Aspetti dell'economia dell'informazione
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ASPETTI DELL'ECONOMIA DELL’INFORMAZIONE a cura di

Basil S. Yamey e Gualtiero Tamburini

il Mulino

NIBUS

ARCHBISHOP REMBERT G. WEAKLAND

Quaderni de «L’industria»

39

Questo volume raccoglie le relazioni presentate al Terzo Seminario di Spoleto (5-6 luglio 1986) organizzato da Progetto Terziario (PROTER)

nell’ambito delle Let-

ture sulla società post-industriale. La realizzazione di questa iniziativa è stata resa possibile grazie alla Sviluppumbria s.p.a. Le opinioni espresse dai diversi autori non rispecchiano necessariamente quelle degli enti promotori.

Aspetti dell'economia dell’informazione

a cura di

Basil S. Yamey e Gualtiero Tamburini

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ASPETTI dell’economia dell’informazione / a cura di Basil S. Yamey e Gualtiero Tamburini. Bologna : Il Mulino, 1987. 93 p. ; 21 cm. (Quaderni de «L’Industria»; 39). ISBN

88-15-01498-5

1. Economia e informazione - Saggi 2. Informazione economico-finanziaria - Servizi - Saggi I. Yamey, Basil S.. II. Tamburini, Gualtiero. 338.4

Copyright © 1987 by Società editrice il Mulino, Bologna. E vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Traduzioni di Gualtiero Tamburini.

Indice

Presentazione, di Pasquale Laureti

Introduzione, di Basil S. Yamey e Gualtiero Tamburini L Informazione, computer William J. Baumol!

e struttura

economica,

di

. Costi dell’informazione Axel Leijonhufvud

e divisione

del lavoro,

di

. Ideologia e attività economica, di Michio Morishima . Informazione, aspettative e previsioni, di Edmund S. Phelps . L'informazione nelle Joseph E. Stiglitz

economie

decentralizzate,

di

83

Digitized by the Internet Archive in 2023 with funding from Kahle/Austin Foundation

https://archive.org/details/aspettidellecono0000Olett

Presentazione di Pasquale Laureti

Circa un anno fa, presentando il libro edito dal Mulino su «Occupazione e tecnologie avanzate», che raccoglieva le relazioni presentate in occasione del secondo incontro del ciclo di Letture sulla società post-industriale, annunciavamo il terzo incontro, che si sa-

rebbe tenuto il 6 e 7 luglio del 1986 e nel corso del quale discutemmo di Aspetti dell’economia dell’informazione. I saggi presentati in quell’occasione sono raccolti in coerenza con lo sforzo che Progetto Terziario sta conducendo da tempo nel campo della diffusione della cultura economica più avanzata e che, fra le altre iniziative, nel campo della ricerca, della formazione, del-

l'innovazione, prevede, ogni anno, lo svolgimento delle Letture. Il tema della prossima tornata, la quarta, sarà l'Economia dei

Nuovi Servizi, con una particolare attenzione ai nuovi servizi finanziari. Ancora una volta a discutere sulle relazioni presentate da illustri scienziati europei e americani sarà chiamato un selezionato in-

sieme di imprenditori, manager, uomini politici, scienziati sociali. Il luogo dell’incontro sarà, come sempre, Spoleto, che, in concomitanza con il suo Festival, offre un palcoscenico unico, nel cuore di quella terza Italia a cui, alcuni, profetizzano un futuro post-industriale, ma le cui prime manifestazioni, Festival compreso, sembrano ben visibili sin da ora. Questo volume è cosî il terzo della serie delle Letture (il primo fu pubblicato da PROTER con il titolo: Changes in the Industrial Policy in tbe Advanced Countries, Spoleto, 1984) e raccoglie le cinque relazioni di base presentate nel corso del seminario di studi al quale partecipò un pubblico attento e qualificato che stimolò con una serie di interventi i relatori, dando vita a un dibattito che, per certi aspetti, è richiamato dall’Introduzione di Basil Yamey e Gualtiero Tamburini. Pasquale Laureti

è Amministratore Delegato di Progetto Terziario.

A tal proposito desidero ricordare, per ringraziarli calorosamente, alcuni studiosi, presenti a Spoleto, il cui lavoro è stato fon-

damentale, quanto quello dei relatori, per il successo della manifestazione. In particolare, il Presidente della tornata di Letture, Sir John Hicks, che trascinò tutti in una accesa discussione con l’incredibile ardore giovanile dei suoi ottantatré anni e, assieme a lui, i tre

, chairman, delle tre sessioni in cui si articolarono i lavori — i professori Mario Amendola, Paolo Sylos Labini e Basil S. Yamey — ai quali va il grande merito di aver saputo efficacemente collegare, interpretare e amalgamare contributi diversi sia sotto il profilo degli argomenti sia sotto quello metodologico. D'altra parte è proprio nella filosofia delle Letture la ricerca del confronto e del dibattito informale fra persone che sono portatrici di esperienze professionali e culturali avanzate, ma eterogenee. Ciò significa che gli incontri non sono mai impacchettati e definiti in ambiti prefissati ma prendono la direzione che l’audience vuole loro assegnare. Noi crediamo che questo approccio interdisciplinare e problematico sia quello più congruo con il progetto complessivo delle Letture, progetto in cui si inserisce l'edizione di questo volume che siamo lieti di sottoporre all’attenzione del più vasto pubblico.

Introduzione di Basil S. Yamey e Gualtiero Tamburini

1. Gli aspetti di economia dell’informazione, che i saggi raccolti in questo volume trattano, non hanno certo la capacità di esaurire gli ormai numerosi paragrafi dell'analisi economica e dell’economia applicata ai quali l'economia dell’informazione ha portato contributi di rilievo, anche se ne offrono uno spaccato significativo ed eclettico.

Ci sembra che i recenti sviluppi delle tematiche dell’economia dell’informazione nascano da due fattori fondamentali: in primo luogo la crisi della teoria economica che ha prodotto numerosi tentativi di reinterpretazione del processo economico attraverso nuovi modelli, l’inclusione di nuove variabili o un modo nuovo di concepirle; la stessa modellistica keynesiana, sia che la si voglia interpretare come una variante del paradigma neoclassico sia che la si voglia interpretare in senso più rivoluzionario, è connotata, più o meno esplicitamente, dalle asimmetrie di informazione fra imprese e lavoratori e fra consumatori e investitori. Gli sviluppi successivi all’ultimo conflitto mostrano, poi, un processo di revisione della teoria proprio alla luce delle critiche portate al «paradigma convenzionale di perfetta informazione» che, anche se non portano alla definizione di nessuna nuova legge in economia, comportano tuttavia nuovi temi di ricerca, nuove tecniche di analisi e, più ancora, nuove pro-

spettive e modi di approccio all’analisi economica. In secondo luogo l’economia reale, sotto l'impulso di innovazioni nel campo della microelettronica e dell’informatica, che ormai tutta una vasta e nota letteratura giudica di natura «epocale», ha moltiplicato la capacità di comunicazione, calcolo e controllo dando luogo a cambiamenti strutturali paragonabili a quelli avvenuti nelle Basil S. Yamey insegna Economia industriale nella London School of Economics and Political Science. Gualtiero Tamburini insegna Istituzioni di Economia politica nella Facoltà di Scienze Statistiche, Demografiche e Attuariali dell’Università di Bologna.

fasi di prima industrializzazione. I sistemi economici più avanzati hanno evidenziato tali dinamiche all’interno delle quali si colloca l'osservazione che si sta sviluppando, con un ruolo trainante, un settore dei «nuovi servizi» [Gershuny avanzato o quaternario.

e Miles

1983] o un terziario

Ma, una volta che ci si collochi nella prospettiva dell’informazione, è la natura stessa di questo bene economico a creare interessanti problematiche di analisi e di interpretazione. Infatti, i cinque articoli che seguono forniscono almeno cinque approcci diversi al tema informazionale, spaziando dall’originale angolo visuale di Morishima che si concentra sulle caratteristiche del vettore di informazioni che determina, nei diversi gruppi etnici e sociali, il formarsi di comuni credenze — con una identificazione concettuale tra informazioni-ideologia-religione alla Durkheim — cosî riscoprendo l’inversione della relazione marxiana struttura-sovrastruttura come avviene in Weber con il nesso sovrastruttura-struttura, sino alla ana-

lisi di Baumol zione giocano in particolare. fra keynesiani sul modo con

che discute il ruolo che le tecnologie dell’informanelle industrie, in generale, e in quella dei computer Ancora, l’approccio di Phelps si colloca nel dibattito e teorici delle aspettative razionali ponendo l’accento il quale le informazioni sull'andamento dell’economia e, in generale sulle variabili economiche rilevanti, influiscono nella determinazione delle aspettative, mentre l’approccio di Leijonhuf-

vud, che con il famoso lavoro del 1968 sull'economia keynesiana e l'economia di Keynes aveva fornito una interpretazione del modello keynesiano in termini di disequilibrio, determinato dall’incapacità dei prezzi di trasmettere walrasianamente le informazioni, sviluppa l'ipotesi che i costi di lavorazione, trasmissione e immagazzinamento dell’informazione stiano assumendo il ruolo che ebbero, nel

precedente sviluppo economico, i costi di trasporto. Egli procede nell’analisi considerando gli effetti che le nuove tecnologie dell’informazione potrebbero avere nello sviluppare ulteriormente la principale fonte della produttività; la divisione del lavoro di stampo smithiano. Considerazioni pi generali vengono svolte da Stiglitz che evidenzia quanto in profondità incida, nelle moderne economie di mercato, la produzione e disseminazione di informazioni.

2. Tuttavia, per chiarire il senso che può essere attribuito all’economia dell’informazione, più che agli esempi che precedono, sarà opportuno riferirsi ai contributi che, a partire dagli anni Cinquanta,

si sono andati sedimentando e che riguardano le modalità di produzione e consumo dell’informazione nelle imprese e tra le imprese, nei mercati e nei settori, nel rapporto privato-pubblico. 10

Gli anni Cinquanta sono visti sovente come un punto di svolta, con riferimento alla teoria generale dell’informazione, anche se il periodo fra le due guerre, segnato com'è dall’analisi keynesiana, con l’enfasi che questa getta sul ruolo delle aspettative, rappresenta una fase importante nel divenire dell'economia dell’informazione. E, ancora precedente è, ad esempio, il famoso Risk, Uncertainty and Profit di Knight [1921] che getta le basi dell’epistemologia dell’economia dell’informazione. Tuttavia, nei limiti in cui ha senso rife-

rirsi a una data convenzionale di partenza, è possibile indicare il 1948 come un importante punto di riferimento per la teoria generale dell’informazione, prodromica della teoria economica dell’informazione. Infatti il campo di studio è aperto con il famoso articolo di Shannon

[1948] sulla teoria matematica della comunicazione e dal

contemporaneo scritto di Wiener [1948] in cui per la prima volta si definisce la cibernetica, ovvero «la scienza del controllo e della comunicazione negli animali e nelle macchine». I primi calcolatori sono proprio di quegli anni a riprova dello stretto legame fra il concetto stesso di informazione e lo strumento per eccellenza della sua trasmissione ed elaborazione: il computer. Questi risultati e la loro concomitanza condurranno gli scienziati sociali a riflettere sulle possibili conseguenze. I modelli di Shannon e Wiener sia direttamente sia indirettamente favoriranno la ricerca degli economisti. La teoria generale dell’informazione, infatti, pur essendo carat-

terizzata da teoreticità probabilistico-deduttiva, è strumentale a numerose altre discipline fra cui l'economia anche se trova come prima fonte di ispirazione i problemi pratici delle comunicazioni. Da questi primi sviluppi discenderà, almeno in termini di ispirazione, nei suoi diversi filoni l’inforzzation revolution nell’analisi economica.

I problemi che l’informazione pone alla teoria economica convenzionale sono numerosi, infatti «... un pezzo di informazione è per definizione un bene indivisibile; il che ci pone di fronte al clas-

sico problema di allocazione in presenza di indivisibilità... vi è un fondamentale paradosso nella determinazione della domanda di informazione; il suo valore per l'acquirente non è conosciuto sino a che egli non ha l’informazione, ma allora egli l’acquista senza un costo... data la sua completa appropriabilità, il compratore potenziale baserà la decisione di acquistare su criteri meno che ottimali... questo procedimento porterà ad allocazione non ottimale della informazione acquistata» [Arrow

1970].

Come si è detto, il problema dell’informazione in economia non può essere considerato una novità, ma non altrettanto si può dire per 11

quanto riguarda invece il trattamento dell’informazione considerata come un bene economico. È pur vero infatti che nel problema delle aspettative keynesiane l'informazione entra implicitamente a far parte del quadro analitico con un ruolo importante e che, quasi contestualmente,

Von Ha-

yek [1973] pone la questione del processo di appropriazione dell’informazione come fattore determinante nel divenire economico, ma

è solamente con l’articolo di Stigler del 1961 che si può dire formalmente aperto il capitolo della teoria economica dell’informazione in modo indipendente dai tradizionali capitoli della teoria economica. Capitolo che, qualche anno prima, aveva trovato nei contributi di

Marschak [1954; 1959] una anticipazione, con lo sviluppo dell’idea che il valore dell’informazione fosse funzione dei benefici che derivano dal suo uso e venisse incrementato dai fattori che ne favoriscono la trasmissione, primo fra tutti l’organizzazione. Questo capitolo troverà successivamente una serie di interessanti approfondimenti e raffinamenti; molti economisti, in particolare fra quelli che hanno incentrato i loro interessi sull'economia industriale, hanno

individuato nell’informazione un importante elemento esplicativo nella comprensione della questione del dimensionamento dell’impresa e del conseguente modo di questa di strutturarsi nel mercato. L’incapacità da parte degli individui. di conoscere e dominare le variabili che influenzano la vita dell’impresa, in un mondo in evoluzione dinamica, appare però contrastata da quel processo di /earning by doing che viene indicato da Arrow ma che, per lo meno implicitamente, per Von Hayek non appare in grado di procedere a saggi di crescita più che proporzionali rispetto ai saggi che governano la perdita di informazione. Gli studiosi di organizzazione, per la verità, sembrano mostrare un certo ottimismo riguardo al pericolo della perdita di informazione nell’impresa ritenendo che con opportune tecniche di decen-

tramento delle decisioni si sia in grado di assicurare comunque il mantenimento

del controllo al crescere delle dimensioni

[March e

Simon 1958; Cyert e March 1970]. In tale contesto, tuttavia, il problema dell’informazione viene visto nel quadro dei limiti che l’impresa incontra rispetto al processo di sviluppo e perciò studiato assieme, e sovente in posizione subordinata, ad altri fattori come il limite della crescita delle capacità manageriali, il limite organizzativo, burocratico, tecnologico, di mercato, gerarchico, politico economico, ecc.

3. Come avevamo accennato precedentemente, nel contesto keynesiano viene ad essere evidenziata la mancanza di conoscenza e 12

l'incertezza conseguente in riferimento al tempo futuro con un ruolo che la fa apparire uno dei pilastri della Teoria generale. Keynes argomentò come la capacità di prevedere il futuro possa comportare, in assenza di interventi appropriati, un permanente stato di

disoccupazione. Allora i meccanismi di divaricazione fra risparmio e investimento potrebbero essere ricondotti alla incapacità di prevedere che permea la vita di imprese e consumatori. Mentre questa rilevanza dell'incertezza rispetto al futuro è da tempo riconosciuta (ad esempio anche nello stesso modello neoclassico l'incertezza è presente pur se non in modo inconciliabile con il raggiungimento di condizioni di equilibrio), non altrettanto può dirsi del problema dell’imperfezione delle informazioni. Fu Arrow [1959] a mettere in luce il salto logico esistente nella

tradizionale teoria statica della concorrenza perfetta e consistente nel fatto che se per ogni soggetto i prezzi sono dei dati non può che discenderne che nessuno prende decisioni razionali sui prezzi. Infatti, se un prezzo unico per un certo bene deve essere la caratteri-

stica del mercato in equilibrio allora deve esservi stata una decisione razionale che, nata da una situazione in cui il mercato era in dise-

quilibrio, ha determinato l’equilibrio stesso. In una situazione di disequilibrio, l'offerta aggregata diverge dalla domanda aggregata, per un certo livello del prezzo di mercato, e la domanda che si rivolge a ciascuna impresa non è perfettamente elastica poiché non tutte le imprese possono vendere ciò che desiderano al prezzo prevalente. I venditori si trovano allora in posizioni monopolistiche e i prezzi si aggiustano verso il prezzo di equilibrio in accordo con il principio di massimizzazione, data una curva di domanda decrescente. La forma

della curva di domanda è sconosciuta al venditore e per Arrow il processo di aggiustamento dipenderà allora da tre fattori: la forma delle curve del costo marginale dei venditori, la possibilità di accumulare o di liquidare scorte e l'ammontare di informazioni ottenibili da ciascuna impresa. Secondo Arrow l’informazione in tale contesto sarebbe un bene particolarmente scarso e l’aggiustamento dei prezzi di vendita verso il prezzo di equilibrio sarebbe particolarmente lento e difficoltoso per mercati con prodotti poco standardizzati. Ne deriva quindi che se la limitatezza delle conoscenze, tanto rispetto al presente quanto rispetto al futuro, è rilevante per l’analisi economica, allora una strategia ottima, per l'acquisizione di informazioni, è essenziale per le decisioni individuali concernenti quantità da comperare e da vendere. In particolare sono importanti le implicazioni che la imperfetta conoscenza del futuro determina, specie sui mercati a termine, dove «... i costi ed i valori dell’informazione giocano un ruolo15

chiave nel modificare la struttura delle stesse transazioni attuali» [Arrow 1974, 10].

Nel modello neoclassico occorre allora sostituire il concetto secondo cui i prezzi e la conoscenza delle tecniche di produzione, che sono i parametri del problema della programmazione matematica, sono conosciuti con certezza, con il concetto che la conoscenza di questi parametri è imperfetta e che quindi può essere migliorata sostenendo un certo costo. L’acquisizione di informazioni diviene cosî lo strumento che consente, in un contesto di incertezza, di soddisfare al bisogno op-

posto che questa genera, come era stato evidenziato da Von Neuman e Morgenstern attraverso i modelli probabilistici che informano il comportamento di agenti che operino in ambienti caratterizzati da fenomeni stocastici.

4. L’articolo di Stigler del 1961 The Economics of Information

segna una pietra miliare nel fecondo filone della teoria della ricerca di informazioni

(e di trasmissione e disseminazione)

in quanto

in

essa si tratta, per la prima volta, dell’informazione come di un bere economico: caratterizzato dall’essere difficilmente vendibile sul mercato, dall’essere difficilmente controllabile nell’uso, dal non avere

consistenza fisica, dall'avere un valore indeterminato prima che sia posseduto e dal non essere perfettamente appropriabile dopo.

Datano dagli anni Settanta le prime sistematizzazioni dei diversi filoni di ricerca dell'economia dell’informazione, come nei lavori di Spence [1974], Hirshleifer e Riley [1979], Tomasini [1974], Lam-

berton [1971; 1984], Stiglitz [1984]. In queste monografie il punto centrale è rappresentato dai temi riguardanti la struttura informazionale dei mercati; approccio che nella presente raccolta è appena toccato nelle ricerche di Phelps e Baumol, mentre nel contributo di Stiglitz, che ha, nella sostanza,

le caratteristiche della survey, molti

punti hanno a che fare, in modo diretto, con tale argomento; egli infatti discute le caratteristiche generali della struttura informazionale di una economia di mercato. Ma, come

abbiamo

precedentemente

osservato,

questi Aspetti

dell'economia della informazione contengono solo una parte dei numerosi profili sotto i quali è possibile esaminare il più vasto tema informazionale. Essi, se mai, possono semplicemente stimolare il let-

tore ad approfondire organicamente i problemi che i saggi di Baumol, Leijonhufvud, Morishima, Phelps e Stiglitz evocano. Sino ad ora ci siamo limitati a inquadrare i contributi raccolti in questo volume nel contesto del dibattito teorico-economico della ixformation revolution, ma questa visione sarebbe limitata e parziale se 14

non venisse integrata da alcune considerazioni su un altro importante filone di studi che ha presupposti comuni con quello appena discusso. Si tratta del complesso di analisi di carattere strutturale che, a partire dal pionieristico contributo di Machlup [1962], hanno approfondito la ricerca sulla crescita, in atto nelle economie più sviluppate, del settore dei servizi. Machlup, non solo ridisegna gli schemi di contabilità nazionale al fine di individuare il peso che l’industria della conoscenza assume, negli Usa, ma getta un ponte fra teoria economica dell’informazione e struttura economica di tipo informazionale. Dalle sue stime risulta, come è noto, che il settore informazio-

nale dell'economia americana rappresentava, nel 1959, circa il 22% del Prodotto interno lordo del paese, includendo in tale «quarto settore» le attività di produzione, elaborazione e distribuzione di informazioni. Nell’ottica originaria di Machlup si sviluppa un fecondo e suggestivo filone di ricerche, al quale contribuisce ulteriormente egli stesso [1980; 1984] con un’opera che resterà incompiuta, e a cui seguiranno, anche con approcci diversi, altri autori. E il caso dell’approccio post-industriale di Bell [1973] che ha in comune con il pre-

cedente l'innovazione della considerazione non residuale del settore dei servizi e di altri come Boulding [1963], Porat e Rubin [1977], Tucker

e Lamberton

[1982], Jonscher

[1983],

Gershuny

[1978],

Gershuny e Miles [1983]. 5. Si è giunti cosf ad un generale riconoscimento dell’importanza che, nelle moderne economie sviluppate, sta assumendo quella parte della struttura economica dedicata ad attività che non comportano la realizzazione fisica dei prodotti e, fra queste, in particolare, di quelle di tipo informazionale. Tant'è che molti si chiedono se la civiltà delle macchine non stia per finire, soppiantata da una nuova forma di convivenza umana che, in mancanza di meglio, Bell ha definito post-industriale. Il termine in sé tuttavia non chiarisce che cosa si intende con questa espressione; esso evoca semplicemente il sentimento che si stia verificando qualcosa di nuovo. Qualcosa di simile era già accaduto con il termine «rivoluzione industriale». Quando fece la sua comparsa agli inizi dell'Ottocento, gli economisti che per primi lo impiegarono esprimevano semplicemente la convinzione che qualcosa di grandioso stesse accadendo sotto i loro occhi, senza peraltro afferrare pienamente di che cosa si trattasse e senza percepirne le molteplici conseguenze. Cosî, oggi accade qualcosa di simile a proposito della società post-industriale che viene legata in qualche modo al mondo dell’informatica che sta mutando sotto i nostri occhi l’organizzazione produttiva verticale e 15

orizzontale di molti settori, le tecniche dell’informazione e, più in generale, il complesso spettro dei mestieri ai quali ci aveva abituati la rivoluzione industriale. Per quanto siano incerti i contorni della società che sta nascendo, l’ormai ricchissima letteratura è improntata in parte all’ottimismo di chi crede che la tecnologia non conosca frontiere e, in parte, al pessimismo di chi ritiene che, sotto mutate spoglie, il lavoro conservi pur sempre le carsucerariche della alienazione che Adam Smith ha descritto nella Ricchezza delle Nazioni. Purtroppo, sentimenti contrastanti come l’ottimismo e il pessi-

mismo non ci aiutano molto a capire quale sarà il destino dell’uomo nella società post-industriale e dell’informazione. Per ora conosciamo solamente alcuni dati parziali, riferiti a settori o industrie in cui sembrano verificarsi quei cambiamenti che le nuove tecnologie e i nuovi valori sociali (che le presuppongono) portano con sé. Tuttavia gli avvenimenti osservati in alcuni settori di punta non sono ancora sufficienti a darci un'immagine esauriente delle profonde trasformazioni da cui sarà investita l’intera società quando l’informatica avrà raggiunto una diffusione capillare. In quella situazione è possibile immaginare una organizzazione produttiva assai diversa da quella attuale. Poiché non si tratterà più di svolgere un’attività in un determinato luogo, ma di controllare una catena di operazioni che possono anche avvenire a notevole distanza, verrà forse meno la necessità di concentrare sul territorio industrie, strutture amministrative, mezzi di trasporto e uomini.

E invece possibile ipotizzare una redistribuzione equilibrata sul territorio di tutte le attività secondarie e terziarie, ed eliminare in

questo modo i drammatici squilibri economici e sociali ereditati dal passato. Dal canto loro le città potrebbero riprendere il volto umano che avevano al momento della loro fioritura e tornare ad essere, come lo erano nel Medioevo e nel Rinascimento, centri di intensa vita economica e culturale, superando la degenerazione successiva. I problemi, che l’informatica suscita, sono di vario segno, cosf

come le attività del terziario non hanno ancora trovato una chiara interpretazione. I concetti e le teorie, sviluppati ai fini della gestione sociale ed economica, non sembrano adeguati alle attuali strutture socioeconomiche. Considerazione ancora più importante è il fatto che il ruolo delle attività del terziario sta cambiando rapidamente. La distinzione tra i «beni» e i «servizi» è pertanto divenuta insoddisfacente mentre cresce l’integrazione tra i diversi tipi di produzione. Non vi sono dubbi riguardo al fatto che già oggi, per lo meno in termini di occupazione, le economie più sviluppate siano già economie dei servizi, mentre le teorie economiche (e le politiche) restano 16

strettamente legate al paradigma industriale. L’inadattabilità di quest'ultimo a rappresentare e risolvere i problemi posti dalla nuova struttura economica appare chiara se si considera, a titolo d’esem-

pio, che non è possibile conservare servizi a scorta ed è difficile misurarli e controllarne la qualità; questi e altri fattori fanno pensare che diverse siano le determinanti di domanda e offerta del settore terziario cosi come diversi saranno i sistemi di produzione e scambio che lo governano: tali diversità pongono rilevanti problemi, non sufficientemente esplorati in termini di politiche economiche generali e settoriali. 6. Da quanto precede emerge un quadro degli aspetti più controversi che si esaminano quando ci si pone nell’ottica dell’economia dell’informazione. Abbiamo visto come vi sia stata una concomitanza di fattori che ha determinato, nella letteratura economica,

lo sviluppo delle riflessioni sul concetto, ruolo e significato dell’informazione nelle economie industrializzate. Per ciò che riguarda l’analisi economica gli effetti dell’inforzzation revolution, se non sono stati tali da stravolgere e rinnovare totalmente la strumentazione precedente, sono stati comunque assai rilevanti, in quanto, modificando le prospettive dell’analisi, hanno comportato sia una migliore ricezione, nei modelli, dei temi dell’incertezza, del rischio e dell’informazione, innescando un acceso dibattito sul modo in cui le aspettative influenzano i processi decisionali dei soggetti, sia con il recepimento di nuove problematiche, come quelle relative alla produzione e distribuzione dell’informazione, sia ancora con un cambio di angolazione di problematiche

precedenti, come nel dibattito sul ruolo e gli effetti del terziario e dei servizi.

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1. Informazione, computer e struttura economica di William J. Baumol

La quasi universale introduzione dei computer nelle più grandi imprese delle economie industrializzate di tutto il mondo, la crescita sorprendente di quella parte della forza lavoro occupata nelle attività dedicate alla acquisizione e disseminazione dell’informazione ed altre manifestazioni dell'esplosione dell’informazione avranno senza dubbio degli effetti sull’organizzazione dell'industria in generale, e sul grado di concentrazione e sull’efficacia della concorrenza in particolare. L’interrogativo che ci si pone è se almeno si possa già percepire o si possa almeno dedurre analiticamente la natura, in senso lato, di

questi effetti. Tale problema sarà qui discusso su due livelli: la natura degli sviluppi che si potranno verificare nell’organizzazione dell'industria dell'informazione in sé e gli effetti dell’esplosione dell’informazione sulla struttura delle industrie nell’insieme. Si può sostenere che c’è un meccanismo, almeno nella parte computerizzata dell’industria dell’informazione, che crea un grado di concentrazione e di difficoltà di entrata più grande di quello che uno si aspetterebbe da attributi come la forza delle economie di scala e la dimensione dei costi fissi a fondo perduto (surk costs)! che caratterizzano le imprese nel mercato. Tut-

tavia la fonte della propensione verso la concentrazione e dello scoraggiamento all’entrata è essenzialmente di tipo tecnologico, e non è William J. Baumol insegna alla Princeton University e nella New York University. L’autore desidera ringraziare la Division of Information Science and Technology of the National Science Foundation, il Fispman-Davidson Center for the Study of the Service Sector, e il C.V. Starr

Center for Applied Economics della Università di New York per il sostegno dato alla ricerca. Egli è anche grato a Dermot Gately e a Janusz Ordover per i loro utilissimi commenti.

1 Sunk costs: costi fissi a fondo perduto sostenuti per realizzare impianti che producono un bene particolare e che non possono essere convertiti, se del caso, alla produzione di altri beni, con la conseguenza che i costi sostenuti per la loro realizzazione non potrebbero essere recuperati in caso di cessazione della produzione [N.d.T.].

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attribuibile a una qualche predisposizione monopolizzante da parte delle imprese dell’industria. AI contrario, offrirò delle ragioni favorevoli al punto di vista che gli effetti sull'economia industriale mutino sostanzialmente da un caso ad un altro, e che, mentre in alcune industrie la computerizzazione potrebbe inasprire la concentrazione e indebolire le pressioni competitive, per le altre potrebbe valere il contrario. In quest'ottica ricorderemo il ruolo critico dei costi fissi nell’influenzare il numero di imprese di una industria e l’effetto significativo dei costi fissi o quelli fissi a fondo perduto sulla facilità di entrata e uscita. Suggerirò come in alcuni casi le crescenti attività d’informazione abbiano lavorato nel senso di aumentare i costi fissi o quelli fissi a fondo perduto o entrambi, mentre in altri casi sia avvenuto l’opposto. Di qui la difficoltà di fornire qualunque caratterizzazione generale degli effetti dell’accrescimento delle attività informative sulla struttura industriale, nel suo complesso, e sulla competitività.

l. TECNOLOGIE

DELL'INFORMAZIONE

E DIMENSIONI

PREVALENTI

D'IM-

PRESA

Marx non fu il solo a trarre la conclusione che il progresso tecnologico determina inevitabilmente impianti sempre più enormi e un fabbisogno di investimenti più grandi; molti fattori portano a ritenere che sia forte la tendenza all'ampliamento dell’impresa tipo, con la possibilità che le imprese più piccole vengano emarginate. La storia ha prodotto anche dei modelli meno sistematici; spesso infatti le nuove tecnologie hanno ridotto la dimensione d’impresa, talvolta abbastanza drammaticamente. Il trasporto delle merci è un esempio importante. Quando veniva scritto il Das Kapital, l’investimento nelle ferrovie in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in alcuni paesi dell'Europa continentale aveva raggiunto dei livelli senza precedenti. La tipica ferrovia fu un'impresa eccezionalmente grande in confronto alla maggior parte delle imprese del trasporto merci su strada o su acqua, su cui era basata l'economia del periodo precedente ?. Ciononostante, l’invenzione dell’autocarro a gasolio ha generato un metodo di trasporto di merci che ha ampiamente superato le ferrovie in molti mercati, anche se la tipica impresa di trasporto merci è chiaramente molto piccola in confronto alla ferrovia tipica. Allo 2 Naturalmente, la costruzione dei canali ha anche comportato costi fissi a fondo per-

duto che non furono affatto insignificanti.

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stesso modo, gli sviluppi recenti hanno spianato la strada alle piccole imprese elettroniche. Altri cambiamenti tecnici hanno reso possibili le emittenti televisive più piccole e cosi via. L’evidenza indica che la concentrazione industriale, almeno negli Stati Uniti, è ri-

masta praticamente immutata per tre quarti di secolo [Adelman 1951; Mc Cracken e Moore 1973; Duke 1982].

Mentre occorrerà un po’ di riflessione per spiegare perché l’innovazione talvolta aumenti la dimensione tipica dell'impresa e talvolta la riduca, è opportuno offrire una rassegna dell’analisi formale al riguardo. Qui ci occuperemo di due questioni separate ma collegate: la determinazione del ruolo delle forze competitive nel mercato, e la determinazione

del numero

e della dimensione

delle

aziende che lo popolano.

2. CONDIZIONI

SUFFICIENTI

PER

L'ESISTENZA

DI SPINTE

COMPETITIVE

EFFICACI

Le spinte competitive sul mercato, naturalmente, saranno effi-

caci dove il numero di imprese sia elevato e nessuna sia particolarmente grande in confronto alla media. Comunque, come oggi viene largamente riconosciuto, un mercato può essere effettivamente competitivo anche nel caso in cui queste condizioni non vengano soddisfatte, purché l’entrata e l’uscita siano a basso costo e facili — in modo che i soggetti possano essere disciplinati dalla competizione potenziale e si impedisca loro di comportarsi monopolisticamente — anche se affrontano pochi veri concorrenti o addirittura nessuno. La competizione potenziale può essere efficace se l'ammontare di inve-

stimenti fissi a fondo perduto, richiesti per operare nell’industria, è molto piccola. Poiché, per definizione, la mancanza di investimenti

fissi a fondo perduto significa che le aziende possono uscire dal mercato subendo piccole perdite, dato che l’investimento non è a fondo perduto, questo può essere prontamente trasferito ad altri mercati dove le opportunità di guadagno siano superiori. A sua volta, la facilità di uscita probabilmente significherà che l’entrata è a basso costo e facile, perché, se l’uscita è relativamente

senza

spese, l'impresa rischia molto poco investendo nel mercato in questione. E tautologico dire che l’entrata sarà economica; questo perché se l’atto di ingresso comportasse costi onerosi che fossero irrecuperabili nel breve o medio termine, quei costi costituirebbero necessariamente un investimento fisso a fondo perduto. Tutto ciò ci dice che la dipendenza crescente delle aziende dai loro flussi di informazione in diversi campi, come i costi, le condi23

zioni di mercato e di tecnologia, rafforzerà la competitività se comporterà un aumento del numero tipico di imprese in un mercato o se ridurrà l'ammontare dell’investimento fisso a fondo perduto che un candidato all'entrata deve dedicare alla sua impresa. Allo stesso modo, l’esplosione dell’informazione potrà ridurre la competitività se aumenterà la dimensione tipica dell'impresa o se aumenterà l’investimento fisso a fondo perduto richiesto per la sua operatività.

3. DETERMINAZIONE

DELLA

STRUTTURA

DELL'INDUSTRIA

Dove le spinte competitive sono abbastanza efficaci il mercato avrà la tendenza a forzare l’industria ad adottare la struttura che può produrre pi efficacemente. Ad esempio, se le imprese, in un certo mercato, hanno dimensioni inefficienti, allora altre imprese più piccole potranno entrare; la loro efficienza superiore permetterà di far pagare prezzi più bassi di quanto non possano fare quelle che nel mercato ci sono già ma sono sovradimensionate, cosî le piccole imprese efficienti sostituiranno quelle grandi ma inefficienti. Quindi, nei mercati in cui la concorrenza è efficace, il numero

di aziende esistenti tenderà ad essere approssimativamente eguale al numero di quelle pi efficienti. Ora il numero di aziende necessarie per raggiungere la massima efficienza, in un dato mercato, sarà primariamente determinato da

due fattori: le quantità di prodotto domandato

in condizioni di

equilibrio, e la dimensione dell’impresa più efficiente («scala di mi-

nima efficienza»). Se la scala di minima efficienza è grande rispetto alla domanda il numero ottimale di imprese sarà piccolo, perché con un più grande numero di imprese ognuna sarebbe in grado di vendere solo quantità molto inferiori a quelle ottimali per conseguire la scala di minima efficienza. Allo stesso modo, se la domanda di equilibrio per i prodotti dell'industria è un multiplo grande della scala di minima efficienza di un'impresa, le pressioni competitive faranno st che un più grande numero di aziende produca l'insieme dei prodotti dell’industria. La scala di minima efficienza, a sua volta, sarà determinata dal grado in cui le economie di scala e di scopo (ecororzies of scope) ? ca-

ratterizzeranno la tecnologia dell’industria. Se entrambi i tipi di economia sono notevoli e continui, per una vasta serie di prodotti, 3} Economies of scope: economie legate all’«ambito» in cui l'impresa si colloca con le sue decisioni di produzione; la traduzione «scopo», trova larga utilizzazione in letteratura [N.d.T.].

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se intesa letteralmente,

è fuorviante ma

la scala di minima efficienza di un’azienda, in quell’industria, sarà grande. Le economie di scala faranno sf che le grandi imprese potranno produrre più economicamente delle piccole. Allo stesso modo, le economie di scopo comportano che le grandi imprese multiprodotto possano produrre più economicamente delle piccole imprese, relativamente specializzate, che forniscono solo un numero limitato di prodotti‘. Adesso, come si sa bene, un elevato livello di costi fissi o dei co-

sti forfettari? comporta economie di scala e, per motivi analoghi, anche economie di scopo. Supponiamo che l'impresa debba sostenere ingenti spese (fisse) per operare e che almeno per una quota significativa quelle spese fisse non vengano, per definizione, aumentate dal numero di prodotti che l’azienda fornisce, o dalla quantità di ogni articolo che produce. Quindi, più grande è il numero di prodotti diversi che l'azienda fornisce, più piccola sarà la quota di costi fissi o forfettari che deve sopportare. Cioè, un’azienda che fornisce una più grande varietà di prodotti di un’altra impresa potrà distribuire i costi fissi o forfettari su quei prodotti, e ciò, naturalmente, è

fonte di economie di scopo. Le implicazioni di quanto precede sono chiare. L’affidamento crescente a una grande varietà di informazioni, elaborate dal computer, ha aumentato i costi fissi o forfettari di una impresa tipica e ciò servirà ad aumentare la scala di minima effi4 Infatti l’efficienza nella struttura dell’industria richiede che ogni azienda, j, produca un vettore di produzione y? in cui i costi siano sub-additivi. Cioè non deve essere possibile risparmiare dividendo l’impresa jin aziende più piccole, con l'impresa più piccola i che produce un vettore di produzione y‘' con Ly'=y/. Cioè, per una tale sottodivisione dobbiamo avere L;C(y')= C(y7) dove C(.) è la funzione di costo totale. E necessario che sia cosi perché se y/ violasse questa diseguaglianza di sub-additività, sarebbe pit efficiente dividere la produzione di j, y/, fra un numero di imprese più piccole, contraddicendo cosî l'ipotesi che y? sia l'insieme dei prodotti dell’azienda j in una struttura industriale efficiente. La pertinenza di tutto ciò sta nel fatto che la sub-additività è direttamente rapportata alle economie di scala e di scopo. Perciò: 1) se C (y) è sub-additivo a y=y, allora deve mostrare un costo medio in diminuzione, in media, fra y//r e y/ per un r qualunque, intero e più grande dell’unità, cioè, per aumenti proporzionali in tutte le produzioni (economie di scala lungo il raggio

0y)) poiché, altrimenti, le aziende più piccole potrebbero produrre y” più economicamente; 2) se y/ coinvolge pit di un prodotto, la sua efficienza richiede economie di scopo, poiché, in caso contrario, alcune imprese più piccole e più specializzate potrebbero produrre y” più economicamente di quanto non possa l’azienda j da sola e 3) costi medi decrescenti, nonché una condizione di economie di scopo (pit forti) chiamata «convessità trans-raggio» sono, insieme, sufficienti per garantire la sotto-additività di C(y) a y=y?. Per i dettagli di questi risultati vedere Baumol, Panzar e Willig [1982], capitoli 3-5.

5 Con il termine costi fissi intendo quei costi che un’azienda deve contrarre per produrre una qualsiasi cosa, e che, oltre una certa soglia, non aumentano con la produzione. Se la funzione di costo è C(y)= F+ G(y), G(0)=0; F è il costo fisso, che potrebbe essere o meno a fondo perduto e non necessariamente deve diventare variabile a lungo termine. Un costo forfettario è come un costo fisso salvo che è efficiente sostenerlo solo dopo che la produzione abbia ecceduto una certa grandezza y*.

25

cienza e il campo di operatività dell'impresa rappresentativa, determinando una riduzione nel numero di aziende in un dato mercato;

con il che si creerà una maggiore concentrazione. D'altro canto, se l’aumentato flusso di informazioni è servito o servirà a ridurre i costi fissi o forfettari, ciò tenderà a far diminuire la concentrazione

dell'industria in questione.

4. INFORMAZIONE,

COSTI

FISSI

E COSTI

FISSI

A FONDO

PERDUTO

Per quanto mi è dato conoscere, non è disponibile nessuna prova empirica riguardo gli effetti della rivoluzione dell’informazione sulle dimensioni dei costi fissi a fondo perduto e sui costi fissi. La mia analisi dovrà essere perciò completamente impressionistica. Anche se le mie conclusioni verranno di conseguenza giudicate di nessun o poco fondamento, di fatto serviranno almeno a

identificare le questioni pertinenti sulle quali lo studio futuro dei fatti dovrebbe

concentrarsi.

Sembra

assodato

che, circa dieci o

quindici anni fa, la crescita nell’uso del computer da parte dell’industria avesse la tendenza, in generale, ad accrescere la scala di efficienza minima di una azienda, talvolta sostanzialmente, e potesse,

anche primi goffo mente

in alcuni casi, aver ampliato i costi fissi a fondo perduto. Nei decenni della rivoluzione del computer l'hardware era grande, e costoso. Anche i computer relativamente piccoli probabilriempivano una stanza di grandi dimensioni. Nella maggior

parte delle industrie che utilizzavano i computer, l’hardware non costituiva un costo fisso; le piccole imprese, se esistevano, potevano e spesso riuscivano a farne a meno. Comunque, per un’azienda di dimensioni medie la decisione di entrare nei computer aumentò i costi in modo discontinuo. Ciò portò, se non altro, ad aumentare la scala

di minima efficienza che, a sua volta, comportò il rafforzamento della concentrazione industriale. Fino a un certo punto questo effetto

fu, senza

dubbio,

controbilanciato

dalla condivisione

del

tempo, che metteva in grado un certo numero di piccole imprese di avvalersi dei servizi di grossi computer centralizzati. Se le conseguenze nette fossero sufficienti per trarre indicazioni sulla base dell'osservazione empirica non lo so. Sospetto che le indagini confermeranno che in alcune industrie altamente dipendenti dai computer ciò aumentava la dimensione media dell'impresa in modo appena visibile. Ma, come abbiamo visto, questa possibilità da sola non può essere accettata per costituire una prova della riduzione della competitività. Piuttosto, la questione era se i costi in discussione fossero, 26

anche per gran parte, costi fissi a fondo perduto e di conseguenza se costituissero una barriera all’uscita e all’entrata. In effetti, le prime attrezzature 77 sé non comportavano prevalentemente costi fissi a

fondo perduto per quanto riguardava l’impresa che le utilizzava. L’hardware era generalmente fungibile, si poteva trasferire senza enormi difficoltà da una impresa ad un’altra (e spesso, anche pit facilmente, da uno dei mercati dell'impresa ad un altro senza nessuna rimozione fisica delle macchine). Il semplice fatto che l’hardware venisse spesso affittato dal produttore, significava che, mentre l’investimento nel computer effettivamente costituiva un costo fisso a

fondo perduto per i produttori di computer, non era un costo fisso a fondo perduto per le persone che utilizzavano i computer. Comunque, non si può saltare dall’osservazione che le spese sullo hardware non erano in gran parte a fondo perduto alla conclusione che la rivoluzione dei computer generalmente ha aumentato di poco le spese a fondo perduto aggiuntive, di qualunque tipo, nell’industria. Infatti, è probabilmente vero il contrario. La computerizzazione può ben aver portato a consistenti investimenti fissi a fondo perduto di due tipi: nel software e nel capitale umano. Il software specializzato, sviluppato per i bisogni di una particolare azienda, non è generalmente fungibile e perciò costituisce una spesa fissa a fondo perduto. Le prime macchine erano anche lungi da essere «di uso amichevole» (per concedersi il lusso del gergo comune). Non era facile ed economico diventare abili nel loro uso e, in particolare, im-

parare come usarle secondo i bisogni e le abitudini di una particolare impresa. Perciò, all’impresa e/o al singolo impiegato era richiesto un investimento in capitale umano, e solo una parte di quell’investimento poteva essere prontamente trasferibile altrove. Come Williamson

[1985] ha sottolineato cosî efficacemente,

anche i co-

sti in capitale umano, se a fondo perduto, cioè, se soltanto utilizzabili pienamente in una impresa particolare, possono servire ad attenuare l’efficacia dei meccanismi di mercato. Ne consegue che la mia impressione è che nei suoi primi stadi la

diffusione della tecnologia dei computer servi sia per aumentare la concentrazione sia per indebolire l'efficacia della concorrenza. Soltanto l’evidenza empirica può confermare questa ipotesi e, se è cosî, soltanto essa può indicarne l’importanza e il significato. Esiste, comunque, motivo per credere che gli sviluppi più recenti abbiano sostanzialmente indebolito la concorrenza riducendone gli ef6 Un altro esempio, di un passo che ha facilitato il trasferimento di capacità, fu il nolo a tempo del computer da una azienda ad un’altra. Aziende di consulenza, ad esempio, noleggiavano a tempo le attrezzature dei fabbricanti. La mia impressione è che ciò succedesse spesso negli anni Sessanta.

2a

fetti o persino, fino ad un certo punto, rovesciandoli.

Il declino

spettacolare nel costo dell'hardware e la disponibilità di potenti personal computer hanno fatto sf che anche la più piccola impresa ne possa condividere i benefici. Anche i piccoli fruttivendoli e droghieri negli Stati Uniti usano bilance e registratori di cassa computerizzati, i cui displays con numeri elettronici si potevano considerare fantascientifici solo qualche decennio fa. Se i costi per i computer restano in qualche misura a fondo perduto, allora le discontinuità sono grandi come dei sassolini e non come dei massi. Si è spinti a sospettare quindi che i computer più piccoli di oggigiorno, mentre offrono vantaggi ad aziende di ogni dimensione, abbiano, se non altro, avuto la tendenza a pareggiare i conti, dando pi benefici alle piccole aziende rispetto a quelle grandi. Se questo è vero, essi devono, se non altro, aver lavorato

per ridurre le dimensioni dell’impresa e, quindi, per diminuire la concentrazione. Un aumento della facilità d’impiego dei computer ha anche ri-

dotto l’investimento nel capitale umano specializzato richiesto per il loro uso. La «conoscenza dei computer» non è per niente un bene scarso oggi e probabilmente diventerà ancora più comune in futuro.

Per questa ragione, quindi, le conseguenze della computerizzazione che impediscono la competizione tenderanno a scomparire.

Soltanto il software specializzato allora resta una possibile fonte di costi fissi a fondo perduto che impediscono l’entrata. La sua importanza, naturalmente, varia sostanzialmente da una industria ad un’altra. Solo in talune industrie dove il software altamente complesso, costoso e specializzato, continua ad essere vitale, ciò potrà

costituire un problema.

5. IL MIGLIORAMENTO MENTO

DEI

DELL’INFORMAZIONE

COMPETITIVA

E L’AMPLIA-

MERCATI

Quanto detto vale per il lato puramente interno degli effetti dell’era dell’informazione sulla struttura e sul rendimento dell’industria. Ma la discussione fino a questo punto ha trascurato ciò che potrebbe verificarsi sotto l'influenza delle nuove tecnologie. Se allarghiamo il nostro concetto di attrezzature collegate all’informazione per includere gli strumenti della comunicazione ?, emerge una ? Il cambiamento tecnologico ha già offuscato il confine fra le industrie di computer e di telecomunicazioni e minaccia di cancellarlo completamente.

I computer, naturalmente, co-

municano per telefono e i sistemi telefonici sono gestiti dai computer. Il cuore della opera-

28

diversissima visione dell’intera questione. Poiché ciò che è successo, è stato l'ampliamento del mercato, che ha enormemente aumentato il numero dei concorrenti, sia attuali sia potenziali, per un gran numero di industrie. Nell’arco della vita di chi scrive, gli Stati Uniti si sono evoluti da un’economia in cui le importazioni e le esportazioni costituivano una preoccupazione marginale, a un’economia in cui sembrano essere divenute questioni di vita o morte per molte industrie importanti. E stato stimato che, durante un intero secolo, la quota di

esportazioni sul Pil, per la media di sedici paesi leader *, in un campione studiato da Maddison [1982], è aumentata di qualcosa fra tre e quattro volte il suo valore iniziale. Come risultato, anche le industrie che prima erano prevalentemente rivolte all’interno e che, in quell’ambiente, erano in gran parte immuni dalla concorrenza, si sono trovate, più recentemente, sotto la minaccia costante di invasione di rivali stranieri e, simultaneamente, sono diventate sempre più assoggettate ai mercati stranieri, dove le fonti della concorrenza internazionale sono potenti ed inesorabili. Senza dubbio i miglioramenti nei trasporti hanno contribuito molto alla internazionalizzazione dei mercati. Ma la storia è molto

più lunga. Nel corso di un secolo si è manifestata una convergenza spettacolare dei livelli di produttività fra i paesi più industrializzati del mondo. Per i sedici paesi di Maddison nel 1870 la produttività del lavoro (Pil per ora di lavoro), nel paese più produttivo rispetto a quello meno, era approssimativamente di otto a uno. Nel 1979 quel

rapporto era sceso a circa due a uno. In altre parole, la differenza relativa nei livelli di produttività è caduta circa del 75% nel corso di un secolo. Questo significa necessariamente che i paesi più lenti

hanno imparato sempre meglio a capire e ad adottare le tecniche produttive utilizzate dai paesi che li sopravanzavano in termini di produttività. Cioè, il flusso e l’utilizzazione dell’informazione deve aver giocato un ruolo cruciale per permettere la rincorsa di paesi che, come il Giappone, la Svezia, la Francia, la Germania e l’Italia cominciarono l’ultimo quarto dell'Ottocento in posizioni ben arretrate rispetto ai paesi leader. Fu solo quando la produttività in quei paesi iniziò ad approssimarsi a quella dei paesi d'avanguardia che gli

zione della rete telefonica è «l'interruttore intelligente», un amalgama di hardware e software di computer capace di fare dei calcoli complessi, conservare informazioni, ecc. 8 L’Australia, l’Austria, il Belgio, il Canada, la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Germania, l’Italia, il Giappone, l'Olanda, la Norvegia, la Svezia, la Svizzera, il Regno Unito, e gli Stati Uniti.

20

indolenti di prima furono in grado di diventare una forza competitiva efficace nell’arengo internazionale. Questo

stesso

insieme

di fattori

sembra

aver

continuato

ad

agire con forza immutata durante i quarant'anni del dopoguerra. La convergenza nella produttività e nei livelli di vita fra i maggiori paesi industrializzati ha continuato a ritmo sostenuto e questo fatto è stato senza dubbio agevolato da una omogeneizzazione progres-

siva delle tecnichedi produzione, il cui cuore era l'acquisizione e l’utilizzazione da parte.di ogni paese di informazioni circa le tecniche industriali usate:dastutti gli altri. Mi sembra chiaro che la responsabilità di questo flusso di informazioni e la sua accelerazione risieda in grande misura nell’internazionalizzazione dei mercati mondiali, nell’indebolimento conseguente del potere di monopolio e nel calo della concentrazione dell’industria dei mercati in questione. Potremmo notare come poscritto che l’innovazione ha persino internazionalizzato i mercati che si riteneva fossero inaccessibili alla competizione internazionale. Questo è avvenuto in particolare in un certo numero di servizi. Ci viene detto ad esempio che non è più straordinario per gli ingegneri di un paese A trasmettere le loro specificazioni elettronicamente a un paese B dove i progetti sono velocemente disegnati e poi rispediti a un paese C perché siano usati nel processo di fabbricazione. Allo stesso modo, la televisione e il cinema hanno internazionalizzato la rappresentazione del teatro, che fino al Novecento era esportato e importato solo come evento raro e degno di nota.

In breve, l’elenco delle fortezze in gran parte immuni dalla concorrenza internazionale diventa sempre pi piccolo, nella misura in cui l’informazione e i suoi prodotti rendono possibile alle attività di ogni paese di invadere i mercati altrui e le spinte competitive li costringono a fare cosf?. Ne consegue che, malgrado la discussione precedentemente sviluppata in questo articolo, l'esplosione dell’informazione deve essere servita prevalentemente, in modo veramente importante, da stimolo alla competitività. Questa è la conseguenza principale sull’organizzazione industriale e dell'economia in generale. La questione è diversa e più complessa quando ci rivolgiamo ad analizzare gli effetti verificatisi nelle industrie dell’informazione stessa.

? L'elettronica è propria di mercati di capitali internazionalizzati e ha accelerato e, anche, facilitato il trasferimento di risorse di investimento.

30

6. LE PRINCIPALI

TENDENZE

NELLA

PRODUZIONE

DELLO

HARDWARE

Negli ultimi anni, sia la AT&T che l’Ibm hanno fatto dei tentativi di invadere i rispettivi territori. Benché queste, per i motivi già esposti, sembrino delle mosse naturali, data l’interdipendenza della loro tecnologia, finora nessuna delle due mosse si è rivelata un successo spettacolare. Ciononostante, in nessun caso, all'impresa che tenta di invadere è sconosciuta la tecnologia dell’altra e nessuna delle due è una minuscola impresa frenata dalla scarsità di risorse nella sua sfida al gigante incombente. Senza dubbio le ragioni del limitato successo delle invasioni sono complesse e la storia non ci fornisce delle indicazioni conclusive. Però mi sembra che uno dei motivi per cui la AT&T viene ostacolata nella sua sfida alla Ibm non sia una carenza di krow bow o di risorse, ma sia il suo vero e proprio ritardo di ingresso nel campo dei computer. Se quanto precede ha fondamento, vi sono delle importanti implicazioni sulla struttura dell’industria dello bardware per computer che analizzeremo di seguito. L’essenza della questione è che la domanda dei consumatori dell’elemento centrale (il computer in sé), in un sistema di attrezzature per

l'elaborazione dei dati, dipende dalla disponibilità di una varietà di attrezzature ausiliarie (ad esempio, le stampanti) e dall’uso di programmi (software) compatibili con l'elemento centrale in questione. Ma questi articoli ausiliari non sono prodotti soltanto dal produttore di quello centrale; infatti i migliori (i più diffusi) ausiliari sono forniti da aziende

totalmente indipendenti (ad esempio, la Lotus Corporation). Sia la produzione sia il lancio di attrezzature periferiche e di pacchetti di software sono costosi e la loro scala di minima efficienza è, probabilmente, relativamente grande; nel caso del software, in-

fatti, la maggior parte del costo ha la caratteristica di essere sia fisso sia a fondo perduto. Di qui ne consegue che se questi elementi ausiliari saranno progettati in un modo da renderli più compatibili con un particolare tipo di computer anziché un altro, il fornitore (il progettista) dell'elemento periferico sarà attratto da una marca di computer, chiamiamola X, la cui domanda sarà elevata anche in una

prospettiva futura. Tuttavia, la domanda per il computer X in sé dipenderà dalla disponibilità presente e futura di una gamma di attrezzature periferi-

che ad esso compatibili. In altre parole, le due variabili, la quantità di computer di marca X richiesti e la gamma (numero) di articoli periferici compatibili con X, si stimoleranno l’un l’altra. Più sarà grande il valore che una di queste variabili raggiunge, più grande sarà il valore dell’altra, ceteris paribus. DI

Tuttavia, esiste almeno un fattore controbilanciante: quanto più affollato è il campo di forniture periferiche per il computer X, tanto meno attraente sarà la fornitura di un altro prodotto concorrente. In altre parole, la crescita dell’offerta di elementi compatibili con il computer X tenderà a variare inversamente rispetto al numero di tali elementi che già sono stati offerti. I rapporti sopra descritti costituiscono la base di un modello

comportamentale dinamico di sviluppo nella struttura dell’industria (si veda l’appendice). Il funzionamento del modello non è troppo difficile da descrivere intuitivamente. Fondamentalmente, il fabbricante di computer che per primo è in grado di attestarsi su un’area notevole del mercato realizzerà un vantaggio autocumulativo su tutti i rivali incombenti più piccoli ed anche su tutti i nuovi che arriveranno nel futuro. La marca X, avendo raggiunto una certa quota di mercato, diventerà, per virti di quel successo, un bersaglio interessante per la concorrenza di attrezzature periferiche e di software. Ma, più articoli compatibili a X saranno disponibili, più la domanda dei consumatori crescerà relativamente alla domanda delle marche concorrenti.

Altri fattori supplementari potrebbero agire nello stesso modo. Ad esempio, gli acquirenti potrebbero essere preoccupati della possibilità del fallimento di un fornitore di computer e della conseguente non-disponibilità di parti di ricambio, per non dire del bisogno di rimodernare le attrezzature che produttori di successo potrebbero fornire in futuro. Anche questo fattore costituirà un vantaggio per l'impresa produttrice che ottiene rapidamente una quota di mercato rilevante. La storia, quindi, è che in questa industria i rapporti tecnologici e verticali sono tali da fare generare il successo dal successo. L’impresa che riesce ad ottenere una più larga quota di mercato attrae maggiormente i produttori di software e di attrezzature periferiche. I nuovi acquirenti di computer, a loro volta, troveranno quella marca ancora più attraente nel momento in cui la varietà di prodotti ausiliari compatibili a quel dato modello, si allargherà. Questo a sua

volta stimolerà ulteriormente la varietà reperibile di prodotti ausiliari compatibili e via di seguito all’infinito. Un tale tipo di rapporti può rendere abbastanza difficile a un neoarrivato l’irrompere nel campo. Il dominio è raggiunto ed è detenuto dal principale incombente, non necessariamente per un desiderio monopolizzante, ma, piuttosto, perché ciò gli viene imposto dalla intrinseca natura della dinamica dell’industria.

Questo non significa che l'impresa di successo, inevitabilmente e necessariamente, debba diventare l’unico occupante del campo. La 32

differenziazione del prodotto potrebbe fornire delle aree vitali a rivali più piccoli che si impegnino a fornire prodotti che soddisfino bisogni e desideri speciali. Inoltre, mentre i fornitori di attrezzature ausiliarie si affollano sempre più nella fornitura di articoli compatibili con il computer più importante, quel segmento di mercato potrebbe diventare sovraffollato, e la fornitura di articoli ausiliari, per

marche di computer con meno successo, potrebbe diventare più attraente. Tutto ciò potrebbe, infine, porre un tetto massimo alla quota di mercato del primo leader nella produzione di computer. Tuttavia la sua posizione resterà potente e resistente agli attacchi. Solo una innovazione rivoluzionaria, sviluppata da un nuovo entrante, o errori cruciali da parte della direzione di un produttore di successo di computer, potrebbero creare un cambiamento significativo nella Zeadership dell’industria e offrire una quota di mercato sostanziale e duratura alle altre aziende concorrenti. Questo allora

sembra uno scenario plausibile per la struttura e la performance competitiva di una industria con le caratteristiche tecnologiche proprie della produzione dei computer. Comunque, un’altra strategia di ingresso nel mercato potrebbe essere disponibile ai nuovi entrati per concorrere con il leader di

successo. L’entrante può impegnarsi per produrre ciò che potrebbe essere chiamato superclone per le attrezzature dell'impresa di successo. Le macchine dell’entrante potrebbero essere compatibili con ogni periferico e ogni importante pacchetto di software realizzato dal leader. Cosî facendo e offrendo qualche altra caratteristica interessante in pit, l’entrante potrebbe attaccare con successo la posizione del leader. Ci sono dei segni che testimoniano che questo approccio strategico viene già impiegato e che sta già funzionando, almeno fino ad un certo limite !°, Dopo tutto, se l’imitazione è poco costosa e legale, allora altri seguiranno il leader dell’industria e il costo di produzione e la capa10 Si veda, ad esempio, lo studio nel «New York Times», aprile 22, 1986, p. C6. In uno studio completo delle prestazioni fra i computer compatibili Ibm, vinse un’azienda diversa dall’Ibm. Software Digest, una organizzazione indipendente conosciuta da tempo per i suoi collaudi esaurienti e i confronti metodici dei programmi di software per i personal computer,

ha analizzato l'arena dello hardware. Nel numero di giugno 1986 del «Software Digest Ratings Newsletter» sono stati provati sette computer in base agli standard fissati da International Business Machines per prestazioni e compatibilità di software. Il riscontro finale ha posto il Deskpro 286, il migliore della linea della Compag, alla testa della concorrenza, davanti alla ammiraglia della Ibm, il personal computer PC-AT. La compatibilità Ibm non è ovviamente un problema per la Ibm, cost il trionfo della Deskpro 286 è ancora più impressionante. Quest'ultima utilizzò diciannove dei venti programmi di software dei test di compatibilità senza alcun problema, e il ventesimo funzionò dopo alcuni adattamenti. Il vantaggio della Deskpro 286 sta nella semplice velocità; il suo microprocessore stravince al confronto di quella AT.

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cità di marketing designeranno il vincitore, che non necessariamente dovrà essere il primo degli imitatori. Ad esempio, i disegnatori della tastiera della macchina da scrivere hanno stabilito lo standard dell’industria

(anche se ha molti inconvenienti),

ma l’a-

verlo fatto per primi, non ha dato loro nessun vantaggio permanente nella quota di mercato detenuta. Sebbene l’Ibm abbia stabilito la qualità dei personal computer, adesso deve affrontare una difficile concorrenza sulla quota di mercato da parte dei produttori di cloni che possono legalmente fare delle copie molto simili e venderle per molto meno. Un lavoro che sta scrivendo Robert Levinson all’Università di New York analizza le decisioni di acquisto dei microcalcolatori da parte dei consumatori in funzione del prezzo d’acquisto, del costo previsto del servizio e degli elementi periferici, della reputazione del produttore (e della probabilità che resti ancora in affari per almeno altri cinque anni), del grado di compatibilità (non solo per l’attuale software e periferici, ma anche per quelli ancora

da introdurre),

della disponibilità di software e di

hardware periferici (e della facilità di congiungerli) e dell’esistente base installata (che abbassa il costo e la facilità di servizio), del co-

sto significativo in termini di tempo di apprendimento, e della facilità di aver assistenza da amici che conoscono la stessa unità. Molti di questi fattori, naturalmente, vanno nella direzione del modello

descritto in questo lavoro. I risultati preliminari, ricavati da un insieme di dati abbastanza consistente, mostrano l’importanza della compatibilità quasi perfetta del prodotto offerto dal concorrente con i prodotti Ibm, poiché la semicompatibilità si è rivelata una base inefficace su cui competere.

7. CENNI

RIASSUNTIVI

Per riassumere, la nostra ricerca ha mostrato che l’esplosione dell’informazione ha avuto effetto sulla struttura e sulla competitività dell'industria in diversi modi: a) nei precedenti decenni sembra che, in generale, nell’industria, l'informazione abbia comportato probabilmente un accrescimento sia della dimensione di minima efficienza dell'impresa sia della dimensione tipica dei costi a fondo perduto, contribuendo con ciò alla concentrazione e all’indebolimento della competitività; 5) con il successivo declino a picco dei costi dello hardware, e della dimensione delle attrezzature e, con la maggiore facilità d’uso dei computer (user friendliness), il contributo alla concentrazione e

alla riduzione della competitività può essersi più che invertito; 34

c) allo stesso tempo, accelerando l’internazionalizzazione dei mercati mondiali, la rivoluzione dell’informazione ha probabilmente stimolato drammaticamente la competitività; d) l'eccezione degna di nota pare il mercato dello hardware per computer che sembra essere soggetto a una dinamica che rende difficile l'ingresso e serve a stimolare un sostanziale grado di concentrazione. In breve, la nuova tecnologia dell’informazione può sicuramente aver aumentato la competitività dappertutto fuorché nella oa sede. Ma anche qui, il gioco non è ancora stato svolto sino alla fine.

APPENDICE:

UN SEMPLICE

MODELLO

DELLE

DINAMICHE

DEI MERCATI

DI

HARDWARE

Non è difficile costruire un modello formale con le caratteristiche attribuite nel testo ai mercati di attrezzature per computer. Il seguente modello, assai semplificato, vuole solo illustrare la lo-

gica delle relazioni. A questo scopo ci aiuterà ipotizzare che l’industria sia composta da due imprese. Per ognuna di queste imprese, i, sia

tia=la percentuale degli elementi periferici disponibili (software) compatibili con le attrezzature dell'impresa i nel periodo #, 0