ~av8avev, le feste attiche menzionate nei vv. 1-4 riglWdaoo blue il vino e anticipano l'ampia sezione dedicata a questo tema poco più avanti (vv. 11-20; vd. soprattutto la fine del comm. al v. 3 s.). 21!11&11p ... 1&u1c:ov:L'uso dell'aggettivo tEu1eoc insieme a parole che significano giorno ooo il senso di/tllUlo è, a quanto pare, una formula attica, della quale C. fa uso anche nel primo giambo (fr. 191, 37 Pf. 4Eu1c:1àciJJLÉJpac):cf. Aesch. Ptrs. 301 tEu1eòv ii11ap, Sopb. Ai. 708 s. MU1eov... I .•. ~ I, TrGF 6 4EU1C11Y iJµÉpav (con il comm. di Pearsoo), Eup. PCG 182, Men. .fr.260 KOrte-lbicdelder, Cat. VIII 3 e 8 candidi ... so/es I; ma cf. già Hippoo. fr. 41, 1 W. = SI, 1 Degani 1.wx:oKEKMviJ11ÉPT1v, Il valore traslalo dell'aggettivo MUICocsi trova anche presso Cali. ~r. 122 s. MUICÒviczp, MUICÒv6È 8ipoc 1Caì.XE\JUX ••• I ... ICUÌ. .OtvoKcopov (vd il comm. di Hoptiosm). 1beocr. xvm 27 MUICÒY fmp. Per li!LUP, vd il comm. al v. 4 ~oc. 'Opk-ra,o,: L'aggettivo è impiegaaoda Sopb. El. 1117. 3 •· 'l1C11pfou 1c:11ls11,&l,c ciya,v isbau,y Uf\C"r6v, I 'A-r8(uv oln(cfll, cbv tptioc, 'Rp,y6Y'I: Pollide tiene il suo baochetto (cf. v. S) in occasione della festa il suicidio ID'PJaledeaa Aiora (= Allalena) o Aleti.r(= Vagabonda),ceJetnla perc:ommanorare di F.rigooe,figlia di lcario: le faoàulle atenit.si la compatiroDo oosl tanto che, seguendo il suo esempio, si uccisero io massa La storia di Icario ed Erigooe e ristituzione della festa sono D8ffllle eSff!S8D>eDte da Igino nel Dt astronomia (Il 4, 2-S). Icario • eponimo del dano attico di !caria• ospitò Dioniso e ne ricevette in dono la vite, con la quale fabbrioOil vino. Quando egli offri a dei contadini la nuova bevanda DOD mescolata con acqua. questi si spaventarono dell'ebbrezza e lo uccisero, coovioti di essere stati avvelenati. F.rigone,la figlia di Icario, vagoper luogo tempo alla ricen:a del padre scomparso, ~ il cane Mera la condusse fino all'albero sotto il quale quello era sepolto. La fanciulla, disperata, si impiccOalla pianta e il cane la segul nella morte. Zeus (o Dioniso) li trasformo bitti io stelle: Icario in Boote. Erigooe nella Vergine e Mera nel Picmlo Cane (Procyon o Canicola). Intanto molle fanciulle ateniesi si impiccavano senza apparente motivo: infatti Erigone, prima di morire, aveva prcgaaoche le figlie degli Ateniesi perissero nel suo medesimo modo, se la morte di Icario DOD veniva vendicata. Fu allora intenogato Apollo, che ordinò di soddisfare la volontà di Erigooe. Poiché la fanciulla si era impiccata, gli Ateniesi crearono UDO sbUIDeotoche permetteva loro di ondeggiare io aria e simulare le oscillazioni di un cadavere sospeso: si tratta dell'allaltna (io Greco aici,pa, dal verno cì&ipm), costituita da una tavola attaccata a due corde pendenti. Ebbe cosl origine un rito annuale, che viene anche cbiamato cv..;j'tlc,cioè vagabonda(dal verno cil.ao11Ul),perché F.rigooepellegriDO a bmgo io cercadel padre. Secondo E. Maass, Anakcta EralOnhenica (Berlio 1883), pp. 76 s. e 121, il racconto di Igino deriva dal J'OC'DCtt0 Erigone di F.ratostcne(cf. CA.{rr. 22-27 e forse 31 e 36 pp. 64-68). Maass congetturava anche che la figura di F.rigooe figlia di Icario fosse un'invenzione eratostenica, ma la pubblicazionedel nostro frammentoba dimostrato che F.ralosteoeaveva UD precedente io queslOdistico callimacbNJ·vd io proposito Pf., Kallimachosnuditn pp. 102107. secondo il quale (p. 106 s.) la comparsa del personaggio pottebbe risalire a un Aaidogmfo, probabilmenteFaoodcmo.Sappialooanche che un Teodm> di Colofooe, aoteriPtarninate
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dal fatto cbe Oreste si trovava sotto il loro medesimo tetto -, ma le avvolsero intorno ai loro boccali e le portarono alla sacerdotessa che presiedeva al santuariodi Dioniso Linmeo (cf. Cali. Hec. Jr. 305 Pf. = 85 H.). Subentra a questo punto una testimonianza di Teopompo (FGrHist 115 F 347), che sembra riferirsi al giorno succesivo, cioè alla seconda parte dei Chytroi: semi di ogni tipo (itavuu:pµia) venivano cotti insieme in una pignatta (xutpoc) e, una volta ammorbiditisi, eranoaddolciti con miele; tutti in città mangiavano questo cibo, a eccerione dei sacerdoti, che compivano un saaificio per Ermesctonio; si riteneva che il rito fosse sorto silbito dopo il diluvio universale, quando gli uomini ricominciarono a nuttirsi con i frutti della tena.
Sia che si ritenga l'Aiora/Aletis una festa diversa dalle Anteste.rie sia che la si consideri inclusa in queste, è interessante nowe che essa - collegata come i Pithoegia (v. 1) e i Choes (v. 1 s.) al tema del vino - aea lo sfondo per l'ampia sezione dedicata a tale argomento poco più avanti (vv. 11-20). Come ha messo in luce Scodel p. 38 s., la follia dei contadini che uccisero Icario sotto l'effetto del vino dimostra quanto sia importante la moderazione nel bere (vv. 11-20). Scodel p. 40, inoltre, accoglie l'identificazione dell'Aiora/Aletis con i Chytroi e riconosce un legame fra l'elogio calliroacheo della À.uX1J mescolata al vino (vv. 15-20) e la collocazione del banchetto di Pollide nel giornodei Chytroi,non in quello dei Choes, allorché come si è detto nel comm.al v. 1 s. - bisognava bere in assoluto silenzio e si svolgeva una gara di velocità nello svuowe i boa:ali. 3 11e11pfou 1e11(:Per la posposizione di 1eai, vd il comm. al Jr. 1, 15 MaccaJyha1 LICJ~l.
11e11p(ou ... a111.l6c:Per questa designazione di Erigone, cf. Parth. (?) SH 633 taùpocxa6a Potpuv 1icapuovb1ct con il comm., Maxim. De action. ausp. 492 I 11eapwu ICDUpr). iaé~•1.ov ciyuTltv: Cf. Cali. Hec. fr. 264 Pf. = 83 H. con i comm. my1.u'6v: D vocabolo è UD hapax. C. impiega frequentemente sostantivi in -ri>c: vd. il C01DD1.alfr. 12 l,lO.CtuOC •.. IU.T1tul. 4 còv •cioc, "Hp1.y6vT1:Si tratta del giorno festivo in onore di Erigone: per 'ÌjP4C11'apu:i6oc I. un'espressione simile, cf./r. 23, 10 41JQV' .«ioc: La parola qui significa giorno, come p.es. presso Acscb. Pers. 261 e lo stesso Cali. Dian. 182 tà 6È ipaea 1,LT11CUVovta1 I, Cer. 82 o 6' ÈvvÉa ipaea iceita1 I (vd. i comm. di Bommann e Hopkinson). Con raffinata variatio, nel giro di soli quattro versi C. impiega tre vocaboli differenti a proposito delle tre giornate festive: iicix(v. 1), 11!,LCIP (v. 2) e ipaoc. 5 01LT18Éac:Pollide invita al banchetto persone che hanno i suoi medesimi usi: vd. Wcbea-p. 229 s. La parola 011118,ic ricero
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che blandisce lo schiavo con parole gentili. Mentre, quindi, il piacere del vino dipende dall'intervento dei servitori e si ottiene attraverso un processo faticoso e piuttosto disonorevole, la gioia della conversazione deriva dalla libera scelta di C. e del mercante: senza avere bisogno nel vino (cf. v. 20). degli schiavi, essi stessi (cf. v. 17 'IP.f.~) versano la l.ÉcX11 Questi versi sono imitati da Nono. Dion. XX 5-8 à.puòp.Evo1 6è: 1euKal.otc I oivax601 p.oyÉu1eov ci).co1p11-ccp ,capà 6dKvcp I 1eaì. KA.Éovaiti~u1eov ÒKcxovac olvov ciipuccElv I 6a1"tup.ovu caivovuc (vd. P. Mass, «Byz.-oeugr. Jabrbb.» 4, 1923, p. 266 = Kltint Schrifttn, MUochcn 1973,p. 165). 17 qpunfipaçn: Sono i vasi ptr attingtrt: i mescitori (cf. v. 18 oivox6mv) attingono con essi dal aatere il vino per i baocbcuanti. La parola ricorre presso Aie. Jr.58, 9 Voigt e
San. fr. 25 w. ,opabuu Già oeU'Odissta omericail verbo è impiegato a proposito del vino bevuto in
un banchetto (IX 9 s.): p.É8u 6 • ÈK KP11't1ÌPOC ciq,uccmv I oivox6oc ,opqiu
1eaì é-yxdn
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6eKauc\. Per le frequenti riprese dell'Odissta nei vv. 7-'J.Ddi questo frammento, vd la fine del comm. al v. 9 s. 18 s. o'ÙiSÉIL}Y fJç q"t[Ev&i)ç Ò•R'QUC OÌYOXÒCDYI CIÌfllCB\C opoCD[Y) ijt' ilau811poc cit-t9LÉvcx ,a{vai: P. Corssen ap. Malten pp. 164-167 suggerisce di vedei'e una connotazione erotica negli sguardi e nelle blandizie che i convitati rivolgono agli schiavi mescitori di vino. In favcn di quest'ipoteSisi possono fare due ouervaziooi: 1) Il verbo caivco viene adottato in un contesto pederotico da [Theogn.J 1327 s. J, Kai, ECOc &v exnc À.eiav yÉvuv, ounon: caivcov (e· aivéòv vtl e· aitéòv coni. Orelli) I nauco11a\. 2) L'espressione ~J[EvE'i)~Òtpp'(,ac(per la quale vd. il comm.al v. 18) ba dei paralleli in epigrammi dove sono desaitti gli atteggiamenti sprei.zantidi fanciulli che respingono le avancts dei corteggiatori: cf. Dioscorid. Anth. Pal. xn 42, 3 = HE 1525 I icaì. uuyv"v ÒtppucovÀ.uu\C -rac\v e Stral Anlh. Pal. XII 186, 1 cixpi -rivoc-raU't'llv'tTIYòcppua 'tTIYintÉpox-rov;Tuttavia, come osserva lo stesso Malten, un'interpretazione erotica del nostro passo presupporrebbe, nella scena lrallCggiala da C .• unadisaezionecosi fone da sconfinare nell'oscurilà. 18 JL1v:Il pronome si riferisce alla À.ÉcX11 (cf. v. 16) e dipende dal verbo cxiniuK (v. 19). ,k: La preposizione dipende dal verbo opoco[vJcv. 19). cit[•v•tk ò•11"9ac: Grenfell e Hunt propongono in alternativa ~J[pqu'ik, q.J[poJLOuko ~J[pé>7tou)~ (vd. app.). ma ~J[eve'ik è certamente il supplemento preferibile. In primo luogo, infatti, la corrtptio di una vocale davanti a muta CUI liquida all'iDtaoo della medesima parola (in questo caso ~Jlp-) è un fenomenoprosodicomolto raro nella poesia di c. (vd. 1111Tod. m2.B.b.). In secondo luogo, l'espressione sopracciglia ttst (~1[11v11'i)ç) rende bene l'allerigia degli schiavi, che si sentono importanti ~ regolano a loro piacimento la mescita del vino: cf. Poll. Il 49 -ràc Òtppuccxipcovo i>Kep-q~voc... ii àvÉÀ.lcmv ii àvcxuivmv. In terzo luogo. àuV11c si trova spesso riferito agli occhi e allo sguardo: cf. Aristot. Hist. an. 492 A 'tC:ÒV 6· òip81XÀ.Jléòv ... àuveic, Machon 127 Gow 6e6opiccòcàuvu, Jr. tleg. adesp. SH 910, 2 àuvu PMKE[,Polyb. XVIIl .53,9 PUxcov ... àuvu., Lucian. lcaromen. 12 't11Y0'1'\V ic 'tÒ àuvÈc CXlt1)p1!.lCCXJLTIV, Dial. dtor. IX 2 àuvÈc ~uopcx ù Èp.É,Dion. Hai. Ani. Rom. V 8, 6 -rò àuvÈc 'rijc o•l!.mc,Synes. HytM. I 123 Lacombrade àuvÈc 6È 6pcxlCElV. Cf. inoltre Posidipp. HE 3173 1-ràc àuvitouccxc ... icopac I e Greg. Naz. Carm. I 2, 1.5,4 (PG 37 p. 766) òcppùvP.IX'l'i6UDC 'tElVOlll!.V iJJLÉpU>l (nOICvoleperla prescma di ò.-.,uv; cf. anche il passo di Stratone riportato nel comm. al v. 18 s.). Espressioni opposte a quella di C. compaiono presso Eur. lph. Aul. 648 p.É8ec vuv ÒtppÙvOJLJLIX -r' Éicuivov •U.Ov, Dioscorid. Anth. Pal. XII 42, 3 = HE 1525 (riportato nel comm.al v. 18 s.) e Lucill. Anth. Pal. X 122, 3 icai cou 'tTIVÒcppùvICIXl 'tÒY-rucpovICa'taKaUCEL olvox6mv: Per la posizione melrica, cf. Strat. Anlh. Pal. xn 194, 2, Paul. Sii. Anth. Pal. V 266, 6 = 72, 6 Viansino, Agath. Anth. Pal V 261. 4 = 79, 4 Viansino. 19 à-tJL&vcx: La parola (che significa schiavo) è probabilmente di origine miaasiatica e non risulta attestata prima di questo luogo: vd. Bredau p. 88, l'app. delle fonti e il romm a Call. fr. inc. std. 501 Pf., E. Fraenkel, «Gnomon» 21 (1949), p. 39 e Frisk s. v. Cf. poi Dionys. Bass.fr. 19v, 29 Livrea CX'ttJÉ[vu•con il comm. La forma parallela ci-rp.evocè impiegata da Archiloco (Jr. 264 W.) e forse dallo stesso Call. fr. inc. sed. 501 Pf. (vd il comm. ad loc.): può darsi che il doppio accento a-riuvcxnel papiro dipenda da una confusione fra à-r11iive ci-rp.evoc(vd. app.). Esistono anche il veibo à-r1,Uti>m (Mcnca. Epb. SH 546, Nic. Al. 172), l'aggettivo à-r11Év\oc(Nic. Al. 178, 426) e il sostantivo ii-r11evia(Maneth. VI 59, Paul. Sii. Anlh. Pal. IX 764, 8 -=12, 8 Viansino). ca(va1.:La costruzionedel veibo con 1'ac:cusativo nel senso di blandirtè già pressoPind. Pyth. I .51s. iv S69lC1U:Il soggeUO di paÀÀO>JLIIV è 20 l5u11ai9LaVIIIMK&I. ,up9LIIICOV ii"'iç (v. 17), l'oggetto è -i11v(v. 17), cioè la ÀÉcX'l (v. 16): C. esorta il mercante a meuae insieme a lui la cx,ovcnaziooenel vino, CClllle un antidoto che mitighi l'aspema della bevanda.
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C. si ispira qui a un passo dell'Odissea omerica (IV 220 s.), dove Elena - per alleviare il dolore di Menelao e Telemaco che contemplano le tristi consegueou della guerra di Troia versa nel loro vino una droga egizia (forse oppio), che fa dimenticare i dispiaceri, l'ira e le sventure: aù·d,c" cip" Eic olvov Pa.ÀE q,cip1ux,cov, Év8Ev É,nvov I v1pttv8Éc t" iixoAov u, ,ca,céi>v Ènv.:q8ov étncivtmv (per le frequenti riprese dell'Odissea nei vv. 7-20 di questo frammento, vd. la fine del comm.al v. 9 s.; più in particolare, un altro riferimento all'Elena odissiaca compare nel v. 13 s., vd. il comm. ad loc.). Come il q,apµa,cov di Elena mitiga lo strazio degli eroi, cosl il q,cipµa,cov di C. e del mercante - cioè la conversazione - tempera la barbarie e la noia delle bevute di vino silenziose. L'equazione ÀÉcxri=q,apµa,cov ha un precedente presso Menandro (fr. 518 K6rte-Thierfelder), che definisce q,cipµa,cov il Àc:ryoc, perché serve a guarire dall'ira: cf. poi [Men.] Sent. 46; 437 = fr. 6, 11 Jaekel; 439; 476; 840; frr. 6, 3 e 16, 3 Jaekel, ComparatioMtnandri et Philistionis II 184 s. Jaekel (a proposito del À.oyoco del ÀDY1c11oc che curanol'ira e il dolore). Un analogo traslato della parola .«PSLaKov compare ancora presso Cali. Ep. XL VI 4 Pf. = HE 1050 li Kavax:èc Kcxvtmv 1papµax:ov ci cotp(a. Sebbene, dunque, l'idea cbe il dialogo è un .,apJlCXKovsi rintraccigià presso Menandro, C. è del tutto originale nel fare della conversazione un antidoto contro il vino. In questo modo, egli ribalta allusivamente il topos letterario secondo il quale proprio il vino è il 1papµax:ov degli affanni che procma la gioia: cf. Alc. jr. 335, 3 s. Voigt .,cipµa,cov 6 • apluov I olvov ÈVE\1CaµÉvO\C µe8uc811v, Ionjr. 26, 9 s. w. = 1, 9 s. Gent-Pr. I vmap .•. I ~uvòv tOU I (scii. i\ xa{ptlV tpapµa,cov aùto1puÉc, Eur. Bacch. 283 où6 • É.ct' iiÀÀD tpapµax:ov KOVCDV olvoc), Plat Leg. 666 B t;\c tou "flipmc aÙC'tflPD'tfl'tOC.•. tÒv olvov fCXPSLaicov.Vd. in proposito Scodel p. 38. Il pentametro ca1JirnarJieo, come si è visto, esibiscela sua dipeodeoza da Hom. Od. IV 220 s. Ma Merkelbacb, Notiz ha scoperto che qui C. allude anche all'invocazione rituale pronunciata dmante i Pithoegia, primo giorno delle Antesterie (vd. il comm.al v. 1 iicòc où6È ,n8ol-yk È~av8avev): cf. Plut. Quaest. conv. 655 E: tou vÉou oivou "A8iiY11u... i:v6ex:ci'tll 1111vòc"Av8Ectf1pléòvoc icai:cipxovtal, Ill8o{-yw 'tT)ViJµÉpav icaÀDuvuc· icaì. KcxÀal y· ci>c Éouc:ev euxovto, tou oivou npì.v i\ ltlEiv IÌKoc,tÉv6ovuc, à:PMPiiicaì. cmnjplov aùtoic tou tpapµa.Kou 'tT)Vxp;\uv -yevÉc8al. Una volta aperti gli orci del nuovo vino, i partecipanti alla festa pregavano che l'uso di quel veleno (1pcipµa1Cov) fosse per loro innocuo e salvifico. L'allusione, com'è chiaro, gioca sull'ambiguità semantica del vocabolo tpapµa1Cov, che può significare sia antidoto sia veleno. Quest'ultimo senso corrisponde alJ'immagine del vino che compare nella storia di lcario ed Erigone, aition della festa dell'Aiora/Alttiscelebrala da Pollide nel suo banchetto (cf. v. 3 s. con il comm.): i contadini attici uccisero Icario percbé aedevano di essere stati avvelenatidal suo vino. xa1111téìn... 1r6p.an: Cf. [Theogn.] 838 µÉ8uuc XaÀEK1)I. K6SLan:In àmbito poetico, la forma 1toµa (al posto di •m11a) viene usarada Pind. Ntm. m 79 (vd. Scbmitt p. 157) e poi a partire dagli scrittori ellenistici: cf. p.es.jr. tpigr. adtsp. FGE 1727 = SH 918, 10, Nic. Al. 105, 299, Manetb. Ili 71, Pamprep. fr. 3, 177 Livrea, Nono. Dion. m 86 al., Paul. Sii. Anlh. Pal. IX 770, 2 = 16, 2 Viansino. 21 tt1Vf1v1c: Il mercante viene menzionato solo ora, ma C. ne aveva appreso il nome già nel v. 14: al contrario, l'etnicodell'uomo compare nel frammento ooo grande anticipo (vd. il CODlDl. al V. 8 vl~\OC). 21 s. ijcç [a] ~. 4p.tio •'! ,rapa 8ufLÒC CÌEDUCa\ I lzq{va,, t4&• fl.D\ 1[é]~ov [civa,pop.Év]m,: Cf. le parole rivolte da Teseo a Ecale in Htc. SH 285, 3 s. =Jr. 40, 3 s. H.: mì. cu [-ye] µaia I U~ov, ÈfftÌ. x:al ȵo]{ n •o8ìicÉo tut8òv CÌ1Couca,. 21 8u1,L6c: Vd. il comm. alfr. 2, 3. 22 izq{vu: Il verbo - che compare solo qui - è probabilmente imparentato con cìxilv/iixiiv (povero, bisognoso)cd esprime un desiderio ardente: secondo gli Etimologici e gli Epimerismi alphabetici s.v. )..{xvoc, esso corrisponde a È1n8uµtiv (vd. app. delle fonti). La
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forma omerica ixcxvamricorre in IL xxm 300 l'É"fa6p6p.ou ixcxv6oxav I (a proposito di una cavalla) e in Od vm 288 ixavocov .W>ffltOC iucuq,a.vou Ku8EpElTfC (a proposito di Arcs): la maggior parte dei codici offre icxcxv6cocavnel primo luogo e icxcxv6covnel secondo (da icxavcico), ma queste variae lectiones vanno probabilmente respinte. La forma ixcxvcicoè impiegata anche da Babrio (LXXVIl 2). Cf. Hesych. s.v. ixavav · i,n8ul'Eiv, yÀ(xu8a\, 8u..ElV, i161tc8ai,Steph. Byz. s.v. "Ixcxva· ... ixavav 6È tò àn8ul'Eiv. 1[é]~ov [civa,pofliv]an: L'integrazione di Glenfell e Hunt si basa su Aet. SH 264, 2 occa 6 • CÌYElpoµÉvcp cpiì[c]E,tci6 • &~EpÉCD (vd. app.). 23-26: Le domande erudite poste da C. a Teogene riguardano l'isola di Ico e sono preparale dalla comparsa dell'etnico "l!flOCnel v. 8 (vd. il comm. ad loc.). 23 s. Mupp.,36vmv itntava che a lco si veucraPeleo perché l'eroe morl in quell'isola, oppressodalla sfortuna e dal dolore. Quest'episodio è collega10 alla storia dell'inimicizia fra Peleo e Acasto, figlio di Pelia e re di lolco. Peleo, dopo avc:re inavvertitamente ucciso Eurizione duraote la caccia al cinghiale calidooio, si recò da Acuto per purificarsi del delitto. Durante i giochi funebri in onore di Pelia. la moglie di Acasto (chiamata .6.stidamia o Ippolita) si iooamorO di Peleo e cercò di sedurlo. Quando l'eroe le si rifiutò, la donna per ripicca disse al marito che Peleo l'aveva insidiata. Acasto, per vendicarsi. condusse Peleo a cacciare sul Pelio e, quando l'eroe si fu addormentato, gli rubò la spada e lo lascio del tutto indifeso, tanto che Peleo sarebbe stato ucciso dai Centauri, se Chirone non lo avesse salvato (Pind. Nem. IV 57-60, [Apollod.J ID 13, 2 s.). Peleo, insieme a Giasone e ai Dioscuri (o - come dice Pind. Nem. m 34 - da solo), invase Iolco e uccise Astidamia dilaniandola e facendo passare l'esercito auraverso i brandelli del suo cadavere ([Apollod.J m 13, 7). Molto tempO dopo, Acasto o i suoi figli Arcandroe Architele cacciarono il vecchio Peleo da Ftia. dove egli regnava (d. Jr.95); la notizia raggiuose Neottolemo a Troia, dopo la fine della guerra, e lo indusse a imbarcarsi in tutta fretta alla volta di Ftia: cf. Eur. Tr. 1126-1128 1taivcic nvac I IlT(M(l)Cci1eoucac cuµrpopcic, ioc viv x8ov6c I "A1tactoc È1tPÉPA.Tf1CEY o IlaÀfou yov6,, Schol. ad loc. o µÈ:v Eùputt61'(t UKÒ'A1tcictou 'PTfCÌ.Y i1tP1tPÀ;j,8cxitòv
IlT(À.Éa,2icì. 6È 01.rpauv UffÒtéòv 6uo aùtéòv Kcx{6cov'Apxav6pou ICCXÌ. 'Apx\tU..OUC... Schol. T Hom. Il. XXIV 488 s. "A1tactov 1CaÌ.toùc uioùc "Apxav6pov 1CaÌ. È~2A.11A.ci,8ai, 'ApxitÉÀTfv. Messosi in mare per farsi incootro a Neottolemo, Peleo fu costretto da una tempesta a sbarcare a Ico, dove venne accolto da wi Abante (cioè Euboico) di nome Molone e morl: oltre allo scolio pindarico riportato nell'app. delle fonti a questo distico, cf. Schol. Eur. Tr. I.I. (sl)bito dopo il tratto riportato sopra) 1CaÌ.v..86vta 2ic cincivff!uv tip NitoKtoÀɵcp 11pot1tA.81tiv 6ià XEiµéòva tji "IKrp (Kip codd.) tji viiup 1Caì.~evic8Évtcx u11ò MoÀCDvo, nvoc "APavtoc ÈKEi1CataA.ucaitòv Pfov, Aotip. Sid. Anlh. PaL VIl 2, 9 s. = HE 222 s. ICEu8ElI 1CaÌ.0Én6o, yaµÉtav à ppaxuPcoÀoc "IICOC.Un'esposizione molto scarna della leggenda è offerta da [Apollod.J Epit. VI 13. Su questo mito, vd. A. C. Pearson, The Fragmentso/ SophoclesII (Cambridge 1917) pp. 140-143. Una tradizione diversa compare presso Ditti aetese (VI 7-9), che - secondo Pearsoo (op. cit., p. 141 s.) - dipende dal Peleo di Sofocle. 23 éccijvm:Dato il contesto, la parola qui deve significare re, come presso Call. Iov. 66• (d. Et. Orion. s.v., p. 61. 13 Sturz, Et. Gen. B s.v. = Et. M. p. 383. 27 Gaisf.). Sono noti tre albi sensi del vocabolo: sacerdotedi Anemide a Efeso (Paus. vm 13, 1), re o regina
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dellt api (Schol. Call. lov LL, Suid. s.v., Et. Gtn. B s.v. = Et. M. p. 383. 31 Gaisf., Et. Gud. s.v., p. 539. 19 de Stef.) ed teista (Erodiano riportato nell'app. delle fonti, Et. Gtn. B s.v. = El. M. p. 383. 30 Gaisf. riportato nell'app.).Lo spirito aspro - che comparenel papiro ma DOD altrove - è stato ritenuto esatto da Pf., visto che gli Etimologici collegano il sostantivo (nel suo significato di ecista) a ECc.a1e a i.6puca1: in favore dell'aspirazione era già P. Perssoo, «Beitrage z. idg. Wortforscb.,. 1 (1912), pp. 358 sqq. Invece R. Mutb, «AAHG>t5 (1952), pp. 61-64, 123-128 non presta fede alle etimologie proposte dagli antichi (da ECc.a1o ""cxm o Éc.p.6c.) e reputa che la parola debba esse.resaiua con lo spirito dolce (vd in generale l'app.). Dopo C., il sostantivo ricorre spessissimo nella Parafrasidel Salltrio dello pseudo-Apolinario (p.es.Il 23), dove si trova sempre alla fine del verso(ùciiv) e designaDio: un elenco completo di luoghi viene offerto da F. Gonnelli, «SIFC» 81 S. m 6 (1988), p. 92 n. 7, che però esclude un diretto recupero da C., contro l'opinione precedentemente espressa da J. Golega, Dtr homtrische Psalttr (Ettal 1960), p. 55. "'({ Ka-tp,ov u]p.1u: L'integrazione di Greofell e Hunt può esseresostenuta dal confronto cf. Att. SH 259, con Call. Ap. 11 Èp.ot1tatpc:in.ovoutm I (vd. app.). Per la forma eolica up.111., 14 up.µ&,Ep. Xm 5 Pf. = HE 1191 uµp.1v. 24 n,.1écx: Per la quantità breve dell'alphanell'accusativo di una parola in -Ei>c,cf. gli esempiraccolti da Gow nel comm.a Tbeocr. VIII 87 àµo).yé.a. x:&c. ..Ix:m, ~uv[cì "ci 8uccx1,]x:cx: Il supplemento di Lobel (vd. app.) è molto plausibile: C. vuole sapereperché due terre diverse abbiano degli usi in comune(per il tipo di domanda, vd. il comm. alfr. 50, 86 Kpij(cc.av É]f?P""IY).A livello formale, cf. tp. odesp.App. Pian. 183, 1, dove un anonimo interlocutore chiede a una statua di Dioniso cbe cosa la accomuni alla vicina effigie di Atena: I ei.Ki,"i cot ~uvòv 1eat IlaUa6i.; x:lk: L'avverbio introduce spesso le domande di commuto eziologico: vd il comm.alfr. 5, 1. "'lx:muPer la quantità lunga dello iota iniziale, vd. il cornrn el v. 8 2S s. "e" &' ivex:ev t'li"'a,ov ,&( • .Ju1 [ ••• .]p"'o• lzovc11 I ijpmoc ECJ[8]6&ouKcx[ic.:C. pone a Teogcne un'altra domanda, che cenarnente riguarda ancoralco: nel suo quesito, egli menzionaforse unafanciulla (11:a[ico 11:a{p8Évoc) che t~ne una cipolla e parla della processione di un eroe (;jpcooc icq:[8]06ou, ma potrebbe trattarsi ancbe di 1CCJ(8'] ooou, ccme osserva Wilamowitz). Nel v. 25 le leuerc ]ptov sembranofar parte di un aco•sativo dipendente (come yiiu1ov) da lxouc.a: Grenfell e Hunt integrano a]p"'ov (pane). Malteo completa il verso con il supplemento i6" (l).).Ju1[1v ci]p'tov, basandosi su Hesych. s.v. Ellunc, secondo il quale la parola designa un tipo di focaccia: Pf. obbicua in primo luogo che quest'integrazione non si adatta allo spazio disponibile in lacuna, poi che iJ lemrna esicbiano deve essere corretto in iUu'tTlc secondo la grafia attestata nelle altre fonti (cosa che Latte fa nella sua edizione del lessicografo) e infine che la congiunzione i6É noo è mai impiegatada C., Apollonio Rodio e Teoaito. Da parte sua, Pf. propone di integrare 1ea]p"'6v,stctiwm porrum. Nel v. 26 Barigazzi suggerisce di supplire na[p8Évoc ityéna1 (ptrchl unafanciulla guida la processionedell'erot ttnendo una cipolla ecc.), sulla base di Ham. Od. xxm 134itTeu:8co ... ÒpXf18p.oio I e di Call. Del. 313 xopou 6 •itTT1cato.Vd app. A quanto pare, dunque, C. chiede perché gli abitanti di Ico, duranteun giornofestivo, commemorino la morte di Peleo (;jpwoc.)con una processione,nella quale una fanciulla porta una cipolla e forse del pane o un pono. Che l'eroe in questione sia ancora Peleo (cf. v. 24) è molto probabile, pen:hé- comeosservaPf. - la cipolla ba una grande imponanz.a cultuale nella città egiziana di Pelusio (posta sulla foce pii) orientale del Nilo), il cui ecista eponimo fu appunto Peleo. Per la fondazione di Pelusio da parte di Peleo, cf. Dion. Per. 261 I Il11À.ijoc 7t'tOÀlE8pov i11:ci>Vuµov, Eustatb. ad loc., Arnm. Mare. XXII 16, 3; per gli onori resi alla cipolla dai Pelusioti - che rifiutavano assolutamente di a"barsene -, cf. PlUl ili Hes. Op., fr. 102 Sandbacb ap. Gell. XX 8, 7, Luciao. Iupp. trag. 42, SexL F.mp. Pyrrh. Hyp. m 224, Hieronym. Adv. Iovin. Il 7 p. 335.
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2S uv 3 • lv,nc:av: Cf. Aet. fr. 19 Pf. I uu 6è xap1v (all'inizio di un aition). Vd. app. alfr. 64, 8. Ti!-suov: Per l'impiego della parola (forma parallela di T118uov),cf. p.es. Aristoph. Eq. 677, Mel. Anth. Pal. vn 195, 7 = HE 4064•. Sul piano dei contenuti, cf. Call. fr. inc. sed. 657, 2 Pf. ciyÀ.(8mv... ,d.avov I, corona di capi d'aglio (nel culto di un personaggio sconosciuto). .26 xq[8]63ov: Vd. il comm.alfr. 65, 15. 27-29 ai36-sac: éc ivéso'f[Uv ... I xdv,av i\ sapi. c~v [ ... I 068' i!·dp,av lyvmxa: Come risulta dalle successive battute di Tcogeoe (vv. 32-34) e dalle imitazioni di Dionisio Periegete e Gregorio Nazianzeno (vd. oltre), io questi versi C. - sì\bito dopo aver dimosttato con le sue domande (vv. 23-26) di conoscere gli usi di Ico - aggiunge come dicono sapendo, cioè confessa che le sue informazioni si basano sull'autorità altrui. Il x:Etvflve o 8aÀ.ac:c:a:c. precisa di l'É'tÉP'IVdel V. 28 s. si riferiscono probabilmente alla parola aÀ.c: nonconoscerequel mareche circondalco («cheè intornoalla tua isola») ni un altro mare.Per il valore di questi versi (e del v. 32 s.) io rapporto alla biografia callimacb,.-1,vd. il comm.ai frr. 89-96. Per lo saupolo documentaristicodi C., cf.fr. inc. stll. 612 Pf. cipup'tupov où6è:v CÌE~(I)
I.
Malten p. 171 suggerisce di vedere io &W0'tlEL à,c.ÈVatoV[UV un'allusione agli 1x:uxxa di Fanodemo, che sono forse la foote di C. per le usanzedi Ico (vd. il comm.ai frr. 89-96). Invece Pf. ritiene cbe Ei66uc si riferisca ai naviganti stessi e propone delle raffinatissimP. integrazioni e.g. (vd app. ai vv. 27 e 28). Pf. ba ricooosciuto cbe il modello formale di questi versi è un passo dell'Iliade mnerica (IV 374 s.). dove Agamennonerievoca il valore di Tideo: mc: .«ic.avo'i fllVi&v'to sovEUflBYov · où yàp eycoyEI iiv'tflc· où6è: wov (vd. Harder, UntroddenPaths p. 297 s.). Pf. ba individuato ancbe due imitazioni del luogo calJimacboo.La prima è un ampio passo di Dionisio Periegeta (vv. 708-717), che confessa di conoscere la geografia oon grazie a dei viaggi, ma per l'ispirazione delle Muse: cf. soprattutto v. 708 s. où flÈ:vi6Ò>vàxavEu8E xopouc où V11t s2p11cac· I où ycxpfl0l p(oc iui flE4alVIXCOV ÈKÌ Y'léòVe V. 715 s. CÌÀ.À.cx flE Mouccxcov ~pÉEl vooc, a'iu 6uvav'ta1 I V0ClplV CÌÀ.'1flOCUY'1C 1tOUT1V aÀ.a l'E'tP11Cac8a1 (i vv. 709-711 si ispirano anche alfr. 254 Pf. = 41 H. dell'Ecalt: vd. i oomm.od loc.). La seconda imitazione si ttova presso Gregorio Nazianzeoo (Carm. I 2, 29, 141 s. = PG 37 p. 894) ed è puramente formale, perchési riferisce a un argomento del rutto diverso: à,c.ivÉxouuv I i6p1u, où yàp iyci,, 'tijc6Ex:ax:opparp('lc,Per la formulazione,cf. anche Eur. Tr. 686 s. riportato nel comm. al v. 33 vm,'tu~t'lc 2i vij1v ~XE1c Pfov e Call. Vict. Sosib. fr. 384, 47 Pf. 'tOU'toflÈ:vi~ ciUcov EICÀ.UOV ipòv Èym. 28 ii: Dato il precedente x:dv'lv, ooo è consigliabile saivere i\. come fanno Grenfell e Hunt (vd. app.). 30 oua-ia l'v8aic8a\ Po'f1l.01'Év[ol< civézmv: Concludendo il suo discorso a Teogene, C. dice di supplire alla propria inesperienzanella navigazioneprestando orecchioa quelli che desiderano raccontare:basandosi sulla testimooiaozadi Strab. IX 438 nav'ta 'tÒv Pfov (vd. app. delle fonti), Pf. ritiene che nel se.condoemistichio dell'esametto precedente ci fosse un'espressione del tipo ma per tutta la vita non smetterò di. Il supplemento P0\11.À.oµÉv[ 01L deriva dalla corruttelaJlouÀ.oflEVOc, presentenei codici strabonianie comunicataa Alla fme del verso, Pf. da E. Kapp (si osservi che già Wilamowitz aveva integrato po-y[À.Eo). Pf. propone di integrare civÉxcovo sapqcov o uKÉxcov(vd. app.). I tre supplementi sono rutti ammiuibili: per civixcov, cf. p.es. [Theogn.] 887, Aesch. TrGF 126, per xapÉxcovcf. p.es. Hippon. fr. 118, 5 W. = 129 a, 3 Degani, per u1t2xcovcf. p.es. Sim. PMG 543, 20, Greg. Naz. Carm. Il 2, 7, 28 e 204 (PG 37 pp. 1553 e 1567), Procl. Hymn. VIl 52. Per il concetto espresso, vd. il comm.alfr. 50, 16 ~x:ouaiL. 31 t[cxv-i '] il'é8av 1.itcxv-io[,: Il secondo emistichio introduceva il discorso di Teogene: il supplemento e.g. à1'2ifl61'2vocspocÉElltEdi Barigazzi (vd app.) fornisce il senso
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CALLIMACO- AITIA. LIBRI PRIMOE SECONDO
tjchiesto, beoché sia improbabile che C. facesse uso di questa foonula cmerica (cf. p.es. IL III 437). 32-34 'nP\CJll'U1CClp, li tscxvpmv ~L11h6c KC\ !LUCI, I VCIU"nJ)i.(11cBi ri\lY fLXB\Cp(ov· .u.• È1Lbccximv I 1CV9lC1C\YJ qdJ8u(11c 1Léf111ov Ècanx(cca"o:Le parole di C., che precisa di non avere mai viaggiato per mare (vv. 27-29), danno lo spunto per lo sfogo di Teogene: egli pronuncia un vero e proprio 11a1eaplc11oc del suo interlocutore e afferma, per contrasto, che la sua vita trascorre fra le onde pi~ di quella del gabbiano. Può darsi che quest'esclamaziooe acasseun aggancio con l'ailion del culto di Peleo a lco: infatti, comesi è detto nel comm. al v. 23 s., quell'eroe fu costretto a sbarcare sull'isola da una tempesta marina. Sui rischi della vita marinara, cf. già Hom. Il. XV 624-628. Per il motivo nell'opera di C., cf. Hec.fr. 629 Pf. = SH 286, 15 = fr. 47, 15 H. con i comm. La deprecazione del mare e dei suoi pericoli è un toposletterario: cf. p.cs. Hes. Op. 682-693 (vd. Reinsch-Wemer p. 383 s.), [lbeogn.) 1375 s., Lucr. Il 556-559, Hor. Carm. I 3, 9-24, III 1, 25-28, Epod. II 6, luv. XIV 267-302, Opp. Hai. V 336-349, Greg. Naz. Carm. I 2, 10, 461 s. (PG 37 p. 713). Per il valore del v. 32 s. (e dei vv. 27-29) mrapponoalla biografia di C., vd. il comm. ai frr. 89-96. 32 "LP\CJ,axcxp, li •cxvpav 4L11h6c ècu 1Lhcx:L'andamento del verso deve Aia1e{611ICCIÌtltpmcu: o>..lh.1n11>..eu. forse qualcosaa Hes. fr. 211, 7 M.-W. "PÌC fUXJICap Per la collocazione mettica di tplc11a1eap, cf. Paul. Sii. Anlh. Pal. V 255, 18 = 58, 18 Viansino. •cxvpmv ... 1Lh11:L'impiego di ll•ta con il genitivo non è comune m poesia: cf. 1beoa. XVI 61 e i passi raccolti da Gow nel comm. Cf. inoltre (Call.) fr. inc. auct.119 Pf. con il comm. 33 vcaun,)i.(,ic d vi\lv flx1\C,S(ov: Il modello è Hes. Op. 649 s., che afferma di non avere mai navigato, con la sola eccezione del viaggio da Aulide in Eubea: ouu n vcxuti>..{11c CICOtp\CllÉYOC ouu n Y1)iÌ>Y. I où yap KCD KOU Y1)ly' É1tÉ1t>..cov 1ÙpÉa KOV'tOV (vd Pf. II p. XXXIX e Reinsch-Wemer p. 384). Nelle Troianeeuripidee compaiono due versi molto mteressanti (686 s.), dove Ecuba dice di non essere finora mai salita su un'imbarcazione, ma di conoscere le navi solo per averle viste dipinte o per sentito dire: cxùtTtllÈv ou1tcovcxòc • É1tkta1Lal.La formulazione è molto simile 1idlh1v c1ea.cpoc, I YPClfll8 • illouca 1ecxì1e>..uouc ai nostti vv. 27-29. vcxun,'1,(,ic:La parolacompareuna volta sola nei poemi omerici (Od. VIII 253•). 33 •· ck11' ÈllÒC cxiév I 1CVll'CIC\YJ qdJ8u(,ic ll'ifL11ov Ècm\,c(ccx~o: I naviganti, che rischiano la vita fra le onde del mare,sono spesso paragonati ai gabbiani: cf. [HOI.D.) Ep. VIII vauta\ •.. uuyepfi ÉvaMyuo\ ai'.cn I lttCDICCXC\V aì8u{nu Pfov 6uc~11>..ov exovuc, AraL 296-298 r1eu..o\ 6È.1eo>..u11P(uv cxi8u(nuv I 1t0Wuc È1ev11ii>v1tÉ>..cxyoc KEP\KCX1tta{vovt1C I ij1L18'ÈK' aiyia>..oùc ntpa111LÉV0\,Cali. Ep. LVIII 3 s. Pf. = HE 1267 s. où6È.yàp aùtoc I ijcuxov, ai9u{n 8' tea 8cwxcco1topEt,Leonid. Tar. Anth. Pal. VII 295, 2 = HE 2015 iòv ai8u{11cn>..efovav11ça11EvovI (dove 1tldova richiama il nostro ll~Uov), Aelian. Ep. rust. 18 É1tlicu11ai{~E\1eaì >..apou p{ov ~ii-Negli epigrammi sepolcrali, i gabbiani sono i soli che fanno compagnia ai cadaveri dei naufraghi: cf. Glauc. Anth. PaL VII 285, 3 s. = HE 1817 s .• Leonid. Tar. Anth. Pal. vn 652, 5 s. = HE 2044 s., Mare. Arg. Anth. Pal. VII 374, 3 s. = GP 1395 s. Il gabbiano fa tipicamente parte del paesaggio marino: cf. Hom. Od V 352 s., Cali. Del 12 s. ai8u{nc 1eaì 11&).).ovÈ1t{8po11oc '1ÌÉ1tEp i'.1t1to\cI KOvtcpÈvECfflP\1Ctcx\ (a proposito di Delo), Ap. Rb. IV 966 s., Mnasalc. Anth. Pal. VII 212, 3 s. = .HE 2645 s., ep. adesp.Anth. Pal. VI 23, 2 = FGE 1103. Cf. anche Call. fr. inc. sed 522 Pf. Èç al.òc ipxo1L1vo\ I ... 1ecxu111eu con il comm.
COMMENTO: FRR. INC. UB. AEI. 89-95
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Per l'espressione i11òc cxùi>vI 1CUflCXC\Y J ••• Ècroudc11-co, cf. Opp. Hal. I 42 8u11òv Èv 11e-c'oi6JUXClY cix Èxì.111(11c I (in entrambi i passi oi611cxcw11iÈvéxov-cu I, m 38 11(11voY'tcx si parla dei pescalori). 34 'ICUflCU\YJ... ice\,cka.-co: Cf. Aet. fr. 67, 17 Pf. )cxc\Yrj>1dç[ca. .l (esametro). Un'espressione simile compare presso Euripide (Jr. 636, 5 N.2) o 1CUflcx-c· ohcéòvopvlc, a proposito dell'aquila marina (aÀ.\111uoc).Teogene dice «la mia esistenza si i stabilila tra i flutti,.: Hutchinson propone dubbiosamente la congettura 1CUflCXC\ 11·, in modo da avere «la mia esistelWl mi ha stabilitotra i flutti,. (vd. app.). qL lJ8u(11c: Il vocabolo - che compare una volta sola nei poemi omerici (Od. V 353) designa propriamente l'uccello cbiamarn berta,ma ba anche un significato generico, reso bene dalla nostra parola gabbiano:vd. W. lbompson, A Glossaryof GreekBirds (Oxfool 1936) s.v. ilcm\,c(ca.-co:Per la posizione metrica, cf. Call. Aet. fr. 75, 19 Pf.•, Ep. XXIV 4 Pf. = HE 1320 x11prpickcx-co•,fr.inc. sed. 617, 2 Pf. cpick11uI(?), Lav. 40 rpick11-co I.
Frammento 90 (179
Pf.) 7 )11-cpo.[: Pf. osserva che si pottebbe leggere e integrare uxÈ)p TpoU11c(vd. app.): il nessosi adaUCJ'P.bbe bene a Neottolemo (vd. il comm.alfr. 89, 23 s.).
Frammento 92 (181
Pf.) I vv. 4-6 desaivono fone l'approdo fortunoso di Pelco a lco (vd. il oomm.alfr. 89, 23 s.): a sera, Molone lo ospita nella sua capannacomestr01Wro.Ovviamente, data l'esiguità dei resti, si tratta solo di un'ipotesi molto incerta. 4 &del.o[: L'accento è garantito dal papiro (6Éw.o[). Il proparossitono 6dw,c significa vespertinooppure - con i)11Épcx souinteso - sera (d. anche Hec. SH 288, 55 =fr. 74, 14 H.), mentre l'ossitono 6eiù..oc significa pasto serale (cf. Hec. fr. 238, 20 Pf. = 18, 6 H. con il comm.di Pf.). 6 qu>i,fov: L'accento è garantito dal papiro (~u+fov). La fonna parossitona contruta con la regolare accentazione proparossitona (cxuÀ.\ov)e va probabilmente intesa come un ipocorismo: cf. Hcrodian. n. iccx8oÀ.. xp., Gramm. Gr. Ill 1, p. 360. 26 ss. Lcntz (con l'annotazione), Eustatb. p. 1337. 43 ùxò ... -rijc 11ùMjcicaì. -cò 11uÀ.\ovuttox:oplcnicéòcii ic11-càttllplX'J'aryTJY. Cf. anchefr. 28, 2 aùÀ.(a (con il comm.) e Dian. 93.
Frammento 95 (184
Pf.) où6' In riiv •8t:' où6Évmv). Contro il parere espresso in precedenza da Lobel, Pf. osserva giustamente che i 6ia 1th,vpa - in quanto ttasponati insieme alle cixapxai - non possono essereidentificati con le ci1tapxai stesse. Inoltre - come aggiunge Pf. - ooo è verisimile che il vocabolo 1tÉnupov indichi le misteriose primizie io questione. Infatti in primo luogo, nell'Altssandra di Licofrone (v. 884), la parola significa - come spiegano lo scolio s 3 e la Parafrasi - 1tÀ.auia ,av{c (tavola piatta). Io secondo luogo, nelle epigrafi del IV/III sec. a.C. provenienti da Delo, i 1tÉnupa SODO tavolette di legno sulle quali si scrivevano gli editti, le spese, i nomi dei debitori e cosl via: cf. IG XI (2) 145. 44 1tÉuupa dp À.Oycp,«BCH» 32 (1908), p. 484. 55 xiuupov ,:aie 61[qyu'l)cEC1 con il comm. di E. Scbulbof a p. 487. In altre iscrizioni delie, queste tavolette per i pubblici avvisi sooo chiamate \Euic:m1,1a"a(tavoltttt imbiancate con gtsso, cf. «BCH» 14, 1890, p. 510 or. 161 A 89, 113) o 6u..1:ol o ,c{vaic:u. Vd. anche V. Gardfhauseo, Gritchische Palatographie 12 (Leipzig 1911)p. 37 s., Wilamowitz, «Hermes» 21 (1886), p. 96 n. 1 = Kltint Schrifttn V 1 (Berlin 1937) p. 6 n. 1 (relaovamc:otea IG VII 235.
42). Sulla base di queste testimoniaoze, Pf. congettura che gli Iperl,orei portassero a Delo, insieme al tributo, delle tavolette sacre. Egli osserva inoltre che, se cosl è, ciò che scrivono alami autori - in merito a tavoltnt bronzee degli lpert>oreie a ttstimonianz.t su questo popolo presenti a Delo - potrebbe derivare (coo qualche modifica) da un'antica tradizione della e non essere del tutto un'invenzione tarda: cf. [Plat) Axioch. 371 A ix nvéòv xaÀ.1c:Écov 6u..1:cov U( il; 'Y1tEpj:\opÉcoviic:6111Cav'il1t{, 'tE ic:aì.'Eic:aÉPTII(Éic:aEpyEA: ÉlCCIEpyo,YZ Stob.), Porpbyr. Dt abstin. II 19 u11và 6' ~v ,:&,v 1tpìv i>1to11v1u1ai:aiv ~'l!Mt> il; 'Yx&pj:\opÉcov ci11aÀ.lo1p6pmv. Nel passo di Porf'trio, pero, non è certo che il vocabolo i>1to1,1v'l)1,1a1:a significhi ttstimonianzt scritte, commtntari: esso potrebbe anche designare degli oggttti provenienti dagli Iperborei o delle offtrte chericordano i saaifici primitivi (vd. J. Bouffartigue - M. Patillon edd., Porp'lryrt.Dt l'abstintnct Il, Paris 1979,p. 205 s.).
CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMOE SECONDO
422
z.eus
I due versi sono stati integrati t.g. da Barbcr (vd. app.); sarebbero parole di (vd. il comm. al v. 1), che istitul la legazione annuale delle fanciulle iperboree a Delo e precisò quali offen.e essedovesseroportare consé. 3 Éfllcux: Per l'impiego dell'aggettivo da parte di C., cf. forse Htc. Jr. 264 Pf. = 83 H. con icomm. 6 luc[m)a: ComeosservaPf., qui forse C. - diversamente da quanto fa nell'inno a Delo conF.rodotoav 33, 3-5 e 35) nel dire che in passato gli Ipeat,orei (vv. 291-299) - concorda inviarono dut voltt una legazione a Delo. Ma l'avverbio poteva venire impiegato in un altto contesto e forse - come nota lo stesso Pf. - era preceduto da un altto nmnerale (cf. fr. 25, 21 i:çciu 601ci = dodici). La parola 61ttciu ricorre pressoArat. 968, Aie. Mess. Anlh. PaL VII 429, 2 HE 91, Antip. Sid. Anth. Pal. VI 223, 3 HE 504, tp. OMsp.Anth. Pal. IX 20, 2 FGE 1321, Quint Smym. II 56. A1no11 .[: Ilfiglio di Latona è ovviamente Apollo. Per la forma del mall'ODimico, vd. app. 7 K)cxpàc 8s1nv llpCIIC& .[: Il nesso a)cxpb: 8i1uv significa contro giustizia, ma il papiro offre anche la varia lectioa)cxpJj.c(trasgrtdtndola giustizia).PuOdarsi che la 8quc sia violata contro il giuramento del v. 1. Se il verbo wpaxE è collegato a w:JapÈlc8qnv (guardò contro giustizia), forse questo veno anticipa il probabile tema dei vv. 26 ss.• cioè l'insidia mossada Orione all'ipetborea Upide e la suauccisione permanodi Artemide (cf. sopndblttO i vv. 26 e 29 e vd. il comm. introduttivo al nostro frammento). Per l'accento di a]upélc:,cf. Schol. (A) Hom. IL IX 7, che dipende da Herodian. Il. 1A.1111t11c w:p.,Gramm.Gr. m 2, p. 63. 5 ss. Lentz. Per il nesso 11:)apèx8ɵ1Y,d. Htc. fr. 234 Pf. = 8 H. Kcxpàxvoov•. 8 uta, 'YsapJlop,mv:Gli antichi ritenevano che la parola 'YK&pl5op&o1significasse coloro che abilano al di là di Borta (uw:Ép+ BopÉac): si diceva, infatti. che questo popolo vivesse a Nord del Monte Ripeo, dal quale spirava verso Sud il vento Borea (d. p.es. Pind. OL m 31 s. xdvav x8ova 71:YO\UlC ÒKi8&vBopÉcxI .,uxpoù e vd. il comm.al V. 9 'P1KU\OU••. ciK• oup&oc). Oggigiorno si tende a collegare il vocabolo alla parola montagna, che scmln esserealla Ime del nome di quel vento (coloroche abilanoal di là della montagna).Invece H. L. Ahrens, «RhM» NF 17 (1862), pp. 340-342 considerava "Y1t&pl5op&o1 l'equivalente macA"donicodi Ilgp.gpÉu: cosl si chiamavano, secondo Erodoto CTV 33, 3), gli accompagnatori delle fanciulle ipert,oree nella seconda legazione a Delo. V d. Frisk s.v. 9 'P1Kcxfou ... eia• oupaoc: Il mitico Monte Ripeo veniva collocato all'estremità settentrionale del mondo conosciuto. Il nomederiva dalle jn11:a((raffiche)del vento Borea,che secondo la leggenda - fuoriusciva dalle caverne di questo monte. Cf. Jlamactes FGrHist5 F 1, Ap. Rh. IV 286 s. (vd. app. delle fonti e il comm. di Livrea), Serv. in Verg. Gtorg. m 382; ma cf. già Hom. Il. XV 171 e XIX 358 p1~c ... BopÉao I. Per gli Iperborei e i monti Ripei, vd. A Kiessling, RE I A (1914) p. 857 s. Particolarmente vicino a C. è Antip. lbcss. Anlh. Pal. IX 550, 3 s. = GP 605 s. (che parla anche lui del rapporto fta gli Iperborei e Delo) ùUà xat 'Opn,y(11vdx&v ICMO', ouvoµu 6' aùtijc I ~PXE'tO'P11tawv ax,>1.L 'Y1t&pl5opÉo>v. Per il nesso 'P11tawu ... ri11:'oupEOC,cf. Ap. Rh. IV 287 I 'P111:afouÈv opuuv, Prq>.I 6, 3 Rhipaeos ... montis I, Lucan. m 272 s. vtnice ... I Rhipato, [Orph.) Arg. 1123 'P(11:awv opoc, Dion. Per. 315 I 'P111:afouÈv òpuu. Cf. ancbefr. 25, 3 C)&Uòc Èvì Tµupwu oupu1v con il cornm K&J11,Kouc1v: L'oggetto sono ovviamente le offen.e inviale a Delo, che dovevanoessere menzionate nel primo colon del v. 8. \Xl Ll&U~\ucx: La posizione metrica del nesso - impiegato da C. anche in Iov. 1~ deriva da Hom. Od. VI 94•: cf. poi Quint. Smym. m 91 • al. A quantopare,C. impiegava ~x1 senza iota sottosaitto, come poi Aristarco e Dionisio (Trace?,fr. dllb. 10 Linke): cf. SchoL (Aintt>n Hom. Il. I 607. Invece Apollonio Discolo (Gramm.Gr. II 1, p. 200. 19 Scbncida) ed Erodiano (Gramm. Gr. m 2, p. 519. 12 Lentz) saivevano fix1. Vd. Jan p. 82, K. Linke, Dit Fragmentetkr GrammatiursDionysiosThrax(Berlin - New Yodc1977),p. 40 s.
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COMMENTO: FR. INC. UB. AET. 97
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10 'l&psou,1v 11s,upu\ •oiPov òvoc•csy(ai. 1: Gli Iperboreisacrificavano asini ad Apollo: cf. anche Call . .fr. illc. std 492 Pf. •o'iPoc 'YKeppopÉcnuv ovmv ÈK\'tÉU.e'ta\ i.po'ic (citato da Clemente Alessandrino sàbito prima di questo verso, vd. app. delle fonti). Nel nostro esametto, C. dipende da un passo della decima Pitica di Pindaro (vv. 29-36, vd. app. delle fonti): né su navi né a piedi - dice Pindaro - si può trovare la strada meravigliosa che porta all'assemblea degli Iperborei(v. 30 I i.e 'YKeppopwv cxyéòva);ma un tempo Perseo giunse alle loro casee banchettòcon loro, trovandoli intenti a compiere splendidi sacrifici di asini in onore di Apollo (v. 33 s. I ic:À.ei'tàcovwv i:ic:ato11Pac ... 8eq, I péçovtac); il dio si rallegra sempre moltissimo delle loro feste e degli onori che essi gli rùervano (vv. 34-36 J>v 8aÀ.ux\C l111te6ov I eùq,a111a\C u 11al.iu· 'AKo)..)..(l)vI xa{pe\). I viaggi di un altro eroe presso gli Ipe.rborei vengono descritti da Pindaro nella terza Olimpica(vv. 14-35): si tratta di Eracle, che si recò due volte presso quel popolo e ne importò a Olimpia la pianta dell'olivo. Per quanto riguarda in particolare i saaifici di asini celebrati dagli Iperl>orei in onore di Apollo, cf. anche Simm. CA.fr.2 p. 110 (e forse Beo nel seoondo libro dell"Opv\8oyov{a, vd. CA p. 24) ap. Antonio. Lib. Fab. XX 5 (il contenuto di questo passo è riassunto nel comm.al .fr.50, 61 apKacov).
>..1.1uupu(:Per l'uso metaforico dell'aggettivo, vd il comm.al.fr. 65, 20 l.1Kap[•. ÒYoc•uy(Cll u La parola è un hapax. 11-14: Il fatto che il viaggio delle offerte iperboree sia ampiamente trattato da Erodoto CTV 33, 1 s.) e dallo stesso C. nell'inno a Delo (vv. 284-290) è servito da guida ai critici nell'integrare questi versi: ho scelto perciò di accogliere in testo alcuni dei loro supplementi, oonpmdeu:za 1Jlinorcdi quella in gentl'C raccomandabile. 11 s. 'E1>..11v]ev 'la TE spit'la De>..ucy1co\ [•E1101nijsc I l~ 'Ap1.JLu]csd11c &,1&qa'tC11. co[JLh[&ijc: Si comincia a descrivere il tragitto degli oggetti sacri: per primi tra i Greci, i Pelasgi Ellopi (cioè i Dodonei) li ricevono dagli Arimaspi, che - come vedremo - sono o una ttibà degli Iperborei o una popolazione mitica a loro vicina. In questo distico e nel successivo, C. menziona raffinatamente i due popoli in un ordine inverso rispetto alla rotta seguita dalle offerte (v. 11 s.: Dodonei - Arimaspi invece che Arimaspi - Dodonei; v. 13 s.: abitanti della Malide - Dodonei invece che Dodonei - abitanti diella Malide). Grazie a questo artificio, Dodona ccmpare sia nel v. 11 sia nel v. 14. L'integrazione 'El.l.iiv]mv di Lobel si basa su Herodot. IV 33, 2 i.pù ... Kpm'touc Am6mvafouc 'EUiivmv 6éic:u8a1 (cf. qui KpéÌ>ta). Il passo di F.rodoto è il modello di C. Ilùacyoi I ... Kol.ù anche nel luogo corrispondente dell'inno a Delo (v. 284 s.): ii Ac:o6coY118e Kpm't\C'ta 6éxoV'ta\ I (cf. qui 7tpéÌ>'tane>..acyiic:on. Vd. app. Il supplemento ['EÀ.À.oK\ijEC. è di Bolton (vd. app.). Gli Ellopi sono gli abitantidi Dodona, perchè l'Ellopia è la regione nella quale si trova quella città: cf. Hes. fr. 240, 1 e 5 M.-W., Pbilochor. FGrHist 328 F 225. Le parole 'EU.Ox{11 e 'EU.On1Ei>cvanno scritte con lo spirito upro, perché sono collegate a CeUo{ o 'EU.O{, nome dei sacerdoti dodonèi di Zeus (cf. v. 14 ~1r.c). Gli Ellopi di Dodona non devono essere confusi con gli Ellopi dell'Eubea, menzionati da C. nell'inno a Delo (v. 20 'EU.On\i)mv•, senza aspirazione): quest'altra Ellopia ('EU.OK111) è il distretto settenttionale dell'Eubea (cf. Herodot. vm 23) o l'Eubea stessa (cf. Philochor. FGrHist 328 F 225, comm. in Euphor. SH 432, 5-10). Per chiarire che qui si tratta degli Ellopi dodonèi, C. aggiunge la specificazione IlEl.acy1ic:oi. Infatti Dodona figura tra le sedi principali dell'antica razza dei Pelasgi: nell'/lùuk omerica Achille invoca Zeus chiamanrlQlo Am6mva'ie, Ilel.ucy1ic:É (XVI 233) ed Esiodo definisce Dodona Ilùacyéòv e6pavov (Jr. 319 M.-W.). Vd. anche il comm. al.fr. inc. std. 135. L'integrazione Èç 'Ap111a]cKei11cdi Lobel va considerata sicma, perché si fonda su Call. Del 291 'ta:6 • Eve\ic:av à.KÒçav8éòv 'AptJlacKéòv I: in realtà, il supplemento sembra eccedere lo spazio disponibile in lacuna, ma può darsi che a questo punto nel papiro alcune lettere fossero omesse o corrette (vd. app.). Nel passo citato dell'inno a Delo, C. probabilmente considera gli Arimupi una ttibà degli Iperborei, ccme afferma lo scolio ad loc. Non è chiaro se
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CALLIMACO - AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
questo sia vero anche per il nostro pentametro o se qui C. - come la maggior parte degli saiaori - consideri gli Arinwpi una popolazione (forse scitica) vicina agli Iperborei: se cosl fosse, C. seguirebbe piì) da vicino la versione erodotea (IV 33, 1), in base alla quale gli oggetti saai passano dagli Iperborei agli Sciti e giungono poi di terra in terra fmo all'Adriatico e a Doclona. Per dirimere la questione, non è di aiuto una testimonianza di Stefano Bizantino s.v. 'YxEp~opEo\ (vd app. delle fonti), secondo la quale Antimaco (fr. 103 Wyss) riconosceva negli Iperborei e negli Arimaspi il medesimo popolo. Nel testo di Stefano, Ruhnken scrisse KcvJ..i11axocal posto di 'Avt{µaxoc, pensando che l'affermaziooe del geografo si riferisse al v. 291 dell'inno a Delo citato sopra (contraWyss). Ora, ammesso che la congettura di Rubokeo sia giusta, non abbiamo nessun elemento per decidere se la testimonianw di Stefano riguardi anche il nostro verso (vd. app. delle fonti). Cf. inoltre Pherenic. SH 671 con il comm. Varie informazioni sugli Arimaspi sono fornite da Erodoto (Il1 116, IV 13 s., 27), che li considera una popolazione scitica a se stante: essi hanno un solo occhio, il che spiega il loro nome (IV 27 ap4La ycxpEYICWOUU (JCU8al, CKO\I6È òtp8ai..µov); gli Arimaspi confinano a Sud con gli Issedoni e a Nord con i Grifoni custodi dell'oro, loro acarim.i nemici; a Nord dei Grifoni vivono gli Iperborei. Agli Arinwpi era dedicato un poemaepico (intitolato appunto Arimaspea),composto forse nella seconda metà del VII sec. da Aristea di Proconneso; sembraimprobabile, pero,che C. conoscesse quest'opera, perchéessa - a quanto pare - non em disponibile nella Biblioteca di Alessandria: vd. J. D. P. Bolton, Aristeas o/ ProconMsw (Oxford 1962), pp. 26 e 182. In generale, per quanto riguarda la posizione dei monti Ripei. degli Arimaspi e degli Iperborei secondo gli saiuori del V sec. a.C., vd. il ccmm. di Jacoby a HecaL FGrHist 1 F 193/4. Il supplemento ,co[11h[6ijc è di Lobel: il papiro offre anche yEYE[ijc,che può essereuna varia lectio o una correzione (vd app.). La parola è retta dalla preposizione il;, integrata da Lobel all'inizio del veno: nel primo caso il sensosarebbedal trasportodegli Arimaspi,nel secondo dalla stirpedegliArimaspi. 11 -ici T& 11:pé-ia:Bisogna intendere ta come un pronome, che spetta ai doni degli Iperborei, e xpmta come un aggettivo (il sostantivo cui ta si riferisce è caduto nella lacuna del v. 8, vd. il comm. al v. 9 xÉJJJKouuv). Infatti, se C. avesse voluto dare a tcì xpmta valore avvcdriale (come in Ap. S8, 64, Del. 22, 149), non avrebbe interpoSto la particella ye. Dal.cKTLxol ['EUosdl1c: Per i temi relativi a Doclona nell'opera di C., vd il comm. al/r. 62. 12 8115éxcnan: Sul piano morfologico, questa forma verbale (da 6u6kicoµ,n) può essere o una terza persona plmale o una terza persona singolare. Se nel v. 11 si aca:ttaoo la leUma e l'integrazione di Bolton Ileì..acyiico~ ['ElloKlijEC, bisogna ritenere che qui si traiti di un plurale, come presso Hom. Od. VII 72 (6u6Éxatal), Il. IV 4, IX 671, XXIl 435 (6El6Éxato). Invece Pf. pensava che 6~l6Éxata\ fosse singolare come in Aet.fr. 81 Pf. (vd il comm. ad loc.) e proponeva di leggere Ilù..acylicqv (scii. l8voc); anche Barber vedeva in 6~l6Éxata\ un singolare e suggeriva Ilù.acylicqv LE6pavov 'EUéìu[v, riferendo a questo verso il Jr. inc. sed 13S, 1 (vd. app.). Il verbo 6t:l6i.c1eoµal compare inoltre nel Jr. 30, 8 6El6qµÉvoc. xo[llh[5ijc: Se il supplemento è giusto, si noti che l'uso del vocabolo nel senso di trasporto(piì) o meno come sinonimo di xoµ,ni) è prosastico. 13 s. lv81v] itrl s-i61.1cic u 1eal 0G[p1a Ma1.(5oc 11(11c I n'110Juc1v Nci1ou Qihu ch[111:i611:08&c: Continua il viaggio delle offerte iperboree. Esse vengono inviate alle città e ai mooti della terra maliaca (di fronte alla punta nord-occidentale dell'Eubea) dai Selli, i sacerdoti di Zeus a Dodona. Questi ultimi sono definiti servitoridi (Zeus) Naio che non si lawuw i piedi:l'epiteto Naio,come vedremo, è ampiamente attestato a Dodooae sembra connesso al verbo vao, (scorro)e al sostantivo viìµa (co"ellle); i Selli non si detecgevano i piedi per ragioni religiose (vd. oltre). Si osservi che i due popoli (abitatori della Ma1idce
a.e.
COMMENTO: FR. INC. UB. AEI'. 97
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Dodonei) sono menzionatiin ordine inverso rispeUo alla roua seguita dai doni: vd. il comm. al V. 11 S. Il distico è stato integrato da Barber-Maas (vd. app.). Il supplemento alla fine del v. 13 si basa su Call. Del. 287 "lp\OY (Pf.: i.q,òv codtJ.)&iu ical oupw M11~i6ocai11c.I. L'integrazione ày[ut1611:06e:c. si fonda su Hom. Il. XVI 235, dove l'aggettivo (che nei poemi omerici compare solo qui) è riferito proprio ai Selli: la parola è pure attestata presso Eubul. PCG 137, 1, Nono. Dion. XL 285, XLIII 212, Mtt. I 73. A sostegno del supplemento, si può anche osservare che C. - parlando dei Selli nel luogo corrispondente dell'inno a Delo (v. 286) - li defmsce 711~EXÉu,ispirandosi proprio al passo citato dell'Iliade (dove essi sono chiamati. xaµauuva\). Gli scoli al medesimo luogo omerico spiegano che i Selli non hanno bisogno di lavarsi i piedi perchénon escono mai dal santuario di Zeus (vd l'app. delle fonti e il comm.al/r. inc. std. 631 Pf.; cf. SH 297). 14 Nci\Ou: Quest'epiteto di Zeus. che è molte volte attestato a Dodona,va probabilmente connesso al verbo vcim (scorro) e al sostantivo véìµa (corrtntt): Zeus è colui cht disptnSa lt corrtnti, intese sia come fiumi sia come pioggia. Non sembra. invece, che la parola sia imparentata con vauc. o con vaéc. (cf. pit) avanti Lex. Rhtt.) o con va{m (cf. Zenodot. ap. F.paphrodit.fr. 39 Ulnmer e forse Sopb. TrGF 455 riportali oltre, nonché forse Hes.fr. 240, 8 M.-W. riponato nel comm. al v. 15). Vd. A. C. Pcarson, TM Fragments of Sophoclts II (Cambridge 1917) p. 112, W. POtscher, «Mnemosyne» S. IV 19 (1966), pp. 127-135, H. W. Parke, TM Oraclts of Zeus (Oxford 1967), p. 68. L'epiteto compare spesso (con o sc:ozaiota) nelle epigrafi di dedica a Dodooa: vd. C. Carapanos,Dodone tt sts ruines (Paris 1878), pp. 40 ss., 69 ss., H. Collitz (ed.), Sammlllllg dtr gritchischtn Dialtkl-Inschri.{ttn Il (GOttingen 1899) isar. 1557-1597. Cf. poi Epaphroditfr. 39 Lfinzner ap. Steph. Byz. s.v. 4m6mY1J· ... Èv tji II' -rijc. 1~lci6oc. (vv. 233-235)· ... iòv 6È 4m6mvaiov EÀ.Eyovical Ni;ov (N~ov I. Voss: vaiov codu Stgutrianus). Z11vo601oc 6È 'YPIXfPE\ ·~ymvaiE, ÈKEl ÈY 4m6mvn 11:pmiov.-iyòc ȵavuue:io ·, Schol. (bT) Hom. Il XVI 233 al (riportato nel comm. di Pf. al .fr.inc. std. 630). Cf. forse anche Sopb. TrGF 455 (ap. Steph. Byz. s.v. 4m6cov11)4m6mY\ vaimv Ze:ùc.oµi[ ]oc ppoimv, dove Wilamowitz propone di leggere e integrare o Ncx\oc.. Sembra che un culto di Zeus Naio esistesse anche a Delo, la destinazione finale delle offerte iperboree: cf. Lu. rhtt. ap. I. Bekter, Antcdota Gratca I (Berolini 1814) p. 283. 13 Naiou 4ux · o vaòc. iou 41.Òcoc. ÈY4iiÀ.ft>Naiou 4ux ICCXMiia\, Q;j1ac: La lettura è incerta (vd. app.), ma difficilmente eludibile. Si noti inolttc che C. nell'inno a Delo (v. 286) - definisce i sacerdoti dodonèi con una parola simile a Qij1e:c: 8Epci1toviu àc\rilio\o UP1Jioc I (cf. anche .fr. inc. std. 507 Pf. ciiµe:voc. con il comm.). Il vocabolo 8iic. compare una volta solcanto sia nei poemi omerici (Od. IV 644) sia nel corpus esiodeo (Op. 602) e significa propriamente lavorantt prtso in affitto.Peci Selli, cl.Jr.25, 3 con il comm.; per i temi relativi a Dodonanell'opera di C., vd. il comm. al.fr. 62. 15 .-i1oi): Si tratta probabilmente della qutrcia di Dodona, che diffondeva intorno a sé i vaticini di Zeus (vd. il comm. al Jr. 18). Essi venivano interpretati da due o trf! anziane sacerdotesv chiamate IIùuci6u o IIÉÀ.E\a\,perché si diceva che una colomba aveva portato l'ordine di fondare l'oracolo (cf. Herodot. Il 55). Vd H. W. Pme, TM Oraclts o/Zeus (Oxford 1967),pp. 20-45. La .-iyéc. dodonèacompare in due frammenti di Esiodo (vd. Reinsch-Wemer .-iyou I, dove il verbo vaiov (abitavano) p. 395): fr. 240, 8 M.-W. vaiov 6 • Èv 1tu81&ÉY\ riguarda forse le colombe (ma si è anche proposto di saivere vaie:v o vaie:\, con riferimento a Zeus); Jr. 319 M.-W. I 4m6rnen•o, Lobel propone di integrare µu8o]y e di riconoscere nella dea in questione una Musa che smeacdi parlare (la dea fini il racconto): cf. soprattutto fr. SO, 84 éò]c ii "è:v À.(Kr."u[8Jov (per il me-mmismn del dialogo fra il «perSonaggioC.» e le Muse nei primi due libri degli Ailia, vd. Introd. l.4D.; per le imitazioni di Ovidio nei Fasti, vd. il comm al fr. 9, 22). Invece Pf. suggerisce il supplemento ufJpt]v: la dea sarebbe Artemide, cbe uccise Orione e cosl ncftct ctssart la lracotanr.a:a sostegno della sua integrazione, Pf. cita p.es. Dem. XXI 140 (vd. app.). Una tena interpretazione è sostenuta da *Krevans p. 204, la quale acooglie il supplemento di Lobel, ma pensa cbe sia Artemide stessa a fmire di parlare, secondo il modulo 11811'81ivo riscontrato nelfr. 64, 4-17 per la statua di Apollo delio. 31 ] .ca A,òc 1C&1LalSocc6a [1eo]VP'I: Come dimosttano i passi del terzo inno callimad1eo e delle Dionisiache di Nonno riportati oltte, si tratta con ogni probabilità di Artemide, la punittice di Orione (vd. il comm. introduttivo al frammento),aposttofatacome vtrgint figlia di Ztus cht guidi il carro trainalo dalk ctrbiallt (oppmc cht dai la caccia alle ctrbiattt:). All'inizio del verso, Barber propone di integrare xa"ipEµÉya xpr.w]vccx,in baseal confronto coo Cali. Dian. 268•, che è la chiusa dell'inno (vd. app.). Lobel ritiene che l'allocuzione sia pronunciata dal poeta, dopo cbe la Musaba smessodi raccontare la storia di Orione castigato da Artemide (vd. /n1rod 1.4.E.e il CQIDID. al v. 30): d. p.es. le invocazioni di C. alle Cariti nelfr. 9, 9-14., a Eracle nelfr. 25, 21 s. (?), alle N'mfe argive in Atl. fr. 66, 1-9 Pf., a una dea (?) e a Zeus in Atl. fr. 112. 7 s. Pf. Invece, secondo Pf., è improbabile che il poeta pronunciasse un'apostrofe del genere dopo avere detto espressamente che la Musa smise di parlare: perciò egli pensa che C. finisca di esporre nel v. 30 la vicenda di Upide e Orione (affermando che quest'ultimo fu punito da Artemide, vd. il comm. ad /oc.) e si rivolga ad Artemide nel v. 31, con un passaggjo dalla tena alla seconda persona che è spesso attestato negli Ailia e negli inni. 1tr.1LalSocc6r.: Prima della pubblicazione di questo papiro, l'aggettivo era attestato soltanto a partire dalle Dionisiache di Nonno (sempre• b'aDDCche in V 4(1J, xm 300 e Xl.Il 162). L'aggettivo - formato dall'hapax omerico icr.JllXC (Il X 361) e dal verbo cr.'l>co - può avere due significati: 1) Cht guidi il carro trainalo dalle cerbiatte. In relaziooe ad Anemide,questo è il senso più probabile: cf. Call. Dian. 111 s. Èçr.u!;ao 6(q,pov, I Èv 6 · ÈfJIXÀ.r.u ... 1CEJLcx6acct xaÀ.tvcxI, 162 s. intò çr.uyÀ.11cpt ... I ... xr."116ac, Nono. Dion. XLVIII 449 s. xoup11 I "Api&lllCÉçol'ÉY111CEJLCX6cov iup11çuyt 151'f)cp. Bisognerà inaerprewe in queswmodoanche Nono. Dion. xm 300 Kup,jv11,1er.fla6occooc"Apuflte ciU.t) I. 2) Cht dai la caccia alle
COMMENTO: FRR. INC. UB. AET. 91; 98-109; 98
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cerbiant. Cf. Noan. Dion. V 230 11:ovov1Cllfl®occoovèrypricI, V 460 e XLII 162 8popov ... 1tEpcx8occ6ov, V 462 e XXIV 126 e XLI 195 1tEpcx8occ6ovèryp11vI, X SO11:68ov•.• 1tEpcx8occoovciyf)11cI, XXV 226 e XLVI 147 1tEpu8occ6oc èryp11I; d. anche IX 171 1CEp.a8occ6ov cu.1a1vI (èryprivconi. Castigliani). Non si può escludere cbc il.fr. 135, 1 spetti alla panefinale del v. 11 (vd. sopra il cornm al v. 12 a,l&Éxcxtu\). Improbabile è invece che il .fr. inc. sed. 631 Pf. (cf. SH 297) a>rrispoDda al v. 15 s. (vd. sopra il comm.al v. 15). Si osservi cbc Troia, menzionata nel v. 20, compareDeifrr.41 e 42 del primo libro degli Aitia. Vd. l'annocazioocdopo il testo.
Dal libro primo o dal libro secondo Frammenti
98-109
Il.fr. 98 va cenarncntc aaribuito al primo o al seoondo libro degli Aitia, ~ il suo v. 8 introduce una risposta della Musa Erato. Andlc il.fr. 99 speuaa uno dei primi due libri.~ è tramandato sul 'verso' del ml"desiJOO papiro che cootieoc il.fr. 98: infatti, anche ammesso cbc il.fr. 98 appartencssc al secondo libro e precedesse il.fr. 99, non è possibile che nel traUO di testo (relativamente breve) perduto tra l'ultimo verso del .fr. 98 e il primo del .fr. 99 si verificasse la transizione fra il secondo e il terzo libro, perché sappiamo che l'inizio di quest'ultimo era occupato dall'ampia Vraoriadi Berenice(SH 2S4-268C). PuOdarsi cbc ancbci frr. 100-109 - provenienti dal medesimo rotolo papiraceo - facessero panedel primo o del secondo hl:Jro.
Frammento 98 (625
Pf. + SH 238) Il contenuto del frammento è dubbio. Dopo la comparsadella parolapietra nel v. 3, forse il v. 4 segna la fine del canto di una Musa (secondo la correzione e i supplementi proposti da Barber),cioè la fine di mi aition.Può darsi chenel v. 5 cominci una domanda del «persODaggio C.»: essa riguarda forse delle uova (v. 5), i corvi lucenti (v. 6) e le parti sovrastanti agli occbi (i,rco11:\cx o ÈK• mK\cx,v. 7). Il v. 8 inttoducc la risposta della Musa Erato: il suo racconto comprende dei molesti popoli confinanti (v. 9), UDO stato d'assedio (v. 10), l'upupa o un personaggio chiamato Epope (v. 11), dei combattenti (v. 12), la città di Sicionc (v. 13) e UD non piccolo motivo (v. 14). Poiché nel v. 11 si trova forse la parola e,ro• (upupa), Barbcr ap. Barns (ncll'tditio designi la crestadi quel]'ucceilo. Egli proponedi leggae prillctps) ritiene che nel v. 7 i11:C011:\CX e integrare ~À.ÉouuvÈnco,nuxuÀ.ÒvKEÙC ... UXE 'tTIVcipxilv· ÈKÌ tOU'tOUPucV..EUOY'tOC ctpUt0V C.\C\ KOÀ.ÉJllOV À.ÉyOUC\V Ù 'tTIVXCOPUV 't0'tE u.8EiV 11:pc:Ì>tOV ,.. CXÌtlCX 8È ij8E· 'AvnoKT)c iv vEU.11u tijc NuxtÉo,c ovo11u ~v i11:ìxaUE\, xu{ oi xuì xpocijv 'Acmxoù 8uycxtÉpcx... xuì où Nu1ttÉD>C dvcx1..tCXU'tTIV oùx ot8u du yuvcxixcxcxiniccxc E\U 8pcxcunpu i~ cipxijc PouÀ.EUca:pEYOC 'E11:mxEÙc ap11:a:tE\· mc8È oi 9tJPcxio\ cùv
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430
CAlllMACO - AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
OKM>\C~Uov, Èvtau8a ntpmU:E'ta\ p.è:v N,ncuuc, Ètpm8t, 3È 1Cpatci>vtji p.axn ICaÌ Ecco il s~guito della storia secondo Psl11saoia·in fm di vita, Nitteo incaricò 'E11:COK21>< 1Ct>... suo fratello Lico di vendicarsi su F.popeo,ma quest'ultimo mod poco dopo: I .aorncdoote, successoredi Epopco, consegnò sponraoeamente Antiope a Lico; sulla strada per Tebe, ella partorl Anfione e 7.eto. In accado con la sua iutelpretazionegenerale, Lloyd-Jones popone di integrareall'inizio del v. 9 (vd. app.) MT11CCOY1')v o AiyiaA.2ic,antichi nomi di Sicione (cf. Strab. vm 382 riportalO nel comm. alfr. 69, la): 1U1 tempoi vicinidi solco affliggevanoMecone/Egialea.Si noti che Apollonio Rodio (IV 1090) menziona en passanl Antiope e Nitteo, seguendo però la venione del mito attestata presso [Apollod.] m 5, 5 (che sembra dipendere dall'Antiopedi Euripide): Antiope, resa incinta da Zeus, si rifugiò presso Epopeo per evitare le ire di Nitteo; questi si uccise per il dolore, ma prima di morire incaricò Lico di castigare Antiope ed F.popeo;Lico marciò su Siciooc, la sconfisse, uccise Epopco e fece prigioniera Antiope, che tmumdoa Tebe partorl Anfione e 2.eto. Antiope compare come sposa di 2.euse madre di Anf10ne e 7.eto già nell'Odisseaomerica (XI U,0..262).Su questo mito in gcocrale,vd. F. Vian, us originesde ™bes (Paris 1963), pp. 193-201,W. Bmkett, Homo necans (Berlin - New York 1972), pp.
207-211. Giangrande p. 66 s. = 53 s. ritiene che nel v. 10 sia menzionalo un peana( Il)ulUYl, vd. app.). Egli identifica infatti due paralleliall'espressioneiv]vaÉ'ta\C Curuci>voc(v. 13) nei peani di Isillo (CA v. 37 s. p. 133 iè: llaluva 82òv cidcau A.aoi, I ta8éac ivvaéta[l] tuc3' 'E11:13aupou)e di Fllodamo (CA vv. 32-35 p. 166 E8voc iv8'J ati:av 'EUcwoc I yuc ÈK[ott]la\C I òpyimv oc[imv "l)cactxov [d.t:it:l e]~). Anche ci[~(Ì) È]vvaÉ'ta\C l•V..\OY] parlerebbe di un peana cantatoda UD coro di abilllllli indigeni.Forse - suggerisce Giangrande le parole ittmti:la (v. 7) ed no• (v. 11) SODO connesse in qualche modo ooo gli ÈK(o111:ha1C (osservatori,speaaton) menzionatida Filodarno. Per il legame tta le parole ho• ed ÈKDKfllc, vd. il comm. al v. 11. Una aitica e insieme un recupero della ricostruzione di Lloyd-Jones spettano a Hollis, Epops. Nel v. 9 - saive Hollis (p. 128) - l'espressione E'IC1')3ov i>tmA.a1Cunon può riferirsi all'assedio di Sicione da parte di Tebe, pcrcbé le due città nonsonoconjillllnli.Hollis propone perciò una nuova inteiprctazione. Egli osserva in primo luogo cbe nel calendario saao del demo attico di En:bia (F. Sokolowski, Lois sacries des citis grecques,Paris 1968, m. 18) ~ atteswo due volte il sacrificio di UD porcelliDo in onore di UD eroe Epopc da parte di questo demo (col. IV 18-23, col. V 9-15). Nel v. 10 Hollis accetta l'integrazione ll]a1av1t[m)v di Barber (respinta da LJ.-P. come esttanea al contesto, a rneno che non si trattasse di una metonimia per "A81')vaimv):gli abitanti del demo attico di Peania- posto a Est dell'lmeuo e a Ovest di Erchia - sarebbero gli oµmA.a1e&caggressori, rnentte gli aggrediti sarebbero gli &chiei, il cui nome viene supplito da Hollis all'inizio del v. 9 ('Epxiéac], vd. app.). Il v~9 s. avrebbe allora questo senso: 1U1 tempo i vicini di solco affliggevanogli Erchiei ... ogni cosa era soggena alla lanciadegli abilanlidi Peania (per gli occasiouali scontti fra i demi aaici prima del sinecismo di Teseo, Hollis, Epops p. 129 cita PluL TMs. XXIV 1). Epopc avrebbe SOCCc.Hollis suggerisce nel v. 13 s. dei supplementi che creano on nesso fra l'ambientazione attica da lui congetturala per i vv. 9-12 e la comparsa della parola Cucuii>voc nel v. 13, presupponendoche C. (forse per primo) identifichi l'eroe F.popecon il re di Sicione Epopeo e che la frase -iJP~Luitv ou n ic«x11ànpoq,cxuv (v. 14) sia un'allusione al ratto di Antiope compiuto da Epopeo, causa dell'invasione di Sidone da parte dei Tebani (cf. Paus. Il 6, 1 riportato sopra). Epope/Epopeo, cioè, era colui cM opponò dolorosepeneo gridadi dolort agli abitanti di Sicione per un motivo non da poco (v. 13 s. oc] vaÉtcxtc Cucu&voc Èl:i [uovoEV'tCXC à.é8À.ouc- oppure uovouccxv à.im)v - I ~yr:ryEv,vd. app.). 3 ]1s-.,a,11ldmw[: Data la presen1.adella parola pietra Q..{8mvoppure À.t8cp),UoydJonesproponedi correggere inÉtpflccx(acconsentii)in in~ca (toccaileggennmu): vd. app. Il verbo ÈKllpflll.lè molto raro:essocomparein un passo di FmpNk>rlc (Jr. 9, S D.-K.), dove regge il dativo. Il verbo ÈKatpcim/ÈKatpcioJLatregge il genitivo (cf. p.es. Mosch. Il 50). Il contesto è oscuro. 4 ]&111cxcnp • 11(.J,•1111ç11 luP11[: L'imperativo x11ip• sàbito prima dell'indicativo à.(11:]txavçcxo à.[v]~avça (tranen,u) fa difficoltà, nt è di aiuto il confronto con Call. lmnb. fr. 193, 26 Pf. xcxip• Eq,Ttccx, perchéin quel caso l'indicativo è UD ~rbum dicendi. Per risolvere il problema. Barber propone la rorreziooe e i supplementi XP"' ]ElflCXEip• à.(v ]~vçE 1i>pq[c (vd. app.): si traaerebbe di una Musa, che trattenne la mano dall'a11realira, cioè smise di esporre un aition (per il meccanismn del dialogo fra il «perSOD&ggioC.» e le Muse nei primi due libri degli Aitia, vd Introd. l.4D.; per le imitazioni di Ovidio nei Fasti, vd il comm.al fr. 9, 22). Per il nesso XEip· à.[v]t1tcxvç.E.cf. Hom. Il. XXI 294 Kcxi>EtvXE"ipcxc ... 11:o¼ow I. Per la frue xpuc}ElflC.•. À.upq[c,cf. ep. adesp.Anlh. Pal. IX 189, 3 s. = FGE 1178s. UJLJlt6· à.11:cip;EtI Cancpm XPUCElflV XEPCÌ.V EXOUCCX À.upqv,Prop. m 3, 13 s. PhoebusI sic ail aarata ni.xusad antra lyra (il passo di Propeuio è nella descriziooe del sogno eliamio ispiralo aifrr.34 degli Aitia; essoè stato richiamato da Hollis op. LJ.-P.). 5-8: Se nel v. 4 si accettano la correzione e i supplementi proposti da Barber (vd. il c:ornm ad loc.), in questi versi il «per5ooaggio C.» poneva una nuova domanda alle Muse, cbe si concludeva alla fine del v. 7 o all'inizio del v. 8; la risposta di Fzato viene introdotta nel v. 8. 5 ]qç11p11: Barbei' pensa che all'inizio del verso cominci una domanda del «penOD&ggio C.» e propone di integrare ivvEKÉJlOli{v }cx:lipcx(dimmiperchL),rileDCDdoche l'apostrofe sia rivolta a una Musa. Ma Hollis, Epops p. 128 n. 6 osserva giustamente che il cpc:nooaggio C.» - nei due casi accertabili (frr. 9, 19 e 35) - si rivolge all'intero gruppo delle dee: il problema si risolverebbe sostitue.ndo Évtu I 6tccciuc, aù-tàp i11:etta idy'
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ci8poa JCHÀ.,;yovuc.Hollis, Epops p. 130 n. 21 nota che, se si
aa:euala letturaciim fLOUY-
(vd. app.). la domanda del «penonaggio C.» potrebbe riguardare un tipo di nidificazione peculiare degli uccelli in questione. Hollis espone anche una considerazione di Barrett in proposito: il phalacrocorax carbo sillensis forse mcoziooalO nel v. 6 (vd. il comm.ad loc.) è l'unico palmipede di grandi dimensioni che costruisce il nido sugli alberi,come risulta dal passo di Aristotele citalO nel comm.al v. 6. 6 ] . \3mv oi 1.uu1ROÌ. 1CQRCX1C&c: Lobcl propone il supplemento ci1160]'! i&cov (vd. app.). Per quanto riguarda oi À.uuxeoì Kqea1c:ac,Hollis, Epops p. 130 riferisce delle osservazioni di W. G. Amott. che spiegano il senso esatto dell'espressione: «La parola 1c:opa~ in Greco non designa soltanto il corvo, ma anche due specie di phalacrocorax. Lo si può dimostrare chiaramente in base alla nota di ?Aristotele, Hist. An. 593 b, 17 ss., la cui descrizione identifica l'uccello in questione 1) con il cormorano [Cormorani nell'originale] (phalacrocorax carbo sinensis, che nel Meditcmmeo nidifica prevalentaneoce sugli alberi) e 2) con il piccolo cormorano[Shag nell'originale] (phalacrocorax aristotelis). Queste due specie sonomolto simili, e chiaramente non venivano distinte nell'antichità. À.utapo( iD Callimaco è anche facilmente spiegabile, perché sia il piccolo cormorano sia il cormorano banno uoa lucentezza brillance e metallica sul piumaggio». Gli interessi ornitologici di C. sono aucstati dalla sua opera Depì òpvÉcov(Jrr. gramm. 414428 Pf.); vd. il comm.alfr. 50, 61 ap1tacov .•. oùxìlpUÀ.lx[CCOl,ltYOL 7 ]~1.éouuv: Potrebbe trauarsi di ~À.éouuv, ma anche di o]~À.éouuv (da 01tÀ.éco= allestisco, cf. Hom. Od. VI 73). Nel sccoodo caso,l'omicron non si allungherebbe davanti al gruppodi mura coo liquida all'interno della medesima parola. seoondo un fenomeno molto raro nella poesia di C. (vd. Introd. m.2.B .b.); si noli che nel v. 35 dell'inno callimacheo a Demetra la parola oxA.kcac (da é>KÀ.t~co = od.ico) ba l'omicron breve (vd. il cmun. di Hopkiosol'I). isrits\a: La parola (pani CM sovrastano gli occlu) non comp.-e altrove. Essa è conia&a sul modello degli omerici uxco1nov (Il. XIl 463*) e µttcinnov (Il. XI 95*, XVI 739*). Può essere interessante notare che "E1tcoxicera il nome di Demetra a Sicione, la città menzionala nel nostro v. 13: cf. Hesych. t 5593 s.v. 'E1tco1t(c:· A1111'1t11p1tapà C\JCU6E:vd. il comm. alfr. 35. civ-rascip.&\~"to: Il verl>o civta1taµdl3011a1 è altrove impiegato solo da Tyrt. Jr. 4, 6 W. = 1b, 6 Gent.-Pr., dove perosignifica obbedisco a mia volta. -rci[&a: Il pronome introduce una ttatlaZione erudita anche ~1/r. 50, 17*. 9 ~o[-i '] IIC1)3ov: Per l'allitterazione, vd. l'app. a Aet. Jr. 75, 54 Pf. ft113ov 011citl.acu: Un'immagloc simile compare in Htc. SH 287, 20 =Jr. 49, 10 H. 1111iv&È1c:a1c:ÒCJ 1tapEvaccai.to ydtmv I. 0,.,1.acu: Si ttatta della forma dorica di 011auÀ.a1CEc: d. Ap. Rh. II 396, 787, Antip. Tbess.Anth. Pal. VIl 402, 3 "" GP 431, NODP.Dion. m 108, Eudoc. Cypr. Il 389 (scmpae*).
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COMMENTO: FRR. INC. UB. A.ET.98-99
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•• TII ., .[: Lloyd-Jones suggerisce di integrare li Y4P.tt[eiva (vd. app.) e di unire tt[eiva al xcivi:a del v. 10 Ctrii 1uiv-i11&61,(1.:L'aggettivo spezza il nesso costituito dalla preposizione e dal sostantivo: vd. il comm.alfr. 1, 22 dxev o 1101A-ynoc..
11 lsoy: Il vocabolo è di natura onomatopeica, perché riproduce il verso della civetta. Ma anticamente esso veniva anche collegato alla parola ÈKOK't1)c(osservalore):cf. Sopb. (?) TrGF 581, 1 ,:ou,:ov 6 · ÈKOK't1)V EKOKa,:mv au,:ou KUKO>Y. Se si accetta la ricostruzione del frammento proposta da Hollis (vd. il comm. introduttivo), è anche possibile saivere "Exov (vd. app.). 12 )11voc: Barber suggerisce di integrare ijp]avoc, che• stando all'Et. M. p. 436. 28 Gaisf. - può significare re o soccorritore; per il secondo senso,cf. anche [Orpb.) Arg. 98 à1,ipavoc. Ma sarebbe anche possibile il supplementoiru)avoc. (smallo).Vd. app. lri:o: Questo aoristo secondo atematico di ix:vÉo11a1compare già presso Hes. Theog.481. 13 Jv11h111.c:Può ttattarsi di Èv)vaÉi:a\C o di vaÉi:a1c (vd. app.): nel primo caso, vd. il comm.alfr. 97, 24; per il vocabolo vaÉi:flc, d. già Siln. PMG 581, 1. Cuculilvoc: La città di Siciooe viene anche menzionata - con il nome alternativo di Mecooe - oelfr. 69, la (perciò ilfr. 69 potrebbe risalire alla medesima parte degli Aitia di questo frammento). A Sicione forse si riferisce ilfr. 278 Pf. = 99 H. dell'Ecale(vd. i comm.). 14 ,jpquJÌ)Y oG n KlltLCÌ sp6tcxcLY: Per l'espressione, cf. Theogn. 323 I JlTIKoi:' btì. c111acp~(-ii Berglc)spo•ciu1, Thuc. I 141, 1 mi ppaxeiçt •.. spo•ciui.,fr. com. adesp. 253, 11 Austio Kpo.ac[1v .... .J 111acpciv. -qpquJ-IJv: Come spiega lo scolio omerico che cita queste parole (vd. app. delle fonti), l'aggettivo 11Pa16c e l'avverbio 11Pa16v sono le forme omeriche di Paioc e Pa1ov, che si riscontrano talvolta presso i poeti successivi: M. VIPDano. HomerischeWlJner(Basel 19S0), p. SOpensa che iiPawc ed ,;pawv risultino da una falsa divisione del frequente explicit où 6" Paiov (-a{) in où 6 • ,;pa16v (-al). La parola è di origine cipriota: cf. Gloss. in I. Bckker, AMcdota Graeca m (Berolini 1821) p. 1095 Ku1tp(cav ... ,;pa16v· ÒÀ.iyov(vd. O. Hoffmaoo, Die griechischen DialelcleI, GOttiogeo 1891, p. 115). Cf. anche Et. Gen. B s.v. ,;pa16v (Miller p. 142), che offre un lemma molto pii) ampio dell'El. M. p. 417. 15 Gaisf. ed è la fonte di 2.onar.p. 971 Tittm. Anche nei poemi omerici - come in questo luogo di C. - ,;pa1oc ed ,;pa16v si aca,mpagoaoosempre a una negaziooc(p.cs./l. II 380), con la sola eccezione di Od IX462. trp6.cxuv: Cf. Cali. Ep. LXI 4 Pf. = HE 1236•.
Frammento 99 (SH 239) Il contenuto del frammento è dubbio. Nel v. 2 troviamo qualcosa di abbondante, nel v. 3 forse delle tribù che rumoreggiano o tremano, nel v. 4 probabibneote il verbo dico e nel v. 5 l'idea che gli dèi non mordono come cani. Nel v. 6 qualcuno parla in prima persona (dunque ancoraa me qualche/qualcosaa casa),nel v. 7 compare il pudoreche risiedeva sulle palpebre, nel v. 8 si legge volevo/volevanociò che non imparai/impararono,nel v. 9 ci sono un aJbO canto e la madia, nel v. 10 qualcosa lasciò gli occhi. Nel v. 11 compaiono il fuoco e il verbo andare, nel v. 12 probabilmente l'aggettivo sonora seguito o dalla parola confutazione (ÈM'Y!l[,iv) o dal verboji,i scelto(ÈÀÉyµ[f1v),nel v. 13 qualcosa che si annerisce. Nell'edilioprincepsdel papiro, Bams riportò dei supplementie delle proposte interpretative di Lloyd-Jooes e Barber, che banno avuto ampia fortuna presso i aitici successivi. Nel v. 6 s. Uoyd-Jooes suggeriscedi integrareocppa 11)Èvoòv fn 110(n ~~!10\C~9[tYf1µa sapijev, I i:oq,pa 6' i]µoic ai6èoc tçev (i6ev pap.: corr. Barbc-r) àì. pÀ.elp[cipo1C,jinchi dUIU[lU a casa avevo del cibo, il pudore risiedevasulle mie palpebreO'iotegrazionep).~[cipo\C è di Bams; per o.,,a ...
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io,pa, cf. Hec. fr. 238, 15 s. Pf. = 18, 1 s. H.; si noti cbe il vocabolo 8o{v11pa noo è attestato altrove; Bulloch ba successivamente proposto di supplire pufPCX µ]Èv all'inizio del v. 6, per rolmare meglio la laciroa e - cip' È]p.oicall'inizio del v. 7, sulla base di Call. Cer. 111114; vd. app.). Nel v. 9 Lloyd-Jones offre l'integrazione ijel]uv 6 • aUo p.ÉÀ.oc cun,(11,ma la madia cantt} un altro canto, cioè restò vuota (vd. app.). Nel v. 11 Barber propone come supplemento la frase proverbiale 6là] 11:upi.Éva:i-, andareattraversoilfuoco (,caì 6ià] Bulloc.b; i vv.6 ss. cootengono affermazionidel poeta in prima persooa(Ilo{, vd app.). SecondoBarbez-, È]p.oic, ÈQçÀ.ec,cov, µci:8ov): C. parlerebbe qui della sua povertà (per questo tema autobiografico, cf. Iamb.fr. 193 Pf. ron la Diegesis,Epp. xxxn e XLVI Pf. = HE 1071 ss. e 1047 ss. e vd Meillierpp. 155-168). Un primo tentativo di inte1pretazionecomplessiva del frammentosi deve a Bulloch, lnterpretationpp. 269-276. Per il v. 10 egli propooe l'ottimo supplemento ÈK~poci>]Y11~ev o8p.aia, il ritegno lasci(}gli occhi (vd. app. e il comm. od loc.): compare qui il concetto opposto a quello espresso poco prima nel v. 7 (i/ pudore risiedevasulle mie (7) palpebre).Nel v. 11 la frase 1eaì.6\à J ,rup ìiva~ (andareanche attraversoilfuoco) significberebbe fan di tllltO pur di ouenert uno scopo,espressionecbe abitualmente viene resa da 6là 11:upòc+ un verbo di moto: cf. Aristopb. Lys. 133 s., 136, Xenopb. Oec. XXI 7, Symp. IV 16, ma anche Soph. Ani. 265 (p. 271). Nel v. 5 l'aggettivo ~1C'fal - all'interno dell'espressione gli t:Ui non sono mordacicome cani - si riferirebbe a unacritica verbale,che viene rivolta a C. dal pubblico (p. 272 s.). Nel v. 9 l'espressione ijei]c.ev 6' aUo 1tÉÀ.oc cUE-y[11 significherebbe cbe la madia vuocaronvinse C. a cantare un canto diverso,cioè ad.alJoournani dalla Mouca1erraÀ.Éflper saivere EYaeicpa 6\flYelCÈc. (pp. 273-275). Ecco, dunque, la rirosttuzione geoeralc pwposta da Bulloch (p. 276): fino al v. 5, C. ripor1a ciò che egli stesso aveva detto in risposta a qualcuno; a giudicareda quanto segue. queste parole esprimono unacerrattanquillità a proposito delle questioni finanziarie: gli dèi hanno sempre approvato la poesia di C., senza criticarlo come fa il pubblico, e continucranno a proteggerlo, sicché egli non avrà bisogno di saivcre opere popolari per guadagnare soldi; nei vv. 6 ss. C. nana che cosa gli capitò dopo quell'affermazionee comedovette riaedersi: d>unquc, avevo ancoraqualcosa a casa, un sensodi pudore risiedeva sulle mie palpebre; (7 i miei patroni) cominciarono a volere (7 il tipo di poesia) c:bcDOD imparai mai (7 a scrivere) e la madia cantò un altro tipo di poesia, lasciò i miei occhi e il mio spirito fu disposto a passare il fuoco (7 pur di mangiare)(7 e non mi preoccupai affatto delle) spreu.anti ingiurie». L'interpretaziooc del v. 5 proposta da Bullocb va senza dubbio respinta, comeprova un commento di Kassel riportato da LJ.-P. ad /oc.: Stobeo cita il verso di C. nel capitolo dell'antologia intitolato La giustiziadispostadal dio controllale azionidegli uominisulla terra e punisce chi sbaglia(vd. app. delle fonti); perciò le parole calliroacbeesignificano che gli dèi non si avventano sulle loro vittime come fanno i cani - cf. p.es. ['Ibcocr.] XXV 78-83, passo richiamato da F. J. Williams ap. SH p. 860 - (e gli uomini), ma infliggono i castighi con il trascorrere del tempo e in modo ponderato; per il concetto, et.jr. 64, 4-17, specialmente il v. 16 (con le osservazioni di Pf., lmagt pp. 30-32=69-71), Plut Mor. 550 EF e 551 CD= De sera num. vind. 5 e 6, soprattutto 551 C = 6 ai 9lÈv6\1eauoce\Cai 11:apàmv8p0>1tmv.•. ioic i)µapin1e6u (iill• Paton: aµapt111tac\ al. codtJ.) ,cuvòc 6{1e11v È,ula1eiouca\ 1Catcn:oÀ.ou8ouC\. Un'interpretazione globale del fTammentoè stata proposta anche da Harder pp. 21-27. che riconosce in esso le tracce di un'agguerrita polemica, nella quale C. è stato trascinato contro la sua volontà. Alla ricostruzione di Bullocb Harder muove una serie di obbiezioni: è improbabile che C., la cui fedeltà agli insegnamenti di Apollo è espressa nel prologo degli Aitia (fr. 1, 2140), dichiari nel nostro frammento di essersi dovuto discostare dai suoi principi poetici per la forza di circostame esterne (vd. già Meillier pp. 160-163);poiché nel prologo C. affeuna chele Muse lo proteggono perennemente (/r. 1, 37 s.), è inverisimile c:bequi egli presenti gli dèi
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come inerti speWWJri della sua povertà; l'ingerem.a di pattoDi che richiedono un tipo di poesia DOD congeniale all'autore è coocepibile per mi autore Ialino augusteo, non per C. (p. 25). Harder, quindi, dopo avere notato che l'aggettivo éUTJcpevé.c (abbondanle)del v. 2 si accorda bene con i riferimenti alla povertà contenuti nei vv. 6 ss., 0SSe1Vache nel v. 3 la possibile espressione cpuÀ.a CPJeq1oucl potrebbe avere valoremetaforico in un contesto programmatico e riguardare gli avversaridi C., paragonati a rumorosi sciami di mosche (cf. Jamb.fr. 191, 26-28 Pf.) o a branchi di cani (cf. lamb. frr. 191, 83 Pf., 192, 10 Pf. con la Diegesis VI 29 s.): poiché nel v. 5 si parla di cani, la secondaipotesi sarebbepreferibile (p. 22 e n. 12). Nel v. 5, Harder si allinea all'interpretazione di Kassel riferita sopra:gli dèi non sono come cani che si scagliano sàbito sulla loro vittima, ma infliggono le punizioni con il passare del tempo e in modo ragionato (p. 24 n. 17). Nel V. 9 l'espressione ~u)cev 6' aÀ.Ào 1,LU..OC cutvh, significherebbe che la madia di C. cantò un altro can10,cioè SUODÒvuota: per l'espressione, d. Cer. 39 I (scii. aiyelpoc) Kpa:,:a KÀ.ayetca 1ta1tòv µu..oc iaxev (p. 24 n. 20). Harder ossava che nel v. 11 la frase 61.à)Kup iiva~ può averedue sensi: o/are di tutto pur di oaenere uno scopo (vd. sopra) o essere adiratissimo,cane presso Eur. Andr. 481, El. 1183 (entrambe le espressioni sooo abitualmente rese da 6là Kupoc + un verl>o di moto); i due significati si adatterebbero bene al cootesto, perché nel pimo casoC. direbbe che ha cercato in ogni modo di mettere in chiaro le sue convinzioni e nel secondo caso egli affermerebbeche, pur avendo inizialmente cercato di cooteueni (cf. v. 7), ba poi dato sfogo alla sua irritazione (p. 26). Secondo Harder, nel v. 13 il participio 11J,À.alYoµÉv11 pottcbbc riferirsi a una nera critica: infani, secondo Esiodo ('I'Mog.214), Miòp.ocè figlio di Nouc; cf. anche Pind. Nnn.. VII 61, Tanotb. PMG 791, 210, Hor. Epod. VI 15, Ep. I 19, 30 (p. 26 n. 33). Dunque, stando alla ricostruzione gcnenle proposra da Harder (pp. 24 s. e 27), C. è swo coinvolto suo malgrado in una polemica, è riuscito inizialmi:nte ad avere un atteggiamento dignitoso, ma poi - a causadella fame - si è visto costrettoa diventare aggressivo: rivolgendosi ai suoi avversari, C. li paragona a branchi di cani o a sciami di mosche (v. 3) e preannuncia loro (v. 4) un sicuro castigo da parte degli dèi., che a differenza dei cani puniscono in modo ragionato e con il passare del tempo (v. 5), o anche concede loro (v. 4) la possibilità per pentirsi, perché lui è ponderalo come gli dèi nell'infliggere i castighi (v. 5); nei vv. 6 ss. C. din:bbe: «Finché in casa avevo cibo mi mantenni riservato (e) non volli (fare) ciò che non avevo imparato; (ma quando) la madia (cantò) un'altta canzone(cioè fu vuota), (il ritegno) lasciò i miei occhi, (cosicché passai atttaverso il fuoco ?); ora preparo una sonora c:oafutazione» (v. 12 iix,lucav u..eyl,l(fiv). Secondo Harder, il frammento - insieme aifrr. 5155 -risale alla fine del secondo libro degliAitia (Yd.il comm. aijrr. 51-55). L'interpretazione di Harder è stata accolta da Claymanp. 282, che riconosce nel teno giambo di C. (Jr. 193 Pf.) l'equivaleote di questo frammento: il contruto fra ricchezza e povri (qui vv. 2 e 6-9; Dieg. VI 34 s.), il fatto che gli dèi sono lenti o restii ad agire (qui v. 5; fr. 193, 32) e la pretesadel oarraroredi fare affidamento sullenormemorali appresein preawma (qui v. 7 s.; fr. 193, 30 s.) sarebbero aspetti importanti di enttambi i componimenti (si potrebbero anche richiamare i vv. 35-39 delfr. 193 Pf., dove C. constata con ironica amareu.a quanto sia stata folle la sua dedizione esclusiva alle Muse; la contrapposizione fra poesia e opulema viene sviluppata anche nel dodicesimo giambo di C.= fr. 202 Pf.). L'articolo di Oayman (p. 281 n. 11) accoglie un'interessante proposta di Koeoen, che suggerisce di integrare ii1:11 ]cev all'inizio del v. 9, cosl da avere: la madia (vuota)richieseun altro tipo di canto. Bisogna meuere in evidenza e.be le ricostruzioni globali del fnnome:ntt> proposte finora sooo per necessità estremamente speculative. hmaozitutto non è detto che la persona loquens di questiversi sia il poeta. Inoltre lo swo del testo pennette solo di farsi un'idea molto vaga sui contenuti. Sono quindi possibili altre interpretazioni, come quella suggerita da •D'Alessio: poiché il nostro frammento si trova sul 'verso' del medesimo papiro e.be ttamanda sul 'recto' il fr. 98 e poiché nel fr. 98 si parla probabilmente del re di Sicione Epopeo (vd. il comm. introduttivo ad loc.), forse il DOSlroverso 5 (gli dèi non sono mordacicome cam) si riferisce al
a
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castigo di Epopeo stesso, che provocò a battaglia gli ~i, profan~ i reànti saai e gli altari (cf. Diod. VI 6, 2); l'empietà di Epopeo è messa in evidema anche da Eumclo di Corinto ap. Paus. II 1, 1 (fr. 4 p. 110 Bemabé = fr. 5 Davies), secondo il quale Maratone figlio di F.popeo sfuggi alla tracotanz.adel padre emigrando in Attica. In generale, comunque, sembra vr.risimile e.be nei vv. 6-10 compaia il tema della povertà. In proposito si possono fare due considenziooi: 1) Nel v. 8 si legge ]tv ÈQ~u1Covii p.~ p.a8ov. Dala la comparsa del ponome p.o\ nel v. 6 e forse dell'aggettivo È]11oicnel v. 7, probabilmente entrambi i veroi ~tMC1tov e p.ci8ovsono in prima persona singolare piuttosto che in terza persona plurale. Forse nei vv. 6-10 laptrsona loqutns dice: «Un rempo,quando a casaavevo qualcosa(v. 6), eropudico (v. 7) e non(= où6É integrato a inizio di verso, vd. app.) voltvo fare ciò CMnon avtvo imparalo(v. 8); ora invece, costretto dalla povertà (v. 9), bo JX2SOogni ritegno (v. 10)». Questa ricostruzione è sostenuta da vari passi, nei quali si dice che la povertà insegna a compiere il male anche a colui CM non vuole: et. [Tbeogn.] 388-391 toÀ.11~6 • oùr. i8ÉÀ.mvaicxea 1tou.à ,Épuv I XP1111ocuvn ei'.1tmv,i) 6~ 1tar.à 1t0Uà 6t6ac1t&l I ... I civ6pa r.aì. où1t i8il.ovta, 651 s. (aposttofe a Ilev{11) aicxpà 6É 11· OÙIC i8ÉÀ.ovta tHn1taì. 1tou.à 6t6ac1tE\C I ic8)..à f'Et' ùv8pm1tmv 1taì. 1taÀ.' È,nua11evov, Eur. El. 375 s. ùU' EXElYOCOY I K&v{a,6t6ac1tE\ 6' civ6pa tji XPElf11ta1tov,Arcbyt (?) CAfr. 3 p. 23 XPElcÌ> KIXYt'i.6vuc i.Mcac8cx1 't'IV 8aòv i11all.ov, iccxì. 'tÒ èryrù.pcx CXycxA.JlCX ÈKO\TJCCXY'tO 'A8Tjviìcexov 'tpCXUJlCX ÈKÌ.'tOUll'l'IPOU. 'tO\l'tO'ICCXÌCXÙ'tÒC el6ov, UÀ.Y\ xopf\lpép tòv ll'l'IPÒY icata1'..T111Évov. Accanto alla regione Tuoa - saive Pausania - c'è il villaggio di Teulide,che unavolta era
una città (questi luoghi arcadici si trovavano nei pressi di Orcomcno, cf. Paus.vm 27, 4 e 7; per le testimonianze su Teutide, vd. IG V 2 p. 126). Ai tempi della guerra di Troia. un
condottiero proveniente da Teutide - cbiamatt> Teutide o Omito - si unl ai Greci raccolti in Aulide. Ma allorché la panema dell'esercito venne ritardata dai venti conttari, Teutide diventò ostile ad Agamennone e decise di tornare in Arcadia con il suo contingente. Allora Atena, assumendo le sembianze di Melane figlio di Ope (personaggi alttimenti sconosciuti), cercò di dissuaderlo, ma Teutide si infuriò e la ferl con la lancia sulla coscia, rientrando poi in patria insieme ai suoi UV AUIC\O>V mc 'ICaÌvuv, Kap. otc 'ICaÌùviip ).iyetal C\lpM>C o ICaÌ OÙ'IC ÈvePTlic, Lo stesso Eustazio (p. 972. 30) saive che u..,A.6, derivaper sincope da u1taA.oc: quest'ultimo aggettivo è impiegalOda C. nell'Ecale (fr. 289 Pf. = 112 H.), a quantopareconil significato di
on
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"~""°'
bruno,deforme.
i11:,1[:Grcnfell e Hant, che nel POxy. 14 poccvanoancoraleggere ÈKe\. .[, ritenevano pià probabile Ése,yi[![v (si a/frettava)di iseiçQ[11 (fu convinlo): vd. app. Il verbo regge ovviamente l'infinito A.aPeiv del v. 3. 3 ùv8' ÉIL'.cs-ro11Po(]mv ivvacipo,11: All'intemo dei poemi omerici l'aggettivo ÈvveciPotoc compare solo nel passo iliadico riportato nel comm. al v. 2 s., mentre É'ICatoJLPowcsi trova sia ll sia in Il. Il 449. 4 CJlllYVIIY sil.&1L'.Uv"'"Cl .[: Questo verso è tmnaodato. oltre che oel POxy. 14, in un commento papiraceo ai Theriacadi Nicandro (vd. app. delle fonti). Il cxmunenwore,in riferimento al v. 386 del poemanicandreo (dove comparela parola c11tvuow),saive che 'Jl'VUl'I significa c'ICaipeiov(vanga,zappa,piccoua). Dopo una lacuna di circa venti lettere leggiamo ]6avtov CJUVUIIV KÉM'ICUv 11-e[.Si è inizialmente pensato che le lettere )6avtov facessero parte del verso callimar.beo (-]6avwv c1uVV11v 1tÉA.e1CUv 11-na.(-uu--), ma l'ipotesi sembra poco plausibile, perché non si riesce a trovare un supplemento per l'inizio dell'esametro (la congettura di Page 6 • ùvtì c11wU1Jc non può essereaccettataperché il contesto è lacunoso). In realtà, come ba osservatoLivrea, Teuthisp. 43 s. = 171 s., è molto meglio attribuire le lettere ]611viov al commento e integrare l'aggettivo EÙicpa]6avtov (facilmente vibrato, maneggevole).Livrea nota che il vocabolo viene impiegato negli scoli a Hom. Il. xvm S16 (po6avòv 6ova1CijaI) per delucidare l'hapax omerico po6avov, saitto da Zenodotonella fonna p116aA.ov(cf. Nicaenet. CAfr. 1.4 p. 1 pa6aA.ftc). Lo studioso congettura perciò che anche nel nostro verso comparisse la parola pa6aA.oc e che essa si riferisse a c11wuf1v. Ecco la ricostruzione proposta da Livrea per il commento a Nicandro e per l'inizio dell'esametro callimacbeo: quvutJ yàp c'ICaip[Eiov·''ICaÌpa6aA.iiv' - otov EÙ1Cpcil6avtov- 'c11wU1Jv'.Vd in generale l'app. Il contenuto del versonon può esserericostruito con sicurezza, perchéoon sappiamo se qui la parola CJl'lVUTJV significhi zappa o ascia. Come spiegano le fonti grammaticali raccolte da Grooewald p. 111 s., la c11tVU1J era una bitknte, cioè un atttezzodi fezro che da un lato aveva la forma di una zappa (611CElla)e serviva a scavare e dall'altro aveva l'~petto di un'ascia(~{Vfl) e serviva a tagliare la legna. Questa duplicità semantica si riscontra anche nelle attestazioni della parola presso gli autori: in alcuni casi Cl,l\VUfl sta per zappa (Aristopb. Av. 602, PlaL Resp. 370 D, Maxim. 470), in altri la parola significa ascia/piccone(Aristoph. Nub. 1486,
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1500, PCG 610, 2: nell'ultimo passo si dice espressamente che l'aureu.o serve per fare Jegna), in altti il senso è dubbio (Aristopb. Pax 546, PCG 432, 889, Nic. TMr. 386, SH 563). Vd C. D. Buck, A Dictionary of Selected Synonyms in the Principal Indo-European Languages (Chicago 1949), p. 501, W. K. Pritchett, «Hesperia» 25 (1956), p. 302 s. Bisognerebbe capire se, all'interno del confronto fra agricollUl'a e taglio degli alberi svolto in questi versi, la quv\>11 è considerata uno strumento del contadino contrapposto al Ku..e1rue (scure) del taglialegna oppure se sia la quv\>11 sia il 1tÉA.E1CUc sono menzionati come utensili del taglialegna. La prima ipotesi è presa dubbiosamente in considerazione da L.J.-P. (SH p. 120): «utilius est, in buius modi regione, rastrum deponere, securim suscipere?» (vd. anche Hollis, Teuthis p. 120). La seconda idea viene preferita da Livrea, Teuthis p. 44=172, cbe propone di integrare x:aì j:,a6aA.T1v](vd. sopra) cJp.tVU11V 1tÉA.E1CUv p.ua~[cn~c11at e di intendere «e scuoti vigorosamente, come un'ascia, la zappamaneggevole». Si noti, pero, cbe il supplemento di Livrea per la fine del verso viola la legge mebica enunciatanell'Jntrod. m.t.A.c.v. (oltre a aeare un esametro spondaico di strutturaatipica per gli Aitia: vd. Introd. 111.1.A.a.ili.). In considerazione di questa norma, nel nostro verso bisognerà scrivere p.é-fa (preposizione cbe regge 1tÉA.E1ruv in aoutrofe). Acceuaodo per l'inizio dell'esametro la brillante integrazione di Livrea e rit.enendo come lui cbe qui la cp.tYU11sia un attrezzo del boscaiolo, proporrei p.es. di supplire x:aì j,a6al.'1v J cJµtvu11v Ku..e1ruv tdta ~[cxUE xÉpuu, «e vibra nelle mani l'ascia maneggevole dopo la scure».Il senso pottebbe essere che il 1tÉA.Ex:uc serve in UDprimo momento a tagliare i troncbi pià gnndi e resistenti, menb'e la cµtvu11 viene impiegata in séguito per recidere i rami pià sottili. Si b'alta, ovviamente, di una proposta molto ipolelica. Vd. in geneiale l'app. S • .]upo• _[] • . 5iJn11v cip..odpan ctoius[n: All'inizio del pentametro Gronewald proponedi integrare 6o]upocp4(y]Qy,mangiatronchi.L'aggeai\lO,cbe DOD ~ IUrJSfato altrove, avrebbe 111 mNtesirna struttura di T1J•cryoce KDl'l.«"fO' (Cali. Ree. frr. 290 e 365 Pf. = 55 e 56 H.): vd. app. Per il nesso asindetiNl 60Jupo'P4[y]9y 6iiKt1Jv, d.fr. SO, 13 ~av8à ... a~pà ).{1t]11con il cornm. I due aggettivi si riferiscono non a cp.tvU11v, beosl a KÉAeKUv. Infatti è proprio il Kw1rue, la scure, a esseremordace con entrambe le bocche, cioè ad avere due tagli: cf. Hom. Od. V 234 s. 11:ÉA.eKUv ... I ••• CÌp..«>tÉpa,8ev ci1eaxfdvov e gli altti numerosi passi raccolti da Gronewald p. 113. L'uso metaforico di uop.a per designareil taglio di una lama è affine all'impiego - nel medesimo senso - dei vocaboli yévuc, yÉvetov e yvcx8oc (propriamente mascella, mento), come mostrano i luoghi citati da Gronewald p. 113: di particolare rilievo è Soph. EL 485 CÌflqniK1Jc yÉvuc I (a proposito della scurea doppio taglio coo la quale fu uccisoAgamennone). Per l'aggettivo 6,ix:tT)v, et.Jr.99, 5• con il comm. Per 5iix:i11v e uop.a[n alla fine dei due cola del pentametro, cf. ep. athsp. App. Pian. 266, 8 6'ix:t~ ceio (cioè del dio Momo) .•. uop.an•. 6 C:'ICCltUIYfloc:: Il vocabolo è di uso prosastico, ma a. Lyc. 652. opo,tuKoc: La parola si ritrova presso Pen. Anth. Pal. VII 445, 3 = HE 21,11•. Nic. TMr. 377•. Il significato è taglialegna, secondo lo scolio a Nic. TMr. 5: òpotti>11:oc6È uAotop.oc. Ma è anche attestato il sensodi cavapietre: cf. Galeo.In Hippocr. Epidem. lib. VI comm.Ili, CMG V 10, 2, 2 p. 149. 22 Wen:tr.bacb-Pfaff ÒpettuKOCòvop.atouctv oi "EU11vec. toùc onouv ÈK tmv òpmv eic t'IYKoA.tv x:ata.Épovtac, o[ov ~ul.cl 1eaì. At8ouc ii n tOW\l'tOV. ipya:~11(: In considerazione del successivo ~cwnc x:ev (v. 8), l'integrazione Èpyat11[at di Page e West mi sembra preferibile all'ipycil;11[iat proposto da Gn:mell e HUDtquandoDOD era ancora noto il PMich. inv. 4761 C (vd app.). A quanto pare, la seconda persona DOD si riferisce a UDdestina18rio specifico. ma ba valoregenerico.Per l'esaIIN",tff) spondaico,vd Introd. W.1.Aa.
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7 -i)qJov 1tdV1)c: L'integrazione di Grooewald si basa su Dion. Per. 998 I to(fl ÈKEÌ.KElYflC cipouc KÉ>..E1 1Ct>... La posposizione di ÈxE{compareanche nel fr. 26, 1 c1Clì>>..oc È11:dJL1v:vd. il comm.ad loc. 01ept6uv: Il POxy. 14 ba Ò1Cpuouv(gelido: cf. Hom. Il. VI 344, IX 64), ma - dato il contesto dei nostri versi - bisogneJ'à acceuarc la congettura di E. Diebl ò1Cp10E1v (scabro: cf. Hom. IL IV 518, VIII 327, XII 380, XVI 735, Od. IX 499, sempre a proposito di piette): per il nesso Ò1Cp16E1v E&aq,oc,Diehl richiama Aesch. Prom. 281 I Ò1Cp10Écqi x8ovl (v.l. Ò1Cpu-), Nic. Ther. 470 I oupEa ... Ò1Cp16Evta(v.l. Ò1Cpu-)I. Non sembra necessario prendere in considerazione la proposta di Gronewald ò8pu6E1v, fondala su Hesych. s.v. ò8puoEY (aspro, selvoso,jino, scosceso). Vd. in generale l'app. Per la desinenza -e1v nei casi direttineutri di aggettivi con uscita -ELc,-«ca, -Ev, cf./r. 97, 20 òq,puoELv"I>..10vcon il comm. llh1,oc: L'uso della parola nel senso di suolo è prosastico. 8 s. ouu pcitou 1Cav ivt cx6pov out' Èv[ì. 1e1i\JLC1, I 5)otcì Ma8v1Lvcxfou 5mpu 1eu8111•vÉoc:Il suolo dell'Arcadia (o di Teutide) è cosl scabro che non vi si può piantare né frumento né vite, i due doni di Dioniso. L'integrazione alla fine dell'esametro speaa a Henrichs (vd. app.), che si è basato su due passi di Massimo Astrologo e su un luogo di Nonno, già richiamati da Gronewald p. 113: Maxim. De action. CllASp. 459 s. il yupo\C lv1 498-500 Èx1q,pa&ÉmcKOYÉu8111I CÌJLq,Ì. IC).ijJLaME8uJLvaCou).rl.{t)CCl\I 1Cat8ÉJLEYC1\, yEcotoJLln(vd. qui il v. 1 con il comm.)· cù &i IC.Èv ve10i.u pcii..o10I cKÉpJLata8upcaUmc, Po8pijcu( u Pwiv t' ÈvÌ. 8Eival t' ÈvÌ.K).iJJLatayupo1c, Noon. Dion. XLVII 69 ICÀ,acc111 1C>..iJJLata y\,po1c (insegnamenti di Dioniso a !cario). Può darsi che i passi citati dipendano bJtti da questi versi di C. Henrichs p. 143 ba anche individualo l'esatto signifiCBIOdel distico: Dioniso ba elargito all'umanità non solo il vino, ma anche le messi. Infatti nell'Alessandria dei primi Tolemei «Dioniso venne paragonato al locale Osiride. Poiché il secondo, comeincarnazione del Nilo, eia anche ritenuto fonte della vegetazione che nella piena del Nilo si rinnovava ogni anno, in questo modo Dioniso poteva trasformarsi nello scopritore e nel maestro dell'agricoltura» (vd. anche A. Henricbs, Die Phoinilcikades Lollianos, Bonn 1972,pp. 58-61, 75 s.). 8 oGu p.Ucnc 1e1v hl ca6pov: Cf. Ap. Rh. III 413 où cxopov o>..1CoiuvA11ouc ivi.PaUoJLal cilCti)vcon i passi raccolti da Campbell nel comrn 9 M18uJLvcxlWO Dioniso figura come l'elargitme non solo del vino ma anche delle messi (vd. il comm. al v. 8 s.), C. implicitamente respinga l'etimologia da µÉ8u e accolga quella da Mn8uµva. 1eu811y1vaoc:L'aggettivo è attestato solo nel lessico di Esicbio, s.v. 11:u8f1revÉu (SecondoGronewaldp. 114, Dioniso TEYÉ«u Latte), 1C4441, II p. 543 Latte· 1Cpuq,oyEvÉc1v.
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viene qui definito nato in segretoperché :zeus lo partorl dalla sua coscia badando r.benon se ne accorgesse la gelosa Era: cf. [Hom.J Hymn. I 6 s. e.È 6 • É-cucu"°''"IP ùv6péòv u 82mv u I xollòv à,c' àv8pm1t0>V, 1CpU7t'tOJV ÀEUKO>MVOV "Hp11v,Eur. Bacch. 94-98, [Olpb.] Hymn. L 3 Quandt I icpu.-{yovov.Ma è pii) attraente l'ipotesi di Heoricbs p. 140 n. 3, il quale osserva che il Dioniso menzionato nel nostto verso - cioè l'inventore dell'agricoltura (vd. il comm. al v. 8 s.) - nacque da z.eus e da sua figlia Persefone (cf. Diod. m 64, 1) e ritiene che egli venga qui definito nato in segretoperché la sua origine incestuosa eia tenuta nascosta (cf. Diod. IV 4, 1). Per Dioniso-Zagreo nato da Zeus e Persefone, cf. fr. 50, 117 con il comm. 10 s. c%tP.[1.Jq5uc. 6' oùx èU.1..o c.cxpmv(&uc. of>5uc. ,v,CI .•l . .«>PDV 'Atavmv 6uiiu xcù.cs1.oiciff1v: Il senso generale del distico è chiaro: in Arcadia (o a Teutide) il suolo - che, comesi è detto, non è coltivabile a frumento e a vite (v. 8 s.) - produce in abbondanza querce selvatiche, delle cui ghiande gli Arcadi si nuttono dalla pill remota antichità. Alla fine del v. 10 è praticamente siCID'Oche si debba integrare un qualche modo dell'aoristo lvt'(icov (nel senso di produrre), avente per soggetto ol>6ac.e per oggetto Ma il giro sintattico dei due veni resta inccno, perché non si riesce a ttovare una c.apcov16ac.. leuma compatibile coo la sequema.co~.cpopovali 'inizio del v. 11 (pel' la descrizimc delle tracce prima di co e prima di q,, vd. app.). Soltanto presupponendo che in questo punto lo saiba avesse Cflrnrnessoun errore,si sooo riuscite a escogitare due proposte: 1) Ammettendo che lo saiba vergò per sbaglio çco~{i;,t,opov, Mertclbacb ha suggerito tvt[yxol (rna sarebbe rneglio fv~[uc&,come osservano LJ.-P.) I tJ~opov, il suolo produce querce selvatiche, non altro che porti vitto (per l'uso dell'aggettivo tmoq,opoc. in un senso analogo, cf. Paul. Sii. A.nlh. Pal. IX 765, 4 = 13, 4 Viansino). Il nesso oùic iillo in un contesto del gcnae può essere confrontatocon Call. A.etfr. 75, 26 s. Pf. 'Axoviwv ..• e.iixcxic. I WJLOUV, OÙIC iiÀ.1..ov, VUl14'\0V ~ÉJL&VCI\. 2) Ammettendo che lo saiba vergò per sbaglio ~ml~tf.cpopov, U.-P. bannodubbiosa!DC'Jte proposto tv~[iica\ I t]IÌ>c.q,op6v,MSsunaltro suolo t cosìferace Ml produrn querce selvaliche (rna gli stessi LJ.-P. notano che l'aggettivo cpop6c. è attestato solo presso Ippoaate - cf. Mul. I 40 - e i prosatori tardi). Il nesso oùic iiÀ.1..Din un contesto simile può essere confrontato con Call. Att. fr. 61, 11-13 Pf. I JC&\YflC. o[ù)z ~iPTI yàp ÈKÌ.... I (LÀ.flVOU ... \ICHOxl.6u)..{611 I 11oi &i60JLÉYfl JllV.lOVpÉ:80v Cf. Aie. Mess. App. Pian. 8, 5 s. = HE 118 s. 4>oipcpI ••• eic: lplv iivi:wcxt I, Antip. Sid. App. Pian. 178, 6 = HE 475 (0\ ... EÌLEp\YÈf>xo11e8cx I, ArcbiasAnth.Pal. VII 696, 3 = GP 3690 4>oipcp... EÌLq,1v ut11c I, Honest GP 2463 ,:ì. yàp Mouccxu. eic: lp1v iiviiaccx; I e gli altri pa.ui citati da Grooewald p. 115. 14 ijye1.pev 11'111 vaix:oc::Teutide suscilt) grOlllh contesa con gli Alridi. La frase concentra due espressioni omeriche:per1fYEipEv••. vE'ix:oc: cf. IL XVII 544 E"fE\PE&è vE'i1Coc:, per l'Élcx vE'iicoc:cf. sopranuuoOd. xvm264•, ma ancbc IL XIII 122, xv 400, xvn 384, Od. XVI 98=116. o ccxi 1t11[:Si può pensare a o (nel senso di che o di per il qual motivo) oppure a o (egli). Se si saive oe lo si intendecomeil ladno quamobmn,t possibileintegrare - cm W.P. - o x:cxì. ,ui[À.lYmpvu1:o&éòl'CX I Eic:éov, per il qual motivo (Teutide) si slanciavaanche di rilornoa casasua.Vd. app. 15 ùU.' lc:-na(c:),•cxi A,òc: è11 .[: Atena inlaViene per cercare di riconciliare Teutide con gli Attidi. Il PMich. ba Eu11[ilxcxl. La congettura U't11(c), scxi poposta da Lloyd-Jones, è molto piQ plausibile di quella ict11 1tcx'i(c)avanzata da Page,dal punto di vista sia paleografico sia stilistico (si ricordi che C. ama apostrofare i suoi personaggi): ma ti ergesti, figlia di ZLus. Alla fine del pentametro si può integrare p.es. - con Parsons - ÈI' 11-(t:uitrp(nel mezzo), oppure - con Livrea - ÈI' t.f(ÉMXvo, (scii. e'i11an, 1tpocm1tcp,sotto le spoglie, sono l'aspettodi Melant, cf. Paus. VIII 28, 5 riportato nel comm.introduttivo). Vd. app.
Di libro incerto Frammenti
111-115
Le fonti che tramandano questi frammenti attestano la loro apparteDCDZa agli Ailia (dei dubbi sussistono per il.fr. 115). Ognuno di essi potrebbe risalire al primo o al secondo libro.
Frammento 111 (187 Pf.) C. narrava che gli Arcadi venerano Artemide con l'epiclesi di Strangolata. Clemente Alessandrino, il quale tramanda questa notizia, aggiunge che un'altra Artemideè onorata a Metirnna nell'isola di Lesbo, con il nome di Condilitidt. Un passo di Pausania (VIII 23, 6 s.) dimostra che le due informazioni sono tra loro connesse: Kaq,uéòv 6È 1Ìq,Éct111CEY O(OYcta&wv Kov&uA.icxxa,piov, ICCXÌ. 'Ap1:É11..&oc: cUcoc: 6è ICCXÌ. vaoc Ù't\Y Èvtau8a ICCXA.OU1'ÉY11C Kov6uÀ.Ean6oc ,:Ò cipxcxiov· l'E1:0YOl'CX(~YCX\ • \ • I ' 8EOY I I J::I \ ' I -1}_.-.J:.I EK\ CXl'tlqt 't1)Y lpCXC\ 'tO\CXU'tllKCX\u\CX KEpl 'tO lEpOY1ta1-.ov,:cx••• EKE'tUXE 1C~up. 6t;cavtcx 6È tò x:cxÀ.cplhov tou CÌ-yaÀ.Jlcxtoc KEpÌ.tòv tPO:X11ÀoY ÈKÉÀ.EyEv mcCÌ1tayxot,:oii "Apu11u.. (7) q,mpaccxvn, 6È oi. Kcx1puE'ic ,:à KO\T18Éncxuxò téòv 1tcx..&imv ICCX'tCXA.EUOUC\V cxuta. ICCX\ (lp\U 1:autcx EpycxtCXJlEYO\C ECEKUEY u ,:cxc7"YCX\1CCX( YOC:OC:, 'tCXEY 1:11ycxc:1:p1. f
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COMMENTO: FRR. INC. UB. AEI. 110; 111-115; 111-112
KpÒ 'tOICHO\I u8vdò-icx i1elkiU,u8cx1., i, o ii Ilu8icx 8ii'l'ot\ u -ià Kott6icx ÒtveiKe ICIXÌ. ivcxyi~uv cxu-iok 1ecx-iàl-ioc· ÒtKo8cxveivyàp cxù-ià où d,v 6iicn. Kcxcpuek 6È KO\O\K\ -iii u ciUcx ln lCotÌ.vuv 1ecx-i·È1eeivo -iò µiivuuµcx ICotÌ.'t11V iv -icxk Kov6uÀ.ÉcxK 8eòv Kpou'ivot\ yàp ICIXÌ. -i66e Én 'tip XP1JCl,lq> cpcxu - ICIXM>\IUV 'AKIX'YXOl,lÉY1JVÈlCE\VOU. Pausania, dunque, saive che nei pressi della città di Cafie c'è la regione Condllea (si tratta di luoghi arcadici poco a Nord di Orcomeno). Qui si trovano un bosco e UD tempio saai ad Artemide, che in passato era chiamata Coodileàtide ma poi cambiò nome a causa di un episodio oarrato dal Periegeta. Una volta dei bambini, che si trovavano a giocare nei pressi del santuario, legarono una cordicella al collo della statua di Artemide e dicevano che la dea veniva strangolata. Gli abitanti di Cafie scoprirono ciò che i bambini avevano fatto e li lapidarono. lo séguito a ciò le loro mogli partorirono prematuramente bimbi morti, finché la Pizia ordinò di sotterrare i bambini lapidati e di celebrare saaifici annuali io loro onore, pecché erano periti ingiustamente. La Pizia volle anche che, da quel momento io poi, l'Artemide di Coodllea venisse detta Strangolala. A quanto pare, Pausania racconta la favola eziologica che - come attesta Clemente Alessan,trino - si trovava negli Aitia. Pausania. infatti, spiega che la medesima Artemide arcadica era chiamata sia Strangolata sia (oome a Metirnna) Condilìtide. Per quanto riguarda l'appellativo 'A11:cxno11iv11,vd. G. Wenttel, 'E1t1.1e411u1.,8eiòv (Diss. Gottingen 1889), c. VD pp. 4 ss. Un'analoga storia di strangolamento, collegata anch'essaad Artemide, veniva DlmWl da C. negli 'Yao11Y11llllt'tot (fr. 461 Pf.). Per gli argomenti arcadici nell'opera di C., vd. l'aonotazione al/r. inc. auct. 802 Pf. Si osservi che il culto di Artrmide Strangolalaa ConcBlea è simile a quello di Elena Impiccata (6ev6pi'tu) a Rodi (cf. Paus. m 19, 9 s.). La consultazione dell'oracolo di Delfi è UD tana ricorrente negli Aitia: vd il aJIDJD alfr. 36, 5. Hollis osservache il/r. inc. aua. 139 potrebbe risalire a questo aition (vd. l'aoooraziooe dopo il testo).
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Frammento 112 (188 Pf.) Uno scolio al v. 570 dell'Alessandra di Llcofronc espone le seguenti vicende mitiche: Stafilo, nato da Dioniso, aveva una figlia di nome Reo, cui si uol Apollo; Staftlo, preso dall'ira, chiuse Reo in una cassa e la gettò in mare; giunta io Eubea, la fanciulla partorl un bambino e lo chiamò Anio; questi fu oondotto a Delo da Apollo, sposò Dorippe e genero tre figlie di nome F.no, Spermo cd Elàide (le cosiddette F.notropi, letteralmente TrasformalTiciin vino), cui Dioniso concesseil dono di provocare la fertilità ogui volta che volevano. Lo scolio attesta che, secondo Fcrecide (FGrHist 3 F 140), allm:bé i Greci diretti a Troia si fermarono a Dclo, Aoio profetizzò loro che Ilio sarebbe stata oonquistata solo al decimo anno e li iovitO quindi a traUenersi per nove aooi nella sua isola, dove le sue figlie li avrebbero nutriti. Lo scolio tramanda che queste vicende oomparivaoo anche nelle Ciprie (fr. 29 p. 60 Bemabé =jr. 19 Davies) e ci iofonoa iofioe che pure C. negli Aitia menzionava le figlie di Aoio. Un altro scolio all'Alessandra (al v. 580) specifica quali erano i doni concessi da Dioniso alle Ire F.notropi: F.noJX'C)ducevavino, Spenno semi ed FJàide olio. Le tre fanciulle si recarono a Troia e salvarono i Greci che pativano la fame. Lo scolio tramanda che anche C. oanava queste cose. Dunque, se dobbiamo prestare fede alla testimonianza dei due scoli, C. negli Aitia raccontava che le figlie di Aoio andarono a Troia e sfamarono l'esercito greoo. Il mito di Aoio - re e ardlegeta di Dclo nonché sacerdote di Apollo -, delle sue figlie Enottopi e dei suoi figli Andro, Taso e Micooo (per i quali cf.jr. inc. sed. 133 con il cornm.)è esposta io forme divcne dalle fonti letterarie: vd. Pb. Bnmeau, Recherches sur les cultes de
Dllos a l'tpoque heUhustÌI/Ue et a l'tpoqueimptriale (Paris 1970),pp. 413420. Come si è visto, secondo il poeta delle Ciprie e Ferecide, prima che cominciasse la guena di Troia Anio tentò invano di tene.re i Greci con sé pec nove anni, promettendo loro che le F.notropili avrebbero nutriti (a proposito delle vicende narrate oelle Ciprie, vaooo respinte le ipotesi di E. Betbe, Homer. Dichtung und Sage II, Leip'Lig-Berlin1922, p. 239 s.: vd. M.
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CALLIMACO- M11A, LIBRI PRIMOE SECONOO
Szarmach, «F.os,.62, 1974, p. 41 s.). La stessa storia si trova nei vv. 569-580 dell'Alessandra di Licofrone. Gli eventi che coinvolsero pii) direttamente le Enotropi in relazione alla guma di Troia vengonottamaodati in due versionidisoordanti.Alcuni saittori raccontanoche esseandarono a Ilio per sfamarei Greci: Simonide (PMG 537) narrava che Agamennone mandò Menelao e Odisseo a Dclo per prelevarle (ma la fonte che ci fornisce questa notizia non specifica se le fanciulle raggiunseroeffettivamentel'esetcito grca,); il viaggio salvifico delle F.notropia Troia comparenei vv. 581-583 dell'Alessandradi Licofronee- a quanto pare - si trovava anche negli Ailia di C.; secondo uno scolio al v. 581 dell'Alessandrae probabilmente secondo Servio (in Verg.Aen. Il 81), AgamCDDODC inviò Palamedea prendere le F.nottopi. Invece in base all'altta versione - che si uova presso Ov. Mtt. xm 629-674 e nello Schol. Dan. Verg. Atn. IIl 80 - Agamennone inviò i suoi uomini a Delo, perché prendessero le F.notropicon la forza; le fanciulle, una volta incatenate, mvocarono l'aiuto di Dioniso, che le mutò in colombe; lo scolio a Virgilio precisa che ciò avvenne quando l'esercito era ancorain Aulide e spiega che, in séguito alla metamorfosi delle F.nottopi. a Dclo è vietato uccidere le colombe. Forse UD cenno alla trasfigurazione si può riconoscere nel v. 580 dell'Alessandradi Licofrone, dove le Enotropi sono definite colombe(1paPuc):ma è pii) probabile che la parola abbia qui il significato generico difancilllle (cf. Lyc. 103 11:wuxiv). Molte fonti aaestano che Anio ebbe vari 1apporii coo la famiglia di Enea: si osservi che già Palefato, peripatetico del IV-msec. a.e.(cf. SchoL Dan. Verg. Atn. m 80, omesso nella raca>ltadi Jacoby). faceva di Anio UD parmte di Anc:bise.Cf. inoltre Verg. Atn. m 80-82, Ov. Mtt. LL. e gli altri passi raccolti e discussi da Ph. Bruneau, op. cii., p. 418. Non conosciamo il contenuto del poema di Euforiooe che si intitolava Anio (CAfr. 2 p. 29). Sul culto di Anio a Dclo, vd. R. Vallois, «BCff,. 53 (1929), pp. 193-205, Pb. Bnmeau. op. cii., pp. 420-430. In base ai dati a nostta disposizione resta pmamente ipotetica l'idea di Wentzel p. 57 s., secondo il quale la metamorfosiin colcmbe delle figlie di Anio era già narrata da C. A1treaaDto incerta è la congettura di Noack p. 149, per il quale C. raccontava insieme sia la storia di Odisseo recatosi invano in Tracia coo F.noalla ricerca di vettovaglie (fr. inc. std. 691 Pf.) sia quella del litigio fra Od.isseotornato in patria e Palamede(cf. Serv. in Verg. Atn. Il 81), che portò alla partenza di quest'ultimo e al prelievo delle F.nottopida Delo (prelievo desumibile dalla frase di Servio injinila frumenta devuil). Né sappiamo se C. menzionasse le Enotropi insieme a Taso, anche lui figlio di Anio (fr. inc. std. 133). Vd. l'annotazione dopo il testo e quella di Pf. alfr. 697.
Frammento 113 (189 Pf.) Nel commento all'Eneidedi Virgilio, Servio trarnaodache Vanooe negli Attia - seguendo C. - spiegava per quale motivo gli antichi si salutassero stringendosi la mano destra: essi riponevano nel valore della destta tutto il loro onore. Dalle parole di Servio si ricava che la delucidazione varroniana compariva già presso C., con ogni probabilità negli Aitia. I fnunmenti degli Attia di Varrooe (opera che non figura nel catalogo dei suoi scritti) sono sta1i raccolti da L. Mercklin, «Philologus,.3 (1848), pp. 267-277: il fntmmr-ntoin questione è a p. 272. Per quanto riguarda l'Pticbissimn uso di stringersi la destra, vd. A. Hug s.v. Salutatio, RE I A 2 (1920), p. 2062 s.
Frammento 114 (190 Pf.) Nel settimo libro dell'Eneide (vv. 774-780) Virgilio narra che Diana.dopo avere indotto Esculapio a risuscitare Ippolito (cf. già Naupact.fr. 10 p. 126 Bemabé = fr. loC Davies, Cines. PMG 774, Telcst. PMG 807), nucose quest'ultimonel bosco abitatodalla Ninfa Egeria (cioè ad Aricia, nei pressi di Roma) e gli murò il nome in Virbio: da quel santuario di Diana sono banditi i cavalli. che avevanoprovocato la morte di Ippolito sbalzandolo dal cano alla
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vista dei mostti marini. Nel commento al passo virgiliano, Servio osscna che il poeta spiega l'aiJiondell'esclusione dei cavalli e tramanda che questo mito era rievocato da C. negli Aitia. Il luogo di Servio dimostra la genuinità di quanto è detto nello scolio G a Ov. lb. 279 s. - cioè che C. menzionava Ippolito -, benché lo scolio stesso fraintenda il distico ovidiano e citi quattro versi fittizi, spacciandoli per callimachei. Vd. in generale il testo e Hollis, Hellenistic Colouring p. 276. Per il tipo di aition, cf.fr. inc. sed. 133 con il comm. Nonostante i dubbi di C. Roben, Dit griechische HeldensageIl 2 (Berlin 19214), p. 749 n. 7 e di altri studiosi, non è sorprendente che C. narrasse la favola italica del culto di Virbio nel santuario di Diana Nemorensisad Aricia, visto che egli dimostra - soprattutto negli Aitia - uno spiccato interesse per Roma e l'Italia (vd. il comm. al fr. 50, 18-83): cf. l'ambientazione romana deifrr. 106-107 Pf. e le storie italiche del cacciatore nelfr. 96 Pf. e dei Tirreni e dei Liparesi nelfr. 93 Pf. (tutti dal quarto libro). Per il mito di Virbio, cf. - oltre al passo di Virgilio discusso in preceMDza - Ov. Fast. III 263-266 (nel v. 266 compare l'aition dell'esclusione dei cavalli: undenenuu nullis illud aditur equis), VI 739- 762 (specialmente 755 s.), Met. XV 542-546, Paus. Il 27, 4. Non si può accettare l'ipotesi di M. Klein, Mtletemata Ambrosiana (Diss. Regimonti 1927), pp. 28-33, che scopri nel De virginibus di Sant'Ambrogio (IIl 2, 5-7) la complicata storia di una passione di Diana per Ippolito e congetturò che essa derivasse dagli Aitia di C. (vd. le obbiezioni di H. Herter, «Gnomon» 6, 1930, p. 229 s.). Ambrogio, tuttavia, ci fornisce un'informazione inla'CSSaDte:ogni anno un cavallo viene saaificato a Diana (undeetiam sacrijicium quotannis l'esistema di questo sacrificio era già stata instaurantDianae, ut equus ad eius immoleturaras-. ipotixr.ala da J. G. mm-nel GoldenBough).
Frammento 115 (SH 277), dubbio Nel lessico di Fozio e in altre fonti gramrnaticsw leggiamo che ad Atene era vietato far partire una spediziooe militare entro il settimo giorno del mese. In un codice del lessico (codex Zavordensis 95) si aggiunge cbe il motivo di quest'usanza era spiegato da KaÀ.A.iµaxoc Èv A't't\1toic. Latte ba corretto 'An11to'ic in AÌ'ttoic.: se la congettura è giusta, abbiamo qui un frammento degli Aitia. Ma poiché si sa che 'A nuca era il titolo di un'opera antiquaria di lstro discepolo di C. (cf. FGrHist 334 FF 1-16 e forse 24-38), LJ.-P. hanno dubbiosamente proposto di scrivere ("lupoc. o) Kalliµax(u)oc Èv 'A't'tl'ICOlCe quindi di attribuire il frammento a lstro (vd. in generale il testo). Per quanto riguarda l'argomento, si osservi che il numero sette era saao ad Apollo: cf. Hes. Op. 770 s. e Cali. Del. 251-255 con lo scolio al v. 251; vd. l'annotazione di Pf. allo scolio in questione, il comm. di Mineur al v. 251 e K. Tsantsanoglou, New Fragments o/ Greek Lilerature from the uxicon o/ Photius (Athens 1984), p. 157 s. Di argomeoro ateniese e ilfr. 60 (vd. l'annotazione dopo il testo). 0
Frammenti di incerta collocazione che forse appartengono al primo o al secondo libro degli Aitia Frammenti
116-119
I quattro frammenti provengono da due frammenti del medesimo papiro (PAnt. 114): ifrr. 116 e 117 sono saitti rispettivamente sul 'recto' e sul 'verso' del .fr. 1, ifrr. 118 e 119 rispettivamente sul 'recto' e sul 'verso' del .fr.2; in entrambi i casi, non sappiamo se venisse prima il 'recto' o il 'verso'. Mentre dei.frr. 116 e 118 non è possibile determinare il contenuto, sicuramente il.fr. 119 e forse il.fr. 117 contengono dei riferimenti all'isola di Nasso: nel.fr. 117, 4 si parla forse delle vallate di Nasso, nel.fr. 119, 4 (=/r. inc. sttl. 601 Pf.) si dice cbe l'antico nome di Nasso era Dia. Inoltre, nel .fr.117 si leggono forse il nome di Dioniso (v. 3) e la parola ninfa (v. 5). Tenendo conto di questi dati, sarebbe possibile attribuire i frammenti in questione al primo ailion dell'opera (frr. 5-91 8), dove Clio spiegava che le Cariti nacquero da Dioniso e dalla ninfa di Nasso Coronide (d. Schol. Fior. 30-32). Già Pf. aveva ipotizzato che l'esametro nel quale si parla di Nasso e del suo antico nome Dia spettasse al primo aition: infatti Apollooio Rodio (IV 425) saive I Ain Èv ùp.q,uu..cpin un passo che collega le Cariti a Dioniso (a Dia - spiega Apollonio - le Cariti cucirono un peplo per Dioniso). Lo stesso Pf. osservava che è molto meno probabile un'appartenenza del verso in questione alla favola di Acoozio e Cidippc, dal terzo libro degli Aitia (frr. 67-75 Pf.): l'unico esile elemento in favore di questa congettura si uova nel.fr. 75, 41 Pf., dove Nasso viene d,iamata Awvucuic. Vd. nel testo l'annotazione dopo il .fr.119.
Frammento 117 (SH
272) 3 )IJ&~UDY •••• .[: Le lettere &uov potrebbero anche essere lette come aici>v o ù{cov, ma qui DOllci si aspetta la scriptio piena -6e ~l- (d. V. 4 àv' ,ùm,J.[av). Sarebbe dunque lecito pensare al nome di Dioniso (41covv-), ma dopo l'ypsilon è molto difficile leggere un sigma (vd. app.). 4 J .ov civ' 1ùqywçn[cn: L'integrazione Na]~ov è molto probabile (vd. app.). C. impiega la parola eùayic:ua all'interno del medesimo nesso in Cer. 82 I Iliv6ov àv' eùayxE1av. Come osserva Hopkinson nel comm. ad loc., il vocabolo può essere inteso o come aggettivo femminile di eùayic:iic (cf. Pind. Ntm. V 46 I Nkou t' Èv EÙU'JICE"i ÀD1p1p)o come sostantivo (bellezza di vallate) conialo sul modello di p.1cyayic:ew (Hom. Il. IV 453): nel secondo caso, Na];ov àv" ~ù4~H[av sarebbe un esempio di cvjp.a 1cov1ic:ov(sulle/per le belle vallatt di Nasso); vd. il comm. al.fr. 1, 1 p.01... iK1-rputouuv CÌlowj\. 5 vu~: Può trallalsidellaparola vup.1p11 (Coronide?), ma p.es. anche di vup.•{oc (sposo). Vd. app.
Frammento 119 (601 Pf. + SH 274) 4 iv A(n • -iò 1yàp ln:11 1u1M1{-t11pov ouvop.11 Nci~cp:Cambiamenti di nome delle isole compaiono spesso nella poesia di C.: d. Dian. 41 s., Del. 36-40, 49, Aet. fr. 15, 62 s. Pf., frr. inc. sed. 583 Pf., 716 Pf. e forse il nostro fr. 15 e Bee. fr. 297 Pf. = 91 H. C. saisse anche un'opeca erudita intitolata Ktke\C viiccov 1eaì aoÀ.Eolv1eaì p.rrovop.ada1 (Pf. I p. 339, d. anche SH 291A). L'interesse caJlirnacbP-OJ)(2' questo tana si riverben su Apollonio Rodio (1623-626, Il 2% s.) ed Euforione (SH 431, 1-20). iv A(n: C., a quanto pare, dipende da Hom. Od. XI 325 I A{n iv àp.•lpuin (unica attestazione del toponimo nei poemi omerici): sembra che in questo passodell'OdisseaDia non sia Nasso (come per C.), ma un'isola al largo della costa settenttionale di Creta, dove Artemide - spinta dalle accuse di Dioniso - uccise Arianna, mentre Teseo la stava conducendo ad Atene. Gli scoli QV ed Eustazio (p. 1688. 42), nel commentare il passo odissiaco, offrono una spiegazione confusa, perché sostengono sia che la Dia omerica si trova davanti a Creta sia cbe
COMMENTO: FRR. INC. SED. 116-120
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essa è l'attuale Nasso: Schol. vilcoc 1tpòc tj1 KP1i'tllij·nc vuv Nci~oc KaM'itai, Eustalb. vilcoc ... 1tpò 'ri\c KP1ifflc i.epàb.\Ovucou ii KaÌ N~oc Èlc:À.,i8,i. Ferecide (FGrHisl3 F 148 in Schol. MV Hom. Od XI 322) si limita a dire che Teseo atttaccò a Dia con Arianna. Apollonio Rodio (IV 425) impiega il nesso I '1(n Èv à.µ,uxl.
stituirebbe un elemento in favore dell'ipotesi che le parole c1t. µu8. si ttovavano alla fme di un esametto, e quindi un dato conttario all'attribuzione del frammento agli Aitia). L'aggettivo cicÉpl30Àoc è un hapax. Si conosce pure il verbo ,icepl3éÀÀco (ingiurio), attestato anch'esso una sola volta, presso Aristopb. Eq. 821 µìt cicippollt nov11pa I. Oltre allo scolio ad Aristofane e al lemma di Suida riportati nell'app. delle fonti, cf. Hesych. s.v. c1tÉpl30Àov· Àoi6opov, à,w:auéòva, s.v. ,icippoÀo, · Àoi6(op)o, àaatif. Frislt osserva che icaì. tà oµoia, s.v. (ICÉppoÀÀE· Àol6éptl, s.v. ntplléllEl· ,1tepPéUm e ,dpl30Àoc sooo parole icastiche di etimo incerto: la loro seconda parte ricada il verbo palla, e il sostantivopéÀoc.
Frammento 129 (605 Pf.) iv' i-ip(•uv-io "vce-i6v: Pf. osservo che, nella frase dove si trilarono l'agliata, l'avverbio 'iva poteva riferirsi solo a un morcaio. La pubblicazione della favola di Artemide leucadia (frr. 35-38) ba reso estremamente plausibile quest'ipotesi: con ogni probabilità, il soggetto di itp(..,avto sono i predoni epiroti che posero sulla testa della statua il mortaio da
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CALLIMACO- AITIA, LIBRI PRIMO E SECONDO
loro usato per frantumare l'aglio (vd. l'annotazione alla Diegesis Oxoniensisfabuku Dianae Ltucadiae 13 s.). Vd l'annotazione dopo il testo. Nell'Aldina lo scolio ad Aristofane che tramanda il fnnnmcnto ba llv invece di 'iv·: ma la leziooe ilvè impossibile per motivi metrici (vd. Introd.m.t.A.c.v.). Vd. app. Pf. congettura che il fr. inc. sed. 130 yoyyuÀ.ocÈuì À.t8oc tramandi una descriziooe del medesimo monaio indicato dal nostro 'iv • e immagina che esso si trovasse alla fine del pentametro precedente. I mortai, infatti, sono spesso descritti rome pietre di/orma rotonda:cl. [Verg.) Moret. 95 lapidis ... cavum ... in orbem I (vd. oltre), Hesycb. s.v. oÀ.µoc· ,u~pupq,iic À.t8o,, p.apµapoc (Pappapuc Hesycb.: corr. Heinsius), Èv q,tàc PDtavac tptPouu, Suid. s.v. oÀ.110, = Schol. (Ald.) Aristoph. Vesp. 238 e icaì oÀ.µEu>c,upoyruÀ.oc À.t8o,, ek ov ic61ttouuv oc1tpia icaì ciU.a nva, Eustatb. ad Hom. Il. XI 147 p. 835. 48 (pià ricco degli scoli ABDn OÀ.JlOV,0( )..(80, ÈuÌ upor,uÀ.oc IC\JÀ.lv6pou6iic ... Èv q, K'tl((OV'tUl 1eo1tt6JLevaoc1tpw ii lupa nva. Vd. l'annotazione nel testo, nonché il comm. alfr. 130. JlUCmt6v: La parola, che corrisponde al latino moretum, designa un pesto di aglio, formaggio e aceto (vd. lo scolio ad Aristofane nell'app. delle fonti). Frisk s.v. collega il vocabolo a 11u11a(Atben. XIV 662 D), carne tritata condita con sangue, formaggio, micie, aceto cd erbe aromatiche. La parola (nella forma ionica µocuot6c o attica µuncot6c) ricorre varie volte in poesia: cf. Hippon. fr. 26, 2 W. = 36, 2 Degani, Anan. fr. 5, 8 W ., Eup. PCG 191, Aristopb. Ach. 174, Eq. 771, Pu 273. Aristofane impiegaanche il verbo µuncouuco (Vesp.63), che significa/accio a pezzi (vd app. delle fonti). Non sappiamo se Partenio scrisseUD carme intitolato Mocmtoc, cometnrnaoda1JDO scolio a Virgilio che comparenel foglio 33 del cod. Ambros. T 21 supp., del scc. XV(= SH dub. 638): ParthffliusMoretumscripsit in Graeco,quem Vergilillsimilalusest. Questo scolio, cbe era stato pubblicalo da G. J. Voss nel 1662, venne individuato da R. Sabbadini, «RFIC» 31 (1903), p. 472 fra gli scoli virgiliani editi da A. Mai nel 1818. Sabbadini negò allo scolio ogni valore, ritenendo che si ttattasse di una falsificazione basata su due luoghi di Maaobio: nel primo passo (Sai. Ili 18, 11), Macrobio attesta che il poeta latino Sueio (probabilmente contemporaneo di Cicerone) saisse un idillio intitolato Moretum (Sueius vir longe doctissimusin idyllio,quod inscribiturMoretum)e ne cita UD frammento (1 Morcl=Courtncy); nel secondo passo (Sai. V 17. 18), Maaobio ttamanda che Partenio fu maestro di Virgilio. Lo scetticismo di Sabbadini fu conttaddeaoda M. Lcncbantin, «RFIC» 38 (1910), p. '11)7e da C. Pascal, «Athenae 111n» 1 (1913), p. 163, ma la questione resta incerta. Per maggiori particolari, vd. l'annotaziooe a SH 638. Moretum è il titolo di un pocmeuo pseudo-virgiliano. Particolarmente vicini al nosuo frammento (e al successivo) sono i vv. 91 poscit mortaria, 94 s. tservatum gramine [in germineScbrader) bulbumI tinguilaqualapidisquecavumdtmittil in orbem. 100 ttrit omnia.
Frammento 130 (606 Pf.) TOffUMCicd 1'8oc: Forse
la frase è una pietra rotonda spetta alla favola di Artemide leucadia (frr. 35-38) e descrive il mortaio che i predoni epiroti posero sulla testa della statua: vd l'annotazione alla Ditgesis Oxoniensisfabulae DianaeLtucadiae 13 s. Basandosi sui passi riportati nel comm. al fr. inc. sed. 129, Pf. congettura che le parole yor,{,À.oc Èuì À.t8oc costituissero la fine del pentametro precedente all'esametro delfr. 129: cf. anche Aristopb. Nub. 676 Èv 8uetçt upoyruÀ.n, Nic. Thtr. 91 (con lo scolio), 589. Che il nostro frammento fosse il secondo colon di un pentametro è reso probabile dalla parola di struttura giambica )..i8oc: vd. Introd. ID.I.A.e.iv. e III.l.B.a.ili. Vd. app. e l'annotazione dopo il testo. yoyyu)..oc: Il grammatico che - commentando Aristoph. Pu 28 - cita il nostro frammento (vd app. delle fonti) leggeva senza dubbio yoyyuÀ.oc nel testo di C. La lezione ctpor,uÀ.oc, offerta dagli Epimerismialphabeticiin Homerume da Erodiano (vd. app. delle fonti), va certamente scartata, perché si traaa di una parola cmnune, frequentemente usala come spiegaziooe di yor,vÀ.oc (cf. Hesycb. s.v. yoyyuÀ.ov, Suid. s.v. yor,uÀ.1ov): può anchedarsi
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cbc, nel t.cslO degli Epimerismi e di F.rodiano, si debba saivere npoyyuÀoc. ('yoyyuÀoc)
i.
À..·, come piopoue
Meinete (vd. app.). Le varùu ltctiones yayyuÀ.ove npoyyuÀ.ov aimpaiono anche presso Soph. TrGF 395, 2 (y. AlelleO:np. Eustazio): ma npoyyuÀ.ov non può essere accetta10 per motivi metrici e dimostra io questo modo la suaoatma di glossa.
Frammento 131 (618 Pf.) •P-tiy,ov clc'lv 1,smv "loxcicu■ Alo1US110:Qualcuno abbandona la ciuà di Reggio, fondata da Giocasto figlio di Eolo. Pf. osservache potrebbe trattarsi di &acle: a quanto pare, infatti, l'eroe traversò il mare da Reggio alla Sicilia con le vacche di Gerione (vd. già F. W. Schneidewio, Htraclidis Politianun quat txstant, Gottingae 1847, p. 92). Lo pseudoApollodoro(Il S, 10, 8) racconta che Emcle, nel condurrela mandria di Geriooe verso la Grecia, attraversò la Tirrenia; ma a Reggio un toro si staccò dal branco, si gettò io mare e giunse io Sicilia, vagando fino al tenitorio di F.ricere degli Elimi: 6ià Tupfn1vicu fiEi· cxnò'J>Tiy{ou6È Etc cxnopp11yvun (paretimologia di 'Piiyiov) taupoc, 1Caì.taxÉmc Eic niv 8a.À.accav Èl'KECÒ>V ICaÌ. 6iav11ça.1AEVOC (Eic) C.tlCEÀ.tavICaÌ.'t'IV 7tÀ.TIClOV xcopav 6iEÀ.8cov,~À.8EV Eic Kwiov "'Epu1Coc.Ecco il séguito della storia pressolo pseudo-Apollodoro:F.riceaggiunse il toro al suo bestiame; nel frattempo, Eracle affidò a Efesto la mandria di Gerione e si mise alla ricen:a del toro fuggito, trovandolopresso F.rice;quest'ultimo sfidò Eracle a lottare contro di lui e venne ucciso; Eracle si riprese il toro e lo condussefm sul Mare Ionio con il resto del gregge. Le lince geocrali di questa leggendaSODOmolto diffuse a partire da Ellanico (FGrHist 4 F 111). Vd. anche il comm.alfr. 50, 53. Dopo avere riCOSlnlitoio questo modo il CODleSIOgenerale del frammento,Pf. ipotizza che esso appanenesse al primo libro degli Aitia e fosse collegato al corrottofr. 39, dove forse qualcuno utiliu.a un toro come remo. L'ipotesi che i due frammenti siano collegati si fonda su un passo di Tuneo (FGrHist 566 F 90 ap. Diod. IV 22, 6), dal quale apprendiamo che Eracle, giunto allo StreUodi Messina, fece traghettare il gregge io Sicilia, mentre lui stesso afferroil oomo di un toro e compl la traversata a nuoto: o6 • 'Hpa1CÀ.;jc1Catavfl)ccu iKì.tòv Kop89'Òv ... tàc l'ÈV Pouc ÈKEpatCDCEV ElC niv C.tlCEÀ.tav,aùtòc 6È 'taupou ICÉpCDC MlPOl'EVOC 6iEviiçato tòv Kopov. Ma si ricordi cbc ilfr. 39 pouebbeanchecelare unascenadi aratura, e quindi non essere collegato alla storia del gregge di Gerione(vd. il comm.ad loc.). Vd. l'annotazionedopo il testo. •Pir~ov ciuv ••• 1011:ciuamAlol.YT1v tonov, muctp 't'flYEuPouxv, 'EUo1t1av 1tÀT18;\va1), gli etnici delle due Ellopie SODO distinti io EA.A.ott\ijEC (Euboici) e 'EU.01 (Dodonci): d. Stepb. Byz. s.v. 'EUo1t1a · xcopfov EùP01ac ... tò È8v11tòv'EUo1t1Euc ... ii KEpÌ 6co6coYT1Y xcopa 'Ello1t1a ('Ell. codd.), ~e oi. oilCT)topu 'EUo\ ('Ell. cod.d.) 1taì Cùl.o1 (d. anche Cali. Del. 20 'Ello1t1T1cov I, Hesych. s.v. 'EA.A.01t1ijtc,io entrambii casi a proposito dell'Eubea). Poiché nel nostro frammento si tratta di Dodona (d. l'argomentodel peana 0
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pindarico e la parola TJ11ap1olc), Pf. ritiene che il supplemento 'El.l.q[KlTICOY non sia ammissibile. Ma il credito accordato da Pf. a Stefano Bizantino sembra eccessivo, perché simili distinzioni fra etnici affini spesso non banno un valore assoluto: cf. p.es. - nel comm. al fr. 95 - il casoanalogo di ~iole c218uotal. Cf. anchefr. 97, 11 s. con il comm. Pf. osserva infine che si potrebbe anche integrare l6pavov 'Ellq[u, inserendo cioè il nome dell'eroe eponimo (cf. Schol. A Hom. Il. XVI 234), ma riconosce che questo supplemento non si adatterebbealla parola oopavov. Vd. in genenle l'app. Per l'uso del vocabolo upavov, cf. fr. 69, la con il comm. Per i temi relativi a Dodooanell'operadi C., vd. il comm. al/r. 62.
Frammento 136 (705 Pf.) dc 'AdV11v "A1.utc6v u tcal il' a61.lv 'Ep1L1.ov-qmv:Asine, Alico ed Ermione sono tre città dell'Argolide. A dirigersi verso di esse potrebbero essere i Driopi, che Eracle dopo avere vinto in guerra Tindarnanri: - trasferl nel Peloponneso, dove essi venneroribattezzati 'Auvetc (lnofjensivi,fr. 27). Infatti Asine ed Ermione figurano fra le tre le città che - secondo Diodoro Siculo (IV 37, 2) - i Driopi fondarono nel Peloponneso: ipeic 11:6:>..uc tpucav Èv DÙ..011:ovYTIC'P, 'AdvTjV xaì. 'Epj.llOY1JV,E'tl 6È 'Hlova. Perciò l'esametro - come suggerl Hecker - potrebbe risalire alla favola di TJ.Odamanre(frr. 26-27). che probabilmentesi conludeva dei Driopi (vd. l'app. delle fonti al/r. 27). Ma sarebbeanchelecito proprio con il 11uo\1ClCl.lOC auribuire il frammento all'Ecale, comeproponeva Naeke: si osservi, infatti, che nell'Ecale si riferiscono a Ermione forse ilfr. 278 Pf. =99 H. e verisiroilml",Dteilfr. 285 Pf. =100 H.; e si ricordi che nell'epillio callirnacbeo sono menzionati vari luoghi argolici (cf.frr. 95-101 H., (Hec.)fr. inc. setl. 175 H.). Perciò Hollis ba accolto dubbiosamente il verso nella sua edizione deU'Ecale(Jr. inc. setl. 174). Allo scaro auuale delle nostre CODOVfflU:, non è possibile decicleff' in favore dell'una o dell'altra attribuzione (vd. l'annotazione dopo il testo). Per la topografia delle tre citlà, vd. O. FrOdin- A. W. Persson, AsiM (Stockbolm 1938), pp. 15-20. dc 'Ad"'I" ••• 1ta\ iii' a6l.1.v 'Ep111.0YT1mv:Cf. Hom. Il. II 560 s. I 'Ep11lov11v 'AdY11v u ... I Tpol~ijv" 'Hiovac u, Hes.fr. 204, 49 M.-W. I 'Epj.llOYTjV'AdY11v u (vd. Rcinsch-Wemcr p. 395). 'AdVl'jv: La città si 1r0vava al centro del Golfo argolico, poco a Sud di Nauplia. "Al.uxov: Alico viene menzionata anche nello Schol. Aristoph. Lys. 403 iòv Docu6éò iòv cv..uxov) iòv 8al.acuov, nvÈc 6È UKovoouu CÌKÒ11:ol.Ecoc Dù..o11:ovV1Jdmv'Al.uxou ['A. Dindorf: CÌÀ.uxoucL), Év8a n11aial o Doul6éòv. Si tratta molto probabilmente della città chiamata di solito 'Al.lei, o 'AÀ.ux o 'Al.ii o 'Al.1xTj: vd. W. Dittenberger, «Hermes» 42 (1907), p. 3 n. 1 e F. Bolte, RE VII (1912) p. 2246. Non è invece verisimile un'identificazione di Alico con Eione (cf. Hom. Il. II 561 'Hiovac), che secondo Diodoro (IV 37, 2 riportato sopra) fu fondata dai Driopi insieme ad Asine ed Ermione: infatti Strabone (VIII 373, dal Dq,ì. vwv -.caial.oyou di Apollodoro: il frammento manca presso Jacoby) distingue 'Al.letc da 'H lonc. Alico si 1r0vava all'esttemità orientale del Golfo argolico. La collocazione esatta di Eione è ignota, ma forse essa era sulla costa pocoa Est di Asine: vd. J. G. Frazez,Pausanias's Descriptionof Greecem (London 1898)p. 299. &11•61.\V: Il nesso non è omerico. Cf. invece Ap. Rb. I 166*, II 996*. Per l'apocope, vd. Introd m.2.F.e. •61.1.v 'Epp.\Oft!mv:Ermione si 1r0vava sulla costa meridionale della penisola Acte.
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Frammento 137 (710Pf.) Stefano Bizantino JrRrnandache l'isola di Paro eni inizialmente abitata da Cretesi e da alcuni Arcadi: secondo C., il suo nome deriva dall'arcade Paro, figlio di Parnsio. Pnò darsi che il frammento spetti all'aition dedicato al culto delle Cariti a Paro (cf. frr. 5-9 18 e gli Scholia Fiorentina21-37). La fondazione di Paro da parte dell'ooionirno Arcade era narrata da Aristotele neUaCostilllzionedei Pari: cf. Heraclid.Lemb. ExcerptaPoliliarum25, p. 22. 18 Dills llapov fflVvijcov cp1ClUDapoc Èç 'Apxa6lllC l.aòv aycov. Il fatto che Aristotele, nella medesima
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CALLIMACO- Ail1A, LIBRI PRIMO E SECONDO
opera.raca,ntasse.acbe il sacrificio di Minossealle Cariti (Jr. 1. d. Scllol. Fior. 36 s.) made ancorapii' plausibile l'attribuzione del oostto fnmma,ao al pimo libro degli Ailia. Vd fmnotaziooe dopo il testo. A sua volta Pams(i)o, figlio di I icaooe e padre di Paro, aftft dato il suo amne alla Parrasia, regione meridionale dell'Arcadia: d. Schol. Call. Jov. 10, Stcph. Byz. s. v. Ilappada· ... m1tòIlappacou i:vòc tiòv AuKaovoc. ,rai&»v (vd. il comm. di Pf. al/r. iltc. auct. 802, dove IODO anche raccolti i luoghi nei quali C. parladell'Arcadia).Una genealogia diversa comparenello Schol. Eur. Or. 1646 l'E'tà 6È tauta (cioè dopo la sovrmilà dei figli di Licaone e il diluvio universale) liau.À.ri>ElAcoplEU