Architetti, architettura e città nel Mediterraneo antico. Atti del Convegno (Venezia, 10-11 giugno 2005) 8842421197, 9788842421191

Il testo costituisce una indagine sul mondo antico attraverso le tracce lasciate dai monumenti e dalla morfologia della

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Italian Pages 366 [368] Year 2007

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Architetti, architettura e città nel Mediterraneo antico. Atti del Convegno (Venezia, 10-11 giugno 2005)
 8842421197, 9788842421191

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Un'appassionante indagine del mondo antico attraverso le tracce lasciate dai monumenti e dalla morfologia delle città: questo l'intento della raccolta di studi che attraverso il contributo di archeologi, storici e architetti focalizza la propria attenzione sugli aspetti e i risvolti semantici della produzione architettonica, non sempre e non necessariamente legati alle sole componenti estetiche e funzionali dei monumenti. Campo privilegiato del dibattito è l'età ellenistica, dalla vittoria macedone di Cheronea (338 a.C.) all'annessione a Roma dell'ultimo regno dei Diadochi dopo la battaglia aziaca del 31 a.e .• di cui si passano in rassegna i teatri, le tombe, i palazzi reali nell'allestimento dei loro spazi pubblici, ma anche interi centri urbani, come Priene e il Pireo, e città cosmopolite, quali Alessandria e Delo, oggetto di una regolare pianificazione urbanistica . Tali realtà testimoniano il crescente interesse delle città nella progettazione su scala urbana, anche allo scopo di rispondere alle esigenze di poleis aperte alla circolazione di genti, merci e identità culturali provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo. Un utilissimo strumento, in grado di fornire ad appassionati e specialisti le chiavi interpretative fondamentali per una nuova, stimolante lettura dell'architettura antica.

€ 26,00

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Calabi, Malacrino, Sorbo, Barresi, Bejor, Grassigli Spanu, Lippolis, Torelli, Mastrocinque, Ciotta Pensabene, Pagello, Interdonato, D'Alessio, Giatti Amendolagine, Ragonese, Scappin

Architetti, architettura e città nel Mediterraneo antico A cura di Carmelo G. Malacrino ed Emanuela Sorbo

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Bruno Mondadori

Questo volume presenta gli atti del convegno: "Architetti, architettura e città nel Mediterraneo orientale ellenistico" svoltosi presso la SSAV, Fondazione di Studi Avanzati in Venezia, in seno al Dottorato di eccellenza in Storia dell'Architettura, Scienza delle arti e Restauro, il 10-11 giugno 2005

+ I curatori si sono occupati insieme dell'Introduzione, del testo di Gianluigi Ciotta, e rispettivamente: Carmelo G. Malacrino dei saggi di Attilio Mastrocinque, Paolo Barresi, Giorgio Bejor, Gian Luca Grassigli, Carmelo lnterdonato, Enzo Lippolis, Elisabetta Pagello, Marcello Spanu, Emanuela Sorbo e della bibliografia generale. Emanuelà Sorbo dei saggi di Mario Torelli, Valentina Consoli, Patrizio Pensabene, Alessandro D'Alessio, Chiara Giatti, Carmelo G. Malacrino, Francesco Amendolagine, Ruggero Ragonese e di Luca Scappin. Donatella Calabi presenta il volume.

Tutti i diritti riservati © 2007, Paravia Bruno Mondadori Editori

È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno awenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall'Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere (AIDRO), Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, posta elettronica: [email protected] Realizzazione editoriale: Patrizia Zapparoli

www.brunomondadori.com

Indice

Presentazione

VII

di Donatella Calabi Introduzione

IX

di Carmelo G. Ma/aerino ed Emanuela Sorbo 1.

Architetti Gli architetti ellenistici: lavoro e progettazione

di Paolo Barresi 2. 29

Architettura e città Le mura nelle città ellenistiche. Realtà archeologica e rappresentazione urbana

di Giorgio Bejor La città e il palazzo reale. La funzione pubblica di uno spazio privato

43

di Gian Luca Grassigli 66

Il teatro ellenistico in Asia Minore. Aspetti funzionali, costruttivi e urbanistici

di Marcello Spanu 80

Tipologie e significati del monumento funerario nella città ellenistica. Lo sviluppo del naiskos

di Enzo Lippolis 101

Le città ellenistiche in epoca romana

di Mario Torelli 3. 117

Topografia e urbanistica Le fondazioni dei Seleucidi

di Attilio Mastrocinque 128

Priene. Struttura e immagine di una città ellenistica

di Gianluigi Ciotta

153

Forme di un impianto urbano in età ellenistica. Il Pireo dal IV al I secolo a.C.

di Valentina Consoli 170

Architettura e urbanistica nell'Alessandria dei Tolemei. Il quartiere palaziale

di Patrizio Pensabene Ipotesi per l'agorà ellenistica di lasos di Caria

187

di Elisabetta Pagello

202

Odo e i suoi porti in età ellenistica. Alcune considerazioni topografiche e architettoniche sulla Région des Magasins

di Carmelo lnterdonato 217

La diffusione degli impianti a sostruzione cava nell'architettura italica di età tardo-repubblicana. Considerazioni su due casi di Pozzuoli e Roma

di Alessandro D'Alessio

235

Pianificazione urbana delle necropoli di Roma in età tardo-repubblicana

di Chiara Giatti 248

Archeologia e terremoti a Kos

di Carmelo G. Ma/aerino 4.

275

Il cantiere e l'opera Lo stucco ellenistico

di Francesco Amendolagine e Ruggero Ragonese 291

L'impiego del metallo nell'architettura antica

di Luca Scappin

306

Lo scavo e la conoscenza della materia. I primi anni di scavo di Ercolano 1710-1780

di Emanuela Sorbo 324

Abbreviazioni e bibliografia generale

Presentazione di Donatella Calabi

È stata un'iniziativa coraggiosa da parte del Dottorato in "Storia dell'architettura e della città, Scienze delle arti, Restauro" della scuola di Studi Avanzati di Venezia, quella di organizzare nel giugno del 2005 un seminario sulla Città ellenistica nel Mediterraneo: senza che ci siano nel collegio dei docenti professori che si occupano dell'antico, abbiamo tuttavia voluto coinvolgere alcuni dei maggiori esperti sull'argomento, per fornire ai nostri dottorandi un contributo specialistico e qualificato sull'argomento. Abbiamo inteso così suscitare nei nostri allievi curiosità, ma anche incoraggiare il tentativo di alcuni di misurarsi con un settore degli studi che ancora risente troppo delle difficoltà di comunicazione tra archeologi e storici dell'architettura. In un dottorato nel quale sono protagonisti i temi dell'analisi storico-critica delle pratiche costruttive ed artistiche, nella loro molteplicità e nella complessità delle relazioni che si sono tra loro instaurate, non poteva mancare una riflessione su un arco cronologico che pure pratichiamo solo in misura limitata. La topografia, alcuni manufatti (le mura, il palazzo reale, il santuario, il teatro, la necropoli) e il linguaggio architettonico da un lato, un'indagine sulla figura dell'architetto dall'altro, sono i temi sui quali abbiamo invitato a parlare i nostri interlocutori e con i quali i nostri dottorandi si sono confrontati nel costruire questo volume: ne esce un'immagine rinnovata della città ellenistica, tradizionalmente considerata frutto della "decadenza" dopo le perfezioni dell'età classica: qui essa ci appare invece come il luogo di una riarticolazione urbana per un verso tipica dei più importanti centri cosmopoliti dell'antichità, per altro propositiva per l'età romana. Ciò appare di particolare interesse oggi, in un momento in cui, grazie a una quantità di missioni archeologiche recenti, alcune città greche e quelle egiziane sono oggetto della scoperta di insediamenti portuali e di grandiosi monumenti. Non è un caso che si assista al fiorire di pubblicazioni divulgative su questi argomenti e alle organizzazioni di mostre per il grande pubblico (come quella allestita in questi giorni a VII

Architetti, architettura e città nel Medite"aneo antico

Parigi al Grand Palais): 1 nel nostro caso il discorso è affrontato da alcuni dei maggiori specialisti che operano nel nostro paese, ma con l'ambizione di "spiegare" le novità anche a chi non è strettamente del mestiere. A questo giovano il tono discorsivo di molti dei saggi qui raccolti e le illustrazioni proposte dagli autori a documentare le loro affermaztom.

1 I teson· sommersi dell'Egitto: mostra in corso a Parigi, al Grand Palais (9 dicembre 2006-16 marzo 2007).

VIII

Introduzione di Carmelo G. Ma/aerino ed Emanuela Sorbo

Tipi, forme e modelli, fra tradizione e sperimentazione di soluzioni a volte individuali, possono rappresentare una traccia per indagare, attraverso l'architettura e la morfologia delle città, l'intrico di segni trasmessoci dal mondo antico. Se si pensa alle mura con i loro accorgimenti poliorcetici, al palazzo reale nell'allestimento dei suoi spazi pubblici, e poi ai teatri fino alle tombe nelle diverse monurnentalizzazioni, essi svilupparono, accanto al compito prettamente funzionale, il carattere di veicolare messaggi intellettuali non sempre legati alla mera componente estetica delle strutture. Allo stesso tempo realtà cosmopolite, come Alessandria e Delo, o centri, quali Priene e il Pireo, oggetto di una regolare pianificazione urbanistica, testimoniavano il grande interesse delle città per la progettazione su scala urbana, anche per rispondere alle necessità di poleis aperte alla circolazione di merci, genti e identità culturali provenienti da tutto il Mediterraneo. A questi e ad altri aspetti è stato dedicato il Seminario di studi Architettt; architettura e città nel Medite"aneo orientale ellenistico (Venezia, 10-11 giugno 2005), organizzato da Lorenzo Lazzarini e Carmelo G. Malacrino in seno al Dottorato di eccellenza in Storia dell'architettura e delle città, Scienza delle arti e Restauro. Da quella occasione è nato un confronto di esperienze e riflessioni tra storici, archeologi e architetti che ha spinto ad ampliare sia l'originale arco cronologico sia la specificazione geografica, ellenismo e Mediterraneo orientale: i limiti inizialmente fissati non avrebbero potuto tenere conto della complessità e vastità di approcci e temi dei numerosi interventi presentati. Questo libro presenta un'articolata scansione impostata sui diversi aspetti della ricerca storica e storiografica, messi in evidenza dagli autori nei singoli contributi con riferimenti che vanno dagli architetti alle varie classi di monumenti, dalla città ai contesti topografici e all'urbanistica, fino ai cantieri e all'opera architettonica. La scienza propria della figura dell'architetto in età ellenistica, argomento che occupa la sezione d'apertura del volume, emerge dallo studio di Paolo Barresi quale connubio di conoscenze pratiche e di abilità progettuali, ex /abrica et ratiociniatione nelle parole di Vitruvio (De ar-

IX

Architetti; architettura e città nel Medite"aneo antico

chitectura, I 1, 1) ancora negli ultimi decenni del I secolo a.C. In una fase, quale fu l'età ellenistica, in cui i modelli della tradizione finirono per condizionare in maniera meno rigida l'originalità compositiva degli architetti, i progettisti poterono sperimentare forme e tipologie nuove, oppure "riformulare" un'architettura che spesso assunse valenze rappresentative o divenne funzionale ai nuovi bisogni delle città. Ma qual era la procedura che portava alla realizzazione di un progetto edilizio? Che peso assumevano i rapporti tra architetto e committente? Quali le regole modulari alla base della composizione di un edificio? Lo studio di Barresi, sfruttando fonti letterarie, epigrafiche ed archeologiche, ha cercato di dare una risposta a queste e ad altre domande, mettendo in evidenza, attraverso i riferimenti all'esistenza di schizzi e modelli in scala dei progetti da realizzare o alla composizione di cantieri che durarono anche alcuni secoli, le regole progettuali che governavano l'architettura di età ellenistica: taxis, diathesis ed oikonomia. Giorgio Bejor inaugura la sessione dedicata ai significati dell'architettura nei centri del Mediterraneo antico con un contributo rivolto alle fortificazioni murarie quale elemento di rappresentazione urbana. L'analisi di un'evidenza tra le più monumentali offerte dall'archeologia diviene la traccia per comprendere in chiave storica gli sviluppi e le innovazioni della poliorcetica di età ellenistica, soluzioni con le quali le poleis cercarono di incrementare il potere difensivo delle proprie mura. Queste strutture monumentali, spesso ricordate dalle fonti per gli elevati costi di costruzione, finirono presto per diventare anche un elemento di decoro per centri urbani che in tali realizzazioni ricercavano un elemento di auto-rappresentazione, testimoniato tra gli altri dall'iconografia delle personificazioni delle città, le Tychai dalle corone turrite. Dalle mura l'attenzione si sposta sui palazzi reali, i cui rapporti con le città ellenistiche vengono indagati secondo un approccio che solo negli ultimi anni sta trovando fortuna tra storici e archeologi. Gian Luca Grassigli col suo scritto interpreta il dato reale staccandosi dal mero descrittivismo dell'evidenza restituitaci dagli scavi al fine di comprendere il ruolo che la "reggia" svolse nell'immaginario comune del mondo antico. Così, l'influenza esercitata dal palazzo dei sovrani ellenistici nell'architettura pubblica e soprattutto privata dei secoli immediatamente successivi, si può cogliere non solo nel modello architettonico reale, ma anche attraverso quella che le fonti antiche ci restituiscono come una "reggia immaginata", una rappresentazione ideale alimentata dalle medesime fonti - letterarie e iconografiche - quale sfondo per le azioni del sovrano. Dai complessi di Ege e Pella, databili alla seconda metà del IV secolo a.C., a quelli di Demetriade e di Iraq al Amir, costruiti tra la fine del III secolo a.C. e gli inizi del successivo, il quadro

X

Introduzione

che si ricostruisce mostra come i palazzi ellenistici incorporassero nell'ambito privato spazi e ambienti funzionali all'esercizio del governo del pubblico. Non appare casuale il legame topografico e funzionale esistente tra i primi due complessi, quelli di Ege e Pella, con il teatro, una tipologia architettonica che proprio in età ellenistica trovò ampia diffusione non solo nelle città della Grecia, ma anche in quelle d'Asia Minore, in un quadro chiaramente delineato da Marcello Spanu nel suo contributo. Se i riferimenti qui non potevano prescindere dal caso del teatro di Dioniso Eleuthereus ad Atene, che in età ellenistica subì notevoli trasformazioni architettoniche per essere adattato ai nuovi tipi di rappresentazioni, l'analisi si concentra sugli aspetti funzionali, costruttivi e urbanistici delle architetture teatrali microasiatiche nel periodo successivo alla conquista di Alessandro Magno, quando il teatro assunse anche il significato di elemento qualificante lo status di città. Da elemento qualificante lo status delle poleis a elemento qualificante lo status dei privati. Enzo Lippolis mette in evidenza nel suo lavoro i problemi legati alla conoscenza dell'architettura funeraria di età ellenistica, concentrando l'attenzione sullo sviluppo del monumento a edicola su podio durante il IV secolo a.C. Rispetto al caso delle necropoli ateniesi, dove il naiskos con la sua struttura architettonica fu acquisito dalle classi cittadine medio-alte quale elemento di rappresentatività privata, per il mondo orientale, definito da una committenza prevalentemente dinastica, il monumento funerario sembra essere servito per connotare ulteriormente la simbologia architettonica del potere. Il legame tra architettura e rappresentazione del potere è inoltre indagato nel saggio di Mario Torelli attraverso una puntuale disamina dei cambiamenti delle città di Atene ed Efeso: Atene al centro di un processo di "plutarchizzazzione", ossia il tentativo imperiale di «mettere in parallelo il glorioso passato ellenico e il mondo romano»; Efeso interessata da una operazione di "censura urbanistica". Importante è infatti negli esempi proposti la relazione che il saggio stabilisce tra architettura e cifra ideologica rintracciando nella basilica romana «un vero e proprio diaframma ideologico» in cui «il tipo rappresenta l'interfaccia reale di Roma con i sudditi». Sulla scia delle ideologie, come lente per mettere a fuoco alcuni fenomenti urbani, si inserisce il contributo Le fondazioni dei Seleucidi che apre la sezione dedicata a Topografia e urbanistica. Profondo conoscitore del mondo ellenistico, Attilio Mastrocinque indaga le procedure adottate nel fondare le città dai successori di Alessandro, in particolare Seleuco I e Seleuco III. Dal caso della fondazione di Seleucia sul Tigri, descritta dallo storico Appiano, a quella di Antiochia sull'Oronte narrata dal retore Libanio, vengono messi in evidenza i metodi pratici per

XI

Architetti, architettura e città nel Mediterraneo antico

la realizzazione di un impianto urbano di tipo ortogonale, con l'impiego di elefanti e fuochi, cercando anche di rivalutare la funzione assunta dagli eserciti nei lavori di costruzione dei nuovi centri urbani. Ma quali peculiarità configuravano le città sviluppatesi in età ellenistica? Quali monumenti divennero caratteristici di queste poleis? Quale fu il rapporto topografico fra spazi pubblici e spazi privati? Gli esempi presi in considerazione in questa parte del volume, quasi a modello del nuovo sistema di città, approfondiscono aspetti tra loro diversi, ma tutti distintivi per comprendere le innovazioni architettoniche, ma anche le trasformazioni subite dalle città a seguito delle nuove realtà sociali, politiche ed economiche del mondo ellenistico. La sezione prosegue con un affondo sulla città di Priene offerto da Gianluigi Ciotta che individua le specifiche archeologiche di ogni monumento che compone il sito e la relativa stratificazione. La ricostruzione storica operata attraverso l'intreccio tra le fonti letterarie ed epigrafiche con l'evidenza archeologica, spesso frammentaria, ha una felice declinazione nello studio delle forme urbane del Pireo redatto da Valentina Consoli. Il contributo ha il pregio di fornire una lettura originale della struttura urbanistica della città portuale di Atene dal IV al I secolo a.C. L'apparato iconografico che viene proposto dall'autrice presenta un importante aggiornamento della/orma urbis offerta nel 1991 da K. von Eickstedt, con l'inserimento delle ultime scoperte archeologiche effettuate dagli archeologi greci. Dall'Attica all'Egitto: Patrizio Pensabene, con un notevole impegno dovuto alla lacunosità dei dati, cerca di restituire l'assetto della grande Alessandria in epoca tolemaica, rivolgendo particolare attenzione alla localizzazzione del Soma di Alessandro da un lato, e a una possibile influenza esercitata dai modelli persiani dei Basi/eia dall'altro. Priene, il Pireo, Alessandria hanno permesso di esemplificare su scala urbana gli schemi adottati dai centri urbani in età ellenistica, in un complesso rapporto di ascendenze e nuove soluzioni. Ma ciascuna di queste città costituiva una realtà politica, amministrativa ed economica - ma anche rappresentativa per le élites locali - che trovava il suo quotidiano svolgimento nel principale spazio pubblico urbano, l'agorà. In questo senso si inserisce lo studio di Elisabetta Pagello, relativo a un sito, quale è lasos di Caria, che ancora riserva molte delle sue testimonianze materiali. Attraverso il riferimento a edifici pubblici con funzione civile, come il bouleuterion, l'archeion o l'ekklesiasterion, l'Autrice intende mostrare le metodologie da applicare nella restituzione topografica di un'agorà antica, in un attento dialogo tra evidenza archeologica e fonti antiche. Dall'agorà alle strutture portuali, e in questo caso oggetto d'indagine

XII

Introduzione

diventa il principale centro emporico del Mediterraneo orientale tra la metà del II secolo a.C. e i primi decenni del successivo. Con il suo contributo sull'isola di Delo, Carmelo lnterdonato pone l'accento su un sistema di istallazioni funzionali all'approdo marittimo ancora perfettamente leggibile nelle sue linee principali, con considerazioni che inquadrano topograficamente i vicini quartieri abitativi e commerciali nel più ampio panorama urbano. In un rapido passaggio da Oriente a Occidente, l'individuazione dei punti di tangenza tra le forme dell'architettura ellenistica e quelle dell'architettura romana - ora al centro di un ampio dibattito su una derivazione più o meno diretta - è esemplificata nel contributo di Alessandro D'Alessio, ed è ripercorsa dal punto di vista del legame che si instaura tra architettura e proprio genius loci. Il contributo analizza in maniera specifica il tema della sostruzione cava, come «elemento strutturale e compositivo determinante nel processo di sviluppo e diffusione degli impianti terrazzati italici in età tardo repubblicana». Segue un esame attento delle componenti strutturali e materiali, come ad esempio l'orografia della roccia puteolana nella trattazione dell'aCTopoli del Rione Terra, fino a spingersi in ipotesi ricostruttive anche laddove non esistono testimonianze materiali, e formulando alcune ipotesi. Una trattazione che pone molteplici e interessanti spunti problematici e interpretativi, in cui anche la lettura della cronologia è affidata a considerazioni di carattere tecnicoedilizio, avvallate da una interpretazione delle fonti antiche e da criteri analogici. L'ipotesi di fondo, innovativa e coraggiosa del contributo, è di rintracciare nel complesso puteolano del Rione Terra un ruolo di riferimento per la «definizione e funzionalizzazzione dello spazio edificato per mezzo dei sistemi voltati e, specificatamente, della creazione di piani, livelli e terrazzamenti artificiali tramite sostruzione cava». L'analisi della recezione dei modelli ellenistici da parte del mondo romano continua nel contributo di Chiara Giatti attraverso l'analisi delle tipologie funerarie di Roma in età tardo repubblicana. L'evoluzione tipologica della necropoli dell'Esquilino è analizzata sia nella logica di una volontà autorappresentativa, sia per rispondere a precise esigenze funzionali. L'adozione del modello recinto-monumentum testimonia un duplice registro nell'adozione di modelli greci, fatto di imitatio e invenio, nel senso etimologico di scoperta e rielaborazione più che di trasposizione automatica. Con il testo di Carmelo G. Malacrino, che chiude questa sezione del volume, si torna nuovamente in Grecia per un lavoro che, trasversalmente, cerca di ricostruire l'attività sismica che interessò l'isola di Kos dal sinecismo del 366 a.C. all'età protobizantina. L'approccio adottato dall'autore è quello proprio della sismologia storica, basato sull'elabo-

XIII

Architetti, architettura e dttà nel Medite"aneo antico

razione dei dati fomiti dalla ricerca archeologica all'interno di una griglia tessuta dalle fonti letterarie ed epigrafiche. La terza sezione, dedicata a il cantiere e l'opera, propone alcune riflessioni sia sulla trasformazione in documento della fonte archeologica, intesa come dato materiale, sia, in una prospettiva storica, sull'influenza delle tecniche nella trasmissione dei linguaggi. La sezione si apre con il testo di Francesco Amendolagine e Ruggero Ragonese. Il contributo propone, secondo un approccio personale, un'analisi della città ellenistica e romana attraverso la lettura dell'impiego della materia stucchiva, ripercorrendone le tracce e le genealogie. Esso rintraccia nella città romana un superamento degli elementi messi in luce nella città ellenistica, soprattutto nella determinazione di un apparato decorativo e rappresentativo insieme, messo in gioco nel palazzo reale, che riesce a produrre un matrimonio tra forza scultorea e pittorica. Altro elemento tecnico a determinare significative trasformazioni nei cantieri antichi è il ferro, del cui impiego Luca Scappin offre un'ampia panoramica nel suo saggio. Il contributo, all'interno di una consolidata tradizione di storia delle tecniche, ripercorre in chiave divulgativa l'utilizzo di questo metallo nell'architettura antica attraverso un utilissimo apparato iconografico e un ampio sforzo di sintesi. Dal mondo dei Greci a quello dei Romani, l'accento viene posto prima sui vari sistemi di ancoraggio degli elementi lapidei, poi sulle sostanziali innovazioni introdotte con l'utilizzo del ferro nell'opus caementicium e nelle piattabande annate. Il momento dello scavo come momento della scoperta, ma anche come primo atto di conservazione della fonte archeologica è il tema affrontato nell'intervento di Emanuela Sorbo. Il contributo ripercorre la storia dei primi anni degli scavi di Ercolano, lasciando aperto l'interrogativo sul ruolo che le modalità di conservazione della materia, e le relative tecniche, hanno nei confronti della trasformazione in documento della scoperta archeologica, e se, e come, questo processo è influenzato dalle ipotesi ricostruttive. Formulazioni, la cui finalità è la scoperta per la conoscenza storica, ma che si inseriscono nel progetto tra conservazione e restauro. Il Seminario di studi, svolto all'interno del Dottorato di eccellenza in Storia dell'architettura e delle città, Scienza delle arti e restauro, della Scuola di Studi Avanzati di Venezia, è stato possibile grazie al forte interesse mostrato in particolare da Lorenzo Lazzarini e da Donatella Calabi, ma anche grazie al favore manifestato dai vari docenti e dai colleghi e amici del Dottorato. A tutti loro vanno i nostri più sentiti ringraziamenti.

XIV

Gli architetti ellenistici: lavoro e progettazione di Paolo Barresi

La scienza antica dell'architetto, formulata da una lunga tradizione che culmina in Vitruvio, consisteva di conoscenza pratica e di abilità progettuale (fabrica et ratiocinatio). 1 Vogliamo allora definire l'architetto ellenistico basandoci da un lato sugli aspetti pratici, ossia il legame con la committenza, la professione, la formazione; dall'altro sul modo in cui si progettava. L'architettura ellenistica2 presenta tre caratteri fondamentali: tendenza alla sperimentazione, con il radicamento di nuove conquiste formali; sforzo di unificazione organica degli elementi costruttivi; utilizzo del1' architettura in funzione espressiva.i I condizionamenti della tradizione agiscono in maniera meno rigida, aprendo nuovi spazi all'originalità individuale dei progettisti,4 e consentendo ad alcune forme sperimentali di diventare nuove conquiste: ad esempio, la predilezione per forme curvilinee, gli edifici a più piani,5 lo sfruttamento dei dislivelli, gli elementi illusionistici, come il motivo dello zoccolo e i supporti addossati alle pareti,6 i giochi di luce e ombra nelle stoai e negli pseudodipteri, i tratti paesistici in urbanistica, e infine la prevalenza data alle facciate rispetto all'intero edificio. Lo sforzo di willìcazione dei volumi, spinto anche dalla progettazione urbana, si esprime nell'unire organicamente quanto finora era solo accostato, soprattutto tipi edilizi e parti di edifici. Si creano così complessi di edifici coordinati: 7 il peristilio in santuari e piazze, il portico unito alle botteghe su due piani, i palazzi e i ginnasi. Inoltre si cura la spazialità degli interni, come nelle sale cultuali di Samotracia, nei bouleuteria, nella Sala ipostila a Delo.8 1 H. Lauter, I.:architettura dell'ellenismo, Longanesi, Milano 1999 (lit. orig. Die Architektur des Hel/enismus, Wissenschahliche Buchgesellschaft, Dannstadt 1986),

p. 34. 2 lvi, p. 262. 1 Ivi, p. 261. ~ lvi, p. 263. 5 lvi, p. 269. 6 lvi, pp. 270-271. 7 lvi, p. 264. 8 lvi, p. 266.

1. Architetti

Infine, tipologie e forme diventano "motivi" che sottolineano aspetti funzionali degli edifici, come il motivo dello zoccolo, che solleva al di sopra del piano quotidiano, e che viene utilizzato in edifici legati al potere e all'autorità civica. 9 A disposizione degli architetti restava il sistema degli ordini, codificato dal V secolo a.C., senza però il condizionamento della funzione struttiva; di conseguenza gli ordini diventano più slanciati e immateriali, si diffondono combinazioni tra ordini ed elementi diversi, e si crea una "gerarchia" nello stesso edificio. Le trabeazioni spezzate, verso la fine dell'ellenismo, segnano il disfacimento degli ordini classici. 10 A queste nuove tendenze si aggiunge un aumento della domanda di architetti: nuove opportunità di lavoro erano offerte dai re, con le loro costruzioni di rappresentanza e i loro grandi eserciti; ma anche dalla fondazione di nuove città greche in Oriente, e dalla ricostruzione delle vecchie città greche, con nuove tipologie architettoniche, come i ginnasi, gli stadi, i teatri, i mercati, e le case di lusso. 11 Le città risposero impiegando in pianta stabile un architetto: nel 346 a.C. ad Atene "l'architetto" doveva preparare sedili nel teatro per gli ambasciatori, e nel 337/6 a.C. un'iscrizione menziona «l'architetto stipendiato dalla città», progettista delle fortificazioni del Pireo. Inoltre, tali architetti cittadini dovevano occuparsi della collocazione di statue e iscrizioni pubbliche. Di norma si trattava di professionisti di medio livello, di istruzione pari a quella degli altri architetti; nel caso di Diogneto a Rodi, responsabile della difesa della città alla fine del IV secolo a.C., si trattava di un architetto molto famoso, cui era stata assegnata una rendita vitalizia all'altezza della sua fama.12 Attorno al IV-IH secolo a.C., architetto e ingegnere sono figure diverse, anche se un architetto doveva saper impiantare un edificio come una gru, una clessidra, una macchina da guerra, 13 in quanto responsabile degli aspetti tecnici della costruzione. 14 Tuttavia, a partire dal III secolo a.C., troviamo trattati in cui le problematiche di ingegneria delle macchine (machinatio - mechanike) e degli orologi (gnomonike) sono trattate autonomamente, segno che gli autori si possono considerare degli specialisti.15 Vi erano poi professionisti definiti 9

lvi, pp. 273-274. Ivi, pp. 267-268. 11 J.J. Coulton, Ancient Greek Architects at Work, Oxbow, Oxford 1988, p. 29. 12 Vitruvio, De architectura, X 16, 3-8. 11 J.J. Coulton, Ancient Greek Architects... , cit., pp. 20-22. 14 lvi, pp. 15-16. 15 E. Romano, in P. Gros (a cura di), Vitruvio. De architectura, Einaudi, Torino 1997, pp. 1293-1294. Vedi il caso di Andronikos di Kyrrhos, costruttore di orologi, progettista della Torre dei Venti di Atene (Vitruvio, De architectura, I 6, 4-5). 10

2

Gli architelli ellenistici: lavoro e progettazione

Fig. I Veduta interna del Didymaion di Mileto. Foto C.G. Malacrino.

architetti ma attivi soprattutto in rami che oggi diremmo ingegneristici: così Archia, costruttore della nave di Ierone II, o anche Archimede, Epimaco, Erone, Callia di Arado, Filone di Bisanzio, Trifone di Alessandria, definiti anche mechanikoi. 16 Gli architetti entravano anche al servizio degli eserciti per attacco o per difesa delle città. 17 Nell'ambito degli edifici pubblici e di rappresentanza, la committenza era soprattutto delle poleis, ma in età ellenistica si aggiunge un sostanziale apporto dei privati cittadini più ricchi e dei sovrani 1K per supplire ai fondi pubblici, ricompensati con onori pubblici. 19 In mancanza, la città poteva anche ricorrere a prestiti per completare un'opera urgente, come una cinta muraria. La scarsità di finanziamenti influiva sul completamento delle opere: vi erano edifici che si completavano nel giro di vari decenni o addirittura secoli, e si costruivano per settori, come il Didymaion di Mileto (Fig. 1). 20 1 ''

H. Lauter, L'architettura... , cit., p. 35. M.-Ch. Hellmann, L'architecture grecquc. I. Lcs principes de la construction, Picard, Paris 2002, p. 3 3. Inoltre A. Bouché-Leclerq, L'ingénieur Cléon, "REA" 21, 1908, pp. 121-152. 18 H. Lauter, L'architettura ... , cit., p. 21. 19 lvi, p. 22. 20 J.J. Coulton, Ancient Greek Architccts.. , cit., p. 21. 3

I. Architetti

La procedura tipica con cui si dava inizio a un progetto edilizio iniziava con la proposta fatta all'assemblea da un cittadino; l'assemblea poteva modificare o respingere la proposta.21 Dopo l'accettazione, una commissione appositamente creata indiceva un concorso: secondo Plutarco,22 due o più architetti descrivevano a parole il progetto, probabilmente con l'ausilio di schizzi o modelli in scala,2} all'assemblea, che designava il vincitore. 24 L'architetto doveva poi presentare il progetto, nella forma di una descrizione dettagliata delle specifiche, detta syngraphe, da servire come base pel' il bando di appalto: possediamo quella della skeuotheke del Pireo, progettata da Filone di Eleusi alla metà del IV secolo a.C., in un'iscrizione da cui si può ricostruire agevolmente l' edificio.2' I fondi, stanziati dalla commissione, avevano soprattutto risalto nella scelta dei materiali, il cui effetto estetico dipendeva dal maggiore o minore impegno finanziario: il materiale di prestigio, come il marmo bianco o colorato, doveva essere trasportato da cave lontane, dunque era più costoso, mentre si poteva risparmiare con pietra locale o con elementi riutilizzati da edifici demoliti. 26 Presumibilmente l'architetto riceveva un compenso adeguato per il suo progetto, e inoltre era scelto come "supervisore" dell'esecuzione, con un salario giornaliero. 27 Egli poteva fungere da supervisore all'inizio della costruzione, o per pochi anni fino al completamento: nella costruzione del nuovo Didymaion, iniziata ai primi del III secolo a.C., che prosegue fino ad età romana, i resoconti epigrafici del II secolo a.C. ci fanno conoscere i nomi di altri architetti supervisori, quali Maiandros e Kratinos, dispiegati in vari settori dell'opera. 28 L'architetto "supervisore" doveva comunque fare il progettista, limitatamente ad alcune parti; nel caso di elementi costruttivi complessi, come il triglifo o il capitello, determinate parti dovevano farsi «secondo i modelli (paradeigmata) dati dall'architetto», 29 ovvero modelli in scala 1:1 di elementi architet21 Aristotele, Athenaion Politeia, 49, 3. Inoltre J.J. Coulton, Ancient Greek Architects... , cit., p. 20. 22 Plutarco, Moralia, 802 A. 23 M.-Ch. Hellmann, L'architecture grecque... , cit., p. 39. 2 • Ivi, p. 32. 25 TG, II, 2, 1668 = TG, 11/m, 3, 1868. Ulteriori precisazioni vengono dagli scavi di G. Steinhauer al Pireo: W. Hoepfner, E.L. Schwandner (a cura di), Haus und Stadi im klassischen Griechenland, Zweite, stark iiberarbeitete Auflage (Wohnen in der klassischen Polis 1), Deutscher Kunstverlag, Miinchen 1994, pp. 46-50. Si può ricostruire un triglifo di cm 50 circa, per una larghezza di m 17,5 = 35 tri-

glifi. 26

M.-Ch. Hellmann, L'architt·cture grecque ... , cit., p. 51. H. Lauter, L'architettura... , cit., p. 26. 28 M.-Ch. Hellmann, L'architecture grecque ... , cit., p. 50. 29 Ivi, p. 43. 27

4

Gli architetti ellenistici: lavoro e progetta1.ione

tonici. Quando la costruzione di un edificio si prolungava, tali paradeigmata erano progettati dai vari architetti supervisori, anche se il progetto d'assieme restava quello originario: l'aspetto degli elementi architettonici messi in opera in edifici costruiti durante un lungo periodo segue infatti lo stile del 1:empo.30 La commissione infine appaltava i lavori, basandosi sulle specifiche elaborate dall' architetto;H l'architetto supervisore doveva collaudare il lavoro finito. La commissione poteva anche gestire direttamente i lavori mediante l'architetto supervisore, assumendo gli operai a cottimo o a giomata,3 2 e acquistando direttamente i materiali. Nel Didymaion, tra il III e il II secolo a.C., furono usati operai di condizione servile appartenenti alla città o al tempio, in due gruppi: latomiai, che estraevano il materiale e collocano le fondazioni; e leukourgoi, che preparavano e trasportavano i blocchi e i rocchi di colonna, con dei soprastanti (hegemones). Un'organizzazione simile si suppone anche per l'esecuzione delle opere finanziate dai sovrani, basata su obblighi feudali per sudditi indigeni.n Terminata l'opera, la commissione presentava i rendiconti (alcuni ci sono pervenuti nella forma di lunghe iscrizioni); ovvero, se il pagamento era pattuito con singoli appaltatori, avveniva il collaudo e poi il pagamento finale. 34 Nel caso di interventi edilizi interamente finanziati da un privato, la città, accettando il dono, accettava anche l'aspetto e la destinazione dell'edificio, ma poteva esercitare una sua preferenza riguardo alla sua localizzazione, attribuendo al finanziatore un determinato terreno su cui costruire. Nel Leonidaion di Olimpia, della prima età ellenistica, l'iscrizione dedicatoria informa che il quadriportico fu «fatto e dedicato» da Leonida di Nasso:n non era l'architetto,36 ma il committente, poiché nelle epigrafi di dedica sia il "fare" sia il "dedicare" spettano ambedue al finanziatore. Il nome dell'architetto non compariva di norma nelle iscrizioni edilizie; in epigrafi onorarie è accompagnato dal verbo architektonein, dalla fine del m secolo a.C/ 7 Se Leonida era il committente, 30

J.J. Coulton, Ancient Greek Architects..., cit., pp. 27-28.

11

Ivi, Ivi, Ivi, Ivi,

p. 27. pp. 21-22. 11 p. 32. 14 p. 22. Inoltre M. Guarducci, L'epigrafia greca dalle origini al tardo impero, IPZS, Roma 1982, pp. 168-191. 1 ' E. Curtius, F. Adler (a cura di), O/ympia. Ergebnisse der vom Deutschen Reich veransta/teten Ausgrabung. Il, Berlin 1891, pp. 83-93; E. Curtius, F. Adler (a cura di), O(ympia. Ergebnisse der vom Deutschen Reich veransta/teten Ausgrabung. V, Berlin 1897, n. 651. 16 J.J. Coulton, Ancient Greek Architects..., cit., p. 18. 17 OG/S, 39. 12

5

I. Architetti

bisogna ipotizzare che sia stato lui a scegliere l'architetto; lo stile del portico di Olimpia mostra infatti caratteri locali, peloponnesiaci, ma anche greco-orientali, segno che l'architetto poteva aver seguito il finanziatore, proveniente da Nasso nelle Cicladi, pur accogliendo alcuni schemi trovati ad Olimpia. I sovrani, prima dell'ellenismo, appaiono come committenti solo in pochi casi, come quello del re lidio Creso per l'Artemision di Efeso nel VI secolo a.C. Formalmente, il re interviene nelle costruzioni come committente privato, dedicando le costruzioni alla divinità o al popolo, in quanto utilizza sostanze di sua proprietà. L'azione di architetti regi in edifici finanziati all'estero è illustrato dalla vicenda della stoà donata a Mileto da Antioco I, perché dall'affitto delle sue botteghe la città potesse ricavare il denaro necessario alla ricostruzione del Didymaion. L'architetto progettista (e supervisore?) sembra sia stato fornito dal re, perché si notano somiglianze con la grande stoà con botteghe di Dura Europos, dello stesso periodo; il sito sarà stato indicato dalla città, mentre le maestranze dovevano essere locali, come attesta lo stile dei dettagli decorativi, simile a quello di altre architetture della città. 38 Anche per le stoai di Atene costruite da Eumene II e Attalo II (Fig. 2) verso la metà del II secolo, il progetto fu probabilmente redatto da un architetto pergameno, anche se il sito sarà stato deciso dagli ateniesi. La stoà di Eumene presso il teatro di Dioniso sembra essere stata eseguita anche da maestranze non attiche: infatti, il materiale utilizzato non è marmo pentelico, ma un manno a grana grossa non attico, probabilmente microasiatico. 39 La genialità degli architetti regi, che godevano di una maggiore libertà dell'architetto dal committente,40 si manifesta in Dinocrate di Rodi e Sostrato di Cnido: il primo fu al servizio di Alessandro Magno e collaborò alla fondazione di Alessandria, entrando poi al servizio dei Tolemei, mentre il secondo, tecnico versatile di Tolemeo n, fu l'architetto della torre di Faro, una delle meraviglie dell'antichità: il costo sarebbe stato enorme, di 800 talenti, e la costruzione sarebbe durata dal 300 al 280 a.C. circa. Luciano ricorda il sotterfugio usato da Sostrato per far comparire il proprio nome sul Faro:41 la dedica regia, dipinta su un intonaco sottile, sarebbe presto scomparsa, facendo emergere al di sotto l' e18

J.J. Coulton, Ancient Greek Architects... , cit., p. 18.

19

M. Korres, Vor/ertigung und Ferntransport eines athenischen Gro.ubaus und wr Proportionierung von Siiulen in der hellenistischen Architektur, in W. Hoepfner (a cura di), Bauplanung und Bautheorie der Antike (Diskussionen 1.ur archiiologischen Bauforschung 4), DAI, Berlin 1984, pp. 201-207. 0 • H. Lauter, I.:architettura ... , cit., p. 23. 1 • Luciano, Quomodo historia conscribenda sii, 62. 6

Gli architetti elleni.rtici: lavoro e progettazione

Fig. 2 • La stoà

  • 2: 1). Si tratta di rapporti solo raramente attestati nella realtà architettonica antica: sembrano piuttosto dei limiti all'interno dei quali erano possibili molte scelte intermedie, rispettando sempre il principio del rapporto proporzionale chiaro tra numeri interi. Inoltre, con la diathesis, si poteva avere anche la modifica parziale dei rapporti proporzionali stabiliti, per ottenere effetti visivi e proporzionali più gradevoli. Dunque, nello studiare l'architettura ellenistica, occorre sostituire la ricerca dei rapporti vitruviani con la ricostruzione dei passi di realizzazione del progetto. 101

    I..:Artemision a Magnesia sul Meandro era un tempio di 8 x 15 colonne, pseudodiptero (Fig. 7), con un ripiano ampio circa m 2 che circondava il gradino dello stilobate, sopra una crepidine di sette gradini. La distanza tra i plinti delle basi era circa equivalente alla larghezza dei plinwi

    M. Wilson Jones, Principles o/ Roman ... , cit., p. 40.

    22

    Gli architetti ellenistici: lavoro e progettazione

    oooaooooooooooo o o o, o o l b ·O o o I o I ? o 'lo ~ o J o o o o 0 1,

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    ,o o o o a o o o o o o o o o o

    Fig. 7 Il tempio di Artemide a Magnesia sul Meandro. Ridaborazione P. Barresi, M. Giacalone.

    ti stessi, formando così un reticolo modulare: una caratteristica che da Vitruvio è collegata con il sistilo e che si ritrova anche in Piteo. 102 Nella taxis, il punto di partenza per il progetto dell'Artemision di Magnesia appare il gradino più basso della crepidine, di ben sette gradini, con 30 x 48 MD (rettangolo 5:3). Per il rapporto Mb:MD, si sarebbe potuto scegliere il rapporto di 24: 16 che avrebbe condotto al sistilo (2:1 tra intercolumnio e fusto); invece fu scelto un rapporto Mb:MD di 24:17, che portava a un rapporto tra intercolumnio e fusto di 31: 17; ovvero si volle un sistilo con colonne più spesse. La ragione di questa scelta potrebbe essere stata una necessità ottica, verificata dopo i disegni preparatori, di avere fusti leggermente più corposi per evitare un'eccessiva impressione di gracilità, e per dare all'ampio colonnato una maggiore oscurità, nel contrasto con la luce (Figg. 7-8). Risultano così 21 1/4 Mb sulla fronte e 34 Mb sui lati per la crepidine. Alla fascia tra crepidine e stilobate furono lasciati 18 1/2 Mb sulla fronte e 31 1/2 Mb ai lati. Lo stilobate ebbe 16 1/3 Mb sui lati brevi e ---·----- ----

    ---------

    --

    ---

    ----·-- · · - - - - - - - - - -

    P. Pensabene, P. Barresi, La figura di Piteo architetto tra Vitruvio, Priene e Labraunda, in G. Ciotta (a cura di), Vitruvio nella cultura architettonica, De Ferrari, Genova 2004, pp. 188-211. I02

    23

    1. Architetti

    29 1/2 Mb sui lati lunghi: sulle fronti il numero di colonne (8) avrebbe dovuto dare 15 Mb, ma per l'interasse centrale più espanso si sono previsti 2/3 di Mb in più. Il piede utilizzato sembra quello dorico da m 0,328; si attribuiscono così le dimensioni al MD, derivanti anzitutto dalla dimensione del lato breve della crepidine inferiore, divisa in 30 MD, secondo il rapporto scelto con il Mb: MD= m 41,5 = p. 127 1/2: 30 = p. 4 1/4 = 17 palmi. Mb = 24/17 Mb = p. 6 = 24 palmi.

    Il colonnato presenta interassi ampi m 3,94 (p. 12), con Mb= m 1,97 (p. 6); il MD è di m 1,40 (p. 4 1/4): il rapporto con l'intercolumnio (m 2,54) è di 31: 17, dunque non pare identificarsi con una precisa species vitruviana, ma si pone nell'ambito di una gamma compresa tra il picnostilo (3:2) e il sistilo (2:1). La fronte colonnata (comprese le basi) era di p. 94 1/8 = m 30,8 = 8 (fusti) + 6 x 31/17 (intercolumni) + 46,5/17 (intercolumnio centrale, pari a una volta e mezza quello normale) + 8/17 (basi estreme) = 22 1/8 MD = 15 2/3 Mb, e una lunghezza dello stilobate (comprese le basi) di p. 174 1/4 = MD 41 (25 9/17 per gli intercolumni+ 15 + 8/17 per le basi) = 29 Mb. Il rapporto tra il lato della base attica e il diametro del fusto, secondo Vitruvio, 10} doveva essere di 1 1/2:1 (b:D = 3:2 = 12:8), e nel sistilo produce un'equivalenza tra plinti e spazi interplinti: qui invece è 1 3/8:1 (b:D = 11:8), come nelle basi ioniche (è infatti il rapporto che si ritrova nel tempio di Athena a Priene). Le basi attiche meno sporgenti avevano la funzione di portare comunque un'equivalenza tra plinti e interplinti, che consentiva di raggiungere un effetto ottico di sistilo, anche in presenza di fusti più spessi e non esattamente sistili (Tab. 3 ). Ermogene avrebbe dunque progettato in fase di taxis un rettangolo derivato dal sistilo, ma con intercolumni più fitti, probabilmente per ragioni estetiche. Tale rapporto più fitto tra diametro e fusti è affine a quello dell'Athenaion di Priene costruito da Piteo (7:4): non sappiamo se per una voluta "citazione" o per motivi di gusto. IO-I Altri templi sono stati attribuiti ad Ermogene; vi accenniamo qui solo per sommi capi. Un piccolo tempio prostilo tetrastilo, distilo in antis nell'opistodomo, con basi ioniche, si trova nell'agorà di Magnesia, dedicato a Zeus; vi si è notata una proporzione eustila di 9:4 tra il diamew, Vitruvio, De architectura, lii 5, 2.

    Sui principali templi di Ermogene W. Hoepfner, Bauten und Bedeutung des Hermogenes, in W. Hoepfner, E.L. Schwandner (a cura di), Hermogenes..., cit., pp. 1-34. 104

    24

    Gli architetti ellenistici: lavoro e progettazione

    Tab. 3. Dimensioni del tempio di Artemis Leukophryene a Magnesia DIMENSIONI Assi delle colonne Stilobate Fascia ( :rcpidine inf.

    Ml'TIU

    5',16 X 28,89 58 X 32 62

    X

    67

    36,4

    X

    41

    PIEDI (M 0.)28) 168

    X 88

    204

    X

    MB(6P.)

    39 1/2 X 20 3/4

    28

    4D/8 x 23

    29 1/2

    X

    16 1/3

    lii

    44 1/2

    311/2

    X

    181/2

    127 1/2

    48

    176 7/8 X 98 189

    MD (4 1/4 P.)

    X

    X

    X 26

    30

    X

    14 2/3

    34 x21 l/4

    Interasse centrale

    5,25

    16

    33/4

    2 2/3

    Interassi normali

    3,%

    12

    17/6

    Intercolumni normali

    2,54

    7 19/24

    11/6

    2 I 1/4

    Intercolumnio centrale

    3,85

    li 11/16

    Diametro colonna

    1,40

    4114

    2 3/4 I

    Blocco stilobate

    1,97

    6

    24/17

    llase {lato plinto)

    1,92

    5 7/8

    11/8

    Altezza colonna

    12,40

    38 1/4

    9

    I 11/12 17/24

    6 3/8

    tro inferiore del fusto (m 0,66) e l'intercolumnio (m 1,46), con interasse di m 2,13. Il tempio di Dioniso a Teos è espressamente attribuito a Ermogene dalle fonti, ed è stato messo in rapporto con l'ipotesi di un'attività dell'architetto ionico alle dipendenze dei re di Pergamo: infatti Dioniso Kathegemon era patrono degli Attalidi ed era in stretto rapporto con Teos, sede della potente corporazione dei Dionysiai Technitai, che dopo il 188 a.C. fu protetta dai re pergameni. 1°' Tuttavia, la ricostruzione di età romana rende difficile la ricostruzione del progetto di età ellenistica, anche se si è potuto riconoscere in questo tempio un sistema modulare che, secondo Vitruvio, seguiva il sistema eustilo (1:2 1/4 tra diametro e intercolumnio). W. Hoepfner assegna alcuni templi ionici in marmo all'attività di Ermogene a Pergamo, forse chiamato da Eumene u dopo la pace di Apamea del 188 a.C. Il cd. Tempio ionico R, presso il ginnasio, era prostilo tetrastilo, una nuova tipologia; 106 poiché a Pergamo il marmo doveva essere portato da lontano, con costi elevati, il Tempio R fu costruito rilavorando elementi in marmo di un grande tempio dorico demolito. W Doerpfeld, lo scopritore, suppose che si potesse identificare con il tempio a Dioniso costruito in stile ionico da Ermogene, 107 modificando alcuni elementi già predisposti per la costruzione di un tempio dorico («com1111 RA. Tomlinson, The dorz"c order: Hellenistic critics and criticism, "JHS" 83, 1963, pp. 133-145, in particolare p. 142; W. Hoepfner, /;architettura di Pergamo, cit., p. 68; W. Radt, Pergamon. Geschichte und Bauten einer antiken Metropole, Primus Verlag, Darmstadt 1999, p. 188. ""' W. Hoepfner, /;architettura di Pergamo, cit., p. 64. 107 Vitruvio, De architectura, IV 3, 1-2.

    25

    1. Architetti

    Fig. 8 - Facciata del tempio di Anemis Leukophryene a Magnesia sul Meandro. Rielaborazione P. Barresi, M. Giocalone.

    mutavit ex eadem copia»). 108 La vicinanza con una sede di collegio per il culto dionisiaco conforta l'attribuzione del tempio a Dioniso, mentre altre attribuzioni proposte non paiono sufficientemente motivate. 109 Secondo E.L. Schwandner, i frammenti del tempio dorico sarebbero stati troppo grandi per essere stati in origine destinati al Tempio R. Riteniamo invece, con W. Hoepfner, che si possa accettare l'identificazione di Doerpfeld, se nell'euthynteria del tempio R, larga m 11,20, vi era spazio per un solo gradino, profondo cm 45, sotto lo stilobate di cm 30: e tale crepidine ridotta era consueta a Pergamo. Lo stilobate, largo m 9,70, coincide con le dimensioni della trabeazione dorica ricostruita (m 9,60), più cm 10 per lo spazio dello stilobate. 110 Le 4 colonne sulla fronte, le 2 colonne dietro quelle angolari, le ante ------·------ -- -----------·---

    --------------------------------

    ---

    W Dorpfeld, Pergamon, "AM" 33, 1908, p. 355; W. Hoepfner, /;architettura di Pergamo, cit., p. 62. 109 W. Hoepfner, /;architettura di Pergamo, cit., p. 63; W. Radt, Pergamon. Geschichte ... , cit., pp. 130-131. 110 E.L. Schwandner, Beobachtungen zur hellenistischen Tempelarchitektur von Pergamon, in W Hoepfner, E.L. Schwandner (a cura di), Hermogenes... , cit., pp. 85102, in panicolare p. 90; W Hoepfner, /;architettura di Pergamo, cit., p. 63, e fig. 23. IOII

    26

    Gli architetti ellenistici: lavoro e progettazione

    brevi, creano nel pronao un forte senso di ariosità, come nei colonnati dello pseudodiptero di Magnesia (qui non realizzabile per mancanza di spazio): dunque, una caratteristica dello stile di Ermogene. L'uso delle basi ioniche invece delle attiche non basta a smentire l'attribuzione all'architetto di Priene, in quanto si trovano in un altro edificio ermogeniano, il tempio di Zeus a Magnesia. Un altro tempio di Dioniso, il maggiore tempio marmoreo a Pergamo, prostilo tetrastilo e con ampio pronao, sulla terrazza del teatro, nella sua prima fase è stato attribuito a Ermogene da W. Hoepfner. 111 Il podio e la gradinata di accesso sono motivati dalla particolare situazione altimetrica, e ne sottolineano l'effetto monumentale. Molti particolari rimasero incompiuti, come il fregio, soltanto sbozzato: forse a causa dei lavori per il Grande altare, che assorbirono tutte le forze disponibili. 112 Il giudizio sulle architetture di Ermogene a noi note va quindi nel senso di una accentuata ricerca verso il contrasto tra luce e oml;,ra, evidente anche nel giudizio vitruviano sul tempio di Artemide a Magnesia, probabilmente ripreso da scritti originali: 113 «Pteromatos enim ratio et columnarum circum aedem dispositio ideo est inventa ut aspectus propter asperitatem intercolumniorum habeat auctoritatem». Ossia, lo scopo della particolare sistemazione delle colonne in quel tempio, era di aumentarne il prestigio, mediante la "ruvidità" (asperitas) degli intercolumni: l'effetto di contrasto tra l'interno, molto scuro, e l'effetto di luce delle colonne stesse illuminate dal sole. 114 Dunque, la ricerca di particolari effetti di luce potrebbe aver motivato in parte le soluzioni proporzionali date ai colonnati. Nei templi pergameni, non peripteri ma prostili, si è invece preferito il più semplice sistilo:rn dove sarebbe stato l'eustilo ad essere preferito ad ogni altro sistema dall'architetto ionico. 116 Ermogene sceglieva però
  • foµa1:a Èv •TI 1tapao1:t:'ta\ ---):38 l'iscrizione così ricorderebbe anche l'esistenza di strutture non dd tutto crollate, ma staticamente danneggiate dal terremoto. Dopo alcune prescrizioni topografiche e il riferimento alla gestione finanziaria dd santuario, 39 il testo prosegue nel frammento B con l' denco delle doMe che «haMo contribuito

    'r

    Monnazzi, Iscrizioni di Cos: i culti dei sovrani ellenistici ed i regolamenti

    fe1. a vendita dei sacerdozi, Tesi di Specializ:r.azione, Scuola Archeologica ta,:ana di Atene, Atene 1998, p. 110.

    M- Pe_r considerazioni topografiche relative al testo dell'iscrizione vedi C.G. K ala_crmo, Il santuario di Eracle Kallinikos epi /imeni e lo sviluppo del porto di Os tn età ellenistica, "NumAntCr 35, 2006, pp. 1-39, in particolare pp. 18-19.

    257

    3. Topografia e urbanistica

    al completamento del peribolo e delle costruzioni aggiunte al santuario di Afrodite» (ai c'>e enavyeiÀavw eiç "tàv ouv"ttYÀemv wu 1tep1~6Àou Kaì. .wv nonKa/mmceua(oµivwv .o.i · Aq>poo(m1). Non è da escludere, come è stato proposto,4° il collegamento con un'altra sottoscrizione pubblica di personaggi femminili proveniente sempre da Kos, ma purtroppo rinvenuta fuori contesto. 41 La stele, sempre in marmo bianco, registra le contribuzioni versate al santuario di Demetra (eç "tò iepòv "tiu; a1C6/.wv "tE "twv "teixewv c'>1à "tÒV yey6µevov cmoµòv), 44 è possibile che anche la città di Kos fu costretta a intervenire sulle proprie fortificazioni, danneggiate dal sisma. Non è da escludere, infatti, che le trasformazioni attuate alla cinta difensiva (ad esempio presso la cd. Porta orientale4 ~) (Fig. 3, 3 ), datate tra la fine del III secolo a.C. e gli inizi del successivo, siano anch'esse da collegare a eventuali danni prodotti dal sisma, con modifiche atte a rinforzare allo stesso tempo le difese della polis dopo gli anni della guerra cretese (205-202 a.C.) e poi di quella contro Filippo V di Macedonia (201-196 a.C.). 46 Fuori dalla città, è probabile che il sisma danneggiò alcune parti del grande Asklepieion. L'evidenza in proposito è però carente a causa del40

    P. Monnazzi, Iscrizioni di Cos... , cit., pp. 79, 118.

    41

    M. Segre, Iscrizioni di Cos, cit., p. 22, ED 14. R Herzog, Bericht uber eine epigraphisch-archiiologische Expedition auf der Insel Kos im Sommer 1900, "AA ", 1901, pp. 131-140. Ulteriori scavi sono stati eseguiti da L. Laurenzi negli anni 1928-}0 e più di recente dall'Eforia dd Dodecaneso. Cfr. L. Laurenzi, Nuovi contribuii'. .. , cit., p. 610; I. Papachristodoulou, "ArchDelt" }4, 1979, B', pp. 450-459. 41 Ch. Kantzia, s.v. Coo, cit., p. 264. -1-1 M. Segre, G. Pugliese Carratelli, Tituli Camirenses, cit., num. 110, Il. 9-10. 4 ' L. Morricone, Scavi e ricerche... , cit., pp. 60-61; G. Rocco, Le mura di cinta, in M. Livadiotti, G. Rocco (a cura di), La presenza italiana ... , cit., pp. 96-102, in particolare p. 96-98. 46 L. Morricone, Scavi e ricerche ... , cit., p. 61. 42

    258

    Archeologia e terremoti a Kos

    te monumentali trasformazioni che interessarono il complesso proprio a partire dal II secolo a.C. 47 Significativo però è il caso del piccolo f,/cusinion di Kyparissi, alle pendici del Dicheo. 48 Il complesso, sorto nel IV secolo a.C., crollò secondo gli scavatori a seguito di un terremoro; il terminus che l'evidenza archeologica fissa al n secolo a.C. potrebbe spingere a identificare nel sisma dell'inizio del secolo la causa della fine del santuario.

    3. Da Augusto al IV secolo d.C.

    All'inizio dell'età augustea Kos fu sconvolta da un nuovo terremoto. 49 Il sisma, databile al 27-26 a.C.? 0 potrebbe aver avuto un ampio raggio di diffusione, visto che le fonti testimoniano di eventi tellurici negli stessi anni anche a Laodicea di Frigia,' 1 a Tralle' 2 e nell'isola di Chios.'3 Una nota iscrizione trovata a Olimpia'4 alle linee 7-11 registra: Tfic; 6è "tWV Ot:\oµwv ltt:plo,lio[t:wc; ---]µou µc.à TI)V 10:ua0iouoav [---w]c; È1tì ow"tfipa mì 8t:òv ltClÀwycvooia.v ,oic;