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Italian Pages [274] Year 1978
ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA»
«STUDI» LI
CLAUDIO MORESCHINI
APULEIO E IL PLATONISMO
FIRENZE
LEO
S.
OLSCHKI
EDITORE
MCMLXXVIII
ACCADEMIA TO S CANA DI S CI EN Z E E LETTERE «LA COLOMBARIA»
«STUDI» LI
CLAUDIO MORESCHINI
APULEIO E IL PLATONISMO
FIRENZE LEO
S.
OLSCHKI
EDITORE
MCMLXXVIII
INTRODUZIONE
Il presente volume in parte rielabora molto liberamente ed amplia, con gli opportuni aggiornamenti e le necessarie retti fiche, studi precedentemente pubblicati, in parte è costituito da ricerche nuove. Grazie a questa radicale rielaborazione, solo con molta difficoltà il lettore potrà osservare che il cap. II apparve su « Maia »,XVII,1965, pp. 30-46 e che il Cap. III fu pubblicato nel III volume degli « Studi Classici in onore di Quintino Cataudella », Catania, Università, Facoltà di Lettere e Filosofia 1972, pp. 517524; che il cap. IV fu pubblicato a Pisa (Editore Nistri-Lischi) nel 1966, col titolo Studi sul De dogma/e Platonis di Apuleio, nella collana « Studi di Lettere, Storia e Filosofia pubblicati dalla Scuola Normale Superiore di Pisa », vol. XXIX. Altrettanto dicasi del cap. V, che era stato pubblicato negli « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa », XXXIII, 1964, pp. 17-56; le ultime pagine del capitolo (pp. 178-185 ) corrispondono a un la voro pubblicato sugli « Studi Classici e Orientali » a cura degli Istituti per le Scienze dell'Antichità di Pisa, 1972, pp. 254-260. Del cap. VI, il n. 2 fu pubblicato su ' Maia ',XVIII,1966, pp. 162166; del cap. VII il n. 1 su Romanitas et Christianitas, Studia lano Henrico Waszink . . . oblata, North-Holland Publishing Company, Amsterdam-London 1973, pp. 243-248; il n. 2 ancora su « Maia », XX, 1968, pp. 19-20; il n. 4 sugli « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa », serie III, Il, 1972, pp. 583-596. Fatta questa doverosa precisazione, mi è gradito ringraziare la Direzione delle Riviste e delle Case Editrici, che hanno permesso l'utilizzazione dei lavori già pubblicati. Vengono presentati per la prima volta, invece, il cap. I, il cap. VI, n. 1; il cap. VII, n. 3 e n. 5; il cap. VIII. Il motivo per cui, alcuni anni or sono, abbiamo creduto opportuno raccogliere i nostri precedenti studi e presentarli, riveduti e integrati da nuove ricerche, agli studiosi, è presto detto : non ci sembrava che, fino ad allora, si fosse venuto incontro al-v-
l'esigenza, secondo noi validissima, di considerare un'unica per sona l'Apuleius philosophus Platonicus e il narratore delle Meta morfosi, per quanto discutibili potessero essere valutati, sul piano :filosofico, i risultati raggiunti dallo scrittore. Il presente volume vuole, dunque, colmare siffatta lacuna degli studi apuleiani. Senza l'interessamento del Prof. Francesco Adorno, al quale mi lega una amicizia ventennale, e del Prof. Eugenio Garin - che cosa significhino questi due nomi lo sanno coloro che, nelle proprie ricerche, hanno potuto essere a contatto con quegli stu diosi - questo volume non avrebbe mai potuto essere pubblicato : ad essi va il mio più sincero ringraziamento. E ricordo con viva gratitudine anche l'Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria, per avere accettato la presente ricerca, e l'Editore Olschki, che, in tempi cosi difficili per ricerche di questo tipo, non ha lesinato tutti gli accorgimenti necessari per la miglior riuscita del volume. CLAUDIO MoRESCHINI
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DA ANTIOCO DI ASCALONA AD APULEIO
La storia del cosiddetto ' medioplatonismo ', che costituisce capitolo della più ampia storia del platonismo antico, fu tracciata in alcune delle sue linee essenziali da W. Theiler già nel 1934.1 Tra l'altro, il Theiler mostrò in modo assai convin cente che la dottrina platonica si sviluppava da Antioco di Asca lona (l'istitutore del ritorno dogmatico dell'Accademia ai suoi modelli 'antichi ') ad Eudoro di Alessandria, ad Ario Didimo,2 dei quali la successione cronologica era, del resto, già nota. Con Ario Didimo siamo già alle soglie del primo secolo dell'era volgare ; successivamente, del platonismo in ambiente greco nel corso del primo sec. d. C. abbiamo testimonianze più ampie e più consistenti : alludiamo a Filone di Alessandria e a Plutarco, per non parlare di altri. E se Seneca stesso, concludendo le sue Natura/es Quaestiones (VII, 32, 2), dichiara, come è noto : « Aca demici et veteres et minores nullum antistitem reliquerunt », egli si riferisce (sebbene con una certa esagerazione, ché la scuola accademica doveva pur sempre avere i suoi scolarchi) solo esclu sivamente agli accademici della scuola platonica greca, la quale non aveva più prodotto, ai tempi di Seneca, uno scolarca di ri lievo,3 non al platonismo come più vasta corrente di pensiero. Invece, del platonismo latino dal I secolo a. C. al II secolo d. C., un
1 Cfr. W . THElLER, Die Vorbereitung der Neuplatonirmur, 2 a ed., Berlin-Zurich Weidmannsche Verlagsbuchhandlung 1964. 1 Cfr. op. cit., pp. 39-40. Sul platonismo di Eudoro e di Filone è tornato recen temente lo stesso THEILER (Philo von Alexandria und der Beginn der kairerzeitlichen Platonirmur, in Untermchungen zur antiken Literatur, Berlin, de Gruyter 1970, pp. 484501). 1 Cosl, giustamente, osservava già E. ZELLER, Die Philorophie der Griecben ecc., sa ed., Leipzig, Reisland 1823 (Nachdruck Hildesheim, Olms 1963), III, 1, pp. 831832.
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da Cicerone ad Apuleio, abbiamo scars1ss1me tracce. Sole ecce� zioni sono le epistole 58 e 65 di Seneca 4 e un breve passo di Tacito (Annali VI, 22), testimonianze già illustrate dal Theiler stesso a più riprese.5 Ma si tratta di eccezioni che, come si suoi dire, confermano la regola, in quanto Seneca e Tacito ci danno, pur nella brevità delle loro testimonianze, l'immagine di un si stema platonico già ben definito. Basti considerare che il sistema medioplatonico si presenta, nei due scrittori latini, con ben defi nite caratterizzazioni aristoteliche, le quali, come a suo tempo osservò il Theiler,6 appariranno poi nel più tardo ' gruppo di Gaio ' (II secolo). Siamo rimandati, quindi, ancora a sistemi platonici greci, presi cosi come stavano, a mo' di dossografia, dai due scrittori latini. È nostro intento, quindi, vedere se, al di fuori di queste due testimonianze di carattere dossografico, la cultura latina ha mostrato, prima di Apuleio, un progressivo accostarsi al medioplatonismo. In effetti, nell'ambiente latino, il diffondersi e l'affermarsi di dott�ine platoniche è stato, per 150 anni , molto più lento e fati coso che non nel mondo greco. Lo stesso ricambio di idee filo sofiche avvenne forse più lentamente a Roma che non in Grecia. Innanzitutto si deve tener presente che Cicerone, il quale è pure un importante testimone delle dottrine antiochee (una delle più significative è l'interpretazione della forma come exemplar, atte stata nell' Orator (2, 8-9),7 comincia ad occuparsi di filosofia ex professo circa vent'anni dopo la morte di Antioco. Tra il 68 e il 51, presunta data di pubblicazione del De Legibus, in cui si 4 Il lavoro di E. B I C KEL , Senecas Briefe 58. und 65. Das Antiochm-Posidonius Prob/em, « Rheinisches Museum », CIII, 1960, pp. 1-20, fortemente polemico nei confronti del Theiler (del quale, comunque, corregge in modo assai acuto alcune affermazioni, sebbene segni un ritorno alla moda posidoniana, mescolando nel suo discorso anche fantasticherie inaccettabili), non mi sembra che abbia avuto seguito. Dipende, invece, dal Theiler, per la parte relativa ai nostri problemi, G. SCARPAT, nell'esame de La lettera 65 di Seneca, Brescia, Paideia 1965, p. 91 sgg. 5 Cfr. W. T HEILER , Tacitm und die antike Schicksa/s/ehre, in Phy//obo/ia fiir Peter von der Miih/1, Base!, Schwabe 1946, pp. 36-90, ora in Forschungen �um Neu platonismus, Berlin, de Gruyter 1966, pp. 46-103. e Cfr. Tacitus cit., p. 11 sgg. Caratteristiche non aristoteliche, ma senocratee trova, invece, nel platonismo del 1-11 secolo H. J. KRAMER, Der Ursprung der Gei stmetaphysik, za ed., Amsterdam, Griiner 1967, un saggio su cui avremo occasione di tornare ancora. 7 Cfr. THEILER, Die Vorbereitung cit., pp. 17 e 40. -
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trovano dottrine del filosofo di Ascalona,8 non vi sono tracce di platonismo latino. E Cicerone stesso, il quale pure diffonde dottrine, come quelle del Somnium Scipionis, che preannunciano il medio- e neoplatonismo, prova molto più simpatia, molto più ammirazione per Platone o addirittura per gli stoici, che non per dei filosofi come Antioco, sul quale si esprime con una certa acredine nel Lucullus e a cui non risparmia le critiche nel quinto libro del De ftnibus. Invece il grande erudito dell'età ciceroniana, Varrone, sa rebbe stato molto più aperto alle idee di Antioco. Cicerone stesso, negli Academica, ce lo presenta sotto questo aspetto; la posizione filoantiochea che Cicerone assegna all'amico Varrone corrisponderebbe alle effettive convinzioni di questi, osserva anche il Della Corte,9 e il giudizio di Cicerone è ribadito da Agostino (De civitate Dei XIX, 3), il quale attingeva diretta mente al De philosophia varroniano.to Certo, gli scritti di Var rone mostrano un carattere erudito più che filosofico in senso stretto. Che cosa si può ricavare da essi che non sia esclusi vamente materiale antiquario, ma un vero pensiero meditato? Su un piano più generale, concordano con la figura di Varrone discepolo e seguace di Antioco certe dottrine del reatino di schietta derivazione stoica. Come il suo maestro, quindi, che era considerato da Cicerone un germanissimus Stoicus, anche Varrone riprende dallo stoicismo importantissimi sistemi filosofici, che sono forse quelli che più lo hanno reso famoso presso i posteri: le sue dottrine linguistiche e la teologia tripertita.11 8
Cfr. THEILER, Die Vorbertilung cit., p. 44 sgg. ' Cfr. F. DELLA CoRTE, Varrone, il terzo gran lume romano, 2" ed., Firenze, La Nuova Italia 1 970, p. 174. 1o La posizione antiochea di Varrone è stata delineata con la massima chia rezza da P. BoYANCÉ, Sur la Théologie de Va"on, « Revue cles Etudes Anciennes », LVII, 1955, pp. 57-84, ora in Études sur la Religion romaine, Roma, Beole Française de Rome 1972, pp. 253-282. Lo studio del Bovancé è senza dubbio il più acuto e il più esauriente sull'argomento : egli per primo (dopo alcune intuizioni del Theiler) ha abbandonato l'interpretazione, sostenuta da Schmekel, Agahd e altri, dell'origine posidoniana delle dottrine varroniane e ha considerato il Reatino nella prospettiva storica che va da Antioco al medioplatonismo. Sulla stessa falsariga cfr. anche J. PE:•xN, Mythe et allégorie. Les origines gretquu el /es tonlestations _1udéo-thrétiennes, Paris, Aubier 1958, pp. 31 5-320. n Su di essa, cfr. recentemente l'ampio studio riassuntivo di G. LIEBERG, Die ' Thtologia tripertita ' in Forsthung und Bezeugung, in Aufstieg und Niedergang der romisthen Welt ... herausgegeben von H. Temporini, Berlin-New York, de Gruyter, l, 4, 1 973, pp. 63-1 15. -
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La concezione dell'anima umana come pneuma, quale è attri buita a Varrone da Lattanzio (De opificio Dei 17, 5 : «anima est aer conceptus ore, defervefactus in pulmone, temperatus in corde, diffusus in corpus»), può essere derivata da Antioco; 12 è, comunque, di origine stoica.1a Sempre nell'ambito della psico logia stoica si può ricondurre un passo citato da Servio (Aen. VI, 733 = Antiq. Rer. Div. I fr. 27 Agahd):
Vatto et omnes philosophi dicunt quattuor esse passiones, duas a bonis opinatis et duas a malis opinatis rebus: nam dolere et timere opi niones malae sunt, una praesentis, alia futuri, item gaudere et cupere opiniones bonae, una praesentis, altera futuri.
Secondo l'Agahd 14 queste parole assomigliano straordinaria mente all'affermazione di Cicerone (Tuscul. IV, 6, 1 1) al riguardo, tanto che Servio dovrebbe aver confuso Cicerone con Varrone. Ma, secondo me, non vi è motivo di credere a questa confu sione (sarebbe stato più facile l'inverso, che dottrine varroniane fossero state attribuite a Cicerone, le cui Tusculanae erano certo più note dell'opera, qualunque essa fosse, del reatino). Non è illogico pensare che anche Varrone, al quale, del resto, piacevano le classificazioni di tipo stoico, abbia conosciuto questa dottrina al pari di Cicerone. È noto poi che l'ampio riassunto del De philosophia varro niano, che Agostino compie all'inizio del XIX libro del· De civitate Dei, ci offre, di Varrone stesso, l'immagine di un fedele seguace di Antioco.15 In XIX, 1 Agostino riferisce che Varrone avrebbe seguito, nell'etica, la filosofia degli antichi accademici (sono, senza dubbio, i veteres di cui parlava Antioco); in XIX, 3 si svolge un ragionamento di carattere tipicamente peripate tico-antiocheo al fine di fare entrare anche i beni esterni nel summum bonum (cfr. anche XIX, 4). Vi si legge, inoltre, la distin1a Cfr. F. UEBERWEG-K. PRAECHTER, Grundriss der Gescbichte der Philosophis. Ersler Teil: Die Philosopbie des Altertums, 12a ed., Basel, Schwabe 1961, p. 470. 13 Cfr. E. ZELLER, Die Pbilosophie der Griechen cit., p. 697. 1 4 Cfr. M. TERENTI VARRONIS, Antiquitatum Rerum Divinarum Libri I. XIV. XV. XVI. . . . auctore R. Agahd, « Neue Jahrbilcher . . . », Suppl. Band XXIV, 1898, p. 112. 16 Cfr. F. UEBERWEG-K. PRAECHTER, op. cit., p. 470. Sul De philosophia cfr. anche le osservazioni di A. DIHLE, Zrni Vermulungen zu Va"o, « Rhein. Mus . », CVIII, 1965, pp. 170-183, in particolare pp. 176-179.
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zione, tipica di Antioco, tra vita beata, vita beatior e vita beatissima, e si accenna alla dottrina peripatetico-stoica della oikeiosis. Questo complesso di dottrine etiche si riallaccia, dunque, da un lato, ad Antioco, ma dall'altro prelude al medioplatonismo della scuola di Gaio, nella quale tutte si trovano rappresentate. La demonologia varroniana, stando ad un frammento citato da Agostino (De civitate Dei VII, 6 = framm. XVI, 3 Agahd): « inter lunae vero gyrum et nimborum ac ventorum cacumina aerias esse animas, sed eas animo, non oculis videri, et vocant heroas et lares » - cioè demoni 16 - « et genios » 17 precorre quella medioplatonica.1s Nello stesso passo di Agostino 19 Varrone in seriva la sua demonologia nella usuale gerarchia platonico-seno cratea: dèi - demoni - eroi; tale gerarchia è quella che sarà poi ripresa da Apuleio. Collegata con la demonologia è la concezione varroniana che vede la presenza di una forza divina in ciascuno degli elementi del mondo: tale forza presiede alla divinazione, che si attua in varie forme: Agostino, Enarrationes in Psalmos CXIII, 4 ( = framm, XVI, 6, p. 202 Agahd).20 Questa dottrina, cosi come è formulata, non si trova in Apuleio; precorre, però; 18
Così intende il BoYANCÉ, op. cit., p. 268 nota 1. ar. anche ARNOBIO, Adversus Nationes III, 41: « Varro . . . nunc esse illos (sci. Lares) Manes ... nunc aerios rursus deos et heroas pronuntiat appellari, nunc antiquorum sententias sequens Larvas esse dicit Lares, quasi quosdam Genios et functorum animas mortuorum ». 1 8 Cfr. L. ALFONSI, Le « Menippee » di Va"one, in Aufstieg und Niedergang cit. I, 3, 1973, pp. 26-59, soprattutto pp. 44-45. Non seguo, però, l'Alfonsi, quando fa risalire (seguendo lo studio di R. HEINZE, Xenocrates ... , Leipzig, Teubner 1892, pp. 97-98, e A. SCHMEKEL, Die Philosophie der mittleren Stoa, Berlin, Weidmann 1892, pp. 144-146) la demonologia varroniana a Posidonio. ar. comunque i rimandi indicati dall'Alfonsi : Filone, de gigant. 2, 7-8; de plant. 3, 12; de somn. I, 22, 135; d4 aetern. mundi 14-15 (su Filone si legga anche quanto osserviamo più oltre, p. 26); SESTO EMPIRICO, Adv. Phys. I, 86; Adv. Math. IX, 73. 19 « Ab summo autem circuitu caeli ad circulum lunae aetherias animas esse astra ac stellas, eos caelestes deos non modo intellegi esse, sed etiam videri ; inter lunae vero gyrum ... ». so « Videntur autem sibi purgatioris esse religionis qui dicunt ' nec simulacrum nec daemonium colo, sed per effigiem corporalem eius rei signum intueor, quam colere debeo '. Ita vero interpretantur simulacra, ut alio dicant significari terram, unde templum solent appellare Telluris, alio mare sicut Neptuni simulacro, alio aerem sicut Iunonis, alio ignem sicut Vulcani, alio Luciferum sicut Veneris, alio solem, alio lunam, quorum simulacris eadem nomina sicut Telluris imponunt ; de quibus rursus cum exagitari coeperint quod corpora colant, maximeque terram et mare et aerem et ignem, respondere audent se non ipsa corpora colere, sed quae illis regendis praesint numina ». 17
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quella che si legge in Albino (Didaskalikòs, cap. 15) e in Aezio (I, 7, 30 = Dox., p. 304 Diels). 21 Questa concezione, secondo la quale esiste una forma di divinazione in corrispondenza con ciascuno degli elementi della materia, deriva dall'altra, di origine platonico-stoica, dell'anima cosmica, che ha un ruolo fonda mentale in tutta la cosmologia medioplatonica, da Plutarco ad Albino e ad Apuleio (la scuola di Gaio, che è quella più legata alla tradizione). Si leggano le seguenti testimonianze : Tertulliano, Ad Nationes
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framm.
I,
12b Agahd:
unde et Varro ignem mundi animam facit, ut perinde in mundo ignis omnia gubernet, sicut animus in nobis (cfr. anche II, 3 framm. 16 framm. 19 Agahd); Agostino, De civitate Dei VIII, 1 : (Varro) e II, 5 ... totam theologiam naturalem usque ad mundum istum vel animam eius extendere potuit . . . ; VII, 6 ( framm. XVI, 3 Agahd): Dicit ergo idem Varro adhuc de naturali theologia praeloquens deum se arbitrari esse animam mundi, quem Graeci vocant x6a(.LOV, et hunc ipsum mundum esse deum; sed sicut hominem sapientem, cum sit ex corpore et animo, tamen ab animo dici sapientem, ita mundum deum dici ab animo, cum sit ex animo et corpore. 22 =
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=
Tale anima cosmica è divisa in tre gradi : quello puramente vegetativo (gli alberi ; nel corpo umano le unghie, le ossa e i capelli), quello sensitivo (i nostri sensi), quello intellettuale (l'animus) (Agostino, De civitate Dei VII, 23 = framm. XVI, 4). Anche questa dottrina risale ad Antioco,23 e precorre la distin zione, usuale nel medioplatonismo, tra vouç e tjlux_�.24 L'anima cos·mica, infine, ha una attività provvidenziale nei confronti di tutto l'universo (cfr. Agostino, De civitate Dei IV, 31 = framm. I, 56 Agahd) : anche questa dottrina ha un parallelo nella espon Una precisazione : il passo di AGoSTINO (De gene1i ad lilleram III, 9, 13), citato dal PEPIN (op. &il., pp. 317 e 320) in questo contesto (« non ignoro ita quosdam phi losophos sua cuiusque elementi distribuisse animalia, ut terrena esse dicerent non tantum quae in terra repunt atque gradiuntur, sed aves etiam, quod et ipsae in terra requiescant volando fatigatae, aeria vero animalia daemones esse ))), non risale a Varrone, ma ad Apuleio (cfr. De àeo SorratiJ, cap. 8). 12 Altri passi attestanti la presenza della dottrina dell'anima cosmica in Var rone sono : AGOSTINO, De çivitate Dei VII, 5; VII, 13 ; VII, 17. 18 Cfr. THEILER, Di1 Vorb1reitung cit., p. 54 nota 3; BoYANC:É, op. &il., pp. 277278. u Cfr. BoYANCÉ, op. til., pp. 278-280.
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sizione di Varrone stesso negli Academica (1, 28-29), esposizione che è ben noto risalire ad Antioco di Ascalona.25 Resta, infine, da ricordare quanto ha già osservato la critica,2 e che l'interpre tazione varroniana della triade capitolina, riferitaci da Agostino (De civitate Dei VII , 28), in cui Minerva rappresenta la mente di Dio, riecheggia l'interpretazione antiochea dell'idea platonica, concepita come pensiero immanente alla intelligenza di Dio. Ci troviamo, quindi, di fronte ad un complesso coerente e ben attestato di dottrine relative all'anima cosmica, da conside rarsi tutte come un gradino della evoluzione (o della diffusione) del platonismo antiocheo in ambiente latino. Ci pare, quindi, assai persuasivo ancora una volta il Boyancé,27 allorquando so stiene che a Varrone - e non a Posidonio, come avevano creduto, tra gli altri lo Schmekel e il Norden - risalirebbe Virgilio, per la dottrina dello spiritus del mondo esposta nel sesto libro del l' Eneide (724 sgg.), come già aveva pensato Servio (Aen. VI, 703). Se questa supposizione del Boyancé è, come noi crediamo, esatta, avremmo così ricavato un'altra testimonianza per il periodo posteriore a Varrone e anteriore a Seneca. Per tornare a Varrone, dopo quello che si è detto delle sue dottrine precorritrici del medioplatonismo, può essere interpre tata in questo stesso senso la sua simpatia per il pitagorismo, testimoniata, tra l'altro, dal fatto che egli avrebbe voluto essere sepolto secondo il rituale pitagorico, come si ricava da una noti zia di Plinio il Vecchio (Nat. Hist. II, 35, 1 60).28 Abbandonando Varrone, ci sembra che, dopo di lui e dopo Virgilio, si debba ritornare ancora a Seneca : non per riprendere in esame le note epistole 58 e 65, ma per vedere se egli mostri interesse, sia pure sporadicamente, per la filosofia platonica, e se riveli anche altrove, nella sua opera (cioè al di fuori delle epistole 58 e 65), attenzione per le dottrine medioplatoniche. Non vogliamo, con quanto stiamo dicendo, affrontare il problema dell'atteggiamento di Seneca nei confronti di Platone ; vogliamo 25
Cfr . BoYANCÉ, op. cii., p. 276 ; PEPIN, op. cii., p. 319. ar. THEILER, Die Vorbereilung cit., p. 19; G. LucK, Der akademiker AnJio cbos, Bern, Haupt 1953, p. 28 ; BoYANCÉ, op. cit., pp. 275-276. a? Cfr. BoYANCÉ, op. cii., pp. 276-277, e anche : Sur le discours d'Ancbise, in Hom mages à Georges Dumlzil, Bruxelles 1960 («.Collection Latomus », XLV), pp. 60-76. 18 Cfr . BoYANCÉ, op. cii., p. 267. S8
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solo osservare che si riscontrano in Seneca certe dottrine stoiche che poi hanno il loro posto anche nel medioplatonismo del II se colo, in seguito ad un processo di osmosi che era, dunque, già avviato nel I secolo - pur rendendoci conto del fatto che si tratta, appunto, di dottrine stoiche : ma tali dottrine potrebbero far inquadrare Seneca nella Vorbereitung des Neuplatonismus, di cui parlava il Theiler. In effetti, leggiamo in Seneca la dottrina platonica (cfr. Pedone 64a ; 67d) della fJ-EÀh-1) .�hxv&'t'ou (cfr. ad Marciam 23, 2) ; l'affermazione che il nostro corpusculum è la cu stodia et vinculum animi (ad Helviam 1 1 , 7 ; cfr. de bene]. III, 20, 1 ) : è la celebre definizione del Pedone (62b) e del Crati/o (400c), che avrà straordinaria fortuna in tutto il platonismo tardo ; 29 la virtù è considerata una cru wpwv(IX (de vita beata 8, 6), come poi in Albino (Didask., p. 182, 1 3) e Apuleio (De Platone II, 5, 227) ; la dottrina, tipicamente stoica, che esiste una amicizia tra il saggio e dio, diventa in Seneca l'affermazione che tra il saggio e dio esiste addirittura una similitudo (cfr. de prov. 1 , 5 ; de const. sap. 8, 2 ; epist. 92, 3 ; 95, 50 ; 124, 23) : 30 è la dottrina, tipicamente medioplatonica, della O fJ-O LwcrL), che sarebbe di provenienza pitagorica e sarebbe stato inserito nella dottrina platonica da Eudoro di Alessandria, vissuto meno di un secolo prima di Seneca. Il filosofo di Cordova, inoltre, conosce forse Antioco di Ascalona : contro la sua concezione morale, che richiedeva anche i beni esterni per la vita beatissima, è rivolta, se non sbaglio, la polemica di epist. 85, 1 8-1 9 e 92, 5 e 14.31 Potrebbe essere, forse, un riferimento ad Antioco anche l'accenno ai semina virtutum, di cui Seneca parla in epist. 108, 8.a2 Anche il problema del rapporto tra Dio e la materia, che è vista da Seneca in de prov. 5, 9 e Nat. Quaest. I pro/. 1 6 quasi come l'ori2 9 Cfr. le recenti osservazioni di uno studioso, che pure non è ex professo cul tore di filosofia antica (A. TRAINA, Lo stile drammatico d�/ filosofo Seneca, Bologna, Patron 1974, p. 61). 3 0 Cfr. P. CouRCELLE, Tradition platoni&ienne tJ Jraditions chrltiennes du corps-prùon, « Rev. Études Latines », XLIII, 1965 ( 1966), pp. 406-443, ora in Connais-toi toi mime de Socrate à Saint Bernard, Paris, Études Augustiniennes 1975, pp. 345 sgg. 31 Antioco, dunque, figurava nella biblioteca di Seneca, contrariamente a quanto sosteneva il BrcKEL, op. &it., pp. 19-20. 32 Cfr. THEILER, Die VorbereiJung cit., p. 41.
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gine del male, o comunque come ciò che si oppone all'arte somma del Dio creatore, preannuncia certe discussioni, frequenti a par tire da Plutarco, sull'origine del male dalla materia. Totalmente estraneo alla corrente del platonismo ci sembra invece Plinio il Vecchio, la cui cosmologia, contenuta nel se condo libro della Naturalis Historia, è, in ogni caso, di tipo stoico : secondo la dottrina dell'antico stoicismo, a quanto sem bra, una volta che, grazie alle ricerche di J. Beaujeu nella edi zione Budé di Plinio il Vecchio, è stata definitivamente messa da parte la moda di Posidonio. Scarsissimi elementi si incontrano pure nell'opera di Quin tiliano, la cui formazione filosofica era, del resto, abbastanza superficiale. Che cosa si può ricavare dalla lnstitutio Oratoria? Che ai tempi di Quintiliano era ancor viva l'Accademia platonica (XII, 2, 25) ; che il retore spagnolo ha letto il Timeo (IX, 4, 77), forse il dialogo platonico più conosciuto in età imperiale, e ha studiato a fondo il problema della retorica, contenuto nel Gor gia (cfr. II, 1 5, 24) : si può osservare che il problema del valore etico della retorica è affrontato, debole eco di una secolare di scussione, anche nel secondo libro del De Platone di Apuleio. Non si dicono, quindi, cose nuove, quando si constata che la temperie culturale stoica era quella che prevaleva nel mondo romano del I sec. d. C. La filosofia platonica, che nel mondo greco contemporaneo di Seneca, di Plinio, di Quintiliano, vede le opere di Filone e di Plutarco, non è ancora diffusa, a quanto sembra, nell'occidente latino. Il mutamento della situazione culturale, il passaggio da una preponderanza dello stoicismo a una nuova attenzione per la filosofia platonica è indicato da Tacito. Le ricerche di Theiler 33 hanno mostrato che il breve excursus di Tacito sul fato e sul libero arbitrio (Annali VI, 22) risale, nel suo nucleo, alla scuola di Gaio, cioè a una delle maggiori scuole platoniche del II se colo (si configura, cioè, con certi contorni che sono quelli che riscontriamo poi in Albino e Apuleio, i quali sarebbero stati allievi di un Gaio, filosofo platonico di Atene : anche la cronolo gia, dunque, ci indurrebbe a credere che la doxa del platonico di cui Tacito si sarebbe servito dovrebbe essere la doxa di Gaio). Certo, questo non significa che Tacito, se mai professò opinioni 88
ar. sopra, nola 5. -
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:filosofiche, abbia aderito alla scuola di Gaio : il passo degli Annali è troppo breve e, soprattutto, ha un carattere troppo dossogra fico perché si possa credere che il grande storico abbia aderito a quanto avrebbe appreso da un filosofo greco neppur, poi, tanto rinomato. Il passo di Tacito ha valore di testimonianza : testimonianza, da un lato, della dottrina di Gaio, dall'altro del l'interesse di uno scrittore latino (ed eventualmente del suo pub blico romano) alla risposta che la filosofia platonica forniva ad uno dei maggiori problemi del tempo. Citazioni di scarsa importanza filosofica, suscitate soprattutto da un interesse letterario (per il Pedone e per il Fedro) ci offrono gli scritti di Frontone. Però, data la frammentarietà della sua opera, non si può negare in Frontone un certo interesse per Platone : il Platone letterato, certamente, non il filosofo - e quindi nessun'eco si coglie, nel retore di Citta, del medioplato nismo. Va notato, comunque, come esile testimonianza della dif fusione del platonismo nel mondo latino del II secolo, che Fron tone conosce un platonico di Roma : un certo Giulio Aquilino (p. 1 67, 1 2 van den Hout), che per noi non è altro che un nome. Con Aulo Gellio, invece, entriamo in contatto con una per sonalità che, sebbene poliedrica e superficiale, ci rivela un mag giore interesse per la :filosofia platonica. Gellio non è privo di letture :filosofiche (anche se quella degli scrittori più antichi o più spinosi, come, ad esempio, Crisippo, è probabilmente una let tura di carattere manualistico) : tra i più recenti, conosce Plu tarco ed Epitteto, che scrissero le loro opere cinquant'anni prima ; ebbe, comunque, rapporti personali con retori-:filosofi, come Erode Attico e Favorino. La :filosofia, comunque, costituisce una parte minore rispetto al totale dell'opera, ed esposta pur sempre con interessi aneddotici : « philosophandum est pau cis » ripete in V, 1 5-16, citando il famoso detto del Neottolemo di Ennio, e pure a proposito di questioni di non poco conto.34 14 Questo è stato recentemente affermato da J. GASSNER (Pbilosophie und Mora/ bei Ge/lius, « Serta Philologica Aenipontana », Il, Innsbruck, Instit. fiir vergleich. Sprachwiss. der Univ. 1972, pp. 197-235), del quale, però, non posso accettare l'inter pretazione globale delle Noctes Atti&ae, come se essa fosse un'opera rispondente a degli interessi etico-pedagogici (pp. 209-210) in forma diatribica (pp. 213-214), con la esclusione dell"aspetto enciclopedico (p. 210). È difficile, infatti, a nostro parere conciliare la massa di notizie filosofiche (fisiche, etiche, logiche) di varia provenienza, che Gellio ammucchia nelle No&tes Atti&ae ; e anche il Gassner non va al di là del l'esposizione del contenuto dei singoli capitoli. Solo per alcune marginali osserva-
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Gellio, però, è per noi prezioso perché costituisce una delle maggiori fonti per la conoscenza dell'opera di Calvisio Tauro, filosofo di rilievo nella prima metà del II secolo nell'ambito della corrente platonica. Se escludiamo i passi di scarso valore filosofico, Gellio ci comunica le seguenti dottrine di Calvisio Tauro : in I, 9, 8 sgg. un particolare interesse nutrito da Tauro per il pitagorismo, caratteristica culturale tipica di tutto il II se colo e oltre ; in I, 26 una difesa della medietà degli affetti, con esplicito riferimento a Plutarco, del quale conosciamo la stessa convinzione (si legga il de virtute morali) ; in VII, 13 una esegesi della dottrina della � è�oc(c:pv1Jl � 7tpoç 't'O' XIX't'IX' 't'IXU't'IX e:zov (.1."\ t-'/\E:1tCùV lXV O< O'Y)!J.LOUpyoç IXE:L7 't'OLOU't'