Apologia dell'apogeo. Divagazioni sulla storia del libro nel Tardo Medioevo 888334023X, 9788883340239

Ottobre 2000, 14x21 cm., 148 P., bross. Isbn 88-8334-023-x 14.46 la storia del libro e della scrittura occidentale è pie

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Apologia dell'apogeo. Divagazioni sulla storia del libro nel Tardo Medioevo
 888334023X, 9788883340239

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Ezio Ornato

Apologia dell'apogeo Divagazioni sulla storia del libro nel tardo medioevo

La storia dcl libro e della scrittura occidentale è piena di interrogativi irrisolti per quanto riguarda la wrda antichità e l'alto medioevo. Non si tratta di carenza di metodi. ma di penuria di materiali: poche e frammentarie sono le te­ stimonianze sul patrimonio librario di quel periodo. e su di esse continua ad esercitarsi da decenni l'acume degli studiosi. Paradossalmente. invece. le decine di migliaia di volumi prodotti negli ultimi tre secoli del medioevo hanno suscitato e suscitano tuttora. negli storici del libro. un interesse relativamente limitato. L'Apologia dell'apogeo

-

l'espressione allude alla civiltà

del manoscritto occidentale nell'epoca che precede l'intro­ duzione della stampa - vuol essere un invito al realismo: in assenza di nuove. purtroppo improbabili. scoperte. la ..paleontologia dcl libro" non potrà andare. per l'antichità e l'alto medioevo. molto al di là dei risultati finora ottenuti. La storia dcl libro tardomcdievale. invece. offre una catena abbondante e solida di testimonianze sulle quali puù eser­ citarsi un'analisi sistematica e approfondita di episodi im­ portanti e significativi, tanto sul piano materiale che su quello economico e culturale. Da un lato. nell'ambito dcl nuovo libro « !!otico » , l'evoluzione della struttura dei fa­



scicoli. lo svil 1ppo del sistema universitario della pecia e, al suo interno. dell'edizione giuridica commentata ; dall'al­ tro. nel quadro dei fermenti che precorrono pii1 o meno consapevolmente la nascita dcl libro moderno. la sostitu­ zione della pergamena con la carta e linnovativo ritorno all'antico da parte dcl libro umanistico. E�io Omaro è specialista del/'11111w1esù110 .fi·a11cese e sto­ rico del libro 111edie1·ale. sia 111w10scrit10 che a stampa. Ha compiuto i suoi studi presso l'Università di Torino e dal

1962 1-il-e e lm•ora a Parigi, dm·e è Directeur de recherche presso il «Ce11tre 11atio11al de la recherche scie11tifiq11e» e responsabile del progra111111a «Histoire du li1Te médin·al» promosso dal «Lalmratoire de 111édié1•istiq11e occide/l/ale de Pari.\·». Per la Vie/la ha pubblicato La face caché du livre médiéval codice

( 1999).

ISBN 88-8334-023-X

( 1997) e ha collaborato a

La fabbrica del

lire 28.000 I€ 14.46

Ezio Ornato

Apologia dell'apogeo Divagazioni sulla storia del libro nel tardo medioevo

viella

Copyright ©2000 - Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: ottobre 2000 ISBN 88-8334-023-X

vie/la Libreria editrice

via delle Alpi, 32

1-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60

e-mail: [email protected]

Indice

Premessa 1 . Un amico poco fidato del manoscritto: la carta

7 19

2. Un artefice pressoché dimenticato della resistenza: il fascicolo

33

2.a. La fascicolazione e la nascita del codice

41

2.b. Fattori di variazione della fascicolazione negli ultimi secoli del medioevo

51

3 . Tipologie librarie e modi di produzione del libro nel tardo medioevo

79

3 .a. Testo e commento nel libro giuridico bolognese

83

3.b. I testi giuridici commentati e il sistema della pecia

1 02

3 .c. Il libro umanistico fra tradizione e innovazione

1 28

Opere citate

1 43

Premessa

Le pagine qui proposte al lettore costituiscono, in un certo sen­ so, il risultato mostruoso di una lodevole iniziativa. All ' inizio, esse avrebbero dovuto servire da introduzione ad una raccolta di tre sag­ gi pubblicata di recente, La fabbrica del codice. «La vorrei corpo­ sa», si era raccomandato l ' editore, e la raccomandazione venne fe­ delmente recepita. Purtroppo, tuttavia, i tre saggi riuniti nel volume si rivelarono talmente ricchi di spunti potenziali che risultò ben presto impossibile arrestare la locomotiva impazzita della logorrea. Quando si riuscì finalmente ad instradarla su un binario morto, rammentando opportunamente al macchinista l ' esistenza di impe­ gni ancora più impellenti e anch' essi già da tempo scaduti, il male era fatto: quella che doveva essere un' introduzione si era già gon­ fiata in amplificazione, digressione, correttivo e completamento. Imponente, campeggiante e onnipresente allo sguardo come il can­ dore di un celebre monumento della Roma umbertina, essa sovra­ stava, per la sua mole, ciascuno dei tre contributi e, soprattutto, ac­ cresceva a dismisura i costi di produzione. Era fin troppo evidente, in sostanza, che l ' eccesso di peso e lo squilibrio delle strutture pre­ giudicavano definitivamente la possibilità di adeguare il testo così concepito alla sua funzione primitiva e lo rendevano praticamente inutilizzabile. Che fare di questo «mostro» nato morto? La risposta non po­ teva essere che una sola: imbalsamarlo ed esporlo al pubblico in separata sede. Ma, per l ' appunto, quale pubblico? Questa

Apologia dell'apogeo

si pone su un piano troppo

astratto e generale per interessare il ricercatore erudito; quello che lavora tutti i giorni sui libri e ne acquisisce pazientemente informa­ zioni magari modeste, ma solide ed originali.

È

prodiga, inoltre, di

una serie di banalità, da tutti risapute, incapaci di ravvivare con

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profitto la curiosità e la riflessione di chi è solito affrescare con stimolante larghezza di vedute la storia del libro o della scrittura. Pullula, al contrario, di dettagli tecnici che presuppongono un' otti­ ma conoscenza del manoscritto e del mondo che gli sta intorno, e ciò la rende poco utile a chi avrebbe bisogno, innanzitutto, di un buon avviamento allo studio del patrimonio librario. Non ha nulla a che vedere, infine, con un' esposizione analitica, metodica e ordi­ nata di questa o quella problematica della storia del libro, né con una sintesi chiara e succinta di tutte le problematiche della storia del libro, atta a sedurre la buona coscienza culturale dell ' amateur

éclairé. Un esperto imbonitore proclamerebbe certamente che il «mo­ stro», per sua stessa natura indefinibile e inclassificabile, non corri­ sponde interamente ad alcuna delle aspettative possibili, ma si insi­ nua subdolamente, in realtà, in ciascuna delle aspettative possibili ; che il «mostro», è vero, non ha né capo né coda e si compiace a percorrere in lungo e in largo un labirinto ove comunicano indebi­ tamente epoche e luoghi lontanissimi tra loro, ove i dettagli mate­ riali più insignificanti e le preoccupazioni economiche più quoti­ diane costeggiano inopinatamente le più elevate motivazioni ideo­ logiche . . . ma il libro, precisamente, non è forse tutto questo? Il mondo del libro può essere paragonato ad una bottiglia di Klein, celebre oggetto topologico ben noto per essere assolutamente estra­ neo alla nozione di esterno e di interno: camminando all ' interno di uno spazio curvo, ci si ritrova, senza sapere come, all' esterno e con la testa all' ingiù, e viceversa. E la storia del libro non è forse ma­ lata di troppi steccati e di troppa linearità, per cui il compito preci­ puo del codicologo e del bibliologo non è tanto dipanare aggrovi­ gliate matasse di fatti quanto, al contrario, riannodando brandelli di filo indebitamente tagliati, ricostruire grovigli di relazioni e di contraddizioni al fine di mettere pazientemente in luce la profonda coerenza del sistema? Bravo, indulgente - e disonesto - imbonitore, al quale, se per caso esiste, va augurata senz' altro buona fortuna.

Il titolo Apologia dell'apogeo prende le mosse da una duplice constatazione. Per ragioni indipendenti dalla volontà dei suoi esploratori (ma quasi interamente dipendenti dalla negligenza col­ lettiva dell' Homo

sapiens -

e non soltanto della sua parte più

insi-

Apologia dell' apogeo

piens),

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lo studio del patrimonio librario nei suoi aspetti grafici e

materiali soffre di un'insanabile dicotomia. Fino ad una certa epo­ ca, infatti, è del tutto illusorio pretendere di costituire i lineamenti di una vera e propria storia della scrittura e del libro, se con questo termine si intende una ricostituzione dettagliata e convincente di permanenze, di transizioni e di mutazioni, di progressi e di regres­ si, di tradizioni e di innovazioni - e quindi, più concretamente, di «protofanie», di egemonie, di declini e di abbandoni - motivati e giustificati in funzione del divenire di un determinato

background

sociopolitico, economico e culturale. Al di là di questa frontiera cronologica, non si può più parlare di storia del libro, ma di «paleontologia» del libro, il cui statuto è del tutto differente. Come nel caso della paleontologia animale o umana, la differenza non consiste in un difetto di metodi, ma nella rarità dell'informazione: la rete dei dati disponibili - spesso rica­ vati da testimonianze testuali frammentarie e non prive di ambi­ guità - non è sufficientemente fitta ed è giocoforza colmarla con grande profusione di ipotesi. Ma la paleontologia degli esseri vi­ venti gode di numerosi vantaggi rispetto a quella del libro: i fossili sono rimasti in situ e non suscitano, di conseguenza, difficoltà di localizzazione; i dispositivi di analisi fisico-chimica forniscono forchette di datazione non troppo imprecise, mentre la dimensione stratigrafica consente di datare senza incertezze un cimelio in ter­ mini relativi . Nel difficile esercizio della paleontologia del libro, invece, già il gradino più basso della conoscenza - la valutazione consensuale delle coordinate cronogeografiche dei pochi testimoni rimastici - costituisce (chi potrebbe negarlo?) un avvenimento estremamente raro, e direi quasi sospetto. Quali che siano la pertinenza ed il rigore delle metodologie adottate (non è questa la sede più adatta per discuterne), il peso della costruzione di un edificio di ipotesi, in questo tipo di discipli­ ne, è del tutto sproporzionato rispetto alla gracilità di ciò che do­ vrebbe costituirne le fondamenta, e cioè gli elementi di informa­ zione chiara ed univoca forniti dalle procedure di osservazione, di descrizione e di confronto con le altre testimonianze accessibili. Per questa ragione, l'edificio ipotetico rischia continuamente di crollare, reso inattendibile sia dall'equiprobabilità delle diverse al­ ternative possibili - aspramente sostenute o vilipese dagli studio­ si - sia dall'eventualità, già più volte verificatasi, che un nuovo e

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fortunato ritrovamento - ovviamente da tutti auspicato - venga a smentire tutte le ipotesi formulate in precedenza. Al di qua della frontiera, la situazione è radicalmente differen­ te: la decimazione del patrimonio librario raggiunge comunque li­ velli altissimi, ma i superstiti dell'ecatombe sono abbastanza nu­ merosi da consentire l elaborazione di un rappresentativo della situazione primitiva.

identikit sufficientemente È ben vero che la distru­

zione anche di un solo volume implica sempre la perdita irrepara­ bile di un' informazione insostituibile; ma se l ' elaborazione del1' identikit permane possibile anche quando il tasso di perdita si ag­ gira intorno al 99%, è perché la maggior parte dell' informazione contenuta nel volume era all' origine ridondante ai fini della storia del libro; non certo per chi accarezzasse l ' irrealistica ambizione di ricostituire la totalità dei «microavvenimenti» che ne formano la fittissima trama, ma, più modestamente, per chi si accontentasse di delineare i contorni dei «macrofenomeni» ed esplicitarne le inter­ relazioni. Tre esempi appaiono particolarmente calzanti per illustrare la pertinenza di questo concetto di ridondanza nel campo della storio­ grafia. Il filologo sa bene che, quale che sia la quantità di mano­ scritti derivanti da un medesimo antenato comune, due soli super­ stiti sono sufficienti per ritrovare la traccia di tale capostipite, e tre per ricostituirne il testo. Chi si dedica alla storia del libro a stampa ammette spontaneamente che la sopravvivenza anche di un solo esemplare è sufficiente per garantire l esistenza di un' iniziati va editoriale e per analizzarne le caratteristiche materiali e testuali. Lo studioso della carta medievale è ben conscio del fatto che I' osser­ vazione analitica di qualche decina di

specimina

è praticamente

equivalente alla descrizione di tutti i fogli - centinaia di migliaia prodotti da una coppia di forme. Tutto ciò non impedisce, ovvia­ mente, che ciascuna perdita, presa in sé, costituisca un avveni­ mento da deplorare, soprattutto quando essa ci priva per sempre di una realizzazione novatrice e, per questo, più pregnante sul piano storico. A che punto del vettore cronologico possiamo situare la fron­ tiera fra la storia del libro e la paleontologia del libro? Lo spartiac­ que - che è pressappoco lo stesso, stranamente, nell' Occidente la­ tino e nell' Oriente bizantino - può essere fissato al IX secolo: esso corrisponde su un versante alla «riforma carolingia» e alla diffu-

Apologia dell' apogeo

ll

sione della scrittura carolina; sull'altro, all'introduzione della scrit­ tura minuscola nell'uso librario. Fin qui la prima constatazione. Quanto alla seconda, essa non riguarda la situazione del patrimonio librario, ma l'orientamento della ricerca e, più in particolare, le tendenze spontanee degli stu­ diosi . Stupisce, infatti, che le epoche per le quali sussistono pochi libri, o addirittura brandelli di libri, siano state di gran lunga privi­ legiate rispetto agli ultimi secoli del medioevo, per i quali posse­ diamo decine di migliaia di testimonianze integre. 1 Naturalmente, questa considerazione non deve essere fraintesa: essa non auspica né un puro e semplice travaso di energie, né, più generalmente, una perequazione delle ricerche storiche in funzione della più o meno grande abbondanza delle fonti . Se così fosse, tutti gli studiosi do­ vrebbero precipitarsi sui due ultimi secoli della storia dell'umanità e tralasciare tutto il resto. Si tratta in realtà, più semplicemente, di correggere una distor­ sione evidente, che non è certo dovuta ad un più grande interesse intrinseco né della cultura scritta, né del sistema di produzione e di fruizione del libro nei secoli più antichi, ma da una parte alle di­ namiche della storia relativamente recente della cultura erudita - il predominio pressoché assoluto degli studi classici e la riproduzione quasi inevitabile presso gli allievi degli orientamenti favoriti dei maestri - e dall'altra a motivazioni ideologiche o psicologiche di cui si è già fatto cenno in altra sede2 e sulle quali è inutile ritornare.

In altri termini, sarebbe utile che nuove e più numerose energie si concentrassero là ove le risposte alle domande potrebbero non es­ sere sempre precedute dal fatidico «forse»; in particolare, sul pe­ riodo chiave che inizia con l'ultimo secolo dell'epoca «monastica» e che, procedendo a grandi balzi o con insensibile gradualità, si conclude, tre secoli dopo, con la nascita e la diffusione di quell'og­ getto cartaceo riprodotto con mezzi meccanici che nel linguaggio di tutti i giorni viene chiamato ellitticamente «libro». Se si vuol proprio attribuire una finalità a questa Apologia

del­

['apogeo, essa va intesa come un invito, rivolto soprattutto alle

l. Eloquentissima testimonianza di questo stato di cose è la rassegna storica sugli studi paleografici pubblicata una decina d' anni orsono ( Un secolo di paleo­ grafia e diplomatica). 2. La fabbrica del codice, Introduzione, pp. 12- 1 3 .

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nuove generazioni di studiosi, ad affrontare senza complessi una situazione complessa, caratterizzata, se non altro sul piano archeo­ logico, da una grande dovizia di testimonianze. Situazione privile­ giata, se non fosse che la vastità stessa degli orizzonti si rivela pro­ pizia alle angosce dell' agorafobia (si pensi, in un ambito vicino, al1' edizione critica di opere di cui ci rimangono centinaia di testimo­

ni), mentre 1' emergenza di nuove metodologie richiede non solo tecniche di osservazione e di elaborazione diverse, alle quali i gio­ vani ricercatori (per non parlar dei «vecchi») non sono ancora ideo­

logicamente preparati e per le quali 1' odierno insegnamento univer­ sitario è per il momento incapace di fornire una formazione ade­ guata, ma anche la costruzione creativa di procedure di verifica per le quali non esistono regole a priori. Senza cadere in una visione fatalista e ottimisticamente pro­ gressista della storia, è innegabile che negli ultimi tre secoli del medioevo vengono scavate tutte le fondamenta del libro moderno. Questa affermazione non è

-

o non è soltanto - un luogo comune

di una costernante banalità: mentre è perfettamente possibile con­ templare con la mente uno studente bolognese o parigino della fine del Duecento che si gratta il capo con perplessità dinanzi ad un esemplare stampato della glossa di Accursio o della

Summa theo­ logica, la lettura collettiva di un grande volume a stampa delle Enarrationes in psalmos in un refettorio benedettino del XII secolo suona irrimediabilmente, per noi moderni, come un anacronismo tanto stridente quanto ingenuo. Ma è vero, anche, che la presenza in entrambe le scene di un telefono suscita la medesima impressio­ ne di assoluta inverosimiglianza. Il «capogiro temporale» non proviene, quindi, soltanto dall' in­ debita irruzione del futuro nel passato, ma anche, e forse soprat­ tutto, da un ' incompatibilità più profonda: la civiltà monastica non avrebbe in nessun caso potuto escogitare un procedimento come quello della tipografia, e non è solo una questione di livello tecno­ logico. La civiltà che ha prodotto lo studente universitario è invece fondamentalmente la stessa che ha dato alla luce il libro a stampa, e nell' immaginare le dita nei capelli di quel futuro giurista o teolo­ go di sette secoli fa ci si sorprende, quasi quasi, a domandarsi : «Come mai nessuno ci aveva ancora pensato?».3

3. Queste immagini sernplificatrici trascurano deliberatamente alcuni aspetti

Apologia dell' apogeo

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L' inizio del XIII secolo segna, infatti, un mutamento radicale rispetto ai secoli precedenti : in seguito allo spostamento nelle città dei centri di produzione e di trasmissione del sapere e alla differen­ ziazione progressiva del tessuto culturale, il sistema di produzione del libro subisce profondi cambiamenti, in un contesto ove, salvo eccezioni locali e temporanee, la quantità di libri disponibili cresce continuamente. Nasce, innanzitutto - o meglio, rinasce, dopo molti secoli - la proprietà individuale del manoscritto. Proprietà indivi­ duale significa innanzitutto stesso,

necessità

libertà

di suscitare ma anche, al tempo

di finanziare l allestimento dei codici che verran­

no individualmente utilizzati. La committenza privata provoca spontaneamente lo sviluppo di mestieri legati alla fabbricazione di libri, i cui rappresentanti (pergamenai, copisti, miniatori, rilegatori) tengono bottega o affittano, per vivere, la loro forza lavoro ... e pretendono di essere remunerati. Poiché i costi di fabbricazione gravano ormai sui singoli individui, i fattori economici condizio­ nano in maniera sempre più pesante le scelte dei committenti e de­ gli artigiani al momento dell' allestimento. Col deperimento del ciclo di produzione autarchica in circuito chiuso, il libro, che è stato pagato in moneta sonante, acquisisce, accanto al valore d' uso, anche un valore di scambio. La proprietà individuale del libro implica, fra l ' altro, la libertà di alienarlo ad un compratore incoraggiato da vantaggi innegabili: la convenienza ri­ spetto al prezzo di allestimento di un codice nuovo e la disponibi­ lità immediata. Nasce così un fiorente mercato del manoscritto; non ancora un mercato nel senso editoriale del termine - popola­ zione di lettori potenziali, anonimi e dal comportamento impreve­ dibile, alla quale si vorrebbe smerciare una gran quantità di esem­ plari di uno stesso testo fabbricati a bella posta - ma un mercato che coinvolge individualmente, nei luoghi più importanti di tra­ smissione della cultura, molti possessori di poche copie di opere diverse, già allestite e utilizzate in precedenza; mercato che non può comunque fare a meno di intermediari - i librai - che si incari-

importanti della percezione dell' anacronismo come, ad esempio, gli elementi stili­ stici: un telefono digitale di plastica apparirebbe comunque più anacronistico di un apparecchio di legno con un ricevitore a forma di corno di bue . . . Ma anche in questo caso, risulta assai difficile separare leffetto dell' aspetto tecnologico - rap­ presentato dal materiale impiegato (legno = sì; plastica = no) - dall' impatto del­ !' elemento stilistico.

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cano, almeno in parte, di centralizzare la domanda e l ' offerta e di regolarizzarne gli eventuali squilibri. Nel corso del processo spontaneo di evoluzione del sistema, il libraio viene ben presto investito di una nuova prerogativa: a colo­ ro che vendono i libri vengono logicamente affidati gli

exemplaria,

autenticati dall' autorità universitaria, da affittare di volta in volta ai numerosi committenti di manoscritti dei testi più richiesti. In tal modo il libraio, luogo geometrico di regolarizzazione del mercato, viene a svolgere anche il ruolo di «stazionario», luogo geometrico di regolazione di un inedito sistema di copia - detto comunemente della pecia - perfettamente adeguato, nella teoria, ai ritmi elevati di allestimento dei libri che caratterizzano le città ove risiedono cen­ tinaia di maestri e di studenti. Libertà di alienare il libro non significa soltanto libertà di ven­ derlo, darlo in pegno o scambiarlo, ma anche- di trasmetterlo ai propri discendenti, sotto la spinta di un' illusione di perennità che a ben guardare, fino all' avvento del libro a stampa, non fu poi così lontana dalla realtà. Lodevole e disinteressato intento è quello che consiste nel risparmiare ai propri nipoti e pronipoti investimenti estremamente onerosi, e non di rado addirittura insostenibili, al fi­ ne di favorirne 1' ascesa nella scala sociale. Lodevole e disinteres­ sato intento, anche, è quello che consiste nell' alimentare l ' istituzio­ ne da cui si è stati - e non solo intellettualmente - nutriti, grazie alla trasmissione

post mortem

del proprio patrimonio librario. In

Francia e in Inghilterra, la fondazione di qualche decina di collegi, tra cui la celeberrima Sorbona, consente ad un certo numero di bor­ sisti, non sempre «raccomandati di ferro», di intraprendere gli studi superiori e di conseguire i più alti gradi universitari. Parallelamen­ te, il continuo accrescimento delle biblioteche collegiali, raziona­ lizzando l' accesso alla lettura, contribuisce ad alleggerire l ' impe­ gno finanziario di ciascuno.

Le biblioteche delle istituzioni universitarie hanno dunque un

impatto positivo sugli aspetti economici dell' acquisizione del sape­ re, il cui costo viene ad essere in buona parte socializzato. Ma l ' im­ patto non è altrettanto positivo, ovviamente, sulla produzione di li­ bri: le opere meno recenti, già largamente diffuse in precedenza, formano, sul mercato e nelle biblioteche, un volano di inerzia che paralizza, per poco che la popolazione studentesca cessi di aumen­ tare, l ' allestimento di nuove copie.

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M a vi è di più: mentre l' accrescimento delle biblioteche mona­ stiche e delle biblioteche private obbedisce ai bisogni dei fruitori immediati, l ' accumulazione dei libri nelle istituzioni universitarie e conventuali non è che la proiezione di bisogni che furono di fatto, molto tempo prima, quelli dei morti.

Il sistema non può quindi funzionare che in situazioni ove la dinamica di rinnovamento del tessuto culturale è ridotta al minimo. La Francia della seconda metà del XN secolo, decimata dalla Pe­ ste nera e impastoiata nella guerra dei Cent' anni, offre, in effetti, un buon esempio di stasi, se non di regresso.4 Ma ci si domanderà, allora, se il funzionamento stesso del sistema non abbia in sé qual­ cosa di perverso, in quanto contribuisce a rafforzare la circolarità, o peggio ancora la spirale negativa, di una cultura sempre più ripie­ gata su se stessa. L' assimilazione ripetuta dei medesimi testi trova il suo perfetto corrispettivo nel riciclaggio ininterrotto dei medesi­ mi libri: il costo di funzionamento del sistema è così ridotto al mi­ nimo, ma il funzionamento stesso, ormai svuotato di qualsiasi pul­ sione innovativa, si raggrinzisce definitivamente - e paradossal­ mente con la più grande soddisfazione dei più - nella riproduzione pura e semplice di ciò che esiste. Questa vera e propria