Aphantasia Ovvero è solo una metafora [1 ed.] 9791221480993

Aphantasia: è la cosiddetta condizione della mente che non è capace di visualizzare nessuna immagine mentale, come se l’

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Italian Pages 152 [153] Year 2023

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Table of contents :
Indice
Introduzione....................................................................................... 7
Capitolo 1 Immagini mentali e Occhi della mente, tutti ne
parlano. Eppure... .......................................................................11
Capitolo 2 Come si è ri-scoperta l’afantasia e come la si è
vissuta nel tempo........................................................................25
Capitolo 3 Percezioni ......................................................................37
Capitolo 4 Il mondo da dietro gli occhi...........................................59
Capitolo 5 Immaginazione e creatività ............................................63
Capitolo 6 Vivere con Afantasia .....................................................71
Capitolo 7 E quante altre percezioni diverse esistono nel
mondo? .......................................................................................81
Capitolo 8 La visualizzazione dominante........................................83
Capitolo 9 Un mondo a misura di visualizzatori: cosa rimane a
chi non visualizza? .....................................................................93
Capitolo 10 Quanti sono quelli che non visualizzano?..................101
Capitolo 11 Libri e lettura (e scrittura)..........................................107
Capitolo 12 Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non
visualizzare...............................................................................117
Appendice al Capitolo 12 Persone famose con Aphantasia ..........123
Capitolo 13 La metafora ................................................................125
Capitolo 14 Conclusioni e Prospettive ..........................................131
Sitografia .......................................................................................137
Bibliografia....................................................................................141
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Aphantasia Ovvero è solo una metafora [1 ed.]
 9791221480993

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Vera Macrì

Aphantasia

Ovvero: è solo una metafora

Aphantasia. Ovvero: è solo una metafora

€ 15,00

Vera Macrì

Aphantasia: è la cosiddetta condizione della mente che non è capace di visualizzare nessuna immagine mentale, come se l’occhio della mente fosse completamente cieco. Scoperta da Sir Francis Galton nell’Ottocento il nome attuale venne coniato nel 2005 dal prof. Adam Zeman, il libro racconta la storia dell’Aphantasia dagli albori ad oggi, espone i più importanti e fondamentali studi fatti fino ad oggi, riporta link, interviste, testimonianze di persone afantasiche, pone l’accento sulle domande più interessanti che ci si fa quando si parla di Aphantasia (es: è una malattia? E come fanno gli afantasici ad imparare, riconoscere facce, cose, oggetti, studiare, vivere, ecc.) e svolge anche delle considerazioni interessanti su tutto questo.

Vera Macrì

Aphantasia Ovvero: è solo una metafora

Youcanprint

Titolo | Aphantasia. Ovvero: è solo una metafora Autore | Vera Macrì ISBN | 979-12-21480-99-3 © 2023 - Tutti i diritti riservati all’Autore Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore. Youcanprint Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce www.youcanprint.it [email protected] Made by human

A mio figlio

Introduzione

Images belong to the rational soul in the manner of perceptions, and whenever it affirms or denies that something is good or bad, it pursues or avoids. Consequently, the soul never thinks without an image. Aristotle, De Anima 1 Facilius enim ad ea, quae visa, quam ad illa, quae audita sunt, mentis oculi ferentur. Cicerone, De oratore, LXI 163 2 While we can only speculate about the imagery experience of thinkers from the more distant past, it is plausible, for example, that Aristotle’s view that “the soul never thinks without a phantasma” reflects the experience of someone with relatively vivid imagery, while Wittgenstein’s utterance that “a verbal description ... can ... simply take the place of the image” expresses the introspection of someone for whom visual imagery is faint or absent (MacKisack et al., 2016: 5, 10). Adam Zeman 3 For most people the use of visual imagery is pervasive in daily life, but for a small group of people the experience of visual im-

Trad.: “Le immagini appartengono all'anima razionale alla maniera delle percezioni, e ogni volta che afferma o nega che qualcosa è buono o cattivo, persegue o evita. Di conseguenza, l'anima non pensa mai senza un'immagine.” Christopher Shields, Aristotle, Routledge 2013. 2 Trad.: “Certo più facilmente gli occhi della mente corrono a quelle cose che si sono viste, più che a quelle di cui si è sentito parlare” Cicerone, De oratore, LXI 163. 3 Trad.: “Mentre possiamo solo speculare sull'esperienza immaginativa di pensatori del passato più lontano, è plausibile, ad esempio, che il punto di vista di Aristotele secondo cui "l'anima non pensa mai senza un fantasma" rifletta l'esperienza di qualcuno con immagini relativamente vivide, mentre l'espressione di Wittgenstein che "una descrizione verbale ... può ... semplicemente prendere il posto dell'immagine" esprime l'introspezione di qualcuno per il quale le immagini visive sono deboli o assenti” Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman, Cambridge University Press 2020. 1

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agery is entirely unknown. Research based on subjective phenomenology indicates that otherwise healthy people can completely lack the experience of visual imagery, a condition now referred to as aphantasia. As congenital aphantasia has thus far been based on subjective reports, it remains unclear whether participants are really unable to imagine visually, or if they have very poor metacognition - they have images in their mind, but are blind to them. Rebecca Keogh & Joel Pearson 4

Lo sappiamo, e comunque ci viene ricordato molto spesso: viviamo nella società dell’immagine. E cosa questo voglia dire lo capiamo, o lo intuiamo; anzi lo vediamo bene; e possiamo dire che la maggior parte di noi, come vedremo in seguito, lo vede anche sotto molti punti di vista. Iniziamo con un bel pasticcio di parole insomma, che ha come tema il vedere, e in particolare le immagini mentali, 5 la loro presenza ma soprattutto la loro assenza: è di questo che parleremo. Questo libro è infatti dedicato all’affascinante mondo che sta dietro gli occhi e che da qualche tempo scienziati e ricercatori, partendo da punti di vista e dalle discipline più diverse, stanno tentando di indagare come possono, come sanno, e magari spesso sulla base della propria esperienza personale della visione: anche tra la popolazione degli scienziati infatti prevale la percentuale di chi usa l’occhio della mente, facendo largo uso, al contempo, anche dei propri pregiudizi visivi.

Trad.: “Per la maggior parte delle persone l'uso delle immagini visive è pervasivo nella vita quotidiana, ma per un piccolo gruppo di persone l'esperienza delle immagini visive è del tutto sconosciuta. La ricerca basata sulla fenomenologia soggettiva indica che persone altrimenti sane possono non avere completamente l'esperienza delle immagini visive, una condizione ora denominata aphantasia. Poiché l'afantasia congenita è stata finora basata su rapporti soggettivi, non è chiaro se i partecipanti siano davvero incapaci di immaginare visivamente o se abbiano una metacognizione molto scarsa: hanno immagini nella loro mente, ma sono ciechi nei loro confronti.” Keogh R, Pearson J, The blind mind: No sensory visual imagery in aphantasia, CORTEX (2017). https://doi.org/10.1016/j.cortex.2017.10.012. 5 Delle immagini mentali si parlerà in maniera approfondita nel Capitolo 2, Come si è ri-scoperta l’afantasia. 4

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Per entrare nel vivo del discorso e per iniziare a definirne i termini, provate dunque a chiudere gli occhi, e immaginate di vedere una mela, una spiaggia, un volto a voi caro. Questo semplice atto di visualizzare qualcosa impegna diverse capacità umane: la capacità linguistica, quella di decidere e concentrarsi sul compito richiesto, la memoria, la vista. Provate ancora a visualizzare il tavolo della vostra prima colazione, esempio ormai celebre e classico, 6 potete anche aggiungervi la stessa mela di prima magari, o una spiaggia vicina e un volto caro accanto a voi. Fate come preferite. Probabilmente siete anche in grado di vedere voi stessi dal di fuori, mentre mangiate, o parlate; oppure guidate, lavorate, dormite. Magari avrete anche notato se le immagini erano colorate, luminose, e se sentivate profumi e rumori in sottofondo… la spiaggia, le auto, le voci; il vento carico di sale, di mare e di fiori, e il deodorante (o il profumo) del volto caro! Avete per caso provato a ruotare la mela, a tagliarla, a cambiarne il colore o a sentirne il sapore e la fragranza? Ma avreste saputo riconoscerla se fosse stata parzialmente nascosta dietro la tazza o sotto il tovagliolo, o sotto il luccicare del sole? Tutte queste operazioni che abbiamo appena descritto pare siano la normalità per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, ma come vedremo presto non è così per tutti. Una minoranza, piccola, ma non trascurabile di persone, non riesce nemmeno a capire di cosa stiamo parlando quando chiediamo di chiudere gli occhi e vedere qualcosa. Perché chiudere gli occhi non garantisce nulla, spesso chi li chiude li ha chiusi e basta. Quando io li chiudo diventa tutto buio e nero.

Francis Galton, Statistic of Mental Imagery, Mind, Volume os-V, Issue 19, 1 July 1880, Pages 301–318, Published: 01 July 1880. https://doi.org/10.1093/mind/osV.19.301 Cfr. anche https://psychclassics.yorku.ca/Galton/imagery.htm

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Ma ciò non toglie, e ne parleremo meglio in seguito, che io, e forse anche qualcuno di voi come me, non riesca ad accendere la lampada sul comodino. 7

7 Cfr. https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/ “But pragmatic mental imagery is more than just some kind of echo of sensory input. Suppose that you are in your bedroom and it is pitch dark. You want to switch on the light, but you can’t see the switch. You are nonetheless in a position to switch it on given your memory of the room’s layout and the location of the light switch in it. In this case, your pragmatic mental imagery is formed on the basis of your memory. But pragmatic mental imagery can be triggered by completely non-perceptual means as well, for example, if I blindfold you and then explain to you in great details where exactly the coffee cup is in front of you, how far exactly to the left and how far exactly ahead, and so on. Your pragmatic mental imagery can still guide your action, but it does so without any (visual) input. In our everyday life many of our actions, especially our routine actions, like flossing, are in fact guided by pragmatic mental imagery.” Trad.: “Ma le immagini mentali pragmatiche sono più di una semplice eco di input sensoriali. Supponiamo che tu sia nella tua camera da letto e che sia buio pesto. Vuoi accendere la luce, ma non riesci a vedere l'interruttore. Sei comunque in grado di accenderlo data la tua memoria della disposizione della stanza e della posizione dell'interruttore della luce al suo interno. In questo caso, le tue immagini mentali pragmatiche si formano sulla base della tua memoria. Ma le immagini mentali pragmatiche possono essere attivate anche con mezzi completamente non percettivi, ad esempio, se ti bendo gli occhi e poi ti spiego in grande dettaglio dove si trova esattamente la tazza di caffè di fronte a te, quanto esattamente a sinistra e quanto esattamente avanti, e così via. Le tue immagini mentali pragmatiche possono ancora guidare la tua azione, ma lo fanno senza alcun input (visivo). Nella nostra vita quotidiana molte delle nostre azioni, in particolare le nostre azioni di routine, come l'uso del filo interdentale, sono infatti guidate da immagini mentali pragmatiche.” Vedi anche Giacomo Rizzolatti, Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina Raffaello, 2006.

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Capitolo 1 Immagini mentali e Occhi della mente, tutti ne parlano. Eppure...

‘What does a person mean when he closes his eyes or ears (figuratively speaking) and says, “I see the house where I was born, the trundle bed in my mother’s room where I used to sleep – I can even see my mother as she comes to tuck me in and I can even hear her voice as she softly says goodnight”? Touching, of course, but sheer bunk. We are merely dramatizing. The behaviourist finds no proof in imagery in all this. We have put these things in words long, long ago and we constantly rehearse those scenes verbally whenever the occasion arises’ ~ John B Watson ~ The study of visual imagery has been a controversial topic for many years, as the above quote from the behaviourist John Watson demonstrates. This quote exemplifies the long running imagery debate of the 1970s and 80’s, which centred on the question of whether imagery can be depictive in the format of its representation (Kosslyn, 2005), or only symbolic or propositional in nature (Pylyshyn, 2003). However, in the last few decades psychologists and neuroscientists have made great strides in showing that visual imagery can be measured objectively and reliably, and indeed can be depictive/pictorial in nature see (Pearson & Kosslyn, 2015) for a detailed discussion of the evidence. Rebecca Keogh, Joel Pearson 8

Cfr. Keogh R, Pearson J, The blind mind: No sensory visual imagery in aphantasia, CORTEX (2017), https://doi.org/10.1016/j.cortex.2017.10.012. Trad.: “Cosa vuol dire quando una persona chiude gli occhi o le orecchie (in senso figurato) e dice: “Vedo la casa in cui sono nato, il letto a rotelle nella stanza di mia

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Dicono che si tratta di esperienze comuni, con le quali ogni giorno tutti gli esseri umani hanno a che fare. Non ci sono dubbi nemmeno tra gli studiosi che partono da diversi presupposti teorici che le immagini mentali siano qualcosa di reale e di sperimentabile quotidianamente da tutti. 9

madre dove dormivo – posso anche vedere mia madre mentre lei viene a rimboccarmi le coperte e posso anche sentire la sua voce mentre mi dice dolcemente buonanotte”? Toccante, ovviamente, ma puro non senso. Stiamo solo drammatizzando. Il comportamentista non trova alcuna prova nelle immagini in tutto questo. Abbiamo espresso queste cose a parole molto, molto tempo fa e proviamo costantemente quelle scene verbalmente ogni volta che se ne presenta l'occasione' ~ John B Watson ~ Lo studio delle immagini visive è stato un argomento controverso per molti anni, come dimostra la citazione riportata del comportamentista John Watson. Questa citazione esemplifica il lungo dibattito sulle immagini degli anni '70 e '80, incentrato sulla questione se le immagini possano essere rappresentative nel formato della loro rappresentazione (Kosslyn, 2005) o solo di natura simbolica o proposizionale (Pylyshyn, 2003). Tuttavia, negli ultimi decenni psicologi e neuroscienziati hanno fatto grandi passi avanti nel mostrare che le immagini visive possono essere misurate in modo oggettivo e affidabile, e in effetti possono essere di natura rappresentativa/pittorica, cfr. (Pearson & Kosslyn, 2015) per una discussione dettagliata delle prove.” 9 Zenon W. Pylyshyn, Mental imagery: In search of a theory, Behavioral and Brain Sciences , Volume 25 , Issue 2 , April 2002 , pp. 157 – 182 DOI: https://doi.org/10.1017/S0140525X02000043 “Nobody denies that the content and behavior of our mental images can be the result of what we intend our images to show, what we know about how things in the world look and work, and the way our mind or our imagery system constrains us. The important question about mental imagery is: which properties and mechanisms are intrinsic to, or constitutive of having and using mental images, and which arise because of what we believe, intend, or attribute to the situation we are imagining. The distinction between effects attributable to the intrinsic nature of mental mechanisms and those attributable to more transitory states, such as people’s beliefs, utilities, habits, or interpretation of the task at hand, is central not only for understanding the nature of mental imagery.” Trad.: “Nessuno nega che il contenuto e il comportamento delle nostre immagini mentali possano essere il risultato di ciò che intendiamo mostrare con le nostre immagini, di ciò che sappiamo su come appaiono e funzionano le cose nel mondo e del modo in cui la nostra mente o il nostro sistema di immagini ci vincola. La domanda importante sulle immagini mentali è: quali proprietà e meccanismi sono intrinseci o costitutivi dell'avere e utilizzare immagini mentali e quali sorgono a causa di ciò che crediamo, intendiamo o attribuiamo alla situazione che stiamo immaginando. La distinzione tra effetti attribuibili alla natura intrinseca dei meccanismi mentali e quelli

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Dicono. Ma si sbagliano alla grande. Studentessa universitaria, alle mie prime lezioni di yoga; assieme a un gruppo di donne e ragazze mi trovo in una palestra quieta, dal verde acceso dal sole e a tratti schermato dal gioco di luce del mattino; (ricordo che la giovane insegnante era appena diventata mamma, aveva voluto farcelo sapere in caso di imprevisti, se per caso cioè fosse stata costretta a lasciarci prima della fine della lezione, o forse per giustificare il suo essere ancora un po’ rotondetta a causa della gravidanza passata ma comunque elasticissima e competente); lo yoga comincia a piacermi e sono abbastanza brava a muovermi e a seguire le attribuibili a stati più transitori, come le credenze, le utilità, le abitudini o l'interpretazione del compito delle persone, è centrale non solo per comprendere la natura delle immagini mentali” Cfr. anche Lajos Brons, What is it like to remember something, https://www.academia.edu/35252937/What_is_it_like_to_remember_something_SDAM_aphantasia_and_the_role_of_imagery_in_memory, http://www.lajosbrons.net/wp/imagery-memory.pdf “While there has been heated debate about the status, role, and nature of mental imagery since the 1970s, both sides in that debate share a conception of mental imagery, as well as the belief that the experience and phenomenology of imagery are universal (e.g. Thomson 2007). For example, Daniel Dennett wrote that “nobody denies that when we engage in mental imagery we seem to be making pictures in our head” (2002: 189). Given the almost universal acceptance of the idea that we all share the same kind of mental imagery, it should not come as a surprise that the rejection of that very idea by people who claim not to experience imagery at all has been met with considerable skepticism and even hostility. As Bill Faw observed: Much of the current imaging literature either denies the existence of wakeful nonmental imagers, views non-imagers motivationally as “repressors” or “neurotic”, or acknowledges them but does not fully incorporate them into their models. (2009: 45)” Trad.: “Sebbene vi sia stato un acceso dibattito sullo stato, il ruolo e la natura delle immagini mentali sin dagli anni '70, entrambe le parti in quel dibattito condividono una concezione delle immagini mentali, nonché la convinzione che l'esperienza e la fenomenologia delle immagini siano universali (ad es. Thomson 2007). Ad esempio, Daniel Dennett ha scritto che "nessuno nega che quando ci impegniamo in immagini mentali sembriamo creare immagini nella nostra testa" (2002: 189). Data l'accettazione quasi universale dell'idea che condividiamo tutti lo stesso tipo di immagini mentali, non dovrebbe sorprendere che il rifiuto di quell'idea stessa da parte di persone che affermano di non sperimentare le immagini sono state accolte con notevole scetticismo e persino ostilità. Come ha osservato Bill Faw: Gran parte dell'attuale letteratura sull'imaging o nega l'esistenza di imager vigili non mentali, vede i non imager motivatamente come "repressori" o "nevrotici", oppure li riconosce ma non li incorpora completamente nei loro modelli. (2009: 45)”

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istruzioni, tutto procede per il meglio insomma, finché ad un certo punto ci viene chiesto di immaginare di essere su una spiaggia bianca bianca sotto ad una bella palma verde, con l’acqua azzurra e calma davanti a me… ecc… Buio, e non so cosa fare, non mi sento più a mio agio. Fine delle lezioni. All’incirca nello stesso periodo mi avvicinavo agli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola. Non me lo aspettavo certamente eppure anche qua mi venne chiesto di immaginare, e non solo di “vedere” molte cose, a un certo punto infatti mi si chiedeva di mettere persino me stessa dentro le scene da contemplare 10! No, no, neanche questo faceva per me. Lasciai perdere gli Esercizi di Ignazio senza capire di cosa stessimo parlando.

Fateci caso. Funziona così: dovunque ti giri qualcuno ti dice che per fare qualcosa meglio di quanto tu non faccia già, devi chiudere gli occhi e visualizzare; questo pare indispensabile per studiare meglio, per pregare alla grande, per raggiungere gli obiettivi di una vita, per migliorare le proprie prestazioni anche sportive; per guarire e per non sentire dolore 11, insomma serve per fare tutto, assolutamente; per ogni nostra

10 Cfr. https://gesuiti.it/wp-content/uploads/2017/06/Esercizi-Spirituali-testo.pdf Prima settimana, quinto esercizio: [66] Primo punto: vedo con l'immaginazione le grandi fiamme dell'inferno e le anime come in corpi incandescenti. [67] Secondo punto: ascolto con le orecchie i pianti, le urla, le grida, le bestemmie contro nostro Signore e contro tutti i santi. [68] Terzo punto: odoro con l'olfatto il fumo, lo zolfo, il fetore e il putridume. [69] Quarto punto: assaporo con il gusto cose amare, come le lacrime, la tristezza e il rimorso della coscienza. [70] Quinto punto: palpo con il tatto, come cioè quelle fiamme avvolgono e bruciano le anime. Seconda settimana, seconda contemplazione, primo punto: “[114] Primo punto: vedo le persone, cioè nostra Signora, san Giuseppe, la domestica e il bambino Gesù appena nato; mi faccio come un piccolo e indegno servitorello guardandoli, contemplandoli e servendoli nelle loro necessità, come se mi trovassi lì presente, con tutto il rispetto e la riverenza possibili. Infine rifletterò su me stesso per ricavare qualche frutto.” 11 Cfr. Norman Doidge, Le guarigioni del cervello Le nuove strade della neuroplasticità terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello, Ponte alle Grazie, 2018: “Ero incuriosito dalle tecniche di visualizzazione, il cui utilizzo non era certo una novità. Spesso gli ipnotisti vi ricorrono per alleviare il dolore, chiedendo al paziente di immaginare che il punto dolente si stia restringendo, svanendo o allontanando. In

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volontà di cambiare o migliorare qualcosa, pare che dobbiamo per forza poter visualizzare al meglio! Se vuoi ricordare le informazioni atte a rispondere alla domanda che ti farà avere trenta e lode all’esame decisivo, o ti darà il lavoro della tua vita, devi poter richiamare alla tua mente le immagini e gli schemi che hai precedentemente riposto da qualche parte dietro ai tuoi occhi, e tu sai bene dove. Visualizzare coinvolge anche i ricordi: per certuni la memoria è come un castello, o un luogo in cui entri con gli occhi e appendi informazioni, magari riassunte con metafore argute, le poni qua e là dove più ti aggrada; poi, rientrandoci in qualsiasi momento, quando ti pare, e ripercorrendolo come vuoi, potrai ritrovare le tue belle informazioni riposte, schedate e intatte, 12 in questo modo puoi imparare termini neuroscientifici, in realtà gli ipnotisti inducono i pazienti a lavorare non sul corpo, ma sull’immagine mentale e soggettiva di quest’ultimo, ciò che i clinici chiamano «immagine corporea». Questa nozione venne descritta per la prima volta negli anni Trenta da uno psichiatra e allievo di Freud, Paul Schilder, il quale mise in evidenza come l’immagine corporea non coincidesse con il corpo fisico. L’immagine corporea si forma nella mente e viene rappresentata nel cervello, quindi viene proiettata inconsciamente sul corpo. Talvolta i neuroscienziati parlano di «corpo virtuale» per sottolineare il fatto che l’esistenza dell’immagine corporea nel cervello e nella mente è indipendente dal corpo fisico. L’immagine corporea viene formata a partire dalle informazioni provenienti da numerose mappe mentali, che includono la vista ma anche il tatto, il dolore e la propriocezione (ossia la posizione degli arti e del corpo nello spazio) – anzi, da qualunque mappa disponga di informazioni, sensoriali ma anche emotive, sul nostro corpo. Perciò non si tratta solo di tutti gli input inviati al cervello dai vari sensi, ma anche delle idee influenzate dalle emozioni che ciascuno si fa del proprio corpo.” Cfr. anche Norman Doidge, Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza, Ponte alle Grazie, 2009: “Il dolore e l'immagine corporea sono strettamente correlate. Abbiamo sempre esperienza del dolore come proiettato nel corpo. Quando ci pieghiamo e avvertiamo un forte dolore alla schiena, diciamo: «La schiena mi sta uccidendo! », e non: «Il sistema del dolore mi sta uccidendo». Ma come mostrano i fantasmi, non abbiamo bisogno di una parte del corpo e neppure di recettori specifici per sentire dolore. È sufficiente un'immagine corporea, prodotta dalle mappe cerebrali. Normalmente chi non ha subito amputazioni non se ne rende conto, poiché l'immagine corporea degli arti è perfettamente proiettata sugli arti stessi, rendendo impossibile distinguere l'immagine corporea dal corpo. «Il corpo stesso è un fantasma» dice Ramachandran, «qualcosa che il cervello ha costruito per pura convenienza».” 12 Cfr. Joshua Foer, L'arte di ricordare tutto, Longanesi, 2011, e Boris Nikolai Konrad, Il segreto della memoria, Corbaccio, 2018.

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l’ordine di un mazzo di carte in pochi secondi, forse anche studiare, ricordare e magari laurearti in fretta! Sarebbe bello poter disporre di strumenti adatti a farci raggiungere facilmente, o pur con qualche tipo di esercizio, i nostri obiettivi, vero? Di testi che ci promettono miracoli simili il mondo della visualizzazione è pieno! 13 Riportiamo qui qualche esempio, assolutamente a caso, in cui si parla di visualizzazione come competenza essenziale per ottenere qualcosa: Olivia Fox Cabane nel suo Il segreto del carisma 14 insegna diversi esempi di visualizzazione, anche se alla fine ha il buon gusto di dire che, chi non si trova a suo agio a visualizzare, se vuole, può servirsi di alcune frasi che pure prontamente suggerisce. 15

13 Cfr. ad esempio Beau Lotto, Deviate: The scienze of seeing differently, Hachette Books, 2017; Boris Nikolai Konrad, Il segreto della memoria, Corbaccio, 2018, Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare. L'uso delle submodalità nella programmazione neurolinguistica, Astrolabio Ubaldini, 1986; Tony Buzan, Mappe Mentali, Alessio Roberti Editore 2012, Antony Robbins Come ottenere il meglio da sé e dagli altri, Bompiani 1987: “Cominciate col visualizzare come grandi, le cose che volete cambiare, e quindi fate crescere in dimensioni e lucentezza la vostra piccola immagine attraverso fasi di "viaaa!" che vi permetteranno di sperimentarla. Concedetevi il tempo di sperimentarla. Aprite gli occhi. Chiudete gli occhi. Visualizzate ciò che volete cambiare. Visualizzate l'immagine originaria e come desiderate cambiarla. Ripetete il "viaaaa!". Fatelo cinque sei volte, il più rapidamente possibile, ricordando che la chiave del processo è la velocità oltre al fatto di divenirsi nel farlo. Quello che dite al vostro cervello è: visualizza questo "viaaa!", fa' questo, visualizza questo "viaaa!", fa' questo, fa' quello... finché la vecchia immagine automaticamente faccia scattare la nuova immagine, i nuovi stati d'animo e quindi il nuovo comportamento. Adesso proiettatevi la prima immagine, e che cosa accade? Se, per esempio, avete eseguito lo scatto con il modulo dell'onicofagia, quando poi vi immaginate intenti a mordervi le unghie troverete difficile farlo, lo avvertirete come qualcosa davvero contro natura. Se così non accade, dovreste ripetere il modulo, questa volta facendolo con maggior chiarezza.” 14Olivia Fox Cabane, Il segreto del carisma, Sperling & Kupfer 2013: “Se un dato esercizio richiede di chiudere gli occhi e visualizzare una scena, fatelo. Ibidem: La nostra fisiologia risponde quindi alla visualizzazione ben prima che abbia il tempo di subentrare la diffidenza cognitiva. Visualizzare una situazione, peraltro, serve a saltare a piè pari i circuiti cognitivi per andare direttamente ai centri cerebrali delle emozioni.” 15 Ibidem: “Vi è chi riesce a pensare per visualizzazioni con facilità. Altri, invece, sono più sensibili a stimoli uditivi ed ecco quindi un’alternativa alla visualizzazione:

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E se solo volessi migliorare il mio record personale di apnea? o di corsa ad ostacoli? 16 Magari potrei decidere di voler imparare a suonare il piano come racconta Norman Doidge nel suo Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza; bene, anche per questo ci sono delle buone possibilità di riuscita: basta saper visualizzare o usare la nostra immaginazione. Doidge riporta un esperimento 17 in cui venne insegnata una sequenza di note a due gruppi di persone che non avevano mai studiato pianoforte, spiegando loro quali dita muovere e facendo loro sentire le note. I membri del gruppo dell’«esercizio mentale», stavano seduti davanti alla tastiera per due ore al giorno, per cinque giorni, immaginando di suonare e ascoltare. Il gruppo dell' «esercizio fisico», suonava e si esercitava realmente per lo stesso periodo. I due gruppi sono stati sottoposti alla mappatura

selezionate delle frasi chiave su cui concentrarvi. I miei clienti trovano utile un’ampia gamma di frasi diverse, ragion per cui vi cito solo qualche esempio. Sono frasi che possono aiutarvi ad accedere a una maggior calma e serenità. Ce ne sono davvero per tutti i gusti: quindi alcune vi faranno magari venire il nervoso, ma altre risulteranno sicuramente nelle vostre corde: • Tra una settimana, tra un anno, chi se ne ricorderà più? • Prima o poi passerà anche questa. • Guardiamo ai piccoli miracoli che accadono proprio ora. • Che bello, un po’ di confusione. • Fidiamoci dell’Universo anche questa volta.” 16 Olivia Fox Cabane, op. cit. “La visualizzazione. Jack Nicklaus, forse il più grande giocatore di golf di tutti i tempi, ha dichiarato di non aver mai tirato un colpo, neppure in allenamento, senza averlo prima visualizzato. Ormai da decenni, nello sport agonistico la visualizzazione è ritenuta essenziale: gli atleti passano anche ore a visualizzare la vittoria e a ripetersi che risultati fisici vogliono raggiungere. «Abbiamo forti indizi che il solo fatto di immaginarsi intenti in un’azione attivi le aree cerebrali impiegate nella sua reale esecuzione», mi ha spiegato l’esperto di dinamiche comportamentali Stephen Kosslyn, direttore del Center for Advanced Study in Behavioral Sciences di Stanford. Ecco perché la visualizzazione è così efficace: alcuni atleti riferiscono di provare spossatezza fisica dopo un’intensa seduta di visualizzazione. La visualizzazione può addirittura modificare la struttura fisica del cervello: numerosi esperimenti hanno dimostrato che il solo fatto di immaginarsi a suonare il piano con costanza porta a modifiche, rilevabili e misurabili, della corteccia motoria a livello cerebrale.” 17 Norman Doidge, Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza, Ponte alle Grazie 2009

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cerebrale prima, durante e dopo l'esperimento. Alla fine si è verificato che entrambi i gruppi avevano imparato a suonare e mostravano dei cambiamenti simili nelle loro mappe cerebrali. Il solo esercizio mentale aveva prodotto i medesimi cambiamenti fisici nel sistema motorio indotti dall'esercizio fisico, ecco dunque che in questo particolare tipo di allenamento mentale delle dita bisogna davvero capire come usare la propria immaginazione senza immagini! 18

18Cfr. https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/: “There are debates, however, about what this traditional, phenomenological way of zeroing in on motor imagery as the feeling of imagining doing something entails. As it is acknowledged by all involved in this debate, not all imaginative episodes of doing something would count as motor imagery: you somehow need to imagine doing something from a first person, and not a third person perspective. Marc Jeannerod, one of the most important psychologists working on both motor imagery and mental imagery made a distinction (following the practice in sport psychology) between internal (first person) and external (third person) imagery, and only the former would count as motor imagery (the latter would be sensory imagery of me doing something, see Jeannerod 1994, p. 189). Given that motor imagery, just like mental imagery, can be conscious or unconscious (see, for example, Osuagwu & Vuckovic 2014) and it can also be voluntary or involuntary, there has been a tendency to move away from phenomenological characterization. A more inclusive way of understanding motor imagery is supported by the methodological advice by Jeannerod, who writes: “Motor imagery would be related to motor physiology in the same way visual imagery is related to visual physiology” (Jeannerod 1994, p. 189). And here a better understanding of mental imagery can help us with defining motor imagery.” Trad.: “Ci sono dibattiti, tuttavia, su cosa comporti questo modo tradizionale e fenomenologico di concentrarsi sulle immagini motorie come sensazione di immaginare di fare qualcosa. Come è riconosciuto da tutti coloro che sono coinvolti in questo dibattito, non tutti gli episodi immaginativi di fare qualcosa contano come immagini motorie: in qualche modo è necessario immaginare di fare qualcosa da una prospettiva in prima persona, e non in terza persona. Marc Jeannerod, uno dei più importanti psicologi che lavorano sia sulle immagini motorie che sulle immagini mentali, ha fatto una distinzione (seguendo la pratica nella psicologia dello sport) tra immagini interne (in prima persona) ed esterne (in terza persona), e solo il primo conterebbe come motori immagini (queste ultime sarebbero immagini sensoriali di me che faccio qualcosa, vedi Jeannerod 1994, p. 189). Dato che le immagini motorie, proprio come le immagini mentali, possono essere consce o inconsce (vedi, ad esempio, Osuagwu & Vuckovic 2014) e possono anche essere volontarie o involontarie, c'è stata una tendenza ad allontanarsi dalla caratterizzazione fenomenologica. Un modo più inclusivo di comprendere le immagini motorie è supportato dal consiglio metodologico di Jeannerod, che scrive: "Le immagini motorie sarebbero correlate alla fisiologia motoria nello stesso modo in cui le immagini visive sono correlate alla fisiologia

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Giorgio Nardone e Stefano Bartoli 19 nel loro Oltre sé stessi: Scienza e arte della performance propongono la visualizzazione come una tecnica indispensabile dell’allenamento di chi punta a dare il massimo e il meglio di sé, ma non sono i soli, questa concezione ormai è davvero molto comune e diffusa, riconosciuta sia presso la pubblica opinione che presso gli specialisti. 20

visiva" (Jeannerod 1994, p. 189). E qui una migliore comprensione delle immagini mentali può aiutarci a definire le immagini motorie.” 19 Giorgio Nardone, Stefano Bartoli, Oltre sé stessi: Scienza e arte della performance, Ponte alle Grazie, 2019: “La trance ipnotica è divenuta fondamentale nel «training immaginativo». In questa tecnica il soggetto, in stato di trance ipnotica, immagina la sequenza della prestazione che dovrà eseguire, amplificandone la sensazione e rendendola un’azione fluida e priva di alcun irrigidimento fisico e mentale. All’inizio degli anni Ottanta del Novecento, Michael Mahoney, uno dei fondatori della moderna psicologia dello sport e fra i più importanti esponenti del cognitivismo, in una rassegna sul tema offre un’ampia e documentata esposizione dell’efficacia e applicabilità di questa tecnica. Oggi le visualizzazioni in stato ipnotico della prestazione rappresentano, nelle loro numerose varianti, una componente essenziale del repertorio tecnico dei mental coach”. Ibidem: “Alessandro Magno, educato dalla madre ai culti magico-esoterici, prima di ogni scontro praticava rituali propiziatori specifici che comprendevano anche visualizzazioni anticipatorie delle sue gesta. Si narra che la notte prima di una battaglia, mentre era impegnato nella campagna per la conquista dell’India, il condottiero avesse visto in un sogno-trance il sacrificio del suo cavallo Bucefalo. Durante lo scontro l’animale finì davvero per proteggere Alessandro dalla lancia del re indiano Poro, venendone trafitto e ucciso. Alessandro affrontò Poro e lo sconfisse grazie a un fendente che colpì il nemico all’arteria femorale. Il re macedone salvò Poro dalla morte per dissanguamento e, da nemico che era, lo rese suo rispettoso alleato e satrapo del suo impero. Nel suo Risorgere e vincere lo schermidore Aldo Montano racconta del nostro lavoro sul suo blocco della performance e come questo prese avvio proprio dai suoi rituali pre-gara, i quali avevano smesso di essere funzionali all’ingresso nello stato di grazia atletica, trasformandosi in una serie di compulsioni sempre più articolate. Azzerare questa ritualità disfunzionale, sostituendola con esercizi di visualizzazione ipnotica, fu una delle modalità fondamentali per riattivare le sue formidabili capacità e consentirgli di tornare a vincere.” 20 Cfr. Mélissa Fox-Muraton (2020): A world without imagination? Consequences of aphantasia for an existential account of self, History of European Ideas, DOI: 10.1080/01916599.2020.1799553 Cfr. anche https://www.physio-pedia.com/Mental_Imagery Vedi come altro esempio: https://www.performatsalute.it/blog/mental-imagerynuova-prospettiva-nello-sport/ “Nella psicologia dello sport è sempre più utilizzato il training mentale: una tecnica di allenamento, che si avvale dell’immaginazione

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Si tratta di una manciata di esempi, e gli autori citati sono delle autorità nei loro campi; ovviamente potremmo continuare a nominarne degli altri per molte e molte pagine, perché la visualizzazione non è mai stata tanto di moda come oggi. Eppure anche Cicerone 21 come abbiamo visto in apertura, ne aveva parlato mentre si preoccupava di spiegare il modo migliore per usare le similitudini, e Sir Francis Galton, a cui dobbiamo il classico esempio del tavolo della colazione che abbiamo già incontrato e che vedremo meglio in seguito, uomo dai molteplici interessi intellettuali, scrittore prolifico e cugino di Charles Darwin, aveva iniziato a studiarla con metodi statistici, allora ai loro albori, tentandone una preliminare classificazione e avvertendo il mondo che forse non tutti avevano questa capacità di vedere cose con

motoria, ovvero della simulazione mentale di un movimento. L’immaginazione mentale è quella riproduzione di contenuti cognitivi, che ciascuno di noi compie nella propria mente, senza la presenza di uno stimolo reale. Per un atleta usare l’immaginazione motoria vuol dire immaginare di compiere un movimento, di vivere e magari vincere una gara, senza che questo accada realmente. Si tratta di una simulazione, in cui la mente dell’atleta immagina come eseguire al meglio un movimento, quali emozioni possano pervaderlo, come gestire l’ansia da prestazione e il nervosismo. Il Mental Imagery consente, quindi, di creare la rappresentazione della prestazione che si intende raggiungere, allenando la mente all’esecuzione del movimento, eliminando man mano gli errori e le eventuali emozioni negative (ansia, paura, rabbia) legate alla performance sportiva. Si rappresenta mentalmente la prestazione motoria e si sviluppa questa capacità di Mental Imagery in un ripetuto allenamento ideomotorio, che migliora l’esecuzione reale. Di fatto, si crea una sincronicità tra allenamento reale e immaginato: vi è una eguale attivazione cerebrale, sia che il movimento venga immaginato, sia che venga realmente messo in atto (Halpern, 2001; Gibbs e Berg, 2002). Riprodurre mentalmente la performance sportiva attiva le aree cerebrali motorie, il sistema cardiocircolatorio e respiratorio e stimola delle reazioni viscerali, allo stesso modo dell’esecuzione reale del movimento. La ripetizione mentale della performance sportiva determina una migliore esecuzione e una maggiore padronanza del movimento, attivando un circolo virtuoso, in cui diminuisce l’ansia da prestazione, aumenta l’attenzione e la concentrazione, con un conseguente aumento della fiducia e dell’autostima. L’imagery training rappresenta, quindi, un’importante risorsa per l’atleta, unitamente all’allenamento fisico: associare l’allenamento ideomotorio all’allenamento fisico migliora notevolmente la prestazione. A parità di preparazione atletica, in una performance sportiva la differenza tra un atleta mediocre e un atleta di successo sembra risiedere, infatti, proprio nella dimensione psicologica.” 21Cicerone, De oratore, Liber III.41 https://books.google.com.au/books?id=XCU9AAAAcAAJ&pg=PA535#v=onepage&q&f=false

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l’occhio della propria mente; e che, magari, non tutti erano in grado di visualizzare, e questo si sapeva già dall’Ottocento. Sappiamo anche che lo stesso Galton non era molto bravo a visualizzare ma che il cugino Charles Darwin aveva descritto un ottimo tavolo di colazione! Nel corso degli anni poi, di persone che non visualizzavano e di visualizzazione in generale, non se ne è più parlato. O se ne è parlato poco, e solo da specialisti, e per cercare di indagare il fenomeno in se stesso, a volte anche riferendosi a casi in cui poche persone, in seguito a traumi o malattie, riportavano danni tali da non essere più in grado di visualizzare. Occorre qui sottolineare che si è sempre dato per scontato che il visualizzare fosse un’esperienza in qualche modo comune a tutti. Chissà come mai. Procediamo con quanto ci ricorda Wikipedia, alla voce Mental Image: The nature of these experiences, what makes them possible, and their function (if any) have long been subjects of research and controversy in philosophy, psychology, cognitive science, and, more recently, neuroscience. As contemporary researchers use the expression, mental images or imagery can comprise information from any source of sensory input; one may experience auditory images, olfactory images, and so forth. However, the majority of philosophical and scientific investigations of the topic focus upon visual mental imagery. It has sometimes been assumed that, like humans, some types of animals are capable of experiencing mental images. Due to the fundamentally introspective nature of the phenomenon, it has been difficult to assess whether or not non-human animals experience mental imagery. 22

Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Mental_image, Trad.: “La natura di queste esperienze, ciò che le rende possibili e la loro funzione (se presente) sono state a lungo oggetto di ricerca e controversia in filosofia, psicologia, scienze cognitive e, più recentemente, nelle neuroscienze. Nel modo in cui i ricercatori contemporanei usano l'espressione, le immagini mentali o le immagini possono comprendere informazioni da qualsiasi fonte di input sensoriale; si possono sperimentare immagini uditive, immagini olfattive, e così via. Tuttavia, la maggior parte delle indagini filosofiche e scientifiche sull'argomento si concentra sulle immagini visive mentali. A

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Fenomeno umano e introspettivo, noi diremo anche autoriferito o autodiagnosticato, e concentrato soprattutto sull’aspetto visivo. Sembra dunque scontata e comune questa capacità diffusa di immaginare, nonostante non lo sia davvero, e poi capita anche che, fra chi visualizza, si inizi a dubitare che tale capacità, intatta e incorrotta, possa continuare ad essere prerogativa originale dell'umanità. Persone che, come Peter Mendeldsun, si chiedono se per caso la nostra capacità di immaginare non si stia atrofizzando, 23 o come Italo Calvino che già prima si interrogava sul rischio, oggi ancor più presente

volte è stato ipotizzato che, come gli esseri umani, alcuni tipi di animali siano in grado di sperimentare immagini mentali. A causa della natura fondamentalmente introspettiva del fenomeno, è stato difficile valutare se animali non umani sperimentano o meno immagini mentali”. 23 Peter Mendelsund, What We See When We Read, Random House USA Inc, 2014, “If one reader might imagine better or worse than another reader, then can one culture be better at imagining than another? Are the muscles we use to imagine growing weaker as our culture ages? Before the age of photography and film did we picture better, more clearly, than we do now? Our mnemonic skills are atrophying and I wonder if our visual creativity might be as well. Our culture’s visual overstimulation is widely discussed, and the conclusions drawn from the fact of this overstimulation are alarming. (Our imaginations are dying, some say.) Whatever the relative health of our imaginations, we still read. The rapid proliferation of the image has not kept us from the written word. And we read because books bestow upon us unique pleasures; pleasures that films, television, and so on cannot proffer. Books allow us certain freedoms—we are free to be mentally active when we read; we are full participants in the making (the imagining) of a narrative. Or, if it is true that we cannot advance beyond a vague sketchiness in our imaginings, then maybe this is a crucial component of why we love written stories. Which is to say that sometimes we only want to see very little.” Trad.: “Se un lettore può immaginare meglio o peggio di un altro lettore, allora una cultura può essere più brava a immaginare di un'altra? I muscoli che usiamo per immaginare si indeboliscono con l'invecchiamento della nostra cultura? Prima dell'era della fotografia e del cinema immaginavamo meglio, in modo più chiaro, di quanto facciamo ora? Le nostre capacità mnemoniche si stanno atrofizzando e mi chiedo se potrebbe farlo anche la nostra creatività visiva. La sovrastimolazione visiva della nostra cultura è ampiamente discussa e le conclusioni tratte da questa sovrastimolazione sono allarmanti. (La nostra immaginazione sta morendo, dicono alcuni.) Qualunque sia la salute relativa della nostra immaginazione, leggiamo ancora. La rapida proliferazione dell'immagine non ci ha distolti dalla parola scritta. E leggiamo perché i libri ci regalano piaceri unici; piaceri che i film, la televisione e così via non possono offrire. I libri ci consentono certe libertà: siamo liberi di essere mentalmente attivi quando leggiamo; siamo partecipanti a pieno titolo alla realizzazione (l'immaginazione) di una narrazione. Oppure, se è vero che

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di allora, di perdere la nostra umana capacità di immaginare sommersi come siamo da immagini spazzatura, 24 annegati nel mare di un immaginario globale, preconfezionato, standardizzato (e a me verrebbe da parlare di cibo-spazzatura anche per le immagini) che ha allagato ogni campo della nostra esperienza. È finito, pare, il tempo in cui gli europei si ritrovavano insieme a guardare la TV nello stesso momento con l’Eurovisione o in occasione di particolari eventi sportivi e le televisioni col loro immaginario collettivo erano questioni nazionali. Oggi vedono tutti le stesse cose, nelle loro lingue, ma non tutti ne sono contenti. 25 Un’altra buona domanda per noi, allora, sarebbe quella di chiederci pure perché poi permettiamo che tale invasione avvenga, in un’epoca fatta di immagini, sì, ma che sappiamo talvolta essere persino immagini contraffatte, false, in cui spesso non è nemmeno chiaro cosa venga rappresentato sulla base di come l’immagine viene presentata o tagliata o censurata, o se sia vero quel che essa pare descrivere in base al suo contesto, che può essere a sua volta manipolato o confuso in molte maniere. Andiamo allora a dare un’occhiata più da vicino alla mente degli altri e a vedere come si è ripreso a parlare oggi di chi visualizza, e di chi invece no.

non possiamo andare oltre una vaga approssimazione nella nostra immaginazione, allora forse questa è una componente cruciale del motivo per cui amiamo le storie scritte. Vale a dire che a volte vogliamo solo vedere molto poco.” 24 Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti, 1988: “quale sarà il futuro dell’immaginazione in quella che si suole chiamare «la civiltà dell’immagine»?” Cfr. Capitolo 5, Immaginazione e creatività. 25Cfr. https://www.economist.com/europe/2021/03/31/how-netflix-is-creating-acommon-european-culture E lasciando da parte le diverse considerazioni che altri han fatto e fanno riguardo al vivere nell’era dell’immagine e sulla eventuale progressiva perdita delle immagini vivendo noi in questa epoca, a me ha fatto impressione leggere questo articolo dell’Economist del marzo 2021 in cui si parlava di Netflix come di un progetto ambizioso per uniformare o creare una sorta di immaginario comune europeo.

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Capitolo 2 Come si è ri-scoperta l’afantasia e come la si è vissuta nel tempo.

The particular branch of the inquiry to which this memoir refers, is Mental Imagery; that is to say, I desire to define the different degrees of vividness with which different persons have the faculty of recalling familiar scenes under the form of mental pictures, and the peculiarities of the mental visions of different persons. (Statistics of Mental Imagery Francis Galton 26 (1880) First published in Mind, 5, 301-318.)

Spiegarla a chi non la conosce a volte risulta un’impresa. 27

26Francis

Galton, Statistics of Mental Imagery, Mind, Volume os-V, Issue 19, 1 July 1880, Pages 301–318, https://doi.org/10.1093/mind/os-V.19.301 Trad.: “Il ramo particolare dell'indagine a cui si riferiscono queste note è l'immaginario mentale; voglio cioè definire i diversi gradi di vividezza con cui persone diverse hanno la facoltà di rievocare scene familiari sotto forma di immagini mentali, e le peculiarità delle visioni mentali di persone diverse.” Cfr. anche https://psychclassics.yorku.ca/Galton/imagery.htm 27 Dall’ Introduzione di Adam Zeman al libro di Alan Kendle, Aphantasia: “Experiences, Perceptions, and Insights, Dark River, 2017: “The term ‘aphantasia’ definitely came into being over those cups of Darjeeling, but was the phenomenon really new to science? Not, in fact, strictly new, but certainly strangely neglected. Dr. Michaela Dewar, coauthor of our 2015 paper, pointed me to the previous work of Sir Francis Galton, who devised the first questionnaire probing the vividness of visual imagery in the late nineteenth century. Using his ‘breakfast table questionnaire’, which invites you to score the ‘illumination, definition and colouring’ of your recollected image of your ‘breakfast table as you sat down to it this morning’, Galton recognised that the vividness of imagery was extremely variable. A small handful of those he surveyed claimed to have ‘no power of visualising’. But although visual imagery, in general, had received its fair share of scientific attention during the 20th century, the existence of people who lacked this ability entirely was oddly unacknowledged. There was one honourable exception: an American psychologist, Bill Faw, himself a lifelong ‘wakeful non-imager’, had administered a vividness questionnaire to around 2,500 people, estimating that 2-3% may lack a mind’s eye. This work apart, aphantasia had been a

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Spiegarsi capirsi o conoscersi fra coloro che visualizzano o hanno esperienza di immagini mentali, 28 e coloro che non visualizzano, e

blind spot in the eye of imagery science – and this hurt! Many of our contacts describe paying regular visits to the web to see whether anyone was studying this underresearched quirk of their psychology; the arrival of ‘aphantasia’ opened a door to further dialogue and exploration.” Trad.: “Il termine "aphantasia" è sicuramente nato su quelle tazze di Darjeeling, ma il fenomeno era davvero nuovo per la scienza? Non, infatti, rigorosamente nuovo, ma certamente stranamente trascurato. La dottoressa Michaela Dewar, coautrice del nostro articolo del 2015, mi ha indicato il lavoro precedente di Sir Francis Galton, che ha ideato il primo questionario per sondare la vividezza delle immagini visive alla fine del diciannovesimo secolo. Utilizzando il suo "questionario sul tavolo della colazione", che ti invita a valutare "l'illuminazione, la definizione e il colore" della tua immagine ricordata del tuo "tavolo della colazione a cui eri seduto stamattina", Galton ha riconosciuto che la vividezza delle immagini era estremamente variabile . Una piccola manciata di coloro che ha intervistato ha affermato di "non avere il potere di visualizzare". Ma sebbene le immagini visive, in generale, abbiano ricevuto una buona dose di attenzione scientifica durante il 20° secolo, l'esistenza di persone che non avevano completamente questa capacità era stranamente non riconosciuta. C'era un'eccezione onorevole: uno psicologo americano, Bill Faw, lui stesso un "vigile non-imager" per tutta la vita, aveva somministrato un questionario sulla vividezza a circa 2.500 persone, stimando che il 2-3% potrebbe non avere l'occhio della mente. A parte questo lavoro, l'aphantasia era stata un punto cieco nell'occhio della scienza delle immagini – e questo era un male! Molti dei nostri contatti descrivono di aver visitato regolarmente il web per vedere se qualcuno stesse studiando questa stranezza poco studiata della loro psicologia; l'arrivo di "aphantasia" ha aperto una porta per ulteriori dialoghi ed esplorazioni” 28 Si è scritto molto su cosa si possa descrivere e chiamare immagine mentale, e la letteratura sull’argomento è molto ricca; per riassumere lo stato attuale riguardante le immagini mentali in psicologia, psichiatria e neuroscienze, ecco una possibile definizione trovata in Joel Pearson Thomas Naselaris Emily A.Holmes Stephen M.Kosslyn, Mental Imagery: Functional Mechanisms and Clinical Applications, Trends in Cognitive Sciences, October 2015, Vol. 19, No.10 Pages 590-602, https://doi.org/10.1016/j.tics.2015.08.003: “We use the term ‘mental imagery’ to refer to representations […] of sensory information without a direct external stimulus” In breve, si tratterebbe di una rappresentazione percettiva non innescata direttamente da input sensoriali (o un'elaborazione percettiva che coinvolge la rappresentazione non innescata direttamente da input sensoriali...). In generale e qui, per capirsi, si dice immagine mentale l'esperienza che assomiglia in modo significativo all'esperienza di "percepire" qualche oggetto, evento o scena, ma si verifica quando l'oggetto, l'evento o la scena in questione non è effettivamente presente ai sensi. Per altra letteratura sul dibattito riguardante le immagini mentali cfr. Pylyshyn, Z.W. (1973), What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery, in: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of

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pertanto non hanno esperienza delle cosiddette immagini mentali è davvero difficile, perché resta sempre il fatto che si parla di esperienze personali, non condivisibili, non misurabili, sebbene in qualche recente esperimento si stia anche tentando di rintracciare eventuali differenze su basi organiche fra i diversi gruppi di persone, 29 le loro esperienze rimangono ugualmente esperienze autoriferite, faticose da descrivere e dimostrare a chi per forza di cose vive la sua propria e unica esperienza e non potrebbe nemmeno fare diversamente. Insomma in questo come in nessun altro caso possiamo riconoscere come ciascuno parli con la sua voce soggetta a molteplici interpretazioni e soggetta a pregiudizi di ogni genere o, parafrasando Daniel Dennett, ognuno racconta il suo sé e noi siamo le nostre costruzioni narrative, le storie che raccontiamo a noi stessi. 30

Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1. Cfr. anche Zenon W. Pylyshyn, Mental imagery: In search of a theory, Behavioral and Brain Sciences , Volume 25 , Issue 2 , April 2002 , pp. 157 – 182 DOI: https://doi.org/10.1017/S0140525X02000043. Ricordiamo ancora anche che i ricercatori contemporanei usano l'espressione immagini mentali ma esse possono comprendere informazioni da qualsiasi fonte di input sensoriale; quindi si possono sperimentare immagini uditive, immagini olfattive, ecc. 29 Cfr. Joel Pearson, New Directions in Mental-Imagery Research: The BinocularRivalry Technique and Decoding fMRI Patterns, https://doi.org/10.1177/0963721414532287 Vedi anche Rebecca Keogh, Joel Pearson, The blind mind: No sensory visual imagery in aphantasia DOI:10.1016/j.cortex.2017.10.012 Lachlan Kay, Rebecca Keogh, Thomas Andrillon, Joel Pearson, The pupillary light response as a physiological index of aphantasia, sensory and phenomenological imagery strength, https://doi.org/10.7554/eLife.72484, Vedi anche Pupils Can Detect Aphantasia AMA with Prof Joel Pearson, https://www.youtube.com/watch?v=xL7YmEuNffE. 30 In Lajos Brons, What is it like to remember something? SDAM, aphantasia, and the role of imagery in memory, 2018. https://www.academia.edu/35252937/What_is_it_like_to_remember_something_SDAM_aphantasia_and_the_role_of_imagery_in_memory. http://www.lajosbrons.net/wp/imagery-memory.pdf Cfr. Anche Dennett, Daniel (1992), “The Self as a Center of Narrative Gravity,” in: F.S. Kessel, P.M. Cole & D.L. Johnson (eds.), Self and Consciousness: Multiple Perspectives (Lawrence Erlbaum), 103–115.

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Per una prima prima definizione di Aphantasia partiamo allora da Wikipedia italiana, l'enciclopedia libera, e per inciso vorrei qui far notare che quando anni fa scrissi la voce italiana avevo tentato di chiamarla Aphantasia, ma mi venne corretta in Afantasia, ancora oggi non so se questo sia stato un bene o un male, male per la ricerca, intendo, oltre che per le possibili confusioni che si sarebbero potute generare, ad ogni modo eccone il testo: «L'afantasia è la condizione della mente che non è capace di visualizzare nessuna immagine mentale, come se l'occhio della mente fosse completamente cieco. Il termine inglese aphantasia è stato proposto dal professor Adam Zeman dell'università di Exeter che ha pubblicato l'unico studio attualmente disponibile sull'argomento. Il termine "afantasia" significherebbe esattamente il contrario della parola greca phantasia (a-phantasia, con alfa privativo) con la quale Aristotele definiva il potere dell'immaginazione della mente umana. Il fenomeno è stato descritto da Francis Galton nel 1880, ma è rimasto in gran parte non studiato da allora. Ad alcune persone manca completamente, o in parte, la capacità di visualizzare o di richiamare nella propria mente immagini, parole, suoni, sapori, odori, altro. Lo studio, pubblicato dal team di ricercatori della University of Exeter Medical School sulla rivista di neuroscienze Cortex, ne esplora per la prima volta la natura: in alcune persone congenita, in altre connessa a patologie pregresse o interventi chirurgici avvenuti in precedenza. Storia. Il fenomeno è stato descritto da Francis Galton nel 1880 in uno studio statistico sulle immagini mentali. Tuttavia, è rimasto in gran parte non studiato fino al 2005, quando il professor Adam Zeman dell'Università di Exeter è stato contattato da un uomo che sembrava aver perso la capacità di visualizzazione dopo aver subito un piccolo intervento chirurgico. Un team guidato dal professor Zeman ha pubblicato i suoi risultati nel 2015 e si è rinnovato l’interesse per il fenomeno che ora è chiamato Aphantasia. Le ricerche su questo argomento sono ancora scarse, ulteriori studi sono in programma. 31»

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https://it.wikipedia.org/wiki/Afantasia.

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Riascoltiamo anche le parole del professor Zeman 32 che le ha dato il nome e che ci spiega il come e il perché della sua decisione: «We coined the term “aphantasia” in 2015 to refer to the absence of the mind’s eye, the inability to visualize (Zeman, Dewar, and Della Sala, 2015). The term owes a debt to Aristotle, who described the capacity for visual imagery as “phantasia” (Aristotle, 1968): the “a” in aphantasia denotes its absence, by analogy with “aphasia,” the absence of language, or “amnesia,” the absence of memory. A convenient term was needed as the preceding literature had used unwieldy phrases for the same purpose such as “defective visualisation” (Botez, et al., 1985) and “visual irreminiscence” (Nielsen, 1946). We employed the word initially to describe a small group of individuals who had never been able to visualize, with lifelong or “congenital” aphantasia. Although the term was new, the phenomenon was not. In this contribution I first describe the “prehistory” of aphantasia: the scanty literature on lifelong absence of the mind’s eye, and the much richer literature on “acquired aphantasia,” the loss of the mind’s eye due to neurological or psychiatric disorder, preceding the creation of the term “aphantasia.”.»

Cfr. Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman, Cambridge University Press 2020. Trad.: Abbiamo coniato il termine "aphantasia" nel 2015 per riferirci all'assenza dell'occhio della mente, all'incapacità di visualizzare (Zeman, Dewar e Della Sala, 2015). Il termine è debitore di Aristotele, che definì “phantasia” la capacità di immaginare visivamente (Aristotele, 1968): la “a” in aphantasia ne denota l'assenza, per analogia con “afasia”, assenza di linguaggio, o “amnesia ”, l'assenza di memoria. Era necessario un termine conveniente poiché la letteratura precedente aveva utilizzato frasi ingombranti per lo stesso scopo come "visualizzazione difettosa" (Botez, et al., 1985) e "irreminiscenza visiva" (Nielsen, 1946). Inizialmente abbiamo utilizzato la parola per descrivere un piccolo gruppo di individui che non erano mai stati in grado di visualizzare, con aphantasia permanente o "congenita". Sebbene il termine fosse nuovo, il fenomeno non lo era. In questo contributo descrivo innanzitutto la "preistoria" dell'afantasia: la scarsa letteratura sull'assenza permanente dell'occhio della mente e la letteratura molto più ricca sull'"afantasia acquisita", la perdita dell'occhio della mente dovuta a disturbi neurologici o psichiatrici, che precede il creazione del termine “aphantasia”.» 32

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A Sir Galton, di cui abbiamo già parlato, si riconosce il merito di aver creato la prima tecnica di misurazione della vividezza delle immagini col “questionario sul tavolo della colazione” che invitava i partecipanti a segnare il grado di illuminazione, la definizione e la colorazione dell’immagine, ma in effetti, come lo stesso prof. Zeman sottolinea, 33 nel secolo scorso anche altri si erano occupati di Aphantasia, come ad esempio lo psicologo americano Bill Faw, che pare non abbia lasciato molti dettagli sui suoi studi che riportavano una media del 2,1-2,7% di persone prive di immagini visive su un totale di 2500 partecipanti.

33 Ibidem, Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman - Cambridge University Press 2020. Cfr. anche l’introduzione di Zeman al libro di Alan Kendle, Aphantasia: Experiences, Perceptions, and Insights, Dark River, 2017, dove il prof Zeman cita Bill Faw che a sua volta richiama anche Image and Brain The Resolution of the Imagery Debate di Stephen M. Kosslyn.

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Alla fine del secolo scorso ci si focalizzava soprattutto sull’aspetto del contenuto mentale 34 e, mentre il dibattito degli anni 70 si concentrava sull’aspetto cognitivo della visualizzazione stessa, e Kosslyn 35 si concentrava sui molteplici meccanismi, processi e sulle basi neurologiche che intercorrono nella formazione delle immagini mentali: percezione, memoria, abilità di scansire, identificare, manipolare e ruotare oggetti, oltre che di disegnarli mentalmente anche non avendone mai visti di uguali, ecc., senza tuttavia evidenziare che tale status non descrive la totalità delle esperienze umane; per Bill Faw, che descriveva se stesso come un "natural wakeful nonimager", 36 la capacità di visualizzare è correlata alla percezione, alla visione, alla prevalenza di verbalizzazione che potrebbe inibire in qualche modo la capacità di visualizzare; al sogno, alla veglia: il discrimine importante appare sempre e comunque la volontarietà del visualizzare, contro

34Joseph

LeDoux - Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quello che siamo, Cortina Raffaello, 2002: “Un’idea, un’immagine, una sensazione, un sentimento: tutti esempi di quello che gli psicologi chiamano contenuto mentale - cose che sono nella mente. Il contenuto mentale era l’argomento d’interesse della psicologia sperimentale, quando è per la prima volta apparsa come disciplina, sul finire del diciannovesimo secolo. Ma John Watson e i suoi collaboratori comportamentisti sostituirono l’attenzione agli stati soggettivi con una psicologia amentalistica di eventi oggettivamente misurabili (stimoli e risposte). Quando la rivoluzione cognitivista, più tardi, ha reso nuovamente alla mente la sua dignità scientifica, non lo ha fatto riproponendo una psicologia soggettivista. Il processo di pensiero stesso, piuttosto che il contenuto cosciente che risulta dal pensiero, è diventato, e in larga parte rimane, l’oggetto dell’interesse del cognitivismo. “Perché una mente pensi, deve destreggiarsi con i frammenti dei suoi stati mentali.” Questa semplice asserzione di Marvin Minsky, uno degli artefici della branca della scienza cognitiva nota come intelligenza artificiale, porta dritto al cuore della questione. Immaginate, come suggerisce Minsky, di cambiare la disposizione dei mobili in una stanza a voi familiare. Spostate la vostra attenzione avanti e indietro da un punto all’altro. Si mettono a fuoco differenti idee e immagini, e alcune sospendono le altre. Raffrontate e contrapponete sistemazioni alternative. Un istante potete concentrare tutta la vostra attenzione su un piccolo dettaglio, e subito dopo sull’intera stanza. Come fa la mente a esibirsi in una tale ginnastica, e come fa a serbare traccia dei cambiamenti puramente immaginari? La risposta è che la mente si rifa alla cosiddetta memoria di lavoro.” 35 Kosslyn, Stephen M. Image and brain: The resolution of the imagery debate. MIT press, 1996. 36 Bill Faw, Outlining a Brain Model of Mental Imaging Abilities, Neuroscience and Biobehavioral Reviews, Vol. 21, No. 3, pp. 283-288, 1997, https://doi.org/10.1016/S0149-7634(96)00026-7.

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l’emersione spontanea e incontrollata di immagini che potrebbero apparire all’occhio della mente senza alcun tipo di controllo da parte di chi ne fa esperienza, e sempre con una chiara distinzione fra immagini mentali e allucinazioni, e fra immagini mentali e sogni lucidi. 37 Secondo il professor Zeman l’aphantasia potrebbe essere congenita, oppure neurogena o acquisita in seguito a traumi o incidenti, psicogena. Certo non patologica. 38 Certamente ci sono delle differenze tra aphantasia congenita (e forse quindi anche ereditaria e genetica) e aphantasia acquisita. Molti dei ricercatori che negli ultimi anni si stanno occupando di aphantasia hanno posizioni diverse, secondo alcuni ci sarebbero addirittura dei dubbi sulla stessa esistenza di un’esperienza come quella della aphantasia, altri prospettano l’ipotesi di un occhio della mente “inconscio”, 39 secondo alcuni si tratta solo di una condizione in cui si

37 Le differenze tra queste modalità di sperimentare le immagini sono notevoli, in generale si può essere aphantasici e sognare, ma non essere aphantasici ed esperire sogni lucidi. Per i sogni lucidi cfr. Cecily M. K. Whiteley, Aphantasia, imagination and dreaming, https://doi.org/10.1007/s11098-020-01526-8 38 Aleksandr R. Luria, Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, Il Mulino 1977 pag 263: “In condizioni normali l'immagine visiva, che è luminosa e approssimativamente eidetica in alcuni luoghi ma fosca e indistinta in altri, viene evocata prontamente da una semplice parola che denota l'oggetto corrispondente; con il tempo, sottosta a certi cambiamenti, sia mutandosi in una forma piu generalizzata, che evidenziando caratteristiche distintive definite con maggior chiarezza [Solov'ev 1966]. In condizioni normali sono sconosciuti i casi di assenza completa delle immagini visive evocabili per mezzo di parole che denotano gli oggetti. Tuttavia, un'incapacità totale a formare un'immagine visiva di un oggetto denotato da una parola, nonostante la adeguata conservazione dell'oggetto percepito visivamente, è una condizione familiare nella patologia del cervello. Come abbiamo visto, lesioni dei lobi temporo-occipitali dell'emisfero sinistro hanno frequentemente come risultato situazioni in cui il soggetto capisce il significato di una parola, sebbene la parola non susciti un'immagine visiva distinta” [...] Tale inabilità fu descritta originariamente da Lissauer [ 1898] sotto il nome di cecità mentale associativa, che egli distinse dall'agnosia ottica (o cecità mentale appercettiva) già descritta. I meccanismi che stanno alla base della cecità mentale associativa non sono stati ancora spiegati, sebbene alcuni risultati suggeriscano che il difetto sottostante può essere un disturbo dei sistemi delle connessioni tra la corteccia visiva e quella non visiva [Geschwind 1965]. Tuttavia, ho osservato frequentemente una forma di questo disturbo in pazienti con lesioni delle zone parieto-occipitali dell'emisfero destro (non dominante).” 39 Cfr. Pearson, J. The human imagination: the cognitive neuroscience of visual mental imagery. Nat Rev Neurosci 20, 624–634 (2019). https://doi.org/10.1038/s41583-

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crede di non poter visualizzare pur essendo capaci di farlo e secondo altri ci si rifiuta di visualizzare, e tutto questo forse in seguito a grande stress o traumi, c’è anche chi pensa che agli aphantasici non manchi l’occhio della mente ma semplicemente non si accorgano di avere uno. 40 Il punto è che la scienza non riesce a spiegarsi al momento come faccia una persona che si riconosca come afantasica a sapere quante finestre ha la sua casa, a ricordare il colore degli occhi dei suoi cari, a descrivere la casa delle vacanze o della fanciullezza, a riconoscere un’immagine ruotata o a ruotarla, a sapere quale forma geometrica è racchiusa in una A maiuscola, a sapere se è più scuro il verde degli spinaci o il verde esterno dell’avocado! 41 Secondo il prof. Zeman, le immagini mentali non solo l’unico modo di elaborare informazioni visive, e potrebbe anche non essere il migliore; in molte delle sue dichiarazioni e interviste il professore ha descritto l’aphantasia non come un’incapacità o una memomazione, o un’assenza di qualcosa; ma come una delle diverse forme di esistere della condizione umana. E queste affermazioni potrebbero essere di aiuto e sostegno a molti aphantasici che si credono menomati e soffrono per quella che loro credono sia una condizione di invalidità. C’è da ricordare ad ogni modo che l’aphantasia stessa pare essere uno spettro e le differenze tra coloro che dicono di non poter visualizzare alcunché e quelli che vedono immagini sia pur deboli possono essere abissali. 42

019-0202-9 e vedi pure Nanay B. 2021 Unconscious mental imagery. Phil. Trans. R. Soc. B 376: 20190689. https://doi.org/10.1098/rstb.2019.0689 40 Su queste varie posizioni cfr. Stefania de Vito, Paolo Bartolomeo Refusing to imagine? On the possibility of psychogenic aphantasia. A commentary on Zeman et al. Cortex, 2015. 41 https://www.newscientist.com/article/2083706-my-minds-eye-is-blind-so-whatsgoing-on-in-my-brain/ 42 Cfr. l’accostamento al “daltonismo” in Francis Galton, Statistiche di immagini mentali, (1880) in Mind , 5 , 301-318: “To my astonishment, I found that the great majority of the men of science to whom I first applied, protested that mental imagery was unknown to them, and they looked on me as fanciful and fantastic in supposing that the words 'mental imagery' really expressed what I believed everybody supposed them to mean. They had no more notion of its true nature than a colour-blind man

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Il fatto, secondo me, è che molti afantasici riconducono comunque alla loro condizione di aphantasia, altri sintomi o difficoltà che non esistono per tutti gli altri afantasici, e che dal mio punto di vista possono essere relazionati solo in parte all’aphantasia, dal momento infatti che fra coloro che si dichiarano afantasici puri, quindi alla stadio zero del visualizzare, quello per intenderci in cui si vede tutto nero, e né luci né forme, nero e basta, vi sono moltissimi che il più delle volte vivono tranquillamente le loro vite, hanno vite soddisfacenti e di successo; imparano, ricordano, lavorano e hanno capacità in tutto e per tutto uguali, nei test e nelle sfide diverse della vita, a chiunque altro. Basterebbero queste evidenze soltanto a porre fine alle infinite richieste di persone che scoprendosi aphantasiche e ritrovandosi anche con molte altre limitazioni in mano, auspicherebbero di poter imputare alla loro aphantasia ogni altro difetto o sintomo in cui si trovano invischiati solo per potersene fare una ragione e compiangersi. Alcuni riferiscono di non poter riconoscere dei volti, (prosopagnosia, o prosopoagnosia) altri sono carenti nelle loro memorie personali. 43 Ma in effetti la realtà delle esperienze riferite da molti altri pare invece

who has not discerned his defect has of the nature of colour. They had a mental deficiency of which they were unaware, and naturally enough supposed that those who were normally endowed, were romancing.” Trad.: «Con mio stupore, ho scoperto che la grande maggioranza degli uomini di scienza a cui mi sono rivolto per la prima volta, protestava che le immagini mentali erano loro sconosciute e mi consideravano fantasioso e fantastico nel supporre che le parole "immagini mentali" esprimessero davvero quello che credevo che tutti credessero che volessero dire. Non avevano più nozione della sua vera natura di quanto un uomo daltonico che non ha discernuto il suo difetto abbia della natura del colore. Avevano una deficienza mentale di cui non erano consapevoli e, abbastanza naturalmente, supponevano che coloro che erano normalmente dotati stessero “romanzando”.» Aneddoto riportato anche da Keogh R, Pearson J, The blind mind: No sensory visual imagery in aphantasia, CORTEX (2017), https://doi.org/10.1016/j.cortex.2017.10.012. 43 Cfr. Lajos Brons, What is it like to remember something? SDAM, aphantasia, and the role of imagery in memory, 2018. https://www.academia.edu/35252937/What_is_it_like_to_remember_something_SDAM_aphantasia_and_the_role_of_imagery_in_memory. http://www.lajosbrons.net/wp/imagery-memory.pdf

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suggerire che l’aphantasia in sé e per sé non sia una condizione patologica, ma solo uno dei diversi modi in cui le esperienze umane si dispiegano nella storia dell’intera umanità. Può assumere i tratti di una patologia in coloro che le associano altri e molti sintomi che potrebbero avere diversa natura, oltre al biasimo sociale del non essere capaci di visualizzare come fa la maggior parte della gente, perché comunque la condizione di aphantasia, come pure il suo opposto di iperphantasia, coinvolge delle minoranze, e come al solito a farne le spese è la minoranza che appare meno avvantaggiata. Ma è davvero meno avvantaggiata? Ne parleremo ancora. 44 E magari potremmo forse chiederci con Darwin che scopo avrebbe una simile varianza nella storia dell’umanità e ascoltare in cosa gli aphants si dichiarano soddisfatti della loro esperienza di vita. Tornando alle possibilità che l’aphantasia possa essere congenita, permanente, neurale o patologica ecc., dobbiamo considerare anche che esistono delle familiarità nei casi di aphantasia e che questo farebbe pensare dunque ad una sorta di geneticità in essa; verrebbero quindi meno anche quelle teorie che tentano di spiegarla coi traumi e con lo stress personale, a meno che non vogliamo dichiarare che gli stessi traumi e stress sono tramandabili per via genetica, il che parrebbe decisamente poco scientifico! Anche per il prof. Zeman come abbiamo già visto, è comunque paradossale la scarsità di letteratura sulla assenza di immagini mentali permanente/congenita mentre è molto più ricca nel caso dell’afantasia acquisita. Appare dunque evidente che anche in questo caso, come in altri nella storia umana, la narrativa vincente ha premiato la maggioranza che ha descritto la sua condizione come vincente e persuasiva a tutti i livelli della vita. Chi non visualizza appare quindi come non-visualizzato a sua volta.

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Cfr. Capitolo 12, Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare.

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Capitolo 3 Percezioni

Daniel Dennett nel suo Seeing is Believing...45 si dice certo che tutti vorremmo una buona teoria della percezione che potesse spiegarci e predire tutti i processi e fenomeni che si verificano nei sistemi nervosi secondo i principi e le leggi stabiliti dalla scienza: i principi dell’ottica, della fisica della chimica, ecc. E una tale teoria dovrebbe anche porci al riparo da imbarazzanti domande filosofiche quali: “Qual è il prodotto di un processo percettivo?” o “Cosa sono le percezioni?”, “Che tipo di cosa - stato, evento, entità, processo - è una percezione?” e simili. Partiamo dal dato di fatto che i ricordi vengano “trascritti”, immagazzinati da qualche parte nella nostra corteccia, o anche in diverse regioni cerebrali perché essendoci diverse modalità sensoriali ci sono anche diversi modi di avere esperienza di qualcosa. 46 Ma dal momento che vi sono anche varie cortecce disponibili per ogni canale sensoriale, 47 dov’è che le immagini vengono assemblate e poi richiamate, come preferisce dire Damasio, per distinguerle da quelle percettive? 48 Damasio si chiede dove verrebbero ricostruite le immagini richiamate nella nostra memoria, che sarebbero meno intense dell’oggetto reale o di una fotografia e scartando le risposte tradizionali date a queste domande, afferma che le immagini possono essere esperite sia durante la percezione, sia durante la rievocazione. 49 I nostri ricordi

Daniel Dennett, Seeing is Believing…, in K. Akins ed., Percezione , Vancouver Studies in Cognitive Science, vol. 5: Università di Oxford. Stampa, 1996 pp. 158-172. 46 Vedi Mark Solms Oliver Turnhull, Il cervello e il mondo interno. Introduzione alle neuroscienze dell'esperienza soggettiva, Cortina Raffaello, 2004 47 Antonio R. Damasio, Sentire e conoscere, Adelphi 2022 48 Antonio R. Damasio, L’errore di Cartesio, Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi 1995 49 Cfr. Antonio R. Damasio, Il Sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi 2012, vedi anche Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi 1984, “EIDETICO: Un’ immagine mentale è “eidetica” se possiede tutte le caratteristiche 45

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dunque, personali e genetici, di cose persone, luoghi, eventi e relazioni, proprio tutti insomma, esistono in forma di disposizioni che non sono parole ma registrazioni astratte di potenzialità, in attesa di diventare immagini espicite o azioni. Secondo Damasio le immagini più preziose e importanti per la sopravvivenza furono «messe in risalto» tramite la loro associazione con fattori emozionali secondo il meccanismo del marcatore somatico. 50 Damasio sostiene che le immagini di ogni sorta, mappate col rinforzo dei sentimenti, rese preziose e importanti per la sopravvivenza, vengono così messe in relazione al sorgere della coscienza, allora forse io preferirei che mi si dicesse che pure gli aphantasici possiedono mappe e mappe di immagini forse inconsce e inaccessibili e molto nascoste, ma davvero molto ben nascoste... mi accontenterei di un deus ex machina inconscio, invisibile e indicibile… sempre meglio che rischiare d’esser dichiarati incoscienti! 51

della cosa che viene percepita, specialmente se è riferita a un organo di senso, e sembra così provenire dall’esterno”, questo uso del termine eidetico riferito ad immagini mentali forti e complete, percettivamente richiama le percezioni dell’ iperfantasia. 50 Antonio R. Damasio, Il Sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi 2012, Ibidem anche: “In altre parole, il principio usato per la selezione delle immagini fu connesso alle esigenze di gestione dei processi vitali. Ho il sospetto che lo stesso principio presiedesse all’organizzazione delle strutture primordiali della narrazione, comprendenti il corpo dell’organismo, il suo status, le sue interazioni e i suoi movimenti nell’ambiente. Io sostengo che tutte le strategie sopra delineate cominciarono a evolvere molto tempo prima che emergesse una coscienza, non appena fu creato un numero sufficiente di immagini, forse non appena iniziarono a fiorire vere e proprie menti. Con ogni probabilità, il vasto inconscio ha fatto parte dell’organizzazione della vita per un lungo - lunghissimo - tempo, e il fatto curioso è che è ancora con noi, come una sorta di immenso sotterraneo al di sotto della nostra limitata esistenza cosciente. Per quale motivo la coscienza si affermò, una volta che venne offerta agli organismi quale possibile opzione? Perché dispositivi cerebrali in grado di costruire la coscienza furono favoriti dalla selezione naturale? Una possibile risposta, che esamineremo alla fine del libro, è che generare, orientare e organizzare immagini del corpo e del mondo esterno considerandole in termini di esigenze dell’organismo aumentò la probabilità di una gestione efficiente dei processi vitali e di conseguenza le probabilità di sopravvivenza. La coscienza aggiunse infine la possibilità di conoscere l’esistenza dell’organismo e la sua lotta per la sopravvivenza” 51 Antonio R. Damasio, Il Sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi 2012, “Le immagini usate per descrivere la maggior parte degli oggetti-daconoscere sono convenzionali, nel senso che risultano dalle operazioni di mappatura

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La percezione, come si vede, è oggetto di studio in molte discipline e il termine viene usato in diverse accezioni. 52 Per una sua definizione generale potremmo dire che la percezione in linea di massima sia un processo che consente di attribuire un significato agli input sensoriali provenienti dall’ambiente esterno. 53 Ma in effetti, quando apriamo gli occhi non vediamo il mondo come pare esso sia realmente nell’oggettività che possiede, ma nella maniera in cui il nostro cervello si è evoluto a mostrarcelo o a farcelo apparire. Il paradosso è che i nostri processi sensoriali ci danno l’impressione che le nostre percezioni siano reali mentre di fatto sono una costruzione del cervello che in effetti seleziona alcune informazioni escludendone altre, la maggior parte. 54

che abbiamo discusso per i sensi esterni. Le immagini che rappresentano l’organismo, invece, costituiscono una classe particolare: esse originano all’interno del corpo e rappresentano aspetti del corpo stesso in azione. Hanno uno status speciale e un effètto speciale: sono sentite, in modo spontaneo e naturale, fin dal principio, prima di qualsiasi altra operazione coinvolta nella costruzione della coscienza. Sono immagini sentite del corpo, sentimenti corporei primordiali, precursori di tutti gli altri sentimenti, compresi i sentimenti delle emozioni. Come vedremo in seguito, le immagini che descrivono la relazione fra l’organismo e l’oggetto attingono da entrambi i tipi di immagine: le immagini sensoriali convenzionali e le variazioni sul tema dei sentimenti corporei. Infine, tutte le immagini hanno luogo in uno spazio di lavoro composito, formato da regioni distinte delle cortecce cerebrali sensoriali di ordine inferiore, e, nel caso dei sentimenti, da regioni particolari del tronco encefalico.” Cfr. anche Cfr. Pylyshyn, Z.W. (1973), What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery. In: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1 , “Imagery is a pervasive form of experience and is clearly of utmost, importance to humans. We cannot speak of consciousness without, at the same time, implicating the existence of images.”. Trad.: “L'immagine è una forma pervasiva di esperienza ed è chiaramente della massima importanza per gli esseri umani. Non si può parlare di coscienza senza, allo stesso tempo, implicare l'esistenza delle immagini.” 52 https://www.treccani.it/vocabolario/percezione/ 53 https://www.stateofmind.it/percezione/ 54Mark Solms Oliver Turnhull Il cervello e il mondo interno. Introduzione alle neuroscienze dell'esperienza soggettiva, Raffaello Cortina Editore, 2004, “Vi sono diversi modi per rispondere al quesito circa la parte della vita mentale che è cosciente, e ciascuno di questi porta a risposte piuttosto divergenti. Allo stesso tempo, tutte le risposte convergono però alla conclusione che la coscienza rappresenta una porzione molto limitata della mente. Per esempio, se si equipara la quantità di coscienza alla quantità di informazioni che siamo in grado di "tenere a mente" in un determinato

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La percezione non deriva quindi soltanto dai sensi e dall’esterno, ma dalla rete sofisticata del cervello che conferisce senso alle informazioni che vi entrano 55. Quello che viene percepito poi deve essere, organizzato, catalogato, archiviato, e continuamente rimesso in gioco, per consentirci di avere una banca dati con la quale interagire e ordinare gli stimoli provenienti dal mondo esterno. 56 Le percezioni sono qualcosa di individuale, 57 e non tutti abbiamo le stesse percezioni. A volte le percezioni chiaramente ci ingannano, come nei casi di illusioni ottiche, sensoriali, o cognitive. 58 Qualcuno afferma non solo che le nostre percezioni ci ingannano, ma anche che quella che crediamo realtà è soltanto una continua predizione della mente che cerca di capire e interpretare quello che le pare accada, in base a quello che ha vissuto prima, e che queste sue predizioni avvengono addirittura un momento prima che noi stessi ne prendiamo coscienza, come fanno ad esempio Anil Seth e Lisa Feldman Barrett.59

lasso di tempo, potremmo rimanere meravigliati dall' apprendere che la coscienza è limitata a solo sette unità di informazione.” 55 Beau Lotto, Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo, Bollati Boringhieri 2017. 56 https://www.stateofmind.it/percezione/ 57Cfr. https://www.britannica.com/topic/perception/Perceptual-constancies, “Individual differences in perceiving. Theoretical assertions about perceiving are often made as though they apply indiscriminately to all organisms, or at least to all people. Perhaps perceptual principles of such great generality eventually will be uncovered. In the meantime it is evident that there are clear differences in perceptual functioning among individuals, among classes of individuals, and within the same individual from one occasion to another”. Trad.: “Differenze individuali nel percepire. Le affermazioni teoriche sulla percezione sono spesso fatte come se si applicassero indiscriminatamente a tutti gli organismi, o almeno a tutte le persone. Forse alla fine verranno scoperti principi percettivi di così grande generalità. Nel frattempo è evidente che esistono chiare differenze nel funzionamento percettivo tra individui, tra classi di individui e all'interno dello stesso individuo da un'occasione all'altra.” 58 Capita a chiunque di lasciarsi ingannare da fallacie di vario genere o da illusioni ottiche e sensoriali, cfr. ad esempio, Sergio Della Sala, Michela Dewar, Mai fidarsi della mente. N+1 esperimenti per capire come ci inganna e perché, Laterza 2011. Cfr. anche Richard L. Gregory, Vedere attraverso le illusioni, Raffaello Cortina Editore, 2010. 59https://www.ted.com/talks/lisa_feldman_barrett_you_aren_t_at_the_mercy_of_your_emotions_your_brain_creates_them https://www.ted.com/talks/anil_seth_your_brain_hallucinates_your_conscious_reality.

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Molti si chiedono anche che senso abbia parlare di libero arbitrio ma mi piace il modo in cui Lisa Feldman Barrett risolve la questione dicendo che noi abbiamo comunque la responsabilità di poter aggiornare il modo in cui accumuliamo per poter predire diversamente un domani, 60 sul libero arbitrio non si può prescindere nemmeno dall’esperimento di Benjamin Libet degli anni 80, raccontato magistralmente qui da Michael S. Gazzaniga. 61

Lisa Feldman Barrett, 7 lezioni e ½ sul cervello, Il Saggiatore, 2021, “Ebbene sì, il vostro cervello è cablato in modo da avviare azioni prima che ne siate coscienti. Si tratta di un fatto piuttosto importante. Dopotutto, nella vita di tutti i giorni, fate molte cose per scelta, giusto? O almeno è quello che sembra. Per esempio, scegliete di aprire questo libro e di leggere queste parole. Il cervello, però, è un organo predittivo. Esso dà il via alla nostra prossima serie di azioni sulla base delle nostre esperienze passate e della situazione attuale, e lo fa senza che ne abbiamo consapevolezza. In altre parole, le nostre azioni sono sotto il controllo dei nostri ricordi e dell’ambiente. Vuol dire che siamo privi di libero arbitrio? Chi è responsabile delle nostre azioni? Fin da quando fu inventata la filosofia, i filosofi e altri studiosi hanno dibattuto parecchio sull’esistenza del libero arbitrio, ed è improbabile che porremo ne al dibattito in questa sede. Nondimeno, possiamo evidenziare una parte del problema che viene spesso ignorata. Pensate all’ultima volta in cui avete agito in automatico. Magari vi siete mangiati le unghie, o forse la vostra connessione cervello-bocca era troppo ben oliata e avete borbottato qualcosa di spiacevole a un amico. Magari vi siete distolti dalla visione di un lm coinvolgente, accorgendovi di aver finito un intero sacchettone di liquirizie gommose. In questi momenti, il vostro cervello ha impiegato i propri poteri predittivi per innescare le vostre azioni e non avete avuto la sensazione di esserne padroni. Avreste potuto esercitare un maggior controllo e cambiare il vostro comportamento in quel momento? Forse sì, ma sarebbe stato difficile. Siete stati responsabili di quelle azioni? Più di quanto potreste pensare. Le previsioni che innescano le nostre azioni non nascono dal nulla. Se non vi foste mai mangiati le unghie da bambini, oggi probabilmente non ve le mangereste. Se non aveste mai imparato le sgradevoli parole che avete rivolto al vostro amico, ora non potreste proferirle. Se non aveste mai sviluppato un gusto per la liquirizia… avete capito. Il cervello predice e prepara le vostre azioni utilizzando le vostre esperienze passate. Se poteste magicamente tornare indietro nel tempo e cambiare il passato, oggi il vostro cervello farebbe previsioni diverse e, di conseguenza, potreste agire e sperimentare il mondo in maniera differente. Cambiare il passato è impossibile, ma proprio ora, con qualche sforzo, potete cambiare il modo in cui il vostro cervello prefigurerà il futuro.” 61Michael S. Gazzaniga, L’interprete. Come il cervello decodifica il mondo, Di Renzo Editore, 2011,“Si direbbe pertanto che, a voler parlare di libero arbitrio, è il cervello il posto da cui partire. Ma il cervello è davvero un organo deterministico e geneticamente costruito per condurre le nostre azioni là dove non ne abbiamo più il controllo? O è invece la casa della mente, il fantasma nella macchina ... insomma, quel qualcosa in grado di esprimere il libero arbitrio? La responsabilità individuale è qualcosa che nasce dall'interazione con molti esseri 60

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Ci si aspetta molto oggi dai neuroscienziati, ma essi non possono dare risposte certe o definitive. 62 Come ci ricorda Gazzaniga, sarebbe bello guardare un’immagine fMRI e dire senza alcun dubbio che un certo pixel rende una persona innocente o colpevole di un determinato crimine, o che una persona è stata costretta dalla chimica del suo cervello ad agire come ha agito. Eppure dobbiamo tener conto delle limitazioni delle neuroscienze attuali. Nonostante gli incredibili progressi tecnologici nella mappatura del cervello non disponiamo ancora infatti di strumenti in grado di spiegarci i principi di base del cervello o le sue funzioni. Una collaborazione e una comunicazione interdisciplinare fra ricercatori attivi in diversi ambiti scientifici è più che mai necessaria, Gazzaniga si spinge ad affermare che:

umani. In altre parole, noi tutti siamo guidati da regole sociali di comportamento e scegliamo come agire e reagire in aggiunta ad alcuni meccanismi cerebrali da scoprire o che possiamo aver già scoperto. Grazie al cosiddetto cervello automatico, Benjamin Libet, negli anni Ottanta, è stato il primo a portare alla luce il problema della responsabilità individuale. Nei suoi esperimenti, Libet chiedeva ad alcuni soggetti di eseguire volontariamente dei movimenti con le mani. Frattanto, misurava la loro attività cerebrale utilizzando "potenziali" correlati all'evento. Notò, così, che 500-1000 millisecondi (ms) prima che i soggetti muovessero le mani, c'era un "potenziale di prontezza", ossia un'onda di attività cerebrale che sembrava indicare uno scarto temporale tra laricezione e l'esecuzione del comando. Ideò allora un esperimento in cui il soggetto era invitato a guardare un puntino nero che si muoveva lentamente. Dopo aver mosso la mano, il soggetto riferiva in quale posizione fosse il puntino nel momento in cui aveva preso la decisione cosciente di muovere la mano. Quindi, Libet confrontava quel momento con il tempo in cui il "potenziale di prontezza" era stato registrato mediante le onde cerebrali del soggetto. In tal modo scopri che il cervello si attivava molto prima che il soggetto fosse cosciente di aver preso la decisione di muovere la mano: intercorrevano circa 300 ms tra l'attività cerebrale e la coscienza della decisione presa. Si direbbe pertanto che il cervello conosca le nostre decisioni prima che le prendiamo, o prima che diventiamo coscienti di averle prese. Simili dati sembrerebbero precludere la via del libero arbitrio, tuttavia lo stesso Libet notò che c'era ancora una finestra di 100 ms, in cui la mente cosciente poteva accettare o meno quella decisione. Calcolando che intercorrevano 500 ms dall'inizio del potenziale di prontezza ali' effettivo movimento della mano, e che il segnale neurale impiegava circa 50-100 ms per viagiiare dal cervello alla mano e avviare il movimento, Libet ne dedusse che il libero arbitrio risiedeva non tanto nell'automatismo della decisione, quanto nel potere di veto. Vilayanur Ramachandran, con un'argomentazione simile alla teoria del libero arbitrio di John Locke, suggerisce che "le nostre menti consce possono non avere il libero arbitrio, ma certamente hanno la libera negazione!" Eppure le ricerche di Libet sono state usate come "oro colato" dagli avvocati difensori, pronti a citare la base biologica a giustificazione di molti comportamenti criminali. Ma questa non è la lezione delle neuroscienze.” 62Cfr. Stanislas Dehaene, I neuroni della lettura, Raffaello Cortina Editore, 2007

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Purtroppo, spesso, è ciò che accade quando si ha a che fare con il cervello: molto di ciò che passa sotto il nome di "neuroscienze cognitive" altro non è che un manipolo di ricercatori che, incappati in una qualche scoperta, immediatamente ne estrapolano una determinata funzione cognitiva, senza sapere che gli scienziati cognitivi a quella stessa funzione ci erano già arrivati. Taluni neuroscienziati si direbbero accecati da una sorta di arroganza, che li porta a pensare che la ricerca cognitiva sia facile, laddove è in verità molto difficile. Ad esempio, è stato provato che le differenze tra emisferi sono ben più complesse di quanto gli scienziati o i divulgatori delle "teorie del cervello destro e sinistro" sospettassero in origine.” 63

Le immagini prodotte grazie all’uso di Pet e fMRI non possono essere considerate tracce dirette di fenomeni psicologici, esse sono una congettura, un’ipotesi, di quanto pensiamo stia accadendo nel cervello, sono una istantanea, una foto di un attimo e non possiamo mai essere certi di cosa ci fosse nel cervello in quel preciso attimo e anche se l’essere sottoposti ad un tale rilevamento abbia influito nel risultato stesso del rilevare.64

63 Michael S. Gazzaniga, L’interprete. Come il cervello decodifica il mondo, Di Renzo Editore, 2011 “Ad esempio, è stato provato che le differenze tra emisferi sono ben più complesse di quanto gli scienziati o i divulgatori delle "teorie del cervello destro e sinistro" sospettassero in origine. Le scoperte attuali suggeriscono che, tagliando il corpo calloso, la struttura che collega i due emisferi alla corteccia cerebrale assegna alle due metà del cervello diversi sistemi di gestione delle sensazioni e delle percezioni. Eppure, sussiste comunque un meccanismo cerebrale condiviso da ambedue gli emisferi, che assegna l'ammontare di attenzione sostenibile da ciascun sistema di gestione. Ne deriva che l'emisfero destro gestisce le informazioni sensoriali secondo strutture di base, come il riconoscimento dei volti e l'identificazione di tutte le parti di una scena visiva, mentre la sua controparte sinistra si direbbe forzata ad analizzare e raggruppare le sensazioni secondo modi che consentano la formazione di decisioni di grana più sottile. ” 64 Cfr. Francesco de Stefano, Dialogo sopra I massimi sistemi quantistici. Il dibattito sull’epistemologia della meccanica quantistica, Mimesis Edizioni, 2022, vedi anche Paolo Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive, Laterza, 2010, pag 117, “Negli ultimi anni, a queste metodologie centrate sullo studio delle conseguenze delle lesioni si sono affiancate le tecniche di neuroimmagine, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (FMR). Si tratta di tecnologie che permettono di «vedere» il cervello mentre lavora e di isolare così la parte deputata a una specifica funzione cognitiva, esaminando i cervelli di persone impegnate in un datocompito. Si tratta di tecniche che hanno reso popolari, grazie alla

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Sottolinea molto efficacemente Alva Noe: “Per comprendere questo punto vale la pena tenere presente il problema che ci si trova ad affrontare nel momento in cui si desidera determinare quale attività neurale sia rilevante rispetto a un dato fenomeno mentale. Gli scienziati iniziano assumendo che a ogni compito mentale- per esempio, giudicare se due parole siano in rima o meno - corrisponda un processo neurale. Come possiamo decidere quale specifica attività cerebrale tra quelle che si manifestano in concomitanza con un compito mentale sia l’effettiva attività neurale responsabile della capacità che ci interessa analizzare? Per questo occorre innanzitutto avere una chiara idea di come starebbero le cose se lo stesso tipo di compito non fosse stato eseguito; occorre cioè disporre di una baseline rispetto alla quale valutare se una certa deviazione da essa corrisponda all'atto mentale in questione. Un modo per ottenere una simile condizione consiste nel confrontare l'immagine del cervello a riposo con l'immagine di un cervello che esegue uno specifico compito, come per esempio la formulazione di un giudizio di rima. Riconoscere una rima dipende presumibilmente dall'attività neurale in virtù della quale le due immagini del cervello differiscono. Come decidiamo a che cosa assomiglia un cervello a riposo? Dopotutto il cervello non è mai a riposo. Ci sono, per esempio, momenti caratteristici del sonno in cui il nostro cervello lavora molto più intensamente di quanto non faccia durante il giorno! 65”

divulgazione giornalistica, i modelli del cervello. In realtà le cose non sono semplici, nel senso che i meccanismi coinvolti non sono riconducibili a una corrispondenza biunivoca tra una parte della corteccia e una funzione e viceversa. Infatti molti aspetti del funzionamento della mente sono associati all’attivazione di circuiti complessi, formati da aree connesse.” Cfr. Elkhonon Goldberg, La sinfonia del cervello, Ponte alle Grazie, 2010. “Un ulteriore problema è legato al rapporto fra la difficoltà del compito e lo sforzo che esso richiede, da una parte, e la forza del segnale registrato dall'apparecchio per la visualizzazione (fMRI, PET o SPECT), dall' altra. Di solito, quando il soggetto acquisisce familiarità e padronanza nel compito assegnato, il segnale si attenua notevolmente. In linea di principio, questo può significare che un compito caratterizzato da un elevato grado di automatismo, che non richiede particolari sforzi – un compito «facile», insomma - non genererà un segnale rilevabile.” 65 Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, 2010.

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E rimarca ancora: “gli scienziati proiettano le proprie scoperte su un cervello ideale. Le immagini che vediamo nelle riviste scientifiche non sono fotografie del cervello in azione di una data persona. Infine, è importante aver chiaro che non vi è alcuna ragione per considerare le immagini PET o fMRI in grado di fornirci informazioni dirette sulla coscienza o sulla cognizione. 66”

E tali immagini pubblicate sulle riviste pare inducano le persone a credere maggiormente a quanto le stesse riviste vanno affermando. 67 La concezione che la visione occupi un posto privilegiato nella nostra percezione e le conseguenti metafore visive che a questo si associano, come abbiamo avuto modo di osservare, 68 ha occupato e occupa un posto centrale nella riflessione umana. 69

66 Ibidem, Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, 2010 67 Cfr. https://twin-cities.umn.edu/news-events/do-images-brain-make-us-morelikely-believe-what-we-read, 68 Cfr. Pylyshyn, Z.W. (1973). What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery. In: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1 Vedi anche capitolo 13, La metafora. 69 Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, 2010: “Quando gli psicologi e i neuroscienziati cercano di meravigliare il pubblico con la prova che il mondo è una grande illusione (per cui il mondo sarebbe una finzione creata "per noi" dal nostro cervello), invariabilmente attirano l'attenzione sui fenomeni visivi. La visione occupa un posto di primo piano nella scienza della mente. Nessun'altra capacità sensoriale e cognitiva è così ben compresa come la visione. Teorie scientifiche della visione risalgono all'Antichità, si sono sviluppate nel Medioevo e sono fiorite con la nascita della scienza moderna. Molti tra i più grandi nomi della cultura umana hanno fatto della visione un tema di studio: Platone, Aristotele, Euclide, Plotino, Alhazen, Galileo, Leonardo da Vinci, Keplero, Cartesio e Newton. In anni recenti, come avremo modo di vedere nel prossimo capitolo; il premio Nobel per la medicina e la fisiologia è stato assegnato per ricerche condotte nell'ambito della neurofisiologia del sistema visivo dei mammiferi. L'interesse per la visione può essere considerato il riflesso di una nostra naturale inclinazione. Dopotutto, siamo esseri visivi: il nostro modo più basilare di comprendere che cosa le cose sono- che cosa è un albero, per esempio, o chi sia

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Molte scuole di pensiero e forse anche posizioni filosofiche differenti si intrecciano in questo difficile discorso su percezione, cognizione, coscienza. La percezione fonda la coscienza? Il mondo è qualcosa di oggettivo che noi possiamo sperimentare, introiettare, simulare? è una grande illusione o qualcosa che sta là e si offre a noi abbastanza uguale a se stesso perché noi lo comprendiamo e agiamo in esso? oppure sono le relazioni tra noi, fatti di corpo mente e cervello in un tutt’uno indistricabile, e il mondo a fare di noi noi stessi, e del mondo il mondo, e a darci senso e significato reciproco? 70 La coscienza, legata alla percezione a sua volta legata alle immagini mentali, priva coloro che non usano immagini mentali di se stessa? 71 Sono solo alcune delle tante domande che nascono di fronte ai discorsi sulle percezioni e sul mondo soprattutto quando fatti da chi assolutizza il presupposto delle immagini mentali come condivise da tutti. Il complesso discorso sull’inconscio 72 poi, non dovrebbe soddisfare una mente che vuole razionalizzare e vedere 73 e pare un pretesto, una forzatura introdotta tra l’altro proprio quando si vorrebbe essere maggiormente specifici e precisi.

nostra madre - è la visione. È stato persino detto che la visione possiede un carattere unico tra i nostri sensi” 70 Cfr. John R. Searle, Seeing Things As They Are. A Theory of Perception, Oxford University Press 2015, Cfr. anche Damasio opp cit, Alva Noe op cit, Gregory Bateson op. cit. 71 Cfr. Antonio R. Damasio, Il Sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi 2012 72 Paolo Legrenzi, Carlo Umiltà, Molti inconsci per un cervello, Il Mulino, 2018. 73 Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi 1984: “E’ un atto spesso conscio, ma a volte quasi automatico, al punto che passa inosservato. Spesso sono conscio di girare il capo, ma ignoro quale oggetto periferico mi abbia spinto a farlo. La retina periferica riceve moltissime informazioni che rimangono fuori della coscienza - forse, ma non sicuramente, sotto forma d’immagine. I “processi” della percezione sono inaccessibili; solo i “prodotti” sono consci e, ovviamente, sono i prodotti ad essere necessari. I due fatti generali - primo, che non sono conscio del processo di formazione delle immagini che vedo consciamente, e, secondo, che in questi processi inconsci io uso tutta una gamma di presupposti che vanno a integrarsi nell’immagine compiuta - sono, per me, il principio dell’epistemologia empirica. Tutti, ovviamente, sappiamo che le immagini che ‘vediamo’ sono in realtà fabbricate dal cervello o dalla mente; ma saperlo con l’intelletto è molto diverso dal rendersi conto che è davvero così.”

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A parte tutto di cosa lo coloreremmo poi nelle fMRI? 74 Comunque sia, oggi tutti riconoscono che le percezioni sono indistricabili 75 dall’apprendimento, sia definendo quest’ultimo come una modificazione comportamentale in seguito ad una interazione con l’ambiente e come il risultato di esperienze che portano a nuovi schemi di risposte agli stimoli esterni, 76 o anche solo nella sua accezione di perception learning. 77 L’apprendimento presupporrebbe anche la creazione di rappresentazioni mentali che si interpongano tra lo stimolo e la risposta. Percezioni, apprendimento, e risposta agli stimoli o comportamento, sembrano dunque strettamente legati anche alle immagini mentali e al modo in cui ognuno di noi percepisce e organizza le proprie esperienze e le proprie conoscenze. Anche se a mio parere questo sembra un modo imperfetto di esprimersi, perché implica una sorta di intenzionalità del soggetto che percepisce e organizza mentre queste azioni sono per la maggior parte opache a noi stessi. E il cervello, ben distinto da ciò che chiamiamo mente, non è di per se stesso una fonte di esperienza o cognizione, ma qualcosa che è in relazione

74Sulla

tecnica delle fMRI, cfr.: http://arpg-serv.ing2.uniroma1.it/arpg-site/images/ARPG_MEDIA/Tesi/tesi_finale_Andellini.pdf 75 Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi 1984, pag. 43: “il fenomeno della formazione delle immagini rimane quasi del tutto misterioso: non sappiamo né, come avviene né‚ in verità, a quale scopo. Siamo d’accordo che sotto il profilo dell’adattamento ha senso presentare alla coscienza soltanto le immagini, senza spreco di attività psicologica per rendere cosciente la loro formazione. Ma non esiste alcuna chiara ragione fondamentale per cui si debbano usare proprio le immagini, o anzi si debba essere “consapevoli” delle fasi dei nostri processi mentali. Il ragionamento suggerisce che la formazione delle immagini è forse un metodo vantaggioso o economico per far passare informazioni attraverso un qualche genere di “interfaccia”. E più avanti: pag 220: “Sta di fatto che il cervello non contiene altri oggetti materiali che non siano i suoi canali e circuiti e scambi e le sue riserve metaboliche e sta di fatto che tutto questo “hardware” non ha mai accesso alle storie raccontate dalla mente. Il pensiero può riguardare porci o noci di cocco, ma nel cervello non ci sono né porci né noci di cocco; e nella mente non ci sono neuroni, ma solo “idee” di porci e di noci di cocco.” Cfr. anche: https://www.britannica.com/topic/perception/Effects-of-practice e https://www.britannica.com/topic/perception/Perceptual-constancies 76 https://www.stateofmind.it/apprendimento/ 77 https://www.britannica.com/topic/perceptual-learning

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con l’ambiente che lo circonda,78 così come l’attività neurale non diviene automaticamente coscienza. Il cosiddetto neurone della nonna,79 se poi

78Cfr.

John R. Searle, Seeing Things As They Are. A Theory of Perception, Oxford University Press 2015 “All of our conscious states are realized in the brain, again, without exception. All known states of consciousness exist in human and animal brains. Perhaps one day we will be able to invent conscious machines out of inorganic materials, but at present the only known consciousness is in human and animal nervous systems. 4. Consciousness with all of its touchy-feely, “mysterious,” ontologically subjective features is a biological, and therefore physical, part of the real world. As such, it enters into causal relations with other parts of the physical world. Thus, for example, all of my conscious perceptions are caused in my brain by the impact of perceptual stimuli on my nervous system. And these perceptions in turn together with other processes, some conscious some unconscious, cause my physical behavior. For example, I see the glass of beer in front of me, so I reach out with my hand, take it, and drink from it. Some people still think that the ontological irreducibility of consciousness makes consciousness not a part of the physical world. They are mistaken. My reaching for the beer is a conscious intentional action on my part, and my movements are caused by my conscious intentions. But anything at all that causes that movement must cause the secretion of acetylcholine, the neurotransmitter specific to bodily movements. So the very conscious state which is qualitative, subjective, touchy-feely, etc. must have a lower-level description in which it is a biological process causing the secretion of acetylcholine. This is no more mysterious than the fact that my car engine has a higher-level description where the explosions in the cylinder move the piston, and a lower-level description where the oxidation of hydrocarbon molecules releases heat energy. 5. All conscious perceptual experience occurs as part of a total conscious field. It is important to remind ourselves of this because some authors who write about perception treat it as existing in isolation. It does not. I cannot consciously see the glass of beer in front of me without having a whole lot of other conscious states as part of my total subjective conscious field. ” Trad.: “Tutti i nostri stati coscienti sono realizzati nel cervello, di nuovo, senza eccezioni. Tutti gli stati di coscienza conosciuti esistono nel cervello umano e animale. Forse un giorno saremo in grado di inventare macchine coscienti da materiali inorganici, ma attualmente l'unica coscienza conosciuta è nel sistema nervoso umano e animale. 4. La coscienza con tutte le sue caratteristiche sentimentali, "misteriose" ontologicamente soggettive è una parte biologica, e quindi fisica, del mondo reale. In quanto tale, entra in relazioni causali con altre parti del mondo fisico. Così, per esempio, tutte le mie percezioni coscienti sono causate nel mio cervello dall'impatto degli stimoli percettivi sul mio sistema nervoso. E queste percezioni a loro volta insieme ad altri processi, alcuni consci altri inconsci, causano il mio comportamento fisico. Ad esempio, vedo il bicchiere di birra di fronte a me, quindi allungo la mano, lo prendo e ci bevo. Alcune persone pensano ancora che l'irriducibilità ontologica della coscienza renda la coscienza non una parte del mondo fisico. Si sbagliano. Il mio raggiungere la birra è un'azione intenzionale consapevole da parte mia, e i miei movimenti sono causati dalle mie intenzioni consapevoli. Ma qualsiasi cosa provochi

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esiste davvero, non potrebbe esistere senza una nonna e senza un nipote posti in un ambiente di cultura di famiglia di nonni e nipoti. In fondo sarebbe anche semplice rifondare alla teoria del doppio codice, di Paivio, secondo cui usiamo due codici separati per rappresentare immagini e codici verbali. Un’immagine per “il/un cane” e una parola “cane”, ma il problema si ripresenta in presenza di parole astratte o con alcuni verbi, oppure con altre parole che designano posizioni spaziali o temporali. 80

quel movimento deve causare la secrezione di acetilcolina, il neurotrasmettitore specifico dei movimenti corporei. Quindi lo stato molto cosciente che è qualitativo, soggettivo, sentimentale, ecc. deve avere una descrizione di livello inferiore in cui è un processo biologico che causa la secrezione di acetilcolina. Questo non è più misterioso del fatto che il motore della mia macchina ha una descrizione di livello superiore in cui le esplosioni nel cilindro muovono il pistone e una descrizione di livello inferiore in cui l'ossidazione delle molecole di idrocarburi rilascia energia termica. 5. Tutta l'esperienza percettiva cosciente avviene come parte di un campo cosciente totale. È importante ricordarcelo perché alcuni autori che scrivono sulla percezione la considerano come esistente isolatamente. Non è così. Non posso vedere consapevolmente il bicchiere di birra di fronte a me senza avere un sacco di altri stati coscienti come parte del mio campo cosciente soggettivo totale.” 79 Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, 2010. 80 Cfr. da https://en.wikipedia.org/wiki/Mental_image: “The dual-code theory, created by Allan Paivio in 1971, is the theory that we use two separate codes to represent information in our brains: image codes and verbal codes. Image codes are things like thinking of a picture of a dog when you are thinking of a dog, whereas a verbal code would be to think of the word "dog". Another example is the difference between thinking of abstract words such as justice or love and thinking of concrete words like elephant or chair. When abstract words are thought of, it is easier to think of them in terms of verbal codes—finding words that define them or describe them. With concrete words, it is often easier to use image codes and bring up a picture of a human or chair in your mind rather than words associated or descriptive of them” Trad.: “La teoria del doppio codice, di Allan Paivio, nel 1971, è la teoria secondo cui usiamo due codici separati per rappresentare le informazioni nel nostro cervello: codici immagine e codici verbali. I codici immagine sono cose come pensare all'immagine di un cane quando stai pensando a un cane, mentre un codice verbale sarebbe pensare alla parola "cane". Un altro esempio è la differenza tra pensare a parole astratte come giustizia o amore e pensare a parole concrete come elefante o sedia.Quando si pensa a parole astratte, è più facile pensarle in termini di codici verbali, trovare parole che le definiscano o le descrivano. Con parole concrete, è spesso più facile usare codici immagine e far apparire nella mente l'immagine di un essere umano o di una sedia piuttosto che parole associate o descrittive di essi.”

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La letteratura straborda di dichiarazioni secondo le quali è il nostro cervello a costruire le immagini che crediamo di percepire e che ogni percezione conscia abbia le caratteristiche di un’immagine (mentale). 81

Vedi anche: Mark Sadoski, A Dual Coding View of Vocabulary Learning July 2005 Reading and Writing Quarterly 21(3):221-238 DOI:10.1080/10573560590949359 Cfr. Steven Pinker, Fatti di parole. La natura umana svelata dal linguaggio, Mondadori 2009, e la sua dissertazione sulla Pragmatica Radicale. 81 Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi 1984, pag. 35 “NON ESISTE ESPERIENZA OGGETTIVA. Ogni esperienza è soggettiva. Questo non è che un corollario di ciò che viene discusso nel paragrafo 4: che è il nostro cervello a costruire le immagini che noi crediamo di ‘percepire’. E’ significativo che ogni percezione - ogni percezione conscia - abbia le caratteristiche di un’immagine. Un dolore è localizzato in una parte del corpo: ha un inizio, una fine e una collocazione, e si evidenzia su uno sfondo indifferenziato. Queste sono le componenti elementari di un’immagine. Quando qualcuno mi pesta un piede, ciò che sperimento non è il suo pestarmi un piede, ma l‘“immagine” che io mi faccio del suo pestarmi il piede, ricostruita sulla base di segnali neurali che raggiungono il mio cervello in un momento successivo al contatto del suo piede col mio. L’esperienza del mondo esterno è sempre mediata da specifici organi di senso e da specifici canali neurali. In questa misura, gli oggetti sono mie creazioni e l’esperienza che ho di essi è soggettiva, non oggettiva. Tuttavia, non è banale osservare che pochissimi, almeno nella cultura occidentale, dubitano dell’oggettività di dati sensoriali come il dolore o delle proprie immagini visive del mondo esterno. La nostra civiltà è profondamente basata su questa illusione.” E ancora tratto da: Pylyshyn, Z.W. (1973), What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery. In: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1 “The recent literature on imagery abounds in examples which reveal that the investigator tacitly assumes that what is functional in cognition is available to introspection. Consider, for example, the widely held view (the so-called dual-code model) that the form of mental representations is either verbal or imaginal. This partition between two concrete modes has its roots in the persuasive fact that the only way in which we clearly experience our memory of cognitive events is through some form of sensory-motor image (including articulatory and acoustical images of words). Thus, for example, in a revival of a position associated with Berkeley and Hume, Bugelski (1970) questions "whether there is such a thing as an abstract thought or abstraction [p. 1006]." The basis of his doubts are his experiments, using the KentRosanoff Word Association Test, in which he finds: If you say FLOWER, a categorical term, the subjects think of daisies or roses, and highly specific daisies or roses .... If you say DEMOCRACY, they report a variety of imagery, practically none of which refers to governmental operations. Government by the people becomes an image of a crowd at a political rally [p. 1006].

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Drawing conclusions about the nature of cognitive representations from reports of experiences evoked by words may appear somewhat far-fetched (after all, what else could a subject report having experienced other than images of objects or of other words?) until we examine the context in which Bugelski and his colleagues are working. The thrust of Bugelski's paper is to show the inadequacy of theories of learning and memory which rely exclusively on postulating associations among words. From this excess he adopts another equally untenable position (which is nowhere stated explicitly): that all learning and memory -and indeed all of cognition­ takes place exclusively through the medium of either words or images. In fact, it appears that most modern psychologists working on imagery and learning have succumbed to the assumption that there are no forms of mental representation other than words and images. Thus Bugelski (1970) argues that the use of young deaf subjects who "have no language" provides an ideal test for the existence of imagery. He asserts, "If they truly have no speech or verbal capacity and can learn certain kinds of materials, for example, picture paired-associates, the conclusion that imagery was being used seems logically determined [p. 1004]." It is logically determined, of course, only if we accept that images arid words exhaust the available forms of mental representation. Similarly, Paivio (1969) pits his defense of imagery against the word-association ap­ proach, arguing that ". . . one can respond verbally to pictures as well as to words and so, by analogy, one's verbal response could just as logically be mediated by a 'mental picture' as by 'mental words' [p. 242]." The parallel does indeed hold: whatever arguments may be marshalled in favor of mental words as mediators can be used equally well to support mental pictures.” Trad.:“La recente letteratura sulle immagini abbonda di esempi che rivelano che l'investigatore presume tacitamente che ciò che è funzionale nella cognizione sia disponibile per l'introspezione. Si consideri, ad esempio, l'opinione diffusa (il cosiddetto modello del doppio codice) che la forma delle rappresentazioni mentali sia verbale o immaginale. Questa divisione tra due modalità concrete ha le sue radici nel fatto persuasivo che l'unico modo in cui sperimentiamo chiaramente la nostra memoria degli eventi cognitivi è attraverso una qualche forma di immagine senso-motoria (comprese le immagini articolatorie e acustiche delle parole). Così, ad esempio, in un revival di una posizione associata a Berkeley e Hume, Bugelski (1970) si interroga "se esiste qualcosa come un pensiero astratto o un'astrazione [p. 1006]". La base dei suoi dubbi sono i suoi esperimenti, utilizzando il Kent Rosanoff Word Association Test, in cui trova: Se dici FIORE, termine categorico, i soggetti pensano a margherite o rose, e margherite o rose altamente specifiche.... Se dici DEMOCRAZIA, riportano una varietà di immagini, praticamente nessuna delle quali si riferisce ad operazioni governative. Il governo del popolo diventa l'immagine di una folla a una manifestazione politica [p. 1006]. Trarre conclusioni sulla natura delle rappresentazioni cognitive dai resoconti di esperienze evocate dalle parole può sembrare in qualche modo inverosimile (dopotutto, cos'altro potrebbe riferire di aver sperimentato un soggetto, oltre alle immagini di oggetti o di altre parole?) finché non esaminiamo il contesto in cui lavorano Bugel ski e i suoi colleghi. L'obiettivo dell'articolo di Bugelski è mostrare l'inadeguatezza delle teorie dell'apprendimento e della memoria

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Le teorie sugli stili di apprendimento 82 divennero famose negli anni ’70, esse si basavano sulla presupposizione che gli individui differiscono nel modo in cui apprendono e che quindi, per aiutare ad apprendere, gli insegnanti avrebbero dovuto prima valutare lo stile di apprendimento dei propri studenti e in seguito adattarsi al meglio a ciascuno di essi. Lasciando da parte le obiezioni e le critiche che si possono muovere a tali assunti, 83 (gli stili sono troppi, gli insegnanti non possono valutare accuratamente ogni singolo stile, se poi di stile ancora si possa parlare...) rimane fuori di dubbio, e in questo libro stiamo cercando diversi modi di ripeterlo, che ci sono persone che

che si basano esclusivamente sulla postulazione di associazioni tra le parole. Da questo eccesso adotta un'altra posizione altrettanto insostenibile (che da nessuna parte è esplicitamente dichiarata): che l'apprendimento e la memoria - e in effetti tutta la cognizione avviene esclusivamente attraverso il mezzo di parole o immagini. In effetti, sembra che la maggior parte degli psicologi moderni che lavorano sulle immagini e sull'apprendimento abbiano ceduto al presupposto che non ci siano forme di rappresentazione mentale diverse dalle parole e dalle immagini. Così Bugelski (1970) sostiene che l'uso di giovani soggetti sordi che "non hanno linguaggio" fornisce un test ideale per l'esistenza delle immagini. Afferma: "Se davvero non hanno capacità di parola o verbale e possono apprendere determinati tipi di materiali, ad esempio, associati di immagini accoppiate, la conclusione che le immagini fossero utilizzate sembra logicamente determinata [p. 1004]". È logicamente determinato, ovviamente, solo se accettiamo che le immagini e le parole esauriscono le forme disponibili di rappresentazione mentale. Allo stesso modo, Paivio (1969) contrappone la sua difesa delle immagini all'approccio dell'associazione delle parole, sostenendo che "... si può rispondere verbalmente sia alle immagini che alle parole e quindi, per analogia, la propria risposta verbale potrebbe essere altrettanto logicamente mediato da un 'immagine mentale' come da 'parole mentali' [p. 242]." Il parallelo vale in effetti: qualsiasi argomento possa essere schierato a favore delle parole mentali come mediatori può essere utilizzato ugualmente bene per supportare le immagini mentali.“ 82 https://en.wikipedia.org/wiki/Learning_styles 83 Stanislas Dehaene, Imparare Il talento del cervello, la sfida delle macchine, Raffaello Cortina Editore, 2019: “Ogni bambino ha il proprio stile di apprendimento e di conseguenza sarebbe naturale lasciare che impari a modo suo. È falso: non esiste una ricerca che dimostri che alcuni bambini sarebbero visivi e altri uditivi o tattili (eccetto i ciechi, ovviamente, come direbbe Georges Brassens). Ciò che è vero è che alcune strategie funzionano meglio di altre – per esempio, è più facile memorizzare un’immagine che una parola – ma ciò vale per tutti i bambini. Semplicemente non vi è alcuna prova che i bambini di tipo A possano imparare meglio con la strategia A e i bambini di tipo B con la strategia B.”

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hanno poca familiarità con il metodo di imparare per immagini, per mappe o per visualizzazioni e che preferiscono le parole e i concetti. Secondo uno studio sugli stili cognitivi e sull’apprendimento volto ad esaminare direttamente i movimenti oculari degli studenti verbali e visivi nel contesto dell'apprendimento multimediale si può affermare che: “le persone, classificate in base al loro stile cognitivo visualizzatore-verbalizzatore, differiscano nel loro comportamento di apprendimento in termini di utilizzo di informazioni pittoriche e verbali durante l'apprendimento. Quando si confrontano con informazioni comparabili in termini di contenuto e presentate loro in testi e immagini, i verbalizzatori tendono a fare affidamento su informazioni verbali e i visualizzatori tendono a fare affidamento su informazioni pittoriche (vedi anche Mehigan et al., 2011; allo stesso modo; Tsianos et al., 2009), indipendentemente dal tipo di conoscenza fornita dall'argomento (ad esempio, conoscenza concettuale vs. conoscenza relativa al funzionamento di un sistema meccanico) e dal suo livello di difficoltà. I nostri risultati supportano non solo l'esistenza dello stile cognitivo visivo-verbale, ma anche la sua influenza sul comportamento di apprendimento.” 84

Koć-Januchta, M., Höffler, T., Thoma, G.-B., Prechtl, H., & Leutner, D. (2017). Visualizers versus verbalizers: Effects of cognitive style on learning with texts and pictures—An eye-tracking study. Computers in Human Behavior, 68, 170–179. https://doi.org/10.1016/j.chb.2016.11.028, Originale: “In the present study, we provided more evidence for the assumption that people, classified according to their visualizer- verbalizer cognitive style, differ in their learning behavior in terms of using pictorial and verbal information while learning. When confronted with information that is comparable in terms of content and presented to them in texts and in pictures, verbalizers tend to rely on verbal information and visualizers tend to rely on pictorial information (see also Mehigan et al., 2011; similarly;Tsianos et al., 2009), regardless of the type of knowledge the topic provides (e.g., conceptual knowledge vs. knowledge regarding functioning of a mechanical system) and its level of difficulty. Our results support not only the existence of the visual-verbal cognitive style but also its influence on learning behavior.”

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Ci si continua a chiedere come sia possibile che persone che non visualizzano possano imparare, 85 leggere, ricordare, studiare, disegnare, comporre, pensare, essere creative nei diversi modi in cui la creatività riesce ad esprimersi, ed io non ho la risposta, io so solo che anche chi non visualizza impara, 86 studia, legge, ricorda, disegna, pensa… ed ha la sua buona immaginazione da vendere!, e che visualizzare ed immaginare sono cose distinte. Lo spettro delle percezioni umane è molto variegato, e non ci sono probabilmente due persone al mondo che, del mondo, abbiano un’esperienza uguale. Per rimanere del campo delle immagini mentali troviamo persone che chiudendo gli occhi vedono solo nero e all’opposto persone che sono in grado di vedere anche i dettagli. In genere, chi non visualizza, nemmeno riesce a immaginare i suoni, i sapori, gli odori o il toccare qualcosa 87 Mentre chi visualizza spesso ha anche la possibilità di richiamare alla mente altre percezioni di diversi sensi. Io non so immaginare alcun suono, sapore sensazione tattile o profumo! ma questo mi rende impermeabile anche alle pubblicità o a certi tipi di persuasione come vedremo in seguito. 88 In mezzo alla giungla di immagini e fantasmi che si agitano nelle nostre regioni corticali e non solo, ci resta da chiederci qualcosa di davvero importante, e per chi non riconosce le immagini, doppiamente importante. Dove mettiamo e dove ritroviamo le parole, il linguaggio? 89

https://aphantasia.com/learning-with-aphantasia/ https://www.theguardian.com/education/2016/jun/04/aphantasia-no-visual-imagination-impact-learning 86 https://bold.expert/some-learners-cannot-visualise-things-in-their-minds-eye/ 87 Forse è per questo che una piccola percentuale di persone che a causa del Covid ha perso odori e sapori non riesce a recuperarli? Perché non è in grado di richiamarli alla memoria o eventualmente di simularli? 88 Cfr. Capitolo 12, Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare. 89 Aleksandr R. Luria, Come lavora il cervello, Introduzione alla neuropsicologia, Il Mulino, 1977: “In tale modo Broca postulò che il terzo posteriore del giro frontale inferiore sinistro è il «centro delle immagini motorie delle parole» e che una lesione di questa regione porta a un tipo particolare di perdita del linguaggio espressivo, che egli chiamò originariamente «afemia» e in seguito «afasia», termine usato ancora oggi. La scoperta di Broca fu importante per due ragioni. Da un lato, per la prima 85

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Il ruolo delle immagini, e di quanto ad esse pare pertinente, è senza dubbio di grande importanza per tutti, non solo per i visualizzatori e/o per marcare le eventuali differenze tra essi e i verbalizzatori. Ma per questi ultimi, forse, il rapporto tra luogo maggiormente deputato a sede delle immagini e luogo allo stesso modo designato come sede delle parole potrebbe essere capovolto per ordine di importanza. Intendo dire: sapere dove risiedono le immagini e da dove esse vengono richiamate alla memoria, ha la stessa importanza del sapere dove risiedono le parole, e da dove esse vengono richiamate alla memoria. Oggi si pubblicizza come si stiano mettendo a punto delle tecniche per far comunicare direttamente dal cervello le persone che non potrebbero comunicare in alcun altro modo, 90 e si racconta come si stiano tentando delle mappature del cervello (anche per capire dove siano posizionate le aree del linguaggio), molti studi dichiarano di aver individuato aree più o meno connesse con certe capacità umane di capire certe regole grammaticali 91 o di sapere dove abiti la semantica nel nostro cervello, 92 ma anche qui le cose sembrano, come per

volta una funzione mentale complessa era stata «localizzata» in una zona particolare della corteccia.” 90 Cfr. Willett, F.R., Avansino, D.T., Hochberg, L.R. et al. High-performance brainto-text communication via handwriting. Nature 593, 249–254 (2021). https://doi.org/10.1038/s41586-021-03506-2 cfr. anche Castellucci, G.A., Kovach, C.K., Howard, M.A. et al. A speech planning network for interactive language use. Nature 602, 117–122 (2022). https://doi.org/10.1038/s41586-021-04270-z Vedi anche: https://mipt.ru/english/news/neural_network_reconstructs_human_thoughts_from_brain_waves_in_real_time 91 Marco Tettamanti, Irene Rotondi, Daniela Perani, Giuseppe Scotti, Ferruccio Fazio, Stefano F. Cappa and Andrea Moro, Syntax without language: Neurobiological evidence for cross-domain syntactic computations. https://doi.org/10.1016/j.cortex.2008.11.014 92 Cfr. Jeffrey R. Binder, Rutvik H. Desai, William W. Graves, Lisa L. Conant, Where Is the Semantic System? A Critical Review and Meta-Analysis of 120 Functional Neuroimaging Studies, Cerebral Cortex, Volume 19, Issue 12, December 2009, Pages 2767–2796 https://doi.org/10.1093/cercor/bhp055 Cfr. anche Fatma Deniz, Anwar O. Nunez-Elizalde, Alexander G. Huth and Jack L. Gallant The Representation of Semantic Information Across Human Cerebral Cortex During Listening Versus Reading Is Invariant to Stimulus Modality, Journal of Neuroscience 25 September 2019, 39 (39) 7722-7736;

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le stesse immagini, parecchio complicate, a distanza di molti anni dalla scoperta dell’area di Broca! 93 In molte discipline, e questo accade quasi sempre, per indagare le anomalie di certi comportamenti si parte da casi più o meno patologici, 94 per restare in campi a noi vicini ci si interroga ad esempio su vari aspetti della capacità unica dell’uomo di comunicare col linguaggio, scritto o parlato. Occorre prudenza: è vero che dare pubblicità con titoli sensazionalistici a studi di carattere sperimentale e ancora agli inizi favorisce la confusione, le aspettative, e dà luogo ad una sorta di diffusa credulità inconsapevole che forse nemmeno fa bene alla scienza. 95 È opinione comune ormai che il nostro cervello, (come pure fa il nostro corpo, ma il cervello per delle ovvie ragioni lo fa molto meglio del corpo) per quanto abbia spazi principalmente dedicati a certe funzioni particolari sembra, secondo le osservazioni di chi si dedica allo studio del suo funzionamento, un sistema che non solo è strettamente

DOI: https://doi.org/10.1523/JNEUROSCI.0675-19.2019 “Humans can comprehend the meaning of words from both spoken and written language. It is therefore important to understand the relationship between the brain representations of spoken or written text. Here, we show that although the representation of semantic information in the human brain is quite complex, the semantic representations evoked by listening versus reading are almost identical. These results suggest that the representation of language semantics is independent of the sensory modality through which the semantic information is received.” Trad.: ” Gli esseri umani possono comprendere il significato delle parole sia dalla lingua parlata che scritta. È quindi importante comprendere la relazione tra le rappresentazioni cerebrali del testo parlato o scritto. Qui, mostriamo che sebbene la rappresentazione delle informazioni semantiche nel cervello umano sia piuttosto complessa, le rappresentazioni semantiche evocate dall'ascolto rispetto alla lettura sono quasi identiche. Questi risultati suggeriscono che la rappresentazione della semantica del linguaggio è indipendente dalla modalità sensoriale attraverso la quale vengono ricevute le informazioni semantiche.” 93 Cfr. Stanislas Dehaene, I neuroni della lettura, Raffaello Cortina Editore, 2007 94 Cfr. Michela Balconi, Neuropsicologia della comunicazione, Springer Italia 2008 95 https://www.theguardian.com/science/2021/may/12/paralysed-man-mindwritingbrain-computer-compose-sentences https://www.npr.org/sections/health-shots/2021/05/12/996141182/paralyzed-mancommunicates-by-imagining-handwriting https://www.weforum.org/agenda/2017/04/technology-that-could-turn-yourthoughts-into-text/ https://www.brown.edu/news/2021-05-12/handwriting

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connesso tra le sue varie parti, ma riesce anche a riorganizzarsi quando qualcosa in qualche modo si rompe e pure a rimodellarsi secondo le esigenze e i bisogni. 96 Nessuno oggi crede più che il cervello non sia plastico e che sia qualcosa di dato fisso e immutabile soggetto solo al deterioramento come si credeva fino a qualche decennio or sono. 97 Certo, se parlando di tutto questo chiedessimo ai ricercatori che si occupano di memoria il loro parere su cosa sia più importante e urgente indagare, essi ci direbbero senza alcun dubbio che, poiché niente di quello che facciamo, diciamo, pensiamo, investighiamo può aver luogo, senza far riferimento alla memoria, sapere come funziona la memoria potrebbe far luce anche sui meccanismi di archiviazione delle immagini e delle parole col loro significato. 98 Tornando alle parole e ai loro significati, ci troviamo di fronte anche a quelle parole delle lingue che parlano di spazio, di tempo, di causalità, che non possono essere visualizzati. 99 La semantica delle lingue coglie e sa esprimere aspetti della realtà combinandoli senza che ci sia qualcosa che possa essere visualizzato. 100

96 Cfr. ad es. Norman Doidge, Le guarigioni del cervello. Le nuove strade della neuroplasticità: terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello, Ponte alle Grazie, 2015, Elkhonon Goldberg, Il paradosso della saggezza. Come la mente diventa più forte quando il cervello invecchia, Ponte alle Grazie, 2005. 97 Cfr. Norman Doidge, Le guarigioni del cervello. Le nuove strade della neuroplasticità: terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello, Ponte alle Grazie, 2015. 98 Cfr. Aleksandr R. Luria, Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, Il Mulino, 1977, Cfr. anche G. Miller e Stephen Kosslyn, Cervello alto e cervello basso: Perché pensiamo ciò che pensiamo, Bollati Boringhieri 2015, e Steven Pinker, Fatti di parole. La natura umana svelata dal linguaggio, Mondadori 2009. 99 Steven Pinker, Fatti di parole. La natura umana svelata dal linguaggio, Mondadori 2009, “Ricordiamo gli esperimenti mentali su ciò che possiamo visualizzare, per esempio il corpo di un cavallo con attaccato sopra il busto di un uomo, e ciò che non possiamo visualizzare, per esempio un uomo e un cavallo in piedi l’uno accanto all’altro senza che nessuno dei due sia sulla sinistra.” 100 Steven Pinker, Fatti di parole. La natura umana svelata dal linguaggio, Mondadori 2009, “Ho potuto descrivere a parole configurazioni che non potete visualizzare, usando espressioni come accanto a e simmetrico che non si curano di come esattamente la materia riempia lo spazio. Posso anche descrivere un evento senza vincolarmi a un momento nel tempo, usando una frase senza tempo verbale come per la partenza di Bill. La selettività della semantica permette alla mente di vagare in un universo di concetti astratti disancorato dai mezzi di percezione dello spazio e del

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Verrebbe da chiedersi anche come si può visualizzare la negazione in un qualsiasi enunciato. Che immagine mentale ci si potrebbe fare infatti di una frase come: “Gianni non dice che Pietro parte” oppure di: “Gianni dice che Pietro non parte”? 101

tempo che organizzano la nostra esperienza immediata. È questa, probabilmente, la risorsa mentale che consente a scienziati e matematici moderni di descrivere lo spazio e il tempo in termini assolutamente controintuitivi.” 101Cfr. Andrea Moro, I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili, Il Mulino, 2018.

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Capitolo 4 Il mondo da dietro gli occhi

Il mondo di là dalla finestra, dalle impronte delle mie dita, delle dita dei miei cari, attraverso la trasparenza dei vetri spessi e sottili, e la terrazza di sole tranne dove l’ombra dello stendino e dei panni e delle sbarre di ferro del balcone oblique si fa fresca di primavera; il prato dabbasso, le macchie di cespugli gli alberi, il ceppo del maestoso alto albero tagliato qualche anno prima, sul quale oggi troneggia un patetico vaso di informità verdine. (solo le foto sanno l’albero). In alto le colline, di verdi diversi, digradanti, verdi teneri e maturi come la natura sa apparecchiare ancora, nonostante noi, e le case sotto il cielo mosso appena appena oggi, soltanto qualche macchia nuvolosa, e un biancazzurro all’orizzonte opaco; le case: gradini bianchi e gialli, a strati, tetti a mattoni rossi, e la strada, davanti a me, oltre il prato rigoglioso, i cinque alberelli a protezione, il semaforo e le auto in pausa, uno due e scompaiono alla vista. Ieri i fili del bucato sorreggevano gocce di pioggia, lo sfondo verde cupo, umido di nuvole, strade e alberi bagnati e sgocciolanti. Dove sono andati? Ieri. Uno ieri ormai perso nel tempo io ragazzina, una ragazzina mi chiedeva di chiuder gli occhi e vedere la mia mamma. L’ho zittita. Mi sembrava matta. Lo era certamente, dal punto mio di vista. (Chissà dove è adesso.) L’aphantasia può essere congenita o acquisita. La prima mi piace mi ci riconosco, l’unica esperienza che possieda. Mi dispiace per chi ha familiarità con la seconda. Un classico, il tormentone di un paio di decenni fa: l’arte di ben visualizzare! Libri, emozioni ed energie sprecate. 59

Dovunque mi girassi alla fine e al succo di ogni discorso eran tutti a pontificare sull’arte del ben visualizzare come esercizio, aiuto nello studio, come rilassamento, come meditazione religiosa, come strada maestra per ogni successo! I vecchi libri che avevo comprato su quest’arte antica sono rimasti nei loro scaffali, non li apro più. Completamente inutili. Ma ancora oggi spesso devo saltar capitoli di volumi pregiatissimi per altri versi. Ora lo so che la spiaggia della mia mente non esiste. Lezione di yoga, e l’immancabile spiaggia con la palma e il biancore della sabbia sottile. Meditazioni di Ignazio: pensare all’orto degli ulivi, vedersi là? o immaginarsi nella notte di Natale coi pastori! Di fronte a casa mia il teatro cittadino, oltre il prato e la strada semaforica. Le grigie scale antincendio, la sua facciata d’intenso rosa antico sbiadito dai tempi. A destra dell’incrocio andando avanti ecco iniziano i filari profumati dei tigli che si muovono leggeri al vento delicato. Quando chiudo gli occhi io le so tutte queste cose. Per lunghi anni ho creduto che contare le pecore fosse una metafora. Pare di no. Dicono che ci sia qualcuno che le conta per davvero, di notte, nei suoi occhi chiusi che contengono figure colorate. Occhi contenitori della mente. La maggioranza decide. È il principio di quella sorta di governo che chiamiamo democrazia. Mai stata definizione di democrazia più azzeccata al caso! È vero, la maggioranza ha deciso che la vita fosse anche da visualizzare, nelle meditazioni, nello studio, nei sogni da svegli, nelle distrazioni, negli incubi senza che si dorma, negli sport, nelle esercitazioni, nelle relazioni umane. È tutto un “visualizza”, tutta una mappa mentale. E la memoria è un chiuder gli occhi. Ma no, non è così per tutti! Certo che non vedo mia madre se chiudo gli occhi! La pazzia dell’uniformità di percezione ha invaso il mondo! Certo che non posso mangiare patatine fritte nella mente e gustare sempre là il sapor dolce del mio cioccolato preferito o l’acre del limone! 60

Io non odo voci nella testa, mi parlo, certo, nei pensieri muti del mio ragionare, ma non ci sono timbri e bassi, o voci che assomigliano a una voce, né musiche a ronzarmi nelle orecchie di continuo. La mia vita è semplice. Si fonda sulla luce e sulla sua assenza. Io quando chiudo gli occhi vedo il buio. Mentre sul prato ci sono anche zone di fiori gialli e di margherite. Ogni tanto sul prato compaiono delle sedie di plastica. Bianche. C’è una casa. C’è chi taglia l’erba chi la innaffia, chi prende il sole. Ci sono tante cose ad occhi aperti. E ad occhi chiusi esiste l’immaginare pieno di parole che sanno anche immaginarsi.

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Capitolo 5 Immaginazione e creatività

Se cerchiamo su Google “Cosa si intende per immagini mentali?” potremmo avere risposte simili: L'immagine mentale è una rappresentazione mentale realizzata dalla mente umana, la quale funziona in maniera iconica. Le cose (mai la loro negazione) sono rappresentate anche quando esse non sono direttamente percepite dagli organi di senso. Se cerchiamo ancora ad esempio “Come avviene l'immaginazione?” troveremo probabilmente che: La mente immaginale, dunque, permette di elaborare informazioni visive attraverso una serie di elaborazioni neurotrasmettitoriali che generano, come prodotto finale, configurazioni neuro-mentali, più o meno complesse, caratterizzate dalla presenza di singole immagini mentali. 102

Nel sentire comune l’immaginazione è la capacità di fantasticare, di formare nuove idee o concetti di qualcosa non presente ai sensi, l’abilità della mente di essere creativa e ricca di risorse, e di immaginare appunto: quindi di formare delle immagini. La creatività viene associata e strettamente collegata alla capacità di immaginare. Italo Calvino racconta: C’è un verso di Dante nel Purgatorio (XVII, 25) che dice: “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”. La mia conferenza di stasera partirà da questa constatazione: la fantasia è un posto dove ci piove dentro. Vediamo in quale contesto si trova questo verso del Purgatorio. Siamo nel girone degli iracondi e Dante sta contemplando delle immagini che si formano direttamente nella sua mente,

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https://www.stateofmind.it/2016/01/immaginazione-mentale/

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Qualche riga dopo ci riporta la definizione di immaginazione di Dante, in due terzine (XVII, 13-18): O imaginativa che ne rube talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge perché dintorno suonin mille tube, chi move te, se ‘l senso non ti porge? Movesi lume che nel ciel s’informa per sé o per voler che giù lo scorge.

e ne fa la parafrasi: O immaginazione, che hai il potere d’importi alle nostre facoltà e alla nostra volontà e di rapirci in un mondo interiore strappandoci al mondo esterno, tanto che anche se suonassero mille trombe non ce ne accorgeremmo, da dove provengono i messaggi visivi che tu ricevi, quando essi non sono formati da sensazioni depositate nella memoria?

Siamo nelle “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”, un libro di Calvino basato su una serie di lezioni preparate in vista di un ciclo di sei discorsi da tenere all'Università di Harvard per l'anno accademico 1985-1986. Al momento di partire egli ne aveva scritte solo cinque, mancava la sesta, Consistency. Quelle che poi furono pubblicate postume nel 1988 sotto il titolo che conosciamo sono: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità; si tratta di valori letterari che lo scrittore avrebbe voluto preservare per il prossimo millennio. La voce Visibilità (come del resto tutta la mia copia del volume) è pasticciata di vecchie sottolineature a matita e di note a margine, e per il discorso che stiamo facendo si presenta molto interessante sotto parecchi punti di vista: anche Calvino, dopo la citazione di Dante, riporta gli inviti a visualizzare di Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali evidenziando come il fedele, nelle sue preghiere e meditazioni, venisse chiamato a raffigurarsi personaggi, luoghi, scene; poi continua col chiedersi da scrittore, da dove giungano, o come dice Dante da dove “piovono” le immagini nella fantasia. Passa in rassegna i modi in cui il problema è già stato posto per giungere a chiedersi in che modo ha iniziato egli stesso a scrivere. 64

Bene, egli dice che all’origine, al nucleo di ogni storia, c’era un’immagine, che si presentava a lui come carica di significato, e poi attorno ad essa se ne addensavano altre fino all’intervento della sua intenzione di porre ordine e stabilire quali significati potevano essere compatibili col disegno generale da dare alla storia. E poi Calvino si chiede: 103 “quale sarà il futuro dell’immaginazione in quella che si suole chiamare «la civiltà dell’immagine»? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate? Una volta la memoria visiva d’un individuo era limitata al patrimonio delle sue esperienze dirette e a un ridotto repertorio d’immagini riflesse dalla cultura; la possibilità di dar forma a miti personali nasceva dal modo in cui i frammenti di questa memoria si combinavano tra loro in accostamenti inattesi e suggestivi. Oggi siamo bombardati da una tale quantità d’immagini da non saper più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d’immagini come un deposito di spazzatura, dove è sempre più difficile che una figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo.”

e afferma di aver voluto inserire la Visibilità nel suo elenco di valori da salvare perché in un’epoca di immagini pervasive come la nostra corriamo il pericolo di perdere quella che chiama una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini.

Ero giovane, leggevo, sottolineavo, infatuata dalla letteratura e dalle storie, pensavo per metafore pure io, ma questa è un’altra storia.

E non è il solo a chiederselo, vedi anche Peter Mendelsund, What We See When We Read, Random House USA Inc, 2014. 103

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Ovviamente oggi so che Calvino parlava sul serio, e che come molti altri “vedeva”. Ma torniamo all’immaginazione. L’immaginazione è coinvolta in un’ampia varietà delle attività umane, la storia del temine attraversa la storia degli uomini passando per la filosofia, la medicina, la psicologia, l’epistemologia, la filosofia del linguaggio, la letteratura, l’arte... L’enciclopedia Stanford della filosofia ci ricorda che: «C'è un consenso generale tra coloro che lavorano sull'argomento sul fatto che il termine "immaginazione" sia usato in modo troppo ampio per consentire una semplice tassonomia. In effetti, è normale che le panoramiche inizino con un'evocazione delle osservazioni di PF Strawson in "Immaginazione e percezione", dove scrive: Gli usi e le applicazioni dei termini “immagine”, “immaginare”, “immaginazione” e così via costituiscono una famiglia molto varia e dispersa. Anche questa immagine di famiglia sembra troppo definita.» 104

https://plato.stanford.edu/entries/imagination/ “There is a general consensus among those who work on the topic that the term “imagination” is used too broadly to permit simple taxonomy. Indeed, it is common for overviews to begin with an invocation of P.F. Strawson’s remarks in “Imagination and Perception”, where he writes:The uses, and applications, of the terms “image”, “imagine”, “imagination”, and so forth make up a very diverse and scattered family. Even this image of a family seems too definite. It would be a matter of more than difficulty to identify and list the family’s members, let alone their relations of parenthood and cousinhood. (Strawson 1970: 31)” Trad.: “C'è un consenso generale tra coloro che lavorano sull'argomento sul fatto che il termine " immaginazione " sia usato in modo troppo ampio per consentire una semplice tassonomia. In effetti, è normale che le panoramiche inizino con un'evocazione delle osservazioni di P.F. Strawson in "Imagination and Perception", dove scrive: Gli usi e le applicazioni dei termini “immagine”, “immaginare”, “immaginazione” e così via costituiscono una famiglia molto varia e dispersa. Anche questa immagine di famiglia sembra troppo definita. Sarebbe una questione più che difficile identificare ed elencare i membri della famiglia, per non parlare dei loro rapporti di genitorialità e parentela. (Strawson 1970: 31)” 104

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Immaginazione e fantasia sono spesso stati usati come sinonimi 105 intendendoli come quella particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione, libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, legata ad un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema fisso 106.

Nel pensiero contemporaneo l’immaginazione diventa anche “immaginario”. 107 Si tratta sempre e comunque del legame tra le immagini e il pensiero. Ma il legame tra pensiero e immaginazione deve sempre essere composto da immagini? E qual è la relazione tra immaginazione e immagine mentale? 108

Da Umberto Galimberti, Nuovo dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze, Feltrinelli 2018: Fantasia (ingl. Fantasy; ted. Phantasie; fr. Fantaisie; sp. Fantasia). Il termine è impiegato in due accezioni: 1) come attività immaginativa in generale che è alla base di ogni processo creativo, e 2) come fantasma, espressione di risonanza psicoanalitica, che fa riferimento a quella condizione, sia normale sia patologica, dove si realizza l'appagamento di desideri inconsci. Per quanto concerne il primo significato si rinvia alla voce IMMAGINAZIONE, per quanto concerne il secondo s'è resa necessaria la sua rubricazione sotto la voce FANTASIA perché nella letteratura psicologica inglese e in quella tedesca è identico il termine che denomina sia la fantasia come attività immaginativa sia il fantasma. Dal fantasma, infine, va distinta la fantasticheria, o sogno diurno. 106 https://www.treccani.it/enciclopedia/immaginazione/ 107 https://it.wikipedia.org/wiki/Immaginazione 108 https://plato.stanford.edu/entries/imagination/: “Historically, mental imagery is thought to be an essential component of imaginings. Aristotle’s phantasia, which is sometimes translated as imagination, is a faculty that produces images (De Anima; see entry on Aristotle’s conception of imagination; but see Caston 1996). René Descartes (Meditations on First Philosophy) and David Hume (Treatise of Human Nature) both thought that to imagine just is to hold a mental image, or an impression of perception, in one’s mind. However, George Berkeley’s puzzle of visualizing the unseen (Three Dialogues between Hylas and Philonous) arguably suggests the existence of a non-imagistic hypothetical attitude. Against the historical orthodoxy, the contemporary tendency is to recognize that there is at least one species of imagination—propositional imagination—that does not require mental imagery. For example, Kendall Walton simply states, “imagining can occur without imagery” (1990: 13). In turn, against this contemporary tendency, Amy Kind (2001) argues that an 105

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Si è sempre ritenuto che le immagini mentali fossero parte essenziale dell’immaginazione, e la Phantasia di Aristotele, che ha suggerito al prof. Zeman il termine Aphantasia, era a volte tradotta con immaginazione. 109 Agli inizi dei loro studi sull’Aphantasia il prof. Zeman e il suo team ritenevano (come pure Galton peraltro), che tra gli uomini di scienza, portati alle analisi astratte e alle materie scientifiche si trovassero la maggior parte degli afantasici e viceversa che tra le professioni ritenute proprie delle persone maggiormente creative (scienziati, designer, architetti artisti, scrittori ecc) non si potessero trovare degli afantasici.

image-based account can explain three crucial features of imagination—directedness, active nature, and phenomenological character—better than its imageless counterpart. As a partial reconciliation of the two, Peter Langland-Hassan (2015) develops a pluralist position on which there exists a variety of imaginative attitudes, including ones that can take on hybrid contents that are partly propositional and partly sensorily imagistic. (For a nuanced overview of this debate, see Gregory 2016: 103– 106.)” Trad.: “Storicamente, si ritiene che le immagini mentali siano una componente essenziale dell'immaginazione. La fantasia di Aristotele, che a volte viene tradotta come immaginazione, è una facoltà che produce immagini (De Anima; cfr. voce sulla concezione aristotelica dell'immaginazione; ma cfr. Caston 1996). René Descartes (Meditazioni sulla prima filosofia) e David Hume (Trattato della natura umana) pensavano entrambi che immaginare significa proprio mantenere un'immagine mentale, o un'impressione di percezione, nella propria mente. Tuttavia, l'enigma di George Berkeley di visualizzare l'invisibile (Tre dialoghi tra Hylas e Philonous) suggerisce probabilmente l'esistenza di un atteggiamento ipotetico non immaginativo. Contro l'ortodossia storica, la tendenza contemporanea è quella di riconoscere che esiste almeno una specie di immaginazione - l'immaginazione proposizionale - che non richiede immagini mentali. Ad esempio, Kendall Walton afferma semplicemente che "l'immaginazione può verificarsi senza immagini" (1990: 13). A sua volta, contro questa tendenza contemporanea, Amy Kind (2001) sostiene che un resoconto basato sull'immagine può spiegare tre caratteristiche cruciali dell'immaginazione - orientamento, natura attiva e carattere fenomenologico - meglio della sua controparte senza immagini. Come parziale riconciliazione dei due, Peter Langland-Hassan (2015) sviluppa una posizione pluralista su cui esiste una varietà di atteggiamenti immaginativi, compresi quelli che possono assumere contenuti ibridi, in parte proposizionali e in parte sensorialmente immaginari. (Per una panoramica sfumata di questo dibattito, vedere Gregory 2016: 103–106.)” 109 https://plato.stanford.edu/entries/aristotle-psychology/suppl4.html

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Ma le successive indagini hanno per il momento smentito almeno la seconda delle affermazioni. 110 La prima pare avere ancora un certo fondamento. 111 Oggi si tende però a riconoscere che esistono altri tipi di immaginazione che non richiedono immagini mentali, e che la creatività e l’immaginazione non si manifestano negli esseri umani soltanto sotto forma di immagine, anzi qualcuno si spinge a sospettare (come sospettava già lo stesso Calvino) che spesso le immagini potrebbero addirittura mantenere l’immaginazione stessa entro schemi già visti e prefabbricati di immagini usabili già pronte da visualizzare. 112

110 Francis Galton, "Statistics of Mental Imagery". Mind. os–V (19): 301–318. doi:10.1093/mind/os-V.19.301. “To my astonishment, I found that the great majority of the men of science to whom I first applied, protested that mental imagery was unknown to them, and they looked on me as fanciful and fantastic in supposing that the words 'mental imagery' really expressed what I believed everybody supposed them to mean. They had no more notion of its true nature than a colour-blind man who has not discerned his defect has of the nature of colour.” Trad.: “Con mio stupore, ho scoperto che la grande maggioranza degli uomini di scienza a cui mi sono rivolto per la prima volta, protestava che le immagini mentali erano loro sconosciute e mi consideravano fantasioso e fantastico nel supporre che le parole "immagini mentali" esprimessero davvero quello che credevo che tutti credessero che volessero dire. Non avevano più idea della sua vera natura di quanto un uomo daltonico che non ha discernuto il suo difetto abbia della natura del colore”. Vedi anche: https://blogs.exeter.ac.uk/eyesmind/2020/05/04/an-update-on-extreme-imaginationaphantasiahyperphantasia/ 111 Cfr. Adam Zeman, Fraser Milton, Sergio Della Sala, Michaela Dewar, Timothy Frayling, James Gaddum, Andrew Hattersley, Brittany Heuerman-Williamson, Kealan Jones, Matthew MacKisack, Crawford Winlove, Phantasia–The psychological significance of lifelong visual imagery vividness extremes, Cortex, Volume 130, 2020, Pages 426-440, ISSN 0010-9452, https://doi.org/10.1016/j.cortex.2020.04.003 “Questionnaire data from 2000 participants with aphantasia and 200 with hyperphantasia indicate that aphantasia is associated with scientific and mathematical occupations, whereas hyperphantasia is associated with ‘creative’ professions." Trad.: I dati del questionario di 2000 partecipanti con afantasia e 200 con iperfantasia indicano che l'afantasia è associata a occupazioni scientifiche e matematiche, mentre l'iperfantasia è associata a professioni "creative". 112 Cfr. Peter Mendelsund, What We See When We Read, Random House USA Inc, 2014.

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Ci sarebbe certamente anche da riflettere sul ruolo che gioca in ciascuno di noi la percezione delle cose e come sia possibile per noi memorizzarle per rivederle quando ci servono, e quali pregiudizi usiamo nell’apprendere e capire le immagini stesse che memorizziamo. Ma se pure non si può realisticamente dare di tutto questo una esaustiva spiegazione scientifica, immersi tutti come siamo in secoli di discussioni e di teorie filosofiche e psicologiche e linguistiche sugli stessi termini, lo possiamo fare sulla base dell’esperienza e dell’evidenza: persone che riconoscono se stesse come afantasiche, che riferiscono cioè di riconoscere e di non usare l’occhio della mente e le conseguenti immagini mentali, sono attive e hanno successo, cioè producono degli oggetti pregni di grande immaginazione e creatività, anche in campi in cui comunemente si crede che l’immaginazione e la creatività siano fondamentali per poter raggiungere risultati considerevoli.

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Capitolo 6 Vivere con Afantasia

Stiamo parlando di Aphantasia per descrivere la condizione buia dell’occhio della mente. Ma l’aphantasia viene indagata e studiata come uno spettro, 113 una gamma, in cui si collocano vari gradi di visualizzazione e di persone che si riconoscono in certe esperienze, e mi piace adesso ricordare come il professor Zeman abbia avuto modo di definirla, talvolta, come una variazione intrigante dell’umana esperienza. 114 Il Vividness of Visual Imagery Questionnaire (VVIQ), sviluppato nel 1973 dallo psicologo britannico David Marks e poi aggiornato nel 1995, si è rivelato strumento essenziale nell'indagine scientifica delle immagini mentali. La procedura può essere eseguita ad occhi chiusi e/o ad occhi aperti. Il punteggio totale sul VVIQ è un predittore delle prestazioni della persona in una varietà di compiti cognitivi, motori e creativi. È molto facile trovare online semplici e gratuiti test e questionari di valutazione, come ad esempio nel sito dell’Università di Exeter, 115 dove lavora il prof. Zeman, e dove potrete anche trovare i suoi recapiti per mettervi in contatto con lui, o nel sito di Aphantasia Network 116

https://en.wikipedia.org/wiki/Vividness_of_Visual_Imagery_Questionnaire Cfr. https://www.exeter.ac.uk/news/research/title_467790_en.html «Professor Zeman said: “This intriguing variation in human experience has received little attention. Our participants mostly have some first-hand knowledge of imagery through their dreams: our study revealed an interesting dissociation between voluntary imagery, which is absent or much reduced in these individuals, and involuntary imagery, for example in dreams, which is usually preserved.”» Trad.: “«Il professor Zeman ha detto: “Questa intrigante variazione nell'esperienza umana ha ricevuto poca attenzione. I nostri partecipanti per lo più hanno una conoscenza di prima mano delle immagini attraverso i loro sogni: il nostro studio ha rivelato un'interessante dissociazione tra le immagini volontarie, che sono assenti o molto ridotte in questi individui, e le immagini involontarie, ad esempio nei sogni, che di solito vengono preservate. »” 115 https://exetercles.eu.qualtrics.com/jfe/form/SV_ctDxi0ft0tFPlEp 116 https://aphantasia.com/vviq/ 113 114

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dove scopriamo che alla fine del test il nostro risultato, molto probabilmente, si posizionerebbe entro una delle seguenti possibilità:        

Visual Aphantasia or image-free imagination Visual Hypophantasia or mostly image-free imagination Visual Phantasia or vivid visual imagination Visual Hyperphantasia or extremely vivid visual imagery Aphantasia visiva o immaginazione libera da immagini Ipofantasia visiva o immaginazione per lo più priva di immagini Visual Phantasia o vivida immaginazione visiva Iperfantasia visiva o immagini visive estremamente vivide

Ovviamente le possibilità e le sfumature possono essere maggiori di quelle qui previste, ma comunque si parte da un grado zero per arrivare ad un massimo grado. L’aggettivo si aggiunge per sottolineare che si tratta qui di immagini visive, come sappiamo infatti, le immagini mentali comprendono anche altre ‘immagini’ sensoriali: tattili, olfattive, gustative, uditive, cinestesiche e di movimento. 117 È anche possibile mettersi in contatto con il prof Pearson 118 e dare la propria adesione per partecipare alle loro ricerche tramite test periodici che si possono fare anche online. Per un test veloce basta dare un’occhiata a queste immagini 119 e poi, chiudendo gli occhi, cercare di capire a quale di esse corrisponde la vostra particolare esperienza di immagine mentale.

http://addspeaker.net/aphantasia-and-anauralia-see-no-evil-hear-no-evil/ https://www.futuremindslab.com/extremeimagery 119 Immagine dal sito: https://aphantasia.com/think-of-a-horse/ 117 118

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Fatte queste premesse vado subito al dunque: mai avrei sospettato anni fa che la maggior parte delle persone intorno a me potessero vivere, percepire, avere esperienze in maniera totalmente diversa dalla mia. Se non avessi saputo che altre persone vivono e percepiscono diversamente da me, non mi sarei di sicuro posta alcun problema o fatta alcuna domanda, certamente per me le cose sarebbero andate come vanno da parecchi anni a questa parte, sarei rimasta convinta del fatto che molte espressioni che sento usare quotidianamente siano solo delle vecchie metafore e non ci avrei dato molto peso. Da quando invece abbiamo scoperto delle diversità di percezione che portano a modalità diverse, anche di vita, sia io che altri ci chiediamo cosa ci sia di diverso tra di noi in molte delle normali azioni quotidiane e in molti atteggiamenti, sensazioni e sentimenti di ogni giorno. Infatti i modi di agire e comportarsi sono completamente differenti tra chi visualizza e chi non visualizza (e penso che al riguardo prima o poi occorrerà dare un nome a chi non visualizza, e che prima o poi bisogna anche dire che vi sono differenze fondamentali tra chi non visualizza e chi lo fa, tra imager e non imager, aphants, non-aphants, afantasici, fantasici, visualizzatori e verbalizzatori,) e questi modi di agire e fare interessano ogni aspetto dell’esistenza! Sono numerosi, ma forse non ancora a sufficienza, i luoghi in cui ci si può imbattere in qualcuno che tenta di aggregare persone e di far 73

propaganda, nel senso nobile del termine, all’aphantasia, ancora largamente disconosciuta dalla pubblica opinione. Pagine, gruppi nei social, contenitori vari, video, blog, network, oltre ai vari siti istituzionali e agli articoli scientifici destinati ai professionisti. 120 Andando a curiosare in questi siti di aggregazione si scoprono i molteplici aspetti del vivere quotidiano che vengono coinvolti e plasmati in qualche modo da quella che sembrerebbe in apparenza una questione marginale dell’esperienza umana: il discrimine tra visualizzare e il non-visualizzare. Come spesso accade nelle facende umane tra i partecipanti ai gruppi si evidenziano tendenze diversificate: dopo la prima fase di scoperta e di risposta emotiva alla scoperta stessa, e di curiosità verso le esperienze diverse degli altri, si ritrovano persone pronte a compiangersi e ritenersi “menomate”, “defraudate” di qualcosa, 121 e molti di essi potrebbero essere aiutati anche con una corretta informazione e con una diversa prospettiva globale sulla visualizzazione, come diremo dopo; 122 altre persone che attribuiscono ogni loro malessere all’aphantasia; e altre ancora che si dichiarano normalmente soddisfatte della loro vita. Di questo parleremo ancora. Spesso anche alcuni non-aphants partecipano alla discussione, o vengono riportate e contrapposte esperienze riferite di partner, amici o conoscenti visualizzatori.

120https://aphantasia.com/

Aphantasia (Non-Imager / Mental Blindness) Awareness Group https://www.facebook.com/thevisualimagination, https://www.facebook.com/groups/204603509580186 https://www.facebook.com/aphantasianetwork/ https://www.facebook.com/thevisualimagination The Aphantasia Artist ( Art Group for Image Blind Creators https://www.facebook.com/groups/980454032104997/ https://www.facebook.com/sydneyaphantasiaresearch/ 121 Vorrei qui ricordare che le esperienze umane comprendono molti casi diversi e che ogni persona che nasce, anche le persone cieche, zoppe, mute o con quelle che si possono classificare come altre limitazioni di ogni sorta, nonostante tutto, vivono ugualmente; la capacità di adattamento degli esseri umani pare illimitata, mentre continuare a compiangersi fa male a chi si compiange e a chi gli sta accanto, e di certo non porta vantaggi a nessuno. 122 Cfr. Capitolo 12, Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare.

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Nell’ambito di questi gruppi ha preso corpo anni fa un libro interessante, per ora solo in lingua inglese, di Alan Kendle che, dopo una vita normale, scopertosi afantasico in tarda età, ha deciso di raccogliere la sua esperienza e quella di altri che hanno collaborato al libro rispondendo ad una sorta di questionario sulla base di domande che lo stesso Kendle aveva rivolto dapprima a se stesso; la prefazione del prof. Zeman, la cura dell’autore e la varietà delle esperienze riportate lo rendono una lettura interessante anche se poco illuminante dal punto di vista teorico e speculativo. 123 Molti afantasici riferiscono esperienze personali di difficoltà nel riconoscere le facce, i luoghi o nel ricordare la propria vita passata, raccontano anche altre difficoltà più diverse; altri riconoscono una vita per nulla differente, all’apparenza, dal resto della popolazione umana, altri riconoscono di aver delle capacità di lettura veloce, di individuare i refusi senza volerlo, di memoria eccezionali. Che ci siano delle diversità tra le persone è fuor di dubbio. Sì, è proprio vero che l’Aphantasia sfida alcuni dei nostri presupposti più elementari sulla mente umana. Mi riferisco all’avere esperienza di cose normali e quotidiane come dormire, sognare, ricordare, riconoscere le facce, i luoghi e orientarsi in essi, oppure la maniera di leggere, studiare, disegnare e progettare, per non parlare poi degli affetti, della lontananza di persone care o purtroppo anche della loro morte. Prendiamo per esempio il dormire. Quando vado a letto io chiudo gli occhi e il buio mi appare immediato, ho solo i pensieri a tenermi compagnia, e se non do loro molta corda, se riesco a imbrigliarli bene non faccio fatica ad addormentarmi nel migliore dei modi. Non devo lottare con nessuna immagine incuneata nella mia mente, non devo sviluppare nessuno stratagemma per rendere le immagini buone e confortanti tali da indurmi al sonno. Una delle mie amiche, fortemente visualizzatrice, mi diceva che a notte deve immaginare un cestino e buttarci dentro le immagini che le danno fastidio prima di riuscire a dormire. Sognare. I miei sogni, diversamente da quanto accade ad altri che non visualizzano sono vividi, a colori, splendidi, (a volte sogno di Alan Kendle, Aphantasia: Experiences, Perceptions, and Insights, Dark River, 2017 123

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sfogliare anche dei libri, mi è capitato persino di sfogliare in sonno il famoso vocabolario di greco antico Rocci, incubo dei miei sogni di liceale! E che sia un’illusione o una realtà onirica la sua visione è perfettamente plausibile e realistica, dalla carta delle pagine ai caratteri e alla ricerca dei lemmi in se stessi), e nemmeno faccio fatica a ricordare e a descrivere i miei sogni, insomma ho un’esperienza positiva del sognare in accordo a tutta la letteratura relativa ad essi. 124 Ricordare episodi della mia vita non è affatto difficile. Ricordo la scuola elementare, la maestra, le compagne, le aule e i corridoi, i luoghi della mia prima infanzia, la casa dei miei genitori, i vicoli intorno ad essa, le strade, le persone; sono in grado di ripensare a delle atmosfere o a descrivere degli odori e dei colori, delle sensazioni. Ma non vedo nulla di tutto questo nella mia mente. Ho un’ottima memoria per le facce, e per i nomi delle persone che mi vengono presentate, addirittura potrei ripetere a memoria l’appello della terza C, l’ultima classe del mio liceo! Ricordo benissimo i luoghi e se non sembrasse un paradosso potrei affermare tranquillamente di avere una buona memoria “visiva”, o almeno questo è quanto credevo qualche anno fa quando sapevo di poter ricordare perfettamente dove avevo incontrato una persona, su quale angolo di strada era accaduto un certo avvenimento, e su quale pagina e paragrafo di un libro era scritta una certa frase. E questo lo avrei descritto e raccontato solo a parole, senza poterlo ovviamente “vedere” con quelli che si dicono gli occhi della mente! Leggere, studiare e ricordare per me sono state esperienze normali, e, tranne alcuni esami universitari in cui ora immagino che magari avrei potuto trarre giovamento dal poter richiamare visivamente delle tabelle su cui mi struggevo, ricordo che comunque io usavo delle mie mappe mentali, in maniera del tutto intuitiva, e le usavo forse in una maniera mia propria, o forse propria di molti fra noi che non visualizzano, le usavo come concetti. Le immagini e gli schemi che vi disegnavo ad occhi aperti con le matite e i colori mi servivano per imprimere meglio i concetti nella memoria e per ricordare su quale lato del foglio fossero state scritte

Cfr., solo ad esempio, Philippe Beaulieu, Oliver Pallanca, Dormire in modo naturale: Nuove soluzioni per vincere l'insonnia, Giunti Editore 2020 e Richard Wiseman, Il potere del sonno, Antonio Vallardi Editore, 2017.

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certe informazioni, senza possibilità alcuna, ovviamente, di poterle rivedere nella mia mente. Leggere da sempre è una delle mie grandi passioni. Non passa giorno che io non legga qualcosa, leggo cose diverse, romanzi, gialli, saggi di vario genere, poesie… e sono anche molto veloce nella lettura, ho pure un’altra grande abilità riguardante lo spelling, purtroppo riesco a scovare refusi quasi in ogni libro che leggo, ma non lo faccio apposta, e mi dispiace veder gli errori, ma c’è qualcosa che non saprei descrivere nella mia mente che mi mostra quando in un periodo intero una parola non torna, è scritta male, sento una specie di disagio e la individuo subito, e questo non soltanto nella mia lingua madre, l’italiano, ma anche quando leggo in inglese. Sono molto sensibile alla grafia delle parole e alla loro correttezza. Quando leggo non ho problemi, come hanno altri miei colleghi nel non visualizzare, con le descrizioni lunghe o brevi di personaggi, ambienti, luoghi; mi vanno bene come mi va bene il resto, e in qualche modo le integro nelle informazioni che mi servono per decifrare il testo che sto leggendo senza alcun problema. Ricordo benissimo quello che leggo. Compatibilmente con le migliaia di pagine che leggo ogni anno sono pure in grado di ritrovare delle citazioni e degli argomenti lette in diversi periodi della mia esistenza. E ricordo anche il momento in cui un particolare libro è stato letto e dove mi trovavo e cosa facevo nel periodo in cui lo leggevo. Sono sempre stata molto brava nel disegno, e nella pittura, posso fare delle copie quasi perfette di un altro disegno o di un quadro in sua presenza, ma non mi riesce altrettanto bene quando devo disegnare senza avere davanti un modello, a meno che non si tratti di qualcosa di semplice e di abbastanza stilizzato o di qualcosa su cui precedentemente io non mi sia esercitata, se ad esempio disegno molte volte un gatto so poi come disegnarlo anche se non lo vedo davanti, o dopo aver studiato e meditato un po’ sulle proporzioni del volto umano riesco a riprodurne uno basandomi su quel che so senza modelli davanti. Orientarsi. Mi oriento bene, so dove devo andare, ricordo le strade, so di avere una bussola interna che mi guida. Che guidi l’automobile o vada a piedi mi so orientare benissimo.

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Fino a questo punto la mia pare un’esistenza abbastanza normale se non anche un po’ privilegiata, o almeno io mi sento privilegiata nella mia esperienza che sto tentando di descrivere. Quando arriviamo alla faccenda degli affetti, della lontananza e della morte non so cosa dire, o forse lo so. Rimango privilegiata, in un modo particolare che forse a molti darebbe fastidio ma io credo che mi protegga da turbamenti emotivi. Io ad esempio non so rivedere le mie sorelle e fratelli da giovani, ma potrei descriverli, e potrei disegnare una cartina delle molte case in cui la mia vita nomade mi ha portata a vivere. I miei genitori sono morti a distanza di parecchi anni tra loro, prima mio padre, poi 12 anni dopo è morta la mia mamma. Io non so rivedere le loro facce quando chiudo gli occhi. Né da anziani, né da più giovani, quando io ero bambina. E mi dispiace. E anche adesso quando sono in viaggio e cerco di visualizzare mio marito e mio figlio lontani e non ci riesco: ecco questo un pochino mi dispiace, anche se accetto e fa parte di me il non poter vedere nessuno con l’occhio della mente. Ribadisco, credo e sono convinta, che il non poter vedere nessuno in qualche misura mi protegga, e sono contenta e soddisfatta della mia condizione di non visualizzatrice. Certo resta la curiosità verso un’esperienza di vita diversa dalla mia, come credo e immagino sia curioso di me chi non riesca ad immaginare come vivo io. Io so quanti scaffali ci sono nella mia libreria, so la posizione di un libro particolare, so quante finestre ha la mia casa o le molte case in cui ho abitato nei miei tanti traslochi. So cosa contengono i miei armadi, i miei molti cassetti, le scatole in cantina. Ripetere che ogni esperienza è personale e non cedibile non basta. Molte altre persone che dichiarano di non visualizzare hanno esperienze diverse dalla mia ma, come a me sembra normale la mia, essi troveranno normale la loro. Quale sia più normale non so, nè saprei, a meno che normale non venga intesa quella della maggioranza come da etimologia, ma non mi pare una buona soluzione.

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Insomma cosa fa dell’aphantasia l’aphantasia? il solo non poter vedere chiudendo gli occhi, per quanto mi riguarda, ma cosa altro ancora? e poi esiste davvero questa condizione oppure non esiste come dicono alcuni studiosi? 125 Ci sarebbero forse altri sintomi nascosti e inconsci di cui noi stessi che non visualizziamo non siamo a conoscenza? (e questa è dal mio punto di vista una domanda ironica) oppure molto più semplicemente le esperienze umane che si credevano universali sono da ricondursi a qualcosa di non classificabile e di diversamente variegato? Ognuno di noi, riconsiderando il proprio modo di esperire e vivere, può rendersi conto di tutte le implicazioni pratiche e teoriche che i vari gradi nello spettro del questionario sulla vividezza delle immagini comportano. Proviamo a riflettere soltanto su cosa comporta, per esempio, una testimonianza resa in un procedimento legale da una persona che dice di visualizzare i dettagli e da qualcuno che dice di non poterli visualizzare, e quanto entrambe possano o no considerarsi attendibili. 126 Oppure su cosa significhi per l’intera società un programma scolastico o un libro di testo interamente focalizzato sulle immagini. 127

Cfr. Capitolo 8, La visualizzazione dominante. Una volta un’amica fortemente visualizzatrice al mio cruccio di poter esistere nelle menti altrui senza alcun controllo da parte mia e senza che io potessi dal mio canto richiamare le immagini di nessuno rispose più o meno così: “Ma guarda che non tutti vedono le stesse cose, o vedono te per come sei realmente, quello che loro di te memorizzano e richiamano alla mente è la loro esperienza di te che non ti comprende né ti descrive né ti contempla in tutta la tua interezza” in effetti credo che nelle memorie delle persone le cose si deformano in base alla stessa esperienza di ciò che esse vedono, credono e immaginano con quel tipo di immaginazione che per alcuni è anche visiva ma che per sé stessa non è solo visiva. 127 Koć-Januchta, M., Höffler, T., Thoma, G.-B., Prechtl, H., & Leutner, D. (2017). Visualizers versus verbalizers: Effects of cognitive style on learning with texts and pictures—An eye-tracking study. Computers in Human Behavior, 68, 170– 179. https://doi.org/10.1016/j.chb.2016.11.028. 125 126

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Capitolo 7 E quante altre percezioni diverse esistono nel mondo?

Riandando al Vividness of Visual Imagery Questionnaire troviamo da un lato le persone che dicono di vivere con l’Aphantasia, nel mezzo una grande varietà di gradazioni nel visualizzare e, sul lato opposto, coloro che affermano di vivere con la condizione di Iperfantasia. L' Hyperphantasia, opposta all’Aphantasia è la condizione di chi ha immagini mentali estremamente vivide, quasi come immagini reali. L'iperfantasia coinvolge tutti i tipi di immagini mentali, legate a tutti i sensi. Alcuni studi confermano legami tra l’Iperfantasia e la Sinestesia. 128 Nell’aprile del 2019 presso l’Università di Exeter si è tenuta la prima Conferenza sull’Immaginazione estrema, 129 dedicata a persone con Aphantasia e con Iperfantasia. Tra i relatori Adam Zeman, Joel Pearson, Emily Holmes, Ed Catmull, oltre agli artisti e i curatori della mostra associata ‘Extreme Imagination – inside the mind’s eye’. L’intento, riuscito, era di costruire una comunità e iniziare ad esplorare le implicazioni pratiche delle immaginazioni estreme. 130 Vorrei portare all’attenzione di tutti queste parole di Serena Puang, scritte al termine di un suo articolo dedicato alla sua esperienza di aphant, sul New York Times:

128

https://en.wikipedia.org/wiki/Hyperphantasia

129https://blogs.exeter.ac.uk/eyesmind/2019/01/08/extreme-imagination-confer-

ence-2019 https://blogs.exeter.ac.uk/eyesmind/2020/05/04/an-update-on-extreme-imagination-aphantasiahyperphantasia/ 130

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“When I close my eyes, all I see is faint blue dots and darkness, and for 19 years, I assumed that’s what everyone else saw too. I wonder what else we take for granted.” 131

Mi chiedo anche io cos’altro stiamo dando tutti per scontato.

Trad.: “Quando chiudo gli occhi, tutto ciò che vedo sono deboli punti blu e oscurità, e per 19 anni ho pensato che fosse quello che vedevano anche tutti gli altri. Mi chiedo cos'altro diamo per scontato". https://www.nytimes.com/2020/07/15/well/mind/aphantasia-mental-images.html 131

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Capitolo 8 La visualizzazione dominante

Il dibattito sullo stato, il ruolo e la natura delle immagini mentali è stato molto acceso negli anni ’70, ma la concezione che le immagini mentali esistessero e che la loro esperienza fosse universale non è mai stata messa in discussione. Zenon Pylyshyn, uno dei grandi protagonisti di quegli anni, in suo saggio fondamentale del 1973, nonostante intendesse riformare e ripensare lo status stesso delle immagini mentali, affermava comunque che la loro esistenza non potesse essere messa in discussione, che esse sono pervasive, che senza di esse non può esservi coscienza e che sono a pieno titolo oggetto di studi scientifici. 132 Nessuno vorrebbe negare la capacità umana di immaginare oggetti e scene, il problema rimane quello di saper spiegare questa capacità e il suo legame con la percezione visiva, posto l’assunto che non possiamo immaginare ciò che non possiamo vedere.

Cfr. Pylyshyn, Z.W. (1973), What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery. In: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1 , “For the sake of avoiding any misinterpretations of the remarks in the remainder of this paper, it should be stressed that the existence of the experience of images cannot be questioned. Imagery is a pervasive form of experience and is clearly of utmost, importance to humans. We cannot speak of consciousness without, at the same time, implicating the existence of images. Such experiences are not in question here. Nor, in fact, is the status of imagery either as object of study (i.e., as dependent variable) or as scientific evidence being challenged”. Trad.: “Per evitare interpretazioni errate delle osservazioni nel resto di questo lavoro, va sottolineato che l'esistenza dell'esperienza delle immagini non può essere messa in discussione. L'immagine è una forma pervasiva di esperienza ed è chiaramente della massima importanza per gli esseri umani. Non si può parlare di coscienza senza, allo stesso tempo, implicare l'esistenza delle immagini. Tali esperienze non sono in questione qui. Né, in effetti, viene contestato lo status delle immagini come oggetto di studio (cioè come variabile dipendente) o come prova scientifica.” 132

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Anche Daniel Dennett rispondendo ad un intervento più recente di Pylyshyn, 133 scriveva che “Nobody denies that when we engage in mental imagery we seem to be making pictures in our heads – in some sense.” 134 Ancora ai giorni nostri l’esistenza di persone che di dicharano non imager o non visualizzatori o lontani e distanti dalle immagini mentali crea parecchi disagi anche agli studiosi più scettici, come ad esempio Eric Schwitzgebel, 135 il quale nega l’esperienza di persone che non visualizzano, nega l’Aphantasia, e la credenza comune nella bontà della capacità dell’introspezione, asserisce, secondo me a ragione, che l'introspezione non è un singolo processo ma una pluralità di processi 136 ma fatto questo nega poi la possibilità di autoriferire in qualche modo la propria esperienza. Fra le altre prove a sostegno delle sue tesi egli ricorda pure che non ci sono grandi differenze cognitive fra le persone che si autodescrivono come aphantasici o iperfantasici, e che nemmeno esistono grandi differenze su compiti cognitivi che coinvolgono l’immaginario!

Cfr. Zenon W. Pylyshyn, Mental imagery: In search of a theory, Behavioral and Brain Sciences, Volume 25, Issue 2, April 2002, pp. 157 – 182 DOI: https://doi.org/10.1017/S0140525X02000043 134 Dennett, Daniel (2002), Does Your Brain Use the Images in It, and if so, How?, Behavioral and Brain Sciences 25: 189-190. Trad.: “Nessuno nega che quando ci impegniamo in immagini mentali sembriamo creare immagini nella nostra testa, in qualche modo.” 135 Cfr. Eric Schwitzgebel, How Well do We Know Our Own Conscious Experience? The Case of Visual Imagery, Journal of Consciousness Studies 9.5-6: 35-53, 2002. Eric Schwitzgebel, The Unreliability of Naive Introspection, Philosophical Review 117.2: 245-273, 2008. Eric Schwitzgebel, Perplexities of Consciousness (Cambridge MA: MIT Press), 2011. Eric Schwitzgebel, Self-Ignorance, Jeeloo Liu & John Perry (eds.), Consciousness and the Self: New Essays (Cambridge: Cambridge UP), 184-197, 2012. Eric Schwitzgebel, Introspection, What?, in D. Smithies & D. Stoljar (eds.), Introspection and Consciousness (Oxford: OUP), 29-47, 2012. 136 Eric Schwitzgebel, Introspection, What?, in D. Smithies & D. Stoljar (eds.), Introspection and Consciousness (Oxford: OUP), 29-47, 2012. 133

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Capita che le persone che si dichiarano aphantasiche vengano da molti studiosi catalogate come persone nevrotiche, traumatizzate, ansiose e depresse 137 o provviste di un cosiddetto “occhio mentale inconscio” il quale fa sì che esse possano riuscire nei test e nella vita pur senza rendersi conto delle immagini inconsce che girano nella loro testa. 138

Cfr. Stefania de Vito, Paolo Bartolomeo Refusing to imagine? On the possibility of psychogenic aphantasia. A commentary on Zeman et al. Cortex, 2015. 138https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/: “But at least some aphantasics seem to have mental imagery that they are not aware of: they have unconscious mental imagery (Koenig-Robert and Pearson 2021, Nanay 2021c, see also Phillips 2014, Church 2008, Emmanouil and Ro 2014, Brogaard and Gatzia 2017 on unconscious mental imagery). The very idea of unconscious mental imagery may raise some philosophical eyebrows and some philosophers indeed build consciousness into their definition of mental imagery (Richardson 1969, pp. 2–3, Kung 2010, p. 622). But if mental imagery is perceptual representation that is not directly triggered, then the bar for unconscious mental imagery should not be higher than the bar for perception per se, that is, for perceptual representation that is directly triggered. And we have plenty of evidence that perception is often unconscious: subjects with blindsight are not conscious of what they are staring at, but what they see systematically influences their behavior. And the same goes for healthy subjects when they look at very briefly presented or masked stimuli (see, e.g., Kentridge et al. 1999, Kouider & Dehaene 2007 as two representative examples of the vast literature on unconscious perception). If perception can be unconscious, then so can mental imagery.” Trad.: “Ma almeno alcuni aphantasic sembrano avere immagini mentali di cui non sono consapevoli: hanno immagini mentali inconsce (Koenig-Robert e Pearson 2021, Nanay 2021c, vedi anche Phillips 2014, Church 2008, Emmanouil e Ro 2014, Brogaard e Gatzia 2017 sulle immagini mentali inconsce). L'idea stessa di immagini mentali inconsce può sollevare alcune sopracciglia filosofiche e alcuni filosofi in effetti costruiscono la coscienza nella loro definizione di immagini mentali (Richardson 1969, pp. 2–3, Kung 2010, p. 622). Ma se l'immaginario mentale è una rappresentazione percettiva che non viene attivata direttamente, allora la barra dell'immaginario mentale inconscio non dovrebbe essere superiore alla barra della percezione in sé, cioè della rappresentazione percettiva che è direttamente attivata. E abbiamo molte prove che la percezione è spesso inconscia: i soggetti con vista cieca non sono consapevoli di ciò che stanno fissando, ma ciò che vedono influenza sistematicamente il loro comportamento. E lo stesso vale per i soggetti sani quando osservano stimoli presentati o mascherati molto brevemente (vedi, ad esempio, Kentridge et al. 1999, Kouider & Dehaene 2007 come due esempi rappresentativi della vasta letteratura sulla percezione inconscia). Se la percezione può essere inconscia, allora può esserlo anche l'immaginario mentale.” Cfr. anche Berit Brogaard and Dimitria Electra Gatzia, Unconscious Imagination and the Mental Imagery Debate REVIEW article Front. Psychol., 23 May 2017 137

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Il centro del ragionamento si basa sul fatto che, se la percezione può essere inconscia, allora potrebbe esserlo anche l’immagine mentale. I dubbi, e non solo filosofici, rimangono. Molte volte mi sono chiesta se ci stiamo ponendo le domande giuste o se stiamo impostando in maniera fuorviante i termini della questione. La modalità dominante (quella della maggioranza) pare essere quella di visualizzare; su questo potremmo essere d’accordo, eppure a me piacerebbe sapere davvero e in maniera quantificabile e scientifica cosa voglia dire visualizzare proprio allo stesso modo in cui gli studiosi vogliono scientificamente sapere cosa significa il fatto che io possa ‘non visualizzare’ ed avere esperienze diverse dalla loro. Mi piacerebbe che questa azione del vedere con l’occhio della mente, molto vaga, molto oscura, molto metaforica fosse meglio concettualizzata, spiegata, indagata, teorizzata. Senza contare che anche gli scienziati che si occupano di queste cose lo fanno sulla base dei loro pregiudizi e della loro stessa esperienza di visualizzatori o meno, e, sempre stando alle statistiche, ricordiamo pure che anche fra i ricercatori i visualizzatori sono la maggioranza! 139

https://doi.org/10.3389/fpsyg.2017.00799 Per le immagini mentali motorie inconsce cfr. Osuagwu, B. A. and A. Vuckovic, Similarities between explicit and implicit motor imagery in mental rotation of hands: An EEG study, Neuropsychologia, 65: 197–210., 2014. Vedi anche Lajos Brons, Aphantasia, SDAM, and Episodic Memory, Annals of the Japan Association for Philosophy of Science, 2019, Volume 28, Pages 9-32, Released on J-STAGE November 07, 2019, Online ISSN 1884-1228, Print ISSN 04530691, https://doi.org/10.4288/jafpos.28.0_9 139 Cfr. Lajos Brons, What is it like to remember something? SDAM, aphantasia, and the role of imagery in memory, 2018. https://www.academia.edu/35252937/What_is_it_like_to_remember_something_SDAM_aphantasia_and_the_role_of_imagery_in_memory. http://www.lajosbrons.net/wp/imagery-memory.pdf “Furthermore, Schwitzgebel’s argument that introspection of imagery is unreliable is based on introspection of his own imagery, which appears to be extremely vivid (see, for example, 2012b: 37). This appears to be self-defeating, but it also nicely illustrates that researchers’ theoretical views about imagery are influenced by the vividness of their own imagery (Reisberg, Pearson, & Kosslyn 2002; Faw 2009). More importantly, if Schwitzgebel’s introspective experience entitles him to believe that he experiences imagery, then a nonimager’s introspective experience entitles her

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C’è chi sostiene che si possa visualizzare sia ad occhi chiusi che aperti, chi propende per l’una o l’altra delle possibilità, chi non sa spiegare cosa significhi vedere nella mente… io, che non ne ho alcuna esperienza, faccio veramente fatica a credere che questo tipo di esperienza sia possibile; perché dovrei io credere a Eric Schwitzgebel, e alla sua negazione della mia esperienza? Io posso tranquillamente negare anche la sua. In un mondo in cui la posizione dominante afferma che la realtà possa non esistere in quanto tale ma viene a noi mediata dalla nostra percezione, costruita dal nostro cervello, e in un mondo in cui la visualizzazione e le immagini mentali sono la modalità dominante della percezione, io posso negare che questo sia vero e affermare il mio proprio modo di percepire senza mediazione di immagine alcuna. Facciamo qualche passo indietro: lo stesso modo in cui fin dall’inizio il prof. Zeman ha impostato il problema oggi a qualcuno appare di parte o non corretto. 140

to believe that she doesn’t. (See also Hohwy 2011.)”. Trad.: “Inoltre, l'argomentazione di Schwitzgebel secondo cui l'introspezione delle immagini è inaffidabile si basa sull'introspezione delle proprie immagini, che sembrano essere estremamente vivide (si veda, ad esempio, 2012b: 37). Questo sembra essere controproducente, ma illustra anche bene che le opinioni teoriche dei ricercatori sulle immagini sono influenzate dalla vividezza delle loro stesse immagini (Reisberg, Pearson e Kosslyn 2002; Faw 2009). Ancora più importante, se l'esperienza introspettiva di Schwitzgebel gli dà il diritto di credere di sperimentare le immagini, l'esperienza introspettiva di un non-imager le dà il diritto di credere che non lo fa. (Vedi anche Howwy 2011.)” 140 Cfr. Lajos Brons, Aphantasia, SDAM, and Episodic Memory, Annals of the Japan Association for Philosophy of Science, 2019, Volume 28, Pages 9-32, Released on J-STAGE November 07, 2019, Online ISSN 1884-1228, Print ISSN 04530691, https://doi.org/10.4288/jafpos.28.0_9 “Aphantasia is defined in Zeman, Dewar, & Della Sala (2015) as “a condition of reduced or absent voluntary imagery”. This rough definition is ambiguous in three different ways. Most obviously, the term “reduced” immediately raises the question: Reduced to what extent (or by how much)? Furthermore, the phrase “reduced or absent” also suggests continuity between weak (or “low”) imagers and non-imagers and it is presently unknown whether there is such a continuity. Although it is intuitively plausible that absence of imagery is the low extreme on a scale ranging from no imagery to extremely vivid imagery (as reported by hyperphantasics), it might turn out to be the case that non-imagers are not just very weak imagers but that there is a qualitative difference between having (very) weak imagery abilities and having no such abilities hatsoever.

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Secondly, voluntary imagery contrasts with involuntary imagery, which comes in two very different kinds: involuntary flashes of imagery during wakefulness, and imagery in (lucid) dreams. Given the role of imagery in autobiographic memory (e.g. Greenberg & Knowlton 2014), one would expect significant differences in memory between someone who experiences no involuntary imagery at all or only in dreams, and someone who experiences flashes of imagery related to previous experiences during wakefulness. Thirdly, as mentioned above, only about half of the respondents in the initial study reported lacking imagery in all sense modalities. This, of course, raises the question: How many and which kinds of imagery must be affected for the “aphantasia” label to apply? What complicates this is the number of different kinds of imagery, opacity in introspection, and the possibility of overlap. A list of kinds of imagery does not coincide with a list of sense modalities. There is no single faculty of visual imagery, for example. Instead, there are (at least) two distinct kinds of visual imagery – object imagery and spatial imagery – and these two play different roles (Kosslyn 1994). And some kinds of imagery – such as motor imagery – do not seem to be associated with particular sense modalities at all. (The other way around, while there is a sense of balance, I doubt there is imagery of balance.) It may be the case that in imagining shapes, a lack of object imagery can be compensated (at least partially) with spatial imagery and/or motor imagery. If there are such compensation effects and other interactions and overlaps between different kinds of imagery, it may be hard to keep them apart in introspection, but also in psychological tests (if those are insufficiently carefully designed). Furthermore, some kinds of imagery (such as spatial and motor imagery) may present themselves in a form that is less likely to be recognizes as imagery, which further diminishes the reliability of introspection.” Trad.: “L'aphantasia è definita in Zeman, Dewar e Della Sala (2015) come "una condizione di immagini volontarie ridotte o assenti". Questa definizione approssimativa è ambigua in tre modi diversi. Ovviamente, il termine "ridotto" solleva immediatamente la domanda: ridotto in che misura (o di quanto)? Inoltre, la frase "ridotto o assente" suggerisce anche una continuità tra imager deboli (o "bassi") e non imager e al momento non è noto se vi sia tale continuità. Sebbene sia intuitivamente plausibile che l'assenza di immagini sia l'estremo basso su una scala che va da nessuna immagine a immagini estremamente vivide (come riportato dagli hyperphantasics), potrebbe rivelarsi il caso che i non imager non siano solo imager molto deboli ma che c'è una differenza qualitativa tra l'avere capacità di immaginazione (molto) deboli e non avere tali capacità per nessun motivo. In secondo luogo, le immagini volontarie contrastano con le immagini involontarie, che sono di due tipi molto diversi: lampi involontari di immagini durante la veglia e immagini nei sogni (lucidi). Dato il ruolo delle immagini nella memoria autobiografica (ad es. Greenberg & Knowlton 2014), ci si aspetterebbe differenze significative nella memoria tra qualcuno che non sperimenta affatto immagini involontarie o solo nei sogni e qualcuno che sperimenta lampi di immagini relativi a esperienze precedenti durante la veglia . In terzo luogo, come accennato in precedenza, solo circa la metà degli intervistati nello studio iniziale ha segnalato la mancanza di immagini in tutte le modalità di

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La definizione di afantasia che troviamo in Zeman e Della Sala (2015) come “una condizione di immagini volontarie ridotte o assenti” pone diversi problemi, in primo luogo di carattere semantico: immagini “ridotte” e “assenti” ma rispetto a cosa? Inoltre l’aver situato l’afantasia su uno spettro non tiene conto della differenza qualitativa di percezione e di esperienza, e quindi della non continuità di esperienza, tra chi visualizza qualcosa, sia pur in maniera debole, e chi non visualizza affatto. Poi: le immagini volontarie richiamano quelle involontarie, che possono essere immagini lampo di ricordi o immagini nei sogni. Insomma, la volontarietà o la non volontarietà delle immagini nei sogni, o da svegli, non paiono essere criteri decisivi per definire l’aphantasia, dal momento che anche fra gli afantasici ci sono persone che sognano tranquillamente. Infine come fare a definire esattamente cosa voglia dire parlare di Aphantasia perché questa etichetta si possa applicare facilmente a qualcuno? O stabilire quale tipo di immagini (visive, uditive, gustative, olfattive, tattili) siano più o meno presenti o assenti per determinare che vi sia o no Aphantasia?, certamente vi sono alcune “immagini” che non possono essere ricondotte solo ai sensi, ma ve ne sono anche, per esempio, di legate allo spazio e al movimento.

senso. Questo, ovviamente, solleva la domanda: quanti e quali tipi di immagini devono essere interessati affinché l'etichetta "aphantasia" venga applicata? Ciò che complica questo è il numero di diversi tipi di immagini, l'opacità nell'introspezione e la possibilità di sovrapposizione. Un elenco di tipi di immagini non coincide con un elenco di modalità sensoriali. Non esiste un'unica facoltà di immagini visive, per esempio. Invece, ci sono (almeno) due tipi distinti di immagini visive – immagini di oggetti e immagini spaziali – e queste due giocano ruoli diversi (Kosslyn 1994). E alcuni tipi di immagini, come le immagini motorie, non sembrano affatto essere associati a particolari modalità sensoriali. (Al contrario, mentre c'è un senso di equilibrio, dubito che ci siano immagini di equilibrio.) Può essere il caso che nell'immaginare le forme, una mancanza di immagini di oggetti possa essere compensata (almeno parzialmente) con immagini spaziali e/o motorie. Se ci sono tali effetti di compensazione e altre interazioni e sovrapposizioni tra diversi tipi di immagini, può essere difficile tenerli separati nell'introspezione, ma anche nei test psicologici (se non sono progettati in modo sufficientemente accurato). Inoltre, alcuni tipi di immagini (come le immagini spaziali e motorie) possono presentarsi in una forma che è meno probabile che vengano riconosciute come immagini, il che diminuisce ulteriormente l'affidabilità dell'introspezione.”

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Il campo di coloro che si autodichiarano afantasici è talmente variegato che sembra di poterci far convergere di tutto! Al momento, oltre ai test di cui abbiamo parlato e che situano le persone entro uno spettro, o ai suoi estremi, non esistono chiare delimitazioni e definizioni di quello che potrebbe significare l’aphantasia nel suo complesso, e i racconti delle singole persone che pur si riconoscono in una modalità libera da immagini parlano per il resto di esperienze di vita completamente differenti le une dalle altre. Per parlare a tutti bisogna usare “immagini” tali da farsi vicini a tutti, ma la visione dominante che parla per immagini, si racconta, si descrive e si compiace delle proprie immagini mentali, resta buia e sconosciuta per una buona parte della popolazione globale. Ora a molti questo non crea danno, ma parecchi come dicevamo si sentono perduti, defraudati, e a questi bisognerebbe saper parlare in modi diversi. 141 Visualizzazione, meditazione, immagini mentali sono da tempo integrate in rituali spirituali, e in vari contesti cognitivi e fisiologici: ad esempio immaginando un’attività fisica gli atleti possono addirittura migliorare le loro prestazioni senza sforzo muscolare. Le immagini sono ritenute importanti nello sviluppo di una serie di processi cognitivi come memoria, ragionamento, risoluzione dei problemi e pensiero creativo. Si usano in situazioni terapeutiche e nella ricerca del benessere o per acquisire delle particolari abilità. Svolgono anche un ruolo nella vita morale e nel processo decisionale degli individui. Sembrano essere la capacità di tutte le capacità, se la loro presenza positiva sembra essere di fondamentale importanza per lo sviluppo di ogni sorta di capacità umana, dunque la loro assenza è da considerarsi negativa per tale sviluppo umano? 142 Ovviamente no, e basta rifarsi all’esperienza per dire che molti afantasici vivono e hanno vissuto la loro normalità spesso senza sapere di differenze di percezioni tra loro e il resto del mondo, considerandosi

Cfr. Capitolo 6, Vivere con Afantasia, e capitolo 12, Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare. 142 Mélissa Fox-Muraton (2020): A world without imagination? Consequences of aphantasia for an existential account of self, History of European Ideas, DOI: 10.1080/01916599.2020.1799553 https://doi.org/10.1080/01916599.2020.1799553 141

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e dimostrando nei fatti di essere come chiunque altro, senza soffrire di alcun tipo di disturbo cognitivo psicologico e senza alcuna condizione patologica. In questa prospettiva anche i resoconti filosofici che davano alle immagini mentali e all’immaginazione un ruolo centrale nella costruzione del sé, perdono la loro universalità e la loro capacità di rispondere a tutti gli uomini. 143

Mélissa Fox-Muraton (2020): A world without imagination? Consequences of aphantasia for an existential account of self, History of European Ideas, DOI: 10.1080/01916599.2020.1799553 https://doi.org/10.1080/01916599.2020.1799553 143

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Capitolo 9 Un mondo a misura di visualizzatori: cosa rimane a chi non visualizza?

A chi non visualizza resta il mistero della loro vita mentale, e, paradossalmente restano solo tante metafore! 144

Per Richard Bandler si tratta di molto più che metafore! Cfr. Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare. L'uso delle submodalità nella programmazione neurolinguistica, Astrolabio Ubaldini, 1986: “Quante volte avrete udito la frase: “Quella ragazza ha un brillante avvenire”, oppure: “Quell’individuo ha un passato colorito”? Espressioni come queste sono più che metafore. Sono descrizioni precise del processo interno di pensiero del parlante, e queste descrizioni sono la chiave per imparare a trasformare in modo produttivo la nostra stessa esperienza. Per esempio, in questo preciso momento osservate in che modo vi raffigurate un evento futuro gradevole nella vostra stessa vita… e quindi rendete più luminosa quella stessa immagine, e osservate come le vostre sensazioni mutano. Quando rendete più luminosa quella immagine, non vi da l’effetto di attendere quell’evento con desiderio ancora maggiore? La maggior parte delle persone reagiscono più marcatamente a un’immagine più luminosa; alcune reagiscono di più a un’immagine meno luminosa. Adesso prendete un ricordo gradevole del vostro passato, e rendete i colori più forti e più intensi, proprio in senso letterale… In che modo il fatto di avere un ‘passato colorito’ muta l’intensità della vostra reazione a questo ricordo? Se non osservate alcuna differenza nelle vostre sensazioni quando rendete più colorito il vostro ricordo, cercate di vedere quello stesso ricordo in bianco e nero. Quando l’immagine perde il proprio colore, in genere la reazione s’indebolisce. Un’altra espressione di uso comune è: “Aggiungi qualche scintilla alla tua vita”. Pensate a un’altra esperienza gradevole, e cospargete letteralmente quell’immagine di piccoli punti luminosi scintillanti, e osservate in che modo ciò modifichi la vostra reazione a livello di sensazioni. (Gli ideatori di spot pubblicitari e i sarti che creano abiti fatti di lustrini ne sanno qualcosa). “Lasciati il passato alle spalle” è un consiglio frequente riguardo a eventi spiacevoli. Pensate a un ricordo che vi fa ancora star male, e quindi osservate dove lo vedete adesso, e a quale distanza si trova l’immagine. Probabilmente è di fronte a voi, piuttosto vicina. Adesso prendete quell’immagine, e spostatela fisicamente dietro di voi, allontanandola. In che modo questo muta in voi il vissuto di quel ricordo? Questi sono solo alcuni esempi molto elementari della semplicità e dell’efficacia dei nuovi schemi ‘submodali’ di PNL ideati da Richard Bandler nel corso degli ultimi 144

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La questione centrale del dibattito sulle immagini era il chiedersi se le immagini mentali fossero soprattutto delle“immagini” o delle descrizioni di esse, quindi delle “proposizioni”. 145

anni. Uno dei primi schemi usati in PNL era l’idea delle ‘modalità’, ovvero dei ‘sistemi rappresentativi’. Noi pensiamo alle esperienze, a qualsiasi esperienza, utilizzando certe rappresentazioni del sistema sensorio: immagini visive, suoni auditivi, sensazioni cenestesiche” 145 Cfr.: https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/#MentImagVsImagination “So the question is: does mental imagery represent the way pictures do or the way sentences do? This was the central question of the so-called ‘Imagery Debate’ of the 1980s (in the imagistic corner: Kosslyn 1980, in the propositional corner: Pylyshyn 1981, see Tye 1991 for a good summary). It was this debate that made philosophers take the concept of mental imagery seriously again, after a long period of behaviorist-inspired skepticism about anything imagery-related. The Imagery Debate is historically significant for yet another reason: it helped us to appreciate how interpersonal variations in mental imagery can have a major impact on one’s philosophical/theoretical positions. An important and fairly large study conducted at a time when the Imagery Debate was on its way out shows this very clearly. It mapped how philosophers’ and psychologists’ intuitions about the format of mental imagery vary as a result of the vividness of their mental imagery. The results showed that the vividness of imagery has significant impact on theoretical commitments in this debate (Reisberg 2003). Researchers with less vivid mental imagery were more likely to take the propositional side and those with more vivid mental imagery tended to come down on the iconic side. As the dependence on the vividness of one’s mental imagery shows, it is far from clear that the Imagery Debate is a substantive debate, and many psychologists and neuroscientists (including some of the original participants of this debate) explicitly declared this debate dead (see esp. Pearson and Kosslyn 2015). There are many ways of characterizing the distinction between imagistic and propositional formats, some more controversial than others. Appeal to holism or the ‘picture principle’ have been more on the controversial side (Kulvicki 2014). Describing iconic format as “representation of magnitudes, by magnitudes” (Peacocke 2019, p. 52) is on the less controversial side. And at least according to these criteria it seems clear that mental imagery has iconic format.” Trad.: “Allora la domanda è: le immagini mentali "rappresentano" al modo delle immagini, oppure al modo delle frasi? Questa era la questione centrale del cosiddetto 'Imagery Debate' degli anni '80 (nell'angolo imagistico: Kosslyn 1980, nell'angolo proposizionale: Pylyshyn 1981, vedi Tye 1991 per un buon riassunto). È stato questo dibattito che ha spinto i filosofi a prendere di nuovo sul serio il concetto di immaginazione mentale, dopo un lungo periodo di scetticismo di ispirazione comportamentista su qualsiasi cosa legata alle immagini. Il dibattito sulle immagini è storicamente significativo per un altro motivo: ci ha aiutato ad apprezzare come le variazioni interpersonali nelle immagini mentali possono avere un impatto importante sulle proprie posizioni filosofiche/teoriche. Uno studio importante e abbastanza ampio, condotto in un momento in cui il dibattito sull'immagine stava volgendo al termine, lo mostra

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La nozione stessa di “immagine mentale” è basata su una metafora dell’immagine. Gli studi si riferiscono all’immagine mentale come suscettibile di essere visualizzata vividamente o meno, di essere scansionata; si parla di chiarezza o non chiarezza delle immagini, e tutto il vocabolario relativo alla percezione delle immagini viene usato nel descrivere le immagini mentali e il loro processo di percezione. Eppure, anche se solitamente usate nella scienza per descriverne le idee, spesso le metafore diventano anche fuorvianti o dannose. 146 Oggi, anche sulla base dei nuovi procedimenti di indagine, si è abbastanza d’accordo nel riconoscere che, nel visualizzare, si coinvolgono le aree visive; 147 anche se crediamo sarebbe più esatto dire che

molto chiaramente. Ha mappato come le intuizioni di filosofi e psicologi sul formato delle immagini mentali variano a causa della vividezza delle loro immagini mentali. I risultati hanno mostrato che la vividezza delle immagini ha un impatto significativo sugli impegni teorici in questo dibattito (Reisberg 2003). I ricercatori con immagini mentali meno vivide erano più propensi a prendere il lato proposizionale e quelli con immagini mentali più vivide tendevano a scendere dal lato iconico. Come mostra la dipendenza dalla vividezza delle proprie immagini mentali, è tutt'altro che chiaro che il dibattito sull'immagine sia un dibattito sostanziale e molti psicologi e neuroscienziati (compresi alcuni dei partecipanti originali di questo dibattito) hanno dichiarato esplicitamente questo dibattito morto (vedi esp Pearson e Kosslyn 2015). Ci sono molti modi per caratterizzare la distinzione tra formati immaginari e proposizionali, alcuni più controversi di altri. Il ricorso all'olismo o al "principio dell'immagine" è stato più controverso (Kulvicki 2014). Descrivere il formato iconico come "rappresentazione delle grandezze, per grandezze" (Peacocke 2019, p. 52) è meno controverso. E almeno secondo questi criteri sembra chiaro che l'immaginario mentale ha un formato iconico.” Vedi anche Pylyshyn, Z.W. (1973) What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery. In: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1 Cfr. anche George Lakoff, Mark Johnson, Metafora e vita quotidiana, Bompiani, 2004. Vedi anche: Wilma A. Bainbridge, Zoë Pounder, Alison F. Eardley, Chris I. Baker, Quantifying Aphantasia through drawing: Those without visual imagery show deficits in object but not spatial memory, Cortex, Volume 135, 2021, Pages 159-172, ISSN 0010-9452, https://doi.org/10.1016/j.cortex.2020.11.014. 147 Cfr. Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman - Cambridge University Press 2020.

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si coinvolgono anche quelle visive, ma non soltanto loro. 148 Possono essere coinvolte nell’immagine mentale ricordata anche altre aree sensoriali e le madeleine di letteraria memoria ce lo rammentano, oppure possono essere implicati colori, sensazioni, emozioni, eventi, relazioni spaziali. La rappresentazione che sale alla nostra mente ha bisogno di essere re-interpretata già prima di essere rappresentata mentalmente. Perde le qualità pittoriche diventando una struttura di dati.

148 Cfr. Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman - Cambridge University Press 2020: “From first principles, one would expect an act of visualization to call on a number of psychological capacities (see Figure 42.3). Imagine an apple! If you do so, the process will have engaged your linguistic abilities (you must have understood the instruction), your decision-making and attentional abilities (you consented to follow the instruction and focused your mental energies briefly on doing so), your long term visual memory (reminding you of the appearance of an apple) and your visual brain (the experience was somewhat like seeing the apple). Informed by recent research, one might suspect that the task will also engage the brain’s capacity for introspection, embodied in the “default mode network.” Affect must also play an easily neglected, modulatory, role. Our metaanalysis of functional imaging studies of visualization broadly supports this model (Winlove et al., 2018). It revealed consistent activation across studies in areas linked to language, attention and working memory, vision, introspection, and, also, eye movements, a reminder that the brain system controlling eye movements probably contributes importantly to visualization”. Trad.: “Fin dai primi principi, ci si aspetterebbe che un atto di visualizzazione richiami un certo numero di capacità psicologiche (si veda la Figura 42.3). Immagina una mela! Se lo fai, il processo avrà impegnato le tue capacità linguistiche (devi aver compreso l'istruzione), le tue capacità decisionali e di attenzione (hai acconsentito a seguire le istruzioni e concentrato le tue energie mentali brevemente nel farlo), il tuo lungo termine memoria visiva (che ti ricorda l'aspetto di una mela) e il tuo cervello visivo (l'esperienza è stata un po' come vedere la mela). Sulla base di ricerche recenti, si potrebbe sospettare che il compito coinvolgerà anche la capacità di introspezione del cervello, incarnata nella "rete in modalità predefinita". Anche l'affetto deve svolgere un ruolo facilmente trascurabile, modulante. La nostra meta-analisi degli studi di imaging funzionale sulla visualizzazione supporta ampiamente questo modello (Winlove et al., 2018). Ha rivelato un'attivazione coerente in tutti gli studi in aree legate al linguaggio, all'attenzione e alla memoria di lavoro, alla vista, all'introspezione e, anche, ai movimenti oculari, un promemoria del fatto che il sistema cerebrale che controlla i movimenti oculari probabilmente contribuisce in modo importante alla visualizzazione”

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La metafora dell’immagine mentale che a modo suo funziona per molti, andrebbe sostituita o integrata con altre metafore in grado di funzionare per tutti. La sua importanza andrebbe ridimensionata o lasciata cadere in disparte nel rivolgersi a chi delle cosiddette immagini non sa che farsene. E per quanto riguarda chi non usa le immagini mentali, ecco, costoro possono continuare a pensare, se lo desiderano, che contare le pecore sia una metafora. E che visualizzare una spiaggia, una mela, un amico, siano semplici modi di dire. Dal mio punto di vista non appare necessario che ulteriori studi vivisezionino la mente delle persone più diverse né tantomeno la mente degli afantasici, basterebbe soltanto che il mondo si svegliasse un pochino meno visualizzatore e visualizzante, in maniera asfissiante e dominante, che fosse insomma un pochino più inclusivo e adatto a tutti, e che le stesse persone che vivono senza le immagini mentali, senza più stare a chiedersi cosa esse saranno mai e a sentirne una mancanza indotta dalla cultura e dalla società, usassero meno metafore fabbricate da altri teorizzando invece modi propri (anche di esprimersi) a loro più congeniali. Se anche molte domande sull’aphantasia rimanessero senza risposta, come ad esempio eventuali fattori genetici o la sua ereditarietà, oppure il rispondere a come si costituiscano profili cognitivi individuali senza che essi si debbano necessariamente basare sulle immagini, non morirebbe nessuno. Insomma le immagini visive intese come uno strumento cognitivo dato per scontato, come presunto precursore della capacità di pensare, imparare, simulare il mondo non sono condivise da tutti, 149 la mente umana ha una ricchezza e una diversità che non si lascia incasellare in alcuna costruzione delle mente umana stessa. Insomma, il mistero rimane e dubito che gli uomini riusciranno mai a venirne a capo. Festeggiare, celebrare la ricchezza e la varietà delle menti umane dovrebbe essere il compito della “nuova umanità” che oggi pare alle

149 Dawes, A.J., Keogh, R., Andrillon, T. et al. A cognitive profile of multi-sensory imagery, memory and dreaming in aphantasia. Sci Rep 10, 10022 (2020). https://doi.org/10.1038/s41598-020-65705-7

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prese con la ridefinizione stessa del suo sentirsi umana e legittimamente diversificata. Mentre da molte parti si chiedono diritti per le minoranze più disparate e per situazioni spesso anche culturalmente “costruite”, con l’aphantasia ci troviamo in un campo squisitamente congenito e naturale, e anche gli afantasici dunque, per non rischiare di sentirsi diversi, o derubati, defraudati, 150 e infine persino estromessi da una società basata sull’impiego di immagini totalizzanti,

http://psychsciencenotes.blogspot.com/2010/03/cant-form-mental-image-no-bigdeal.html Anonymous 8 April 2012 at 10:58 I am currently 18 and I am also a "non-imager", I think the sooner you realize that you do not have this capability of "Mental Imagery" the worse you will feel, it seems to be all around you, how everyone talks to you, its been implemented into society so greatly that people have this capability that the thought of someone not having it is out of the question, even school systems have the assumption that everyone has this capability. When an English teacher tells me to "picture what will happen next and draw it" for a book report, i mean yes analytically and logically i can rationalize a set number of situations where it would fit but its insulting where over 90% of my assignments should be done using this capability. Through time of people talking to me in "pictures" it felt like an insult everywhere i went, to those who have children who have this i strongly suggest boosting their selfesteem about skills they have currently because through school and being around "Imagers", they will feel left out and confused. […] I certainly felt left out beyond all means. […] Yes it is possible to go without this "Mental Imagery" through life and you can do anything an "Imager" can do aside from visualize. But i can say from experience even though young, i wished i had never realized what i am missing out on. Trad.: “Anonimo 8 aprile 2012 alle 10:58 Attualmente ho 18 anni e sono anche un "non-imager", io penso che prima ti rendi conto che non hai questa capacità di "immagini mentali" e peggio ti sentirai, sembra che intorno a te, il modo in cui tutti ti parlano, è stato implementato nella società così tanto che le persone hanno questa capacità e che il pensiero che qualcuno non ce l'abbia è fuori questione, anche i sistemi scolastici presuppongono che tutti abbiano questa capacità. Quando un insegnante di inglese mi dice di "immaginare cosa accadrà dopo e disegnarlo" per la relazione di un libro, intendo dire sì analiticamente e logicamente posso razionalizzare un determinato numero di situazioni in cui questo si adatterebbe, ma è offensivo che oltre il 90% dei miei compiti dovrebbe essere fatto usando questa capacità. Nel tempo le persone mi parlavano come "per immagini" e mi sembrava un insulto ovunque andassi, a coloro che hanno figli che hanno questo consiglio vivamente di aumentare la loro autostima sulle capacità che hanno attualmente perché attraverso la scuola e il fatto che tutti in giro siano "Imagers" , essi si sentiranno esclusi e confusi. [...] Sicuramente mi sono sentito escluso al di là di ogni mezzo. [...] Sì, è possibile fare a meno di queste "immagini mentali" per tutta la vita e puoi fare qualsiasi cosa un "imager" può fare a parte visualizzare. Ma posso dire per esperienza, anche se giovane, avrei voluto non aver mai realizzato cosa mi sto perdendo.” 150

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avrebbero il diritto di sentirsi a casa loro dovunque, dai film, alla letteratura, al benessere. Probabilmente essi stessi hanno parte di responsabilità del loro stesso benessere, nel decidere infine di costruirsi un nuovo vocabolario, un nuovo “immaginario” più adeguato, nuove strategie mentali e percorsi scolastici e cognitivi a loro più consoni e pertinenti.

Per molte altre testimonianze ed esperienze cfr. anche ad esempio: https://www.facebook.com/AphantasiaGroup Cfr. Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman, Cambridge University Press 2020: Most realized, at some point in their teens or twenties, that when others spoke of “visualizing” or “seeing in the mind’s eye” they were speaking literally: They could enjoy something approaching visual experience in the absence of the visualized item. Until then our participants had assumed that such talk was purely metaphorical. This discovery usually had a modest emotional effect, exciting curiosity as much as regret, though some felt that they had been “cheated.” Trad.: “I più si sono resi conto, a un certo punto della loro adolescenza o vent'anni, che quando gli altri parlavano di "visualizzare" o "vedere con gli occhi della mente" stavano parlando letteralmente: potevano godere di qualcosa che si avvicinava all'esperienza visiva in assenza dell'elemento visualizzato. Fino ad allora i nostri partecipanti avevano dato per scontato che tali discorsi fossero puramente metaforici. Questa scoperta di solito ha avuto un modesto effetto emotivo, eccitando la curiosità tanto quanto il rimpianto, anche se alcuni sentivano di essere stati "ingannati". Vedi anche Capitolo 6, Vivere con Afantasia e Capitolo 12, Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare.

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Capitolo 10 Quanti sono quelli che non visualizzano?

Il primo luglio del 2020 il Corriere della Sera, nella sezione Neuroscienze, pubblicava un articolo dal titolo Cecità della mente, il disturbo di chi non ha la capacità di immaginare che a modo suo riportava i dati di una ricerca australiana senza peraltro citarne correttamente le fonti, ma nominava Alexei J. Dawes. Secondo l’articolo del Corriere della Sera soffre di aphantasia il 5% della popolazione e il problema comporta, oltre alla difficoltà di rievocare scene di vita vissuta, l’incapacità di pianificare azioni future e persino di memorizzare numeri di telefono. 151 Il disturbo veniva anche chiamato bizzarria. E le persone erano “affette” da Aphantasia. Dai termini usati si capisce chiaramente come l’aphantasia venga nell’articolo considerata come qualcosa di patologico e anormale e gli afantasici come delle persone malate. Questo è vergognoso e inaccettabile. Dal momento che Alexei J. Dawes, aveva scritto, a quella data, solo questo articolo sull’Aphantasia 152 supponiamo che la ricerca di cui l’articolo parlava fosse questa: “Alexei J. Dawes, Rebecca Keogh, Thomas Andrillon, Joel Pearson, A cognitive profile of multisensory imagery, memory and dreaming in aphantasia, Published: 22 June 2020”. 153 La ricerca in questione però aveva molte e diverse altre cose da dire, come si può capire consultandola anche da profani, e il giornale italiano ha peccato di superficialità, pressappochismo, imprecisione, e ha dato informazioni ingannevoli.

https://www.corriere.it/salute/neuroscienze/20_luglio_01/cecita-mente-disturbochi-non-ha-capacita-immaginare-b05e4f50-bab4-11ea-9e85-8f24b6c04102.shtml 152 https://scholar.google.com/citations?user=lvd5kOsAAAAJ&hl=en 153 Dawes, A.J., Keogh, R., Andrillon, T. et al. A cognitive profile of multi-sensory imagery, memory and dreaming in aphantasia. Sci Rep 10, 10022 (2020). https://doi.org/10.1038/s41598-020-65705-7 https://www.nature.com/articles/s41598-020-65705-7.epdf 151

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Come si è detto più volte in questo libro l’Aphantasia si misura su uno spettro, pertanto i metodi di classificazione potrebbero risultare diversi da una rilevazione ad un’altra. Fino a poco tempo fa si era sempre parlato di una percentuale del 3% della popolazione mondiale riferita all’aphantasia. Un nuovo studio 154 pubblicato nel gennaio del 2022 e basato sul Vividness of Visual Imagery Questionnaire (Marks, 1973) ha rilevato una percentuale di aphantasia con immagini assenti o deboli/vaghe – misurate utilizzando appunto il VVIQ, con una prevalenza del 3,9% e il sottotipo di aphantasia più estremo (immagini assenti) con una prevalenza dello 0,8%. Dal nostro punto di vista il questionario dovrebbe a un certo punto separare chi dichiara di avere immagini, sia pur deboli, da coloro che non ne dichiarano affatto. Chiedersi ancora se l’aphantasia esista, o se sia congenita, e se quindi possa essere genetica ed ereditaria, chiedersi che ruolo abbia nell’evoluzione umana, tutto questo potrebbe avere un senso o forse anche no. Secondo il prof. Zeman esistono tre grandi questioni ancora da mettere a fuoco: 155

C.J.Dance A. IpserJ.Simner,The prevalence of aphantasia (imagery weakness) in the general population https://doi.org/10.1016/j.concog.2021.103243 155 Cfr. le conclusioni di Zeman in: Anna Abraham, a cura di, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman - Cambridge University Press 2020: “What does the future hold for aphantasia? The topic is fertile, teeming with topics for future study. I will, rather arbitrarily, highlight three broad questions: (1) Does aphantasia exist? If you have read this contribution, you may be persuaded that it does, but there remains some scope for skepticism: How accurately can people describe their imagery experience? Can we be sure that someone describing aphantasia really lacks imagery? We are, of course, unable to observe the imagery of others directly, and introspection can be unreliable. Edging toward an answer to these questions requires a gradual triangulation: If this distinctive variation in experience exists, we should expect it to have both behavioral and neural correlates. We and others are seeking to measure these. (2) If it exists, can it be understood using the model of predictive coding that is being widely employed in models of both perception and action? Our capacity for visualization is a natural outcome of a predictive model of perception: Its absence in some individuals poses an interesting challenge for such models. (3) Can we “cure” aphantasia? This question has been posed by many of our research participants. While it appears to be entirely possible to lead a normal, fulfilling and indeed creative life with aphantasia, many people with 154

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La prima riguarda l’esistenza stessa dell’aphantasia, e qui dovremmo chiederci quanto accuratamente le persone descrivano la loro esperienza con le immagini ed essere sicuri che, ad alcune persone, le immagini mancano. Nella seconda, se si giungesse ad affermare l’esistenza dell’afantasia, ci si dovrebbe chiedere se essa possa essere compresa usando il modello di codifica predittiva usato nel modelli di percezione e di azione. La terza chiede se si possa “curare” l’aphantasia dal momento che molti partecipanti alle ricerche avrebbero dichiarato il loro desiderio di poter sperimentare immagini visive a piacimento. Con stima e rispetto per il prof. Zeman e per il suo lavoro, io credo che quelle che egli individua come grandi domande aperte per il futuro potrebbero essere formulate meglio.

aphantasia would like to be able to experience visual imagery at will. This reasonable question deserves careful study: a recent report (Keogh, Bergmann, and Pearson, 2016), showing that it is possible to modulate imagery vividness in people with “average” imagery, using transcranial electrical stimulation, may point the way.” Trad.: “Cosa riserva il futuro per l'aphantasia? L'argomento è fertile, pullulante di argomenti di studio futuro. Evidenzierò, in modo piuttosto arbitrario, tre grandi questioni: (1) Esiste l'afantasia? Se hai letto questo contributo, potresti esserne convinto, ma rimane un certo margine di scetticismo: quanto accuratamente le persone descrivono la loro esperienza con le immagini? Possiamo essere sicuri che qualcuno che descrive l'aphantasia manchi davvero di immagini? Ovviamente non siamo in grado di osservare direttamente le immagini degli altri e l'introspezione può essere inaffidabile. Andare verso una risposta a queste domande richiede una triangolazione graduale: se esiste questa variazione distintiva nell'esperienza, dovremmo aspettarci che abbia correlati sia comportamentali che neurali. Noi e altri stiamo cercando di misurarli. (2) Se esiste, può essere compreso utilizzando il modello di codifica predittiva che viene ampiamente utilizzato nei modelli sia di percezione che di azione? La nostra capacità di visualizzazione è un risultato naturale di un modello predittivo di percezione: la sua assenza in alcuni individui rappresenta una sfida interessante per tali modelli. (3) Possiamo “curare” l'aphantasia? Questa domanda è stata posta da molti dei nostri partecipanti alla ricerca. Sebbene sembri del tutto possibile condurre una vita normale, appagante e davvero creativa con l'aphantasia, molte persone con aphantasia vorrebbe essere in grado di sperimentare immagini visive a piacimento. Questa ragionevole domanda merita un attento studio: un recente rapporto (Keogh, Bergmann e Pearson, 2016), che mostra che è possibile modulare la vividezza delle immagini in persone con immagini "medie", utilizzando la stimolazione elettrica transcranica, potrebbe indicare la strada.”

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Sulla prima domanda non posso che dissentire, l’aphantasia esiste certamente se non altro in termini di esperienze individuali. Qui concordo solo su una cosa: le persone dovrebbero essere precise nella formulazione della loro esperienza, ma entrambi le categorie, con o senza immagini. Pare perfino che anche il prof. Zeman ceda qui all’influenza della sua propria percezione nel definire le future domande. 156 La seconda potrebbe essere una buon campo di indagine, e tutto dipenderà da come verranno impostate eventuali ricerche. La terza secondo me non ha senso, se si parte dall’Aphantasia come congenita, e come una varietà intrigante dell’esperienza umana come Zeman stesso ha definito altrove l’afantasia, risulterebbe davvero difficile “curarla”. Si potrebbe forse modificare o cambiare il modo in cui qualcuno percepisce?, e chissà se un giorno questo sarà possibile!, io ho i miei dubbi, e se poi mai dovesse accadere, immagino che ad un tratto quella persona diventerebbe “diversa”. Visualizzare o non visualizzare non sembra infatti essere come indossare o togliere degli occhiali, ma come vivere in modo differente per sempre e in ogni situazione. E non tutti desiderano diventare altro da quel che sono. Le testimonianze e le esperienze che si possono trovare anche online sono molto variegate, ma in generale gli aphants non tendono a considerare se stessi come malati o bisognosi di cure. Certo ci sono gli eccessi, come in ogni consesso umano, ma bisogna stare attenti a non attribuire tutti i propri mali o le proprie insoddisfazioni e frustrazioni ad un’unica causa. Per farla breve se ho un’unghia incarnita non è perchè sono aphantasica, e se credo di essere stata rapita dagli alieni non sono autorizzata a pensare che tutti gli afantasici siano stati rapiti dagli alieni (non scherzo, navigando in rete ho letto anche questo…).

Cfr. Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42 "Aphantasia" di Adam Zeman - Cambridge University Press 2020. “Reisberg and colleagues (Reisberg, Pearson, and Kosslyn, 2003) provided evidence that individual scientists’ imagery vividness influenced their views in the “imagery debate” of the late twentieth century regarding the depictive vs. propositional nature of imagery. Trad.: “Reisberg e colleghi (Reisberg, Pearson e Kosslyn, 2003) hanno fornito prove del fatto che la vividezza delle immagini dei singoli scienziati ha influenzato le loro opinioni nel "dibattito sulle immagini" della fine del ventesimo secolo”. 156

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Ci sono sempre delle persone frustrate e insoddisfatte della propria vita, magari per mille altri motivi, ma che scoprendosi afantasici, proverebbero di tutto pur di visualizzare qualcosa, per essi spesso la scoperta della propria essenza particolare può essere faticosa e penosa. E scoprire di essere afantasici può essere un dramma per le persone giovani che non sospettano di essere diverse dalla maggioranza dominante e per le quali potrebbe diventare psicologicamente difficile, maggiormente difficile, pensare di doversi confrontare con studi o mestieri in cui altri sono avvantaggiati rispetto a loro, mentre a noi che abbiamo scoperto tardi di essere afantasici questo non è accaduto e abbiamo potuto quindi seguire i nostri percorsi professionali e di vita senza alcun rimpianto o cruccio esterno a noi stessi, solo credendo che contare le pecore prima di dormire fosse una metafora... Per questo, e a maggior ragione, l’articolo del Corriere della Sera di cui dicevamo all’inizio del capitolo mi si presenta ancora più problematico e irresponsabile.

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Capitolo 11 Libri e lettura (e scrittura)

Alla fine del primo libro di Alla ricerca del tempo perduto, La strada di Swann, Marcel Proust, parlando delle parole e dei nomi propri, dice che le parole sono come un’immagine chiara, abituale, (forse come un’immagine direttamente percepita?) mentre i nomi sembrano raccontati quasi come le immagini mentali in cui ci si può far stare di tutto con la propria fantasia, 157 immagini anche false, costruite, semplificate, frutto dei desideri; 158 più avanti nel testo lo scrittore evidenzia la contraddizione che il narratore riconosceva nel voler guardare e toccare coi sensi quello che era stato elaborato dalla sua fantasia. 159

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, La strada di Swann, Einaudi, 1991: “Le parole ci presentano, delle cose, una piccola immagine chiara e abituale, come quelle che si appendono ai muri delle scuole per dare ai bambini l’esempio di quel che sia un banco, un uccello, un formicaio: cose concepite come simili a tutte le altre della stessa specie. Ma i nomi presentano, delle persone – e delle città che ci abituano a credere individuali, uniche come persone –, un’immagine confusa che trae da loro, dalla loro sonorità squillante o cupa, il colore di cui è dipinta uniformemente, come uno di quei manifesti, interamente azzurri o interamente rossi, nei quali, a causa dei limiti del procedimento impiegato, o per un capriccio del decoratore, sono azzurri o rossi non soltanto il cielo e il mare, ma le barche, la chiesa, i passanti. Il nome di Parma, una delle città dove desideravo maggiormente andare, dopo aver letto La Chartreuse, mi sembrava compatto, liscio, color malva e dolce;” 158 Ibidem: “Quelle immagini erano false per un’altra ragione ancora: erano necessariamente molto semplificate; certo, ciò a cui aspirava la mia fantasia e che i miei sensi non percepivano che in modo incompleto, e senza piacere oggi, io l’avevo racchiuso nel rifugio dei nomi; senza dubbio, per quel tanto di sogno che vi avevo accumulato, essi calamitavano ora i miei desideri; ma i nomi non sono molto vasti; tutt’al più vi potevo far entrare due o tre delle «curiosità» principali della città, ed esse vi si giustapponevano senza intermediari; nel nome di Balbec, come nella lente di ingrandimento di quei portapenne che si comprano ai bagni di mare, scorgevo delle onde sollevate attorno a una chiesa di stile persiano. Forse, la stessa semplificazione di queste immagini fu una delle cause del predominio che esse esercitarono su di me.” 159 Ibidem: “Senza dubbio, se allora avessi prestato io stesso maggiore attenzione a quel che c’era nel mio pensiero quando pronunciavo le parole «andare a Firenze, a Parma, a Pisa, a Venezia», mi sarei reso conto che ciò che vedevo non era affatto una città, ma qualcosa di tanto diverso da tutto quel che conoscevo, tanto delizioso, 157

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Sembra quasi che qui Proust stia teorizzando il modo in cui egli, da scrittore, si serve delle immagini mentali per influenzare le immagini mentali del lettore. 160 La letteratura è ricolma di simili esempi. Ed io, studiandola, ho sempre creduto che si trattasse di metafore, di esagerazioni, di eccesso di fantasia degli scrittori! Oggi mi rendo conto che probabilmente tutti loro descrivevano qualcosa che avevano davvero sperimentato. La stessa capacità di lettura che noi esseri umani condividiamo è qualcosa di complesso e affascinante a sua volta: dietro ogni lettore è nascosto “un meccanismo neuronale ammirabile per precisione ed efficacia” 161 di cui oggi, pian piano, iniziamo a comprenderne l’organizzazione; sappiamo oggi che un buon lettore può raggiungere una velocità di lettura pari a circa 400, 500 parole, su carta, al minuto, mentre su uno schermo le parole diventano circa 1100 al minuto per

quanto potrebbe essere, per un’umanità la cui vita fosse trascorsa per intero in tardi pomeriggi d’inverno, questa meraviglia sconosciuta: una mattina di primavera. Queste immagini irreali, fisse, sempre uguali, che colmavano le mie notti e i miei giorni, differenziarono quel periodo della mia vita dagli altri che l’avevano preceduto (e che avrebbero potuto confondersi con esso, agli occhi di un osservatore che vede le cose solo dall’esterno, cioè che non vede nulla), come in un’opera un motivo melodico introduce una novità che non si potrebbe supporre se ci si limitasse a leggere il libretto, e ancor meno se si restasse fuori dal teatro a contare i quarti d’ora che passano. E di più: anche da un tale punto di vista puramente quantitativo, i giorni della nostra vita non sono tutti uguali. Per percorrere i giorni, le nature un po’ nervose, come era la mia, dispongono, al pari delle automobili, di «velocità» differenti. Vi sono giorni montuosi e disagevoli, la cui salita richiede un tempo infinito, e dei giorni in discesa che si lasciano attraversare a tutta velocità, cantando. Durante quel mese – in cui rimuginavo come una melodia, senza potermene saziare, quelle immagini di Firenze, Venezia e Pisa, delle quali il desiderio che suscitavano in me conservava qualcosa di così profondamente individuale, come se fosse stato un amore, un amore per una persona – non cessai di credere che corrispondessero a una realtà indipendente da me, e mi fecero conoscere una speranza così bella, tale da nutrire un cristiano dei primi secoli alla vigilia d’entrare in paradiso. Così, senza preoccuparmi della contraddizione che c’era nel voler guardare e toccare con gli organi dei sensi quel che era stato elaborato dalla fantasia e non percepito da essi – e tanto più seducente per essi, più diverso da quel che conoscevano –, ad accendere maggiormente il mio desiderio era ciò che mi ricordava la realtà di quelle immagini, apparendo come una promessa di appagamento.” 160 https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/#MentImagLite 161 Cfr. Stanislas Dehaene, I neuroni della lettura, Raffaello Cortina Editore, 2007

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un buon lettore e 1600 al minuto per i lettori migliori, ci sono dei limiti biologici anche ai nostri apprendimenti culturali! Una valutazione statistica ci permette anche di stimare che un individuo medio conosce circa 40.000-50.000 parole oltre a nomi, parole composte, acronimi e sigle, al punto che il lessico personale di ciascuno di noi comprende tra le 50.000 e le 100.000 voci 162 a cui possiamo accedere in qualche decimo di secondo leggendo! Parlando di libri e lettura non parliamo solo di letteratura, certamente. I libri sono contenitori, come cassetti che contengono vari oggetti. Grosso modo possiamo distinguerli in grandi categorie e relative sottocategorie, ma, come potremmo aspettarci, a volte qualche libro potrebbe stare coi piedi in due scarpe e infilarsi pure in più armadi. Abbiamo la letteratura con la “L” maiuscola, oppure quella più blanda di consumo, senza troppe pretese, all’ora del panino o del caffè. I Saggi belli che insegnano tante cose e che fanno venire voglia di imparare e riflettere, e i loro sottoprodotti veloci e commerciali per una discussione da bar. Ci sono i libri di Poesia, i Gialli, i Fantasy. I libri scientifici seri, e quelli da prendere con le pinze o con le presine da forno. Poi ci sono i libri di Auto-aiuto, i Self-help. Quelli che stiamo ricordando non sono certo tutti i libri esistenti, altre suddivisioni potrebbero essere fatte per tipologia di lettori, ad esempio (adulti, ragazzi, bambini, uomini/donne, studenti, libri settoriali), oppure classificando i libri per capacità di vendita. I libri di auto-aiuto hanno da parecchi anni molto successo nelle vendite, e parecchi sono diventati dei Bestseller. Nell’ambito della visualizzazione abbiamo diverse alternative: possiamo scegliere tra libri dedicati alla visualizzazione stessa e al visualizzare - e non ne cito nessuno, basta cercare su Google per vederne spuntare come funghi dopo la pioggia d’autunno - alcuni li avevo comprati anche io, quando ancora nessuno parlava di aphantasia e io mi intestardivo a leggerli nel tentativo di comprendere cosa volesse Ibidem. Cfr. Stanislas Dehaene, I neuroni della lettura, Raffaello Cortina Editore, 2007 162

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dire visualizzare, salvo poi non riuscire a capirci nulla e arrabbiandomi ogni volta per gli splendidi non risultati che ottenevo. Oppure ai libri di aiuto aiuto in generale. Si tratta di tutta una serie di libri in cui qualche esaltato di turno vuole far soldi cercando di insegnare alle persone le miriadi di “tecniche” per visualizzare e le occasioni in cui usarle. I termini qui usati sono relativi al montaggio di video: quindi si riavvolgono i nastri, Ciak si gira, si spostano i punti di vista, le telecamere, si inquadra da destra o dall’alto, si zumma, ci si avvicina o ci si allontana, insomma viene messa in scena la regia del vedere mentale. 163

Cfr. Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare. L'uso delle submodalità nella programmazione neurolinguistica, Astrolabio Ubaldini, 1986: “Vi consiglio di farlo con un’esperienza piacevole. 1) Colore. Cambiate l’intensità del colore, da colori vivaci e intensi fino al bianco e nero. 2) Distanza. Cambiatela da vicinissimo a lontanissimo. 3) Profondità. Trasformate l’immagine passando da una fotografia piatta, bidimensionale, alla piena profondità delle tre dimensioni. 4) Durata. Passate da un’apparizione rapida e fuggevole a un’immagine persistente che si conserva per un certo tempo. 5) Nitidezza. Trasformate l’immagine passando da una chiarezza cristallina in ogni dettaglio a una figura sfocata e indistinta. 6) Contrasto. Regolate la differenza tra chiari e scuri, passando da un contrasto violento a gradazioni continue e sfumate di grigio. 7) Campo. Passate da un’immagine circondata da una cornice a una immagine panoramica che vi circonda completamente, in modo che se girate la testa ne vedete parti che prima non vedevate. 8) Movimento. Fate diventare l’immagine prima una fotografia o una diapositiva fissa, e poi un film. 9) Velocità. Regolate la velocità del film da lentissimo a velocissimo. 10) Dominante. Cambiate l’equilibrio dei colori. Per esempio, accrescete l’intensità dei rossi, e diminuite quella degli azzurri e dei verdi. 11) Trasparenza. Rendete l’immagine trasparente, in modo da poter vedere cosa c’è sotto la superficie. 12) Rapporto dimensionale. Prendete l’immagine racchiusa da una cornice, e fatela diventare alta e stretta… e poi bassa e larga. 13) Orientamento. Inclinate la parte superiore dell’immagine in modo che si allontani da voi… e poi si avvicini. 4) Figura/sfondo. Cambiate la differenza o la separazione tra figura (ciò che vi interessa di più) e sfondo (il contesto più o meno casuale della situazione)… Quindi cercate di invertire i due aspetti, in modo che lo sfondo si trasformi in una figura interessante.” 163

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Voglio aggiungere che anche Calvino, nelle Lezioni americane, si era espresso in questi termini, 164 e che anch’io ho notato parecchi film degli ultimi anni che propongono scene del tipo descritto nel seguente commento anonimo trovato in un blog: “…stavo guardando un film con il mio ragazzo in quel momento e loro stavano mostrando un ricordo. È stato mostrato nel modo in cui tutti i ricordi vengono mostrati durante i film e i programmi TV. Ho riso e ho detto “Odio davvero che esagerino la memoria in questo modo. Non è affatto così”. Ha messo in pausa il film e mi ha semplicemente fissato incredulo per circa 10 minuti. Poi si è lanciato in questa lunga spiegazione di come la memoria di tutti funziona in quel modo. E di come quando qualcuno ha una memoria, è come se guardasse un film in prima persona. 165”

Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti, 1988: “Visibilità. Possiamo distinguere due tipi di processi immaginativi: quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva e quello che parte dall’immagine visiva e arriva all’espressione verbale. Il primo processo è quello che avviene normalmente nella lettura: leggiamo per esempio una scena di romanzo o il reportage d’un avvenimento sul giornale, e a seconda della maggiore o minore efficacia del testo siamo portati a vedere la scena come se si svolgesse davanti ai nostri occhi, o almeno frammenti e dettagli della scena che affiorano dall’indistinto. Nel cinema l’immagine che vediamo sullo schermo era passata anch’essa attraverso un testo scritto, poi era stata “vista” mentalmente dal regista, poi ricostruita nella sua fisicità sul set, per essere definitivamente fissata nei fotogrammi del film. Un film è dunque il risultato d’una successione di fasi, immateriali e materiali, in cui le immagini prendono forma; in questo processo il “cinema mentale” dell’immaginazione ha una funzione non meno importante di quella delle fasi di realizzazione effettiva delle sequenze come verranno registrate dalla camera e poi montate in moviola. Questo “cinema mentale” è sempre in funzione in tutti noi, - e lo è sempre stato, anche prima dell’invenzione del cinema - e non cessa mai di proiettare immagini alla nostra vista interiore.” 165 http://psychsciencenotes.blogspot.com/2010/03/cant-form-mental-image-nobig-deal.html Unknown 8 March 2017 at 10:27 It's so nice to hear that there are other people out there like me. I often get the question "But if you can't picture an image in your head, how do you write books?" But the honest answer is that I've become so good at describing things and people to myself that I don't need to picture them to do it. I can craft a believable character and a wonderful image without having to picture it. What's interesting to me is that I didn't find out that I was different until 2 years ago (when I was 20) because I was watching a movie with my boyfriend at the time and they were showing a memory. It was shown the way all memories are shown during 164

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Sono d’accordo certo: non è così che tutti ricordano. Non è così che tutti pensano. I libri di auto-aiuto si pongono il nobile obiettivo di aiutarci a migliorare le cose che essi stessi ci suggeriscono che forse dovremmo cambiare nelle nostre abitudini, per migliorare/migliorarci! 166

movies and TV shows.I laughed and said "I really hate that they exaggerate memory like this. It's not like that at all." He paused the movie and just stared at me in disbelief for about 10 minutes. Then he went into this long explanation of how everyone's memory works like that. How when he has a memory, it's like watching a movie in first person. We finished the movie and then I started researching this and found out I'm not the only person out there who finds it impossible to visualize anything in my "mind's eye". It's never caused me any problems, not with describing a person or a situation or being able to identify anything. I was forced to take an IQ test at a super young age because I was told I might be gifted. I had scored 167 on the test so I've never seen my inability to imagine or picture things as a disability. One of the most fascinating things about this, however, is that I can't hallucinate or imagine something. So if I see something, that means it's there. Which makes certain things a tad freaky for sure.Trad.: Sconosciuto 8 marzo 2017 alle 10:27 È così bello sentire che ci sono altre persone là fuori come me. Spesso ricevo la domanda "Ma se non riesci a immaginare un'immagine nella tua testa, come scrivi libri?" Ma la risposta onesta è che sono diventato così bravo a descrivere cose e persone a me stessa che non ho bisogno di immaginarmele per farlo. Posso creare un personaggio credibile e un'immagine meravigliosa senza doverlo immaginare. La cosa interessante per me è che non ho scoperto di essere diversa fino a 2 anni fa (quando avevo 20 anni) perché stavo guardando un film con il mio ragazzo in quel momento e loro stavano mostrando un ricordo. È stato mostrato nel modo in cui tutti i ricordi vengono mostrati durante i film e i programmi TV. Ho riso e ho detto "Odio davvero che esagerino la memoria in questo modo. Non è affatto così". Ha messo in pausa il film e mi ha semplicemente fissato incredulo per circa 10 minuti. Poi si è lanciato in questa lunga spiegazione di come la memoria di tutti funziona in quel modo. E di come quando qualcuno ha una memoria, è come se guardasse un film in prima persona Abbiamo finito il film e poi ho iniziato a fare ricerche e ho scoperto di non essere l'unica persona là fuori che trova impossibile visualizzare qualsiasi cosa nella mia "mente". Non mi ha mai causato problemi, non nel descrivere una persona o una situazione o nel riuscire a identificare qualcosa. Sono stato costretto a fare un test del QI in giovane età perché mi è stato detto che potevo essere dotato. Avevo raggiunto 167 nel test, quindi non ho mai visto la mia incapacità di immaginare o immaginare le cose come una disabilità. Una delle cose più affascinanti di questo, tuttavia, è che non riesco ad avere allucinazioni o immaginare qualcosa. Quindi, se vedo qualcosa, significa che è lì. Il che rende certe cose un po' bizzarre di sicuro. 166 Cfr. ad esempio Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare. L'uso delle submodalità nella programmazione neurolinguistica, Astrolabio Ubaldini, 1986 e la

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Su molti argomenti, e non fosse altro che per psicologia spicciola o tecniche di self-help a volte consolidate, o più o meno dettate dal buon senso, questi libri un qualche aiuto riescono talvolta anche a darlo! Il più delle volte però essi partono bene, ma il loro viaggio spesso si blocca nei fast food del già visto, del ripetuto, e anche questi libri scivolano quasi sempre sulla falsariga della visualizzazione come panacea a tutti i mali. La cosa più spassosa è quando questi libri vogliono farti girare il tuo famoso film nella testa e desiderano anche che tu ne sia l’attore principale oltre che il regista! Vorrebbero infatti che ognuno di noi vedesse se stesso, nel proprio passato, o nel proprio futuro, insomma nei suoi propri tempi privati e coi propri desideri da realizzare esattamente mentre li recita e li auspica e li predice vedendoli nella sua mente. Mi ha sempre affascinato il discorso sul “come se”, ma pensavo fosse giusto una credenza, un atto di fiducia! eppure noto che in questo genere di libri diventa per qualcuno un’immagine, e io, semplicemente, questo non lo immagino/reputo nemmeno possibile. Ora, premesso che se qualcuno mi chiede di non pensare all’elefante io ci riesco benissimo, non avendo la mente ingombra da nessuna immagine di elefante, e potendo probabilmente archiviare la parola elefante nei miei appunti mentali, mi piacerebbe far notare a questo punto che le modalità di lettura tra chi visualizza e chi non visualizza (sempre ricordando che qui il discrimine che io pongo è tra chi qualcosa vede e chi non vede niente del tutto) sono completamente diverse. E tra tutti gli altri ci sono pure i libri scritti da persone che si riconoscono afantasiche. 167 Ho sempre mal sopportato gli scrittori che durante le conferenze o nei loro saggi ed interviste dichiaravano che i loro personaggi si “autoimponevano” alla loro mente, parlavano, si comportavano ed agivano quasi come persone autonome; ed a loro non rimaneva altro che

PNL. Cfr. anche Capitolo 1, Immagini mentali e Occhi della mente, tutti ne parlano. Eppure... 167 https://www.theguardian.com/books/2020/apr/01/being-an-author-with-aphantasia-mark-lawrence.

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assecondarli, raccontarli, descriverli. Mi sembrava esagerato, o che mi prendessero in giro. Ora forse capisco che questo possa essere stato possibile in una mente affollata di immagini e suoni. 168 Forse un autore afantasico potrebbe avere modi diversi 169 di far agire i suoi personaggi, di porre in atto la sua immaginazione, la sua creatività, ma tutto quello che comunica con la sua scrittura e/o i suoi libri, insomma, non è distinguibile da quel che comunicano i testi di chi scrive basandosi sulle proprie immagini mentali, se non, forse, per la bravura e lo stile personale di ognuno, sui quali, e magari senza forse, incide anche il modo in cui ciascuno di noi percepisce e pensa. 170 Parlando di immagini mentali non dobbiamo dimenticare che con queste ci si riferisce, come già detto, a tutti i tipi di “immagine sensoriale” oltre che a movimenti e spazialità, 171 ma la visione rimane comunque la modalità più immediata. La Routledge Encyclopedia of Narrative Theory definisce come visualizzazione la produzione stessa di immagini mentali nel processo di lettura. 172 Noi abbiamo usato e continueremo ad usare il termine visualizzazione come intercambiabile con la definizione di immagini mentali, non ci siamo soffermati prima né lo faremo adesso, sulla parola, e su dove e quando sia stata usata per la prima volta nell’accezione a cui ci riferiamo. Ad ogni modo se chi riesce a vedere qualcosa coi suoi occhi della mente ha dunque parecchie possibilità di vedere nella sua testa le immagini, le sequenze, i movimenti, lo stimolo all’azione e le descrizioni che l’autore ha in qualche modo evocato per lui con le modalità

https://www.theguardian.com/books/2020/apr/27/majority-of-authors-hear-theircharacters-speak-finds-study. 169 https://aphantasia.com/writing-with-aphantasia/ https://lithub.com/being-a-writer-when-you-literally-cannot-visualize-scenes/ 170John Foxwell, Ben Alderson-Day, Charles Fernyhough, Angela Woods, ‘I’ve learned I need to treat my characters like people’: Varieties of agency and interaction in Writers’ experiences of their Characters’ Voices, Consciousness and Cognition, Volume 79, 2020, 102901, ISSN 1053-8100, https://doi.org/10.1016/j.concog.2020.102901. 171 Cfr. Capitolo 8, La visualizzazione dominante. 172 Esrock, E. (2005). Visualisation. In D. Herman, M. Jahn, & M.- L. Ryan (Eds.), Routledge encyclopedia of narrative theory (pp. 633e634). London & New York: Routledge. 168

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proprie del suo stile, 173 chi non visualizza leggendo segue di sicuro altri percorsi. Per esperienza personale posso affermare che la mia lettura scorre veloce e senza intoppi, non saprei e non potrei dire se più vivida o meno rispetto a chi visualizza, e certo non so descrivere nemmeno io se o quali siano le differenze che caratterizzano il tipo di memoria che usiamo noi afantasici leggendo, o stimare in base al funzionamento della memoria cosa potrebbe restarci della lettura fatta; si tratta di valutazioni peraltro molto legate alla soggettività di chi legge; io posso affermare comunque che il godimento della storia, (quando di storia si tratta!) il sentirsi immersi in essa (quando ne vale la pena!), il suo ricordo e la capacità di raccontarlo e riassumerlo o di rammentarne i particolari non sono da meno rispetto a chi visualizza con tutto quello che il suo visualizzare comporta. (Poi si sa, anche la memoria ha il suo funzionamento e così anche le letture e lo studio seguono la loro curva.) Ed questo è il bello a mio parere. Leggere per il gusto di amare la lettura e le parole che la compongono prima che le immagini sensoriali di cui potrebbe servirsi e che, se lo scrittore non le tiene d’occhio abbastanza, potrebbero evocare anche altro. 174

Cfr. Renate Brosch, What We ‘See’ when We Read: Visualization and Vividness in Reading Fictional Narratives VL - 105 https://doi.org/10.1016/j.cortex.2017.08.020. Vedi anche Peter Mendelsund, What We See When We Read, Random House USA Inc, 2014 e Capitolo 13, La metafora. 174 Cfr. ad esempio cosa dice Leopardi nello Zibaldone, citato nel Capitolo 13, La metafora. 173

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Capitolo 12 Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare

Stiamo arrivando al termine di questa scorrazzata tra il mistero delle immagini mentali e l’aphantasia. Un articolo letto qualche tempo fa, e un incidente automobilistico a cui sono sopravvissuta, 175 mi avevano dato da pensare. Il titolo dell’articolo a cui mi riferisco era: New data from a scientific "accident" has suggested that life may actually flash before our eyes as we die. 176 Un paziente epilettico di 87 anni, in cura; durante una registrazione neurologica ha avuto un infarto ed è morto. La registrazione inaspettata del cervello morente pare abbia rivelato che negli ultimi 30 secondi prima, e negli ultimi 30 secondi dopo la morte, le onde cerebrali seguivano gli stessi schemi del sogno o del richiamo dei ricordi. 177

Mentre passavo con il verde ad un grande incrocio cittadino un grosso camion mi è venuto addosso attraversando con il rosso alla mia destra. La mia auto ha preso fuoco, io sono riuscita a forzare la portiera bloccata e ad uscirne viva pochi minuti prima. 176 https://www.bbc.com/news/world-us-canada-60495730 Trad.: “Nuovi dati da un "incidente" scientifico hanno suggerito che la vita potrebbe effettivamente lampeggiare davanti ai nostri occhi mentre moriamo”. 177Raul Vicente, Michael Rizzuto, Can Sarica, Kazuaki Yamamoto, Mohammed Sadr, Tarun Khajuria, Mostafa Fatehi, Farzad Moien-Afshari, Charles S. Haw, Rodolfo R. Llinas, Andres M. Lozano, Joseph S. Neimat and Ajmal Zemmar, Enhanced Interplay of Neuronal Coherence and Coupling in the Dying Human Brain Front. Aging Neurosci., 22 February 2022, https://doi.org/10.3389/fnagi.2022.813531: “it is intriguing to speculate that such activity could support a last “recall of life” that may take place in the near-death state. Unlike previous reports, our study is the first to use full EEG placement, which allows a more complete neurophysiological analysis in a larger dimension.” Trad.: “è interessante ipotizzare che tale attività possa supportare un ultimo "richiamo della vita" che potrebbe aver luogo nello stato di pre-morte. A differenza dei rapporti precedenti, il nostro studio è il primo a utilizzare il posizionamento EEG completo, che consente un'analisi neurofisiologica più completa in una dimensione più ampia.”, 175

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Queste misurazioni sono basate, ad ogni modo, su un singolo caso e per giunta si tratta del cervello di un paziente che aveva subito lesioni, convulsioni e gonfiore, che era stato sottoposto a cure medicinali, circostanze quindi che complicano l'interpretazione dei dati. Tuttavia, si prevede di indagare ulteriormente. La letteratura di evasione non è avara di casi del genere, e nemmeno il cinema. L’immaginario collettivo ci ha preparato a questa eventualità. Bene, per quanto mi riguarda, fortunatamente, non sono morta, ma mi sono chiesta: in quanto afantasica avrei potuto alla fine della vita rivedere il film della mia esistenza? ricordo che in quei momenti ho salutato col cuore le mie persone care e mi sono affidata a Dio. Non ho avuto flash nè visioni. Certo, alla fin fine non stavo morendo, d’accordo; ma forse o ma quasi… e pure sono stata sottoposta ad uno stress vicino alla morte!, comunque la mia esperienza riguardo alle immagini non è cambiata. Nel campo delle neuroscienze si moltiplicano i risultati di studi che a volte, così come sono riportati, sembrano stupefacenti, sia perché danno spesso interpretazioni semplicistiche di teorie complesse, sia perché pare che debbano aprire scenari improvvisi di novità e ricerche che invece molto spesso si arenano e non vengono replicati, o se replicati non riportano gli stessi dati, insomma siamo costantemente esposti a studi di ogni genere che promettono e non mantengono o discordano gli uni dagli altri. L’occhio del ricercatore, non immune da ciò che cerca, vede poi quello che vuol vedere. Un recente studio 178 ricordava che in fondo gli afantasici non sono poi più di tanto immuni allo stress delle immagini e alle situazioni emotivamente faticose. Non so. Se immagino un cane con la schiuma alla bocca (e per me immaginare vuol dire pensarlo e stop) non mi agito più di tanto, né questo mi provoca ansia o paura. Le mie non-immagini mentali mi pongono in uno stato di maggior controllo delle mie emozioni così come forse le immagini mentali di altri potrebbero avere un impatto maggiore sulle loro. Io non so cosa

178 Dawes, A.J., Keogh, R., Andrillon, T. et al. A cognitive profile of multi-sensory imagery, memory and dreaming in aphantasia. Sci Rep 10, 10022 (2020). https://doi.org/10.1038/s41598-020-65705-7

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accade nella mia mente quando sono arrabbiata o spaventata da qualcosa. So per certo che non devo fare i conti con scenari visivi e immagini disastrose come accade a chi visualizza, per esempio. 179 E per quanto riguarda la mia abilità di simulare, di creare scenari, di valutare, pianificare, ipotizzare, di viaggiare nel tempo e nello spazio, di far previsioni e provare ad anticipare risultati... intorno a me sono sempre stata la più brava a usare di tutte queste risorse, senza sapere che chi mi stava accanto magari poteva avvalersi di immagini a colori

Marcus Wicken, Rebecca Keogh, and Joel Pearson, The critical role of mental imagery in human emotion: insights from fear-based imagery and aphantasia , https://doi.org/10.1098/rspb.2021.0267. Cfr. Richard Bandler, Usare il cervello per cambiare. L'uso delle submodalità nella programmazione neurolinguistica, Astrolabio Ubaldini, 1986: “Per esempio, vi è mai capitato di starvene semplicemente lì seduti a occuparvi dei fatti vostri, o di essere profondamente addormentati, quando all’improvviso il vostro cervello vi fa balenare davanti un’immagine che vi spaventa a morte? Quante volte capita che qualcuno si svegli nel cuore della notte perché ha appena rivissuto un’esperienza di piacere estatico? Se si è trascorsa una brutta giornata, allora più tardi il cervello ce ne offrirà delle vivide repliche, più e più volte. Non basta aver passato una brutta giornata; ci si può rovinare l’intera serata, e magari anche buona parte della settimana seguente. La maggior parte delle persone non si ferma qui. A quanti di voi capita di ripensare a cose sgradevoli accadute molto tempo fa? È come se il vostro cervello stesse dicendo: “Su, rifacciamolo! Abbiamo un’ora prima di pranzo, mettiamoci a pensare a qualcosa di veramente deprimente. Forse riusciamo ad arrabbiarci per quella faccenda con tre anni di ritardo”. Avete mai sentito parlare di ‘sospesi’? Non sono faccende in sospeso, sono finite; è solo che non vi è piaciuto come sono andate a finire. Adesso voglio che scopriate come è possibile imparare a trasformare la vostra stessa esperienza, e ad acquisire un certo controllo su ciò che avviene nel vostro cervello. La maggior parte delle persone sono prigioniere del loro stesso cervello. È come se fossero incatenate all’ultimo sedile dell’autobus, con qualcun altro al volante.” Ibidem: “Per esempio, una paziente aveva il seguente problema: se si inventava una qualsiasi fantasia, trascorso qualche istante non riusciva più a distinguerla dal ricordo di qualcosa che fosse veramente successo. Scorgendo una qualsiasi immagine con gli occhi della mente, non aveva alcun modo di distinguere se era qualcosa da lei realmente visto, oppure qualcosa che aveva immaginato. Questo la confondeva, e la terrorizzava più di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi film dell’orrore. Le consigliai, se creava un’immagine di fantasia, di circondarla di una cornice nera, in modo che quando l’avesse rammentata in seguito la potesse distinguere dalle altre. Provò, e la cosa funzionò bene, salvo per le immagini che risalivano a prima che io le avessi dato quel consiglio.” 179

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per farlo meglio di me, eppure non lo faceva, e/o forse, non sapeva neppure farlo, nonostante le sue immagini mentali! 180 Un Anonimo scrive su un blog il 10 aprile 2016 alle 08:10 Sono d'accordo, il mio cervello ha quasi certamente compensato la mia incapacità di visualizzare in altri modi. In particolare, sono un giocatore di scacchi competitivo e un allenatore. Ogni giorno sento i giocatori parlare di visualizzare la posizione, vedere come sarà la posizione in poche mosse. Posso farlo, solo... non allo stesso modo di tutti gli altri. Più come una serie di punti dati, combinati insieme. La mia memoria è fantastica. Ricordo i numeri con estrema facilità, riconosco persone e suoni e sentimenti molto velocemente. Non riesco a vedere le cose nella mia mente, ma posso certamente sentirle. I decenni in cui ho visto le cose "come dati" (un modo semplificato per dirlo, ma il più vicino che ho) mi hanno dato la capacità di sgranocchiare i dati davvero bene. Non sono un giocatore di scacchi veloce come gli altri e di certo non ho tutte le conoscenze. Ma la mia capacità di scomporre la posizione e capirla supera quella di molti giocatori più forti di me, che fanno affidamento sulle loro memorie visive. Sono invidioso delle persone che sanno fare foto, vedere paesaggi e guardare storie. Ma ho imparato a sentire queste immagini, piuttosto che vederle, e non rinuncerei alla mia capacità di sgranocchiare i dati per qualsiasi quantità di visualizzazione. 181

Cfr. Kappes, Heather Barry and Morewedge, Carey K. (2016) Mental simulation as substitute for experience. Social and Personality Psychology Compass, 10 (7). pp. 405-420. ISSN 1751-9004 https://doi.org/10.1111/spc3.12257 181 http://psychsciencenotes.blogspot.com/2010/03/cant-form-mental-image-no-bigdeal.html “Anonymous 10 April 2016 at 08:10, I agree, my brain has almost certainly made up for my inability to visualise in other ways. Specifically, I am a competitive chess player and coach. Every day I hear players speak of visualising the position, seeing what the position will look like in a few moves. I can do this, just... not the same way as everyone else. More of a series of data points, combined together. My memory is great. I remember numbers with extreme ease, I recognise people and sounds and feelings very quickly. I can't see things in my mind, but I can certainly feel them. The decades of seeing things "as data" (a simplified way of putting it, but the closest I have) have given me the ability to crunch data really well. I'm not as 180

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Nemmeno io rinuncerei alle molte capacità che possiedo e che mi piacciono, e tendo anche a non considerare il verbo “compensare” che l’anonimo del blog usa. Io credo che nasciamo diversi e percepiamo diversamente e che viviamo diversamente. Il minimo comun denominatore dell’esperienza umana non contiene immagini e non sono io a dovermi sentire diversa dagli altri ma lascio che siano gli altri, se lo credono, a sentirsi diversi da me. Per questo in fondo anche la definizione data all’aphantasia come “mancanza” di qualcosa non mi soddisfa. Io nel mio essere completo e compatto non manco di nulla. Se dei paragoni fra imager e non-imager devono esserci, e qualcuno vuole che ci siano, allora va bene, che ci siano!, ma la mia bilancia pende al meglio per me. Credo anche di possedere una sorta di “intuizione” che mi aiuta a formulare ipotesi e scenari che in seguito scopro essere molto vicini e precisi rispetto a quanto poi accade, e questo posso verificarlo personalmente. 182 Sono affermazioni che altri possono condividere con me, e di questo le testimonianze di tante altre persone online possono dar conto. 183 Io credo di poter affermare di avere un ottimo controllo dei miei pensieri, delle mie emozioni e del mio mondo interiore. Non sono soggetta alle intrusioni da parte di immagini esterne che, pur passandomi davanti agli occhi, non restano a turbare o influenzare la mia vita interiore e le mie scelte o i miei stati di animo o forse anche quel che di inconscio potrebbe agitarsi in me. Quando vado a letto non sono turbata da immagini invasive e non devo sottostare alla pulizia visiva della mente per dormire serena.

quick a chess player as others, and I certainly don't have all the knowledge. But my ability to break down the position and understand it bests that of many stronger players than myself, who rely on their visual memories. I do feel jealous of people who can make pictures, seeing landscapes and watching stories. But I have learned to feel these images, rather than see them, and I wouldn't give up my ability to crunch data for any amount of Visualisation.” 182 Cfr. http://addspeaker.net/adhd-can-aphantasia-supercharge-your-gut-feeling/. 183 Cfr. Capitolo 6, Vivere con afantasia, per le molte risorse di aggregazione online e cfr., op. cit. di Alan Kendle.

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Le pubblicità fatte di immagini non mi attirano, né mi seducono a mia insaputa. 184 Non sono più propensa a credere nulla solo perché mi vengono mostrate delle immagini. 185 E di tutto desidero delle spiegazioni che convincano la mia intelligenza e la mia logica prima che la mia emotività o il mio immaginario. Sono in grado di concentrarmi velocemente e di non distrarmi facilmente. Posso evitare di ripetere all’infinito nella mente il loop di immagini di guerra morte e violenza che passano quotidianamente presso i nostri mezzi di informazione, e che potrebbero anche non passare, se si volesse riformare il modo di informare le persone e se esse stesse sapessero meglio su cosa avrebbero piacere (e utilità) di venire informate. Da quanto abbiamo detto fino ad ora si deduce chiaramente che le modalità fra imager e non-imager sono differenti, che esistono delle curiosità reciproche e che è difficile comparare cose che non si conoscono per esperienza diretta. Chi esperisce una delle modalità non può compararla con altro che con la stessa. E nemmeno aiuta il chiedere lumi a chi visualizzava e per motivi patologici ora non visualizza più. Immagino che nel loro caso sia terribile passare da una modalità visiva a qualcosa che non conoscono e che non hanno mai vissuto. I vantaggi e gli svantaggi risultano così espressi sulla base delle dichiarazioni e delle esperienze reciproche. Ma cosa esiste al fondo di ciascuna esperienza e cosa sia meglio in generale per l’uomo, nessuno per ora lo sa dire.

Cfr. Michela Balconi Alessandro Antonietti, Scegliere, comprare: Dinamiche di acquisto in psicologia e neuroscienze, Springer 2009, Cfr. anche Alain Berthoz, La scienza della decisione, Codice Edizioni, 2004 185 Cfr. il già citato aticolo: https://twin-cities.umn.edu/news-events/do-imagesbrain-make-us-more-likely-believe-what-we-read. 184

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Appendice al Capitolo 12 Persone famose con Aphantasia Il professor Craig Venter è un genetista di fama mondiale. Ha guidato il team che ha riportato la prima bozza della sequenza del genoma umano. Aveva capito da tempo di vivere con qualcosa di aphantasia, ma fu gratificato di trovare un termine che rispecchiasse la sua esperienza. 186 Anche Oliver Sacks, medico, chimico, scrittore, psicologo e accademico britannico, docente di neurologia e psichiatria, autore di numerosi libri best seller, era aphantasico. Come pure: Ed Catmull, co-fondatore della Pixar ed ex presidente dei Walt Disney Animation Studios.

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Aphantasia clears the way for a scientific career path. People with low or no visual imagery are more likely to work in scientific and mathematical industries than creative sectors, according to new research. https://www.exeter.ac.uk/news/research/title_793208_en.html. «Professor Craig Venter is a world famous geneticist who led the team reporting the first draft sequence of the human genome. He had long realised he had aphantasia, but was gratified to find a term that mirrored his experience. Whilst some would see this as a disadvantage, he has drawn on the positives when it comes to his work. Craig said: “I have found as a scientific leader that aphantasia helps greatly to assimilate complex information into new ideas and approaches. By understanding concepts vs fact memorization I could lead complex, multidisciplinary teams without needing to know their level of detail.” Recounting his discovery that he couldn’t visualise, he said: “I discovered that I had it when I returned to college after getting out of Vietnam. My realization came from competing in classes with then my wife who had a perfect photographic memory. By comparison I discovered I had none.”» Trad.: “Il professor Craig Venter è un genetista di fama mondiale che ha guidato il team che ha riportato la prima bozza della sequenza del genoma umano. Da tempo si era reso conto di soffrire di aphantasia, ma fu gratificato di trovare un termine che rispecchiasse la sua esperienza. Mentre alcuni lo vedrebbero come uno svantaggio, ha attinto agli aspetti positivi quando si tratta del suo lavoro. Craig ha dichiarato: "In qualità di leader scientifico, ho scoperto che l'aphantasia aiuta notevolmente ad assimilare informazioni complesse in nuove idee e approcci. Comprendendo i concetti rispetto alla memorizzazione dei fatti, potrei guidare team complessi e multidisciplinari senza dover conoscere il loro livello di dettaglio". Raccontando la sua scoperta che non riusciva a visualizzare, ha detto: "Ho scoperto di averlo quando sono tornato al college dopo essere uscito dal Vietnam. La mia realizzazione è venuta fuori gareggiarndo con mia moglie che aveva una perfetta memoria fotografica. In confronto ho scoperto che io non ne avevo affatto.”.

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James Harkin, podcaster e scrittore televisivo britannico. Richard Herring, comico e podcaster britannico. Glen Keane, animatore, autore e illustratore. Lynne Kelly, scrittrice esperta e prolifica d tecniche di memoria, ha riferito di vivere con l’aphantasia, ma dice che questo non influisce sul suo uso personale dei metodi di memoria, molti dei quali si basano sulla memoria visiva. Mark Lawrence, autore fantasy. Yoon Ha Lee, autrice di fantascienza. Derek Parfit, filosofo britannico. La sua aphantasia potrebbe aver influenzato il suo lungo interesse per la fotografia. Blake Ross, co-creatore del browser web Mozilla Firefox. Nell'aprile 2016, Ross ha pubblicato un saggio 187 che descrive la propria aphantasia e la sua consapevolezza che non tutti la sperimentano. Il saggio ha ottenuto ampia diffusione sui social media e in una varietà di fonti di notizie. Michelle Sagara, autrice fantasy. Zelda Williams, attrice, regista, produttrice e scrittrice americana. Alla Conferenza di Exeter sull’immaginazione estrema hanno preso parte motissimi artisti e altri personaggi famosi.

Cfr. Il post di Blake Ross, Aphantasia: How It Feels To Be Blind In Your Mind, Saturday 23 April 2016, https://medicine.exeter.ac.uk/media/universityofexeter/medicalschool/research/neuroscience/docs/theeyesmind/Blake_Ross_April_2016_facebook_post_Aphantasia.pdf https://www.facebook.com/notes/2862324277332876/ 187

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Capitolo 13 La metafora

Cercando il termine metafora su un comune dizionario di retorica e stilistica si rischia di perdersi, ci si imbatte in definizioni, interpretazioni, considerazioni tradizionali della metafora e descrizione dei meccanismi che, secondo alcune scuole, operano in essa. E forse poi in successive rettifiche. E poi in altre aggiunte. 188 Pure la psicoterapia 189 usa a suo modo le metafore (soprattutto sottolineando la loro capacità evocativa nell’aggirare le difese del paziente raggiungendolo nel profondo delle sue credenze ed emozioni) 190 Non è il luogo per soffermarci sulla definizione di metafora, accontentiamoci della nozione intuitiva che ne abbiamo, quella che ci veniva insegnata a ricercare nelle poesie a scuola. 191 La natura stessa delle metafore pare rievocare dei contenuti visivi, il ruolo che si attribuisce all’immaginazione nella comprensione di alcune figure retoriche e del linguaggio figurativo in generale cambia nelle varie teorie, ed alcuni dicono che senza la visualizzazione persino le metafore potrebbero rimanere oscure e ambigue per chi non usa le immagini mentali, 192 ma il fatto stesso che per me contare le

Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica. Mondadori 1978 Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Einaudi 2004 189 Giorgio Nardone, Alessandro Salvini, Dizionario internazionale di psicoterapia, Garzanti 2013 190 Milton Erikson, La mia voce ti accompagnerà, I racconti didattici di Milton Erickson, Astrolabio 1983 David Gordon, Metafore terapeutiche, Modelli e strategie per il cambiamento, Astrolabio 191 https://it.wikipedia.org/wiki/Metafora “Un altro esempio è un verso della poesia X agosto di Giovanni Pascoli che dice «Anche un uomo tornava al suo nido». Un uomo non può tornare al nido ma è molto evidente che qui nido è una metafora per casa. La casa e il nido hanno in comune il fatto di essere dei luoghi che proteggono, insomma la casa per gli uomini è come un nido che protegge. Anzi eliminiamo il come, la casa è un nido che protegge.” 192 https://plato.stanford.edu/entries/imagination/#FiguLang, “On Walton’s theory, imagination is central to understanding and interpreting such figurative speech.” 188

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pecore fosse una metafora sta a significare che queste figure retoriche sono universali del linguaggio, produttive semanticamente e stratificate nella nostra lingua da secoli. Che la metafora sia una forma di conoscenza è un argomento ormai accettato da tutti, sin da quando Aristotele ne ha suggerito il ruolo esplorativo e conoscitivo. 193 In un libro pubblicato nel 1980, Mark Johnson, filosofo, e George Lakoff, 194 linguista, non solo allargano lo sguardo sulla metafora facendola uscire dai confini stilistici in cui era stata rinchiusa, ma si spingono a proporre l’idea che l’intero linguaggio umano sia fondato sulla metafora, sia una grande costruzione di metafore, e il mattoncino teorico di base, la metafora stessa, viene intesa come strumento cognitivo senza il quale sarebbe impossibile ogni nostra operazione concettuale. Ora: che sia solo stilistica o anche e soprattutto conoscitiva, la metafora suggerisce, si sa, delle immagini, di qualunque formato poi esse siano per ciascuno; in generale i poeti e gli scrittori sono i primi ad esserne consapevoli, inconsciamente o teorizzandone come Leopardi fa nello Zibaldone: «13,2 L’efficacia dell’espressioni bene spesso è il medesimo che la novità. Accadrà molte volte che l’espressione usitata sia più robusta più vera più energica, e nondimeno l’esser ella usitata le tolga la forza e la snervi; e il poeta sostituendo in suo luogo un’altra espressione men robusta, forse anche men propria ma nuova, otterrà un buon effetto sulla fantasia del lettore, ci sveglierà quell’immagine che l’altra espressione non avrebbe potuto eccitare; e la sua frase sarà veramente più efficace, non per se stessa, ma per la circostanza dell’esser nuova. 195»

Trad.: “Secondo la teoria di Walton, l'immaginazione è fondamentale per comprendere e interpretare tale discorso figurativo.” 193 Cfr. ad esempio la lectio magistralis di Umberto Eco all’università di Siena del 2002, https://www.unisi.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/eco_averroe_metafora2b.pdf 194 George Lakoff , Mark Johnson, Metafora e vita quotidiana, Bompiani, 1980. 195 Leopardi, Zibaldone di Pensieri, http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t226.pdf

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E ancora: «25,1- Una considerazion fina intorno all’arte dello scrivere è questa che alle volte, la collocazione, diremo, fortuita delle parole, quantunque il senso dell’autore sia chiaro tuttavia a prima vista produca ne’ lettori un’altra idea, il che, quando massime quest’idea non sia conveniente bisogna schivarlo, massime in poesia dove il lettore è più sull’immaginare e più facile a creder di vedere e che il poeta voglia fargli vedere quello ancora che il poeta non pensa o anche non vorrebbe. Ecco un esempio Chiabrera Canz. lugubre 15. In morte di Orazio Zanchini che comincia: Benchè di Dirce al fonte, strofe 3. verso della Canz. 38.7 della strofa duodecimo e penultimo: Ora il bel crin si frange, E sul tuo sasso piange. Si frange qui vuol dire si percuote, e intende il poeta, colle mani ec. Il senso è chiaro, e quel si frange non ha che far niente con sul tuo sasso, e n’è distinto quanto meglio si può dire. Ma la collocaz. casuale delle parole è tale, ch’io metto pegno che quanti leggono la Canz. del Chiabrera colla mente così sull’aspettare immagini, a prima giunta si figurano Firenze personificata (che di Firenze personificata parla il Chiabrera) che percuota la testa e si franga il crine sul sasso del Zanchini, quantunque immediatamente poi venga a ravvedersi e a comprendere senza fatica l’intenzione del poeta ch’è manifesta. Ora, lasciando se l’immagine ch’io dico sia conveniente o no, certo è che non è voluta dal poeta, e ch’egli perciò deve schivare questa illusione quantunque momentanea (bastando che queste parole del Chiabr. servano d’esempio senza bisogno che l’immagine sia sconveniente) eccetto s’ella non gli piacesse come forse si potrebbe dare il caso, ma questo non dev’essere se non quando l’immagine illusoria non nocia [sic] alla vera e non ci sia bisogno di ravvedimento per veder questa seconda, giacchè due immagini in una volta non si possono vedere, ma bensì una dopo l’altra il che quando fosse, potrebbe anche il poeta lasciare e anche proccurare questa illusione, dove pur non noccia al restante del contesto, perch’ella non fa danno, e d’altra parte è bene che il lettore stia sempre tra le immagini. Quello che dico del poeta s’intenda proporzionatamente anche degli altri scrittori. Anzi questa sarebbe la sorgente di una grand’arte e di un grandissimo effetto proccurando quel vago e quell’incerto ch’è

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tanto propriamente e sommamente poetico, e destando immagini delle quali non sia evidente la ragione, ma quasi nascosta, e tale ch’elle paiano accidentali, e non proccurate dal poeta in nessun modo, ma quasi ispirate da cosa invisibile e incomprensibile e da quell’ineffabile ondeggiamento del poeta che quando è veramente inspirato dalla natura dalla campagna e da checchessia, non sa veramente com’esprimere quello che sente, se non in modo vago e incerto, ed è perciò naturalissimo che le immagini che destano le sue parole appariscano accidentali. 196»

Insomma, secondo Leopardi il compito del poeta, e di chi scrive in generale, è far vedere, far nascere delle immagini nella mente del lettore e deve stare attento anche all’ordine delle parole per non permettere che nell’immaginario del lettore si creino immagini non volute e contrarie agli effetti che si intendevano produrre. Anche George Orwell si ferma a considerare l’uso delle metafore e l’attenzione che ad esse bisogna porre: “A newly invented metaphor assists thought by evoking a visual image, while on the other hand a metaphor which is technically "dead" (e.g., iron resolution) has in effect reverted to being an ordinary word and can generally be used without loss of vividness. But in between these two classes there is a huge dump of worn−out metaphors which have lost all evocative power and are merely used because they save people the trouble of inventing phrases for themselves.” 197

Leopardi, Zibaldone di Pensieri, http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t226.pdf 197 George Orwell, Politics and the English Language, 1946, https://www.orwellfoundation.com/the-orwell-foundation/orwell/essays-and-otherworks/politics-and-the-english-language/ Trad.: ”Una metafora di recente invenzione aiuta il pensiero evocando un'immagine visiva, mentre d'altra parte una metafora che è tecnicamente "morta" (ad esempio, risoluzione del ferro) è in effetti tornata ad essere una parola ordinaria e può essere generalmente utilizzata senza perdita di vividezza. Ma tra queste due classi c'è un'enorme discarica di metafore logore che hanno perso ogni potere evocativo e sono usate semplicemente perché risparmiano alle persone la fatica di inventare frasi da se stessi.” 196

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Per Orwell, addirittura, l’unico scopo della metafora è di richiamare un’immagine visiva. 198 Abbiamo accennato al dibattito sulle immagini e alla posizione di uno dei suoi maggiori protagonisti secondo il quale parlare di immagini mentali per denominare tutte le immagini sensoriali che si presentano all’introspezione era una sorta di metafora (e pure poco riuscita e fuorviante). 199 Per concludere, e secondo il nostro parere, per quanti sforzi possano fare scrittori e teorici per connettere strettamente il linguaggio figurativo e le metafore alla capacità di evocare immagini mentali, e da alcuni loro punti di vista di permettere così la conoscenza, resta il fatto che le metafore sono pane comune di tutti, ma proprio di tutti, e che, per chi non usa le immagini mentali, diventano anche ancora più interessanti, diventano la metafora di loro stesse!

Ibidem. “The sole aim of a metaphor is to call up a visual image”. Cfr. Pylyshyn, Z.W. (1973) What the Mind’s Eye Tells the Mind’s Brain: A Critique of Mental Imagery, in: Nicholas, J.M. (eds) Images, Perception, and Knowledge. The University of Western Ontario Series in Philosophy of Science, vol 8. Springer, Dordrecht. https://doi.org/10.1007/978-94-010-1193-8_1 e capitolo 2 Come si è ri-scoperta l’afantasia e come la si è vissuta nel tempo. 198 199

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Capitolo 14 Conclusioni e Prospettive

Arrivati alla fine di questo percorso mi vengono e mi tornano in mente molte domande. Anzitutto mi rendo conto che spesso, incontrando altre persone, mi chiedo se visualizzano o no. Ecco, probabilmente questo adesso capiterà anche a voi. Rimugino anche su una domanda che a me pare fondamentale: dicono che sono quelli che visualizzano a poter fare qualcosa e chi non visualizza a non poter fare ma se fosse il contrario? Siamo sicuri che il loro voler visualizzare sia un volere o non sia piuttosto qualcosa a cui sono soggetti e purtroppo non ne possono fare a meno? Un’altra delle mie curiosità rimane chiedermi quale dei personaggi famosi nella storia dell’umanità fosse capace di visualizzare e chi invece no, di alcuni lo sappiamo, ce lo hanno lasciato intuire o lo hanno dichiarato nei loro scritti, di altri non sappiamo nulla! Immagino che anche a voi stia venendo voglia di chiedervi quale fra i vostri personaggi storici preferiti visualizzava oppure no! 200

Da quanto abbiamo già raccontato sappiamo che Aristotele, Platone, Dante, Leopardi, Calvino, Proust, Einstein, Darwin, San’Ignazio e altri visualizzavano certamente, mentre invece Galton, Wittgenstein, Feynman forse no, e qualunque cosa voglia dire Damasio di Feynman, pare evidente che egli avesse bisogno di vedere fisicamente l’equazione non vedendola dunque nella propria mente, cfr.: Antonio R. Damasio, L’errore di Cartesio, Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi 1995: “È interessante osservare che alcuni matematici e fisici particolarmente dotati di intuito dichiarano come il loro pensiero sia dominato dalle immagini, che spesso sono visive, ma possono anche essere somatosensoriali. Non fa sorpresa che Benoit Mandelbrot, che ha legato il proprio nome alla geometria frattale, dichiari che egli pensa sempre per immagini. Egli riferisce che il fisico Richard Feynman non amava esaminare un’equazione senza poter guardare l’illustrazione che l’accompagnava (e si noti che, in effetti, sia l’equazione sia l’illustrazione erano immagini). Quanto a Einstein, egli non aveva alcun dubbio: «Sembra che le parole o il linguaggio, così come sono scritti o detti, non abbiano alcun ruolo nei miei meccanismi di pensiero. Le entità psichiche che sembrano fungere da elementi, nel pensiero, sono certi segni e certe immagini - più o meno chiare - che possono essere “volontariamente” riprodotti 200

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Sono poi molto curiosa di sapere se davvero anche chi non visualizza riuscirà a rivedere la sua vita negli ultimi minuti, come i recenti studi citati parrebbero mostrare che accada. 201 Infine, e ne abbiamo già accennato, vivendo in questo periodo in cui tutti vogliono che vengano riconosciuti loro dei diritti, ritengo che anche agli afantasici spetta di rivendicare i loro semplici diritti a non essere spinti e invitati ovunque a visualizzare, credo sia positivo far sapere alla gente che non tutti hanno lo stesso tipo di percezione, che visualizzare non è patrimonio comune e condiviso, che si dovrebbe tener conto nel campo dell'educazione, ma forse anche in altri ambiti, che le immagini non sempre valgono più di una parola, e che per una buona parte della popolazione mondiale pienamente in salute e senza patologia alcuna, contar le pecore resta sempre e solo una metafora. Altre domande, che mi rifaccio e che vi lascio, le condivido con altri e le prendo in prestito da quelle proposte nel 2021 al prof. Zeman e al prof. Pearson in un paio di AMA (Ask Me Anything) ospitato da Tom Ebeyer, una tra le 22 persone che aveva letto l’articolo del prof. Zeman sulla rivista scientifica Discover e lo aveva contattato dicendo che egli non era mai stato capace di visualizzare. 202 Tom come Alan Kendle, come me, come altri, si è messo in gioco per far conoscere e pubblicizzare l’aphantasia creando un proprio canale youtube 203 e un network per condivisione e aggregazione. Le domande fatte al Prof Zeman erano queste: 204

e combinati. Naturalmente c’è un legame tra quegli elementi e i concetti logici pertinenti. È chiaro anche che il desiderio di arrivare a concetti logicamente connessi è la base emotiva di questo gioco un po’ vago con gli elementi prima citati». Poco più avanti egli si esprime con ancor maggiore chiarezza: «Gli elementi prima invocati sono, nel mio caso, di tipo visivo e ... muscolare. La laboriosa ricerca di parole convenzionali o di altri segni deve avvenire solo in uno stadio successivo, quando il gioco di associazione cui facevo accenno è sufficientemente stabilito e può essere riprodotto a volontà»” 201 Cfr. Capitolo 12, Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare. 202 Professor Adam Zeman - 'Phantasia: the psychological significance of visual imagery extremes https://www.youtube.com/watch?v=Uy6SyrAVIYE circa al minuto 6 e avanti Cfr. https://www.exeter.ac.uk/news/research/title_467790_en.html 203 https://www.youtube.com/c/AphantasiaNetwork 204 Aphantasia AMA with Dr. Adam Zeman

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1:04 How Dr. Zeman discovered Aphantasia 3:25 What is Hyperphantasia? 6:00 How is the brain different with Aphantasia? 10:40 Is Aphantasia hereditary? 12:55 Am I less triggered to traumatic memories due to Aphantasia? 14:54 Impact on eyewitness testimonies 17:38 How PTSD presents and how it could be treated? 19:26 Can it be caused by emotional trauma? 21:24 Have you researched anyone who've been able to regain visual imagination? 23:49 Are there medical conditions that make it more likely to have Aphantasia? 26:16 Can Aphantasics be hypnotized? 27:05 Connections between Aphantasia and SDAM 29:57 How prevalent is Aphantasia in ADHD and Autism? 32:44 Connections to early-onset Alzheimer's and/or Dementia 34:08 Behavioral differences in Aphantasia or Hyperphantasia 39:11 Are there demographic differences in the prevalence of Aphantasia? 40:47 Has anything been done on gender or culture differences with Aphantasia? 43:40 How do we tell the difference between normal Phantasia and Hyperphantasia 46:25 Advantages/disadvantages of knowing you have Aphantasia 50:56 In Aphantasics, is there any activity in the visual cortex when presented with a visual cue? 55:58 Causes for lack of the other senses like touch, taste, and sound in the brain Le domande fatte al prof. Pearson erano queste: 205 1:20 How did you first get involve in mental imagery research? 3:27 What's happening in an aphantasic brain? Why can't we imagine pictures? 6:25 What percentage of aphantasics are affected in all senses?

https://www.youtube.com/watch?v=z9MCrrBt-_8 205 Aphantasia AMA with Prof Joel Pearson https://www.youtube.com/watch?v=oH86xYwP8BI

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7:48 Do you think it's always due to nature/present at birth? 9:38 How does aphantasia affect memory? 13:15 Is there a formal diagnosis for aphantasia? Is it viable for one to be formed in the future? And would it be more of a neurological one or a self-report? 16:19 How does aphantasia impact emotional regulation? 19:41 Do you think aphantasia can have a positive impact on dealing with trauma due to the inability to revisit? 20:38 Does having aphantasia influence our personality or are the many common traits just coincidences? 21:41 How does it affect our learning? 24:00 Have you explored any correlations between ADHD and aphantasia? 24:53 How is it that I have such mental imagery in dreams but not awake? 27:28 How reliable is self-report? 29:34 Is imagination and visualization the same thing? 31:36 Is a "cure" theoretically possible? 35:00 How does aphantasia affect the other senses? 36:18 Aphantasia and the experience of sexuality? 37:21 Is aphantasia known to be genetic? Are my children likely to have a similar lack of mental imagery? 38:35 What research is being planned? 42:46 How can people get involved with your research, and aphantasia globally? 44:12 Given there is a correlation between aphantasia and the STEM field: how do artists, dancers, etc find success in creative fields? How is this possible? 47:02 Is aphantasia a disability? 48:47 Is there any correlation between IQ and aphantasia? 49:38 Does the "degree" of "phantasia" in the general population follow a normal distribution, with aphantasia and hyperphantasia at the "tails"? Or, is there some other kind of distribution? 52:27 What does an "average" or more common degree of phantasia look like? 54:35 How do I support a child with aphantasia? Are there methods of support or teaching that you recommend? 56:15 How can we objectively measure aphantasia in all the senses? 134

57:48 What are your thoughts about aphantasia combined with synesthesia? Le risposte date da entrambi sono molto interessanti. A molte di esse abbiamo già in parte risposto anche noi nel corso del libro; velocemente riassumo qui che l’Aphantasia potrebbe essere ereditaria; che non è una malattia; non ha “cause” apparenti; in alcuni casi di Aphantasia acquisita essa potrebbe essere stata causata da stress o traumi; che pare difficile riaverla una volta persa, che gli aphantasici non si lasciano ipnotizzare, che non vi sono particolari differenze demografiche o di genere di cultura tra coloro che si riconoscono afantasici, Per ogni ulteriore curiosità troverete i link ai video nelle note. In uno dei suoi più recenti interventi che abbiamo incontrato più volte, il capitolo 42 di The Cambridge Handbook of the Imagination, il prof. Zeman parlava degli scenari futuri che a grandi linee egli vede per l’Aphantasia, 206 e ne abbiamo già detto. Il prof. Joel Pearson in conclusione di un suo articolo del 2019 invece rifletteva in questi termini: “Several pertinent questions regarding imagery remain, including the issue of why imagery rarely feels as strong and vivid as afferent sensory perception; the causes underlying aphantasia and the large range of individual differences in the experience of imagery; whether there exists a training protocol that might improve imagery strength; whether imagery indeed induces more activity in visual cortical areas, as opposed to being just modulatory; and whether voluntary or involuntary imagery could ever exist unconsciously. As many of the new methods to investigate imagery are only newly available, it is exciting to think over all the future imagery research waiting to be performed. 207

Cfr. Anna Abraham, a cura di, The Cambridge Handbook of the Imagination, cap. 42, “Aphantasia” di Adam Zeman - Cambridge University Press 2020 e cfr. Capitolo 10: Quanti sono quelli che non visualizzano? 207 Pearson, J. The human imagination: the cognitive neuroscience of visual mental imagery. Nat Rev Neurosci 20, 624–634 (2019). https://doi.org/10.1038/s41583019-0202-9 Trad.: “Rimangono diverse domande pertinenti riguardo alle immagini, inclusa la questione del perché le immagini raramente sembrino così forti e vivide 206

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Mentre finisco di scrivere questo libro ricevo una delle periodiche email del FuturMindLab, 208 dal dipartimento del prof. Pearson; sono invitata a partecipare ad una Survey per uno studio in corso sul comportamento a rischio. 209 Il rischio di me che scrivo e di voi che leggete. Il rischio di vivere che corriamo tutti. Mi rimbocco le maniche e decido ancora una volta di partecipare.

quanto la percezione sensoriale afferente; le cause alla base dell'afantasia e l'ampia gamma di differenze individuali nell'esperienza dell'immaginario; se esiste un protocollo di allenamento che potrebbe migliorare la forza delle immagini; se le immagini inducono effettivamente più attività nelle aree corticali visive, invece di essere solo modulatorie; e se le immagini volontarie o involontarie potrebbero mai esistere inconsciamente. Poiché molti dei nuovi metodi per studiare le immagini sono disponibili solo di recente, è eccitante pensare a tutte le future ricerche sulle immagini in attesa di essere eseguite.” 208 https://www.futuremindslab.com/, 209 “Hi There, You are receiving this email as you have signed up to the PearsonLab aphantasia database and have indicated that you would like to participate in research regarding aphantasia. We currently have an experiment looking into mental imagery and its relationship with risk-taking behaviour. This study is an online task and if you wish to participate please read the following instructions. If you do not wish to participate please disregard this email. This study comprises of an online questionnaire and computerised task. The questionnaire will require you to answer a series of questions surrounding personal risk experiences. You will also be required to complete a computerised balloon task through a program called Inquisit. Please ensure that this program is downloaded and installed prior to commencing the questionnaire. The latest version of Inquisit can be downloaded from the following link: https://www.millisecond.com/download/. As Inquisit can only be installed on a laptop or desktop, this study will require participants to complete the questionnaire on a laptop or desktop. The questionnaire will take approximately 30 minutes to complete. At the end of the experiment there will be the option for you to be placed into a draw for a $100 voucher for your participation in the study. To go into the draw please enter your email address at the end of the survey (we will only use this email address to contact you if you have won the draw). Please make sure you are well rested and do the experiments on a computer in a quiet room where you won’t be interrupted. If you have any questions about any of these studies please don’t hesitate to ask us at: [email protected]

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Sitografia

Siti visitati a Giugno 2022 https://en.wikipedia.org/wiki/Mental_image https://it.wikipedia.org/wiki/Afantasia. https://it.wikipedia.org/wiki/Immaginazione https://en.wikipedia.org/wiki/Vividness_of_Visual_Imagery_Questionnaire https://en.wikipedia.org/wiki/Hyperphantasia https://it.wikipedia.org/wiki/Metafora https://en.wikipedia.org/wiki/Learning_styles https://aphantasia.com/learning-with-aphantasia/ https://aphantasia.com/vviq/ https://aphantasia.com/think-of-a-horse/ https://aphantasia.com/ https://aphantasia.com/writing-with-aphantasia/ https://aphantasia.com/visualizing-the-invisible/ https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/ https://plato.stanford.edu/entries/imagination/ https://plato.stanford.edu/entries/aristotle-psychology/suppl4.html https://plato.stanford.edu/entries/mental-imagery/#MentImagVsImagination https://plato.stanford.edu/entries/imagination/#FiguLang https://www.treccani.it/vocabolario/percezione/ https://www.treccani.it/enciclopedia/immaginazione/ https://www.britannica.com/topic/perception/Perceptual-constancies, https://www.britannica.com/topic/perception/Effects-of-practice https://www.britannica.com/topic/perception/Perceptual-constancies https://www.stateofmind.it/apprendimento/ https://www.britannica.com/topic/perceptual-learning https://www.stateofmind.it/2016/01/immaginazione-mentale/ https://www.stateofmind.it/percezione/ https://blogs.exeter.ac.uk/eyesmind/2020/05/04/an-update-on-extremeimagination-aphantasiahyperphantasia/ https://www.exeter.ac.uk/news/research/title_467790_en.html https://exetercles.eu.qualtrics.com/jfe/form/SV_ctDxi0ft0tFPlEp

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Indice

Introduzione ....................................................................................... 7 Capitolo 1 Immagini mentali e Occhi della mente, tutti ne parlano. Eppure... ....................................................................... 11 Capitolo 2 Come si è ri-scoperta l’afantasia e come la si è vissuta nel tempo. ....................................................................... 25 Capitolo 3 Percezioni ...................................................................... 37 Capitolo 4 Il mondo da dietro gli occhi ........................................... 59 Capitolo 5 Immaginazione e creatività ............................................ 63 Capitolo 6 Vivere con Afantasia ..................................................... 71 Capitolo 7 E quante altre percezioni diverse esistono nel mondo? ....................................................................................... 81 Capitolo 8 La visualizzazione dominante ........................................ 83 Capitolo 9 Un mondo a misura di visualizzatori: cosa rimane a chi non visualizza? ..................................................................... 93 Capitolo 10 Quanti sono quelli che non visualizzano? ..................101 Capitolo 11 Libri e lettura (e scrittura) .......................................... 107 Capitolo 12 Vantaggi e svantaggi, i lati buoni del non visualizzare ............................................................................... 117 Appendice al Capitolo 12 Persone famose con Aphantasia ..........123 Capitolo 13 La metafora ................................................................ 125 Capitolo 14 Conclusioni e Prospettive .......................................... 131 Sitografia ....................................................................................... 137 Bibliografia .................................................................................... 141

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