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Italian, Ancient Greek Pages 106 [132] Year 2020
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA IN PAPYRIS REPERTA (CLGP)
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA IN PAPYRIS REPERTA (CLGP) ediderunt
Guido Bastianini · Daniela Colomo Michael Haslam · Herwig Maehler Fausto Montana · Franco Montanari Cornelia Römer adiuvante Marco Stroppa
De Gruyter
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA IN PAPYRIS REPERTA (CLGP) PARS I COMMENTARIA ET LEXICA IN AUCTORES VOL. 1 AESCHINES – BACCHYLIDES FASC. 2 ALCMAN – ANTIPHO 3. ANDRON – ANTIPHO
De Gruyter
ISBN 978-3-11-047289-9 e-ISBN (PDF) 978-3-11-047369-8 Library of Congress Control Number: 2006482798 Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.dnb.de abrufbar. © 2020 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston Druck: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen www.degruyter.com
Prefazione
La struttura dei volumi i.1 e i.2 dei Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta è ora la seguente, a seguito dell’avanzamento delle ricerche sui materiali relativi agli autori presi in considerazione: CLGP i.1: aesChines-BaCChyLides Fascicolo i.1.1 aeschines-alcaeus (2004) Fascicolo i.1.2 alcman-antipho i.1.2.1 alcman (2013) i.1.2.2 alexis-anacreon (2016) i.1.2.3 andron-antipho (2020) Fascicolo i.1.3 apollonius rhodius-aristides (2011) Fascicolo i.1.4 aristophanes-Bacchylides (2006; 20122) CLGP i.2: CaLLimaChus-hiPPonax Fascicolo i.2.1 Callimachus Fascicolo i.2.2 Cercidas-Cratinus Fascicolo i.2.3 demosthenes Fascicolo i.2.4 dionysius thrax-eupolis Fascicolo i.2.5 euripides Fascicolo i.2.6 Galenus-hipponax (2019) Con questo fascicolo i.1.2.3 andron-antipho si conclude dunque la pubblicazione del volume i.1 dell’intero progetto. anche per il volume i.2 si è resa necessaria la divisione in più fascicoli, di cui è stato pubblicato il i.2.6 Galenus-hipponax. al momento non siamo in grado di prevedere quale sarà il prossimo fascicolo che sarà dato alle stampe. il CLGP è ora un progetto accolto all’interno dell’istituto Papirologico «G. Vitelli» dell’università di Firenze, che ne è diventata la sede ufficiale. GLi editors
Criteri editoriali
i Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta (CLGP) sono divisi in quattro parti: i) Commentaria et Lexica in auctores. testi papiracei che contengono testimonianze dell’esegesi ad autori identificati. tali testi possono appartenere alle seguenti tipologie: hypomnemata; hypotheseis; syngrammata; glossari e lessici a singoli autori; voci di lessici riportabili a un autore; marginalia (scholia e glosse). sono stati tralasciati i papiri che presentano segni marginali e varianti senza che si riscontri alcun commento e quelli di contenuto esclusivamente biografico, mentre sono inclusi i testi comprensivi di elementi sia esegetici che biografici. a discrezione del curatore, inoltre, potranno essere considerati altri materiali di carattere esegetico. La parte i sarà costituita da quattro volumi, a loro volta suddivisi in fascicoli: 1. aeschines-Bacchylides 2. Callimachus-hipponax 3. homerus 4. hyperides-xenophon ii) Commentaria in adespota. testi esegetici riferiti a opere e autori non identificati, raggruppati secondo il genere letterario del testo commentato (epica, lirica etc.). iii) Lexica. Prodotti di carattere lessicografico generale (i glossari e i lessici a singoli autori rientrano nella parte i; non sono compresi i lessici bilingui). si osservi che i termini ‘glossario’ e ‘lessico’ non sono usati come sinonimi: il glossario presenta i lemmi nell’ordine in cui compaiono in una determinata opera di un autore; nei lessici, invece, i lemmi seguono l’ordine alfabetico e possono essere tratti da autori e opere diversi. iV) Concordantiae et Indices. un articolato sistema di riferimenti incrociati permetterà il reperimento dei materiali secondo diverse “chiavi” di accesso (per es. le citazioni degli autori e dei grammatici). in generale nel CLGP i papiri sono disposti per autori commentati, in ordine alfabetico secondo la forma latina del nome. Per ogni autore si prevede
Criteri editoriali
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un’introduzione generale, quindi l’esame dei papiri che conservano materiali esegetici relativi alle opere, presentate in ordine alfabetico secondo la forma latina del titolo (quelle non identificate si trovano in fondo); quando questo criterio non risulta applicabile i testi seguono l’ordine alfabetico per collezione papirologica. un punto interrogativo dopo il numero assegnato a un determinato papiro contraddistingue, di norma, i reperti attribuiti a un autore in forma dubitativa. se nessuna attribuzione risulta accettata dal curatore, il papiro sarà pubblicato fra i Commentaria in adespota. se il carattere esegetico dell’opera non è sicuro, il punto interrogativo seguirà il titolo che identifica il genere dell’opera. non sono numerati autonomamente, ma solo descritti in brevi schede, individuate da una lettera, i frammenti sulla cui natura permangono incertezze radicali. Le sigle dei papiri sono tratte dalla Checklist of Editions of Greek, Latin, Demotic and Coptic Papyri, Ostraca and Tablets, ed. J.F. oates, r.s. Bagnall, s.J. Clackson, a.a. o’Brien, J.d. sosin, t.G. wilfong and K.a. worp, BASP Suppl. 9, 20015. una versione continuamente aggiornata si trova on line all’indirizzo: http://papyri.info/docs/checklist. Le riviste sono abbreviate secondo le sigle de L’Année Philologique. Bibliographie critique et analytique de l’antiquité gréco-latine, Paris 1928-. Per i nomi e le opere degli autori greci si utilizzano le abbreviazioni del Vocabolario della lingua greca di Franco montanari (= Gi, 20133), pp. 15-63: in caso di autori omonimi ivi diversificati con esponente o di opere indicate con un numero, si è ricorso ad abbreviazioni perspicue, confrontando il LsJ ed eventualmente il Thesaurus Linguae Graecae. Canon of Greek Authors and Works, by L. Berkowitz-K.a. squitier, new york-oxford 19903 (versione on line aggiornata al sito http://stephanus.tlg.uci.edu). Per le opere e gli scrittori latini si segue l’Oxford Latin Dictionary, ed. by P.G.w. Glare, oxford 20122 (versione on line aggiornata al sito www.oxfordscholarlyeditions.com/page/abbreviations). all’inizio di ogni scheda si forniscono una serie di indicazioni così suddivise: Prov.: Provenit (luogo di ritrovamento, secondo la denominazione latina). Cons.: Conservatur (luogo di conservazione). Ed./Edd.: Edidit/Ediderunt (edizioni del testo; le abbreviazioni bibliografiche che compaiono in questa sezione possono trovarsi anche sotto la voce Comm.). Tab./Tabb.: Tabula/Tabulae (indicazioni delle immagini esistenti). Comm.: Commentationes (numerazione in mP3 e in Pack2, se differente; quindi il numero di LdaB. Le sigle mP3 e LdaB rimandano ai repertori disponibili on line agli indirizzi:
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Criteri editoriali
http://web.philo.ulg.ac.be/cedopal/base-de-donnees-mp3 www.trismegistos.org/ldab. segue la bibliografia in ordine cronologico e in forma abbreviata: le indicazioni bibliografiche complete si trovano nel Conspectus librorum). Per ciò che concerne i commentari, dopo un’introduzione sul papiro, si offre la trascrizione letteraria dell’intero testo con i lemmi in grassetto. il grassetto è usato anche per contraddistinguere i lemmi nelle voci di lessico e nelle annotazioni marginali. riguardo a queste ultime, si valuta caso per caso se fornire la trascrizione sia del testo letterario (a volte solo parziale), sia delle note, riproducendo fedelmente la posizione dei marginalia, oppure se indicare unicamente il lemma a cui le note marginali stesse si riferiscono. se nel papiro vi è iota mutum, nell’edizione del testo viene ascritto; in caso contrario, nel testo è sottoscritto. Le scritture anomale sul papiro sono riportate in apparato papirologico e normalizzate nel testo secondo gli usi correnti (ad es.: nel testo givnomai, in apparato geinomai pap.). sono usati i numeri romani per le colonne, i numeri arabi per i righi. si adotta la numerazione dei righi per colonne, anche quando nell’edizione di riferimento compare la numerazione continua. La traduzione, se presente (vi sono casi in cui il curatore non ha ritenuto opportuno inserirla), è posta generalmente dopo gli apparati; a discrezione del curatore può trovarsi anche nelle note di commento. Le diverse lingue in cui potranno essere scritti i contributi, inevitabilmente determineranno alcune difformità e/o necessari adattamenti redazionali. Per la citazione del CLGP si utilizzerà il seguente criterio: il nome dell’autore, accompagnato dal numero che contrassegna il papiro, quindi la sigla della raccolta (ad es. aeschylus 1 CLGP). Per i rimandi interni si usa il simbolo di una freccia (⇒) in unione alle indicazioni della parte (in numero romano: ⇒ iii, a significare CLGP iii Lexica) o del nome dell’autore, cui si aggiunge il numero identificativo del papiro (ad es. ⇒ aeschylus 1). all’interno della sezione su un autore, il richiamo a un papiro della stessa sezione è realizzato con il solo simbolo ⇒ seguito dal numero. marCo stroPPa
Curatori
andron eLena esPosito antimachus eLena esPosito maria rosaria FaLiVene antipho marCo stroPPa
Gli editors sono citati in sigla: GB Guido Bastianini dC danieLa CoLomo mh miChaeL hasLam hm herwiG maehLer Fam Fausto montana Fm FranCo montanari Cr CorneLia römer edd. editores omnes
revisori dei papiri
or = originale imm = immagine a stampa o digitale andron 1
elena esposito
or
antimachus 1 maria rosaria Falivene/Cornelia römer antimachus 2 elena esposito
imm/or or
antipho 1
imm/or
marco stroppa/robert daniel
siglorum et compendiorum explicatio
⟨ααα⟩ [ααα] ⟦ααα⟧ (ααα) {ααα} α̣α̣α̣ [] ][ ⌊ααα⌋ |
litterae coniectura additae litterae coniectura restitutae litterae a librario deletae litterae per compendium a librario omissae litterae delendae litterae valde incertae numerus litterarum quae perierunt litterarum vestigia dubia litterae ex testimonio alio antiquo allatae versus finis
add. adesp. ad l. agn. ap. app. app. crit. app. pap. ca. cet. cf. cfr. cit. cl. codd. col., coll. coni. comm.
addidit, addiderunt adespotum, adespota ad locum agnovit, agnoverunt etc. apud apparato apparato critico apparato papirologico circa ceteri confer confronta citazione collato codices colonna, colonne coniecit, coniecerunt etc. commento
xii del. dub. ed., edd. ed. pr. e.g. es. fort. fr., frr. init. inv. mg. n., nn. nr., nrr. p., pp. pap. p.c. poss. pot. prob. r., rr. s., ss. sc. sch. saec. simm. sup. suppl. susp. s.v., s. vv. tempt. v., vv. vd. veri sim. vol.
Siglorum et compendiorum explicatio delevit, deleverunt dubitanter editio, edidit, editor, editores editor, editio princeps exempli gratia esempio fortasse frammento, frammenti initium inventario margine nota, note numero, numeri pagina, pagine papiro post correctionem possibile, possis potius probavit, probaverunt rigo, righi seguente, seguenti scilicet scholium, scholia saeculum similia superiore supplevit, suppleverunt, etc. suspicans, suspicatur, suspicantur etc. sub voce, sub vocibus temptavit verso, versi vedi veri simile, verisimiliter volume
Conspectus librorum
adrados 1981 aLPers 2001
arena 1978
arnott 1977 auGeLLo 2006 austin-oLson 2004 BaLadié 1980 BarBer 1938
Barnes 1711 Barrett 1964 Bastianini 1995
Bastianini 1996
Bastianini 2006
BeCatti 1958 BeChteL 1924 BeCK 1988
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deL FaBBro 1979 deLCourt 1944 dettori 2000
dettori 2004-2005 diCKey 2007
diehL 1923 drexLer 1890-1894
dyCK 1983-1995 enGeLs 2016 erBse 1960 ernst 2006 esPosito 2009a esPosito 2009b esPosito 2010a
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Conspectus librorum
esPosito 2011 esPosito 2012 esPosito 2014 esPosito 2017 FaLiVene 1995
FaLiVene 2011
FaLiVene 2016
Faraone 1992 Fauth 1969 FLeisCher 1973 FLeisCher 1978
FLeisCher 1999
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Pars i Commentaria et LexiCa in auCtores VoL. 1 aesChines – BaCChyLides FasC. 2 aLCman – antiPho 3. andron – antiPho
andron 1 P.oxy. xV 1802 + Lxxi 48121, fr. 18 + fr. 32 col. ii 18-19 Voce di lessico 18 μερμνάδαι· οἱ τρίορχοι παρὰ Λύδοιϲ. Ἄνδρων ἐ̣[ν μου τοῦ πρὸϲ τοὺϲ βαρβάρουϲ
Περὶ τοῦ πολέ-
18 dopo μερμναδαι spazio bianco; a fine rigo lungo tratto di inchiostro che si estende oltre la colonna di scrittura —— 18 Ἄνδρων ἐ̣[ hunt 1922 : Ἀνδρώνι̣[κοϲ (pro Ἀνδρόνι̣[κοϲ propos. hunt 1922 in comm. “possible but not attractive”) 18-19 ἐ̣[ν Περὶ τοῦ πολέ]μου τοῦ πρὸϲ τοὺϲ βαρβάρουϲ hunt 1922, schironi 2009, 2010
μερμνάδαι: i falconi presso i Lidi. androne, nel [(?) libro della Guer]ra contro i barbari La tradizione annovera vari storici di nome Ἄνδρων: androne di teo (iV sec. a.C., FGrhist 802; cfr. Berger 1894), autore di un Περὶ Πόντου (o Περίπλουϲ); androne di alessandria (i sec. a.C.?, FGrhist 246; cfr. schwartz 1894b, Brodersen 1996), che scrisse una storia di alessandria; infine androne di alicarnasso
1 P.oxy. xV 1802 + Lxxi 4812 (mP3 2127; LdaB 5091), redatto in una scrittura molto veloce di medie dimensioni, conserva cospicui resti (cm 34,3 × 16,5 [fr. 3]) di un lessico caratterizzato da un ordinamento alfabetico rigoroso. in esso vengono registrati dati mitografici (cfr. fr. 3, col. ii 17), vocaboli desueti o usati in significati rari, voci dialettali greche, nonché parole straniere, un particolare, quest’ultimo, che – unitamente ai vari riferimenti a scrittori spesso poco noti se non del tutto sconosciuti di opere su scizia, asia, Babilonia – denota un innegabile interesse per paesi e realtà geograficamente e culturalmente lontane ed estranee. molti dei termini che vi compaiono non trovano riscontro nella restante tradizione scoliastica e lessicografica; un buon numero sono a noi tramandati dal solo esichio, ma si notano coincidenze anche con la scoliografia, con il lessico di Fozio, la Suda, Zonara e con gli Etymologica (cfr. hunt 1922, pp. 155-162; nonché esposito 2009a, pp. 289-290). in definitiva P.oxy., all’incirca contemporaneo al lessico di diogeniano ma non identico a esso e molto simile per certi aspetti al Περὶ γλωϲϲῶν καὶ ὀνομάτων di Panfilo, sembra potersi quantomeno collocare nella tradizione di Panfilo (cfr. schironi 2009, pp. 43-52). il papiro ha ricevuto una nuova edizione, prima parziale (cfr. schironi 2007, con rec. di esposito 2010b), poi complessiva e corredata di traduzione e commento (cfr. schironi 2009, con rec. di esposito 2011 e Valente 2012). un contributo di ulteriore approfondimento al riguardo si trova in schironi 2010. 2 ho argomentato questa disposizione dei frammenti in esposito 2009b, pp. 274-275.
4
Andron
(iV sec. a.C., FGrhist 10; cfr. schwartz 1894a, meister 1996), a cui è attribuita un’opera chiamata Ϲυγγένειαι o Ἱϲτορίαι, sulle relazioni genealogiche tra le città greche3. Jacoby non ascrive il frammento a nessuno di costoro, ma lo inserisce tra i Λυδιακά (FGrhist 768 F 3). del resto, erodoto documenta (i 7 e 14) che la stirpe di Gige, re di Lidia, era detta dei Μερμνάδαι “and it might be that μερμνάδαι were actually the totemic animal for the Lydian royal clan”4, dunque μερμνάδαι potrebbe essere una parola lidia. hunt 1922, facendo riferimento a erodoto, riteneva più plausibile che si trattasse, qui, dello storico di alicarnasso, che non dell’autore di origine alessandrina dei Χρονικά, benché un lavoro intitolato Περὶ τοῦ πολέμου τοῦ πρὸϲ τοὺϲ βαρβάρουϲ non risultasse attestato all’interno della produzione del primo. a sostegno dell’identificazione con androne di alicarnasso appaiono indubbiamente rilevanti, come evidenzia schironi 2009, pp. 91-92, alcuni elementi, quali ad esempio il fatto che le Ϲυγγένειαι o Ἱϲτορίαι fossero utilizzate da apollodoro: non è escluso che la spiegazione di μερμνάδαι fosse tratta da lui. è anche probabile che le Ϲυγγένειαι riguardassero le città greche d’asia minore, l’area da cui androne proveniva. egli poteva essersi occupato dei loro legami e inoltre delle relazioni con barbari limitrofi. La schironi ricorda che erodoto testimonia come Creso avesse attaccato efeso e le città degli ioni e degli eoli. androne avrebbe dunque trattato la guerra di Creso contro le città greche d’asia minore e la narrazione dell’episodio da un punto di vista greco avrebbe ricevuto il titolo di Περὶ τοῦ πολέμου τοῦ πρὸϲ τοὺϲ βαρβάρουϲ. tale titolo, riportato nel nostro lessico, poteva indicare una sezione delle Ϲυγγένειαι riguardante la guerra che le città greche dell’asia minore combatterono contro Creso. La studiosa ipotizza che – nell’introdurre Creso – androne volesse spiegare il nome della sua famiglia e connetterlo a qualche parola reale usata dai Lidii: “for a king who was the first to submit the ‘free’ Greeks to a tribute […], a family name connected with the rapacious hawks, regardless of the linguistic truth of such an explanation, was certainly a ‘speaking name’ for a Greek” (p. 92). La nostra glossa trova un parallelo in hsch. μ 884 L. μέρμνηϲ· τρίορχοϲ5. di tipologia simile è anche hsch. β 495 L. βελλούνηϲ· τριόρχηϲ. Λάκωνεϲ. eLena esPosito
3
Cfr. schironi 2009, p. 10. schironi 2009, p. 91 con bibl. Cfr. pure schironi 2010, p. 275. 5 su τρίορχοϲ/τριόρχηϲ, cfr. hsch. τ 1411 h.-C. τρίορ[ο]χοϲ· εἶ⟨δοϲ⟩ ἱέρακοϲ (aristoph. Av. 1206), π 4215 h. πτέρων· ‘ἀλλ’ ἢ τρίορχοϲ, ἢ πτέρων, ἢ ϲτρουθίαϲ’ (Com. ad. fr. 416 K.-a.)· εἶδοϲ ὀρνέου, Phot. Lex. τ 460 th., Sud. τ 995 a., sch. Lyc. 148 s. 4
antimaChus
Com’è ben noto, la fortuna editoriale di antimaco iniziò con eraclide Pontico, incaricato da Platone di “raccogliere i poemi” di antimaco (τὰ ποιήματα ϲυλλέξαι: antim. testt. 1 w. = 4 m.; 2 w. = 2 m.; 3 w. = 5 m.), e la sua presenza è continuamente intuibile, quasi inevitabile termine di paragone e come in controluce, attraverso temi, forme e scelte estetiche dei poeti appartenenti alle generazioni successive alla sua. Per l’età ellenistica, anche se è opportuno dubitare della effettiva esistenza di uno scritto di apollonio rodio Su Antimaco (⇒ scheda (a), su BKt iii pp. 27-29) e se di un interesse di aristarco per il poeta restano soltanto indizi1, si documenta una citazione dalla Lyde in un frammento di lessico su ostrakon del iiia (⇒ 2) e abbiamo notizia certa dello scritto περὶ τῆϲ Ἀντιμάχου ποιήϲεωϲ di dionigi di Faselide (test. 22 w. = 37 m. = sch. nicand. Ther. [33 C.]), sicuramente anteriore a didimo Calcentero2. Le note di lettura conservate nel frammento di rotolo P.mil.Vogl. i 17 da ermopoli, plausibilmente databile entro il iip (⇒ 1), oltre a riportare almeno una traccia di esegesi antimachea ‘a più voci’ (⇒ 1. Introduzione; 7. Fonti, e il commento a col. ii 34-36), testimoniano una fase esegetica tributaria di didimo (a cui sicuramente risalgono in buona parte gli ingredienti della nota sui πελάνεια; vd. il commento a col. ii 6-8) nonché, a quanto sembra, di Zenone di mindo, vissuto sotto tiberio (a lui con ogni probabilità risale la nota su artemide Ὑπομελαθρία; vd. il commento a col. ii 34). Per il tramite di Porfirio, eusebio (Praep.Ev. x 3, 22 p. 467 a-c; cfr. fr. 42 w. = 39 m.) ebbe accesso alle osservazioni di aretade, che in uno scritto περὶ ϲυμπτώϲεωϲ aveva presentato casi in cui ὁ Ἀντίμαχοϲ τὰ Ὁμήρου κλέπτων παραδιορθοῖ3. il nome di aretade compare in sch. Did. Il. xxiV 110b1 (a) dopo quello di apollodoro e
1 schironi 1999. nei quattro casi enucleati dalla studiosa negli scolii omerici, si osserva che aristarco istituiva confronti tra omero e antimaco e, in almeno tre di questi casi, a svantaggio del poeta più recente. Quanto sistematica sia stata questa ϲύγκριϲιϲ aristarchea è impossibile dire. 2 in sch. Pind. Nem. 11 inscr. si trova ad esempio la notizia che ‘la scuola di dionigi’ classificava questa Nemea tra i παροίνια, e che didimo condivise il loro giudizio: se ne deduce l’anteriorità di dionigi rispetto a didimo. P.oxy. xxiii 2368, col. i 9-20 dimostra che dionigi (sulle orme di aristarco) rivolse lo stesso tipo di attenzione critica a Bacchilide, discutendo se la sua Cassandra dovesse considerarsi un ditirambo, o un peana. 3 L’approccio di aretade, dunque, è simile a quello aristarcheo per il confronto fra antimaco e omero: cfr. supra, n. 1.
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Antimachus
prima di quelli di neotele e dionisio trace: schwartz 1895 ne dedusse una datazione “aus guter Zeit”4. nonostante Cassio dione (antim. test. 31 w. = 30 m.) affermi che al tempo dell’imperatore adriano οὐ μηδὲ τὸ ὄνομα πολλοὶ πρότερον ἠπίϲταντο, di fatto antimaco ‘fece scuola’ nei circoli letterari romani della prima età imperiale (hardie 1993). La predilezione di adriano per antimaco è poi attestata, oltre che dallo stesso Cassio dione, anche nella Historia Augusta (testt. 31-32 w. = 30-31 m.). Per il tramite di Fozio (Bibl. 161) abbiamo notizia degli interessi antimachei di rufo, autore di una μουϲικὴ ἱϲτορία epitomata da sopatro di apamea5: in particolare, dai libri quinto e quarto di rufo (in quest’ordine) sopatro derivò una ἀφήγηϲιϲ sugli auleti e sulla musica per aulos, nonché una διήγηϲιϲ riguardante omero, esiodo, antimaco e gli altri poeti dello stesso genere, cui seguiva una ‘anagrafe’ delle sibille (ἔτι δὲ καὶ περὶ γυναικῶν μαντικῶν ἀναγράφει, τίνεϲ τε καὶ ὅθεν αἱ καλούμεναι Ϲίβυλλαι). è possibile che la μουϲικὴ ἱϲτορία di rufo fosse a sua volta un’epitome dell’omonima e altrimenti perduta opera di dionigi di alicarnasso, di cui è documentato l’interesse per antimaco in quanto rappresentante della ἁρμονία detta αὐϲτηρά: rufo e dionigi compaiono infatti insieme in sch. in Ael.Aristid. p. 203 Frommel6. L’interesse per le sibille fu condiviso dal loro contemporaneo Flegonte di tralles, il liberto di adriano: è facile credere che l’immagine poetica antimachea dell’epifania di un’erinni prorompente dalla casa di ade (come descritta in alcuni dei lemmi di P.mil.Vogl. i 17) esercitasse notevole fascino sull’autore dell’opuscolo Περὶ θαυμαϲίων, che riguardava storie di fantasmi e altri mirabilia7. a partire dal iiip, antimaco torna ad avere una considerevole fortuna editoriale ed esegetica in àmbito (neo)platonico. La ricordata testimonianza sulla raccolta delle opere di antimaco commissionata da Platone a eraclide Pontico giunse a Proclo (in Plat. Tim. 21c = antim. test. 1 w. = 4 m.) per il tramite di Cassio Longino (ὡϲ καὶ Λογγῖνοϲ ϲυνίϲτηϲιν· Ἡρακλείδηϲ γοῦν ὁ Ποντικόϲ φηϲιν κτλ)8,
4
su aretade: ippolito 2006. non è escluso che aretade sia una delle fonti che stanno a monte del commentario P.mil.Vogl. i 17 (⇒ 1). 5 Questo sopatro deve a mio avviso identificarsi con il personaggio a cui Suda dedica la voce ϲ 848: il lessico gli attribuisce ἐπιτομὰϲ πλείϲτων, aggiungendo che τινὲϲ δὲ καὶ τὴν ἐκλογὴν τῶν ἱϲτοριῶν τούτου εἶναί φαϲι. resta la (dubbia) possibilità di identificarlo con l’omonimo di Sud. ϲ 845, neoplatonico e teurgo (μαθητήϲ di Giamblico), celebre per esser stato messo a morte da Costantino, pur dopo aver goduto della sua fiducia. entrambi sono di apamea e sofisti, ma il sopatro di ϲ 848 è detto μᾶλλον Ἀλεξανδρεύϲ e di lui, diversamente dall’omonimo di ϲ 845, non si dice che è anche φιλόϲοφοϲ. 6 Cohn 1903, coll. 986-987. 7 stramaglia 2011. 8 La particella γοῦν (usata “in adducing an instance, or a fact giving rise to a presumption”: LsJ s.v.) sottolinea che l’argomentazione svolta da Longino (e ripresa da Proclo) si fonda sulla testimonianza di eraclide Pontico.
Antimachus
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autore di Λέξειϲ Ἀντιμάχου (test. 33 w. = 38 m.), e di Zotico, κριτικόϲ τε καὶ ποιητικόϲ della cerchia di Plotino a roma, autore di Ἀντιμάχου διορθωτικά, di cui ci dà notizia Porfirio (test. 34 w. = 39 m. = Porph. Vita Plotini 7). Piace immaginare, a ermopoli e dintorni nella prima metà del iiip, un ambiente neoplatonico ‘periferico’9 propizio alla lettura di antimaco. Come da tempo dimostrato per ossirinco (turner 1952 e 1975), testi eruditi elaborati o circolanti a roma potevano giungere ai lettori colti dell’entroterra egiziano. in una lettera ufficiale, databile tra il 253 e il 268p, gli archontes e la boule di ermopoli salutano il ritorno da roma di aurelius Plution, loro illustre componente e membro del museo (sPP xx 61, col. ii; cfr. turner 1984, pp. 104-110); e nella vicinissima antinoe una iscrizione onorifica (seG xxxii 1574 = iPdésert 14) ricorda Flavius maecius se[verus] dionysodorus, esente da tasse in quanto membro del museo (τῶν [ἐν τῶι] Μουϲείωι ϲιτουμέ[νων ἀτελῶν]), filosofo platonico e componente della boule (Πλατωνικὸν φιλόϲ[οφον καὶ] βουλευτήν). se poi si ammette l’identificazione dell’erinni che compare in uno dei lemmi di P.mil.Vogl. i 17 (col. ii 47) con il dèmone di edipo, assume un significato il fatto che il mito di edipo compaia tra gli affreschi delle ‘maisons funéraires’ di epoca romana scoperte durante le campagne archeologiche condotte da sami Gabra a tuna el-Gebel, lo stesso sito in cui fu trovato il papiro (Gabra 1936; Gabra et al. 1941; Gabra 1954). maria rosaria FaLiVene
9
senza dimenticare, naturalmente, che Plotino era originario di Licopoli (circa 80 km a sud di ermopoli lungo il corso del nilo).
1 P.mil.Vogl. i 17
saec. iip
Commentario ad Antimaco (tebaide?) Prov.: hermopolis (ashmunein, tuna el-Gebel). Cons.: Cairo, museo egizio (Je 65741). Edd.: VoGLiano 1935, pp. 13-30; wyss 1936, pp. 78-89; VoGLiano 1937, pp. 41-65; matthews 1996, pp. 265-287, 441-444. Tabb.: wyss 1936, p. 107; VoGLiano 1937, tav. i. Comm.: mP3 89; LdaB 221 wyss 1936; VoGLiano 1937; LLoyd-Jones – Parsons 1983 (sh 65); matthews 1996.
Porzione di rotolo papiraceo ricomposta da più frammenti1. dimensioni: cm 22 × 18,5. 1. Provenienza, circostanze del ritrovamento, restauro secondo le informazioni fornite da sami Gabra (8 luglio 1935, in occasione della semaine égyptologique di Bruxelles) questo papiro fu da lui stesso “raccolto”2 nel corso di una delle campagne di scavo condotte per conto della università Fouad i del Cairo (a partire dal febbraio 1931) a tuna el-Gebel, sito della vasta necropoli distante ca. 10 km da hermopolis3, alias Chemenou4, il
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ho svolto le necessarie verifiche su riproduzioni digitali del papiro (recto e verso) per le quali sono molto grata a: Khalifa abdel-Khader (direttore della collezione papirologica del museo egizio del Cairo), mahmoud el-halwagy (direttore del museo egizio del Cairo), Cornelia römer (deutsches archäologisches institut, abteilung Kairo). il “Frammento non inserito” di cui dà notizia Vogliano 1937 (p. 52) è stato apparentemente rimosso dalla cornice: la riproduzione digitale consente ancora di distinguerne l’impronta. 2 nella stessa occasione furono verisimilmente trovati altri tre papiri che attestano interesse per la poesia epica: due papiri omerici, un tempo parte della collezione privata di sami Gabra, entrambi pubblicati da schwartz (schwartz 1947 e 1954); un papiro esiodeo (P.mil.Vogl. iV 204, inv. 1092); oltre ad un papiro contenente Acta Alexandrinorum (18 musurillo), edito per la prima volta da Benoit e schwartz (Benoit-schwartz 1948; inv. iFao sine numero = LdaB 39). tutti sono stati datati dai rispettivi editori tra ii e iii secolo. 3 Lembke 2012, p. 207. 4 Ḫmnw, “la città dell’ogdoade” (quattro coppie di divinità rappresentanti il Caos primordiale vinto da thot, successivo ‘titolare’ del luogo: schumann antelme-rossini 2003, p. 411, s.v. thot; hart 2006, p. 113, s.v. ogdoad; www.trismegistos.org/place/816 (hermopolis/el ashmunein).
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cui nome egiziano perdura in quello moderno di el ashmunein5. Le stesse campagne di scavo condussero alla scoperta di una serie di “temples et maisons funéraires d’époque gréco-romaine”; tra questi, la ‘maison 16’ (esplorata nel febbraio 1934) conservava pareti interne affrescate con rappresentazioni di due grandi temi mitici greci: protagonisti, rispettivamente, elettra e edipo6. L’edificio era affrescato anche all’esterno: un progetto decorativo ambizioso di cui, in mancanza di testi epigrafici, è impossibile individuare il committente; “c’est par simple conjecture … que nous l’attribuons à quelque acteur ou professeur de belles-lettres” (Perdrizet 1941, pp. 97-98). in ogni caso, “la découverte des fresques de l’enlèvement de Proserpine, de la légende d’oedipe, d’électre, du Cheval de troie dans les maisons peintes montrent à quel degré la culture hellénistique avait pénétré jusque dans les villes de la moyenneégypte” (Gabra 1936, p. 36) invero sin dalla prima età tolemaica, come avevano rivelato i rilievi della tomba-tempio di Petosiris, venerato ad hermopolis come ‘sapiente tra i sapienti’ già nel iii-iia (Lembke 2012, p. 2019, con rinvio a Lefebvre 1924, pp. 21-25). Come ancora osserva Lembke (2012, p. 218), a tuna elGebel “Greek is the best-attested language among inscriptions”. Per quel che riguarda il luogo esatto di ritrovamento del nostro papiro: “sami Gabra ci ha spiegato che i vari pezzi del commentario vennero recuperati casualmente insieme ad altri, in località ad ovest della necropoli”7. ritengo almeno possibile che egli facesse riferimento alla zona della ‘maison 14’, situata a ovest della tomba di Petosiris ed esplorata alla fine della campagna del 1934 (Perdrizet 1941, p. 94 e Pl. xViii). sami Gabra consegnò il papiro ad octave Guéraud, conservatore al museo del Cairo, il quale “riuscì a ricomporre le sparse reliquie e fece anche una prima trascrizione”8, affidandone poi l’edizione a Vogliano. in vista dell’edizione definitiva apparsa nel 1937 (P.mil.Vogl. i 17), Vogliano meglio ricompose i frammenti dei quali aveva già dato notizia nell’estratto (Vogliano 1935) presentato in occasione del quarto Congresso internazionale dei papirologi9 ma soprattutto ne aggiunse altri: di questi, alcuni erano stati individuati in un secondo tempo da Guéraud tra i reperti a lui affidati da sami Gabra; un altro ancora fu invece riconosciuto da Vogliano “esaminando da vicino una partita di papiri da me acquistata, in varie riprese, la primavera di due anni or sono, a medinet el Faiyum” – ovvero, se il calcolo deve farsi a partire dall’anno di pubblicazione
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informazioni riferite in Vogliano 1937, p. 41 e n. 1. Perdrizet 1941, pp. 97-100 e Planches xLiV-xLVi; vd. anche pl. 15 in Gabra 1954. 7 Vogliano 1937, p. 42. 8 Vogliano 1937, p. 41; cfr. Vogliano 1935, p. 13. 9 Cfr. Vogliano 1936, pp. 485-491; a p. 486 Vogliano fa appunto riferimento ad un “estratto, oggi presentato al Convegno”. Vogliano non fu fisicamente presente al Congresso: la relazione fu letta per suo conto da Luigi Castiglioni. 6
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del primo volume dei P.mil.Vogl., proprio nella primavera del 193510. Questo ulteriore frammento “si adattava perfettamente alla parte superiore della nostra colonna, e ci faceva conoscere i resti di una precedente” oltre a dare “la norma per calcolare esattamente lo spazio dei lemmi sporgenti in ἔκθεϲιϲ”11. Vogliano accenna anche a un intervento di restauro tentato con l’aiuto di hugo ibscher, ma con scarso successo, all’altezza di col. ii 5512. 2. Recto e verso, datazione, analisi paleografica si conserva la porzione (ricomposta, come si è detto, da più frammenti) di un rotolo utilizzato in primo luogo sul lato perfibrale, per la stesura di una rendicontazione in artabe rimasta finora inedita, compilata con calamo sottile e andamento corsivo da una mano capace di tratti cancellereschi decisamente eleganti: ne restano quattro righi13 gravemente lacunosi (soprattutto il quarto) e incompleti a sinistra. il secondo e il terzo rigo distano tra loro ca. 3 cm, lo spazio bianco di ca. 3 cm al di sopra del primo potrebbe perciò a sua volta corrispondere ad una interlinea oppure al margine superiore; tra primo e secondo rigo intercorre invece uno spazio di ca. 6 cm (ma nella parte sinistra perduta del documento potevano trovarsi righi di scrittura intermedi, più brevi). in basso, la superficie scrittoria conservata fu lasciata in bianco, ma a destra del primo rigo, ben distanziato e dunque appartenente a una successiva colonna, si scorge un segno di vidimazione (due lunghi tratti obliqui paralleli). scrittura e contenuti sono paragonabili a quelli di altri documenti di provenienza ermopolita sicuramente datati; in particolare, lo stile cancelleresco e, soprattutto, il sistema di scrittura di cifre frazionarie, abbreviazioni e sigle14 appaiono ana-
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Cfr. Vogliano 1936, p. 490: “in una bottega di medinet el Faiyûm, malgrado le mosche e il caldo, ho pazientemente esaminato il contenuto di sei grosse safihe che un ventruto mercante, con molta dignità, mi aveva accatastato davanti”. 11 Vogliano 1937, p. 42. il fatto che un frammento così significativo avesse preso la via del mercato clandestino per infine giungere, in località alquanto distante da quella indicata per il ritrovamento, proprio nelle mani di chi si stava occupando dell’edizione del medesimo papiro, può suscitare sorpresa e curiosità. Vogliano fa inoltre riferimento ad una “serie di fotografie, in mio possesso, [che] illustra il progressivo incremento del papiro”. è almeno teoricamente possibile che queste foto siano comprese nel “cospicuo numero di lettere, documenti e fotografie” donati, insieme con l’intera biblioteca di achille Vogliano, all’università degli studi di milano (Gallazzi-Lehnus 2003, p. ix): ivi incluso il disegno del frammento in questione, di mano dello stesso Vogliano e riprodotto ibid., p. 71. a questo disegno fa riferimento la sigla Vd, qui utilizzata in apparato per indicare le decifrazioni di Vogliano quali in esso risultano. 12 Vogliano 1937, p. 61: “Con molta pazienza si potrà guadagnare altro in queste linee. ma occorre prima di tutto ristabilire la posizione esatta delle fibre del papiro. [ho fatto questo lavoro, aiutato dal dr. ibscher, ma senza risultato]”. 13 immediatamente al di sotto del terzo rigo (all’estremità sinistra del frammento) si distingue quel che resta di una possibile cifra (tratto orizzontale allungato su due lettere sottostanti). 14 specialmente notevole il segno Γ con tratto orizzontale attraversato da un tratto perpendicolare, riconoscibile anche in P.stras. i 23, 10-13 (‘campione’ proposto a p. 91 della ed. pr.
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loghi a quelli osservabili nel dossier ermopolitano costituito da P.stras. x 901902 (99-101p) e P.stras. x 903 (11 agosto 100p) che ruey-Li Chang15 ha recentemente ricostruito e posto a confronto con P.stras. i 23 (i/iip) e con tre frammenti fiorentini custoditi nella Biblioteca Laurenziana: P.Flor. iii 386 (83-84p), P.Laur. ii 21 (81-96p), sB xx 14078 (107p; riedizione di P.Flor. iii 387). tutti questi documenti hanno in comune la provenienza ermopolitana16, la datazione prossima alla fine del ip e l’epoca di acquisizione presso gli attuali luoghi di conservazione17. La modalità di riuso del rotolo (o porzione di rotolo), la sua destinazione originaria (contabilità agraria), la provenienza ermopolita, la disposizione del testo su colonne di insolita ampiezza e densità vergate da mani esperte in una scrittura non distintiva suggeriscono inoltre un accostamento al celebre papiro aristotelico della Costituzione degli Ateniesi (P.Lond.Lit. 108, inv. 131 verso), redatta sul rovescio di un rendiconto in denaro (ἀργυρικὸϲ λόγοϲ) delle entrate e delle uscite di una proprietà fondiaria nell’undicesimo anno dell’imperatore Vespasiano (sB Viii 9699, 78/79p): se ne è dedotta, per la redazione del testo aristotelico, una datazione entro il primo quarto del iip18. Le considerazioni ora svolte trovano riscontro nel dato paleografico. La scrittura di P.mil.Vogl. i 17 corrisponde alla tipologia grafica da tempo individuata come caratteristica di numerosi commentari19: vergata con un calamo
curata da Preisigke) e che Chang 2014, p. 69, propone di interpretare come abbreviazione di γ(ῆ κατοικική). 15 Chang 2014. ringrazio Gabriella messeri per avermi indicato questo raffronto. 16 Con ogni probabilità, dagli archivi del λογιϲτήριον dello strategos e del basilikos grammateus, “point central de la comptabilité à longue distance entre les greniers publics dispersés sur tout le territoire” del distretto ermopolita (Chang 2014, p. 96). 17 sulla acquisizione dei papiri ermopolitani ora a strasburgo cfr. Chang 2014, p. 7 e n. 2; per quella dei papiri fiorentini, si veda l’introduzione di medea norsa a P.Flor. iii 386-388 (P.Flor. ii, p. 119: “dagli scavi fatti in hermupolis nel 1903 ci sono pervenuti molti frammenti di papiro scritto a colonne sul recto ed in parte anche sul verso, da due o più mani diverse, con resoconti di amministrazioni pubbliche e, come pare, anche private”). relazione sugli scavi condotti ad ashmunein: Breccia 1903; vd. da ultimo messeri 2009. Confronti ulteriori potranno essere istituiti (non in questa sede) con altri documenti ermopolitani conservati presso altre collezioni (segnatamente a Vienna e Berlino). nella sua introduzione a Gabra et al. 1941, p. x s., Perdrizet ricorda che le rovine di hermopolis, “encore imposantes” ai tempi della spedizione napoleonica, “au milieu du xixe siècle … ont servi de carrières aux ingénieurs qui ont construit les sucreries de rosa et de Cheikh Fadl … dans ces décombres, à la fin du siècle dernier, les fouilleurs clandestins ont trouvé de nombreux papyrus grecs et coptes. Beaucoup, la plus part sans doute, ont été achetés par l’archiduc rainer … et il y a des papyrus d’hermoupolis dans la plupart des grandes collections”. 18 Provenienza di P.Lond.Lit. 108: manfredi 1992, Bastianini 1996, martin 2002, messeri 2003; tipologia grafica: del Corso 2008; riuso e lay-out: turner-Parsons 1987, p. 102 (pl. 60). 19 del Fabbro 1979, p. 84, descrive questo “tipo grafico”: esso, “pur mancando dell’eleganza tipica delle grafie letterarie, non sembra essere di tipo eccessivamente veloce, ma anzi la fattura delle lettere fa capire che lo scriba ha più volte sollevato la penna. inoltre le lettere, benché anche molto ravvicinate e talvolta di fattura corsiva, tendono a mantenere la loro individualità e sono di rado unite da tratti di congiungimento: i nessi si limitano a quelli più comuni”.
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alquanto spesso, è una maiuscola non distintiva ma esperta (“abbastanza regolare, ma priva di eleganza”: Vogliano 1937, p. 48), fondamentalmente preoccupata di mantenere un andamento posato e regolare. alcuni elementi corsivi derivano dalla scrittura usuale: α con occhiello arrotondato; tratto centrale di ε e superiore di ϲ protratti verso destra; υ in un solo movimento; tratto orizzontale di τ lungo e spezzato in due movimenti; ι incurvato (allungato dopo τ e, quando vi sia contatto tra le due lettere, anche dopo ϲ, ad evitare la possibile confusione, rispettivamente, con π e con ο); ξ in un solo movimento sinuoso che (come ζ ma anche β e ρ) viola la norma bilineare. specialmente notevole è la costanza nel tratteggio delle legature αι ed ει (la prima tracciata talora molto rapidamente: vd. specialmente r. 35) e negli ‘accostamenti’ di τ alle vocali seguenti (occhiello di α e ο di norma sospesi al tratto orizzontale di τ; tratto orizzontale di ε allineato al tratto orizzontale di τ; il primo tratto verticale di η e, soprattutto, ι ben sporgente al di sopra del tratto orizzontale di τ). il modulo delle lettere è ridotto e lo spazio interlineare è in rapporto 1/1 col rigo di scrittura; modulo e spazi interlineari tendono a ridursi ulteriormente in fine di rigo e di colonna (in particolare nell’ultima decina di righi conservati). scritture di questo tipo ricorrono, sia in ambito documentario sia in ambito librario, per circa un secolo a partire dal iip: utili termini di paragone possono rintracciarsi in P.mil.Vogl. i 18 (Diegeseis callimachee, da tebtynis)20, BGu V 1210 (Gnomon dell’Idios Logos), P.Lond.Lit. 96 (Mimi di eronda; di probabile provenienza ermopolita)21, e P.Berol. inv. 13284 = mP3 251 = LdaB 561 (di sicura provenienza ermopolita; Corinna?)22, a proposito del quale schubart annotò: “manus alteri p. Chr. n. saeculo exeunti attribuenda esse videtur; appropinquat enim ad genus quoddam scribendi, quod inde ab his temporibus per 100 fere annos mansit; sed initio huius spatii dare malim quam excessui”. specialmente utile mi sembra il confronto con P.Lond.Lit. 131 (isocrate), che pure condivide con P.mil.Vogl. i 17 la provenienza ermopolita, e la cui scrittura, pur decisamente più aggraziata ed elegante (anche perché vergata con calamo sottile), presenta notevoli analogie quanto alla morfologia di un buon numero di lettere23: si notino α occhiellato tracciato in due tempi, ε in tre tempi con tratto centrale protratto verso destra, η con tratto orizzontale alto da cui discende il secondo tratto verticale più breve del primo e arrotondato, θ in tre tempi ben rotondo e con tratto centrale sporgente verso destra, λ ben divaricato, μ con tratti centrali fusi in un unico tratto curvo e appoggiato sul rigo di base, π con tratto orizzontale
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datato in base al contesto di ritrovamento (vd. Falivene 2011). Cavallo 2008, p. 91. 22 riproduzione e datazione in schubart 1911, 29a. 23 attenta analisi paleografica di P.Lond.Lit. 131 in messeri 2003, pp. 39-41, che approva la datazione di questo papiro alla fine del ip o all’inizio del iip già proposta da Kenyon. 21
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sporgente a sinistra e secondo tratto verticale breve ed incurvato, ϲ in due tempi e occasionalmente sbilanciato in avanti, υ asimmetrico realizzato in un solo movimento con i tratti obliqui fusi in una coppa da cui discende il tratto verticale decentrato a destra. Qualche analogia si può infine riscontrare con la scrittura del P.oxy. xxx 2516, contenente frammenti attribuiti alla Tebaide di antimaco24, superstiti da un rotolo vergato con atteggiamento decisamente più formale25, dunque destinato alla circolazione libraria, ma accostabile al P.mil.Vogl. i 17 per il modulo ridotto (compensato in P.oxy. xxx 2516 da una buona spaziatura tra le lettere, e da spazi interlineari generosi e regolari), per qualche tratteggio ammorbidito (α occhiellato, μ arrotondato)26 e per la maniera analoga con cui è tracciato il segno d’elisione ben grande e ricurvo. in conclusione: il divario cronologico postulabile tra il commentario antimacheo ed il documento inedito sul recto (databile tra l’ultimo quarto del ip ed il primo decennio del iip, per confronto con P.stras. i 23 e con P.stras. x 901903) non sarà maggiore di quello intercorrente tra P.stras. i 23 ed i documenti scritti sul recto dello stesso (circa un secolo, secondo Preisigke): il commentario antimacheo potrà dunque datarsi entro il iip27 e comunque non molto oltre il primo decennio del secolo seguente. 3. Le edizioni precedenti sin dalla pre-edizione del 1935, achille Vogliano si avvalse dei contributi (indipendenti, ma talora convergenti) di edgar Lobel e Paul maas. ulteriori suggerimenti gli vennero da Vittorio de marco e Luigi Castiglioni. nello stesso 1935 volgeva ormai al termine l’edizione dei frammenti di antimaco curata da Bernhard wyss, il quale ebbe da Vogliano notizia del lavoro in corso per l’edizione del papiro (“ancor prima che venisse dato alle stampe per la prima volta”: Vogliano 1937, p. 42): nel 1936 apparve una riedizione appositamente ampliata del lavoro di wyss28, che registra tra l’altro le congetture di von der mühl e Latte. anche lo studioso svizzero willy morel offrì a Vogliano alcune
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Possono sussistere dubbi su questa attribuzione: vd. nel commento, nota 137. rappresentante secondo Cavallo 2008, p. 98, di una tendenza stilistica “sobria e priva di apici decorativi” che “tra ii e iii secolo” precorre la maiuscola biblica (vd. già Cavallo 1967, p. 31: “Certo databili alla fine del ii secolo mi sembrano … il P.oxy. 2498 e il P.oxy. 2516”). 26 si notino i tratteggi analogamente ammorbiditi di λ, χ e δ (che presenta il secondo tratto obliquo prolungato in alto a sinistra, oltre il vertice in cui incontra il primo tratto obliquo). 27 Come a suo tempo suggerì Vogliano, apparentemente su base paleografica ma senza addurre alcun argomento a sostegno della datazione (Vogliano 1937, p. 48: “La scrittura del nostro papiro può essere assegnata, mi pare, al ii secolo di Cristo”). 28 Cfr. wyss 1935, p. 76: “ne frustra quaerendo tempus perdant legentes, papyrum hermopolitanam et indices, quos in praefatione subinde laudavi, in amplioribus tantum huius libri exemplaribus, quae proxime foras dabunt weidmanni, reperiri admoneo. Ceterum haec antimachi editio cum illa maiore ad verbum congruit”. 25
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‘proposte’, una delle quali (il supplemento Οὖπιν di r. 2) fu indipendentemente avanzata anche da deichgräber29. alla nuova edizione di wyss seguì, nel 1937, l’edizione del papiro, da allora in poi noto come P.mil.Vogl. i 17. due anni dopo, una recensione di Bruno snell30 offrì ulteriori contributi alla ricostruzione del testo. nel 1983, il Supplementum Hellenisticum di P. Parsons e h. Lloyd-Jones ha accolto, tra i frammenti di antimaco recuperati dopo la pubblicazione dell’edizione di wyss, il frammento SH 65, che risulta dalla combinazione del lemma conservato in P.mil.Vogl. i 17, col. ii 47-48, con il fr. 4 di P.oxy. xxx 2516. Gli stessi editori del Supplementum Hellenisticum osservano tuttavia che “mire discrepant vv. 2 et 3 longitudines”, ribadendo la perplessità a suo tempo espressa da Lobel nella editio princeps (P.oxy. xxx 2516, p. 23): “i cannot account for the startling difference between lines 2 and 3 in the count of missing letters, since δομον and λαμοι in this manuscript start on about the same alignment”. inoltre, west 1966b ritiene “disturbing that the next eight verses [P.oxy. 2516, fr. 4, vv. 4-11] will not admit ... ]ρ̣α̣ ὑψικρανά̣εϲϲα”, che pure ben si adatterebbe al contesto (cfr. SH 65 adn.: “tartari ecphrasis, vv. 2-3, item fort. v. 6 de tantalo”). infine, Victor J. matthews, nella sua edizione commentata dei frammenti di antimaco apparsa nel 1996, per P.mil.Vogl. i 17 si è basato sulle edizioni di Vogliano e di wyss31. 4. identificazione dell’autore e dell’opera. “nicht auf Artemis”? P.mil.Vogl. i 17 conserva resti di un commentario a esametri il cui autore è identificabile con antimaco di Colofone per la coincidenza (evidenziata qui sotto in grassetto) tra il lemma riportato a col. ii 44-45 (vd. il commento ad l.) e un frammento di tradizione indiretta, segnatamente una citazione antimachea compresa in Epim. θ 25 dyck (θοῇ), rr. 29-31: καὶ παρὰ τῷ Ἀντιμάχῳ Ἄιδοϲ ἐκπρολιποῦϲα θοὸν δόμον (fr. 187 w. = 112, 2 m. = SH 65, 2) οὐ τὸν μέλανα, ἀλλὰ τὸν ἀκίνητον.
nel lemma seguente (col. ii 47-48) il commentatore riprende lo stesso passo antimacheo, ma nel contesto di una citazione ampliata, di cui restano le parti iniziali di tre esametri verisimilmente consecutivi; l’ipotesi più probabile, una-
29 Cfr. Vogliano 1937, p. 54: “Ο]ὖπιν ha congetturato il morel, in base alla mia lettura ]υθν (apud wyss). un nuovo esame del papiro mi ha permesso di identificare le tracce delle due lettere intermedie e così si verifica, in tutto e per tutto, il supplemento del morel. … Lo stesso supplemento Οὖπιν ha fatto indipendentemente K. deichgräber [1936]”. 30 snell 1939. 31 Cfr. harder 1998.
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nimemente accolta dagli editori, è che i primi due versi siano troncati alla dieresi bucolica, il terzo invece nel punto di incisione della cesura eftemimere, come segue (fr. 112 m.): δὴ τοτ᾿ Ἐρ⟦ε⟧ινὺϲ ἦλθεν ἀϲήτοροϲ [ Ἄιδοϲ ἐκπρολιποῦϲα θοὸν δόμον [ χάλκεοι Ἀράων θάλαμοι [
La coincidenza testuale non lascia dubbi sull’identità dell’autore del lemma di col. ii 44-45 di P.mil.Vogl. i 17 e, di conseguenza, degli altri lemmi recuperabili del commentario. Per quanto concerne l’opera poetica a cui questi frammenti appartenevano, una volta esclusa la Lyde (che era in distici elegiaci), la scelta si restringe fra la Tebaide e l’Artemide. a completamento del primo verso del lemma di col. ii 4748, appena riportato, Paul maas propose di integrare Οἰδιπόδαο, con la duplice conseguenza di identificare l’erinni qui menzionata con quella dei Labdacidi e di attribuire il lemma (e quelli ad esso prossimi) alla Tebaide32. Questa integrazione, oltre che essere consona alle esigenze metriche del verso, è incoraggiata dal confronto con la Tebaide staziana, in particolare con lo spettrale ingresso in scena di edipo in stat. Theb. i 46-96. wyss riassumeva la situazione delineata nei lemmi precedenti in questi termini: “argiva nescio quae mulier partum edidisse videtur; invocantur Ἄρτεμιϲ et Εἰλείθυια, lavacrum puerperae et sacrificia commemorantur”33: si tratta di dati narrativi che ragionevolmente sono stati riconosciuti compatibili con l’episodio della nascita di tersandro da argeia, la figlia di adrasto e sposa di Polinice (Lombardi 1993, pp. 160 e 182; mh per litteras). un’interpretazione del tutto diversa fu prospettata da maas e riferita da Vogliano, che la definì una “proposta … certo suggestiva” (Vogliano 1937, pp. 46-47, n. 2): tatsächlich führen alle Zitate von 1-43 auf artemis und ihren wirkungskreis, nicht auf die thebais. ebenso deutlich führt von 44 ab alles auf die thebais, nicht auf artemis. also: wir haben vor uns auszüge aus scholien zu einer Gesamtausgabe des antimachos, und zwar aus dem schluss der artemis und dem anfang der thebais. dass der schreiber die Grenze zwischen den beiden werken nicht gekennzeichnet hat, scheint mir kein schwerwiegender Gegengrund; offenbar kam es ihm weniger auf den dichtertext an als auf die Gelehrsamkeit der Kommentatoren.
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Ap. Vogliano 1937, p. 60. wyss 1936, p. 86.
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trifft dies zu, so geht die abhängigkeit des statius (theb. i, 46-96) von dieser stelle sehr weit34.
Come lo stesso maas ammette, l’evidenza materiale del testimone è in contrasto con questa ipotesi35: come si può spiegare che uno scriba tanto accurato nel distinguere i lemmi dagli interpretamenta del commentario abbia invece omesso di segnalare il passaggio dall’Artemide alla Tebaide? La contro-obiezione maasiana, secondo cui il compilatore era interessato e attento al commento da cui estraeva le sue note più che all’opera commentata, non convince. L’ipotesi alternativa, e più economica, è che l’intera serie di lemmi antimachei trasmessi da P.mil.Vogl. i 17 pertenga a un unico poema in esametri (o la Tebaide, oppure l’Artemide) nel quale contestualmente si narrava di una nascita, dei riti che l’accompagnavano e, immediatamente dopo, della improvvisa e minacciosa epifania di un’erinni. Ciò che resta dell’Artemide è poco più della notizia della sua esistenza. stefano di Bisanzio, s.v. Κοτύλαιον, riferisce che per antimaco “nel secondo libro dell’Artemide” questa altura dell’eubea era sacra alla dea (antim. fr. 75 w. = 98 m.). stefano dà un’informazione sulla consistenza (almeno due libri), ma non sul genere dell’opera; in particolare, non è detto che essa fosse composta in esametri36. matthews ha attribuito all’Artemide l’intera serie dei lemmi di P.mil.Vogl. i 17 (= frr. 99-127 m.) e, di conseguenza, anche i frr. 1-14 di P.oxy. xxx 2516 (= SH 62-75). L’argomento sul quale matthews fonda questa attribuzione fa leva sulle due diverse modalità di rinvio a paralleli antimachei adottate nel papiro per il commento del termine γωρυτόϲ (col. ii 36-41) e in quello sulle localizzazioni dell’acqua di stige (col. ii 50 ss.). L’espressione usata nel primo caso (col. ii 39 ἐν ἄλλοιϲ: sc. ϲτίχοιϲ vel sim.) è meno circostanziata di quella usata nel secondo (col. ii 52 “nel terzo della Tebaide”: ἐν τῷ γ τῆϲ Θηβαίδοϲ)37: a giudizio dello studioso, il rimando più generico deve riferirsi a
34 L’ipotesi di maas fu recepita da Barber 1938, p. 547 (= 1968, p. 272); trypanis 1981, p. 723 nn. 34-35. 35 Cfr. Lloyd-Jones – Parsons 1983, p. 28 (ad SH 65): l’ipotesi maasiana è ragionevole (“non absurde”), ma resta il fatto che i lemmi si succedono “sine intervallo … ut eiusdem carminis esse credas”. 36 i dubbi sull’esistenza stessa dell’Artemide, risalenti a dübner e meineke e respinti da wyss 1936, pp. xxV-xxVi, persistono in F. Jacoby, FGrHist iii B, Kommentar p. 246, Noten pp. 163-164 (vd. anche Carrara 1986), ma sono ulteriormente criticati da matthews 1996, pp. 39-45, 265 e, più recentemente, da Billerbeck ad steph.Byz. κ 190 Κοτύλαιον: “die überlieferung der hss rQPn ist einhellig, und harp. κ 78 bietet keine ausreichende Grundlage, um mit meineke auf dübners Vorschlag hin Ἀρχέμαχοϲ ἐν Εὐβοικῶν β zu lesen”. nella citata voce del Lessico di arpocrazione si trova il riferimento ad archemaco, autore di Εὐβοικά, nel cui terzo libro si dava ragione del nome dell’altura chiamata Κοτύλαιον. 37 matthews 1996, pp. 42-45.
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un passo del medesimo poema da cui sono tratti tutti gli altri lemmi di P.mil.Vogl. i 1738, mentre la menzione esplicita e precisa del terzo libro della Tebaide si spiega come riferimento a un’opera antimachea diversa da quella che è qui oggetto di commento39. altre spiegazioni sono tuttavia possibili. si può pensare a semplice incoerenza del commentario nel modo di rinvio. oppure, a col. ii 39-41 il commentatore ritenne la citazione sufficiente a richiamare alla mente del lettore il luogo antimacheo in questione (analogamente, le citazioni di col. ii 9, 38 e, forse, 46 non sono accompagnate dall’indicazione del libro e del poema omerico da cui sono tratte), mentre a col. ii 52, dove le parole del poeta non sono citate alla lettera, affidò la perspicuità del rimando alla menzione circostanziata del libro e del titolo del poema in cui si trovava la descrizione della cascata dell’acqua di stige in arcadia. in particolare, il rimando preciso al terzo libro della Tebaide può voler evitare l’equivoco con il medesimo libro di una diversa opera di antimaco, o forse di un poema di Paniassi, che è citato immediatamente prima. se P.mil.Vogl. i 17 documenta un commentario alla Tebaide, il rinvio al terzo libro del poema, a col. ii 52, può implicare che tutti gli altri lemmi attestati nel frammento siano tratti da un libro diverso dal terzo. Questa ipotesi è compatibile con un racconto poetico nel quale il poeta evocasse lo stige in luoghi diversi per ragioni diverse: per esempio, stige infera è al posto giusto nel contesto dell’epifania di un’erinni che prorompe dall’ade (col. ii 47-48), un evento decisamente atteso in una Tebaide; ed è anche consonante con l’episodio che si può ricostruire sulla base dei lemmi precedenti: l’erinni (quella di edipo, se si accetta la congettura di maas) incombe su una nascita che avviene ad argo (come ricordato sopra, forse identificabile con quella di tersandro, nipote di edipo e adrasto e futuro re di tebe)40. La conclusione perentoria di matthews (1996, p. 44) che “no detail in the commentary appears to have anything to do with thebes or the expedition of the seven” è tutt’altro che incontrovertibile e va respinta. 5. modalità di riuso del rotolo. un titolo κατὰ τὸν κρόταφον? a quanto appare dalla porzione conservata, il rotolo fu riutilizzato sul lato transfibrale per copiare il commentario ad antimaco, nonostante presentasse
38 e fors’anche a essi prossimo nella narrazione, data la numerazione consecutiva di questo frammento (fr. 109 m. = 184 w.) all’interno della serie dei frammenti risultanti dai lemmi di P.mil.Vogl. i 17 (ma vd. il commento a col. ii 39-41). 39 Per conseguenza, questa citazione riceve nell’edizione matthews una numerazione (fr. 16 m.) distante da quella degli altri frammenti enucleati da P.mil.Vogl. i 17. 40 altri possibili indizi favorevoli al quadro ‘tebano’: col. i 11 ] ἀϲπίδα, forse traccia di una schiera di armati; col. i 7 ]καιρόν, se nella parola si dovesse riconoscere il nome del cavallo di adrasto (vd. il commento ad ll.).
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sfibrature in più punti: “La superficie del verso era lesionata per tratti longitudinali, anche considerevoli, regolarmente saltati da chi scrisse” (Vogliano 1937, p. 43)41. una striscia di fibre verticali lunga (da r. 1 a r. 37 della seconda colonna del testo letterario) e stretta (larghezza corrispondente a due lettere) si è invece distaccata in un momento successivo alla scrittura del testo. osservato dal lato transfibrale, il papiro si presenta sul lato destro diritto e privo di lacune, segno che forse qui correva una kollesis. La kollesis precedente è individuabile immediatamente a destra dei resti della prima colonna. del commentario si conserva un’ampia parte di una colonna di scrittura (col. ii) i cui righi sono insolitamente lunghi e numerosi (almeno 59); della colonna precedente (col. i) si conservano le ultime lettere dei primi quindici righi; l’intercolunnio, per quanto osservabile, è di larghezza costante (ca. 1,5 cm). Le dimensioni specialmente ampie della seconda colonna e l’uso intensivo dello specchio di scrittura sono caratteristiche frequentemente osservabili nei commentari42. al momento del riuso, il rotolo fu ruotato secondo il suo asse maggiore: per conseguenza, le colonne del testo letterario (sul verso) risultano capovolte ma si susseguono nella stessa direzione rispetto a quelle del testo documentario (sul recto). sul verso, il margine superiore misura ca. 3,5 cm; quello inferiore non è conservato: ammettendo che lo spazio bianco al di sopra del primo rigo conservato del documento sul recto fosse parte dell’interlinea che lo separava da un rigo precedente (e non del margine: vd. sopra), anche sul verso dovremo tener conto della possibile perdita di altri righi al di sotto dell’ultimo conservato della seconda colonna, oltre naturalmente al margine inferiore, per il quale si può supporre un’altezza comparabile a quella del margine superiore (ca. 3 cm). nel recto, in basso a destra, capovolte rispetto al testo documentario (vergate dunque nella stessa direzione del commentario del lato opposto) si trovano le lettere α e μ (con la seconda sovrapposta alla prima) seguite da β allineato con α e sovrastato da un tratto orizzontale; questo gruppo di lettere è preceduto, a una distanza equivalente a 3/4 lettere, corrispondente alla perdita di una porzione dello strato perfibrale, un possibile π (tratto verticale e attacco del tratto orizzontale) seguito da minime tracce (π̣ε̣ρ̣[ὶ] ?); ulteriori tracce soprastanti potrebbero essere compatibili con le estremità superiori di un μ. Lasciando da parte queste ultime43, si potrebbe pensare a π̣ε̣ρ̣[ὶ] Ἀ(ντι)μ(άχου) β̅
41 Queste lesioni antecedenti la scrittura del testo sono segnalate nella trascrizione diplomatica offerta in Vogliano 1937, pp. 50 e 52. 42 turner-Parsons 1987, p. 7, con speciale riferimento a P.oxy. Viii 1086 e xxxi 2536 (pll. 58 e 61); cfr. anche P.oxy. Vi 856 (ibidem pl. 73; ⇒ aristophanes 1 CLGP). Vd. inoltre del Fabbro 1979 e Lundon 2002, p. 6 (riguardante in particolare P.oxy. Viii 1086). 43 Per tenerne invece conto, si potrebbe pensare e.g. a [ὑ]π̣όμ ̣ (νημα) [π(ερὶ) Θηβ(αίδοϲ)] Ἀ(ντι)μ(άχου) β̅: “Commentario [sulla Tebaide] di antimaco, (libro) secondo”.
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Antimachus 1
(o anche – e ne risulterebbe allora confermata l’identificazione di matthews, qui respinta – π̣ε̣ρ̣[ὶ] Ἀ(ρτέ)μ(ιδοϲ) β̅). si tratterebbe cioè di un titolo κατὰ τὸν κρόταφον, radicalmente abbreviato e apposto sul lato esterno del rotolo dopo la riscrittura (in questo caso, su quello che effettivamente è il recto) in corrispondenza del margine superiore e sulla destra rispetto ai righi della colonna di scrittura conservata per intero (sul verso riutilizzato). in tutti i casi osservati44, il titolo κατὰ τὸν κρόταφον è vergato dopo la prima voluta del rotolo, allo scopo di evitarne l’abrasione e di garantirne, allo stesso tempo, la facile accessibilità per il lettore. se l’interpretazione proposta coglie nel giusto, la colonna meglio conservata dovrebbe essere la seconda del commentario antimacheo al libro ii della Tebaide, preceduta da una sola altra colonna (di cui sopravvive l’angolo superiore destro) corrispondente alla prima voluta del rotolo45. 6. ortografia, segni diacritici, correzioni, struttura del commento L’ortografia del commentario è curata. oltre a una probabile svista (r. 16: φα{ι}ϲιν)46, si osservano due casi di scambio dei suoni vocalici: κεχώρηκ[ε per κεχώρικ[ε (col. ii 2); Ἐρεινύϲ per Ἐρινύϲ (col. ii 47, sicuramente richiesto dalla dictio antimachea) e, coerentemente, Ἐρει[νύαϲ a col. ii 48. Iota è di norma ascritto, ma apparentemente non alla terza persona singolare del congiuntivo a col. ii 27 (ἐπ[ι|τ]άξῃ) e sicuramente non a col. ii 34 (θύϲῃ; a col. ii 33, in sede di lemma, la stessa forma verbale θύϲῃ presenta lo ι ascritto). Chi scrisse praticò correttamente, e con una certa frequenza, la divisione di parola a fine rigo, anche dopo la prima sillaba di una parola e anche se la sillaba consisteva di un’unica vocale (col. ii 8, 22). non si osservano interventi da parte di un correttore diverso dallo scrivente, il quale in qualche caso corresse invece sé stesso sia in linea (col. ii 34, 44)47 sia supra lineam (col. ii 35, 47) e, a mio avviso, in scribendo piuttosto che in fase di rilettura. a col. ii 34-35, in particolare, lo scrivente è alle prese con un gioco di varianti (si potrebbe addirittura pensare che avesse dinanzi a sé due modelli diversi) che rischia di indurlo in contraddizione; im-
44 a partire da wilcken 1906, spec. pp. 117 s. (“Vermerk der Besitzers der rolle”); cfr. Luppe 1977, Bastianini 1995, pp. 25-26, Capasso 1996, menci 1997, Caroli 2007, pp. 23-28. ringrazio Guido Bastianini per questi riferimenti bibliografici e per il suo aiuto nella riflessione sulle modalità di riuso adottate da chi scrisse P.mil.Vogl. i 17. 45 dovremmo postulare, inoltre, che la prima colonna fosse preceduta da una porzione di rotolo lasciata in bianco (protokollon) o destinata a un titolo iniziale (la cui presenza, tuttavia, forse avrebbe reso superfluo il titolo κατὰ τὸν κρόταφον). 46 ornaghi 2015, p. 43, attira l’attenzione su una postilla di Vogliano (1937, Aggiunte e correzioni, p. 274: “Forse ho avuto troppo fretta ad eliminare la forma eolica φαῖϲιν. Può essere un indizio prezioso per stabilire l’origine e le vicende del testo”), che tuttavia corre a mio avviso il rischio di sovrainterpretazione: il commentatore sarebbe stato in questo punto influenzato dal dialetto di agia e dercilo? 47 altre correzioni (o piuttosto ‘accidenti’ durante la scrittura) si osservano a col. ii 47-49.
P.Mil.Vogl. I 17
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porta notare, tuttavia, il tentativo (solo parzialmente riuscito: vd. il commento ad l.) di evitare confusioni tra le varianti: si tratta infatti di un indizio di copia o compilazione non meccanica del testo. La dieresi è usata per rimarcare l’autonomia fonetica di ι in dittongo (col. ii 3 Ειλειθυϊαν, 10 λελο[χ]υϊα, 12 Αχαϊδεϲ, 20 [δμ]ωϊδω[ν], 27 Ϲμυρνηϊδι, 44 Αϊδοϲ, 52 [Θη]βαϊδοϲ); e per segnalare ι e υ in principio di parola, sia propriamente (col. ii 49 ϋψικρανα̣εϲϲα; 53 ϋδατων: in entrambi i casi la parola precedente termina con vocale) sia impropriamente (col. ii 6 ϊκετ̣ηρι̣[αϲ]; 23 ϊδιωϲ; 50 ϋδωρ: in questi casi la parola precedente termina con consonante)48. il segno di elisione, quando presente (segnatamente nei lemmi di col. ii 2, 33, 47, e a mio avviso anche a col. ii 12), è ben evidente. a col. ii 20, l’accento sul secondo ι di ιδία segnala che qui si deve intendere la forma al dativo avverbiale (ἰδίᾳ), non il neutro plurale dell’aggettivo. il lemma che ha inizio su un nuovo rigo, oppure si estende al rigo seguente quello del suo inizio, sporge in ekthesis49. uno spazio bianco di dimensioni variabili lo separa dall’inizio della sua spiegazione. il segno ÷ indica la fine di una nota di lettura50 (ma a col. ii 3 e 5 lo scrivente si limita a lasciare in bianco la fine di rigo) ed è interpretabile come combinazione di paragraphos e dicolon. nelle note marginali del prestigioso Callimaco commentato di P.oxy. xx 2258 (Vi/Viip) gli stessi due segni, scritti separati e consecutivamente51, assolvono la medesima funzione; nel commentario antimacheo, l’inclusione della paragraphos tra i due punti del dicolon serve a risparmiare spazio. Lo stesso segno combinato ricorre più volte a sinistra della seconda colonna nel commentario ad alceo del P.oxy. xxi 2306 ⇒ alcaeus 11 CLGP (dei righi di testo di questa colonna si conservano solo le lettere iniziali)52 e si ritrova ancora nel codice Par. Gr. 1168 del cosiddetto Corpus Parisinum, gnomologio in cui “the end of each excerpt is typically marked by two dots and a dash” (searby 2007, i, p. 13). Come si dirà dettagliatamente in sede di commento, l’estensione dei lemmi varia: un singolo termine; la porzione di un esametro; un esametro intero; un
48 uso proprio e improprio (“organic” vs “inorganic”) della dieresi: turner-Parsons 1987, p. 10. Vogliano rileva la mancanza di dieresi sopra la υ in col. i 4, e in col. ii 12 e 16; negli ultimi due casi si tratta della parola iniziale di una citazione (rispettivamente: lemma antimacheo e citazione da agia e dercilo) e si può sospettare che anche in col. i 4 υπο facesse parte della parola iniziale di una citazione. 49 a col. ii 10, 12-13, 33-34, 37, 45, 48. 50 a col. ii 1, 8, 9, 32, 33, 36, 43, 44, 47. 51 Cfr. turner-Parsons 1987, p. 9. 52 Con “valore non ... immediatamente perspicuo” (Porro 2004, p. 152; vd. già turner-Parsons 1987, p. 14 e n. 75). La definizione di obelos periestigmenos adottata da Vogliano per P.mil.Vogl. i 17 può essere foriera di equivoci: di qui forse la prudenza di turner-Parsons, l.c., a proposito di P.oxy. xxi 2306: “the stroke is horizontal and could be described as obelus periestigmenos, or the later lemniscus”.
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esametro seguito da una porzione dell’esametro seguente; porzioni di più esametri apparentemente consecutivi. in un caso, due lemmi ‘minori’ (col. ii 44 un singolo termine, 44-45 la porzione di un esametro) sono anticipati e spiegati per se stessi, quindi ricompresi all’interno di un lemma ‘complessivo’ (col. ii 47-48), a sua volta enucleato in base al criterio della unità di senso, a scapito della continuità metrica (vd. anche a col. ii 9-10 e 12-13). Le annotazioni sono di ampiezza diseguale e contemplano a volte più di una soluzione della stessa questione, o anche più di una questione. La spiegazione puntuale di una forma flessa nominale ne rispecchia di norma il caso53; analogamente, quella di una forma verbale ne riprende persona e numero (col. ii 26-27, 34). nel caso in cui siano presentate più soluzioni, sembra lecito pensare che sia offerta per prima quella favorita dal commentatore (col. ii 6, 45). all’interno di una nota di lettura, la particella δέ marca l’introduzione di un argomento aggiuntivo che precisa oppure mette in discussione l’interpretazione proposta; quando la nota comprende la discussione di più di una questione, δέ marca la transizione al commento di un altro termine contenuto nello stesso lemma. 7. Fonti L’estensore del commento non ebbe fini propriamente librari: si limitò piuttosto a redigere, a uso personale o di una ristretta cerchia di lettori, una serie di note attente a dati di fatto di natura linguistica o storico-religiosa. i lemmi sono ritagliati in base a criteri contenutistici, anche a scapito della metrica e della continuità sintattica. La loro successione è a mio avviso riconducibile a una narrazione non discontinua, dunque a un episodio preciso nella narrazione antimachea (una nascita sotto il segno minaccioso di un’erinni). il riferimento (col. ii 34-36) a una controversia su varianti testuali54 rivela una preesistente e ‘polifonica’ tradizione esegetica specificamente antimachea, che potrebbe riflettersi anche nei lemmi ‘ripetuti’ di col. ii 44-48. La modesta qualità libraria e il principio di economia che governa la scelta dei contenuti convinsero wyss (1935, p. 86) che “non genuinam commentarii formam ad nos pervenisse”55. La questione va posta, evidentemente, in termini meno meccanici, se si considera in generale la natura aperta e fluida dei testi paraletterari
53
Cfr. col. ii 6, 8, 33, 34, 37, 42, 44, 45, 49. anche a rr. 10-11 (q.v.) era forse discussa, o almeno presupposta una variante (ἵν/ἑΐν). 55 Cfr. Vogliano 1937, p. 45: “si tratta insomma di una compilazione, non condotta affatto rigorosamente, ricca di tagli mal destri e di omissioni deplorevoli”, opera di un “dilettante e non erudito di professione” e condotta con “scarso scrupolo”; similmente maas (ap. Vogliano 1937, pp. 46-47 n. 2), allorché suppose che lo scrivente avesse tralasciato (col. ii 44) qualsiasi segnalazione della transizione (in una ipotetica Gesamtausgabe) dal commento all’Artemide a quello alla Tebaide (vd. sopra, § 4). 54
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e della relativa tradizione. sembra difficile che l’estensore del commentario nella sua forma attuale abbia avuto accesso diretto alle fonti da lui citate o presupposte; ed è parimenti arduo definire la stratigrafia e l’intersezione di canali esegetici differenti che stanno a monte di questo prodotto. La difficoltà è accresciuta dalla doppia circostanza negativa di avere a che fare con esigui resti di un commento all’opera di un poeta la quale, a sua volta, è nota da scarsi frammenti e testimoni di tradizione indiretta. Ciò non toglie che la quantità e la qualità delle fonti, espressamente citate nel commentario o presumibili, siano ragguardevoli almeno in termini relativi. nei seguenti Prospetti sono repertoriati gli autori letterari (tutti poeti, e in più ecateo di mileto) e le fonti esegetiche e antiquarie apertamente menzionati. La Tavola posta al termine di questa Introduzione sintetizza i dati, integrandoli con l’indicazione di autori letterari e fonti esegetiche non dichiarati espressamente, ma il cui uso è ricostruibile o ipotizzabile (per la discussione dei singoli casi si veda il Commento). Prospetto 1. Autori letterari citati omero esiodo Callimaco mimnermo ecateo di mileto antimaco (confronto interno) Paniassi
ii 2-3, 9, 10-11, 25-26, 38, 45-46 ii 11, 32 ii 13-23 ii 27-28 ii 28-32 ii 39-41, 49 ss. ii 50-52
Prospetto 2. Fonti esegetiche e antiquarie citate anonimi (ἔνιοι) ii 7 aristofane di Bisanzio ii 11 agia e dercilo ἐν τοῖϲ Ἀργολικοῖϲ ii 16-23 anonimi (οἱ δέ) ii 35 anonimi (οἱ δέ) ii 46 teofrasto ἐν τοῖϲ περὶ ὑδάτων ii 53 ss. in genere i confronti istituiti con altri autori includono una citazione di testo, tranne un caso (col. ii 2-3), in cui il rinvio avrebbe potuto contemplare più di un luogo omerico, e un altro (col. ii 10-11), in cui si tratta di una possibile variante in Il. xxii 410 (l’attribuzione della variante ad aristofane di Bisanzio, qui asserita, è taciuta negli scolii di tradizione medievale al passo omerico). non desta sorpresa la discreta presenza di tracce di omeristica in un commentario ad antimaco, il capostipite dell’interpretazione colta della poesia di omero e suo emulatore (Pfeiffer 1968, pp. 94-95; matthews 1996, pp. 46-51).
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Antimachus 1
due note di commento segnalano la conformità all’uso omerico (col. ii 2 ὁμηρικῶϲ, 38 ὁμοίωϲ καὶ Ὅμηροϲ), un’altra invece una idiosincrasia antimachea (col. ii 23 ἰδίωϲ), da intendere implicitamente in rapporto a omero. nell’ambito del canone epico, antimaco è inoltre posto a confronto con esiodo (col. ii 11, 32) e con Paniassi (col. ii 50-52): in questi casi, per il commentatore non è possibile (o bastevole) il raffronto con omero. a col. ii 39-41 (cos’è il gorytos?) e 49 ss. (dove si trova l’acqua di stige?) il poeta è confrontato con sé stesso, nel solco del metodo antico basato sulla critica interna agli autori. al di fuori del canone epico, sono chiamati in causa i due termini di paragone per eccellenza di antimaco nel genere poetico elegiaco, Callimaco (col. ii 13-23: acqua per i lavacri delle partorienti ad argo) e mimnermo (col. ii 27-32: lunga nota che guarda al ‘colore’ ionico della lingua di antimaco, evidente in una forma verbale usata anche da mimnermo, ecateo di mileto, esiodo). altre due note si distinguono per la lunghezza e l’articolazione. in col. ii 13-23 si osserva e si documenta puntualmente che la geografia cultuale argiva proposta da antimaco è diversa da quella ricostruita da Callimaco (con citazione del fr. 65 Pfeiffer = 164 massimilla), fondata sulla testimonianza di agia e dercilo (con citazione di FGrHist 305 F 4 = fr. 4 Fowler): è ragionevole pensare che la relazione fra il passo di Callimaco e la sua fonte antiquaria sia stata rilevata originariamente nel contesto dell’esegesi callimachea e, dunque, che il commentario ermopolitano testimoni un episodio di interazione tra filoni esegetici tradizionali diversi56. in particolare, la notizia che Callimaco trasse dagli Argolika anche il motivo della tessitura del velo per era appare utile all’interpretazione del passo di Callimaco, piuttosto che a quella del passo antimacheo. nella nota di col. ii 50 ss., riguardante la localizzazione dell’acqua di stige, il poeta è posto a confronto con sé stesso (oltre che con Paniassi, col quale antimaco concorda): in questo caso il riferimento a teofrasto suona direttamente funzionale all’esegesi antimachea. Questa familiarità con un testo di matrice filosofica è tanto più interessante, in quanto in un paio di altri punti si intuisce lo sguardo di un lettore che ha consuetudine con la tradizione esegetica platonica (col. ii 6-8, nota sul significato di πελάνεια, e 42, 42-43, interpretazione del termine παραδείγματα). degni di nota sono anche alcuni possibili punti di contatto con il papiro di derveni (vd. a col. ii 42, 42-43, 43 e 46-47)57.
56 in riferimento alla possibile influenza dell’esegesi callimachea, si deve rilevare che in col. ii 1 potrebbe figurare il nome di teone. 57 antimaco incontrò l’interesse dei neoplatonici, ma un’influenza neoplatonica sul commentario ermopolitano è da escludere se la datazione del papiro al iip è corretta. su questo vd. l’Introduzione generale.
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8. Lexeis antimachee in esichio nel commento si dà conto dei paralleli fra P.mil.Vogl. i 17 e l’erudizione antica documentata sia da lessici, etymologica, corpora scoliastici di età biantina, sia da eustazio di tessalonica. un’attenzione particolare meritano le coincidenze con il lessico di esichio. esse dimostrano che in quest’ultimo confluirono parti di un filone esegetico schiettamente antimacheo (col. ii 10-11 ~ hsch. ι 647 ἵν; 33-34 ~ hsch. υ 698 ὑπομελάθρα; 43-44 ~ hsch. π 2742 ποιπνύτροιϲι; forse anche 4-5 ~ hsch. κ 3703 κορυμβάϲι). in almeno un caso esichio conserva informazioni assenti, a quanto ora sembra, nel commentario: il participio λελοχυῖα, che figura in lemma a col. ii 10 apparentemente senza essere oggetto di commento (ma le due o tre parole immediatamente seguenti sono erose da lacune in punti cruciali per la decifrazione: vd. il commento a col. ii 10-11) è altrimenti attestato solo come voce in esichio (λ 629), che ne offre la spiegazione λεχὼ γενομένη, perfettamente confacente alla situazione descritta da antimaco. Casi presumibilmente analoghi sono le spiegazioni degli epiteti della dèa alla quale il rito descritto in alcuni dei lemmi antimachei è rivolto: col. ii 2-3 ~ hsch. ω 267 Ὦπι ἄναϲϲα; 33 ~ hsch. υ 698 ὑπομελάθρα; 33-34 ~ hsch. λ 1308 λοχια (sic), e forse τ 1381 τριθαλλίαι; tutte queste voci potrebbero risalire a Zenone di mindo, che potrebbe essere anche la fonte del commentatore antimacheo. Vale inoltre la pena di ricordare hsch. κ 4322 κτίϲμα· ποίημα (utile alla interpretazione di una parola antimachea, se a col. ii 42 si ammette l’integrazione παρ]αδείγ[ματα: vd. a col. ii 42-43). anche hsch. π 1281 πέλαινα trova una possibile corrispondenza nel commentario (col. ii 6-8), se si accetta la correzione πελάνεια proposta da Vogliano e di recente non disapprovata da Cunningham. La spiegazione offerta in esichio usa termini diversi da quelli della sintetica ma complessa interpretazione proposta dal commentatore antimacheo: a monte sta una tradizione esegetica sul termine πελανόϲ di matrice atticista (risalente a didimo) e neoplatonica (testimone principale ne è il lessico di timeo sofista). in conclusione, il commentario ermopolitano ed esichio sembrano avere in comune una fonte esegetica ‘antimachea’, che allo stato attuale il secondo documenta con maggiore generosità.
178 W. = 103 M.
177 W. = 102 M
176 W. = 101 M.
L: Quale è il significato di questo aggettivo? L: Quale è il significato di questo pronome?
SR/T: Di quale dea si tratta? SR/A: Cos’è la korymbìs? L: Quale è il significato di questa forma verbale? SR/A: Cosa sono i peláneia?
Questione
Omero Esiodo
Omero
(Platone)
Aristofane di Bisanzio (Apollonio Discolo?)
Anonimi "" (Dionisio Trace; Didimo; Arpocrazione?) (Apollonio Sofista)
(Duride, Eraclide Pontico) (Apollonio Sofista)
(Asio) Omero
(Apollodoro, Didimo)
Fonte
Omero
Autore a confronto
647 662 !
1281 '(!" !
cfr. 267 " !! 3703 #μ"
Esichio
Legenda delle sigle: F = questione filologica; L = questione linguistico-lessicale ; SR = questione storico-religiosa (articolato in: SR/A = storico-religiosa di carattere antiquario; SR/M = di carattere mitologico; SR/T = di carattere teologico). Fuori parentesi sono indicati gli autori e le fonti esplicitamente dichiarati in P.Mil.Vogl. I 17. Tra parentesi sono indicati gli autori e le fonti cui si può risalire congetturalmente e con diverso grado di sicurezza (vd. il commento ad ll.). Non è lecito stabilire alcun rapporto di discendenza diretta tra queste fonti e il commentario ermopolitano. I nomi di Apollonio Discolo e Arpocrazione sono accompagnati dal punto interrogativo a esprimere il dubbio sul loro effetivo uso da parte del commentatore, perché cronologicamente contigui all’epoca di redazione di P.Mil.Vogl. I 17 (se la datazione del papiro al IIp è corretta). Esichio presenta indizi di una ‘relazione privilegiata’ con P.Mil.Vogl. I 17: al suo lessico si presta qui perciò particolare attenzione.
II 8-9 []('&!" II 10-11
174 W. = 99 M.
II 1-3 [-+('&$#"! ]" II 4-5 ]#μ& II 5 II 6-8 '( '"!
175 W. = 100 M.
Antim. fr.
Lemma
Tavola degli autori letterari e delle fonti esegetiche citati o ipoteticamente presupposti
26 Antimachus 1
II 32-33 +μ& /'0& (cfr. 3-4) II 33-34 .μ/0
II 34-36 0",&' vs .,
& 0/&' vs & '0/
II 23-26 0 . II 26-32 #/'&
II 10 0/0.,+*' II 12-23 %+$'#/&" /
SR/T: Di quale dea si tratta? F: Quali sono le lezioni corrette?
182 W. = 107 M.
182 W. = 107 M.
L: Quale è il significato di questa espressione?
181 W. = 106 M.
180 W. = 105 M.
179 W. = 104 M.
L: Quale è il significato di questa forma verbale? SR/A: Dove e come si celebra il rito argivo di purificazione dopo il parto? L: Quale è il significato di questo sostantivo? L: Quale è il significato di questa forma verbale? Esiodo Mimnermo Ecateo di Mileto
Omero
Callimaco
+ 698 .μ0' ' 0 1308 0.,&'? 1381 & '00'&?
(Zenone di Mindo) &.&
(Filemone)
Agia e Dercilo (Teone)
& 629 0/0.,+*'
P.Mil.Vogl. I 17 27
II 41 [%μ]* = [μ* II 42-43 * ]*"[μ*-* II 43-44 $,- $,%, II 44 % -$ $% II 44-47 +$ II 47-48 Maledizioni ( *)/Erinni II 49-50 , *%%* II 50 ss. -" % !
II 36-38 -,+*,)(%%$,%* II 39-41 "! -%
188 W. = 113 M.
187 W. = SH 65, 1-3 = 112, 1-3 M. 187 W. = SH 65, 1-3 = 112, 1-3 M. 187 W. = SH 65, 1-3 = 112, 1-3 M.
186 W. = 111 M.
185 W. = 110 M.
183 W. = 108 M.
L: Quale è il significato di questo aggettivo? SR/M: Dove si trova l’acqua di Stige?
L: Quale è il significato di questo sostantivo? SR/A: Cosa sono i paradéigmata? SR/A: Cosa sono i póipnytra? L: Quale è il significato di questo aggettivo? L: Quale è il significato di questo aggettivo? SR/M: Cosa sono le Stanze delle Maledizioni?
L: Quale è il significato di questa forma verbale? L: Quale è il significato di questo sostantivo?
Paniassi Antimaco
(Omero)
(Omero)
Omero
(Empedocle)
Teofrasto
(Filosseno)
$ (Filosseno, Apollonio Sofista, Neoteles)
Omero Antimaco (Omero)
(Apollonio Sofista)
Omero
cfr. 4322 -%μ* $μ* 2742 $, - $,%,
28 Antimachus 1
P.Mil.Vogl. I 17
29
Col. i ]ϊα̣δι̣ [ ]α̣τ̣ιθετ̣α̣ι ]ρ̣οφερων ]ϲιν υποτ̣ ] γὰρ ϲυνε-
5
]ι̣λω δέ ]καιρόν ]εται ] ἀλλα ]τερον
10
] ἀϲπίδα ]ευδα̣ϲ ]ρα̣ϲ̣ε ] ρ̣[] ] ϲ̣ []
15 ̶
̶
̶
Vd = papyri manu descriptio ab ach. Vogliano confecta, ap. Gallazzi-Lehnus 2003, p. 71 1 dieresi alta sopra un probabile ι (visibile solo l’estremità superiore), preceduto da minima traccia bassa sul rigo; di seguito, punta di un tratto apparentemente discendente da destra a sinistra (con soprastante traccia d’inchiostro) 2 in fine di rigo ι decisamente allungato: probabile fine di parola 4 dopo υπο, tratto orizzontale mediano (riportato come tale da Vogliano), ÷ mh a fine rigo, due tracce in alto nell’intercolunnio (la prima compatibile con una lettera triangolare, quindi un tratto orizzontale) 8 “spazio vacuo di tre lettere” (Vogliano) in fine di rigo: fine di una nota di commento (cfr. col. ii 3 e 5)? 9 ]ε̣ αλλα Vogliano ]ϲαλλα Vd wyss 12 estremità inferiore di un tratto obliquo discendente (possibile α) seguita da una lettera rotonda (θ preferibile ad ο, ma non si vede traccia del tratto orizzontale), dopo δ occhiello appuntito: probabile α (Vd sembra propendere per ω) 13 ]υ̣ραϲβ̣ε Vogliano : ]ραϲθε Vd : ]ραϲε wyss (“ante ε, μ vel potius λ”) —— supplementa, quorum auctor non laudatur, sunt achillis Vogliano (1937) 1 ἐν τῇ] Ἰάδι [(sc. διαλέκτῳ, γλώττᾳ) possis 2 παρ]α̣τ̣ίθεται mh 3 ]οφερων Vogliano, wyss: πρ]οφέρων e.g. mh 4 e.g. τίθη]ϲιν, vel φη]ϲίν mh 6 -φ]ίλῳ δὲ e.g. mh 11 πα]ρ᾿ ἀϲπίδα dubitanter Vogliano 12 ]ο εὔδι̣ο̣ϲ Vogliano, wyss
30
Antimachus 1
Col. ii ] θεων ε[]τουϲ ἐ[πε]ι̣ϲάγο̣υϲιν. ϲεμνὴν Δικ̣[τ]αία[ν κου]ρ̣οτρόφ[ον Εἰλείθυιαν Ο]ὖπιν̣ τ᾿ ὀβριμ[ό]τοξον ὁμηρικῶϲ κεχώρικ[ε. Ὅμηροϲ γ̣[ὰρ τὴν μὲ]ν Εἰλείθυια̣ν̣ Ἥραϲ τὴν [δ]ὲ Ἄρτεμιν Λητοῦϲ. ]χρυϲείη[ιϲι κορ]υμβίϲιν ἐϲφ̣ήκωντο[ κ]ορυμβὶϲ τὸ ἐπὶ πᾶϲι ἐπιτιθέμενον. ἐ[ϲφ]ήκωντο δὲ ἐδέδεντο. [κα]ὶ ἐϲφιγγμένοι ἦϲαν.
5
πελάνειά τε̣ δέχθαι ἄναϲϲαν τὰϲ ἱκετ̣ηρί̣[αϲ]· ἀπὸ τοῦ πελάζειν. καὶ ἱ̣εροπ[ελάτηϲ. ἔνι̣οι δὲ τὰ πέμμα[τ]α̣. καὶ τ̣ὰϲ ἀ[π]αρχάϲ. ἐϲτὶν δὲ πελανὸϲ πᾶν τὸ̣ [π]επηγόϲ, οἷον λιβ[α]νωτόϲ̣. ν[η]λείταιϲ ἀναμαρτήτοιϲ̣. καὶ [Ὅμη[ρ]οϲ̣· αἵ τε ϲ’ ἀτιμάζουϲ̣[ι] καὶ αἱ νηλ[εί]τιέϲ̣ ε̣ἰ̣[ϲ]ι̣ν. Μ[αῖα]ν τρὶϲ κ[λή]ϊ[ϲ]ϲ[ε 10 μάτην τέκνων καὶ ἳν λελο[χ]υῖα ιν []ημεα τὴν δὲ ἳν ἐν τ̣ῶ̣ι̣ Χ [κατ᾿ Ἀριϲτ̣ο̣φάνη. Ἡϲίοδοϲ δ[ὲ ἐν τ]ῶι ε ἔϲ̣[τι]ν εὑρεῖν· ἳν δ᾿ αὐτ̣ῶι θανάτοι[ο]. ὕδ[ατι] τῶι τό ῥά οἱ Φυϲαδειόθ[εν. τ]ῶ̣ι γὰρ κα[ὶ π]ρότερα̣ί̣ π[οτ]’ Ἀχαιΐδε̣ϲ̣ ω̣ϲ̣[]φι
1 ]ιϲαγουϲιν: primo ι incurvato in alto verso sinistra, cfr. la legatura ει in questo papiro 2 κεχωρηκ[ pap. 3 ειλειθυϊα̣ν̣ pap. 4 ] estremità inferiore di un tratto obliquo discendente da sinistra a destra (possibile α) 6 ϊκετ̣ηρι̣[ pap. 9 spazio bianco fra ]ν e τριϲ ]ϊ[ piuttosto che ]ὶ[ ]ϲ[ piuttosto che ]ο[ 10 λελο[]υϊα pap., seguono spazio bianco e, sembra, π seguito da ι oppure τη̣ con tratto orizzontale di η eraso, poi resto di tratto verticale, lacuna (non più di due lettere) e quindi estremità di un tratto orizzontale lievemente arcuato e sollevato sul rigo (μ, λ?); dopo ημε e prima di α, traccia conciliabile con ρ (Vogliano; cfr. il ρ a r. 43 χαρείη), γ (snell) oppure τ, seguito da α, cui forse seguono tracce 11 punto sotto la ε di εϲ[]ν 12 π[]’ probabile il segno di elisione, cfr. a rr. 2, 33, 47 αχαιϊδε̣ϲ̣: alla fine, tratto orizzontale alto interpretabile come parte superiore allungata di ϲ (cfr. r. 16 Ἀργολικοῖϲ, 47 Ἐρεινύϲ) piuttosto che γ̣ (Vogliano) ]φι: —— supplementa, quorum auctor non laudatur, editionis sunt, quae “P.milano Vogliano 17” inscribitur 1 ] Θέων dub. Vogliano θεῶν etiam possis 2 κου]ροτρόφ[ον Vogliano ⌊Εἰλείθυιαν⌋ wyss e glossa in l. 3 [Ο]ὖπιν morel ap. wyss, deichgräber 4 init. ἠδὲ] dub. Vogliano χαῖται] snell πλοχμοί] e.g. matthews ἀλλ]ὰ̣ malim 5 post ἐπιτιθέμενον et ἐδέδεντο interpunxi 7 post πέμματα interpunxi πελανόϲ scripsi, ut solent codd. et cl. hdn. Gr. 1, 178 et eustath. 1601, 4-5 9 κα̣λ̣έ̣[ουϲα] Latte ap. snell κ̣[α]λ̣έ̣ϲ̣[αϲα mh κ[λή]ϊ[ϲ]ϲ[ε malim 9-10 μ[]ν ⟨−⟩ τριϲκ̣[α]̣ὶδ[ε]|κάτην τέκνων Vogliano, prob. wyss matthews μ[αῖα]ν|τρ̣ὶϲ κα̣λ̣έ̣[ουϲα] snell κα̣λ̣έ̣[ουϲα] Latte ap. snell κ̣[α]λ̣έ̣ϲ̣[αϲα mh κ[λή]ϊ[ϲ]ϲ[ε malim 10 λελο[χ]υῖα maas, cl. hesychio s.v. πιν[] ἡμε[ρ]α[] Vogliano πιν[?] ἡμε[ρ]α[] wyss matthews μέγα “fast sicher” et ἡμέρα “unmöglich” snell τὸ ἳν ξε(ϲτῶν) ιη μέγα (sc. ἐϲτίν) mh an τ̣ὴν [ἳν] μ̣ὴ μετ̣ὰ [ε] possis τὴν δὲ ἳν: “debuit ἳ” radt 11 ἔ[ϲτι]ν εὑρεῖν post Ἀριϲτοφάνη et ante Ἡϲίοδο̣ϲ transposuit Vogliano, quem secuti sunt wyss matthews merkelbach-west ad hes. fr. 245 erbse ad sch. Il. xxii 410a, b 12 ὕδ[ατι] suppl. maas ap. Vogliano Φυϲαδειόθ[εν maas et Lobel ap. Vogliano Φυϲαδειόθ[εν κα]ὶ γὰρ κα[ὶ Vogliano 1935 Φυϲαδειόθ[εν ἦ⟨ε⟩ν τῶ]ι γὰρ κα[ὶ wyss (ἤιει maas) Φυϲαδειόθ[εν ἦεν κα]ὶ γὰρ κα[ὶ Vogliano 1937 in textu (sed ω]ιγαρ descripsit) π]ρότεραι π[αρ]’ ’Αχαιΐδοϲ Vogliano 1935 ]ροτερε̣ιπ[ unde e.g. π]ρότερ’ εἶπ[ον] Vogliano 1937 et nolenter wyss ’Αχαιΐδοϲ ὡϲ [ ]φι[ Vogliano 1935 Ἀχαιΐδα̣ γωϲ []φι Vogliano 1937 Ἀχαιΐδα̣ ωϲ [?] φι[ wyss matthews (π̣ωϲ dub. matthews) Π[αν]αχαιΐδα Von der mühll ap. wyss 12-13 π]ρότερ’, εἴ π[οτ’] Ἀχαιΐδα [— ἐ]φίζ(ο)[ι (“scil. μύϲοϲ vel simile quid”) Latte ap. wyss Ἀχαιΐδ’ ἄγ⟨ο⟩ϲ ⟨˘⟩ [ἔ]φι|ζε (fort. ⟨προσ⟩έφι|ζε) snell, ὣ̣ϲ̣
P.Mil.Vogl. I 17
31
ζε []ώοιο λύθρων δὲ ἀλυ̣[] οὐκ ἀπ̣[ὸ] τῆϲ Φυϲα[δ]είαϲ φηϲίν ὁ Καλλ[ίμα]χ̣ο̣ϲ τὰϲ λεχοὺϲ λ[ούεϲθ]αι, ἀλλ᾿ ἀ̣π̣ὸ τῆϲ Αὐτ̣[ο]μάτηϲ· Αὐτομά15
τηϲ] εὐναὲϲ ἐπώνυ[μον ἀ]λλ᾿ ἀπὸ ϲ[εῖ]ο̣ λούοντ[αι] λ̣ο̣χίην οἰκέτιν ]ηϲ. καὶ Ἀγίαϲ [καὶ Δερκύλο]ϲ ἐν τ[οῖ]ϲ Ἀργολικοῖϲ φα{ι}ϲιν οὕτωϲ· ὑδρ̣[εύονται ἐ]κ μὲν τοῦ Ἱ[ππείου παρ]θένο[ι αἳ] καλοῦνται Ἡρεϲίδεϲ καὶ φ[έροντι] λοετρὰ τ[ᾶι Ἥραι τᾶι] Ἀκρεί[αι], ἀπὸ δὲ τοῦ Αὐτοματείου φέ̣ροιϲαι ὑ]δρεύοντα[ι] π[αρθένοι αἳ] καλοῦ̣[ν]ται Λοχεύ̣τρ̣ιαι ἐπεί κέ τιϲ̣ τ[ῶν
20
] λοχεύητ[αι τῶν λεχ]ωΐδω[ν]. ἰδία⟨ι⟩ δ᾽ ἀπὸ τᾶϲ λοχείαϲ φέρον̣[τι ] λοετρά. κ[αὶ τἆλλα ἐκ] τῶν Ἀ[γί]ου καὶ Δερκύλου παρέκειτο [ἀφ᾿ ὧ̣[ν ἐφα]ί̣νετο ὁ Κα[λλίμαχοϲ] ἅ̣παντ[α ε]ἰληφώϲ, καὶ δὴ καὶ τὸ πάτοϲ ἐ̣κεῖθε[ν] ἦ̣ν· ἁγνὸν̣ ⌊ὑφαινέ⌋μεναι τῆ⌊ιϲ⌋ι μέμηλε πάτοϲ. ἰδίωϲ δὲ τὸ λ[ύθ̣[ρ]ον ἔθ̣ηκε ἐπ̣[ὶ] τ[οῦ λύματ]οϲ μόν[ον], ἔϲτιν δ’ ὅτε ϲημαίνει τὸν μ[ε-
la seconda lettera incerta, apparentemente rotonda, può essere ε (Vogliano) oppure ϲ; prima c’è spazio per due lettere (Vogliano: “poteva anche non esserci scritto nulla”) 13 lieve slittamento a sinistra della ekthesis di ζε[ rispetto a υδ[ del rigo precedente; spazio bianco prima della lacuna; dopo la lacuna, minime tracce compatibili con χ (λ Vogliano) 17 ι[ sul bordo della lacuna, tratto verticale uncinato in alto e incurvato, compatibile con ι ma anche con il primo tratto di η 18 l’ultima traccia nel rigo è compatibile con ε più che con ρ (maas) 19 π[]: per il tratteggio di π cfr. rr. 9 (παν), 35 (πολυθαλη), 41 (πω[μα); la lettura τω̣[ (Vogliano 1935, ornaghi) non è favorita dai tratteggi osservabili a rr. 12, 30, 53, dove il tratto orizzontale di τ appare più allungato a sinistra 20 ] residuo della sommità di un tratto verticale φέρον̣[τι: dell’ultima lettera leggibile resta la parte inferiore di un tratto spesso e lievemente inclinato, seguito da un elemento puntiforme a metà altezza: ν preferibile a υ̣ϲ̣[ 21 ] resto di tratto verticale (ι?) 23 ] η̣ν: dopo la lacuna, verticale alla cui sinistra un minimo residuo d’inchiostro è compatibile con il tratto orizzontale di η oppure τ (appoggiato a ι: cfr. r. 7 εϲτιν) ϊδιωϲ pap. 24 επ̣[] piccolo elemento verticale sotto il tratto centrale di ε, per la verità non facilmente riconducibile a π —— [νο]ϲ̣φί|ζετο malim (sed longius spatio?) 13 ]λ̣ωοιο Vogliano wyss (“formam ‘doricam’ praefracte non abiudicaverim”: sc. λώοιο) λεκχ]ώ⟨ι⟩οιο λύθρων δέ ⟨τ’⟩ ἄλυ[ϲκ(ε) snell λεκ]χ̣ώοιο, λύθρων δὲ ἄλυ[ξεν possis λύθρων δέ ⟨τ’⟩ ἀλυ̣[ϲκέμεναι (κηλῖδα θέλοιεν) Latte ap. wyss ἀλύ[ϲκετο] ⟨λώβην⟩ dub. hm 15 [τηϲ ] εὐναὲϲ Vogliano, unde Callimachi edd. omnes 16 []ηϲ: “subiectum ad λούονται deesse videtur i.e. παρθένοι argivae quae dicuntur Λοχεύτριαι” Pfeiffer Ἀργολίδεϲ maas ap. Vogliano [Ἁπιδαν]ῆϲ maas ap. wyss ῥο]ῆϲ vel προχο]ῆϲ Latte ap. wyss, an [ἐκ προχο]ῆϲ? 17 Ἱ[ππείου Lobel ap. Pfeiffer (ad Call. fr. 65), prob. Pfeiffer matthews Fowler Ἡ[ραίου Vogliano, prob. wyss Jacoby 17-18 φέ|[ροντι τὰ] λοετρὰ Vogliano, prob. edd. 1819 φέ[ροιϲαι Cassio φέ[ρουϲαι Vogliano, prob. wyss matthews φέ[ρονϲαι west ap. Fowler φρ[έατοϲ maas ap. Vogliano 1935 19 ὑ]δρεύοντα[ι] π[αρθένοι Vogliano 1937, prob. wyss matthews Jacoby Fowler ὑ]δρεύοντα[ι]: τῶ̣[ι Vogliano 1935 et dub. ornaghi κά emendavit Latte ap. wyss (sed contra Cassio) 20 [γυναικῶν] wyss (sed contra Vogliano) [δούλων] maas (sed contra Vogliano) [ἐν οἰκία]ι̣? δμ]ωΐδω[ν] maas Lobel λεχ]ωΐδω[ν] malim ιδία pap. unde ἰδία⟨ι⟩ wyss ἴδια (sc. λοετρά) Vogliano, prob. Pfeiffer massimilla 21 τᾶι Ἥρα]ι̣ e.g. κ[αὶ τοῦτο] Vogliano, prob. Pfeiffer Fowler κ[αὶ ταῦτα] wyss, prob. Jacoby matthews 21-22 [ἀφ’]| ὧ[ν ἐφαί]νετο maas 2223 ἐ̣|κεῖθ[εν] ἦν maas et dub. ornaghi ἐ̣|κεῖθ⟨εν⟩ ἐϲ̣[τ]ίν Vogliano, prob. wyss Jacoby Pfeiffer matthews Fowler ὑφαινέμεναι τῆ⌊ιϲ⌋ι e melet. de nat. hom. (Cod. a; Cramer ao iii p. 93, 23) et P.oxy. 2211 (fr. 1 recto, v. 3) 24 ἔ[θ̣]ηκε wyss ε̣[ἴρ]ηκε Vogliano
32
Antimachus 1 τὰ] κόνεωϲ [ἱδ]ρ̣ῶτ[α· Ὅμηρόϲ] γέ τοι δ[ια]ϲτέλλων αἵματι καὶ λύθρω[ι
25
πε]παλα̣[γμ]έ̣νοϲ. [] ϲ̣[]ιν δμω[ῆ]ιϲ᾿ ἐνδέξεται ἀ̣ντὶ τοῦ ἐπ[ιτ]άξη⟨ι⟩. Μίμνερμ[οϲ] δ᾽ [ἐν] τῆι Ϲμυρν̣η̣ΐδι· ὥϲ οἱ πὰρ βαϲιλῆοϲ ἐπε[ί ῥ᾿
ἐ[ν]εδέξατο μ̣ῦθ[ον] ἤ[ϊξα]ν̣ κοίληι[ϲ᾿ ἀ]ϲπίϲι φραξάμενοι. κ̣αὶ Ἑκατ̣αῖο]ϲ̣ ὁ Μιλήϲ̣[ιό]ϲ φηϲιν [οὕτ]ωϲ· εἶνα[ι δ]ὲ τὸν ὄφιν δοκ̣έω οὐ̣ μέγα[ν
ο[ὕ]τωϲ ο[ὔτ]ε̣ πελ̣[ώρι]ον, ἀλ[λ]ὰ δειν[ό]τερον τῶν ἄλλων ὀφίων
30
καὶ τού[τ]ου [ἕ]ν̣ε[κεν] τὸν Ε[ὐ]ρυϲθέα [ἐ]νδέξαϲθαι ὡϲ ἀμήχανον ἐ̣[όντα. καὶ Ἡ[ϲ]ί̣οδοϲ· ἐ̣[ν δ᾿ ἄ]ρα κούραιϲ δ[έξ]ατο. γυμνῆι ἀνὰ ϲφετέρ[ηι κεφ]αλῆι τῆι ἀκρηδέ̣μ[νω]ι. ὄφρ᾿ Ὑπομ[ε]λαθρίᾳ θύϲηι λόχια Τριθα̣λεία]ι τῆι λεγομένηι Προ̣θυρα̣ί̣αι ἵνα [θύ]ϲη⟨ι⟩ τ⟦η⟧ὰ λόχια καὶ τριθάλεια, τ̣[ὰ πολυθαλῆ λοχεύ[μ]ατα, τὰ̣ [ἐ]πὶ τῆι [λο]χείαι πολυθαλῆ δῶρα. οἱ δ[ὲ
35
γράφουϲι τῆι Λοχίαι καὶ [τ]ῆι Τρι[θ]α̣λείαι, οὐκ ὀρθῶϲ. ἔνδοθι γ̣[ω]ρ̣υτοῖο τιθ̣α̣[ι]β̣ώϲ̣ϲ̣οιϲα κά[λυ]ψε τιθεῖϲα καὶ ἀποθηϲαυρίζ[ουϲα. ὁμοίωϲ̣ [καὶ] Ὅ̣[μη]ροϲ̣· ἔνθα [δ᾽ ἔπ]ειτα τιθαιβώϲϲουϲι μέλιϲϲαι. τὸν̣ δ̣[ὲ γωρυτὸν [ἀντὶ τῆϲ] φ[α]ρέτρ[αϲ τ]ίθηϲι. δῆλοϲ δ᾿ ἐν ἄλλοιϲ· μετὰ τ[οῖ-
ϲι δὲ Λη[τόοϲ υἱὸϲ] ϲ̣[κ]αιῆι [τό]ξ̣[ο]ν ἔχων ἑτέρη̣φι δὲ γωρυτοῖο [δέϲ-
40
μ̣᾿ [ἀπο]αινύμ[ενοϲ. δέϲμ]α δ̣[ὲ φ]αρ[έ]τραϲ ἤτοι τὸν δεϲμὸν ἢ̣ τὸ πῶ[μα. ̣ ̣ παρ]αδείγ̣[ματα ̣ ̣ ]ι̣ ψυχῆ[ϲ ̣ ̣ ̣]ε̣[]τι ἔθεντο ἀντὶ κτίϲματα τὰ̣ [ψυ-
25 dopo κονεωϲ esili tracce forse compatibili con ϊδ 26 dopo ]ε̣νοϲ e spazio bianco, un punto a metà altezza potrebbe essere quel che resta del segno ; seguono traccia compatibile con ϲ oppure κ e piccola traccia arrotondata appoggiata al rigo di base 27 dopo []αξη spazio bianco sufficiente per ι ascritto, di cui sembra restare minima traccia 29 μειληϲ̣[]ϲ pap. 30 prima di πε traccia compatibile con l’estremità destra del tratto centrale di ε; dopo πε due tracce compatibili con il primo tratto di λ 31 ἐ̣[όν: traccia minima a fine rigo, per Vogliano ε di ἐόντα 33 dopo λοχ, estremità inferiore di ι e resti dell’occhiello di α seguito da un punto (estremità della coda di α, piuttosto che parte di ι ascritto) 34 τριθαλ̣ι̣α̣τ[: supra lineam, ει in legatura seguito da tracce compatibili con α 36 λοχιαι̣: tra λοχ e ιαι̣ spazio lasciato bianco per irregolarità della superficie 41 μ̣᾿ [: all’estremità sinistra del rigo, in principio di ekthesis, traccia in alto: resto di μ? 42 ]ε̣: la lettura ϲ̣ι di Vogliano (seguito da wyss e matthews) non è paleograficamente convincente, piuttosto parte inferiore e tratto centrale di ε (con tratto superiore eraso) appoggiato —— 26 [] ϲ̣[]ιν Vogliano, prob. wyss matthews ϲ[ϲ]ιν snell ϲ[υνάγε]ιν e.g. west ad hes. fr. 242 m.-w. 27 ἐπε[ί ῥ’ vel ἐπε[ί τ’ maas ap. wyss (post Vogliano, west ad mimn. fr. 13a) 30 ο[ὔτε] πελ[ώρ]ιον matthews ο[ὐδὲ] πε[λώρ]ιον Vogliano ο[ὔτε ]πε[]ιον wyss 31 ἐνδέξαϲθαι (sc. τὸν ὄφιν) breviter dictum pro ἐνδ. τὸν πρὸϲ τὸν ὄφιν ἀγῶνα censuit Latte 33 Ὑπομ[ε]λαθρίᾳ supplevi, cl. hsch. υ 698 ὑπὸ μ[ὲν] Λαθρίαι Vogliano, prob. wyss matthews, sed μ[ὲν] longius spatio videtur Λοχί̣αι dub. Vogliano, qui deinde ι adscriptum expunxit λόχια wyss 34 τριθάλεια e τριθάλια a sϲriba correctum videtur τριθά[λ]ι[α ἢ τὰ κτλ edd. 36 Λοχ[ε]ίαι̣ Vogliano, prob. wyss matthews 42 []αδειγ[ Vogliano et wyss ὡ̣[ϲ παρ]αδείγ[ματα dub. matthews ]ι̣ ψυχη̣[ Vogliano, prob. wyss τῆ]ι ψυχῆ̣[ι dub. matthews ψυχῆ[ϲ malim ]ϲ̣ι[]τι Vogliano, prob. matthews ϲ̣ι[]τι unde [ἀν]τὶ dub. (longius spatio?) wyss [ἀν]τί’ Vogliano ap. wyss ἐ̣ν̣[αν]τί(α) vel ] [ἀν]τιέθεντο possis ἀντὶ (= ἀντὶ τοῦ) κτίϲματα τῆ[ϲ maas ap. Vogliano, prob. matthews ἀντικτίϲματα τα̣[ ̣ ̣ Vogliano, prob. wyss ἀντὶ κτίϲματα τὰ [malim
P.Mil.Vogl. I 17
33
χ̣ῆϲ. ὄ̣[φρα κε π]οιπνύτρ[ο]ιϲι θ[ε]ὴ̣ ϲφετέροιϲι χαρείη τοῖϲ εἰϲ αὐτὴν̣ ⟦ϲτ̣ου⟧ϲ[πουδάϲ]μ̣αϲ̣ιν. ἀϲήτοροϲ τοῦ ἀνιωμένου τὸ ἦτ̣ο̣ρ. ᾌ̈δ[οϲ 45 ἐκπρο]λιπο[ῦϲα θ]οὸν δόμον θ[ο]ὸν τὸν μέλανα. ἡ ἀπεκδο̣χὴ ἐκ̣ [τοῦ
θ]ο̣ὴ̣[ν] δ̣[ιὰ] ν̣ύκτα μέλαινα̣ν. οἱ δὲ δέχονται διότι μὴ τὸν ἥλιο[ν ]ω̣[λα]μβάνει. δὴ τότ̣᾿ Ἐρινὺϲ ἦλθεν ἀϲήτοροϲ ᾌ̈δοϲ ἐκπ⌊ρολιποῦϲα θοὸν δόμ⌋ον χ̣άλκεοι Ἀράων θάλαμοι Ἀρὰϲ εἶπε τὰϲ Ἐρι[νύαϲ. ]ρ̣α ὑψικρανά̣εϲϲα [λ]αμπρὰ καὶ τραχεῖα. ὑφ᾿ ἓν δὲ ὑψικραν̣[ά50
εϲϲα. τὸ δὲ τ]ῆϲ̣ Ϲτυ̣γὸϲ ὕδωρ ὑποτίθεται ἐν Ἅιδου καθάπερ κα̣ὶ Πανύαϲϲ[ιϲ λέγων περὶ το]ῦ Ϲιϲ[ύ]φου ἐν Ἅιδου [ὄ]ντοϲ φηϲίν ὣϲ ἄρα μιν εἰπόντα καταϲ[τέ-
γαϲε Ϲτυγὸϲ] ὕδωρ. ἐν δὲ τῶι γ τ̣ῆ̣ϲ̣ [Θ]ηβαΐδοϲ κατὰ τὴν Ἀρκαδικὴν Νώνακ[ριν εἶναι εἶπε]ν. καὶ Θεόφραϲτοϲ δ᾿ ἐ̣ν τοῖϲ περὶ ὑδάτων γράφει οὕτ̣[ω]ϲ· ὅϲα δὲ δὴ [ ±8 55
± 11
τ]ο̣ιούτ[ω]ν πλείουϲ α̣ἱ φύ̣ϲ̣[ε]ιϲ. τὰ μὲν γὰρ αὐτῶ̣[ν οὐ] π̣ό̣τ̣ι̣μα̣ τ̣υγ̣χ̣ά[νει τὰ δὲ π]α̣ντὶ ζώ[ιω]ι. π[ό]τιμα μὲν̣[]ν[]ον [][]
± 16
Ϲ]τυγ̣ὸϲ̣ [ὕδα]τα ἔχει τοῦτ[ο
± 16
] διατι []α̣ δηλοι [
± 20
± 18
]ρ̣α̣πε̣π̣ο̣ννη[
± 20
± 20
][
± 20
± 12
][
± 12
a un tratto verticale (ι oppure ν) τα̣[ più probabile di τη̣̣[ 44 ⟦ϲτ̣ου⟧: ⟦τουϲ⟧ Vogliano αϊδ[ pap. 45 απεγδ- pap. εκ̣ [: dopo ε, parte inferiore di tratto verticale 46 θ]ο̣η̣[] δ̣[ια] ν̣υκτα: a inizio rigo visibili la metà destra di ο e il primo tratto di η, poi la cuspide di δ e, oltre la lacuna, una traccia compatibile col primo tratto di ν. di seguito una macchia evitata dalla scrittura 47 ]ω̣[ traccia arrotondata ερεινυϲ pap. 47-48 un tratto verticale, probabilmente di natura accidentale, taglia i due righi passando dopo la prima ε di ερεινυϲ a r. 47 e dopo θ di θαλαμοι a r. 48 48-49 due tratti verticali, verosimilmente accidentali come a rr. 47-48, separano θαλα μοι a r. 48 e λαμπρα και a r. 49 ερει[]|αϲ pap. 49 ϋψικρ- pap. (bis); dopo εν tracce sicuramente compatibili con δ ed ε 50 ϋδωρ pap. 53 ϋδατων pap. 59 tracce di due lettere (non segnalate da Vogliano) appartenenti a un ulteriore rigo di scrittura —— 43 π]οιπνύτρ[ο]ιϲι maas π]οιπνυτρ[ο]ῖϲι wyss 44 ϲ[πουδάϲ]μ̣αϲ̣ι̣ν supplevi προϲκυνή]μ̣αϲιν e.g. Vogliano θεραπεύ]μ̣αϲιν vel διακονή]μ̣αϲιν morel ap. wyss 45 απεγδο̣χη legi, ἀπεκδο̣χὴ scripsi απ̣εγ̣δε̣χη Vogliano, prob. wyss ἀπεγδοχῆ⟨ι⟩ HM ἀπ’ ἐκδοχῆ⟨ϲ⟩ Carrara, prob. matthews ἐκ̣ [τοῦ scripsi ε[ Vogliano ἐ[ν τῶι Κ] morel ap. wyss ε̣[̓ κ τοῦ Κ] Carrara, prob. matthews θ[εῖον dub. mh cl. P.oxy. 2517 ll. 7-8 et hsch. θ 617 47 λα]μβάνει supplevi ϲυ]μβα[ί]νει Vogliano, prob. wyss Carrara matthews ἀϲήτοροϲ ⟨Οἰδιπόδαο⟩ suppl. maas ap. Vogliano ἀϲήτοροϲ ⟨Οἰνεΐδαο⟩ (vel ἀϲήτοροϲ ⟨’Ιφίκλοιο⟩ vel simm.) meliadò 48-49 Ἐρει[νύ|αϲ ÷ ]ρα ὑψικραν[ά]εϲϲα dub. Vogliano Λευκοπέτ]ρα ὑψικρανάεϲϲα tempt. meliadò Ἐρει[νύ|αϲ ÷ Ϲτὺξ λαμπ]ρὰ possis 49-50 ὑψικραν̣[ά|εϲϲα ÷ ]ηϲ̣ Ϲτυ̣γὸϲ ὕδωρ Vogliano, prob. wyss matthews ÷ Ϲτὺξ (lemma)· τὸ δὲ τ]ῆϲ Ϲτυγὸϲ ὕδωρ maas 51 λέγων suppl. Castiglioni ap. Vogliano 53 εἶναι εἶπε]ν supplevi εἶναί φηϲι]ν? Fam ὑποτίθηϲι]ν Vogliano, prob. wyss matthews δὴ[ Castiglioni ap. Vogliano δῆ[λα Vogliano ap. wyss δη[κτικά von der mühll ap. wyss δη[ wyss matthews 54 τῶν ὑδάτων τ]ο̣ιούτ[ω]ν coni. Vogliano ap. wyss 55 ὄντα τὰ δὲ π]α̣ντὶ et π[ό]τιμα μέν̣ [ἐϲτι]ν possis μὲν [πλὴ]ν morel ap. Vogliano 56 Ϲ]τυγ̣ὸ[ϲ̣] τα Vogliano Ϲ]τυγ̣ὸ[ϲ̣] γα wyss [ὕδα]τα Körte τὰ δὲ Ϲ]τυγ̣ὸϲ̣ [ὕδα]τα possis ἔχει τουτ[ Vogliano, prob. wyss τοῦτ[ο Körte 57 fort. διὰ τί fort. δηλοῖ[ , cf. supra γράφει, sassi 58 ]ρα[]ποτοννη[ Vogliano Πε̣λο π̣ ο̣ ν̣ νη[ϲ- possis
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Antimachus 1 Fragmentum nondum locatum ̶ ̶ ̶ ]λ̣[ ]ϲ[ ]ρ[ ]ι̣[ ̶
̶
̶
Fragmentum nondum locatum: non vidi. Vd. Introduzione, n. 1.
Col. ii (1) … adducono … la veneranda dèa della Ditte, Ilizia nutrice, e Oupis terribile arciera: (il poeta) ha distinto alla maniera omerica: omero infatti (dice) ilizia (figlia) di era e artemide (figlia) di Latona. ... erano stretti con aurei fermagli ... κ]ορυμβίϲ: quello che si mette in cima a tutti. (5) ἐϲφήκωντο: erano legati. anche ‘erano stretti’. e che la Signora accettasse le offerte: le offerte dei supplici. da πελάζειν, accostarsi. (di qui) anche ἱεροπελάτηϲ, colui che si accosta (all’altare) per un sacrificio. alcuni (intendono) i pasticcini. anche le primizie. ma πελανόϲ è tutto ciò che è coagulato, ad esempio l’incenso. alle innocenti: alle impeccabili. anche omero: quelle che ti disonorano e quelle che sono innocenti (Od. xVi 317; xix 498). la (dèa) Levatrice (?) dei figli per tre volte invocò (10) vanamente e lui (?), dopo aver partorito: ... (omero usa?) il (pronome) ἵν nel ventiduesimo libro (dell’Iliade: Il. xxii 410), secondo aristofane. esiodo (lo usa?): nel quinto libro è possibile trovare e (ministro) di morte a sé stesso (hes. fr. 245 merkelbach-west). con l’acqua che per lei da Fisadia. Con essa infatti prima un tempo anche le Achee … delle secrezioni … Callimaco dice che le puerpere si lavavano (con acqua presa) non dalla (sorgente) Fisadia, ma dalla (sorgente) automate: (15) (acqua) di bella corrente che ha nome da Automate, ma da te (si?) lavano ... la partoriente nella casa … (Call. fr. 65 Pfeiffer = 164 massimilla). anche agia [e dercilo] negli Argolika dicono così: Attingono acqua dal (pozzo) di Hippe le vergini che si chiamano ‘Heresides’ e recano i lavacri [ad Hera] Akreia; invece dal (pozzo) di Automate attingono acqua recando (i lavacri) [le vergini che] si chiamano Locheutriai, allorché (20) partorisca una delle puerpere ... . E in privato dal luogo del parto portano i lavacri ... . [anche le altre informazioni] erano reperibili in agia e dercilo (FGrHist 305 F 4 = fr. 4 Fowler), dai quali Callimaco chiaramente le ha riprese tutte, e in particolare il manto derivò da lì: ad esse spetta il compito di tessere il sacro manto (Call. fr. 66 Pfeiffer = 165 massimilla). ha usato il termine λύθρον in un senso speciale, in riferimento solo [allo
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sporco], ma si dà il caso in cui significa (25) ‘sudore misto a polvere’: [omero,] appunto, quando distingue sporco di sangue e sudore misto a polvere (Il. Vi 268; Od. xxii 402; Od. xxiii 48). ... comandi alle ancelle: nel senso di ‘ordini’. mimnermo nella Smirneide: così quelli che erano presso il re quando egli espresse il suo comando balzarono, con i concavi scudi schermando (mimn. fr. 13a west = 21 Gentili-Prato). ed ecateo di mileto dice così: ritengo che il serpente non fosse così grande (30) né mostruoso, ma più tremendo degli altri serpenti e che per questo Euristeo comandasse (di ucciderlo) in quanto era indomabile (FGrHist 1 F 27). ed esiodo: comandò dunque alle fanciulle (hes. fr. 242 merkelbach-west). sul proprio capo scoperto: senza velo. per sacrificare i frutti del parto alla Protettrice, alla Triplicatrice dei germogli: affinché alla (dèa) detta ‘Guardiana della porta’ offrisse in sacrificio i frutti del parto (λόχια) e le cose fiorenti, (35) i fiorenti frutti del parto, i fiorenti doni (offerti) in occasione del parto. altri invece scrivono ‘alla Levatrice (Λοχίᾳ) e alla triplicatrice’, non correttamente. infilando dentro il fodero coprì: riponendo e mettendo al sicuro. similmente anche omero: e poi là infilano (il miele) le api (Od. xiii 106). scrive ‘fodero’ nel senso di ‘faretra’. Fa chiaramente lo stesso in altri (versi): e tra loro (40) il [figlio] di Letò, che con la sinistra teneva l’arco e con l’altra mano tirava il [laccio] della faretra (antim. fr. 109 m. = 184 w.). ‘[Laccio] della faretra’ (può significare) o il legaccio oppure il coperchio. ... segni ... anima ... disponevano: nel senso di ‘edicole’ dell’anima. [affinché] la dea si rallegrasse dei loro preparativi: degli [zelanti servigi] per lei. dell’angustiato: di chi è implacabile in cuor suo. (45) lasciando la casa profonda di Ade: θοόϲ (significa) ‘nero’, lo si ricava da: per la nera notte profonda (Il. x 394 e 468; xxiV 366 e 653). altri intendono: perché non raggiunge ... il sole. Allora sopraggiunse l’Erinni dell’impacabile, d’Ade lasciando la casa profonda, le bronzee stanze delle Maledizioni: chiamò maledizioni le erinni. … precipite: lucente e aspra. ὑψικρανάεϲϲα è una sola parola. (50) suppone che l’acqua di stige sia nell’ade come anche Paniassi (fr. 15 Bernabé = 26 davies), [quando narra di] sisifo che si trova nell’ade, dice: così dunque mentre parlava lo sommerse l’acqua [di Stige]. nel terzo (libro) della Tebaide [disse] che (l’acqua di stige) [è] dalle parti di nonakris in arcadia (fr. 16 m. = 173 w.). e teofrasto nei (volumi) Sulle acque scrive così (theophr. fr. 213a Fortenbaugh-shütrumpf): Per quel che poi riguarda le … di tali (acque) vi sono più nature. Accade infatti che alcune di esse [non] siano potabili..., (55) [mentre altre] (lo sono) per ogni essere vivente. (Sono) potabili ... [le acque] di Stige hanno questo ...
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Col. i 1 se conforme all’apparente usus dello scrivente (vd. Introduzione), la dieresi sopra lo ι indica inizio di parola o contrassegna la seconda vocale di un dittongo. si può pensare a una notazione dialettologica del tipo ἐν τῇ Ἰάδι (sc. διαλέκτῳ oppure γλώττᾳ: cfr. Luc. Hist. Conscr. 16 ἐν τῇ Ἰάδι γράφειν; ap.soph. Adv. 189, 5 κατὰ τὴν Ἰάδα διάλεκτον; strab. Viii 1, 2). tracce di sensibilità linguistica e dialettologica sembrano trasparire anche altrove nel commentario, vd. il commento a col. ii 26-32). 2 παρ]ατίθεται (mh) istituirebbe un confronto, plausibilmente testuale, a giudicare dai numerosi paralleli citati nella col. ii. 3 π]ρ̣οφέρων (mh) potrebbe riferirsi all’autore di un’interpretazione. 4 in fine di rigo, mh suggerisce di interpretare il tratto orizzontale come parte del segno ÷. tuttavia la fine di un commento al termine di un rigo non è così contrassegnata a col. ii 3 e 5 (e forse anche a r. 8 di questa prima colonna), dove lo scrivente si limita ad andare a capo, lasciando in bianco la fine di rigo. 7 καιρόν. se qui si trattasse del nome del cavallo di adrasto (come suggerito da wyss ad l.), la parola potrebbe essere parte di un lemma, oppure riprendere una parola presente o presupposta nel lemma immediatamente precedente. Questo celebre cavallo compare (in caso accusativo) nel fr. 31, 3 m. = 32, 3 w. della Tebaide e l’interesse di antimaco per le cavalcature degli eroi argivi impegnati nella prima spedizione contro tebe è confermato dal fr. 38 w. = 35 m., in cui compaiono i nomi dei cavalli di anfiarao (Θόαϲ e Δίαϲ) e del loro auriga (Βάτων oppure Ϲχοίνικοϲ). La menzione del cavallo Καιρόϲ, insieme a quella di una schiera di armati (cfr. ἀϲπίδα al r. 11), favorirebbe l’identificazione del poema antimacheo qui oggetto di commento con la Tebaide (vd. Introduzione). diversamente καιρόϲ, usato come sostantivo comune all’interno della nota di commento, potrebbe aver fatto parte di un’espressione del tipo ἔχει τινὰ καιρόν (detto di una opinione non particolarmente autorevole, ma che “ha una certa pertinenza”): cfr. ad es. aristot. Metaph. 1043b 25. 8 ]εται. il vacuum a fine rigo può indicare fine di spiegazione, vd. col. ii 3 e 5. 11 ἀϲπίδα. in contesto poetico vale “scudo” e “schieramento in armi” (ad es. in eur. Phoen. 78, dove designa l’armata di guerrieri argivi al seguito di Polinice). Qui è probabile la sua pertinenza a un lemma o a testo poetico citato in sede di spiegazione. Vogliano propose, dubitanter, πα]ρ̣᾿ ἀϲπίδα (“dal lato dello scudo, a mano sinistra”, ma anche “presso il proprio scudo, in assetto di battaglia, pronto allo scontro”). armi e armati sarebbero naturalmente al loro posto nella Tebaide (vd. il commento a i 7). 12 ]ευδα̣ϲ. Vogliano propose ]ο εὔδι̣ο̣ϲ, seguito da wyss (“εὔδιοϲ poetae
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magis quam scholiastae orationem resipit”). tuttavia, la traccia prima di ϲ appare piuttosto compatibile con l’occhiello appuntito di un α.
Col. ii 1 ] θεων – ἐ[πε]ι̣ϲάγο̣υϲιν. il verbo ἐ[πε]ι̣ϲάγο̣υϲιν, da cui verisimilmente dipende il precedente accusativo plurale ]τουϲ, può riferirsi a critici letterari che ‘adducono’ ulteriori argomenti, oppure ad autori che ‘introducono’ nuovi personaggi. nel lessico critico-testuale, ἐπάγω ed εἰϲάγω si riferiscono infatti alla introduzione di personaggi in scena, di imputati e testimoni in giudizio, di argomenti in un ragionamento (cfr. LsJ s.vv.; su εἰϲάγω: manieri 1998, p. 129). “se il verbo si rapporta ad un procedimento di critici dell’opera di antimaco, sorge il dubbio si possa ravvisare nel θεων, teone, il noto commentatore di Callimaco” (Vogliano 1937, p. 54): un’ipotesi attraente in vista della lunga nota che più avanti è dedicata a una questione callimachea (vd. a col. ii 13-23). teone, vissuto in età augustea, è il primo commentatore di Callimaco di cui conosciamo il nome (wendel 1934, col. 2057; Pfeiffer 1949-1953, ii, p. xxVii; massimilla 1996, p. 319; montana 2015, p. 179). d’altra parte, anche in considerazione del tema religioso che emerge nel commentario (vd. a col. ii 2-3), non si può escludere θεῶν, genitivo plurale. Prima di θεων c’è spazio nel rigo per almeno una lettera (allineata con ρ sottostante), forse indizio che la parola faceva parte di un lemma sporgente in ekthesis e commentato brevemente di seguito. 1-2 ϲεμνὴν – ὀβριμ[ό]τοξον. il lemma antimacheo (fr. 174 w. = 99 m.) comprende un esametro marcatamente spondaico, nel quale il solo quarto metron è dattilico, e la prima parte del successivo, fino alla cesura κατὰ τὸν τρίτον τροχαῖον. meliadò 2006, p. 47, suggerisce ἐπωνυμίην καλέουϲι come possibile completamento di questo verso, cfr. Call. H. 3, 204-205. si susseguono nomi ed epiteti di ilizia cretese e artemide efèsia che, come quelli del lemma riportato a col. ii 33-34, furono condivisi da ilizia, artemide ed ecate, quasi volti diversi di una stessa signora di ascendenza minoico-micenea, padrona della vita di ogni creatura (Barrett 1964, pp. 189-190; hadzisteliou Price 1978, pp. 175-176) e riconoscibile nella artemide-ecate invocata dalle danaidi a protezione di argo in aeschl. Suppl. 676-677. Fin da esiodo (Theog. 450-452) a questa dea compete l’attributo di κουροτρόφοϲ (cfr. Hymn. Orph. 1, 8), anche in quanto sovrintende alla rinascita delle anime (cfr. Plat. Men. 81bc, che ci trasmette Pind. fr. 133 sn.-m.). La serie di attributi che qualificano Oupis alla voce ω 267 del lessico di esichio è coerente con una rappresentazione della dea analoga a quella che ne dà antimaco (vd. a col. ii 34).
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2-3 ὁμηρικῶϲ – Λητοῦϲ. il verbo richiesto è χωρίζω, “separo”, “distinguo” (κεχώρηκ[ε] del papiro è grafia etacistica). La questione alla quale il commento offre risposta è se, secondo antimaco, ilizia sia una divinità autonoma, o se il suo nome debba invece considerarsi come una delle epiclesi di artemide. si spiega che antimaco distingue le due dee, in conformità all’uso omerico (ὁμηρικῶϲ), secondo cui esse ebbero madri diverse, rispettivamente era e Latona. Questa interpretazione (non necessariamente coincidente con le intenzioni di antimaco) implica: (a) che ilizia sia la dea della montagna di Creta, la ditte, che nascose Zeus fanciullo: Δικταία dunque, e protettrice dei nuovi nati (κουροτρόφοϲ: cfr. Pingiatoglou 1981; hadzisteliou Price 1978); (b) che oupis sia il nome di artemide efèsia, “terribile arciera” (ὀβριμότοξοϲ) che minaccia, semmai, la loro sopravvivenza. La questione presupposta dalla scarna annotazione si genera a partire dall’identità instabile delle due figure divine. sullo sfondo, si intuisce una riflessione teologica riguardante i molteplici volti di artemide, sedimentata forse nel Περὶ θεῶν di apollodoro (münzel 1883; vd. anche a col. ii 34), persistente in Plutarco (Quaest.conv. 659a) e Porfirio (Περὶ ἀγαλμάτων fr. 359, 57-76 smith), e ancora ben presente a eustazio allorché dichiara, nel suo commento a Il. xi 271, di sintetizzare interpretazioni su cui si sono cimentate la mitologia (γέρων μῦθοϲ), la filologia (πρεϲβυτάτη γραμματική) e la φιλοϲοφία1. Per quanto concerne l’identificazione di ilizia, diversamente che nei successivi rinvii omerici (col. ii 8-9, 10-11, 23-26, 45-47), in questo caso il commento non fa riferimento a un passo preciso. in effetti, una ilizia figlia di era non compare nei poemi omerici2. Figlie di era sono le ilizie plurali di Il. xi 269-271 e Il. xix 119, ma dove la dea compare al singolare (Il. xVi 187; Od. xix 188) non si dice chi sia sua madre. Questa oscillazione tra identità singolare e plurale è oggetto di discussione negli scolii: lo sch. Ariston. Il. xi 270d (a) annota che, se plurali, le ilizie sono prive di nomi individuali e, come le muse, in numero indeterminato; lo sch. ex. Il. xVi 187ab (t) afferma che il poeta dice ilizia al singolare (ἑνικῶϲ) ma intende il plurale, ovvero l’insieme (ϲύϲτημα) delle ilizie3. hsch. ε 862 Latte, s.v. Εἰλειθυίαϲ (acc. pl., come in Il. xix 119) registra apparentemente la stessa incertezza, oltre a proporre una interpretazione allegorica
1 Cfr. Van der Valk ad l.: “Quod ad nostrum locum attinet, similis interpretatio reperitur apud Porph. fr. 8 Bidez = p. 15, 11 Bid. [= fr. 359 smith], cuius tamen opera exceptis Quaest. hom. eustathium adiisse haud existimaverim”. 2 Cfr. invece hes. Theog. 921-923; Pind. Nem. 7, 1-2; [apollod.] i 3, 1. 3 si può notare una affinità con uno degli argomenti addotti da aristarco per giustificare l’atetesi della νέκυια nel ventiquattresimo libro dell’Odissea: il numero delle muse è specificato in Od. xxiV 60, ma τὸ ἀριθμεῖν τὰϲ Μούϲαϲ οὐχ Ὁμηρικόν (sch. Od. xxiV 1).
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(ilizie = doglie del parto, ripresa da eustath. ad Il. xi 271, p. 781, 5 ss.) e a chiudersi con un riferimento a era di argo, Ἥρα ἐν Ἄργει (forse in quanto madre di ilizia?)4. secondo Lucio anneo Cornuto (Comp.theol. 34 p. 73, 7-8 Lang), l’opinione opposta a quella testimoniata nel commentario era maggioritaria: (artemide) δοκεῖ δὲ τοῖϲ πλείϲτοιϲ ἡ ἀυτὴ εἶναι καὶ Εἰλείθυια; Plutarco, fr. 157 sandbach (Περὶ τῶν ἐν Πλαταιαῖϲ Δαιδάλων ap. eus. Praep.Ev. iii 1, 5) offre in effetti l’argomento inverso rispetto a quello svolto dal nostro commentatore: posta l’identificazione delle madri (era = Latona), unica poteva essere anche la figlia (ilizia = artemide), e per questa via Εἰλείθυια era ridotta a un appellativo di artemide (a sua volta assimilata alla Luna) alla quale poteva pertanto spettare anche l’epiteto Λοχία (“Levatrice”: vd. a col. ii 33-34 e 34-36). riguardo a Oupis, le fonti oscillano tra considerarla epiclesi di artemide oppure una entità autonoma, controfigura o assistente della dea. macrobio (Sat. V 22, 1-6; cfr. serv. auct. Aen. xi 532, ii p. 542, 14-16 thilo-hagen) annota: Scitis apud illum unam ex comitibus Dianae Opin vocari, quod nomen vulgo fortasse temere impositum vel etiam fictum putatur ab ignorantibus, insidiosum poetam cognomen, quod a veteribus Graecis scriptoribus ipsi Dianae fuerat impositum, comiti eius assignare voluisse. Apparuit, ni fallor, Opin Dianam dictam, et Vergilium de nimia doctrina hoc nomen in eius comitem transtulisse (cfr. Aen. xi 532-533: Opim, / unam ex virginibus sociis sacraque caterva; 836: Triviae custos … Opis). La nimia doctrina dell’insidiosus poeta risale certamente agli alessandrini5, ma contraddice la testimonianza, che macrobio adduce, di alessandro etolo il quale nelle Muse a sua volta ricordava timoteo di mileto perché aveva celebrato artemide efesia quale oupis “che scocca frecce veloci” (fr. 4 magnelli = 4 Powell = 6 Lightfoot, v. 5 ταχέων Ὦπιν βλήτειραν ὀϊϲτῶν; l’espressione corrisponde esattamente all’epiteto antimacheo ὀβριμότοξοϲ). Virgilio guardò piuttosto al quarto Inno di Callimaco, dove Οὖπιϲ è una delle tre vergini che recarono offerte a delo (Call. H. 4, 292); d’altra parte, nel terzo Inno callimacheo Οὖπιϲ è il nome di artemide efesia (Call. H. 3, 240: Οὖπι ἄναϲϲα)6, che i Cretesi identificano con la loro diktynna/Britomartis (vv. 204-205), il cui nome di diktynna è fatto derivare, al pari di quello della montagna dalla quale ella si lanciò in mare, dalle reti (δίκτυα) dei pescatori che le salvarono la vita (Call. H. 3, 195-199; diod. V 76, 3). sembra che Callimaco autorizzi una catena di identificazioni: posto che
nell’edizione, K. Latte suppone una caduta di testo prima di Ἥρα ἐν Ἄργει. Vd. o’hara 1996 (p. 233, in particolare, sulla possibile etimologizzazione del nome opis con riferimento al concetto di “vedere”). Per parte sua, Liou-Gille 2002 riflette sulla (problematica) prossimità di Opis alla Ops romana. 6 L’ambiguità persiste in euforione (frr. 101 e 103 Powell = 105-106 van Groningen = 65-66 Lightfoot = 132-133 acosta-hughes – Cusset). 4 5
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Οὖπιϲ = Δικτύννα, Δικτύννα = Δικταία, Δικταία = Εἰλείθυια, per conseguenza Εἰλείθυια = Οὖπιϲ = Δικτύννα/Δικταία. ammesso che il commentatore non fraintenda antimaco (e che dunque effettivamente per antimaco artemide e ilizia non fossero la stessa dea), Callimaco si opporrebbe per questa via ad antimaco, essendo invece in accordo con euripide: l’identificazione artemide/oupis = diktynna è infatti in eur. Hipp. 145-147, dove le donne di trezene paventano che Fedra abbia trascurato le offerte dovute a diktynna (πελανοί: vd. a col. ii 6-8); proprio a trezene sono attestati canti per artemide detti οὔπιγγοι (did. Λέξιϲ κωμική fr. 32 schmidt, ap. sch. ap.rh. i 972; cfr. athen. xiV 619b, che in parte attinge da trifone, cfr. tryph. fr. 113 von Velsen; grazie a Poll. i 38 sappiamo inoltre che si trattava di inni prosodii). Lo sch. eur. Hipp. 146 argomenta l’identificazione diktynna = artemis proprio con riferimento a Callimaco, discutendo quindi l’ulteriore identificazione diktynna = artemide = ecate (cfr. anche sch. eur. Hipp. 1130; sch. Tz. aristoph. Ran. 1356: vd. a col. ii 34)7. 4 ]χρυϲείη[ιϲι κορ]υμβίϲιν ἐϲφ̣ήκωντο[. si conserva la maggior parte di un esametro inciso dopo il primo metron (fr. 175 w. = 100 m.). il lemma era scritto in ekthesis e ha perduto in lacuna, all’inizio del rigo, non più di quattro lettere: la traccia superstite sembra compatibile con ἀλλ]ὰ̣. dal genere del complemento ἐπὶ πᾶϲι (r. 4) e del participio ἐϲφιγγμένοι (r. 5) si può inferire un soggetto maschile, e.g πλοχμοί (matthews 1996, p. 268, sulla base di Il. xVii 52, vd. sotto) o anche πλόκαμοι (come in asio, fr. 13, 1 Bernabé). il verso si conclude con lo stesso verbo che in Il. xVii 51-52 descrive l’acconciatura del ‘barbaro’ euforbo: αἵματί οἱ δεύοντο κόμαι … / πλοχμοί θ’ οἳ χρυϲῷ τε καὶ ἀργύρῳ ἐϲφήκωντο (“s’intrisero di sangue le chiome … e le trecce che erano state strette con oro e argento”). antimaco, che ‘compone interpretando’ omero, ‘risolve’ l’oro e l’argento del luogo iliadico in una acconciatura descritta negli stessi termini di asio, fr. 13 Bernabé (vv. 4-5: χρύϲειαι δὲ κόρυμβαι ἐπ’ αὐτῶν τέττιγεϲ ὣϲ / χαῖται δ’ ᾐωρεῦντ’ ἀνέμῳ χρυϲέοιϲ ἐνὶ δεϲμοῖϲ)8. si tratta verisimilmente della pettinatura delle partecipanti al rito descritto nei lemmi seguenti, al cui “capo scoperto” il poeta presta ancora attenzione a col. ii 32-339. meno probabilmente, antimaco potrebbe avere adattato la parola omerica alla descrizione di un capo di vestiario analogo al manto di era argiva (vd. a col. ii 21-23). in ogni caso, il poeta descrive una acconciatura (o un capo di abbi-
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uno scholium vetus (Chantry 1999, p. 150) riconosce qui una parodia dei Cretesi di euripide. L’ordine dei due versi tràdito da ateneo (e qui riprodotto) è invertito dagli editori, fino a Bernabé (nel quale vd. apparato ad l.). L’acconciatura è riconoscibile in statuette ritrovate a samo (Bowra 1970b, pp. 122-133: vd. anche Bowra 1970a, p. 111; nilsson 1933, pp. 127-130). 9 secondo Bruno snell, l’acconciatura è invece quella delle dee invocate nel lemma precedente (snell 1939, p. 533: “die Göttinnen waren schön geschmückt”). 8
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gliamento) femminile negli stessi termini in cui omero e asio avevano invece rappresentato una pettinatura maschile. 4-5 κ]ορυμβίϲ – ἐϲφιγγμένοι ἦϲαν. L’annotazione si conclude con uno spazio lasciato in bianco (r. 5; cfr. col. i 8 e col. ii 3). Le questioni, tra loro connesse, che interessano il commentatore sono: (a) che cos’è la κορυμβίϲ; (b) il significato di ἐϲφήκωντο. (a) La domanda che in un frammento dei Banchettanti di aristofane l’inquieto padre tradizionalista pone al figlio deviato dai nuovi modelli educativi (fr. 233 Kassel-austin τί καλοῦϲι κορύμβα;) dimostra l’antichità della questione glossografica, in primo luogo omerica10, sul significato di questo sostantivo eteroclito11 impiegato per l’elemento decorativo posto alla sommità di un oggetto: nelle parole del commentatore, τὸ ἐπὶ πᾶϲι ἐπιτιθέμενον (una formulazione che presuppone forse l’espressione ἐπ’ αὐτῶν12 in asio fr. 13, 4 Bernabé: vd. più avanti). La forma κορυμβίϲ è un hapax. in esichio (κ 3703 Latte) si trova il lemma κορυμβάϲι (al dativo plurale della terza declinazione come nel verso antimacheo) spiegato περιδρόμοιϲ: “cerchi” o “corone” (cfr. Poll. ii 40) con cui si tirano e trattengono (ϲυϲπᾶται: cfr. aristot. Phgn. 808a 26, dove il participio ἀνεϲπαϲμένοϲ è riferito alla “attaccatura” alta dei capelli, περίδρομοϲ τῶν τριχῶν) la “retina” che raccoglie i capelli e il “velo” che copre il capo (rispettivamente γύργαθοϲ e κεκρύφαλοϲ). se, nonostante il diverso vocalismo, il lemma esichiano provenisse da antimaco13, esso potrebbe aggiungersi al materiale lessicografico proveniente dalla fonte comune a esichio e al nostro commentario, benché assente in quest’ultimo (per selezione volontaria o accidente tradizionale). a monte della spiegazione offerta nel commento sta la riflessione antica sui segni della τρυφή tipica dello stile di vita ionico-attico, presentati da tucidide come originari dell’attica e di qui adottati dagli ioni: tra di essi, un’acconciatura che consisteva nel legare i capelli in una crocchia (κρωβύλοϲ) inserendo, per fisIl. ix 241 (unica attestazione omerica): ettore minaccia di νηῶν ἀποκόψειν ἄκρα κόρυμβα; secondo uno sch. D ad l. il termine qui designa le decorazioni poste sulla parte più alta della prua delle navi, ἄκρα κόρυμβα: τὰ τῶν νεῶν ἀκροϲτόλια. … ἐπειδὴ ἐπὶ τῶν ἀκροϲτολίων ἦϲαν ἀγάλματα καὶ εἰκόνεϲ θεῶν. 11 Vd. LsJ s.v. L’unica attestazione omerica del sostantivo è al neutro plurale; in asio e in antimaco è femminile (declinato rispettivamente secondo la prima e la terza declinazione), ma maschile della seconda declinazione (acc. κορύμβουϲ) nel fr. 39 schütrumpf = 55 wehrli di eraclide Pontico e ad es. ancora in nonno (Dion. ix 123 dove, come in antimaco, il termine ricorre in combinazione con il verbo ϲφηκόω: l’ancella mystis fissa un ferro in cima al tirso dionisiaco, ἀκροτάτῳ δὲ ϲίδηρον ἐπεϲφήκωϲε κορύμβῳ). 12 riferibile nel frammento di asio sia ai bei mantelli di v. 2 (sui quali sarebbero applicate le κόρυμβαι alias τέττιγεϲ), sia a coloro che li indossano (nel qual caso le κόρυμβαι coinciderebbero con i fermagli che trattengono i capelli a v. 5). 13 Come sembra sospettare anche Latte, il quale fa riferimento in apparato a P.mil.Vogl. i 17 con la sigla “Pap. ant.”. 10
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sarli, fermagli d’oro chiamati “cicale” per la loro forma (thuc. i 6, 3 χρυϲῶν τεττίγων ἐνέρϲει κρωβύλον ἀναδούμενοι τῶν ἐν τῇ κεφαλῇ τριχῶν)14. il tema della τρυφή è ripreso da ateneo, il quale cita al riguardo eraclide Pontico (fr. 39 schütrumpf = 55 wehrli ap. athen. xii 512b-c) e duride di samo (FGrHist 76 F 60 ap. athen. xii 525e-f). eraclide, guardando ad atene, parafrasa tucidide: riprende infatti il participio ἀναδούμενοι, ma sostituisce κρωβύλον con il termine κορύμβουϲ (suppone dunque la sinonimia κρωβύλοϲ = κόρυμβοϲ)15, descrivendo infine come le “cicale” decoravano fronte e tempie (κορύμβουϲ δ’ ἀναδούμενοι τῶν τριχῶν χρυϲοῦϲ τέττιγαϲ περὶ τὸ μέτωπον καὶ τὰϲ κόρραϲ ἐφόρουν). duride guarda invece alla ionia, in particolare a samo, e a questo proposito cita asio, fr. 13 Bernabé (vd. sopra): dai vv. 4-5 di questo frammento (χρύϲειαι δὲ κόρυμβαι ἐπ’ αὐτῶν τέττιγεϲ ὣϲ / χαῖται δ’ ᾐωρεῦντ’ ἀνέμῳ χρυϲέοιϲ ἐνὶ δεϲμοῖϲ) si può dedurre la sinonimia di χρύϲειαι κόρυμβαι e τέττιγεϲ, mentre χρύϲεοι δεϲμοί potrebbe essere una terza denominazione dei medesimi fermagli16 oppure esprimere l’insieme di nodi e fermagli. in conclusione, eraclide Pontico e duride di samo (i due autori che si collocano agli inizi, rispettivamente, della ‘fortuna’ e della ‘sfortuna’ di antimaco: test. 1 w. = 4 m.) si occuparono dell’aspetto (e forse anche dell’origine, attica o ionica) di un’acconciatura menzionata da antimaco. (b) il commentatore spiega ἐϲφήκωντο (che ricorre una sola volta in omero) con altre due forme di piuccheperfetto mediopassivo: ἐδέδεντο, “erano (stati) legati”, e la forma perifrastiϲa ἐϲφιγμένοι ἦϲαν, “erano (stati) stretti”. La prima spiegazione si trova anche nel lessico omerico di apollonio sofista (p. 78, 1 Bekker) ed entrambe ricorrono in esichio (ε 6439 Latte, nello stesso ordine) e in sch. D Il. xVii 5217, in ordine inverso e con l’aggiunta della spiegazione πεπλεγμένοι ἦϲαν, “erano (stati) intrecciati”, e di un riferimento al termine ϲφήκωμα (il “cimiero” di un elmo) derivato dallo stesso tema no-
14 Gomme 1945, pp. 101-104, offre una rassegna delle fonti letterarie (inclusi ar. Eq. 1321-1334 e Luc. Nav. 2-3) e figurative riguardanti questa acconciatura, osservando che “most modern scholars think that the reverse is true, that athens got the fashion from ionia, with many other things in the sixth century. if the poet asios belongs to the seventh century and if his verses refer to the fashion, they are right” (p. 103). Gli scolii tucididei ad l. conservano memoria del valore attribuito da alcuni a queste ‘cicale’ come segno di autoctonia: sch. thuc. i 6, 3e Kleinlogel-alpers ἐφόρουν δὲ τέττιγαϲ διὰ τὸ μουϲικὸν ἢ διὰ τὸ αὐτόχθονεϲ εἶναι· καὶ γὰρ τὸ ζῶον γηγενέϲ. 15 diversamente, gli scolii tucididei stabiliscono una differenza fondata sul genere: ἐκαλεῖτο δὲ τῶν μὲν ἀνδρῶν κρωβύλοϲ, τῶν δὲ γυναικῶν κόρυμβοϲ, τῶν δὲ παίδων ϲκορπίοϲ. uno scolio al verso omerico imitato da antimaco registra un ulteriore sinonimo: sch. ex. Il. xVii 52c (bt) ταῦτα δέ τινεϲ κάλυκάϲ φαϲιν. 16 La seconda spiegazione proposta in esichio (declinata al nominativo: δεϲμοί) presuppone forse questo verso di asio. 17 ripreso verbatim nella parte conclusiva della voce ἐϲφηκωμένον di EM. pp. 385, 1-386, 8 Gaisford (la cui prima parte coincide invece con Phot. ε 2037 theodoridis). 18 su ϲφήκωμα vd. anche sch. ap.rh. iii 1354-1356 (con il frammento sofocleo in esso trasmesso: soph. fr. 341 radt) ed aristoph. Pax 1216, con i relativi scolii 1216a-c.
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minale18. tutte e tre le spiegazioni si ritrovano anche negli altri scolii omerici, apparentemente riferite a diverse acconciature possibili: capelli intrecciati (πεπλεγμένοι), oppure fissati con fermagli d’oro e argento (ϲυνεϲφιγμένοι), oppure ancora legati e avvolti intorno alla testa (περιεδέδεντο). La versione originaria del lessico omerico di apollonio sofista poteva contenere un numero maggiore di informazioni, ed è possibile che sia il commentario ad antimaco sia esichio discendano da essa. erbse (ad sch. Il. xVii 52, con rinvio a Friedlaender 1853, p. 273) sospetta che sia andato perduto un commento di aristonico (dunque di aristarco) a Il. xVii 52 “de more barbarorum capillos aureis et argenteis fibulis ornandi”. 6 πελάνειά τε̣ δέχθαι ἄναϲϲαν. il lemma corrisponde alla parte di un esametro successiva alla cesura pentemimere (antim. fr. 176 w. = 101 m.). si tratta della seconda di due infinitive coordinate (come indicato dalla congiunzione τε̣) che dovevano dipendere da un verbo appartenente alla sfera semantica del “pregare”, “sperare” o simili. La signora cui sono destinati i πελάνεια deve essere artemide sotto specie di oupis, che è invocata come ἄναϲϲα anche in Call. H. 3, 240. La situazione descritta sarà stata quella di una o più supplici che si accostano a un altare per presentare offerte incruente, certo simili a quelle presentate a una dea Kourotrophos in Plat.Com. fr. 188 Kassel-austin (tramandato in athen. x 441e): sedici κίχλαι / … ὁλόκληροι μέλιτι μεμιγμέναι (vv. 8-9) e dodici ἐπιϲέληνα (v. 10)19. a confronto si può addurre la scena rappresentata su una stele votiva ritrovata ad achinos, antica echinos, sul golfo maliaco (dakoronia-Gounaropoulos 1992). 6-8 τὰϲ ἱκετ̣ηρί̣[αϲ] – λιβ[α]νωτόϲ̣. il termine πελάνεια è attestato unicamente nel frammento antimacheo qui commentato; πελανόϲ20 è inveϲe attestato in tragedia (aeschl. Ag. 92, Pers. 204; eur. Hipp. 147, Troad. 1063, Ion 226 e 707, Hel. 1334)21 e in commedia (aristoph. Plut. 660-661; sannyrio fr. 1 Kassel-austin); al plurale si trova usato per la prima volta in Plat. Lg. 782c 4 (vd. infra). Già aristofane (Plut. 660-661) sembra suggerire una distinzione tra πόπανα e προ-
Cfr. hsch. ε 5154 Latte: ἐπιϲέληνα = πόπανα μονοειδῆ. Vd. il commento di Pirrotta 2009, pp. 346348. 20 il termine è ossitono secondo erodiano (hdn. Pros.cath. iii/1, p. 178, 19 Lentz), cfr. LsJ s.v., dove tuttavia si segnala che nei codici la parola è frequentemente proparossitona (vd. anche Fraenkel 1950, p. 54). L’incertezza sulla posizione dell’accento è ricordata ancora da eustath. ad Od. Viii 363, p. 1601, 4-5. ho di norma mantenuto l’accento adottato dagli editori dei diversi testi in cui la parola compare. 21 il termine è attestato anche epigraficamente, nell’ambito del culto delle due dee di eleusi: IG i3 78a = SIG3 20, 36 (databile forse al 422a). 19
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θύματα, offerti sull’altare, e πελανόϲ, arso nel fuoco22 – a meno di intendere πελανόϲ come termine che esprime collettivamente πόπανα e προθύματα23. “Greek pemmatology is a complex and confusing business” (henrichs 1984, p. 260; vd. già stengel 1894; Ziehen 1937) e la questione squisitamente atticista di cosa fossero, e come si distinguessero tra loro, il πελανόϲ e i suoi derivati ha esercitato gli interpreti sin dall’antichità. Pausania Periegete riferisce (Viii 2, 3) che ancora ai suoi tempi (ἔτι καὶ ἐϲ ἡμᾶϲ) gli ateniesi designavano col termine πέλανοι i πέμματα offerti a Zeus nel culto incruento istituito da Cecrope (contrapposto a quello arcade di Zeus Liceo, fondato da Licaone sul sacrificio di un βρέφοϲ ἀνθρώπου). Pausania atticista si interessò al lessico greco di ogni genere di pasticcini: a lui risalgono certamente le voci dedicate in scolii e lessici a svariati dolcetti e focacce24, ivi inclusi i πελανοί (a suo avviso, un nome alternativo delle ϲελῆναι): a partire dalla testimonianza di eustazio (p. 1165, 5-9), erbse riconobbe perciò in Pausania la fonte di Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler πέλανοι (= Paus.att. π 14 erbse) e, quasi per attrazione, di Phot. Lex. π 544 theodoridis πελάται (= Paus.att. π 15 erbse). L’interesse dell’atticista appare tuttavia limitato a una rassegna dei diversi tipi di pasticcini, piuttosto che al significato e all’etimologia di πελανοί, e ancor meno al significato di πελάται. il commentatore propone in prima istanza l’interpretazione (a) πελάνεια = ἱκετηρίαϲ; riporta in secondo luogo l’interpretazione di non meglio precisati ἔνιοι, (b) πελάνεια = πέμματα; aggiunge l’interpretazione (c) πελάνεια = ἀπαρχάϲ; conclude osservando che (d) il termine πελανόϲ designa πᾶν τὸ̣ [π]επηγόϲ, οἷον λιβ[α]νωτόϲ̣ (“tutto ciò che è coagulato, ad esempio l’incenso”). Le fonti parallele (in particolare Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler πέλανοι e harpocr. s.v. πελανόϲ) soccorrono alla identificazione dei filoni esegetici cui fanno capo le diverse interpretazioni: (a) diversamente che nel nostro commentario, πελάνεια = ἱκετηρίαϲ compare per ultima in Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler, s.v. πέλανοι, e in altre fonti (sch. Porph. Abst. ii 6, 3; sch. eur. Or. 220; EM. p. 659 Gaisford, s.v. πελανοί). essa presuppone un’etimologia del termine dalla stessa radice dell’avverbio πέλαϲ e del verbo πελάζω, equiparato a ἱκετεύειν25: e.g. sch. eur. Or. 220 οἱ δὲ ἀπὸ
eronda a sua volta distingue (Mim. 4, 90-92: πελανόϲ e ψαιϲτά per asclepio); cfr. anche ap.rh. i 1077 (χύτλα e πελανοί offerti annualmente per i defunti dagli abitanti di Cizico). 23 Sch. aristoph. Plut. 661c ἢ τὸ πέλανοϲ ἑρμηνεία ἐϲτὶ τοῦ προθύματα. 24 Paus.att. α 116 erbse, s.v. ἀνάϲτατοι; β 17 erbse, s.v. βοῦϲ ἕβδομοϲ; ϲ 10 erbse, s.v. ϲελῆναι; χ 8 erbse, s.v. χαρίϲιοι. 25 La tradizione lessicografica antica sui due termini è assai ricca. Per πέλαϲ, vd. sch. D Od. x 516b; hsch. π 1290 hansen; Σ π 274 Cunningham; Phot. π 542 theodoridis; Sud. π 933 adler. Per πελάζω, vd. P.mich. inv. 2720, f. 12r, 7, e P.yale ii 127, 22 (scholia minora ad Il. V 766); sch. D Il. i 434; sch. D Il. V 766; sch. eur. Phoen. 279; Ps. hdn. 105 (Boissonade); hsch. π 1278 hansen; Σ π 272 Cunningham; Phot. π 536 theodoridis; Sud. π 926 adler; EGud. col. 458, 16 sturz. 22
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τοῦ πελάζειν καὶ ἱκετεύειν τοὺϲ θεοὺϲ δι’ αὐτῶν, sc. πελανῶν, come si deduce dalla coincidenza con la parte finale di EM. p. 659 Gaisford, s.v. πελανοί. La spiegazione ἱκετηρίαϲ, pur collocandosi in questa linea esegetica, è attestata solo nel commentario ermopolitano. d’altra parte, il riferimento al sostantivo composto ἱεροπελάτηϲ ricollega il commentario al lessico platonico di timeo sofista, π 20 Valente (= 346 Bonelli)26, che intende πελάτηϲ come “chi si fa vicino, si accosta” (προϲπελάζων) a qualcuno perché spinto dal bisogno, e quindi “presta servizio in cambio di una retribuzione” (ὁ ἀντὶ τροφῶν ὑπηρετῶν)27; lo ἱεροπελάτηϲ (il termine, non attestato altrove, è ovviamente riferito a un ambito religioso-rituale) è per questa via assimilabile al μάντιϲ cui spetta il πελανόϲ come retribuzione (Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler καὶ ὁ τῷ μάντει διδόμενοϲ μιϲθόϲ. ὀβολόϲ; cfr. sch. Porph. Abst. ii 6, 3 καὶ ὁ τοῦ μάντεωϲ μιϲθόϲ. ὀβολόϲ)28 oppure, più sottilmente, come ciò che occorre per celebrare un sacrificio mediante il quale si ottiene una profezia (eustath. ad Od. Viii 363, p. 1601, 4-5 αἱ διὰ θυϲιῶν φαϲὶ μαντεῖαι. ἃϲ πελάνουϲ τινέϲ φαϲιν, ἢ καὶ ὀξυτόνωϲ πελανούϲ). (b) harpocr. π 44 Keaney, s.v. πελανόϲ (ma l’ed. accenta πέλανος), individua nel Περὶ τῆϲ ἱερείαϲ di Licurgo (fr. 42 Conomis) il primo anello della catena esegetica riguardante questo termine, di cui sottolinea la genuinità attica (πολλάκιϲ ἐϲτὶ τοὔνομα παρὰ πολλοῖϲ τῶν ἀρχαίων)29. adduce quindi la testimonianza di apollonio di acarne (FGrHist 365 F 1)30 da cui può dedursi l’equiparazione di πελανόϲ e πέμματά τινα τοῖϲ θεοῖϲ γινόμενα ἐκ τοῦ ἀφαιρεθέντοϲ ϲίτου ἐκ τῆϲ ἅλω (“certi pasticcini per gli dèì, ottenuti dal grano preso dall’aia”) e il passo del commediografo sannirione (fr. 1 Kassel-austin), contemporaneo di aristofane, in cui un personaggio divino argomenta che πελανόϲ è “quel che voi mortali chiamate ἄλφιτα”. è probabile che entrambe queste citazioni siano giunte ad arpocrazione tramite didimo31, delle cui ricerche sul termine πελανόϲ arpocrazione dà conto in seguito, riferendo che secondo il Calcentero (did. Λέξιϲ κωμική fr. 17 schmidt) πελανόϲ significa propriamente (κυρίωϲ) “la pasta di fior
26 Cfr. sch. Plat. Euthyph. 4c 1-4. osservazioni fondamentali sulle relazioni tra le due categorie di fonti: Cohn 1884, p. 782. 27 Per aristot. Ath.Pol. 2, 2 si proponeva invece una spiegazione di πελάται come sinonimo di θῆτεϲ e di ἑκτήμοροι (cfr. aristoph.Byz. frr. 313-314 slater; vd. anche Bravo 1996). 28 in Amphil. 21, 26-29 w. “glossam ex lexico suo … recepit Photius” (Ch. theodoridis, in apparato a Phot. π 539). 29 analoghi riferimenti a παλαιοί e Ἀττικοί ricorrono in altre fonti che riguardano πελανόϲ e termini affini (Poll. Vi 45 e iV 165; EGen. aB (= EM. p. 659, 15-19 Gaisford) s.v. πελανόϲ; sch. aeschl. Pers. 204; eustath. ad Il. xViii 575, p. 1165, 5-9). significato di παλαιοί: alpers 2001, col. 197. 30 Jacoby ritenne “sehr wahrscheinlich” l’identificazione di questo apollonio di acarne con lo ἐξηγητὴϲ τῶν Εὐμολπιδῶν una cui immagine fu dedicata alle dee di eleusi intorno al 100a. 31 Più in generale, sembra lecito pensare che le Λέξειϲ τῶν ῑ ῥητόρων di arpocrazione siano estratte dai libri, almeno dieci, dei Ῥητορικὰ ὑπομνήματα del Calcentero, di cui si ha notizia da ammon. De diff. vocc. 334 nickau = did.Chalc. p. 321 schmidt.
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di farina dalla quale si fanno i pasticcini” (τὸ ἐκ τῆϲ παιπάληϲ πέμμα ἐξ ἧϲ ποιοῦνται πέμματα). in questo ragionamento è implicita una etimologia – diversa da quella contemplata nella spiegazione (a) – che deriva πελανόϲ dalla stessa radice della sua materia prima, la παιπάλη, a sua volta ricondotta alla stessa radice di παλύνω, oppure a quella di πλατύνω. Per questa via, la discussione sull’etimologia di πελανόϲ si ricollegava allo zetema omerico (al quale si applicò anche apione, discepolo di didimo) riguardante il verbo παλύνω: la (παι)πάλη si chiama così “perché viene stesa” (ἢ ἀπὸ τοῦ πεπλατύνθαι) oppure “perché è bianca” come la neve che in Il. x 7 imbianca (ἐπάλυνεν) i campi o, ancora, “perché è lucente, cioè bianca” (cfr. EM. p. 659, 20 Gaisford; sch. eur. Or. 220; hsch. π 1285 hansen)32 come, idiosincraticamente (ἰδίωϲ), la “schiuma alla bocca” in eur. Or. 220 (ϲτόματοϲ ἀφρώδη πέλανον): vd. più avanti, (d). (c) L’interpretazione πελάνεια = ἀπαρχάϲ può essere attribuita a dionisio trace grazie a Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler, s.v. πέλανοι. (d) il commentatore adduce l’incenso come solo esempio di “tutto ciò che è coagulato” (πᾶν τὸ πεπηγόϲ). secondo lo stesso ordine argomentativo, Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler offrono invece un’esemplificazione più ricca e articolata33: καὶ ὁ περὶ τῷ ϲτόματι πεπηγὼϲ ἀφρὸϲ καὶ τὸ περιπεπηγὸϲ καὶ ἐξηραμμένον ὀπῶδεϲ δάκρυον, οἷον λιβανωτὸϲ ⟨καὶ⟩ κόμμι (“la schiuma coagulata intorno alla bocca, e la lacrima densa che si coagula tutt’attorno e scorre, come l’incenso e la gomma”34). Poiché sulla base di arpocrazione sembra ragionevole attribuire a didimo la citazione del passo euripideo (eur. Or. 220: πελανόϲ come “schiuma alla bocca”), l’ipotesi più economica è che anche gli altri esempi risalgano al Calcentero35, e in effetti essi nel loro insieme offrono supporto all’interpretazione (b) di πελανόϲ come πέμμα, che a lui risale (vd. sopra): anche la “pasta” infatti è qualcosa di “coagulato”, rientra cioè nella categoria definita da πᾶν τὸ πεπηγόϲ. il nostro commentario offre dunque due spiegazioni alternative di πελάνεια (in connessione con πελάζω oppure per derivazione da πελανόϲ nel senso di πέμματα) che implicano due etimologie diverse e altrove documentate di πελανόϲ. Queste ultime si ritrovano in coppia in Phot. π 539 theodoridis = Sud. π
Le diverse accezioni del verbo παλύνω sono variamente applicate agli altri passi omerici in cui esso ricorre (Il. xi 640; xViii 560; Od. x 520; xi 28; xiV 77) nella relativa tradizione esegetica. 33 Gli esempi ricorrono, in varie combinazioni, nella tradizione scoliastica e lessicografica: cfr. Σ π 273 Cunningham (schiuma alla bocca + liquido lacrimale); l’esempio del liquido lacrimale che si condensa vicino all’occhio è descritto con speciale cura in sch. aeschl. Pers. 204 (ἐπὶ ῥύπου τοῦ κατ’ ὀφθαλμόν, οἷον λήμηϲ). 34 κόμμι è la “lacrima”, ovvero “resina” (o anche “gomma”) ottenuta dall’acacia: hdt. ii 86 e 96 (cfr. Lloyd 1989, pp. 309 e 318); Sud. κ 1997 adler. 35 Cfr. già tresp 1914, p. 98 (il suo tentativo di risalire oltre apollonio di acarne e fino a Filocoro non può essere discusso in questa sede). 32
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928 adler, ma nella voce della Suda l’espressione ὡϲ αὐτόϲ φηϲιν (assente nell’altrimenti identica voce di Fozio) presuppone una fonte in cui fosse ovvio che il pronome αὐτόϲ è riferito a Platone36, ed entrambe le etimologie trovano riscontro, rispettivamente, nelle voci π 20 Valente (= 346 Bonelli) πελάτηϲ e π 18 Valente (= 344 Bonelli) πέλανοι del lessico platonico di timeo sofista (riferibili, nell’ordine, a Plat. Euthyph. 4c 1-4 e Lg. 782c 4). in Plat. Lg. 782c i πέλανοι sono compresi tra le offerte sacrificali rigorosamente incruente tipiche dell’antico stile di vita orfico (πέλανοι δὲ καὶ μέλιτι καρποὶ δεδευμένοι καὶ τοιαῦτα ἄλλα ἁγνὰ θύματα) al quale fu specialmente attento Porfirio (Vita Pythag. 36 ἀλφίτοιϲ τε καὶ ποπάνῳ καὶ λιβανωτῷ καὶ μυρρίνῃ; De abst. iV 22, legge di dracone sui sacrifici incruenti da offrire agli dèi ἰδίᾳ, “in privato”37, ϲὺν εὐφημίᾳ καὶ ἀπαρχαῖϲ καρπῶν ⟨καὶ⟩ πελάνοιϲ ἐπετείοιϲ; cfr. anche Poll. i 25, 2 δεῖ δὲ προϲιέναι πρὸϲ τοὺϲ θεοὺϲ … λιβανωτὸν καθαγίζειν … Θουκυδίδηϲ38 δ’ αὐτὰ εἴρηκεν ἁγνὰ θύματα, πρὸϲ τὰ αἱμάϲϲοντα καὶ ϲφαττόμενα ἀντιτιθεὶϲ ϲμύρναν, λιβανωτόν). apparentemente, un interprete (neo)platonico da un lato applicò a Plat. Lg. 782c la spiegazione accolta da didimo (sintetizzata in Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler nell’espressione πέμματα ἐκ παιπάληϲ) e dall’altro prese in considerazione, a partire dal passo dell’Eutidemo, l’etimologia alternativa che riconduceva πελανόϲ a πελάζω e all’attività del(lo) (ἱερο)πελάτηϲ. La ‘concorrenza’ delle due interpretazioni è presupposta già in nicandro, Al. 488 (talvolta al paziente intossicato conviene propinare κεδρινέηϲ πελάνου βάροϲ … πίϲϲηϲ: il poeta gioca sull’ambiguità semantica di πελανόϲ, “obolo” ma anche “resina”, vale a dire qualcosa di ‘coagulato’: cfr. sch. ad l.). in conclusione, con ogni probabilità sia il commentario ermopolitano sia gli esegeti (neo)platonici, come pure Phot. π 539 theodoridis = Sud. π 928 adler (verisimilmente per il tramite della Synagoge)39, fanno capo a didimo, il quale avrà registrato anche le interpretazioni che non condivideva (ivi inclusa quella di dionisio trace). Vogliano suppose che il lemma πέλαινα in hsch. π 1281 hansen (dove l’ultimo editore corregge πέλα[ι]να) derivi da grafia itacistica (πελάνια in luogo di πελάνεια, con conseguente erronea anticipazione dello iota)40 dell’antimacheo πελάνεια. La spiegazione esichiana è però formulata in termini (πόπανα, μειλίγματα) non coincidenti con quelli usati nel commentario e nelle fonti pa-
Come notano nicholas-whitehead 2013 a proposito di Sud. π 928 adler. Questo avverbio ricorre più avanti nel commentario antimacheo: vd. a rr. 13-21. 38 Come suggerì Bethe, Θουκυδίδηϲ è forse un lapsus in luogo di Πλάτων (con particolare riguardo a Plat. Lg. 782c). 39 “Possis etiam de synag. cogitare”, come suggerisce theodoridis, in apparato a Phot. π 539 (dove si legge: “vide Proleg. [de his vide supra Vorw. p. Viii]”): lo studioso non ha purtroppo avuto il tempo di illustrare più ampiamente le sue opinioni in proposito. 40 Cunningham ad l. annota che la voce compare “contra ordinem, sed ft. recte siquidem ad antim. spectat”. 36 37
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rallele qui analizzate. d’altra parte, le voci hsch. π 1282-1285 hansen propongono informazioni coerenti con queste ultime: anche in questo caso, è possibile che esichio conservi in modo più ricco i resti della medesima discussione testimoniata nel commentario da hermoupolis. 8 ν[η]λείταιϲ. antim. fr. 177 w. = 102 m. il precedente omerico (Od. xVi 317 = xix 498 e, con lieve variazione, xxii 418) è riferito alle ancelle della casa di odisseo (γυναῖκεϲ δμῳαί nelle parole di euriclea: Od. xxii 421-422). è probabile che in antimaco si tratti delle ancelle che compaiono nel lemma di col. ii 26, plausibilmente identificabili con le παρθένοι che recano acqua per i lavacri dalla fonte Fisadia (vd. a col. ii 12-13 e 16-21), acconciate forse come descritto nel lemma di col. ii 4 e ancora in azione nel lemma di col. ii 43. La tradizione manoscritta e le fonti esegetiche sono incerte sul vocalismo e sul significato dell’aggettivo omerico: antimaco lo adegua al maschile ἀλείτηϲ, riferito in Od. xx 121 ai Pretendenti sui quali (come sulle ancelle infedeli) incombe la vendetta di odisseo. Qui come altrove, la sua poesia mostra di essere il più antico anello a noi noto di una catena ermenutica (riguardante in questo caso il valore del prefisso νη-): il poeta riprende una parola omerica ‘problematica’ e la colloca in un contesto metrico e semantico che ne detta grafia e senso. 8-9 ἀναμαρτήτοιϲ̣ – νηλ[εί]τιέϲ̣ ε̣ἰ̣[ϲ]ι̣ν. L’integrazione νηλ[εί]τιεϲ è imposta dallo spazio in lacuna e dall’analogia con il lemma antimacheo: ne risulta una variante omerica non attestata altrove, ma che va incontro a una proposta di Lobeck (1843, p. 377: “nihil vero difficultatis habet νηλίτιεϲ (ut νήϲτιεϲ) vel νηλίτεεϲ νηλίτειϲ, nec displicet νηλήτειϲ”). il commentatore adotta la stessa spiegazione proposta nel frammento di lessico P.oxy. xxii 2328, databile al i/iip, dove νηλείτηϲ è glossato ἀναμαρτητ[ : essa si ritrova in ap.soph. p. 116, 22 Bekker41 (il codex Coislinianus presenta qui un testo molto tormentato) che, attribuendo valore negativo al prefisso νη-, deriva l’aggettivo παρὰ τὸ μὴ ἀλιτεῖν42. il lessicografo segnala che si tratta di un hapax omerico (ricorre infatti esclusivamente in riferimento alle ancelle della
41 haslam 1994b non include P.oxy. xxii 2328 tra i sette testimoni papiracei sicuramente pertinenti al lessico di apollonio sofista. 42 del tutto convincente (cfr. hsch. ν 478 Latte) l’emendamento di Villoison, il quale corresse la lezione tràdita παρὰ τὸ μὴ ἀλγεῖν. La voce è corrotta anche nella sua parte iniziale (νηλεῖϲ οἷον νηλεεῖϲ): Villoison emendò in νηλέϊ οἷον ἀνηλεεῖ; mh suggerisce di distinguere una voce νηλεῖ{ϲ} οἷον ⟨ἀ⟩νηλεεῖ (“fort. et plura post ἀνηλεεῖ perdita”) dalla seguente, integrata come ⌊νηλιτεῖ⌋ϲ: ἀναμάρτητοι κτλ (“non ad νηλιτεῖc sed ad νηλίτιδεc refert Lehrs 151 sine causa”). si potrebbe pensare anche a νηλ⟨ιτ⟩εῖϲ: οἷον νηλ⟨ητ⟩{ε}εῖϲ, con riferimento alla forma eolica con η al posto di ι nella seconda sillaba secondo l’opinione dei Τεχνικοί (riferita in Sud. ν 315 adler; cfr. EM. p. 603, 53-57 Gaisford).
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casa di odisseo) e riferisce l’opposta opinione di aristarco, il quale intese invece il termine nel senso di ἁμαρτωλοί perché attribuiva valore intensivo al prefisso νη- come già, prima di lui, apollonio rodio (Arg. iV 703 νηλητεῖϲ ἱκέται in un contesto in cui, come in antimaco, compaiono dei supplici, tuttavia sicuramente colpevoli)43. Come apprendiamo dallo sch. Ariston. Il. iii 28b (a), del sostantivo ἀλείτηϲ si era occupato in precedenza Zenodoto, proponendo la variante ἀλείταϲ (“i colpevoli”: τὰϲ ἁμαρτίαϲ ἐκλαμβάνων, come annota lo scolio) in luogo di ἀλείτην (riferito a Paride: interpretazione preferita dalla voce anonima dello scolio). 9-10 Μ[αῖα]ν – λελο[χ]υῖα. antim. fr. 178 w. = 103 m. Lo spazio bianco che separa μ[]ν da quel che segue è probabilmente dovuto alla perdita (antecedente la scrittura) di una piccola porzione dello strato superiore del supporto, osservabile anche nei due righi sottostanti (si noti in particolare a r. 11 lo spazio che separa τ ed ω nel pronome αὐτῶι). dopo μ[]ν Vogliano legge τριϲκ̣[α]ιδ[ , quindi ipotizza una errata grafia della prima lettera di r. 10 (un chiarissimo μ) aggiungendo che: “nello spazio vacuo, tra μ[άτη]ν e τριϲκ, deve prendere posto un monosillabo lungo” (p. 55) col quale inizierebbe un esametro così ricostruito: ⟨−⟩ τριϲκαιδ[ε|κάτην τέκνων καὶ ἳν λελοχυῖα; μ[]ν, parola finale del verso precedente, sarebbe “un nome proprio o meglio una denominazione che ad esso riconduca” cui riferire τριϲκαιδ[ε|κάτην (nel lemma) ma anche la mal conservata parte iniziale della nota di commento (vd. a col. ii 10-11). La proposta di Vogliano (accolta da wyss e matthews) è poco convincente poiché suppone due errori da parte dello scrivente, che avrebbe tralasciato il monosillabo iniziale dell’esametro e, subito dopo, avrebbe scritto μ in luogo di κ44. Latte, seguito da snell, pensa a un participio coordinato col seguente λελοχυῖα e propone κα̣λ̣έ̣[ουϲα] (κ[α]λ̣έ̣ϲ̣[αϲα mh); all’inizio del lemma, snell (1939, p. 533) suggerisce μ[αῖα]ν, con riferimento a un verso di isillo (iG iV2 128, 50), giungendo alla ricostruzione μ[αῖα]ν|τρ̣ὶϲ κα̣λ̣έ̣[ουϲα] μάτην τέκνων. a ulteriore sostegno delle proposte di snell, si può ricordare che secondo hsch. λ 1310 Latte μαῖα è sinonimo di λοχία (appellativo di artemide che compare in un lemma successivo: vd. a col. ii 33-34); per la triplice invocazione di una partoriente
43 analogamente aristarco preferiva νήδυμοϲ a ἥδυμοϲ, lezione invece probabilmente adottata da antimaco (cfr. schironi 1999, p. 286, con rinvio a matthews ad antim. fr. 74). L’ulteriore esempio addotto in sch. V Od. xix 498 dimostra che persino l’‘antimacheo’ nicandro (Ther. 33) considerò intensivo il prefisso νη- dell’aggettivo νήχυτοϲ, in ciò seguendo Filita (fr. 24 sbardella: il frammento è tramandato in EM. p. 602, 40 Gaisford, s.v. νη, dove sono addotti anche gli esempi νηλήϲ e νήνεμοϲ), Call. Hec. fr. 11 hollis = 236, 3 Pfeiffer e ap.rh. iii 530, iV 1367. Cfr. sbardella 2000, p. 156; rengakos 1994a, pp. 92-93. 44 “if the editor has to accept a mistake in a lacuna, there is almost certainly something wrong” (Pestman 1990, p. 14).
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alla dea preposta alle nascite cfr. hor. Carm. iii 22, 1-4 Montium custos nemorumque virgo / quae laborantis utero puellas / ter vocata audis adimisque leto / diva triformis. Penserei più volentieri a una forma finita del verbo κλῄζω (“celebro/invoco”; cfr. eur. Iph.Aul. 1522-1523: κλῄϲωμεν Ἄρτεμιν, θεῶν ἄναϲϲαν, ὡϲ ἐπ’ εὐτυχεῖ πότμῳ), con dieresi sullo ι per segnalarne l’autonomia fonetica e metrica rispetto al precedente η. da qui la restituzione: Μ[αῖα]ν | τρὶϲ κ[λή]ϊ[ϲ]ϲ[ε μάτην τέκνων (“la Levatrice dei figli per tre volte vanamente invocò”). La forma verbale ἐκλήιϲϲε si trova in un frammento papiraceo adespoto per il quale maas ritenne possibile l’attribuzione ad antimaco (Psi xiV 1385 = SH 953, 16, dove si segnala la forma -κληιϲϲε(ν) in Call. fr. 63, 5). La prossimità dell’avverbio μάτην al seguente τέκνων può richiamare alla mente le parole di cori tragici che compiangono maternità terribilmente infelici come quelle di medea (eur. Med. 1261-1262 μάταν μόχθοϲ ἔρρει τέκνων / μάταν ἄρα γένοϲ φίλιον ἔτεκεϲ) e di megara (eur. H.F. 901-902 ϲτένω πατέραν τάν τε παιδοτρόφον, ⟨ἇι⟩ μάταν τέκεα γεννᾶται). in un contesto argivo (vd. a col. ii 12-13 e 13-21) può essere pertinente il confronto con il lamento delle madri di argo che, ormai ἄτεκνοι, rimpiangono fatiche e gioie dell’avere figli (eur. Suppl. 1134-1135 ποῦ δὲ πόνοϲ ἐμῶν τέκνων / ποῦ λοχευμάτων χάριϲ). Già in eschilo le giovani tebane non sanno se e come piangere i δυϲδαίμοναϲ ἀτέκνουϲ πολεμάρχουϲ che tanto terrore hanno portato a tebe (aeschl. Sept. 827-828 “signori della guerra, perseguitati da un dèmone avverso”), ἀτέκνουϲ forse non perché “privi di figli” ma perché “disgraziati nella loro discendenza”45. Per antimaco, si potrebbe pensare a un collegamento con il χηρήιον οἶκον del fr. 81 w. = 134 m. (espressione tramandata in hsch. χ 415)46. diversamente, si può pensare a un aggettivo che prosegue in ekthesis al r. 10. Le parole possibili sono ben poche, tanto più che la sillaba che precede ματην deve essere breve. Aὐτο]μάτην è attraente (vd. col. ii 13-21) ma ben quattro lettere dovrebbero essere perdute in fine di rigo: e.g. μ[αῖα]ν | τρ̣ὶϲ κ[λ]ῆ̣ι̣ϲ̣’ [Aὐτο]μάτην τέκνων καὶ ἳν λελο[χ]υῖα (in nonn. Dion. ix 6 αὐτομάτη ... μαῖα è la mano di Zeus che scuce i lacci per far nascere dioniso dalla sua coscia). il participio λελοχυῖα è altrimenti attestato solo come lemma in hsch. λ 629
45 Come suggeriscono gli scolii (cfr. Lloyd-Jones 1959, pp. 90-91): sch. aeschl. Sept. 828 (a) ἐπὶ κακῷ τεχθένταϲ, (b) τοὺϲ ἐπὶ κακῷ τεκνωθένταϲ, τοὺϲ μὴ τεκνογονήϲανταϲ, (c) τοὺϲ ἐπὶ κακῷ τεκνωθένταϲ, (d) τοὺϲ ἐπὶ κακῷ τεχθένταϲ ἢ ἀτέκνουϲ θανόνταϲ· οἳ δή, φηϲίν, ὀρθῶϲ κατ’ ἐπωνυμίαν πολυνεικεῖϲ ὤλοντο, (e) τοὺϲ ἐπὶ κακῷ τεκνωθένταϲ τῷ πατρὶ καὶ τῇ μητρί, (f ) τοὺϲ μὴ τέκνα εἰϲ διαδοχὴν τοῦ γένουϲ αὐτῶν λιπόνταϲ; (g) καὶ κακοπαῖδαϲ, ἤγουν κακοὺϲ παῖδαϲ ἐπὶ κακῇ μοίρᾳ γεγενημένουϲ. 46 altre possibilità in luogo dell’integrazione μ[αῖα]ν contemplano, per esempio, μ[ῆνι]ν (la madre che invoca, per scongiurarla, l’ira dei figli di edipo). inoltre μάτην, se inteso come sostantivo (acc. sg. femm.), potrebbe essere riferito alla “follia” (soggettiva) d’aver figli, oppure a quella (oggettiva) dei figli stessi: il tema della follia ‘generazionale’ sarebbe consono in una Tebaide. cfr. hsch. α 3071 Latte-Cunningham, s.v. ἀλιτόκαρπον: ματαιότεκνον (ripreso in EM. p. 65, 15 Gaisford; vd. LSJ s.v. ματαιότεκνοϲ: “having illegitimate children”).
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Latte, dove è interpretato come intransitivo: λεχὼ γενομένη, “dopo aver partorito”, una spiegazione che appare consona al contesto antimacheo testimoniato dal commentario ermopolitano. in tal caso, il verbo non può reggere il pronome anaforico ἵν, che è riferito presumibilmente al neonato e sul quale sembra concentrarsi l’attenzione del commentatore (vd. il commento a col. ii 10-11). Questi non sembra occuparsi del significato di λελοχυῖα, a meno che al participio si riferissero le parole iniziali della spiegazione, ora gravemente danneggiate. 10-11 ιν [] – θανάτοι[ο]. Le parole iniziali della spiegazione sono di ardua lettura e difficile integrazione. Vogliano decifrò πιν[]ημε[]α[], individuò una possibile corruttela (πιν invece di την: ma la decifrazione τ̣ην̣ è possibile se si ammette la perdita del tratto centrale di η, accidentalmente abraso), suggerì di leggere ἡμε[ρ]α e che qui si trovasse “il nome della persona” (presumibilmente la τριϲκαιδ[ε|κάτην ipotizzata a col. ii 9-10)47, per chiedersi infine: “Ma come si spiega che tutte queste corruttele siano state lasciate sussistere?” (p. 55). diversamente, snell (1939, p. 533) considerò μέγ̣α “nach der tafel fast sicher”, interpretò gli spazi lasciati in bianco dopo μ[]ν (r. 9) e dopo λελο[χ]υῖα (r. 10) come segnali della fine di due esametri, e ritenne che a r. 10 (π̣ιν[]η μέγ̣α) proseguisse ancora il lemma, “denn es fehlt noch das Verb, von dem ἵν abhängt; also steckt in π̣ιν[]η ein Partizip mit der Bedeutung ‘flehend zu’ oder ähnlich”. Combinando le proposte di Vogliano e snell si potrebbe pensare a πιν[υτ]ὴ μέγα (“molto assennata”, detto della protagonista), come parte (metricamente discontinua) del lemma48 o come giudizio del commentatore sul comportamento descritto nel verso. tuttavia, le minime tracce superstiti prima e dopo la lacuna mal si conciliano, rispettivamente, con υ e τ richiesti dall’integrazione πιν[υτ]ή. inoltre, in questo commentario la particella δέ introduce di norma una interpretazione diversa, o comunque ulteriore rispetto a un’altra precedentemente proposta: se ne può dedurre che le parole che precedono τὴν δέ appartengono al commento, e non al lemma. Va in questa direzione il tentativo di mh (comunicato per litteras), il quale sospetta l’intrusione di una voce metrologica riguardante lo ἵν (egiziano hnw), misura per liquidi in uso nell’egitto di epoca romana: τὸ ἳν ξε(ϲτῶν) ιη´ μέγα (sc.
Ἡμέρα (la “mite”) è epiteto di artemide di Lusi in arcadia, dove un tempo la dea placò la follia indotta da era nelle figlie di Preto, esule volontario da argo per sottrarsi al dissidio col fratello (Call. H. 3, 236: cfr. Bornmann 1968, pp. 112-113; moggi-osanna 2003, pp. 372-374). 48 La πινυτή (“prudenza”, che utilmente si combina con la bellezza; aggettivo corrispondente: πινυτόϲ, πινυτή) è una qualità ripetutamente attribuita a Penelope (Od. xi 445; xx 131; xxi 103; xxiii 361); è anche il dono di era alle figlie di Pandareo (Od. xx 71). Plut. An seni resp. 797e sottolinea che si tratta di un termine poetico (i vecchi possono utilmente far politica in virtù, tra l’altro, φροντίδοϲ πινυτῆϲ, ὡϲ δὴ ποιηταὶ λέγουϲιν). 47
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ἐϲτίν), “a hin of 18 xestai is a great hin”, avallato da epiph. Mens. s.v., τὸ ἳν μέγα ξεϲτῶν ἐϲτι ιη΄. Questa ipotesi implica che la forma ἵν del pronome poetico abbia richiamato alla mente del commentatore la parola egiziana omofona e lo abbia indotto ad appuntare qui una definizione “scolastica” del termine: “this is of course quite irrelevant to the antimachus passage, but it does address the meaning of the word ἱν”49. La seconda parte della nota riguarda il pronome anaforico di terza persona singolare ἵ/ ἵν. si tratta di una forma pronominale assai rara: cfr. humbert 1972, pp. 25-26, il quale adatta tacitamente il testo della voce esichiana ι 647 in modo che esso risulti coerente con l’affermazione secondo cui la forma pronominale “remplissait, selon hésychius, la fonction d’accusatif, comme l’indique sa glose: ἰν· αὐτὴν. αὐτόν. Κύπριοι”. nella edizione di Latte, tuttavia, il testo è il seguente: ἵν· αὐτῇ. αὐτήν (αὐτόν Cyrilli familia n). Κύπριοι. il commento papiraceo adduce due attestazioni dell’uso di questo pronome: una omerica, l’altra esiodea. è rimarchevole che la prima sia realizzata con un semplice rimando al libro xxii dell’Iliade (ἐν τ̣ῶ̣ι̣ Χ, laddove ci si aspetterebbe ἐν τῆι X, sc. ῥαψωδίᾳ, come nota mh; si dovrà allora sottintendere βιβλίῳ, come per esiodo e antimaco stesso a col. ii 11 Ἡϲίοδοϲ δ[ὲ ἐν τ]ῶι ε e col. ii 52 ἐν δὲ τῶ̣ι γ τ̣ῆ̣ϲ̣ [Θ]ηβαΐδοϲ) secondo l’ekdosis aristofanea, non soltanto senza citazione del testo omerico, ma anche senza menzione del nome del poeta: una circostanza che si è tentati di interpretare come il segno che la relazione emulativa di antimaco con omero fosse ritenuta privilegiata e in un certo senso necessaria. Quanto al luogo omerico, proprio grazie al nostro commentario è possibile far risalire ad aristofane di Bisanzio l’interpretazione attribuita da apoll.dysc. Pron. pp. 55, 7-56, 12 schneider a ἔνιοι che in Il. xxii 410 leggevano ὡϲ ἵ in luogo di ὡϲ εἰ, intendendo ἵ nel senso di αὐτή (ἐκδεχόμενοι τὸ αὐτή, ἡ Ἴλιοϲ) ovvero come forma pronominale rafforzativa (ὡϲ ἳ ἅπαϲα Ἴλιοϲ ὀφρυόεϲϲα πυρὶ ϲμύχοιτο κατ’ ἄκρηϲ, “come se la stessa ilio intera precipitando si consumasse nel fuoco”). Questa tesi era giudicata da altri un “eccesso di zelo” (περιέργωϲ), perché il pronome era ignoto a omero: sch. Hrd. Il. xxii 410a (a) οὐκ οἶδεν δὲ ὁ ποιητὴϲ οὔτε τὴν ἵ οὔτε τὴν ϲφεῖϲ; sch. ex. Il. xxii 410b (T) ἀλλ’ οὐ χρῆται αὐτῇ ὁ ποιητήϲ. a dimostrazione del valore anaforico di ἵ (ribadito in Pron. p. 60, 20-21 schneider), apollonio adduce inoltre un luogo dell’Enomao di sofocle (fr. 471 radt), citato come testimone ἀξιοπιϲτότεροϲ50, assente invece nel commentario (che si limita agli
49 ricorrere all’ipotesi di un’intrusione esegetica per risolvere l’impasse testuale può suonare in sé scarsamente economico, ma non si può escludere che la dimensione privata e quotidiana dello scrivente abbia fatto capolino nel testo. ‘interferenze’ di questo tipo sono documentate. un esempio è la spiegazione bilingue greco-copta a theocr. 24, 160-165 in P.ant. s.n. (mP3 1487; LdaB 4004), f. B9r, che tradisce l’appartenenza culturale (egizia) dell’annotatore (grecofono) del papiro: montana 2011. 50 il frammento sofocleo compare anche negli scolii omerici ad Il. xxii 410 come caso certo di uso
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esempi epici). L’attestazione esiodea è invece completa di citazione; l’anacoluto che indusse Vogliano a trasporre ἔϲ̣[τι]ν εὑρεῖν prima di Ἡϲίοδοϲ è sintomatico di un assemblaggio selettivo e informale delle notizie: il commentatore non fa nessun riferimento esplicito agli avversari di aristofane di Bisanzio, non adduce esempi tratti da autori non epici (vd. anche più avanti), tralascia forse il verbo da cui dipende τὴν (sc. ἀντωνυμίαν) δὲ ἵν51, così come quello di cui il nome di esiodo era soggetto (in entrambi i casi si può pensare a οἶδεν: cfr. sch. Hrd. Il. xxii 410a (a), citato sopra), quindi introduce un passo del Catalogo delle donne (fr. 245 merkelbach-west) in cui “si può trovare” (con certezza, diversamente che nel discusso luogo omerico) il pronome ἵν, infine la stessa citazione esiodea compare abbreviata e variata rispetto ad apollonio discolo, Pron. p. 82, 21-25 schneider (ma solo dal nostro commentario apprendiamo che il frammento esiodeo viene dal quinto libro del Catalogo delle donne). apollonio tratta specificamente della forma ἵν, in quanto equivalente al dativo singolare οἷ (l’intera sezione Pron. p. 82, 14-25 schneider è dedicata al dativo del pronome di terza persona singolare): dopo avere affermato che ἵν corrisponde a τιν (τῇ τιν ϲύζυγοϲ ἡ ἵν, τοῦ τ ἀρθέντοϲ), egli adduce l’esempio esiodeo ἳν δ᾿ αὐτῷ θανάτου ταμίηϲ (che si ritrova anche nel commentario, ma privo della parola ταμίηϲ e con la variante θανάτοιο)52 e prosegue aggiungendo che antimaco (fr. 139 m. = 92 w.), come Corinna (PmG 681)53, fece uso del pronome nella forma estesa ἑΐν, derivata da τεΐν; infine afferma che questa forma pronominale era talvolta usata per l’accusativo (Pron. p. 82, 25 schneider ἐπὶ αἰτιατικῆϲ ἔϲθ’ ὅτε παραλαμβανομένη)54. se il luogo antimacheo cui apollonio discolo fa riferimento (senza citarlo) fosse lo stesso riportato come lemma nel commentario (ma con la grafia ἵν della forma pronominale), avremmo a che fare con una varia lectio55: per conseguenza, antim. fr. 139 m. = 92 w. sarebbe delendum. supponendo che questa ipotetica variante fosse discussa (senza alcun riferimento a Corinna) all’inizio della nota di commento, qui si potrebbe celare una confutazione dell’uso della forma ἑΐν: e.g., τ̣ὴν [ἳν] μ̣ὴ μετ̣ὰ [ε]: “non (si scriva) il (pronome) hin con ε”.
del pronome ἵ. ruijgh (1991, p. 63) ha evidentemente presente apollonio discolo allorché osserva che questo pronome “figure en style indirect dans une proposition infinitive ou participiale ou dans une subordonnée en se référant au sujet de la phrase principale qui domine la proposition en style indirect”. 51 Come osserva radt (ad soph. fr. 471), il commentatore “debuit ἳ” dove si legge invece τὴν (sc. ἀντωνυμίαν) δὲ ἵν: è possibile che il pronome sia stato erroneamente attratto nel caso dell’articolo che lo introduce (mh per litteras). 52 Questo verso è provvisto di varianti anche nel testimone di tradizione diretta P.turner 1 (r. 62). allo stesso luogo esiodeo è sicuramente riferibile la voce hsch. ι 662 Latte. 53 Punti di contatto di antimaco con Corinna e con la poesia lirica corale: wyss 1936, p. xiii. 54 δοτικῆϲ a b in textu, αἰτιατικῆϲ b in var. lect., skrzeczka: si veda l’argomentazione di schneider in favore della lezione αἰτιατικῆϲ (p. 109 della sua edizione del De pronominibus). 55 Varianti in un verso antimacheo sono attestate e discusse a col. ii 33-34.
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L’informazione riguardante aristofane di Bisanzio deve derivare da una fonte anteriore ad apollonio discolo e da questi condivisa, in cui aristofane compariva nominatim (e così forse i suoi avversari) e le informazioni riguardanti il pronome ἵ in tutti i suoi casi si trovavano forse riunite ed esposte distesamente, laddove il nostro commentatore le riduce e seleziona a fini ‘antimachei’, ed apollonio per parte sua le distingue e organizza in base alla funzione. si può pensare a trifone, cui apollonio fa riferimento in Pron. pp. 55, 26-56, 6 schneider allorché rintraccia il pronome ἵ, incluso παρὰ τοῖϲ Ἀττικοῖϲ nel sostantivo ἰωροί (inteso come οἱ αὐτῆϲ τῆϲ πόλεωϲ φύλακεϲ) e παρὰ Ῥοδίοιϲ nel sostantivo ἵγνητεϲ (ovvero αὐθιγενεῖϲ), per ricollegarsi appunto a trifone, il quale a sua volta individuava lo stesso pronome come componente del sostantivo ἴον (femm. ἴα), da cui faceva derivare τὸ οἶοϲ κατὰ πλεοναϲμὸν τοῦ ο. 12-13 ὕδ[ατι] – ἀλυ̣[ . antim. fr. 179 w. = 104 m. il riferimento a Fisadia situa sicuramente ad argo i fatti narrati: qui tornò Callimaco, H. 5, 47-48 e fr. 66 Pfeiffer = 165 massimilla (vd. a col. ii 13-21). in euforione (fr. 23 Powell = 25 van Groningen = 27 Lightfoot = 30 acosta-hughes – Cusset) Fisadia può identificarsi con la πηγὴ Ἀμφιαράου che nella descrizione di Pausania (ii 37, 4) si incontra subito dopo la sorgente del fiume amimone56: i cavalli che riconducono anfiarao ad argo giungono, scalpitanti e con polverose criniere (κονιϲαλέῃϲιν ἐθείραιϲ), proprio a Fisadia dalla bella corrente (καλὰ νάουϲαν). il riuso del raro aggettivo κονιϲάλεοϲ suggerisce simpatie antimachee (cfr. antim. fr. 36 m. = 39 w.), ma l’attributo di Fisadia riecheggia quello di automate in Call. fr. 65 Pfeiffer. il lemma è tratto da tre esametri consecutivi, solo il secondo dei quali è citato per intero. La lacuna dopo Φυϲαδειοθ[ non sembra sufficientemente ampia da accogliere la pur attraente integrazione Φυϲαδειόθ[εν ἦ⟨ε⟩ν τῶ]ι proposta da wyss (ἦεν è accolto da Vogliano 1937; ἤιει maas). all’inizio del primo esametro, Latte (ap. wyss) suggerì l’integrazione λούϲατο δ(ὲ) certamente ispirata da λούονται nel passo di Callimaco (fr. 65 Pfeiffer) addotto a confronto a col. ii 15-16 (Callimaco usa lo stesso verbo, sempre in riferimento a lavacri dopo il parto, anche in H. 1, 17 e H. 4, 124). soggetto e oggetto di λούϲατο sarebbero alla fine del lemma precedente (r. 10): rispettivamente, la λελοχυῖα e il pronome ἵν, riferito al neonato. anche Vogliano (p. 61) e wyss (p. 90), pur non accogliendo nel testo il supplemento di Latte, indicano la perdita del metron iniziale del primo esametro di questo lemma (così ancora matthews, e già snell 1939, p. 533). Prima di π]ρότερα̣ι̣57, propongo di recuperare la congettura
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Falivene 2016. il testo come proposto nel 1937 da Vogliano è κα]ὶ γὰρ κα[ὶ ]ροτερε̣ιπ[ : la trascrizione diplomatica
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π[οτ’]58 e, di seguito, Ἀχαιΐδε̣ϲ̣: la dieresi è apposta dallo scrivente come aiuto alla corretta comprensione della parola, che si trova nella stessa posizione metrica in Il. ii 235 e Vii 96, e in diversa posizione in Il. ix 39559. in quel che segue, la verifica sulla riproduzione digitale del papiro conferma le decifrazioni φι alla fine di r. 12 (la traccia precedente, tondeggiante, è compatibile con ϲ) e ζε all’inizio di r. 13. “dopo il ζε, non pare ci fosse altro: se c’era per esempio un iota, avrebbe dovuto essere collegato con l’ε, come d’abitudine nel nostro papiro” (Vogliano); a mio avviso, poteva tuttavia seguire la lettera τ, non legata al precedente ε (come a r. 29 δετονοφ e anche, con minore evidenza, a r. 32 ϲφετερ e r. 39 μετα): in tal caso, si può pensare a ὣ̣ϲ̣ [νο]ϲ̣φίζε[το60 da cui far dipendere il genitivo di allontanamento λεκχ]ώ⟨ι⟩οιο (snell)61, con iota muto e rafforzamento del fonema gutturale (fenomeno documentato epigraficamente per il sostantivo λεχώ: vd. LsJ s.v.) rispetto alla forma λεχώϊον (“luogo del parto”), la sola attestata per questo sostantivo (cfr. Call. H. 1, 14, in contesto comparabile, la nascita di Zeus)62. λεκχῴον = λεχώϊον corrisponderebbe a λοχεία nella nota di commento (rr. 20-21), dove non si sta “perdendo di vista l’oggetto principale” (Vogliano, p. 56), semmai ci si concentra sulla fase conclusiva del rito descritto dal poeta. Per l’ultima parola del lemma Latte propose l’integrazione ἀλυ̣[ϲκέμεναι, eccedente le dimensioni della lacuna: si può pensare ad ἄλυ[ξε(ν) (cfr. ap.rh. iV 735 ἀπονόϲφιν ἄλυξεν)63 da cui far dipendere il precedente λύθρων (genitivo di
offre invece ω]ιγαρ, presumibilmente ispirato da τῶ]ι γὰρ di wyss (meglio compatibile con le tracce). La traduzione proposta exempli gratia da Vogliano (“a lui in passato dissi …”) presuppone appunto τῶ]ι γὰρ in combinazione con π]ρότερ’ εἶπ[ον] Ἀχαιΐδα̣: wyss obiettò che “πρότερ(α) non est πρότερον”; Vogliano rispose (p. 55): “Questo naturalmente sapevo, ma d’altra parte non posso rinunciare alle tracce, che porterebbero ad escludere proprio quel [π]ρότεραι, che farebbe comodo”. si capisce che wyss (la cui edizione apparve nel 1936) aveva avuto anticipatamente contezza della mutata opinione di Vogliano, che nell’edizione del 1935 aveva effettivamente letto [π]ρότερα̣ι̣: a mio avviso, le tracce favoriscono questa lettura. 58 a suo tempo proposta da Latte ap. wyss (ma nel contesto di una diversa restituzione del verso: vd. l’apparato). 59 La forma ampliata Ἀχαιιάδεϲ, rispondente già nell’Iliade a diverse esigenze metriche (ad es. in Il. V 424), designa le donne di argo anche in Call. H. 5, 13. 60 appena compatibile con lo spazio disponibile in lacuna, ma preferibile a νόϲφιζε poiché νοϲφίζω si trova per lo più (in omero esclusivamente) usato nella forma mediopassiva. 61 Vogliano lesse ]λ̣̣ώοιο e, seguendo wyss, ritenne che non fosse da escludere un ottativo ‘dorico’ (p. 56). 62 “un parallelo per la duplicazione κχ, funzionale solo a chiudere la sillaba precedente, è σκύπφος per σκύφος in due frammenti della Melampodia esiodea (271-272 merkelbach-west), anacr. fr. 103 Gentili, Panyas. fr. 7 Bernabé, anaxim. BNJ 9 F 1. Vd. in proposito m.L. west, «the hesiod Papyri and the archaic epic Language», in G. Bastianini-a. Casanova (curr.), Esiodo. Cent’anni di papiri. atti del Convegno internazionale di studi (Firenze, 7-8 giugno 2007), Firenze 2008, pp. 29-42 (in part. p. 31)” (C. meliadò per litteras). 63 iato tra δὲ e ἀλυ[ : cfr. west 1966b, p. 22: “it appears that hiatus was commoner in antimachus
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allontanamento, come in soph. Ant. 488-489; El. 626-627)64. λύθρα (vd. a col. ii 23-26) ha lo stesso significato (“secrezioni”, “residui impuri del parto”) che ha in hipp. Epist. 17, 374 (ἐκ μητρώων λύθρων); cfr. Plut. De amore prolis 496b (nulla è più μιαρόν del neonato d’uomo, che nasce αἵματι πεφυρμένοϲ καὶ λύθρου περίπλεωϲ): λοετρά, λύματα, λόχια (vd., rispettivamente, a col. ii 13-21, 23-26, 33-34) ne sono sinonimi. il nuovo nato, la puerpera e chi l’aveva assistita erano contaminati fino a che non si fosse provveduto ai lavacri rituali dopo il parto (eur. Iph.Taur. 381-383; Censor. De die nat. 11, 7; cfr. Binder 1973, coll. 85-89; moulinier 1952, pp. 66-71, 160-168; Ginouvès 1962, pp. 235-238). 13-21 οὐκ ἀπ̣[ὸ] – λοετρά. La natura carsica del territorio dell’argolide (Lehmann 1937, pp. 50-58; Baladié 1980, pp. 110-115; musti-torelli 1986, p. 335; vd. anche tomlinson 1972, pp. 7-12) e il suo intricato e mutevole assetto idrogeologico rappresentano il referente reale del mito delle danaidi, che “fecero ricca d’acqua argo che ne era priva” (hes. fr. 128 merkelbach-west; cfr. strab. Viii 371: le danaidi inventrici della φρεωρουχία; cfr. eustath. ad Il. iV 171, p. 461, 56). di qui l’interesse di poeti ed esegeti per la natura, la localizzazione e le funzioni rituali delle risorse idriche della regione (Philippson 1959, pp. 138-141; Bulloch 1985, pp. 156-157; d’alessio 2004, pp. 116-118; massimilla 2010, p. 324; ornaghi 2015, pp. 45-47; Falivene 2016). il commentatore annota che Callimaco dissentì da antimaco riguardo alla provenienza (automate, non Fisadia) dell’acqua destinata ai lavacri delle partorienti. si tratta di un caso di applicazione della norma ἀμάρτυρον οὐδὲν ἀείδω (fr. 612 Pfeiffer) da parte del poeta alessandrino. Questo spiega l’ampiezza del commento, la cui prima parte comprende una citazione dall’aition dei Fontes Argivi (rr. 14-16: Call. fr. 65 Pfeiffer = 164 massimilla: il commentario ermopolitano ne è testimone unico)65, seguita dall’indicazione della fonte storiografica di Callimaco, agia e dercilo (r. 16), e dalla citazione del passo pertinente degli Argolika (rr. 16-21: FGrHist 305 F 4 = Agias et Dercylus fr. 4 Fowler). è apparentemente rispettata la qualità dorica della lingua letteraria dei due autori argivi (Cassio 1989)66. ai rr. 16-20 si individuano due gruppi di παρθένοι, le Ἡρεϲίδεϲ
than wyss thought”: meliadò 2006, p. 47 ne segnala tre in fr. 112, 3 m.; un altro, pure segnalato da meliadò, è nel lemma di col. ii 49 (= fr. 113 m.). 64 diversamente che in altri luoghi antimachei (vd. a col. ii 33-34), qui in λύθρω muta cum liquida non fa posizione. 65 non è forse necessario supporre che la lacuna iniziale di r. 15 contenesse più delle tre lettere finali di Αὐτομά|[τηϲ: lo scrivente non è costante nella spaziatura delle lettere; anche le lacune iniziali di rr. 16-21 potrebbero essere meno ampie (all’incirca di una lettera) di quanto supposto da Vogliano. 66 si notino in particolare, alla fine di r. 20, le forme doriche dell’articolo femm. gen. sg. (ἀπὸ τᾶϲ λοχείαϲ) e della terza persona plurale del pres. ind. (decifrazione non del tutto certa: φέρον̣[τι).
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(r. 17) e le Λοχεύτριαι (r. 19), che attingono acqua (rr. 16-17 ὑδρ̣[εύ]|[ονται; r. 19 ὑ]δρεύοντα[ι]) rispettivamente ἐ]κ μὲν τοῦ Ἱ[ππείου (r. 17)67 e ἀπὸ δὲ τοῦ Αὐτοματείου (r. 18). a rr. 18-19 gli editori integrano φ[έ|ρουϲαι (φέ[ροιϲαι Cassio, φέ[ρονϲαι west); maas propose invece φρ[έατοϲ, paleograficamente meno probabile (cfr. Vogliano 1935, p. 22, e di recente ornaghi 2015, p. 43). Per la lacuna iniziale di r. 20 (circa cinque lettere, cui segue una traccia compatibile con il secondo tratto verticale di un ν, oppure con ι) Vogliano, che non offre alcun supplemento, ritenne troppo lunga l’integrazione [γυναικῶν] di wyss, certo ispirata all’espressione omerica δμῳαὶ γυναῖκεϲ (ma il dittongo αι di questa mano può occupare lo spazio di una sola lettera), né fu persuaso da [δούλων] (maas ap. Vogliano), effettivamente ridondante se al centro del rigo si accoglie il supplemento τῶν δμ]ωΐδω[ν] (maas, Lobel, seguiti da tutti gli editori) dedotto dal lemma di r. 26 e dall’espressione λ̣οχ̣ ίην οἰκέτιν intesa come “serva partoriente” nel verso callimacheo citato a r. 15 (Call. fr. 65, 2 Pfeiffer = 164, 2 massimilla). tuttavia, la partoriente di Callimaco non necessariamente è di condizione servile: non è questo il valore di οἰκέτιϲ in theocr. 18, 38, dove la bella elena è una novella sposa e “padrona di casa” (cfr. anche Sud. οι 52 adler, s.v. οἰκέται· οὐ μόνον οἱ θεράποντεϲ ἀλλὰ καὶ πάντεϲ οἱ κατὰ τὴν οἰκίαν). a stare alle parole introduttive del commentatore, inoltre, il verso callimacheo sembra riguardare le partorienti argive tout court (r. 14 τὰϲ λεχοὺϲ λ[ούεϲθ]αι)68 poste a confronto con la λελοχυῖα di antimaco che, per parte sua, difficilmente sarà stata di condizione servile (se è lei a impartire ordini alle δμῳαί: vd. a r. 26). Per la lacuna centrale di r. 20 propongo, in luogo di δμ]ωΐδω[ν]69, il supplemento λεχ]ωΐδω[ν] e all’inizio di r. 20, avendo a mente il frammento callimacheo, suggerisco [ἐν οἰκία]ι̣70, che evidenzierebbe la dimensione domestica e privata (ribadita poco più avanti nello stesso rigo dall’avverbio ἰδία⟨ι⟩)71 degli eventi e dei gesti rituali
analoga attenzione si osserva, più avanti, per il dialetto ionico della forma verbale ἐνδέξεται (vd. a col. ii 26-32). 67 integrazione paleograficamente convincente avanzata da Lobel in luogo del supplemento Ἡ̣[ραίου proposto da Vogliano. Cfr. hsch. ι 789 Latte Ἵππιον: τὸ Ἄργοϲ· ἀπὸ Ἵππηϲ τῆϲ Δαναοῦ. 68 “non medium, sed activum expectamus” (Pfeiffer) per il verbo da cui deve dipendere λοχίην οἰκέτιν, mentre “in fine subiectum ad λούονται deesse videtur i.e. παρθένοι quae dicuntur Λοχεύτριαι”. secondo harder 2012, ii, p. 531, λοχίην οἰκέτιν potrebbe essere un accusativo di relazione che definisce l’ambito d’azione delle Λοχεύτριαι, soggetto di λούονται (“[non da Fisadia] ma da te, [fonte] di bella sorgente chiamata automate, si lavano della partoriente …”): questo tuttavia contrasta con la parafrasi del commentatore antimacheo, che fa delle partorienti il soggetto del verbo λούεϲθαι. 69 si perderebbe per tal via uno dei possibili poeticismi della lingua di agia e dercilo (Cassio 1989, pp. 205-206). 70 Volendo invece tener fede all’interpretazione di οἰκέτιϲ come “serva”, il gioco combinatorio dei supplementi possibili consente pur sempre [ἐν οἰκία]ι̣ … δμ]ωΐδω[ν, oppure [δούλω]ν̣ … λεχ]ωΐδω[ν]. 71 Come ben vide wyss, lo scrivente fu attento a segnalare l’accentazione e il conseguente valore avverbiale del termine.
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affidati alle Λοχεύτριαι. in Plat. Leg. 788a 5, il legislatore che si accinge a dettare norme sulla corretta educazione dei nuovi nati osserva che le pratiche che li riguardano, svolgendosi ἰδίᾳ καὶ κατ’ οἰκίαϲ, facilmente sfuggono alle sue intenzioni72. Le Λοχεύτριαι, dunque, attingevano acqua ἀπὸ δὲ τοῦ Αὐτοματείου (r. 18) in occasione di un parto (rr. 19-20) e poi portavano via dal luogo del parto (r. 20 ἀπὸ τᾶϲ λοχείαϲ) i λοετρά (r. 21): è verisimile che agia e dercilo contrapponessero la privatezza della loro sfera d’azione al carattere pubblico del rito celebrato dalle Ἡρεϲίδεϲ (r. 17)73, che attingendo acqua ἐ]κ μὲν τοῦ Ἱ[ππείου recavano lavacri a era “dell’acropoli”, o Ἀκρεία (r. 18; cfr. hsch. η 757 Latte Ἡρεϲίδεϲ: κόραι αἱ λουτρὰ κομίζουϲαι τῇ Ἥρᾳ). si può ipotizzare un collegamento (suggerito anche da ornaghi 2015, p. 47) con i riti lustrali e misterici celebrati dalle addette all’heraion (αἱ περὶ τὸ ἱερόν) con l’acqua ‘liberatrice’ corrente lungo la via che da micene conduceva all’heraion (Paus. ii 17, 1-3 ὕδωρ Ἐλευθέριον καλούμενον; vd. musti-torelli 1986, p. 267)74. secondo la descrizione di Pausania, l’heraion si trovava alle pendici del monte di eubea (alla sinistra di chi percorreva la strada da micene ad argo), mentre il monte di akraia si trovava sul lato opposto; ancora secondo Pausania (ii 24, 1), in cima a questo monte c’era l’acropoli (chiamata Larisa) di argo e chi saliva verso l’acropoli incontrava sia lo ἱερόν di era Ἀκραία (Ἀκρεία in agia e dercilo; Ἀκρία in hsch. α 2565 Latte-Cunningham), sia il ναόϲ di apollo Pythaeus. Forse le Ἡρεϲίδεϲ prelevavano l’acqua alle pendici del monte di eubea, per portarla al santuario di fronte? nella lacuna iniziale di r. 21 potrebbe essere perso il nome (o una epiclesi) della dea che riceveva i λοετρά, oppure un attributo che qualificava questi ultimi, o forse il nome del luogo in cui occorreva portarli, distante dal luogo del parto. Plutarco (De curios. 818b) insegna che i defunti, così come i materiali risultanti da rituali di purificazione (τὰ λύματα καὶ τοὺϲ καθαρμούϲ), erano portati fuori dalle città attraverso porte “segrete e nefaste” a ciò riservate. sulla base dell’espressione proverbiale Λέρνη κακῶν (e.g. Zenob. iV 86 Leutsch-schneide-
72 Questa ‘privatezza’ fu propria anche dei riti orfici ripetutamente criticati da Platone (Resp. 364e: riti praticati da privati, ma anche da intere città, οὐ μόνον ἰδιώταϲ ἀλλὰ καὶ πόλειϲ; e ancora Leg. 908d τελεταῖϲ … ἰδίαιϲ). L’avverbio ἰδίᾳ è usato in riferimento alla dimensione privata di certi sacrifici (incruenti) anche in Porph. De abst. iV 22 (vd. a col. ii 6). 73 EGen. aB s.v. Ἡρεϲίδεϲ (p. 152 miller = EM. p. 436, 49 Gaisford) suggerisce una possibile derivazione del nome da era o, alternativamente, dal futuro del verbo ἀρύω (“attingere acqua”), e Pfeiffer (ad Call. fr. 65) annota: “haec glossa potius e Callimacho quam ex ‘argolicis’; fort. in hac aetiorum parte, ubi de hippe fonte agit, vocabulo usus est”. 74 Vale la pena di ricordare che il sito dell’heraion argivo – come quello dell’heraion alle foci del sele presso Posidonia/Paestum – ha restituito una ricca documentazione archeologica pertinente al culto di una dea kourotrophos (hadzisteliou Price 1978, pp. 144-146 e 179-181). 75 Vogliano p. 56: “Prima di κ[αὶ τοῦτο] (ταῦτα wyss) dev’essere caduta un’altra citazione di Callimaco. se non fosse così il testo ammetterebbe una ben strana ripetizione (cfr. l. 16)”.
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win), si potrebbe immaginare che le Λοχεύτριαι dovessero compiere un analogo percorso da argo a Lerna. in euforione, fr. 50 Powell = 56 van Groningen = 70 Lightfoot = 86 acosta-hughes – Cusset, λύθρον è usato “de veneno vel sanie” (meineke 1843, p. 96) dell’idra di Lerna; Sud. λ 302 adler, s.v. Λέρνη θεατῶν (espressione usata da Cratino, fr. 392 Kassel-austin) annota tra l’altro: οἱ μὲν διὰ τὴν Ὕδραν, οἱ δὲ διὰ τοὺϲ Ἀργείουϲ τὰ καθάρματα ἐκεῖ φέρειν. 21-23 κ[αὶ τἆλλα – πάτοϲ. L’integrazione κ[αὶ τἆλλα (r. 21) è preferibile a κ[αὶ τοῦτο e all’ipotesi conseguente formulata da Vogliano75. Chi scrive precisa che anche gli altri dettagli della questione, interamente (r. 22 ἅπαντ[α) assunti da Callimaco, erano reperibili nell’opera di agia e dercilo76; incluso il tema del manto (πάτοϲ) di era, che il commentatore introduce alle rr. 22-23 e documenta riportando un altro verso di Callimaco (fr. 66 Pfeiffer = 165 massimilla, v. 3), ma non il testo di agia e dercilo. L’enfasi con cui è presentato questo ulteriore tema (καὶ δὴ καὶ τὸ πάτοϲ ἐ̣|κεῖθε[ν] ἦ̣ν)77 può far sospettare che esso comparisse anche in antimaco, e che dunque il ‘contrappunto’ callimacheo non riguardasse solo Fisadia e automate, ma anche un rito (per ipotesi affidato alle Ἡρεϲίδεϲ: vd. a col. ii 13-21) che prevedeva i lavacri e la successiva vestizione del simulacro di era. un possibile, tenue indizio lessicale in tal senso è offerto dalla testimonianza di melezio, che nel Περὶ τῆϲ τοῦ ἀνθρώπου καταϲκευῆϲ (Cramer 1836, p. 93, 22-23) paragona al manto di era il diaframma umano, “per il (suo) essere aderente e come fermato” (ἀπὸ τοῦ πεπῆχθαι καὶ οἷον ϲυνεϲφίχθαι) a ciò che avvolge: a col. ii 5 del commentario antimacheo la forma verbale ἐϲφιγγμένοι ἧϲαν interpreta ἐϲφήκωντο, e il fatto che esso ricorresse anche nella tradizione esegetica callimachea può significare che, nella descrizione del manto di era, Callimaco avesse usato lo stesso verbo che, in contesto ugualmente argivo, antimaco aveva ‘omericamente’ ripreso per l’acconciatura descritta a col. ii 478.
76 Per l’uso della preposizione ἐκ in dipendenza da παρέκειτο a r. 21, cfr. e.g. sch. aristoph. Plut. 720b παράκειται καὶ ἐκ τῶν Θεοφράϲτου: il fatto attestato da un poeta è anche ‘verificabile’ in base agli scritti di esperti (agia e dercilo per Callimaco, teofrasto per aristofane). Come mi fa notare Fam, l’impiego di παράκειμαι costruito con ἐκ (su cui montana 2014) può implicare che nell’ottica del commentario ermopolitano le informazioni presenti nel poema di antimaco “erano riprese” dagli Argolika di agia e dercilo, i quali dunque risulterebbero ‘fonte’ non solo di Callimaco, ma anche del poeta colofonio. sulla problematica cronologia dei due storici argivi (iVa e iiia?) vd. l’introduzione di Jacoby in FGrHist e quella di engels 2016 (BNJ). 77 L’integrazione ἐ̣|κεῖθε[ν] ἦ̣ν (Maas) è preferibile a ἐ̣|κεῖθ⟨έν⟩ ἐϲ̣[τ]ιν (Vogliano, seguito da tutti gli altri editori), che presuppone un errore dello scrivente (vd. anche ornaghi 2015). inoltre il tempo imperfetto (ἦ̣ν) prosegue i precedenti παρέκειτο (r. 21) ed ἐφα]ί̣νετο (r. 22). 78 un possibile indizio di questa contiguità di traslati lessicali si rintraccia in sch. aristoph. Pac. 1216d, su ϲφήκωμα: οἷον ὅτι ἐπιμελῶϲ τοῖϲ ἱμᾶϲιν ἐνδέδεται (non pertinente al contesto aristofaneo, in cui ϲφήκωμα vale sicuramente “cimiero”).
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i due autori degli Argolika sono indicati come fonte di Callimaco anche in Psi xi 1219 (come già osservò wyss 1936, p. 87) e P.oxy. xx 2263, due copie da ossirinco dello stesso commento agli Aitia79. nella circonlocuzione ἐφα]ί̣νετο ὁ Κα[λλίμαχοϲ] ἅ̣παντ[α ε]ἰληφώϲ (r. 23) sembra risuonare la formula che conclude i riassunti conservati nei due papiri ossirinchiti80. è economico pensare che la fonte intermedia tra gli autori degli Argolika e il commentatore antimacheo sia stato un commentatore di Callimaco, capostipite di un filone della tradizione esegetica cui possono risalire in ultima analisi anche le voci esichiane Ἀκρία, Ἡρεϲίδεϲ, Ἵππιον, πάτοϲ81, la voce Ἡρεϲίδεϲ in EGen., nonché la testimonianza di melezio (tutti menzionati sopra)82. Quest’ultimo83 nel citare Callimaco riporta anche il nome della dea, che compariva alla fine del verso precedente84 ed è invece taciuto dal commentatore di antimaco. analogamente, nella sua prima citazione dallo stesso aition, il commentatore tace il sostantivo cui si legavano il genitivo Αὐτομά[τηϲ] e gli attributi εὐναὲϲ ἐπώνυ[μον85. 23-26 ἰδίωϲ δὲ – [πε]παλα̣[γμ]έ̣νοϲ. si osserva che antimaco usa il termine λύθρον “in accezione particolare” (ἰδίωϲ) e si pone quest’uso a confronto con l’espressione omerica αἵματι καὶ λύθρωι πεπαλαγμένοϲ (Il. Vi 268; Od. xxii 402 e xxiii 48), in cui omero distingue (διαϲτέλλων) il “sangue” (αἷμα) dal λύθρον, ovvero “sudore misto a polvere” (τὸν μ[ετὰ] κόνεωϲ [ἱδ]ρ̣ῶ[τα)86. una interpretazione coerente con quella richiesta dal contesto antimacheo è attestata dal lessicografo Filemone (p. 72 osann), secondo il quale λύθρον μιαϲμὸν ϲημαίνει τὸν ἐξ αἵματοϲ, καὶ γίνεται ἀπὸ τοῦ λύω. ἀφ’ οὗ καὶ λῦμα, τὸ κάθαρμα. in questa accezione λύθρον è riferito esclusivamente a sangue impuro, che induce conta-
79 Come “fondatamente” (Bastianini 2006, p. 151) suppose Lobel, editor princeps di P.oxy. xx 2263 (pubblicato nel 1952, e dunque non noto a wyss). sui due papiri vd. ora anche Pellé 2015. 80 Psi xi 1219: τ(ὴν) δ’ ἱϲτορίαν ἔλαβεν π̣[(αρὰ) Ἀγίου] κ(αὶ) Δερκύλου; P.oxy. xx 2263: ἔ]λαβ̣[ε δὲ τὴ[ν] ἱϲτορίαν ὁ Κα[λ]|[λί]μαχ[ο]ϲ παρὰ Ἀγ[ί]α καὶ Δερ[κ]ύ̣λ̣[ο]υ. 81 hsch. π 1119 hansen offre tre spiegazioni di πάτοϲ, la seconda delle quali (ἔνδυμα τῆϲ Ἥραϲ) si adegua perfettamente al contesto callimacheo. 82 wyss 1936, p. 87, concordò con Pohlenz 1933 nel far risalire l’opera tramandata da Psi xi 1219 “magna cum probabilitate” a teone (il cui nome compariva forse in precedenza: vd. a col. ii 1); altri hanno pensato a epafrodito: vd. Pellé 2015, pp. 56-57. 83 sulle fonti di melezio (per la cui datazione si dispone soltanto di un terminus post quem: la più recente delle sue fonti, massimo Confessore, morì nel 662): Pfeiffer ad Call. fr. 263; ieraci Bio 2003. 84 Ciò è confermato da P.oxy. xix 2211, testimone di tradizione diretta che conserva una porzione maggiore dell’aition (fr. 1r, 1-9). 85 Vogliano 1937, p. 56: “Certo c’è da domandarsi perché mai il commentatore … sia stato così parco, da omettere nella citazione quell’inciso, che avrebbe portato a chiarire l’εὐναέϲ e che sicuramente precedeva”. Pfeiffer (ad Call. fr. 65): “e commentarii paraphrasi colligi potest Callimachum in disticho praecedente οὐκ ἀπὸ Φυϲαδείαϲ dixisse (contra antimachum?)”. 86 Cfr. sch. D Il. Vi 268; sch. D Il. xx 503; sch. Od. xxii 402.
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minazione, ed è sinonimo di λῦμα; ciò favorisce l’integrazione ἐπ̣[ὶ] τ[οῦ λύματ]οϲ μόν[ον] (scoraggia invece ἐπ̣[ὶ] τ[οῦ αἵματ]οϲ, paleograficamente altrettanto possibile): λῦμα è infatti riferito specificamente al sangue impuro del parto, che occorre lavare via (Call. H. 1, 16-17 τόκοιο λύματα). La distinzione tra sangue impuro (quello del parto, ma anche quello risultante da una uccisione: φόνοϲ) e sangue di altra natura (sparso in battaglia, misto a sudore e polvere) è ancora riconoscibile in esichio87. altre fonti (orione, EM.) favoriscono una accezione per cui il sangue è uno degli ‘ingredienti’ del λύθρον (in varie combinazioni con polvere, sudore e ἰχώρ). Persiste in ogni caso la memoria del carattere impuro del λύθρον, alias λῦμα, che richiede lavacri e purificazione (vd. a col. ii 12-13): di qui l’etimologia che, riconducendo λύθρον a λύω, ne spiega il significato come “propriamente” (κυρίωϲ: EM. s.v.; cfr. orion p. 92, 11 sturz) τὸ τοῦ λύματοϲ καὶ καθάρματοϲ δεόμενον. Vale la pena di ricordare che λύθρον fu per i poeti ellenistici un “valuable poeticism” (in primis per Callimaco: Bulloch 1985, p. 118). 26 ϲ̣[]ιν δμω[ῆ]ιϲ᾿ ἐνδέξεται. Come altre volte in questo commentario, il lemma (fr. 180 w. = 105 m.) comprendeva forse la prima parte di un esametro troncato all’altezza della dieresi bucolica; in alternativa, mancano il primo e l’ultimo metron del verso. ]ιν possono essere le lettere finali di un aggettivo concordato con δμω[ῆ]ιϲ(ι) (snell) oppure di un infinito dipendente da ἐνδέξεται (west suggerisce e.g. ϲ̣[υνάγε]ιν); in questo secondo caso, il soggetto è probabilmente la λελοχυῖα, che dà ordini alle ancelle (forse le stesse cui si riferisce l’aggettivo ν[η]λείταιϲ a col. ii 8). il congiuntivo ἐνδέξεται suppone una congiunzione subordinante con valore completivo (Vogliano suggerisce ad es. ὄφρα; cfr. col. ii 33, e l’analoga integrazione a col. ii 43-44). 26-32 ἀ̣ντὶ τοῦ – δ[έξ]ατο. si propone ἐπιτάξῃ (“disponga”, “ordini”) come equivalente di ἐνδέξεται, congiuntivo aoristo di ἐνδέκνυμι (variante ionica di ἐνδείκνυμι: Bechtel 1924, p. 180) a vocale breve, qui richiesta dal ritmo dattilico del verso (per l’uso in omero: Chantraine 1961, p. 259; matthews 1996, p. 276). in mancanza di paralleli semantici in omero, il commentatore offre citazioni da mimnermo (fr. 13a west ἐ[ν]εδέξατο), ecateo di mileto (FGrHist 1 F 27 [ἐ]νδέξαϲθαι) ed esiodo (fr. 242 merkelbach-west ἐ̣[ν] … δ[έξ]ατο). se quest’ultimo esempio è il più vicino al passo antimacheo sia per il genere sia per l’af-
hsch. λ 1364 Latte, da cui discende Σ λ 161 Cunningham (= Phot. λ 442 theodoridis = Sud. λ 792 adler; add. Anth.Pal. Vi 163, 7-8). a districare hsch. λ 1363 Latte λύθρον μαϲτιγόφορον ed hsch. λ 1364 Latte λύθρῳ, può essere utile il raffronto con le corrispondenti voci di Cirillo, riportate da Cunningham in apparato a Σ λ 161. 87
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finità del contesto narrativo (giovani donne che ricevono un comando)88, mimnermo era un termine di paragone consueto per antimaco elegiaco. Quanto a ecateo, la sua presenza qui si spiega con il fatto che apollonio discolo (FGrHist 1 F 360), suo figlio erodiano (FGrHist 1 F 196) e l’atticista Frinico (FGrHist 1 F 366) lo elessero ad autore di riferimento per il dialetto ionico. L’opera di apollonio discolo89 può essere alla base delle osservazioni qui riportate dal commentatore, che lasciano trapelare l’attenzione per aspetti linguistici e dialettologici, già rilevata in riferimento al pronome ἵν (vd. a col. ii 10-11) e alla citazione di agia e dercilo (vd. a col. ii 13-23). 32-33 γυμνῆι – κεφ]αλῆι. wyss 1936, p. 88, portando a confronto Il. i 15 χρυϲέῳ ἀνὰ ϲκήπτρῳ, interpreta questo lemma (fr. 181 w. = 106 m.) come prima parte di un esametro fino alla cesura eftemimere. il possessivo di terza persona ϲφέτεροϲ (cfr. col. ii 43) può riferirsi alle ancelle (col. ii 26) oppure, se inteso come singolare, al soggetto di ἐνδέξεται. L’attenzione all’acconciatura richiama il lemma di col. ii 4. 33 τῆι ἀκρηδέ̣μ[νω]ι. Per la spiegazione dell’espressione antimachea, per altro non particolarmente difficile, il commentatore ricorre a un termine poetico altrimenti attestato solo in oppiano (Cyn. i 497: nella descrizione di una primipara partoriente, come messo in rilievo da matthews ad l.) e nonno (Dion. ii 95: nella descrizione di una ninfa in fuga dal ‘suo’ albero divelto). Porfirio in un frammento degli Ὁμηρικὰ ζητήματα (ii 20, 17-21, 11 schrader = sch. Od. i 332a Pontani) usa l’espressione γυμνώϲαϲαν τὴν κεφαλήν per descrivere il gesto di Penelope (Od. i 334) che, secondo la sua interpretazione, “solleva il velo dal capo” (ἐφελκύϲαϲαν ἀπὸ τῆϲ κεφαλῆϲ τὸ κρήδεμνον) e “scopre il capo e mostra il volto” (γυμνώϲαϲαν μὲν τὴν κεφαλὴν καὶ τὸ πρόϲωπον δείξαϲαν). La postura, e la relativa descrizione, sono dunque associate a una figura femminile in pena e in pericolo. il significato di κρήδεμνον è ripetutamente discusso nella tradizione lessicografica90. Lo sch. ex. Il. xiV 184a (t) ed eustazio (ad Il. xxii 470, p. 1280, 59) pongono a confronto κρήδεμνον (che scende fino alle spalle, analogamente al
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si può aggiungere la situazione rappresentata al principio delle Coefore di eschilo, dove la protagonista (elettra) e il coro di schiave di guerra (v. 84 δμῳαί) troiane recano offerte (designate al v. 92 col termine πέλανοϲ) da versare sulla tomba di agamennone. anche in Call. H. 5, 47-48 la fonte Fisadia (come pure amimone) è associata a serve (δῶλαι), che ne devono attingere acqua. 89 autore, tra l’altro, di perduti scritti Περὶ ῥήματοϲ e Περὶ διαλέκτων, Δωρίδοϲ, Ἰάδοϲ, Αἰολίδοϲ, Ἀτθίδοϲ (cfr. Sud. α 3422 adler). su apollonio: matthaios 2015, pp. 277-278. 90 ap.soph. p. 104, 4 Bekker; apion p. 245, 4 Ludwich (= Lex. Gr. Min. p. 323, 4-5); hdn. Περὶ παθῶν ii 238, 12 Lentz (= EM. p. 537, 31-34 Gaisford); Ps. hdn. Partitiones (Boissonade), p. 69; hsch. κ 4055 Latte; EGen. aB (= EM. p. 537, 28-30 Gaisford = EGud. col. 345, 30 sturz).
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copricapo tipico degli efebi detto πέταϲοϲ) e κεκρύφαλοϲ (forse una cuffia o reticella che copriva solamente la testa)91. 33-34 ὄφρ᾿ – Τριθα̣|[λεία]ι. antim. fr. 182 w. = 107 m. L’integrazione ὑπὸ μ[ὲν] Λαθρίαι, pur generalmente accolta, suppone una tmesi ὑπὸ … θύϲηι (con μέν interposto) che “fa qualche difficoltà” (Vogliano 1937, p. 58). anche lo spazio disponibile in lacuna (non più di due lettere, in conformità con le integrazioni corrispondenti nei righi che precedono e seguono) non sembra sufficiente ad accogliere la seconda metà di μ e le seguenti due lettere dell’ipotetico μ[ὲν]. sulla base di hsch. υ 698 hansen-Cunningham ὑπομελάθρα: Ἀρτέμιδοϲ ἐπίθετον, propongo Ὑπομ[ε]λαθρίᾳ, assumendo l’allungamento della sillaba με davanti a liquida (cfr. antim. fr. 57, 1 w. = 68 m.; stesso fenomeno dinanzi a ρ: wyss 1936, p. xxxViii), l’efficacia di muta cum liquida in -λᾱθρ-, come in ὄφρ(α) immediatamente precedente e nel successivo -χιᾱ Tρ-, e anche altrove in antimaco (wyss 1936, ibidem), e sinalefe di -ίᾳ in fine di parola (in alternativa, in -λαθρmuta cum liquida non fanno posizione, come in λύθρων di col. ii 13, e -ίᾳ finali valgono per due sillabe). La lettura Ὑπομ[ε]λαθρίᾳ, se corretta, consente di mettere da parte le disquisizioni sull’epiteto Λαθρία (Vogliano 1937, p. 58; wyss 1936, p. 88; Cazzaniga 1967; matthews 1996, p. 278) e sul suo presunto allofono Λαφρία (arena 1978). L’attributo restituito appare adeguato al contesto antimacheo (e alla identificazione con la Προθυραία: vd. a col. ii 34): μέλαθρον è la trave di colmo del tetto (come in H.hom.Ven. 173: epifania di una dea maestosa, “alta fino al tetto”, cfr. Càssola 1975, ad l.); al prefisso ὑπο- si può assegnare lo stesso valore che ha nell’aggettivo ὑποζύγιον, detto di animale “sottoposto al giogo”; la dea che “sta sotto”, “sostiene” il μέλαθρον compie un’azione opposta e simmetrica a quella di dioniso ἀνὰ μέλαθρα in eur. Bacch. 586-593 (cfr. l’analoga azione di atena in eur. H.F. 906-909). Callimaco apparentemente ‘normalizza’ l’attributo antimacheo allorché forgia per artemide l’epiteto πουλυμέλαθρε (H. 3, 225), più adatto alla esigente struttura del suo esametro. Τριθα̣|[λεία]ι, restituzione piuttosto sicura, è errore dello scriba per Tριθάλεια, come dimostra la nota successiva. 34-36 τῆι λεγομένηι – οὐκ ὀρθῶϲ. il commento consiste della parafrasi del verso posto a lemma. La spiegazione proposta è rivelatrice dell’incertezza testuale che gravava sul testo antimacheo: nel lemma, Τριθα̣|[λεία]ι, in dativo, non può essere altro che un ulteriore epiteto della dea a cui il sacrificio è destinato; nella parafrasi, il termine è reso come neutro plurale (τριθάλεια) coordi-
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Cfr. sch. D Il. xiV 184, xVi 100, xxii 470.
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nato a λόχια e, a rafforzare l’interpretazione, la coppia di termini è a sua volta doppiamente glossata come endiadi (τ̣[ὰ | πολυθαλῆ λοχεύ[μ]ατα, τὰ̣ [ἐ]πὶ τῆι [λο]χείαι πολυθαλῆ δῶρα). L’instabilità del testo antimacheo è confermata, poi, dalla registrazione della (terza) variante τῆι Λοχίαι̣ καὶ [τ]ῆι Τρι[θ]α̣λείαι (“alla Levatrice e alla triplicatrice”), che il commentatore riporta come preferita da “alcuni” e poi rigetta (οὐκ ὀρθῶϲ). a r. 34 l’incertezza testuale si riflette nell’esitazione grafica di τη (i.e. τῇ, che attenderebbe Λοχίᾳ) corretto in τὰ (λόχια). dei due termini offerti come sinonimi di λόχια, il primo è più specifico (cfr. eur. Ion 921; Phoen. 816: λόχευμα è il nuovo nato, “frutto del parto”), mentre il più generico δῶρα è verisimilmente eufemismo (Cazzaniga 1967, p. 6) in luogo del significato letterale di λόχια, le secrezioni uterine che iniziano nei primi giorni del puerperio e terminano con la comparsa della prima mestruazione dopo il parto92. a queste secrezioni potrebbe riferirsi λοετρά in agia e dercilo (vd. a col. ii 16-21). altrimenti, δῶρα può indicare offerte simboliche identificabili con i πελάνεια di col. ii 6-8, presentate in luogo dei λοετρά: esichio attesta in effetti un tipo di pane chiamato λοχία (α 828 Latte-Cunningham, s.v. ἄγρωϲτιϲ· βοτάνη, καὶ ἄρτοϲ τιϲ, ὃϲ πρότερον λοχία [λοχός vid. cod.] ἐκαλεῖτο; cfr. hsch. λ 1308 Latte, s.v. λοχια [sic], che fra l’altro spiega ἄρτοϲ τῇ Ἀρτέμιδι γινόμενοϲ)93. il commento menziona tre epiteti della dea destinataria del rito: Προθυραία, Λοχία, Τριθαλεία. dei tre, il primo sembra spiegare l’epiteto Ὑπομελαθρία reintegrato nel lemma e può essere tradotto “(colei) che sta davanti alla porta” (di una casa, di un tempio, di una città) e la custodisce contro presenze ostili (Faraone 1992, pp. 8-9 e passim)94. La connessione fra Προθυραία e Ὑπομελαθρία può essere ricostruita, per quanto laboriosamente. La fonte citata in hsch. υ 698 hansen-Cunningham (ὑπομελάθρα· Ἀρτέμιδοϲ ἐπίθετον, ὡϲ ὁ Μύνδιοϲ) sembra identificabile con Zenone di mindo, grammatikos vissuto forse alla corte di tiberio (cfr. steph.Byz. μ 240 Billerbeck, s.v. Μύνδοϲ; roeper 1848, p. 33; Gärtner 1972), il cui interesse per il culto di artemide è attestato da Clemente alessandrino (Protr. iii 45, 3 = i 34, 18 stählin, cum sch.) che lo cita come fonte sul tempio di artemide Λευκοφρυήνη a magnesia sul meandro (la stessa di anacreonte, fr. 1 Gentili = PMG 348); lì è epigraficamente bene attestata anche artemide Προθυραία (JDAI 99, 1984; Arch.Anz. 122; mcCabe 1991). da hsch. ω 267 han-
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hippocr. Nat.puer. 18 (Vii 504 Littré); aristot. HA. 573a 9. aristotele stabilisce una relazione tra la facilità del parto e la (minore) quantità di secrezioni: ἵπποϲ δὲ τῶν τετραπόδων ἁπάντων εὐτοκώτατον καὶ λοχίων καθαρώτατον, καὶ ἐλαχίϲτην προΐεται αἵματοϲ ῥύϲιν, ὡϲ κατὰ τοῦ ϲώματοϲ μέγεθοϲ. il termine è tuttora in uso nel lessico medico-scientifico: inglese lochia, italiano lochi. 93 Questa voce appare come un “cumulo di glosse” (Cazzaniga 1967, p. 68): non escluderei che nella sua parte iniziale (κρυφαία γεννᾷ. αὕξει, “nascostamente genera, fa crescere”), e in particolare nel verbo αὕξει, persista una traccia dell’esegesi pertinente all’epiteto Τριθαλεία. 94 un equivalente di προθυραία è l’epiteto προϲτατηρία col quale in aeschl. Sept. 449 eteocle qualifica artemide, affidandole la protezione dell’eroe Polifonte, opposto a Capaneo alla porta elettra.
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sen-Cunningham (Ὦπι ἄναϲϲα· πυρρὰ πρόθυροϲ, πῦρ πρὸ τῶν θυρῶν) si deduce che quello di “Guardiana della porta” è uno dei volti di oupis (cfr. höfer 19652, col. 930; vd. a col. ii 2-3 e 42-43). artemide che mostra questo volto è assimilata a ecate: cfr. theop. FGrHist 115 F 344 (ap. Porph. Abst. ii 16, dove il rito celebrato mensilmente per hermes, ecate e i restanti ἱερά ereditati dagli avi prevede ‘ingredienti’ assai simili a quelli descritti nel nostro papiro, col. ii 6-8 λιβανωτοῖϲ καὶ ψαιϲτοῖϲ καὶ ποπάνοιϲ) e ancora Procl. H. 6, 2 e 14 (χαῖρ’ Ἡκάτη προθύραιε), che rende grazie alla dea (e a Giano, suo corrispettivo latino) per i riti di purificazione che risvegliano l’anima altrimenti smaniosa di piaceri (ψυχὴν δὲ περὶ χθονὶ μαργαίνουϲαν / ἕλκετ’ ἐγερϲινόοιϲι καθηραμένην τελετῇϲι). alla Προθυραία si rivolge anche il secondo degli Inni orfici, invocandola come ϲεμνή artemide ilitia, protettrice delle partorienti e garante di discendenza (Hymn.Orph. 2, 12-13); le stesse epiclesi ricorrono in Hymn.Orph. 36 (“ad artemide”). si tratta fondamentalmente della stessa dea invocata da simeta in theocr. Id. 2, 35-36 (che a sua volta presuppone sofrone: cfr. frr. 3-9 hordern); lo scolio ad l. (la cui fonte dichiarata, almeno per quel che riguarda la parte ‘sonora’ del rito, è il Περὶ θεῶν di apollodoro) precisa infatti che “collocavano (una effigie di) ecate nei trivii (ἱδρύοντο δὲ τὴν Ἡκάτην ἐν ταῖϲ τριόδοιϲ) perché la dea (aveva potere) sulle purificazioni e sulle contaminazioni (ἐπὶ τῶν καθαρμάτων καὶ μιαϲμάτων). … e la collocavano anche davanti alle porte (πρὸ τῶν θυρῶν) come dice eschilo: Ἑκάτη … πρόδομοϲ μελάθρων” (aeschl. fr. 388 radt; cfr. aristoph. Vesp. 804 ὥϲπερ Ἑκατεῖον πανταχοῦ πρὸ τῶν θυρῶν). una epigrafe attesta la Προθυραία anche in argolide (IG iV2 1197 = Ἐφημ.ἀρχ. 1884, p. 27 n. 71): fu ritrovata nel sito del tempio di asclepio a epidauro, dove altari e dediche risalenti ai secoli iVa e iiia documentano anche altri epiteti di artemide (Fossey 1987, p. 76). ad argo, un tempio di ecate fronteggiava un tempio di ilizia (Paus. ii 22, 7), presumibilmente lo stesso che dava il nome alla porta attraverso la quale Pausania, provenendo da micene, entrò in città dopo aver superato il fiume inaco (Paus. ii 18, 3). Pausania riferisce che all’interno del tempio di ecate una statua in pietra della dea (opera di scopa) ne fronteggiava altre due realizzate in bronzo da Policleto e da suo fratello naucide. in conclusione, la documentazione letteraria ed epigrafica avalla, da un lato, la convergenza di artemide con oupis ed ecate, dall’altro la funzione tutelare della dea in corrispondenza di porte (Προθυραία-Ὑπομελαθρία), dall’altro ancora la presenza di questa versione cultuale ad argo. non è da escludere che proprio il tempio argivo di ecate sia la sede della dea a cui il rito qui descritto da antimaco è rivolto. L’epiteto Λοχία/Λοχεία95 è riferito ad artemide in euripide (Suppl. 958; 95
attestato anche epigraficamente: Preller-robert 1894, i, p. 319; vd. anche wernicke 1895, spec. coll. 1347 e 1393; Gruppe 1906, ii, p. 1272; Picard 1957, p. 113.
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Iph.Taur. 1097) e può essere plausibilmente integrato in Callimaco fr. 79 Pfeiffer = 182 massimilla (con il commento di massimilla 2010, pp. 397-399); cfr. Porph. fr. 359, 57-60 smith (ap. eus. Praep.Ev. iii 11, 30-33 τὴν δὲ ϲελήνην, παρὰ τὸ ϲέλαϲ ὑπολαβόντεϲ, Ἄρτεμιν προϲηγόρευϲαν, οἷον ἀερότεμιν· λοχία τε ἡ Ἄρτεμιϲ, καίπερ οὖϲα παρθένοϲ, ὅτι ἡ τῆϲ νουμηνίαϲ δύναμιϲ προϲθετικὴ εἰϲ τὸ τίκτειν), Plut. Amat. 758a-759f (carattere segreto e impuro del parto, cui è preposta la dea detta Εἰλείθυιαν καὶ Λοχείαν), De amore prolis 495d-496c, Quaest.conv. 659a96. si può sospettare un nesso del commentario antimacheo con hsch. λ 1310 Latte, s.v. λοχία· μαῖα (vd. anche a col. ii 9-10). Quanto all’epiteto Τριθαλεία, esso non è altrimenti attestato. Come parallelo può essere portato hsch. τ 1381 hansen-Cunningham τριθαλλίαι· μεγάλωϲ τοῦ θάλλειν αἰτίαι, che forse nel lemma reca traccia di un corrotto Τριθαλείαι o Τριθαλείᾳ, in questo secondo caso candidandosi a possibile testimone della vox antimachea riportata nel nostro commentario97. adatto a una dea garante del felice perpetuarsi delle generazioni (come l’artemide di Anth.Pal. Vi 271 e 273: vd. a col. ii 36-37), questo attributo è accostabile a Κορυθαλία, nome dell’artemide celebrata a sparta in occasione dei Tithenidia o “festa delle nutrici” (Polem.hist. ap. athen. iV 139; cfr. Plut. Quaest.conv. 657e: Κορυθάλεια è il nome di una delle due nutrici di apollo; cfr. hsch. κ 4683 Latte, s.v. κυριττοί: nome dei γελοιαϲταί che le “facevano festa”, ἑορτάζοντεϲ τῇ Κορυθαλίᾳ). 36-37 ἔνδοθι̣ – κά[λυ]ψε. il lemma consiste di un esametro completo (fr. 183 w. = 108 m.) in cui antimaco reinterpreta gli hapax omerici τιθαιβώϲϲω (riferito alle api-nutrici in Od. xiii 106: vd. a col. ii 37-38) e γωρυτόϲ (la custodia dell’arco di odisseo in Od. xxi 53-54: vd. a col. ii 38-39). il verbo κά[λυ]ψε comporta forse un esatto riferimento al tipo di chiusura del γωρυτόϲ (vd. col. ii 41). Colei che compie il gesto di infilare frecce nel γωρυτόϲ è verisimilmente la signora ὀβριμότοξοϲ (col. ii 2): la dea il cui arco tremendo può uccidere, trasformata in Protettrice (col. ii 33-34 Ὑπομελαθρία = Προθυραία; cfr. EM. p. 402, 18-22 Gaisford, s.v. Ἔφεϲοϲ: l’artemide di efeso è ἱκεϲία, “clemente”, non fa uso dell’arco né riceve offerte cruente)98. L’uso traslato del verbo τιθαιβώϲϲω implica, in antimaco, una similitudine tra le api e la dea: il comun denominatore sta nel-
96 Vd. anche Luc. Dial.mer. 2, 3; artemid. Onir. ii 35; men.rh. Rhet.Gr. iii 404 spengel; dio Chrys. Or. 7, 135; eustath. ad Il. xi 271, p. 843, 59 (vd. a col. ii 2-3). 97 Fra i rari paralleli si può citare Plin. N.H. xxV 160, che dà erithales come uno dei nomi alternativi del trithales, piccola pianta così chiamata quia ter floreat, altrimenti detta erysithales o anche isoëtes, “che dura tutto l’anno”; cfr. anche diosc. iV 88. 98 Cazzaniga (1967, p. 72 e n. 15) adduce confronti con Anth.Pal. Vi 271 (artemide ἄτερ τόξου νιϲϲομένη; segue l’augurio che la madre possa in futuro veder “crescere bene” suo figlio: καὐτὸν ἰδεῖν υἱέ’ αἐξόμενον) e Anth.Pal. Vi 273 (v. 2 τόξα μὲν εἰϲ κόλπουϲ ἅγν’ ἀπόθου Χαρίτων, “deponi il tuo sacro arco in seno alle Cariti”).
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l’analoga funzione di protezione della vita incipiente99, di cui è segno la meticolosità con cui l’una e le altre ‘infilano’, rispettivamente, frecce e miele100. La dea è “nutrice” (col. ii 2 κουροτρόφοϲ) e “guardiana degli ingressi”, come le api nell’antro delle ninfe in cui i Feaci lasciano odisseo (Od. xiii 102-112) reduce a itaca e preda di un sonno profondo e gravido di valenze allegoriche (Porph. Antr. 19-31: le due θύραι che danno accesso alla grotta sono simbolo della ‘rinascita’ delle anime, che per un ingresso discendono nella generazione mondana e per quello opposto fanno ritorno alla loro origine). 37-38 τιθεῖϲα – μέλιϲϲαι̣. il commentatore attinge dalla tradizione esegetica omerica: spiega infatti il participio τιθαιβώϲϲοιϲα negli stessi termini di apollonio sofista (p. 152, 33 Bekker), con la coppia verbale (ἀπο)τίθημι e (ἀπο)θηϲαυρίζω e l’indicazione dell’hapax omerico (Od. xiii 106, citato per intero). Quel che segue riguarda invece specificamente il testo antimacheo: l’espressione ὁμοίωϲ καὶ Ὅμηροϲ (diversa dal semplice ὁμηρικῶϲ di col. ii 2) evidenzia un uso del termine paragonabile ma non identico a quello omerico, che la tradizione erudita riconosce come riferito propriamente alle api (κυρίωϲ ἐπὶ τῶν μελιϲϲῶν λέγεται: sch. Lycophr. Al. 622; EM. p. 758, 16 Gaisford; eustath. ad Od. xiii 106, p. 1735, 44). analogamente, lo sch. nic. Ther. 199 Crugnola distingue tra l’uso proprio del verbo e quello ulteriormente traslato che ne fa nicandro (ἀλλ’ ὅμωϲ κατεχρήϲατο τούτῳ καὶ ἐνταῦθα) e propone due etimologie, l’una specificamente riferita alle api (παρὰ τὸ τὴν βόϲιν τιθέναι), l’altra orientata piuttosto sul valore generico di “nutrire i piccoli” (παρὰ τὸ τυτθὰ βόϲκειν)101. La spiegazione imperniata sui verbi (ἀπο)τίθημι e (ἀπο)θηϲαυρίζω si ritrova negli scolii omerici, in Porfirio (Antr. 15) e in hsch. τ 862 hansen-Cunningham. Lo sch. V Od. xiii 106 è particolarmente puntuale nel descrivere le api che mettono da parte e conservano in ciascuna delle cellette del favo il nutrimento (μέλι: κηρία nello sch. Q ad l.; μελίκηρον in hsch. τ 862 hansen-Cunningham) necessario alla larva che vi è incapsulata, così svolgendo il loro ruolo di nutrici (νεοττοτροφοῦϲιν). 99 La simbologia delle api aveva particolare importanza nel culto di artemide (matthews 1996, p. 283; vd. anche Portefaix 1999): a efeso il collegio sacerdotale era costituito da Ἐϲϲῆνεϲ (“api-regina”: Paus. Viii 13, 1; sch. Call. H. 1, 66a; cfr. Picard 1922, pp. 190-197) assistiti da sacerdotesseμέλιϲϲαι (Picard 1922, p. 183; in aeschl. fr. 87 radt le assistenti di artemide sono dette μελιϲϲόνομοι). 100 sembra improbabile che la dea infilasse nel gorytos qualcosa di diverso da una freccia (diversamente matthews 1996, p. 283). stazio (Theb. ix 729-730) ha probabilmente presente questo luogo antimacheo: diana, nonostante le suppliche di atalanta, non può salvare la vita del giovanissimo e temerario figlio della sua seguace; sostituisce allora le frecce nel gorytos di Partenopeo con altre (audacis tergo pueri caelestibus implet / goryton telis), divine e infallibilmente mortali, grazie alle quali gli assicura una aristìa eroica prima della inevitabile morte. 101 Cfr. sch. nic. Ther. 199 Crugnola (b) ζῳογονοῦϲι καὶ τρέφουϲι (ambros. C 32 sup.; ambros. e 112 sup.); ἐπιμελείαϲ ἀξιοῦϲι (marc. Z 480; cfr. sch. Lycophr. Al. 622 ἐπιμελείαϲ ἀξιοῦντοϲ). L’interpretazione κράζουϲιν conservata nel codice ambrosiano n 150 sup. (“stridono, gracchiano”; cfr. hsch. τ 861 hansen-Cunningham θορυβεῖν) deve riferirsi al solo contesto nicandreo.
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38-39 τὸν̣ δ̣[ὲ – τ]ίθηϲι. In Od. xxi 53-54 il lucente γωρυτόϲ “stava intorno” (περίκειτο) all’arco di odisseo: Penelope lo staccò (αἴνυτο) da un chiodo (ἀπὸ παϲϲάλου) e portò quindi arco e faretra (v. 59 τόξον … ἠδὲ φαρέτρην) nella sala dove si trovavano i Pretendenti; nella φαρέτρη erano contenute molte frecce (v. 60; cfr. vv. 416-418: il primo dardo era sul tavolo, γυμνόϲ perché “estratto dalla φαρέτρη” che ancora conteneva gli altri, destinati ai Pretendenti); inoltre, le ancelle che accompagnavano Penelope recavano un ὄγκιον contenente “molto ferro e bronzo” (vv. 61-62 ϲίδηροϲ / κεῖτο πολὺϲ καὶ χαλκόϲ)102. il passo odissiaco poneva la seguente questione: γωρυτόϲ e φαρέτρη designano lo stesso oggetto oppure, rispettivamente, il “fodero dell’arco” (nelle fonti esegetiche parallele: τοξοθήκη, θήκη τόξων) e il “contenitore delle frecce” (nelle fonti: βελῶν θήκη)? sulla base di “altri versi” antimachei il commentatore afferma che antimaco “evidentemente” (δῆλοϲ δ’ ἐν ἄλλοιϲ: vd. a col. ii 39-41) intese γωρυτόϲ come sinonimo di φαρέτρα. La stessa spiegazione è attestata in Poll. x 142 (γωρυτόϲ è incluso in una serie di sinonimi di φαρέτρα), EGen. aB s.v. γωρυτόϲ, EM. s.v. γῶ, An.Gr. (Bekker) iii 1096, Sud. γ 415 adler (il significato di “faretra” è quello richiesto nella citazione, lì riportata, da Flavio Giuseppe) ed è nota anche agli esegeti di Virgilio e stazio: all’espressione [ἀντὶ τῆϲ] φ[α]ρέτρ[αϲ del commentatore antimacheo corrisponde esattamente quella usata in [Lact.] Comm. in stat. Theb. ix 730 coryton theca arcus solius dicitur, sicut pharetra sagittarum et sagma scuti. Nunc ergo coryton pro pharetra posuit. diversamente Filosseno (frr. *88, 223, 224 theodoridis) derivava γωρυτόϲ dalla radice di γῶ, inteso come sinonimo di χωρέω nel senso di δέχομαι καὶ λαμβάνω (“accogliere e prendere”), seguita dall’oggetto τὸ ῥυτόν (“ciò che si estrae”)103; il lessico di apollonio sofista (come a noi pervenuto) conserva l’equiparazione di γωρυτόϲ a χωρυτόϲ104 e per questa via riconduce il termine direttamente alla radice di χωρέω, spiegandolo quindi “per il fatto che esso contiene l’arco” (παρὰ τὸ τόξον χωρεῖν), ovvero come “contenitore dell’arco” (τοξοθήκη). Questa spiegazione, antitetica a quella antimachea, persiste nelle fonti più tarde105. La difficoltà registrata dagli interpreti antichi si comprende se il nome γω-
102 secondo LsJ (s.v. ὄγκιον) si trattava di un contenitore per punte di frecce, gli ὄγκοι essendo propriamente i “barbigli”, le alette che impediscono l’estrazione della punta di una freccia dal corpo in cui è conficcata. 103 a Filosseno sono riconducibili, a partire dal comune tratto semantico “accogliere e prendere”, anche le derivazioni dalla radice di γῶ di parole come γυνή, γῆ, γύω, γυῖον (inteso come “il cavo della mano”, τὸ κοῖλον τῆϲ χειρόϲ) e il ben più frequente plurale γυῖα (ovvero οἱ πόδεϲ καὶ αἱ χεῖρεϲ), γύαλον ed ἐγγυαλίζω. 104 apollonio sofista seguì probabilmente Filosseno anche per la spiegazione di θοόϲ, ricondotto al monosillabo θῶ (vd. a col. ii 45-47). 105 ancora eustath. ad Il. i 45-46, p. 39, 1-10, distingue gorytos e faretra, rispettivamente, διὰ τὸ χωρεῖν τὸ ῥυτόν, ὅ ἐϲτι τὸ βίᾳ ἑλκυϲτόν (gorytos) e διὰ τὸ φέρειν τὰ τρῶϲαι δυνάμενα (faretra).
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ρυτόϲ, al pari dell’oggetto che esso designa, ebbe origine in una civiltà e in una lingua diverse da quella greca: come osserva Pausania (i 23, 4), “non è costume dei Greci, a parte i Cretesi, combattere con l’arco”106. Per gli studiosi moderni, la questione trova risposta in ambito antiquario e archeologico: una custodia divisa in due scomparti (uno per l’arco e l’altro per le frecce) era tipica dell’equipaggiamento degli sciti, arcieri per eccellenza nell’esperienza storica e nell’immaginario mitico dei Greci sin dall’epoca arcaica (Vos 1963, pp. 49-50; Lorimer 1950, p. 284)107. Licofrone (Al. 458) dice infatti “scita” (Ϲκύθηϲ) il γωρυτόϲ di eracle, dono del pastore scita teutaro, suo maestro nel tiro con l’arco (cfr. sch. theocr. 13, 56; vd. anche Luc. Herc. 1, dove eracle appare perfettamente equipaggiato con pelle di leone, mazza, γωρυτόϲ e, nella mano sinistra, l’arco). Come già suggerito da wyss (1936, p. 88, dove il rinvio va corretto a sch. aristoph. Thesm. 1203; vd. anche sch. aristoph. Thesm. 1197), il γωρυτόϲ è con ogni probabilità identico alla ϲυβήνη dell’ottuso arciere scita delle Tesmoforiazuse di aristofane, arma a sua volta epigraficamente bene attestata in ambiente attico (threatte 1980, i, p. 167; vd. austin-olson 2004, p. 345): lo scolio ad aristofane, Thesm. 1197 estende infatti alla ϲυβήνη la duplicità semantica del γωρυτόϲ. nel passaggio da una civiltà a un’altra, e nel trascorrere dei secoli, l’oggetto reale si tramuta in oggetto esegetico; il suo nome diviene una glossa capace di evocare l’immagine dell’arciere per eccellenza (storicamente, un combattente scita108; miticamente, divinità ed eroi specializzati nell’uso dell’arco) e come tale ricompare in Virgilio (in Aen. x 169, gorytique leves umeris et letifer arcus, insieme con tela e sagittae, costituiscono l’armamento degli etruschi di Chiusi e Cosa), quindi in stazio (Theb. iV 269 e ix 730, come parte dell’armatura di Partenopeo, figlio di atalanta; Vii 660, a proposito di euneo, sacerdote di Bacco; xii 527, per le amazzoni) meritando l’attenzione dei rispettivi commentatori (serv. Comm. in Verg. Aen. x 169; [Lact.] Comm. in stat. Theb. iV 269 e ix 730) nonché quella di nonio marcello (Compendiosa doctrina p. 556, 21 mercier) e isidoro (Orig. xViii 9, 2). Luogo originario di sintesi della discussione sul γωρυτόϲ poté essere lo scritto di neoteles (allievo forse di aristarco) Περὶ τῆϲ κατὰ τοὺϲ ἥρωαϲ τοξείαϲ, che Porfirio dice attento alla diversità di tecnica balistica tra arcieri sciti e cretesi (Porph. Quaest.Hom. i 123, 11 schrader,
106 Proprio ai Cretesi è attribuito l’uso del γονυτοϲ (lege: γωρυτόϲ?) in una glossa tratta dal codice Vat. urb. Gr. 157 (f. 276) e pubblicata da Bekker negli Anecdota Graeca. Cretesi sono gli arcieri invocati in soccorso assieme a diktynna in aristoph. Ran. 1356 (vd. a col. ii 2-3). 107 in Il. i 45-46, apollo incede irato avendo sulle spalle arco “e faretra chiusa da entrambe le parti” (ἀμφηρεφέα τε φαρέτρην), sì da far risuonare il clangore delle sue frecce. si può sospettare che si intenda una faretra provvista di due scomparti entrambi chiusi, appunto un γωρυτόϲ: in quel caso, lo scomparto destinato all’arco è chiuso ma vuoto, perché il dio ha l’arco in spalla; il secondo scomparto, pure chiuso, contiene le frecce che risuonano urtando tra loro. 108 Vos 1963.
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su cui vd. erbse 1960, p. 31; cfr. sch. Nic. Il. Viii 325a1 (a); eustath. ad Il. Viii 325, p. 715, 25; e vd. Pagani 2015). 39-41 δῆλοϲ – ἀπο]αινύμ[ενοϲ. il passo antimacheo citato è il fr. 184 w. = 109 m. il nominativo δῆλοϲ (sc. ἐϲτι)109 si riferisce ad antimaco, soggetto del precedente τίθηϲι. il frammento antimacheo copre parte di tre esametri, di cui il secondo intero e il primo e il terzo ‘tagliati’ in corrispondenza della cesura pentemimere. wyss e matthews includono il frammento fra quelli posti a lemma nel commentario, nel suo ordine di apparizione, ma il dettato del rimando (ἐν ἄλλοιϲ, sc. ϲτίχοιϲ vel sim.) fa pensare piuttosto a una sede poetica diversa e non così prossima all’esametro che qui è oggetto di commento. sembra difficile, in effetti, immaginare l’apparizione di apollo armato nel contesto disegnato dai lemmi superstiti. Pertanto, come anche a col. ii 50-52, qui il poeta è interpretato alla luce della sua stessa opera, per analogia con il metodo dell’ Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου ϲαφηνίζειν che Porfirio, nel testimoniarlo, declina includendovi il raffronto interno di passi (ἄλλοτε δ’ ἐν ἄλλοιϲ)110. il ragionamento implicito è così ricostruibile: se nel passo addotto a confronto apollo apre il γωρυτόϲ e allo stesso tempo tiene nella mano sinistra l’arco, se ne deve dedurre che lo faccia per estrarne una freccia, cosicché γωρυτόϲ è per antimaco sinonimo di φαρέτρα nel senso di “contenitore di frecce” (vd. a col. ii 38-39). nella citazione, il termine che designa l’oggetto del participio ]αινύμ[ενοϲ è interamente perduto, mentre il seguito del commento ne conserva la sola vocale finale (α), e lo interpreta come equivalente di δεϲμόν, a sua volta spiegato come sinonimo di πῶμα. ritenendo improbabile che la spiegazione ripetesse il termine da interpretare, maas (ap. Vogliano) integrò [δέϲμ]α all’inizio della spiegazione e, a fortiori, [δέϲ]|μ̣᾿ [ἀπο]αινύμ[ενοϲ111 in fine di citazione. L’integrazione comporta che questa linea sia stata scritta in ekthesis, alla stregua di un lemma: la cosa potrebbe essere spiegata con il fatto che si tratta di testo antimacheo, ma allora non si capisce per quale motivo lo stesso accorgimento non sia stato preso anche al r. 40. nella sostanza, “ἐκθέϲεωϲ ratio sibi non constat” (wyss ad l.) e dobbiamo rassegnarci ad attribuire questo comportamento a distrazione dello scrivente. il gesto di apollo è descritto in modo del tutto simile a quello usato da omero per Pandaro che, apprestandosi a colpire menelao, “staccò il coperchio
109 Come parallelo, mh segnala sch. Hrd. Il. xV 302 b1 (a) καὶ ὅτι οὐ τὸ μέτρον αἴτιόν ἐϲτι, δῆλόϲ ἐϲτιν Ἑκαταῖοϲ κτλ. 110 Porph. Quaest.Hom. p. 297, 16 schrader ἀξιὼν δὲ ἐγὼ Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου ϲαφηνίζειν αὐτὸν ἐξηγούμενον ἑαυτὸν ὑπεδείκνυον, ποτὲ μὲν παρακειμένωϲ, ἄλλοτε δ’ ἐν ἄλλοιϲ. Vd. almeno Pfeiffer 1968, pp. 225-227. 111 all’inizio del r. 41, prima della lacuna, si conserva una traccia compatibile con il μ di [δέϲ]|μ̣[(α).
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della faretra (ὁ ϲύλα πῶμα φαρέτρηϲ) e ne trasse una freccia” (Il. iV 116; al v. 105 lo stesso verbo ϲυλάω è usato per il gesto con cui l’eroe afferra l’arco). antimaco ‘varia omero con omero’, sostituendo ciascuna parola omerica con un’altra omerica anch’essa, ma più rara: γωρυτόϲ in luogo di φαρέτρα; un composto di αἴνυμαι in luogo dell’omerico ϲυλάω (per attrazione esercitata da Od. xxi 53-54 αἴνυτο τόξον / αὐτῷ τῷ γωρυτῷ); δέϲμα (se si accoglie l’integrazione maasiana) in luogo di πῶμα, che nei poemi omerici si trova solo al plurale e in accezione diversa (in Il. xxii 468, “lacci” che non trattengono più i capelli di andromaca; in Od. i 204 e Viii 278, “catene”). ne risulta un verso che suona omerico pur non essendolo, perché ciascuno dei significanti originariamente omerici subisce uno slittamento semantico. 41 δέϲμ]α – πῶ[μα. se l’integrazione di maas coglie nel segno, il commentatore chiarisce qui che δέϲμα può intendersi come “legaccio” (δεϲμόν) oppure “coperchio” (πῶμα): dovrebbe insomma trattarsi del sistema di chiusura dello scomparto dedicato alle frecce (poiché apollo ha già l’arco in pugno). nelle raffigurazioni vascolari il γωρυτόϲ prevede invariabilmente un elemento che Lorimer 1950, p. 303, interpreta come un “fringed flap which served as a cover for the quiver” (ma cfr. Vos 1963, pp. 49-50) e in hdt. iV 64 καλύπτραϲ (si noti che antimaco usa il verbo κά[λυ]ψε) designa i macabri coperchi delle faretre degli sciti. 42 παρ]αδείγ̣[ματα – ἔθεντο. antim. fr. 185 w. = 110 m. all’estremità sinistra del rigo, una piccola traccia (in alto e lievemente arrotondata: matthews propone, dubitanter, ὡ̣[ϲ) va forse riferita al rigo precedente. nella parte in ekthesis è perduto l’inizio di un esametro assai lacunoso. La presenza di un sostantivo al plurale può dedursi dalla spiegazione (κτίϲματα) offerta nella brevissima nota di commento; di norma, infatti, l’esegeta rispetta i caratteri flessionali della parola oggetto di spiegazione. La decifrazione ]αδειγ̣[ è ragionevolmente sicura112: matthews propone di integrare παρ]αδείγ[ματα (con perdita della sillaba lunga iniziale dell’esametro) oppure δείγματα (che occuperebbe il solo secondo metron del verso) intesi come “divine models”, per confronto con Plat. Resp. 618a, Theaet. 176e, e Resp. 592b: “the sense may be something like ‘they set models for life etc’. the subject of the verb [ἔθεντο] may well be ‘the gods’ …”. a sostegno di questa interpretazione, si può forse addurre il frammento comico adespoto 1032 Kassel-austin = P.Berol. inv. 11771, 1-2 (τὸ δ]αιμόνιον τὰ τοιαῦτα το[ῖϲ] φ[ρονοῦϲιν] ε[ὖ] / παρα]δείγματ’ ἐκτί-
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mh ammonisce per litteras: “when the gamma is not certain, other possibilities open up, even other articulations”.
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θηϲιν). tuttavia, “a major problem with this interpretation is that the explanation of (παρα)δείγματα requires κτίϲματα to be used in a sense which is in fact more unusual than the word which it is supposed to explain” (matthews 1996, pp. 285-286). si può obiettare, inoltre, che una sola dea compare sia in lemmi precedenti (col. ii 1-2, 6, 33-34, 36-37) sia in quello seguente (col. ii 43). Più probabilmente, il soggetto di ἔθεντο saranno la partoriente e le sue assistenti (in azione anche nel lemma di r. 43). nella parte centrale del verso, sulla base della (probabile) decifrazione di uno ι prima di ψυχη̣[̣ ] matthews ha proposto τῆ]ι ψυχῆ̣[ι. Prima di []τι Vogliano lesse ]ϲ̣ι (poco convincente: in nessun altro caso documentato nel papiro questa mano allunga il tratto superiore di ϲ fino a toccare ι seguente), mentre wyss suggerì dubitanter ]ϲ̣ι [ἀν]τὶ: si può forse pensare a ]ε̣ν̣, quindi a ἐ̣ν̣[αν]τί(α)113 riferito a παρ]αδείγ[ματα (posti “di fronte”), ma non c’è traccia del segno di elisione. alternativamente, si può pensare al verbo composto ἀντιέθεντο, con una connotazione ‘difensiva’ (“porre di fonte”, “opporre”) eventualmente giustificata dal significato di παραδείγματα (di cui si dirà sotto). Exempli gratia, ammettendo l’integrazione τῆ]ι ψυχῆ̣[ι di matthews: [ παρ]αδείγ[ματα τῆ]ι̣ ψυχῆ[ι ][ἀν]τιέθεντο, “… segni all’anima ponevano innanzi…”. nel Fedone, per bocca di socrate Platone afferma che molteplici sono le vie per l’ade, “come arguisco dai sacrifici e dalle pratiche in uso presso di noi” (Plat. Phaed. 108a 5 ἀπὸ τῶν θυϲιῶν τε καὶ νομίμων τῶν ἐνθάδε τεκμαιρόμενοϲ). Gli antichi commentatori platonici osservano che socrate adduce qui due prove della sua affermazione, una di ordine filosofico (φιλοϲόφωϲ, se la via fosse una sola le anime non avrebbero bisogno ciascuna della propria guida), l’altra di ordine religioso-rituale (ἱερατικῶϲ): “in prossimità dei trivii celebrano sacrifici per ecate triodite e contrassegnano i trivii con altre pratiche in uso” (dam. Phaed. ii 108 westerink ἐπὶ τριόδου θύουϲι τῇ Τριοδίτιδι Ἑκάτῃ καὶ παραδεικνύουϲι τὰϲ τριόδουϲ ἐν ἄλλοιϲ νομίμοιϲ)114. Le pratiche dettate dalla consuetudine (νόμιμα) che accompagnano i sacrifici celebrati per ecate in prossimità dei trivii115 consistono dunque, secondo damascio, nel “contrassegnare i trivii” (παραδεικνύουϲι τὰϲ τριόδουϲ). suggerisco che nel verso di antimaco sia descritta questa pratica rituale, contestuale al sacrificio incruento offerto a una dea che ha non pochi tratti in comune con quella dei lemmi precedenti (vd. a col. ii 2-3 e 3839). un’anima contaminata e impura (μεμιαϲμένη καὶ ἀκάθαρτοϲ) fatica infatti a
sulla scorta di un supplemento [ἀν]τί’ che lo stesso wyss attribuisce a Vogliano, il quale per parte sua ne tace sia nella edizione del 1937, sia nella proecdosis del 1935. 114 Vd. anche dam. Phaed. i 496 westerink ἱερατικῶϲ δὲ ἀπὸ τῶν ἐν τριόδοιϲ τιμῶν τῆϲ Ἡκάτηϲ (sulle orme di Proclo Resp. i 85, 1-7, il quale parafrasa νομίμων con πατρίων θεϲμῶν). 115 su queste cfr. aristoph. Plut. 594 con lo scolio; demosth. 54, 39; Luc. Dial.mort. 1, 1; Plut. Quaest.Rom. 290d (il cane χθονίᾳ Ἑκάτῃ πεμπόμενοϲ εἰϲ τριόδουϲ ἀποτροπαίων καὶ καθαρϲίων ἐπέχει μοῖραν); An.Gr. (Bekker) i 247. 113
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svincolarsi dal corpo e, per conseguenza, proietta φαντάϲματα ovvero εἴδωλα (Plat. Phaed. 81b-d ψυχῶν ϲκιοειδῆ φαντάϲματα, οἷα παρέχονται τοιαῦται ψυχαὶ εἴδωλα): per neutralizzarli, si invoca il soccorso della dea. La stessa dea è riconoscibile in eur. Hel. 569-570 (ecate/enodia: ὦ φωϲφόρ’ Ἡκάτη, πέμπε φάϲματ’ εὐμενῆ, invoca menelao; οὐ νυκτίφαντον πρόπολον Ἐνοδίαϲ μ’ ὁρᾷϲ, lo rassicura elena), Ion 1048-1050 (enodia/Persefone: Εἰνοδία θύγατερ Δάματροϲ, ἃ τῶν νυκτιπόλων ἐφόδων ἀνάϲϲειϲ καὶ μεθαμερίων), Hipp. 141-147 (il Coro si domanda se l’invasamento di Fedra abbia a che fare con Pan o ecate o con la μήτηρ θεῶν, e se Fedra abbia trascurato le offerte, πέλανα, dovute a diktynna: vd. qui col. ii 1-2 e 6-8); cfr. aristoph. Ran. 1331-1363 (per scongiurare un sogno funesto si celebra un rito lustrale invocando, nell’ordine, il soccorso di arcieri cretesi, di diktynna con le sue cagnette, di ecate con le sue fiaccole), ma già soph. Ai. 172-175 (è per opera di artemide che aiace ha visto nemici dove erano animali?) e forse ancora stat. Theb. ix 570-736 (atalanta, tristibus … somnum turbata figuris, cerca vanamente di scongiurarle con riti lustrali, raccomandando suo figlio Partenopeo alla dea diana invocata come mitis Dictynna, v. 632). L’autore dello scritto ippocrateo De morbo sacro condusse una vivace polemica contro queste pratiche rituali116, che preoccuparono Platone (Resp. 364b-366b; Leg. 908d-910b) così come l’autore del testo parzialmente restituito dal papiro di derveni, il quale si domanda a quali παραδείγματα potrebbero mai prestar fede (P.derveni V 7-8 διὰ ποίων ἂν | παραδειγμάτων πιϲτεύοιεν) coloro che non credono (V 6-7) alle “terribili meraviglie dell’ade” (Ἅιδου δεινά), “immagini oniriche e ciascuno degli altri fatti” (ἐνύπνια, τῶν ἄλλων πραγμάτων ἕκαϲτον), e fa riferimento a δαίμονεϲ da “rimuovere” (Vi 3 μεθιϲτάναι) con un rito celebrato da μάγοι che offrono sacrifici incruenti (ἀνάριθμα [κα]ὶ πολυόμφαλα τὰ πόπανα θύουϲιν) “come se riscattassero una colpa” (Vi 5 ὡϲπερεὶ ποινὴν ἀποδιδόντεϲ). il carattere incruento del sacrificio (πόπανα in P.derveni, πελάνεια nel verso antimacheo: vd. a col. ii 6-8) e i fenomeni sovrannaturali contemplati (δαίμονεϲ, erinni, Ἅιδου δεινά) sono a mio avviso analoghi in P.derveni e nei versi di antimaco. La stessa necessità di purificazione dalla contaminazione del parto (lemma di col. ii 12-13, con il relativo commento a col. ii 13-26) trova riscontro nelle pratiche pitagoriche descritte da alessandro Poliistore (FGrHist 273 F 93, ap. diog.Laert. Viii 32-33 = dK 58B 1a) e appropriatamente addotte a confronto con P.derveni V 6-7 da Kouremenos (Kouremenos-Parássoglou-tsantsanoglou 2006, p. 163): “sogni e segni e malori” (τοὺϲ τε ὀνείρουϲ καὶ τὰ ϲημεῖα νόϲουϲ τε) sono inviati a uomini e animali dalle ψυχαί, ovvero “dèmoni ed eroi” (δαίμονάϲ τε καὶ ἥρωαϲ) che si affollano nell’aria: a questi (εἴϲ τε τούτουϲ) si risponde con
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De morbo sacro 1: un resoconto accostabile per qualche aspetto a Plat. Tim. 71a-72b (effetti di εἴδωλα e φαντάϲματα sulla bile; cfr. anche isocr. 5, 117).
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“riti di purificazione, riti apotropaici, consultazioni di oracoli, scongiuri sonori e simili” (τοὺϲ τε καθαρμοὺϲ καὶ ἀποτροπιαϲμοὺϲ μαντικήν τε πᾶϲαν καὶ κληδόναϲ καὶ τὰ ὁμοῖα). Poco più avanti, si precisa che la purezza si ottiene διὰ καθαρμῶν καὶ λουτρῶν καὶ περιρραντηρίων e purificandosi “da funerali, parti e ogni contaminazione” (ἀπό τε κήδουϲ καὶ λεχοῦϲ καὶ μιάϲματος παντόϲ). resta da chiarire il valore del termine παραδείγματα (anch’esso comune ad antimaco e a P.derveni): in che cosa consistono questi ‘segni’? una risposta viene dal commentatore antimacheo, col. ii 42-43 (vd. qui sotto). 42-43 ἀντὶ κτίϲματα τὰ̣ [ψυ|χ̣ῆϲ. La lettura ἀντὶ κτίϲματα τῆ[ϲ ψυ]|χ̣ῆϲ, “soluzione … or ora trovata dal maas”, fu accolta da Vogliano “sulle bozze impaginate”117. tuttavia, la decifrazione τὰ̣ sembra più adeguata alle tracce. il genitivo ψυ]|χ̣ῆϲ specifica questi κτίϲματα, che sono proposti come sinonimo di παραδείγματα. mai attestato in senso astratto (o, per meglio dire, immateriale), questo termine è riferito in Lxx Sap. 9, 2 alle “creature” che dio affida all’uomo perché le governi secondo giustizia, rendendosi così partecipe dell’opera della creazione; analogamente, in Lxx Sir. 38, 34 il vocabolo è usato per la “creazione” divina che gli artigiani umani consolidano nel tempo (κτίϲμα αἰῶνοϲ ϲτηρίϲουϲιν): per secoli a venire, esso ricorrerà nella riflessione dei Padri della Chiesa sui frutti diretti e indiretti della creazione divina. In esichio (κ 4322 Latte) κτίϲμα è spiegato ποίημα (“opera”). il corrispondente verbo κτίζω significa “creare” (riferito alla creazione divina così come a quella di un artista)118, “piantare” (un albero, un bosco), “fondare” (un edificio, un’intera città), “allestire” (un altare, un centro di culto). suggerisco che il commentatore abbia usato κτίϲματα nel senso assolutamente concreto di “edicole” allestite per il culto di ecate in prossimità dei trivii, affinché fungano come “indicazioni” (παραδείγματα), punti di riferimento “dell’anima” che rischia, post mortem, di smarrirsi. Così intesi, i παραδείγματα coinciderebbero con i ϲημεῖα che Piano 2016 (pp. 9099 e passim) suggerisce di intendere come “segni rituali”. segni a mio avviso ben tangibili, predisposti da chi celebrava il rito (vd. anche a r. 43) a un duplice scopo: da un lato, ἱερατικῶϲ, affinché scongiurassero lo smarrimento delle anime dei defunti (e il conseguente, inquietante errare di “fantasmi”); dall’altro, φιλοϲόφωϲ, perché esercitassero una funzione simbolica e ammaestrassero i vivi presenti al rito riguardo al destino ultramondano che attende tutti. L’uso del termine παραδείγματα, insieme a [ψυ]|χ̣ῆϲ con cui il sinonimo κτίϲματα viene
117 Vogliano (p. 59) rinunciava volentieri alla sua precedente lettura (ἀντικτίϲματα τα[ρα]χ̣ῆϲ) avendo ammesso di intendere τα[ρα]|χ̣ῆϲ “tanto poco, quanto l’ἀντικτίϲματα (parola nuova) … (Gegenleistungen?)”; cfr. wyss 1936, ad l.: “neque hoc [scil. ἀντικτίϲματα] intellego neque quod coniecit Castiglioni [ἀντικνίϲματα, ap. Vogliano]”. 118 Come in empedocle, fr. 23, 6 diels-Kranz. attestazioni dei vari significati del verbo in LsJ s.v.
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qualificato, gioca – non solo in antimaco – sul valore ‘ambiguo’, insieme materiale e simbolico, di questi ‘segni’ generati da, ma anche per, un’anima. in antimaco, l’anima inquieta (vd. a col. ii 44) sarà quella di edipo, se è sua l’erinni che a breve si manifesterà (vd. a col. ii 47-48; e cfr. soph. OT 1193-1195 τὸ ϲόν τοι παράδειγμ’ ἔχων / τὸν ϲὸν δαίμονα, ὦ / τλᾶμων Οἰδιπόδα, βροτῶν / οὐδὲν μακαρίζω). 43 ὄ̣[φρα – χαρείη. il lemma è costituito da un esametro completo (antim. fr. 186 w. = 111 m.). ϲφετέροιϲι deve riferirsi al soggetto della perduta reggente (cfr. morel ap. Vogliano 1937, p. 59) e questo soggetto devono essere le δμωαί (col. ii 26) che, da sole o assieme alla protagonista, preparano un rito che sperano sia gradito alla dea (θ[ε]ὴ è l’unica integrazione possibile nel presente contesto). π]οιπνύτρ[ο]ιϲι (parola “divinata dal maas”: Vogliano 1937, p. 59) deve riferirsi a tali preparativi. se l’interpretazione di questi versi antimachei proposta sopra è corretta, il termine si ricollega ai παραδείγματα alias κτίϲματα del lemma precedente. in empedocle (fr. 73 diels-Kranz) il verbo ποιπνύω è riferito ad afrodite impegnata nella creazione di εἴδεα; e per l’attività degli artisti, analogamente creativa, empedocle usa il verbo κτίζω (fr. 23, 6 diels-Kranz)119. in Od. iii 430 ποιπνύω descrive l’affaccendarsi di coloro che assistono nestore nella preparazione di un rito per la dea atena. ancora in un contesto rituale, i profeti eredi della sibilla di eritre μαντοϲύνην θνητοῖϲιν ἀληθέα ποιπνύϲουϲι (Phleg. De long. Vi 1, 146 stramaglia). infine, una massima aurea pitagorica riportata da Porfirio (Vita Pythag. 40) ingiunge di εὖ μάλα ποιπνύειν (“ben provvedere”) ai compiti per il nuovo giorno120. L’enfasi è sulla previdenza dei preparativi. La dimensione mantica è un tratto comune con P.derveni (vd. a col. ii 42). 43-44 τοῖϲ – ϲ[πουδάϲ]μ̣αϲ̣ι̣ν. il complemento εἰϲ αὐτὴν̣ è da riferire alla dea, mentre quel che segue deve riguardare ποιπνύτροιϲι. se la decifrazione μ̣αϲ̣ι̣ν è corretta, il commentatore intendeva ποιπνύτροιϲι come un sostantivo neutro plurale, del quale offre un sinonimo declinato nello stesso caso e numero. sulla base di hsch. π 2742 hansen, che fornisce l’unica altra attestazione del termine antimacheo, nello stesso numero e caso (ποιπνύτροιϲι), accompagnato dalla spiegazione ϲπουδαίοιϲ121, suggerisco di restituire nel papiro ϲ[πουδάϲ]μ̣αϲ̣ι̣ν
119 La creazione artistica è παράδειγμα della creazione tout court, secondo il commento di simplicio, In phys. 159, 27, che tramanda questo frammento. 120 Πρῶτα μὲν ἐξ ὕπνοιο μελίφρονοϲ ἐξυπαναϲτὰϲ / εὖ μάλα ποιπνύειν ὅϲ’ ἐν ἤματι ἔργα τελέϲϲειϲ (μάλα ποιπνύειν è la lezione dei codici porfiriani, sostituita nelle edizioni dalla lezione μαλ’ ὀπιπεύειν attestata dalla tradizione di diogene Laerzio: nauck 1886 ad l.). 121 La forma proparossitona ποιπνύτροιϲι è attestata dal codex unicus di esichio (marc. Gr. 622) e così registrata in LSJ Suppl. (1968: a esso collaborò anche maas) s.v. ποίπνυτρα (“dubio sensu”), mentre LSJ Revised Suppl. (1996) registra un ripensamento (“unknown sense and accent”).
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(scritto dopo una ‘falsa partenza’, e conseguente cancellazione: ⟦ϲτ̣ου⟧ϲ[πουδάϲ]μ̣αϲ̣ι̣ν): cfr. LsJ s.v. ϲπούδαϲμα, “thing or work done with zeal” (ϲπουδάζω in ambito misterico: Plat. Leg. 870d 6). si può supporre che in esichio (o nella sua fonte) sia caduto un sostantivo che, combinato con l’aggettivo ϲπουδαίοιϲ, rendesse lo stesso significato di ϲπουδάϲμαϲιν del commentario antimacheo. a parere di morel, invece, la glossa esichiana mostra di intendere la parola antimachea come aggettivo sostantivato riferito a persone (ap. Vogliano 1937, p. 59: “der betreffende antike erklärer fasste ποίπνυτρον persönlich, etwa als ‘eifrige diener’ ”). wyss, condividendo questa opinione, ritenne che il termine così inteso dovesse essere accentato al nominativo come ossitono per analogia con sostantivi come ἰητρόϲ, δαιτρόϲ (ergo π]οιπνυτρ[ο]ῖϲι al dativo plurale) e che il suo significato dovesse essere sostanzialmente lo stesso (θεράπων) del sostantivo ποιπνυόϲ, pure presente nel lessico di esichio. tuttavia, questa interpretazione mal si concilia con quel che resta della spiegazione riportata nel commentario (wyss, che ne era consapevole, annotò: “sed verba interpretis antimachi non assequor”) e con quel che sembra di poter ricostruire della narrazione antimachea: come si spiegherebbe l’improvvisa presenza di assistenti di genere maschile in un contesto fin qui esclusivamente femminile? se la restituzione ϲ[πουδάϲ]μ̣αϲ̣ι̣ν è corretta, la corrispondenza fra il commentario e il lessico di esichio ha valore congiuntivo e si somma ad altri indizi della loro discendenza da una comune tradizione esegetica specificamente antimachea (vd. Introduzione). 44-47 in queste linee si anticipano e interpretano separatamente due segmenti poetici (44 ἀϲήτοροϲ; 44-45 ᾌ̈δ[οϲ | ἐκπρο]λιπο[ῦϲα θ]οὸν δόμον) poi ricompresi in un lemma di maggiore estensione (col. ii 47-48). La coincidenza dei rr. 44-45 con la citazione di antimaco contenuta in Epim.Hom. θ 25, 29-30 dyck costituisce la prova della paternità antimachea dei versi commentati nel papiro (vd. Introduzione). Lo stesso luogo antimacheo deve essere presupposto in quel che sopravvive di un lessico omerico, P.oxy. xxx 2517 (r. 8), possibile testimone del lessico di apollonio sofista: haslam 1994b, pp. 108-109. 44 ἀϲήτοροϲ – ἦτ̣ο̣ρ. L’interpretazione presuppone la ben attestata contiguità semantica delle famiglie lessicali rapportabili ai verbi ἀϲάω e ἀνιάω122: cfr. sapph. fr. 1, 3-4 Voigt (μή μ’ ἄϲαιϲι μηδ’ ὀνίαιϲι δάμνα, / πότνια, θύμον); hippocr. Morb.sacr. 15, 4 (ἀνιᾶται δὲ καὶ ἀϲᾶται παρὰ καιρόν, il flemmatico “si affligge
122 L’accusativo di relazione τὸ ἦτ̣ο̣ρ che accompagna ἀνιωμένου implica forse una paretimologia ἀϲάω (= ἀνιάω) + ἦτ̣ορ̣ ? Cfr. Il. ix 572, dove ἀμείλιχον ἦτορ ἔχουϲα è detto dell’erinni che altea invoca contro il figlio meleagro.
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e si angoscia inopportunamente”), cui si riconnette hsch. α 7628 Latte-Cunningham, s.v. ἀϲᾶται· λωβήϲεται, ἀνιᾶται. Propriamente, ἄϲα è la “nausea” o “angoscia” che stringe la bocca dello stomaco: achille, affranto per la morte di Patroclo, prega i compagni di non spingerlo a mangiare o bere a forza (Il. xix 307 ἄϲαϲθαι φίλον ἦτορ, ἐπεὶ μ’ ἄχοϲ αἰνὸν ἱκάνει). il commentatore spiega un sostantivo in -τωρ (di norma, suffisso di nomen agentis)123 con il participio mediopassivo ἀνιωμένου (cfr. Lloyd-Jones – Parsons 1983, p. 28, ad fr. 65, 1: “sed potius nomen agentis ad ἀϲᾶν”), equivalente forse all’espressione perifrastica ἀνιάτωϲ ἔχειν (Plat. Resp. 615e; Phaedo 113e; cfr. Gorg. 525b-526b ἀνίατοι) che descrive la condizione delle anime ‘inguaribili’ a causa dell’enormità della colpa commessa in vita. egli intende forse “implacabile”, come certi padroni improvvidi che finiscono col “dare il tormento” a se stessi e anche alla servitù (xenoph. Oec. 3, 2 πολλὰ μὲν αὐτοὺϲ ἀνιωμένουϲ, πολλὰ δὲ ἀνιῶνταϲ τοὺϲ οἰκέταϲ). analogamente, per l’anima di edipo (se di essa si tratta: vd. a col. ii 42 e 47-48), l’irrimediabilità della colpa si risolve nel suo inesorabile riproporsi e causare angoscia ai discendenti. 44-47 ᾌ̈δ[οϲ – λα]μβάνει. Per l’aggettivo θοόϲ riferito alla casa di ade, il commentario offre in primo luogo il significato di “nero”. dopo θ[ο]ὸν τὸν μέλανα, propongo di interpretare η (inteso sin da Vogliano e wyss come congiunzione disgiuntiva) come articolo del sostantivo ἀπεκδοχή (απεγδ- pap.). Quest’ultimo è attestato nell’accezione di “attesa“124, evidentemente non idonea al nostro contesto. il significato in questo passo può dedursi sia dal quasisinonimo ἐκδοχή, “interpretazione”125, sia soprattutto dal verbo ἀπεκδέχομαι usato da apollonio discolo, Coni. p. 226, 20 schneider, in riferimento a un enunciato ἐλλειπτικόϲ, le cui espressioni implicite (ϲυμβολικὰϲ φωνάϲ) sono ricavabili “perché (le) deduciamo (dal contesto)” (ἀπεκδεχομένων ἡμῶν)126. dopo ἀπεκδοχή è possibile decifrare ε (oppure θ), seguito dalla traccia di un’altra lettera: propongo ἡ ἀπεκδο̣χὴ ἐκ̣ [τοῦ | θ]ο̣ὴ̣[ν] δ̣[ιὰ] ν̣ύκτα μέλαινα̣ν: “l’interpretazione derivata dal contesto (è dedotta) sulla base di θοὴν – μέ-
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i sostantivi in -τωρ, con valore attivo, sono relativamente frequenti in antimaco (wyss 1936, p. xxxii). 124 Clem. Str. Vii 13, 82, 7; sch. Nic. Il. xiV 499c (a): accezione e passi segnalati da Fam. 125 Plb. iii 29, 4 καθάπερ ἐποιοῦντο τὴν ἐκδοχὴν οἱ Καρχηδόνιοι; Plb. xxii 7, 6 ἐξ ὧν ἦν λαμβάνειν ἐκδοχὴν ὅτι κτλ; sch. Pind. Ol. 13, 100c οὐκ ἔϲτι δέ, ἀλλ’ ἐκείνη βελτίων ἡ ἐκδοχή, λαμβανομένη ἀπὸ τοῦ ποιητικοῦ προϲώπου. e cfr. anche δέχονται al r. 47. 126 Fam: la medesima accezione sembra presente in sch. Ariston. Il. xVi 41a (a) ἡ δὲ ἀναφορὰ (sc. Aristarchi) πρὸϲ τοὺϲ ἀπεκδεξαμένουϲ τὸ “ἴϲκεν ψεύδεα πολλὰ λέγων ἐτύμοιϲιν” (τ 203)· τὸ γὰρ “ἴϲκεν” ὑπολαμβάνουϲι κεῖϲθαι ἀντὶ τοῦ ἔλεγεν, οὐκ ὀρθῶϲ. Gli interpreti del verso odissiaco criticati da aristarco intendevano (ὑπολαμβάνουϲι) ἴϲκεν nel senso di ἔλεγεν deducendolo dal contesto (ἀπεκδεξαμένουϲ), dove ἴϲκεν coabita con λέγων.
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λαιναν (Il. x 394 e 468; xxiV 366 e 653)”127. in questa formula omerica, θοόϲ in ‘coppia contigua’128 con μέλαϲ potè essere inteso come suo sinonimo. di seguito il commentatore dava forse un’ulteriore ragione per cui la notte poteva esser detta θοή nel senso di “nera”: a διότι μὴ τὸν ἥλιο[ν (fine di r. 46) segue, all’inizio di r. 47, la traccia di una lettera decisamente rotonda isolata tra due lacune, che Vogliano decifrò come parte di un ω; segue una forma verbale che può integrarsi come λα]μβάνει, oppure come un composto dello stesso verbo, ad es. [καταλα]μβάνει129. in P.derveni xi 3-4 κα̣τα̣[λ]αμβάνει è detto, viceversa, della Luce (αὐγή) che raggiunge la notte, immobile nel suo abisso (vd. Kouremenos-Parássoglou-tsantsanoglou 2006, p. 186). il precedente ω può suggerire l’integrazione ἔϲ]ω: e.g. οἱ δὲ δέχονται διότι μὴ τὸν ἥλιο[ν ἔϲ]ω̣ [καταλα]μβάνει: “altri intendono: perché (la notte) non raggiunge il sole all’interno” (cioè nella dimora che, secondo hes. Theog. 746-757, condividono senza mai incontrarsi). in alternativa, si può pensare a una forma avverbiale: e.g. οἱ δὲ δέχονται διότι μὴ τὸν ἥλιο[ν τα]|χέ]ω̣[ϲ ἐπιλα]μβάνει (“altri intendono: perché non raggiunge il sole in velocità”). eustazio (ad Il. x 394, p. 815, 15-24) attribuisce la riflessione sulla velocità relativa del sole e della notte a Cratete di mallo, il quale τὸ θοή ἐπὶ ταχείαϲ τίθηϲι, λέγων ὡϲ ἡ νὺξ ϲκιὰ τῆϲ γῆϲ οὖϲα ἰϲοταχῶϲ κινεῖται τῷ ἡλίῳ, διώκουϲα οἷον καὶ διωκομένη (“riferisce l’attributo θοή alla velocità, dicendo che la notte, essendo l’ombra della terra, si muove alla stessa velocità del sole, inseguendolo nella stessa misura in cui ne è inseguita”)130. il dossier esegetico su θοόϲ ha una tappa significativa – rilevante anche per la tradizionare indiretta della poesia antimachea – negli Epimerismi Homerici. in Epim.Hom. θ 25 dyck una lunga argomentazione punta a dimostrare che l’aggettivo θοή riferito alla notte in Il. xiV 261 (ἅζετο γὰρ μὴ νυκτὶ θοῇ) non significa “nera” ma “immota”. a partire dal significato τὸ ὀξύ (“appuntito” come le isole echinadi: Od. xV 299)131, si giunge a τὸ ταχύ (“veloce”, come le navi
127 Per la costruzione con ἐκ, cfr. il secondo passo polibiano citato alla nota 125. Carrara (seguito da matthews) ha suggerito ἀπ’ ἐκδοχῆ⟨ϲ⟩ ἐ̣[κ τοῦ Κ: questo supplemento, eccedente la lunghezza media del rigo, presuppone un errore da parte dello scrivente e non è conforme al suo uso (quando riporta citazioni omeriche, egli si limita a fare il nome del poeta, senza alcun riferimento a un libro preciso: vd. a col. ii 9 e 38); i libri possibili sarebbero comunque due (Κ e Ω). 128 degani 1977-1978. 129 L’integrazione [καταλα]μβάνει eccede forse le dimensioni della lacuna: l’allineamento delle parti iniziali di r. 46 e r. 47 (che si trovano su un lembo staccato, in basso, dal resto del papiro) appare tuttavia sfalsato, e ammette forse un paio di lettere in più nella lacuna iniziale di r. 47 rispetto al soprastante r. 46 (qui, viceversa, lo spazio disponibile in lacuna era apparentemente più ampio di quello necessario ad integrare le lettere mancanti). 130 Questa teoria era coerente con la sfericità della terra, sostenuta da Cratete: cfr. Cratet. fr. 11 Broggiato; heraclit. Quaest.Hom. 45-46; sch. ex. Il. x 394b (bt). Vd. Pontani 2005, pp. 214-215. 131 Cefalonia e dintorni. Cohn 1905 pensò a epafrodito come fonte della discussione su almeno una delle accezioni di θοόϲ, a partire dalla accezione τὸ ὀξύ e combinando le competenze geogra-
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omeriche: Il. xii 7; Od. iV 255), quindi a τὸ ἰϲχυρόν (“saldamente confitto”, come un giavellotto: Il. V 533, o “saldo” come dovrebbe essere un combattente che non si dà alla fuga: Il. V 571)132 e a τὸ ἀϲφαλέϲ (“sicuro”, come un nodo ben stretto: Od. xxi 241), infine a τὴν ἑδραῖαν καὶ ἀκίνητον, “stabile” come la mensa a cui siedono i convitati (Od. Viii 38) ma anche come la notte omerica, “non nera ma immota”, in Il. x 394, 468 e xxiV 366, 653 (Epim.Hom. θ 25, 21-23 dyck οὕτωϲ οὖν καὶ “θοὴν νύκτα” τὴν ἑδραῖαν, οὐχ, ὥϲ τινεϲ, τὴν μέλαιναν, ἀλλὰ τὴν ἀκίνητον)133. analogamente, e cioè “in assenza di movimento” (κατὰ ϲτέρηϲιν τοῦ προϊέναι), omero disse la notte ἀβρότη, e nello stesso senso deve essere intesa l’espressione νυκτὸϲ ἀμολγῷ (Il. xV 324; Il. xxii 28, 317; cfr. Il. xi 173), ricavabile dalla stessa radice di μολῶ (“andare”): se ne deriva la corrispondenza tra μολῶ (da cui ἀμολγόϲ) e il monosillabo θῶ (da cui τίθημι), donde l’equivalenza di τιθέμενον e ἀϲφαλέϲ (significato richiesto per θοόϲ, se lo si vuole intendere come “immoto”). Così anche antimaco – conclude l’esegeta (Epim.Hom. θ 25, 29-30 dyck) – dice la casa di ade θοόν non nel senso di μέλανα bensì in quello di ἀκίνητον, “immota” (καὶ παρὰ Ἀντιμάχῳ Ἀΐδοϲ ἐκπρολιποῦϲα θοὸν δόμον οὐ τὸν μέλανα ἀλλὰ τὸν ἀκίνητον). Grazie alla testimonianza di orione ap. EGen. aB s.v. θῶκοϲ, la fonte di questa interpretazione è identificabile con Filosseno134. 47-48 δὴ τότ̣᾿ – θάλαμοι. tre esametri verisimilmente consecutivi, citati tutti e tre incompleti della seconda parte, i primi due fino alla dieresi bucolica, il terzo fino alla cesura eftemimere (antim. fr. 187 w. = 112, 1-3 m.)135. il lemma è ritagliato, a spese dell’integrità metrica e sintattica, in modo da concentrare l’interesse sull’erinni, alla quale è dedicata la scarna nota di commento (vd. a col. ii 48). Lo scrivente, avendo tralasciato ᾌ̈δοϲ, lo ripristina supra lineam (r. 47; cfr. rr. 44-45). Comincia a delinearsi un paesaggio infernale (vd. a col. ii 49). nel primo
fiche di epafrodito (queste si estesero anche all’isola di Cefalonia: cfr. EGen. = EM. p. 507, 26-33 Gaisford, dove tuttavia non si trova alcun riferimento al profilo ‘acuto’ dell’isola) con il suo interesse per le parole capaci di più significati. Vale la pena di ricordare che Cassio Longino (il maestro di Porfirio e studioso di antimaco: vd. Introduzione) fu autore di uno scritto Περὶ τῶν παρ’ Ὁμήρῳ πολλὰ ϲημαινουϲῶν λέξεων. 132 si può pensare a un oggetto acuminato che, lanciato, sia ormai ‘conficcato’ nel suo punto di arrivo; west 1966a, ad hes. Theog. 481 (θοὴν νύκτα): “always with a verb of motion expressed or implied”. 133 Cfr. EM. p. 453, 6-19 Gaisford (ϲημαίνει πέντε κτλ). 134 Philox. fr. 7 theodoridis, dal Περὶ μονοϲυλλάβων ῥημάτων. a Filosseno risale anche la riflessione sul monosillabo γῶ considerato come radice di γωρυτόϲ (vd. il commento a col. ii 38-39): come in quel caso, l’interpretazione fu ripresa anche da apollonio sofista (se a quest’ultimo è riconducibile il lessico parzialmente conservato in P.oxy. xxx 2517: vd. il commento a col. ii 44-47). 135 altre suddivisioni non sembrano possibili, stanti le fini di parola e le tendenze note nel posizionamento delle incisioni nell’esametro dell’epos.
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verso, dopo ἀϲήτοροϲ, è necessario un inizio vocalico per il quinto metron. adducendo a confronto la scena iniziale della Tebaide di stazio (i 46-96), maas (ap. Vogliano 1935, p. 25; vd. inoltre Vogliano 1937, pp. 46-47 n. 2 e p. 60) propose l’integrazione Οἰδιπόδαο e, quindi, la seguente ricostruzione: δὴ τότ᾿ Ἐρ⟦ε⟧ινὺϲ ἦλθεν ἀϲήτοροϲ ⟨Οἰδιπόδαο⟩ / ᾌ̈δοϲ ἐκπρολιπ[οῦϲα θ]οὸν δόμον ⟨ἔνθα μιν ἔϲχον⟩ (εἶχον Vogliano) / χ̣άλκεοι Ἀράων θάλαμοι. maas suppose che questi versi siano tratti dall’inizio della Tebaide di antimaco e che i lemmi precedenti derivino da un’opera diversa dello stesso poeta. matthews ha invece attribuito tutti i lemmi del commentario all’Artemide. una terza possibilità, a mio avviso preferibile, è che tutti i lemmi appartengano alla Tebaide (sulla questione attributiva, vd. Introduzione al papiro). Benché non manchino alternative136, l’integrazione ⟨Οἰδιπόδαο⟩ è calzante dal punto di vista metrico e linguistico e suggestiva sul piano del contenuto. Quanto all’accattivante tentativo di riconoscere questa sequenza di versi nella parte iniziale dell’esiguo fr. 4 di P.oxy. xxx 2516 (= SH 65, 1-3), testimone di poesia antimachea, le perplessità e le controindicazioni sembrano superiori alle coincidenze, che appaiono minime e dubbie137. una diversa prospettiva si apre, invece, se si considera il possibile riecheggiamento di quanto resta del terzo esametro antimacheo (χ̣άλκεοι Ἀράων θάλαμοι) in un verso della Tebaide di stazio. nel primo libro del poema, nella scena del banchetto in onore di Polinice e tideo, adrasto si dilunga sul mito di Lino e Corebo (vv. 557-668) e sulla terribile minaccia rappresentata dal mostro (ucciso infine da Corebo) che apollo aveva suscitato per vendicare la morte di Lino, il bambino nato da lui e da Psamate, la figlia del re Crotopo. Questa dira lues è un monstrum infandis Acheronte sub imo / conceptum Eumenidum thalamis (v. 601; Paus. i 43, 7-8 lo chiama Ποινή). La somiglianza dell’espressione staziana infandis … Eumenidum thalamis con quella antimachea χ̣άλκεοι Ἀράων θάλαμοι (già riecheggiata in Verg. Aen. Vi 280; cfr. Carrara 1980) potrebbe non essere una mera coincidenza. si deve aggiungere che, come riferisce la Diegesis
meliadò 2006 propone ad es. ἀϲήτοροϲ ⟨Οἰνεΐδαο⟩ o anche ⟨’Ιφίκλοιο⟩ in un contesto di narrazione della vicenda di meleagro. 137 dopo la perplessità espressa nell’editio princeps da Lobel (P.oxy. xxx 2516, p. 23: “i cannot account for the startling difference between lines 2 and 3 in the count of missing letters, since δομον and λαμοι in this manuscript start on about the same alignment”), nel SH Lloyd-Jones e Parsons osservano che “mire discrepant vv. 2 et 3 longitudines” (p. 28). west 1966b trovava “disturbing that the next eight verses [sc. di P.oxy. xxx 2516] will not admit … ]ρ̣α̣ ὑψικρανά̣εϲϲα” (cioè il lemma successivo nel commentario ermopolitano, col. ii 49: antim. fr. 188 w. = 113 m.), che pure ben si adatterebbe al contesto (cfr. SH 65, p. 28: “tartari ecphrasis, vv. 2-3, item fort. v. 6 de tantalo”). mh osserva (per litteras): “i would reject the identification of Poxy 2516 fr. 4, 1-3 (SH 65, 1-3) with our verses. the difficulties are just too great, and δομον and λαμοι(ο!) in themselves are not enough to establish the identification, especially when the poem was so long, and the readings are not assured (δο looks very doubtful in l. 2; in l. 3 θαλαμοιο is genitive by the looks of it; ]ητ[ in l. 1 seems forced, with the longer stem of the putative tau)”. 136
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Oxoniensis, questa storia era riferita da agia e dercilo (P.oxy. xx 2263, fr. 1, col. ii = FGrHist 305 F 8bis, negli Addenda und Corrigenda di FGrHist iii B, p. 757; cfr. engels 2016, BNJ 305 F 8b), dai quali Callimaco avrebbe attinto per la narrazione della medesima vicenda nel primo libro degli Aitia (frr. 26-31a Pfeiffer = 28-34 massimilla; analisi delle fonti in massimilla 1996, pp. 101-102 e 299302)138. nello stesso libro figurava l’aition degli Argivi fontes, per il quale Callimaco pure fece ricorso ad agia e dercilo (vd. a col. ii 12-13, 13-21, 21-23). Questa combinazione di elementi supporta l’ipotesi che l’erinni evocata nel fr. 187 di antimaco sia il mostro che apollo suscitò per vendicare la morte di Lino e che incombeva sui neonati di argo. 48-49 Ἀρὰϲ εἶπε τὰϲ Ἐρι[νύ|αϲ]. La succinta annotazione di argomento ‘teologico’ (cfr. col. ii 2, 3, 34) propone l’interpretazione delle erinni come Ἀραί (“maledizioni”), che ha un parallelo nello sch. ex. Il. xxi 412b (bt) (ἐρινύαϲ: κατάραϲ) e si fonda sulla etimologia illustrata da Cherobosco (παρὰ τὸ τὰϲ ἀρὰϲ ἀνύειν γέγονεν ἀρανύϲ, καὶ κατὰ τροπὴν τοῦ α εἰϲ ι Ἐρινύϲ) e ripresa in EGen. B (miller 1868, p. 126) = EM. p. 374, 2-10 Gaisford, in EGud. coll. 523, 6-524, 6 sturz, e ancora in eustath. ad Il. ix 454, p. 763, 25-42 (cfr. eustath. ad Il. xxi 412, p. 1244, 28 ἐρινύαϲ μητρὸϲ λέγει τὰϲ μητρικὰϲ ἀράϲ). Le ἀραὶ Οἰδίποδοϲ acquisirono statuto proverbiale: Zenob. V 2, 88 Bühler; Ath. V 1, 36 spyridonidou-skarsouli. 49-50 ]ρ̣α ὑψικρανά̣εϲϲα – ὑψικραν̣[ά|εϲϲα. il composto ὑψικρανά̣εϲϲα potrebbe essere di conio antimacheo139. il poeta combina (“una sola parola”, annota il commentatore) l’elemento avverbiale ὕψι con l’aggettivo omerico κραναόϲ (“scosceso”, “dirupato”, riferito a itaca o comunque a un’isola le cui coste rocciose precipitano in mare: matthews 1996, p. 293). Formazioni analoghe, ma della seconda declinazione e con il secondo elemento costituito da un sostantivo, sono lo hapax omerico ὑψικάρηνοι, detto di “querce alte sui monti” (Od. xii 132 δρύεϲ οὔρεϲιν ὑψικάρηνοι) e l’eschileo ὑψίκρημνοϲ (aeschl. Prom. 421; matthews segnala anche aeschl. Prom. 5 πέτραιϲ ὑψηλοκρήμνοιϲ). Per il recupero dell’inizio del lemma è utile guardare alla spiegazione, dove τραχεῖα rende ὑψικρανάεϲϲα e verisimilmente [λ]αμπρά (r. 49) è il corrispettivo di quanto del lemma è caduto in lacuna. non è da escludere che proprio λαμπρά fosse anche la parola antimachea, dal momento che il sintagma si riferisce all’acqua dello stige e l’aggettivo è riferito all’acqua in aeschl. Eum.
138 a questo mostro potrebbe riferirsi l’aggettivo δαϲπλῆτα in Callimaco, fr. 30 Pfeiffer = 32 massimilla (vd. il commento ad l. di massimilla 1996, pp. 305-306). 139 sulla predilezione di antimaco per gli aggettivi della seconda classe in -οειϲ: wyss 1936, pp. xxxii-xxxiii; matthews 1996, p. 294.
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695. Considerato che il segno al termine della spiegazione precedente poteva essere stato tracciato in modo compresso come a col. ii 33, ci si può forse spingere a restituire un lemma Ϲτὺξ λαμπ]ρ̣ὰ ὑψικρανά̣εϲϲα, dove – se ὑψικρανά̣εϲϲα fosse la parola finale del verso – lo iato sarebbe attenuato dalla cesura eftemimere140. nella Teogonia esiodea Ϲτύξ risiede nella casa di ade e, indistinguibile dalla sua dimora fatta di rocce e d’acqua, s’innalza verso il cielo su “colonne d’argento” (hes. Theog. 779 κίοϲιν ἀργυρεοῖϲι πρὸϲ οὐρανὸν ἐϲτήρικται): la sua acqua, decima parte di quella del padre oceano e corrente da un’alta roccia (786-787 ἐκ πέτρηϲ καταλείβεται ἠλιβάτοιο / ὑψηλῆϲ; 792 ἡ δὲ μί’ ἐκ πέτρηϲ προρέει, μέγα πῆμα θεοῖϲιν), è quella dei giuramenti più tremendi (west 1966a, pp. 371-372). sulla base di questo parallelo, per l’inizio del lemma del commentario ermopolitano in alternativa a λαμπ]ρ̣ά si può pensare ad ἀργυρ]ε̣ά, che però confligge con i resti della prima lettera fuori lacuna, oppure πέτ]ρ̣α141. Quest’ultima ipotesi trova un appiglio nella descrizione offerta da Circe in Od. x 513-515, secondo cui una roccia segna la confluenza nell’acheronte di due fiumi “scroscianti in una cascata” (πέτρη τε ξύνεϲίϲ τε δύω ποταμῶν ἐριδούπων), il Periflegetonte e il Cocito, che è appunto un braccio dell’acqua di stige (cfr. anche aristoph. Ran. 470 Ϲτυγὸϲ … μελανοκάρδια πέτρα). tuttavia, πέτρα non soddisfa la presenza di λαμπρά nella parafrasi142. anche nel proemio degli Inni orfici l’acqua di stige è “splendente” (H.Orph. proem. 29 τὸ Ϲτυγὸϲ ἀγλαὸν ὕδωρ). La prossimità a stige conviene alle erinni, garanti del compimento dei giuramenti (Il. xix 259): in H.Orph. 69, 3-4 esse sono definite ὑπὸ κεύθεϲιν οἰκί ᾽ ἔχουϲαι / ἄντρῳ ἐν ἠερόεντι παρὰ Ϲτυγὸϲ ἱερὸν ὕδωρ. Così anche eustazio (ad Il. ix 454, p. 763, 25-42 Ϲτυγεραὶ δὲ Ἐριννῦϲ … παρὰ τὴν Ϲτύγα τὴν ἐν Ἅιδου πηγήν), il quale anche ricorda che le erinni sono dette χαλκόποδεϲ perché i loro passi rimbombano come bronzo: la stessa materia di cui sono fatte, secondo antimaco, le stanze in cui dimorano (vd. a col. ii 47-48). 50-52 τὸ δὲ τ]ῆϲ̣ Ϲτυ̣γὸϲ – Ϲτυγὸϲ] ὕδωρ. L’inizio di r. 50 doveva essere impegnato dalle ultime quattro lettere di ὑψικρανάεϲϲα. Pertanto non vi è spazio
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altri casi si osservano in antim. fr. 112 m. (meliadò 2006, p. 47). un dorismo possibile in antimaco secondo meliadò 2006, p. 47 (con rinvio a Lombardi 1993, pp. 111 ss., e Lombardi 2003, pp. 139-142). 142 un’ipotesi analoga a quella ora menzionata è in Vogliano 1937, p. 60. Questi ricorda la roccia che, al termine del racconto odissiaco, le anime dei Pretendenti incontrano lungo il loro cammino verso il regno dei morti (Od. xxiV 11-12 πὰρ δ’ ἴϲαν Ὠκεανοῦ τε ῥοὰϲ καὶ Λεύκαδα πέτρην / ἠδὲ παρ’ Ἠελίοιο πύλαϲ καὶ δῆμον ὀνείρων). sulla stessa linea, meliadò 2006, p. 47, suggerisce nel lemma del commentario ermopolitano un’integrazione “del tipo Λευκοπέτ]ρα ὑψικρανάεϲϲα”. ma la roccia di Leucade si trova altrove: presso le correnti d’oceano e le porte del sole al tramonto, dunque all’estremo occidente della superficie terrestre e non nelle profondità dell’ade (nagy 1973). 141
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sufficiente per un nuovo lemma Ϲτύξ (che per di più avrebbe dovuto essere preceduto dal segno ) come proposto da maas (ap. Vogliano 1937, p. 60)143. L’esigenza di un lemma di questo tipo è superata se si ammette che Ϲτύξ comparisse nella parte perduta del lemma di r. 49 (vd. il commento ad l.). il poeta è il soggetto di ὑποτίθεται (così già maas): questo verbo è usato in diatesi media e con lo stesso significato di “supporre” anche in apollod. FGrHist 244 F 102a; Call. Dieg.Ia. 1, 2; sch. Pind. Ol. 1, 91a, Ol. 3, 25a, Ol. 4, 1a (il soggetto è sempre un poeta che immagina cose sull’altro mondo)144. il commentatore annota che antimaco concorda con un verso di Paniassi, citato per esteso, in cui l’acqua di stige sommerge sisifo (fr. 15 Bernabé = 26 davies). il riferimento a Paniassi implica la tradizione dello stretto rapporto personale fra i due poeti (cfr. antim. test. 9 w. = 3 m.: antimaco οἰκέτηϲ o, secondo altri e più onorevolmente, ἀκουϲτήϲ di Paniassi; cfr. anche test. 38 w. = 29 m.). 52-53 ἐν δὲ τῶ̣ι γ – εἶπε]ν. all’inizio di r. 53, ὑποτίθηϲι]ν (Vogliano, wyss) è possibile (cfr. sch. Pind. Pyth. 3, 22b αἰτίαν ὑποτίθηϲιν, δι’ ἣν ἀνῃρέθη ὑπ’ Ἀρτέμιδοϲ κτλ) ma diverge dall’uso dello stesso verbo in forma mediopassiva a r. 50. nelle altre annotazioni in cui il soggetto è antimaco (col. ii 2, 24, 48) di norma il commentatore fa ricorso a verbi coniugati a un tempo storico: sembra perciò preferibile integrare εἶναι εἶπε]ν. egli annota che nel terzo libro della Tebaide antimaco situò l’acqua di stige nei pressi di nonacris, in arcadia: secondo lo stesso metodo applicato a col. ii 39-41, il poeta è messo a confronto con sé stesso. L’ambiente infero dell’acqua di stige (vd. col. ii 49) rispecchia quello di nonacris, luogo del suo affioramento sulla superficie terrestre. La località, identificabile con la cascata di mavronero ed efficacemente descritta da Frazer 1898145, ci è nota sin da hdt. Vi 74 (giuramento dei ribelli arcadi sull’acqua di stige a nonacris). ai tempi di Pausania (Viii 17, 6-18, 4) il sito era in abbandono. sulla base di questo riferimento al terzo libro della Tebaide, matthews argomenta l’attribuzione del lemma qui commentato e di tutti i restanti lemmi di
143 Vogliano 1937, p. 61, obietta: “non so fino a che punto Cτυ̣γὸϲ ὕδωρ sia denominazione prosaica per indicare lo stige”, e considera ]ηϲ̣ Ϲτυ̣γὸϲ ὕδωρ come parte di un lemma per il quale Cazzaniga (1967, p. 363; ma vd. già Vogliano 1935, p. 26) propone l’integrazione ὠγηνί]ηϲ (detto di stige in Parthen. fr. 11 Lightfoot = 7 martini); matthews 1996, p. 295 offre ὠγυγί]ηϲ (cfr. hes. Theog. 805-806). L’espressione Ϲτυγὸϲ ὕδωρ si trova frequentemente in fine d’esametro (esempi in matthews 1996, p. 295 e nota 113), talvolta precede immediatamente la dieresi bucolica (ad es. in Il. xV 37, Od. V 185: giuramenti di Calipso e di era). 144 nello sch. Pind. Isthm. 7, 23a il verbo ricorre in forma passiva (ἐὰν δὲ ὑποτεθῇ τὰ ἑξῆϲ) e con diatesi dubbia: “qualora siano sottintese” oppure “qualora (il poeta) sottintenda le parole che seguono”. 145 moggi-osanna 2010, pp. 369-372; Castelletti 2006, pp. 59-62, 228-236 e tavv. xii-xiV. Vd. anche Frazer 1900.
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P.mil.Vogl. i 17 a un poema diverso dalla Tebaide, cioè all’Artemide (ma vd. Introduzione al papiro). 53-58 καὶ Θεόφραϲτοϲ – πε̣π̣ο̣ννη[ . a proposito dell’acqua di stige in arcadia, si adduce un passo del trattato Sulle acque di teofrasto, gravemente lacunoso ma esteso probabilmente almeno fino all’ultimo rigo conservato della colonna (fr. 213a Fortenbaugh-sharples). La Nebenüberlieferung (theophr. fr. 213B Fortenbaugh-sharples ap. antig.Car. Hist.mir. 158 Keller = Ps. antig.Car. 158, p. 67 musso; theophr. fr. 213C Fortenbaugh-sharples ap. Plin. N.H. xxxi 26) mostra che teofrasto si occupava delle speciali caratteristiche dell’acqua detta “(di) stige” che si trovava in arcadia nei pressi di Feneo (dunque a nonacris). alla fine di r. 53, l’espressione ὅϲα δὲ δὴ appare adeguata all’incipit di una esposizione argomentativa (δὴ è la scelta di Castiglioni, preferibile alle integrazioni δῆ[λα di Vogliano o δη[κτικά di Von der mühll). a r. 58, non escluderei l’integrazione Πε̣λο π̣ ο̣ ν̣ νη[ϲ-. Come nel caso della citazione da agia e dercilo (vd. a col. ii 13-23), il commentatore antimacheo ebbe probabilmente accesso a teofrasto per via indiretta: fonte intermedia poté essere apollodoro, il quale trattò dell’acqua di stige nell’ade (apollod. FGrHist 244 F 102a = Porph. fr. 373 smith) e a nonacris d’arcadia (apollod. FGrHist 244 F 102b = Porph. fr. 374 smith), come apprendiamo da Porfirio a sua volta autore di un trattato Περὶ Ϲτυγόϲ146. sempre per il tramite di Porfirio abbiamo notizia di un ϲύγγραμμα Περὶ νυμφῶν, in cui Callimaco ebbe a occuparsi della famigerata (διαβόητον) acqua di stige (fr. 413 Pfeiffer; cfr. fr. 407, xxx Pfeiffer)147. La fortuna in ambito esegetico di quest’acqua sacra, gelida e letale – come tale nota anche a eratostene (fr. iii B 105 Berger, ap. strab. Viii 8, 4) e a Filosseno (Philox. fr. 321 theodoridis) –, deve molto alla tradizione secondo cui essa avrebbe causato la morte di alessandro magno (Plut. Alex. 77; Plin. N.H. xxx 149; Vitruv. Viii 3, 15-16; secondo Plutarco e Plinio, vi fu chi ne ritenne complice aristotele). esichio (ν 790 Latte), stefano di Bisanzio (ν 85 Billerbeck) e ancora Sud. ν 552 adler si limitano a registrare nonacris come località o città dell’arcadia, senza alcun riferimento all’acqua di stige. maria rosaria FaLiVene
146 tutti i frammenti attribuiti al Περὶ Ϲτυγόϲ di Porfirio (frr. 372-380 smith), a loro volta, sono tramandati da stobeo. 147 Cfr. anche sch. Lycophr. Al. 706 (ii 231, 26-29 scheer), EGud. coll. 513, 54-514, 4 sturz (s.v. ϲτυγερήν); eustath. ad Il. Viii 369, p. 718, 27-32.
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o.Berol. inv. 126051, 5-9 [⇒ iii: Lexica]
saec. iiia
Voce di lessico (?) (Lyde, fr. 68 M.)
5 ϲ̣ọῦϲα· ϲχοινία. ‛Oμήρου (Od. xxi 390-391)· “κεῖτο δ’ ὑπ’ αἰθούϲ̣[ηι ϲοῦϲον νεὸϲ ἀμφιελίϲϲηϲ βύβλινον ὧι τ’ ἐπέδηϲε θύραϲ, [ἐϲ δ’ ἤλ̣υθεν αὐτόϲ”, ’Aντιμάχου (Lyde, fr. 68 m.)· “ἐν δ’ ἱϲτὸν θῆκεν, λαίφ̣εϲ̣ι̣ δ̣[ὲ λινέοιϲ ϲοῦϲα ἐτίθει παντοῖα θε̣ά̣, πόδα̣ϲ̣ ἠ̣δὲ̣ κάλωαϲ, ἐν δ’ ὑπέραϲ ϲτρεπτάϲ ὅπλά τε πάντα νεό̣ϲ̣” 5 dopo ϲχοινια spazio bianco 7 dopo αυτοϲ spazio bianco —— 5 ϲ̣oυ̣ ϲα pap. ϲ̣oυ̣ ϲα ... ϲουϲον wilamowitz 1918, Calderini 1921, humpers 1921, wyss 1936, west 1967 : οὖϲα ... οὖϲον Powell 1919; vulg. ὄπλον 6-7 ὧι τ’ (ρ’ vulg.) ... [ἐϲ δ’ ἤ]|λ̣υθεν pap. (ἤϊεν vulg.) 8 λινεοιϲϲουϲα pap., ϲουϲα wilamowitz 1918, Calderini 1921, humpers 1921, Körte 1924, p. 244, west 1967 : ϲοῦϲ’ west 1992, Gentili-Prato 2002 : οὖϲα Powell 1919, wyss 1936 : οὖϲ’ Powell 1925, matthews 1996
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La presente edizione è tratta da esposito 2014 con alcuni aggiornamenti e modifiche. o.Berol. inv. 12605 (mP3 2131; LdaB 2362, l’immagine digitale è consultabile all’indirizzo web: http://smb.museum/berlpap/), proveniente da elephantine (l’ho argomentato in esposito 2014) e conservato a Berlino, presso l’ägyptisches museum, misura cm 13,3 × 6,8 e deriva da un recipiente di grandi dimensioni (lo spessore dell’ostrakon, infatti, è di cm 1,5 ca. nel punto massimo e di cm 1 ca. in quello minimo). scritto in un greco corretto, da una mano esperta, con una grafia semi-corsiva, il reperto offre un testo di natura lessicografica (sarebbe appropriato usare il termine “lessico” se i lemmi fossero ordinati in sequenza alfabetica, caratteristica questa, che non si ha la certezza di poter ravvisare, cfr. esposito 2014, p. 160 n. 5; vd. anche i dubbi manifestati da nicolosi 2019, pp. 230, 295-296). in esso sono chiosati alcuni termini poetici e le relative spiegazioni risultano accompagnate dal nome dell’autore in cui quei vocaboli sono attestati e/o dalle citazioni. Più nel dettaglio, sono visibili in tutto 11 righi, di cui i primi 4 molto lacunosi (improbabile individuarvi un altro frammento di antimaco, come pure è stato ipotizzato, vd., da ultima, nicolosi 2019, p. 295 n. 2; al riguardo cfr. esposito 2014, pp. 162-164); nei rr. 5-11 è possibile distinguere una glossa composta da lemma (ϲ̣ο̣ῦϲα), interpretamentum (ϲχοινία), autore e citazione (rr. 5-7: Od. xxi 390-391), altro autore e altra citazione (rr. 7-9: antim. fr. 68 m.). si individua, successivamente, un nuovo lemma completo di interpretamentum (alla fine di r. 9 e all’inizio di r. 10: ὧροϲ | ἐνιαυτόϲ), poi la citazione di un passo omerico contenente l’aggettivo ἐννέωροϲ (r. 10: Od. xi 311); segue, infine, il nome di ipponatte e almeno parte della relativa citazione (rr. 10-11: fr. 67 dg.2). a dividere l’interpretamentum, o la citazione, dal blocco successivo, costituito da nome dell’autore e citazione
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ϲοῦϲα: gomene. in omero: “sotto il portico si trovava una [gomena] di papiro di una nave ricurva, con la quale legò le porte, quindi entrò lui”; in antimaco: “mise l’albero, poi preparava gomene di ogni sorta per le vele di lino la dea, drizze e scotte e poi tiranti e tutto l’equipaggiamento della nave” Questi righi testimoniano, verosimilmente, una querelle di epoca antica. il neutro plurale ϲοῦϲα viene glossato con ϲχοινία, ‘gomene’ e, a sostegno di questo significato, sono addotti il luogo omerico di Od. xxi 390 e un passo di antimaco in metro elegiaco, forse tratto dalla Lyde. il motivo per cui si avvertiva l’esigenza di spiegare tale vocabolo risiede, probabilmente, nel fatto che ϲοῦϲον, a quanto si evince dalle attestazioni antiche, indicava il ‘giglio’2 e il suo utilizzo nella valenza di ‘gomena’ era inusuale. è plausibile che la difficoltà di comprensione abbia generato anche differenti interpretazioni del testo omerico, all’origine di una tradizione doppia3: da una parte ὑπ’ αἰθούϲηι ϲοῦϲον, dall’altra ὑπ’ αἰθούϲηιϲ οὖϲον (associato a οἶϲοϲ, ‘vimine’?)4 quindi – per ovviare all’impasse esegetica che evidentemente entrambi i sostantivi ponevano – il termine ‘problematico’ sarà stato sostituito dal più facile ὅπλον (lezione vulgata)5, una parola generica (al pl. ‘armi’, ‘attrezzi’; al sing. anche ‘armamento di nave’) che però, sembra assumere il significato specifico di ‘corda’, ‘gomena’ oltre che in Od. xxi 390, anche in Od. xiV 346 (del resto l’equivalenza ὅπλον = ϲχοινίον è documentata dagli antichi studiosi del testo omerico)6. Questa situazione forse giustifica il
pertinente è lasciato un vacuum (cfr. r. 5 dopo ϲχοινία, r. 7 dopo αὐτόϲ, r. 10 dopo ἐνιαυτόϲ e dopo τοίγε). non si rileva, invece, alcuno spazio bianco, o segno di separazione, tra lemma e interpretamentum, tra nome dell’autore e citazione relativa, nonché prima di un nuovo lemma. La mise en page è molto ordinata. Gli inizi dei righi appaiono ben incolonnati. alla loro sinistra è stato lasciato uno spazio non scritto, per creare un margine. La lunghezza di ciascun rigo è piuttosto regolare e comprende 40-42 lettere (fa eccezione il r. 9 che mostra 36 lettere, ma nella parte conclusiva la grafia è manifestamente più larga e distesa). Ciò denota forse nello scrivente l’intenzione di organizzare al meglio il materiale sulla superficie scrittoria. si osservi, infine, che viene adottata la scriptio plena (in r. 8 ϲουϲαετιθει e presumibilmente anche in r. 3 ραηιωρ). il tipo di spiegazioni recate mostra notevoli affinità con l’esegesi che si riscontra in apione, apollonio sofista, negli scolii omerici (il solo termine εἴϲατο però – ammesso che l’ipotesi di integrazione al r. 2 sia corretta – sarebbe registrato negli scholia minora, cfr. esposito 2014, pp. 163-164) e ripresa poi da orione, esichio, dagli Etimologici, dalla Suda, e dallo Ps.-Zonara. del resto, è presumibile che, nel iii sec. a.C., i materiali esegetici a disposizione di un ‘lessicografo’ fossero essenzialmente omerici. L’operazione che il compilatore sembra aver voluto compiere è quella di annotarsi e spiegare parole di ascendenza epica, registrando innanzitutto il significato del termine, poi il luogo omerico in cui dapprima esso è attestato, quindi occorrenze in autori successivi. 2 Cfr. ThGL Vii 520 s.v. 3 Cfr. Leumann 1950, p. 45. 4 Cfr. west 1992, p. 38 in app. 5 si rilevi che in ὅπλον di U2 le lettere πλ risultano post correctionem (cfr. Ludwich 1891, in app.), la qual cosa implica la variante ουϲον. 6 Cfr. apion 97, 10-16 L. ὅπλα· ϲχοινία. καὶ τὰ πολεμικὰ ἐργαλεῖα. καὶ τὰ τεκτονικὰ ἢ χαλκευτικά. [ὅπλον] γ⸍· τό τε ϲχοινίον καὶ πᾶ[ϲαν τὴν καταϲ]κευὴν κ[αὶ τὰ π]ολεμιϲτήρ[ι]α ὅπλα. [ὅταν] μὲν τὸ ϲ[χοι]νίο[ν]·
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perché οὖϲον e οὖϲα si ritrovino nei poetae docti alessandro etolo e Licofrone7 – che è possibile sostenessero o riecheggiassero tale lectio omerica – nonché in un epigramma anonimo polemico nei confronti di Licofrone8 e nella tradizione erudita9. il fatto che o.Berol. documenti in antimaco – il cui linguaggio riprende spesso quello omerico10 – l’uso, invece, di ϲοῦϲα potrebbe testimoniare che la lezione che antimaco trovava nel suo testo omerico e/o che riteneva originaria, corretta fosse ὑπ’ αἰθούϲῃ ϲοῦϲον (vd. pure infra). del resto, si noti che con ϲοῦϲον si evita lo iato (anche se in realtà ὅπλον è solidamente attestato) e, soprattutto, l’espressione ὑπ’ αἰθούϲῃ è ricorrente in omero (oltre al nostro passo, cfr. Il. ix 472, xxiV 644, Od. iii 399, iV 297, Vii 336, 345, xx 176, 189, xxii 449), mentre il dativo plurale è attestato due volte soltanto, nella forma ‘lunga’, nell’espressione ξεϲτῇϲ αἰθοῦϲηϲι(ν) in Il. Vi 243 e xx 11. La questione ha diviso egualmente la critica moderna, anche perché la lettura dell’ostrakon, all’inizio del r. 5, è incerta11. il redattore della scheda relativa a
“ἔνθ’ ἐμὲ μὲν κα[τέδηϲαν ἐυ]ϲϲ[έλμῳ] ἐνὶ [νηὶ ὅ]πλ[ῳ] ἐυϲτρε[φέι” (Od. xiV 345). ὅταν δὲ πᾶϲαν τὴν κα]ταϲκ[ε]υήν· [“ἔνθα δὲ νηῶν ὅπλα μελαι]ν[ά]ων” (Od. Vi 268). ὅταν δὲ [τὰ πολεμιϲτήρια ὅπλα· “μῆτερ] ἐμή, τὰ [μὲν ὅπλα θεὸϲ πόρεν“ (Il. xix 21), da cui derivano probabilmente le glosse di P.ryl. 26, 11 ss., del codice darmstadinus 2773 (cfr. Bossi 1998, p. 225 n. 3 con bibl.), di ap.soph. 122, 1-2 e 151, 20-21 B., hsch. o 1029 L. Cfr. pure sch. Od. ii 390a, 430c P., sch. vet. Od. xxi 390 d., EGen. (AB) s.v. ὅπλα, EM. p. 628, 14 ss. G. si veda, al riguardo, Bossi 1998 e 2010. 7 Cfr. alex. aet. fr. 3, 21 m. νῦν ὅδ’ ἀνελκόμενοϲ διὰ μὲν καλὸν ἤρικεν οὖϲον, Lyc. 20-21 οἱ δ’ οὖϲα γρώνηϲ εὐγάληνα χερμάδοϲ | ναῦται λίαζον. se la scelta di οὖϲον in luogo di ϲοῦϲον debba intendersi come una presa di posizione contro antimaco (che forse usò anche l’affine οἶϲον, ammesso che questo termine debba essere restituito in fr. 156 m.) è difficile stabilire, perché la relazione tra le due forme è dibattuta, cfr. magnelli 1999, pp. 174-175. L’esegesi antica – come si può notare da hsch. o 402 L. οἶϲον· κόμιϲον, φέρε. ἣ ϲχοινίον ~ theognost. Can. 132, 8 [An. Ox. ii 24, 11-12 C.], orion 123, 14-15 s. ὄνομα οὐδέτερον οἶϲον καὶ οὖϲον τὸ ϲχοινίον, τροπῇ τοῦ ῑ εἰϲ ῡ ~ EGud. p. 442, 35-38 s. ~ EM. p. 642, 4346 G. – ha posto in relazione οἶϲοϲ, -ον e οὖϲον ‘gomena’, su basi fonetiche. 8 del componimento (App. Anth. V 50 C. = ii 398 s.) è stata proposta l’attribuzione al bizantino Giovanni tzetzes, cfr. magnelli 1999, p. 91. in esso Licofrone viene accusato di mescolare impropriamente parole straniere quali γωλειά, γρῶναϲ, οὖϲα, τυκίϲματα, etc. 9 hsch. o 1871 L. οὖϲα· ϲχοινία, νεὼϲ ὅπλα, orion 123, 14-15 s., sch. vet. Lyc. 20a-b L., EGen. (AB, ESym. EFCV) ~ EGud. p. 442, 48-49 s. ~ EM. p. 642, 43-46 G. ~ Ps.-Zon. Lex. p. 1485 t. s.v. 10 Cfr. matthews 1996, p. 209. 11 se da un lato sono ben riconoscibili resti del tratto curvo inferiore di ο, prima di questa lettera si vede, sul rigo di base, appena una traccia più scura, che potrebbe essere un’ombra dell’inchiostro precedentemente presente, ma non si può escludere con sicurezza che si tratti di una piccola macchia di sporcizia del supporto. se si tratta di ϲ, si deve supporre che questa lettera sia compressa, la curva molto ridotta, in modo tale da non interrompere l’incolonnamento regolare sulla sinistra. Va tuttavia precisato, in proposito, che se anche il lemma risultasse in ekthesis di un carattere (come in P.oxy xVii 2087, P. sorb. i 7, P.oxy. xV 1803; ma cfr. pure P.oxy. xV 1801, 1804, Psi Viii 892, in cui i lemmi sporgono nell’intercolumnio sinistro di 1/2 caratteri), questo specifico elemento potrebbe trovare una giustificazione proprio nel fatto che si tratta di un lemma. nel breve e lacunoso testo dell’ostrakon, non vi è modo di verificare se il sistema di segnalazione dei lemmi tramite ekthesis venisse applicato, perché, fatta eccezione per ουϲα, i restanti lemmi sono intralineari. degno di attenzione, comunque, il caso di P.oxy. xLVii 3329 in cui i lemmi sono in-
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Antimachus 2
o.Berol. all’interno del registro di inventario di Berlino – molto probabilmente wilhelm schubart – trascriveva unicamente il r. 5 dell’ostrakon e il lemma è da lui indicato come ο̣υϲα. wilamowitz, invece, nel 1918, stampava (r. 5) c̣oῦ̣ ϲα ... ϲοῦϲον ... (r. 8) ϲοῦϲα. L’anno successivo Powell si sbilanciava a favore di οὖϲα/οὖϲον112. Lo studioso era incline a ritenere che nell’ostrakon vi fosse un errore, poiché giudicava “incredible that any member of the Liliaceae could be used for the purpose of making a rope” (p. 91). e tuttavia, wilamowitz, a distanza di qualche tempo (1924), ribadì di fatto la sua scelta testuale, osservando che, dei due significati di οὖϲα forniti da esichio (ο 1871 L. οὖϲα· ϲχοινία, νεὼϲ ὅπλα), solo il primo (ϲχοινία) risulterebbe conforme alle attestazioni letterarie del termine; il secondo, invece, incompatibile con esse, proverrebbe da una glossa più complessa che doveva presentare anche ϲοῦϲον. in definitiva egli riteneva che ϲοῦϲα potesse indicare ‘corde’ o ‘armamenti della nave’, attribuendovi un senso del tutto nuovo. nei dizionari etimologici la questione è affrontata con molta prudenza. i termini ϲοῦϲον, ‘giglio’, e ϲοῦϲον, ‘corda’, vengono distinti. La valenza del primo è spiegata con un prestito orientale, quella del secondo viene giustificata da Chantraine e Frisk in modo simile e nella maniera seguente: in deLG 1030 s.v. 2 ϲοῦϲον, si ipotizza che ϲοῦϲον sia una “variante à côté de οὖϲον”; in Gew ii 754 s.v. 2 si legge: “unerklärt. der schwankende anlaut geht auf eine scriptio continua in φ 390 zurück” (cfr. pure Beekes, edG 1373 s.v. ϲοῦϲον 2). un ampio contributo è stato dedicato all’etimologia di ϲοῦϲον da novarini (1989). in esso lo studioso ha argomentato a favore della convergenza semantica, nel termine, dei due significati di ‘giglio’ e ‘fune’ sulla base di un prestito egizio, giungendo alla conclusione che il testo dell’ostrakon non contiene un errore e la glossa ϲοῦϲον· ϲχοινίον sia quanto mai preziosa perché offre un’ulteriore testimonianza “dell’esistenza di ‘canali’ linguistici tra l’area camitica e quella greca” (p. 32). infine, un’idea alternativa hanno espresso wyss 1936 e matthews 1996, i due editori di antimaco, i quali stampano ϲοῦϲα/ϲοῦϲον al r. 5, ma οὖϲα nel testo di antimaco. matthews ritiene, infatti, che nel testo omerico “the old reading was ὑπ’ αἰθούϲηϲ οὖϲον, which was wrongly divided and changed to a dative by the ostrakon writer as ὑπ’ αἰθούϲηι ϲοῦϲον. the glossator carried this mistaken form over into his quotation from antimachus but the fact that alexander aetolus, Lycophron, and hesychius all read οὖϲον may be confirmation that this was the form which antimachus used” (p. 208). tale opinione appare poco condivisibile per vari motivi. in primo luogo, se si stampa come lemma ϲοῦϲα, anche le citazioni che seguono dovranno contenere questa parola: diversamente non si giu-
tralineari, ma quando un lemma capita in inizio di rigo esso è posto in ekthesis. Cfr. esposito 2009a, pp. 263-264, 294. 12 Questa sua posizione fu poi mantenuta nel 1925 all’interno dei Collectanea Alexandrina e seguita, ad es., da wyss 1936. Cfr. pure Von der mühll 1962 (ad Od. xxi 390 in app.); west 1967, p. 262.
O.Berol. inv. 12605
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stificano i richiami testuali. in seconda istanza mi sembra difficile – nonostante l’attestazione di ap.soph. 15,1 B., a cui matthews fa riferimento – che nel testo omerico la lezione originaria fosse ὑπ’ αἰθούϲηϲ: come ho già avuto modo di notare (cfr. supra) l’espressione ὑπ’ αἰθούϲῃ è ricorrente nel testo omerico, inoltre il verbo a cui tale sintagma si lega esprime uno stato in luogo (κεῖτο) e la preposizione ὑπό veicola tale significato per lo più con il dativo. ancora, delle quattro volte in cui il termine αἰθούϲη, ‘portico’, compare nei poemi omerici al genitivo singolare, ben tre si trova all’interno della formula ἐκ δ’ ἔ́λαϲαν προθύροιο καὶ αἰθούϲηϲ ἐριδούπου (vd. Il. xxiV 323, Od. xV 146, 191); la quarta, in un contesto comunque differente da quello del nostro passo (cfr. infatti Il. xxiV 237 s. ὃ̀ δὲ Τρῶαϲ μὲν ἅ́πανταϲ | αἰθούϲηϲ ἀπέεργεν ἔπεϲϲ’ αἰϲχροῖϲιν ἐνίϲϲων). a ciò si aggiunga, infine, che lo scrivente sembra piuttosto sorvegliato e nelle pur scarse righe recate dall’ostrakon non incorre in errori. si rilevi che secondo matthews (1996, p. 211, ma vd. anche pp. 37, 50) non si può escludere che “by using both (ϲ)οῦϲα and ὅπλα in this passage, antimachus may have been trying to clarify the difference between the words and to show why (ϲ)οῦϲον, not ὅπλον should be read at Od. 21.390 and presumably (ϲ)ούϲῳ not ὅπλῳ at 14.346 […]. antimachus may be indicating that while ὅπλα (pl.) means ‘ships’ tackle’ the singular ὅπλον should not be used to mean ‘a rope’ ”. Ciò è certo possibile. Com’è noto, infatti, antimaco, oltre a essere un poeta, era considerato dagli antichi un γραμματικόϲ ed è il solo autore pre-ellenistico di un’edizione omerica di cui si possa essere certi. egli probabilmente approntò anche un commento alla propria edizione di omero13 ed è inevitabile che le allusioni o i richiami espliciti al testo omerico che si ravvisano nella produzione poetica del Colofonio serbino traccia anche della sua attività filologica14. tale suggestione, tuttavia, necessita di riscontri: per esempio, occorrerebbe verificare se ὅπλον si fosse già introdotto al posto di ϲοῦϲον nel testo omerico al tempo di antimaco e se antimaco ne fosse a conoscenza. mi chiedo, piuttosto, se non si possa ravvisare in antimaco quell’abitudine – propria anche degli autori ‘sublimi’ e che è alla base della cosiddetta glossierende Synonimie – di accostare a un termine difficile un suo equivalente più comprensibile, per stupire, ma nel contempo non sconcertare i fruitori15. eLena esPosito
Cfr. matthews 1996, pp. 46-51; vd. anche schironi 1999. sull’uso dell’opera letteraria quale strumento o testimone di critica filologica, si tengano presenti almeno rengakos 1992, 1993, 1994a, 1994b; montanari 1993, 1995; rossi 1995; tosi 1997; esposito 2010a. diversi contributi interessanti, al riguardo, anche in montanari-matthaios-rengakos 2015. 15 Questo procedimento è analizzato in particolare da Bottin 1983, pp. 16 ss. e passim, nonché da tosi 1988, pp. 127 ss. 13
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Antimachus – schede sChede (a)
BKt iii pp. 27-29 saec. i/iip. Edd.: sChöne 1905, pp. 27-29; wyss 1935 (antim. fr. 158); deLLa Corte 1936, pp. 395-399; messeri 1989 (CPF i 1* 24 29t), pp. 317-319; matthews 1996 (antim. fr. 164). Comm.: mP3 2782.3; LdaB 4589; tm 63382.
si tratta di un frammento di rotolo, di provenienza sconosciuta, che presenta la parte superiore di due colonne, marcatamente inclinate a destra secondo la ‘legge di maas’; la prima è mutila sulla sinistra, la seconda – più gravemente – sulla destra. non possiamo sapere quanto sia perduto in basso. La scrittura è un’informale veloce di tipo rotondo, che può essere confrontata con quella di P.Berol. inv. 9908 (BKt V 2 p. 64, eur. Tel. fr. 727c Kannicht), vedi schubart 1911, 30b, e pare attribuibile al ii d.C., senza che si possa escludere del tutto la fine del i. il frammento contiene un testo in prosa. nella col. i, lo sconosciuto autore parla della πιπώ (il picchio), nella col. ii il discorso riguarda la ἐχενηΐϲ (la remora): in entrambi i casi viene citata la Historia animalium di aristotele, rispettivamente Viii 3, 593a 3-5 per il picchio e ii 14, 505b 18-23 per la remora. il carattere del testo, date le gravi lacune, non si lascia definire con evidenza, e fin dall’ed. pr. (schöne 1905) è stata proposta l’alternativa tra un trattato di natura filologico-grammaticale e un testo di contenuto naturalistico. nella col. i, a proposito del picchio, l’autore, ricorrendo alla citazione di aristotele (rr. 16 ss.), sembra voler confutare apollonio rodio (Ἀπολλώνιοϲ … ἁμαρτάνει, rr. 10-11), il quale (non sappiamo in quale contesto) avrebbe sostenuto l’idea di altri, secondo i quali invece l’uccello chiamato πιπώ non sarebbe il picchio, bensì la ἀκανθυλλίϲ, cioè il cardellino1; e apollonio darebbe forza a quest’idea, esposta forse nella colonna precedente perduta (vedi nota 2), richiamando un verso di antimaco. data la lacunosità del testo, non è di per sé evidente il motivo per cui la citazione tratta da antimaco sarebbe di appoggio all’identificazione della πιπώ con la ἀκανθυλλίϲ, sostenuta da apollonio rodio: è certo comunque che, in un tale contesto, antimaco non sembra essere l’og-
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identificazioni genericamente probabili e comunemente accolte dagli interpreti; conviene comunque tenere a mente l’ammonimento di arnott 1977, p. 335: “Classical scholars still tend to rely on the identifications of ancient Greek birdnames made by a few standard works such as d’arcy thompson’s A Glossary of Greek Birds (19362) or o. Keller’s Die antike Tierwelt (1909), apparently unaware that much of the ornitological information given there is now badly out of date, if not sheerly inaccurate”.
Antimachus – schede
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getto specifico dell’interesse esegetico del nostro autore, ma solo un riferimento di seconda mano nell’ambito di un ragionamento sull’esatta natura della πιπώ – natura che risulta chiaramente dalla citazione aristotelica. diamo il testo del passo in questione (rr. 4-11), calcolando la lunghezza dei righi sulla base della ricostruzione dei rr. 15-16, che sembra non troppo insicura (ἡ γὰρ πιπὼ τῶν δρυο|15[κολάπτων] ε̣ἶδό̣ϲ ἐϲτιν, ὥϲ φη(ϲιν) |16[Ἀριϲτοτέλ(ηϲ) (HA Viii 3, 593a 3 ss.)· “ἄλλα] δέ ἐϲτι ϲκνιπο|17[φάγα ἃ τοὺϲ ϲκνί]π̣α̣[ϲ θ]η̣ρ̣ε̣[ύ]ο̣ν̣[ται |); le integrazioni proposte rimangono puramente congetturali.
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]ν̣. Ἀπολλώνιοϲ δ᾿ ὁ Ῥόδιο(ϲ), ἀπὸ τοῦ Ἀ]ντιμάχου προϲθεὶϲ τὸ “πιπὼ] παιπαλέη, τῇ τε πτερὰ ποικίλ᾿ ἔ]αϲι”, τὴν πιπώ φηϲιν εὐπρεπῶ]ϲ ἀκανθυλλίδα ὑφ᾿ ὧν δ(έ)δοκταί γε] ἀποδίδοϲθαι. εἰ μὲν τοίνυν ὁ αὐ]τ̣ὸ̣ϲ Ἀπολλώνιοϲ ϲὺν ἄλλοιϲ τοι]ο̣ύτοιϲ ἁμαρτάνει, κτλ
4 dopo ]ν̣, spazio bianco corrispondente a circa tre lettere ροδιο pap. 6 dopo τὸ, vi era forse uno spazio bianco τηιτε pap. 7 ]εϲι, e nell’interlinea esattamente sopra ε la stessa mano ha scritto α, per correggere epsilon in alpha (non si tratta di un’aggiunta, perché in tal caso la lettera sarebbe stata scritta in posizione intermedia, come a r. 16). è possibile che lo scriba avesse scritto ποικιλε]εϲι; lui stesso avrebbe poi attuato la correzione in ποικιλε]αϲι φηϲιν pap. 8 υφωνδ pap. 9 dopo αποδιδοϲθαι, breve spazio bianco 11 αμαρτανει > pap. —— (supplementa quorum auctor non laudatur nostra sunt) 5 ἐν τῷ περὶ Ἀ]ντιμάχου dubitanter schöne, wyss τὸ τοῦ Ἀ]ντιμάχου propter spatium della Corte, Pfeiffer, matthews, Livrea προ{ϲ}θεὶϲ emend. wilamowitz ap. schöne, Powell, haslam 6 [τὸ «πιπὼ ] παιπαλέη» dubitanter schöne 7 []α̣ϲ̣ι̣ schöne, wyss : [ποικίλ’ ἔ]αϲιν Körte (sed ν in pap. non dispicitur) : [ποικίλ’ ἔ]α̣ϲ̣ι̣ Lobel ap. Powell, matthews : [ξύλιν’ ἔ]αϲι della Corte (contra metrum) : [προϲπεφύ]αϲι e.g. wilamowitz ap. schöne : [πεφρίκ]α̣ϲ̣ι̣ Leumann 8 vestigium ante ἀκανθυλλίδα potius ad ϲ quam ad ι vel ν convenire videtur, quod ad finem adverbii e.g. εὐπρεπῶ]ϲ̣ conveniat [] ἀκανθυλλίδα ὑφ’ ὧν δ(ὲ?) schöne : [ὑφ’ ὧν μὲν] ἀκανθυλλίδα ὑφ’ ὧν δ(ὲ) Blass : [εἶναι τὴν] ἀκανθυλλίδα Körte : [καλεῖϲθαι] ἀκανθυλλίδα schubart ap. della Corte 9 [οὐ φαίνεται] (longius spatio) della Corte, quem secutus est herter 9-10 εἰ μὲν̣ | [] ̣ϲ̣ schöne : εἰ μὲν | [οὖν καὶ αὐτ]ὸ̣ϲ Blass : εἰ μέν|[τοι οὕτω]ϲ della Corte 10-11 ϲ̣υν | [] ̣υ̣τοιϲ schöne : ϲὺν | [ἄλλοιϲ ἐν τ]ο̣ύτοιϲ della Corte
apollonio rodio, aggiungendo2 da antimaco il verso “pipó, lieve come fior 2 haslam 2011, p. 5 ritiene “manifestly preferable” l’emendamento προθείϲ (“adducendo”) proposto da wilamowitz (ap. schöne) in luogo di προϲθείϲ (propriamente: “aggiungendo”); nel presente contesto, tuttavia, προϲθείϲ potrebbe valere: “adducendo in più”, vale a dire “come argomento ulteriore” rispetto a quelli già addotti da altri e (per ipotesi) esposti nella perduta colonna precedente.
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Antimachus – schede
di farina3, che hai variopinte le ali”, dice che la pipó in modo plausibile è intesa come “cardellino” da coloro che hanno quest’opinione. se dunque lo stesso apollonio, con altri cotali, è in errore, ecc. Guido Bastianini – maria rosaria FaLiVene *** (b) P.hib. ii 1754, fr. 1, 11 [⇒ iii: Lexica] (saec. iiia) in P.hib. ii 175, fr. 1, 11, eric turner, editor princeps del papiro, seguito da naoumides 1961, aveva stampato δέπ̣αϲτρ̣[ον ‘coppa’, un termine “cited by LsJ only from antimachus” (1955, p. 16)5. Come ho argomentato in altra sede6, la lettura corretta non sembra δέπαϲτρον, bensì δέμ̣αϲ πυ̣[ρόϲ, espressione presente esclusivamente in omero (Il. xi 596, xiii 673, xVii 366, xViii 1) e che gli esegeti antichi, spesso, sentono il bisogno di chiarire per il peculiare valore avverbiale di ‘a mo’ di’, ‘in forma di’ assunto dal sostantivo δέμαϲ in unione al genitivo. in tal caso la fonte è omero e non antimaco. eLena esPosito
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dettori 2004-2005 riepiloga il lavorìo filologico svolto intorno a questa integrazione e propone che ποικίλ(α) valga come ‘autoglossa’ del precedente παιπαλέη; così già Livrea 2002, il quale reintegra l’aggettivo π⟨α⟩ιπαλέαι⟨ϲ⟩ in uno degli epigrammi restituiti dal P.mil.Vogl. Viii 309, col. Vii 33 (= Posidipp. Epigr. 46, 4 austin-Bastianini). Cfr. anche hsch. s.v. πολυπαίπαλοϲ αἰθήρ· πεποικιλμένοϲ, οὐκ ὁμαλόϲ. si potrebbe d’altro canto sospettare che παιπάλεοϲ riguardi un’esperienza tattile, per così dire sinestetica rispetto a quella visiva descritta dall’aggettivo ποικίλοϲ: suggeriamo che παιπάλεοϲ valga “sottile”, “impalpabile” come la farina più fine (παιπάλη), ovvero “soffice” (o forse “vellutato”?). 4 il papiro (mP3 2122; LdaB 6984) è costituito da due frammenti ottenuti da cartonnage. sul recto essi recano porzioni di un lessico in cui i lemmi risultano ordinati alfabeticamente secondo le prime due lettere: il fr. 1 (cm 3 × 10) conserva 16 righi (i lemmi cominciano con δε-); il fr. 2 (cm 5,8 × 4) restituisce 6 lemmi, quattro dei quali, in ευ- sono completi di spiegazione ben leggibile. Le parole sono tratte per lo più dalla lexis omerica. La scrittura è di tipo librario, più precisamente riconducibile al polo di scritture informali di el hibeh con pretesa di formalità (del Corso 2004). il verso mostra un testo in prosa. Cfr. esposito 2009a, p. 287, esposito 2017, pp. 11-34 (in part. pp. 19-22, per una descrizione più dettagliata del reperto). 5 Cfr. frr. 19, 10; 21, 4; 23, 5; 25, 1 m. 6 Cfr. esposito 2012 e soprattutto esposito 2017, pp. 29-31.
antiPho
i papiri che conservano scritti di antifonte1 non sono numerosi. Le opere attestate sono l’Apologia in P.Gen. inv. 264 bis + 265 + 266 + 267 (mP3 91; LdaB 228) riedito in CPF i.1* 17 4 (?), pp. 224-235, del ii/iiip; il Περὶ τῆϲ ἀληθείαϲ in P.oxy. xi 1364 + Lii 3647 e P.oxy. xV 1797, entrambi del iiip, riediti in CPF i.1* 17 1-2. due frammenti sono testimoni delle Tetralogiae: P.Köln V 213 riporta Α β 5-6 e Psi Com5 2 contiene Γ α 3-4. Fra questi il solo P.Köln V 213 ⇒ 1 reca una nota marginale. al nostro autore è stato attribuito con cautela Psi Com11 3, costituito da cinque frammenti di un discorso giudiziario2. il papiro reca alcuni segni negli intercolumni (fr. B)3 e alcune lettere aggiunte nelle interlinee (fr. a, col. i 1 e col. ii 8) e nell’intercolumnio a sinistra del testo principale (fr. C, r. 4): tali interventi sembrano rimandare non a un lavoro esegetico sul testo, ma a correzioni4. un frammento, forse proveniente da un commentario, P.Berol. inv. 10573 (mP3 2190.11; LdaB 10247) riporta indicazioni cronologiche relative a eventi storici della fine del Va e il nome di antifonte è menzionato al r. 7, ἐπὶ δὲ Ἀντιφῶντ̣ι,̣ individuato come lemma5. tale frammento di volumen non appartiene in questo caso a un prodotto esegetico riguardante direttamente scritti di antifonte, ma potrebbe essere un commentario – se di commentario si tratta – a un’opera in prosa, forse un discorso di un oratore6. a questi scarni dati provenienti dai papiri si affiancano alcune testimonianze sull’interesse e lo studio delle opere di antifonte, anche se di lavori esegetici in senso stretto non abbiamo alcuna documentazione diretta. i suoi scritti
1 in questa sede si considerano un unico autore l’antifonte oratore e l’antifonte sofista; cfr. CPFi.1*, p. LV, e decleva Caizzi 1986, p. 69; Gagarin 2002, pp. 37-52; da ultimo meister 2006, pp. 240-244. non è identificato con il medesimo autore l’antifonte tragico (su cui vedi trGFr i, 55 antiphon, pp. 193-194). 2 Ed. pr. in manfredi 1970, pp. 207-219. 3 Cfr. Conti 2013, pp. 32-33. 4 Cfr. Conti 2013, pp. 22, 25-26, 34. 5 Cfr. Luppe 2004, p. 5. 6 Così Luppe 2004, pp. 3-5, in cui è proposto il nome di andocide come autore commentato, in base al testo dei rr. 15-16, ὡϲ λέγει] αὐτὸϲ ὁ ῥή[τ]ωρ ἐν τῶι [λ]ό|[γωι τῶι Περὶ τ]ῶ̣ν̣ τε̣ί̣ϲ[α]ντ̣ων. a mio parere le tracce all’inizio del r. 16 sembrano essere τ]ῶ̣ν τυρ[ά]νν̣ων, piuttosto che τ]ῶ̣ν τε̣ι̣ϲ[ά]ντ̣ων.
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Antipho
furono catalogati nella biblioteca di alessandria nel iii a.C., probabilmente da parte di Callimaco7, e nell’elenco furono inseriti anche i trattati: tale aspetto risulta fondamentale per il dibattito antico e moderno sull’esistenza di un antifonte oratore e di un antifonte sofista. in questo contesto, almeno, un unico antifonte era ritenuto autore delle orazioni e dei trattati, e verosimilmente la presenza in epoca romana nella provincia egiziana (nell’ossirinco del iii d.C.) di frammenti del Περὶ τῆϲ ἀληθείαϲ è da collegare al fatto che tali opere circolavano da lungo tempo sotto il nome di un retore famoso, piuttosto che all’interesse per un sofista ateniese del V secolo a.C. un passaggio del ii libro del De poematibus di Filodemo (P.herc. 994 xxxViii 14-23 = 49 Gomperz = p. 113 sbordone = t2(b) Pendrick) contiene un ambiguo riferimento ad antifonte: “risulta ben chiara la leggerezza degli altri, i quali han ritenuto o che gli stessi suoni od anche suoni diversi dilettino e molestino, come appunto la pensava uno degli antichi, antifonte, sia che volesse essere un retore, sia pure spacciarsi per un filosofo”8. all’inizio dell’epoca imperiale si occuparono di antifonte dionigi d’alicarnasso, che in più passi diede giudizi in particolare sullo stile, Cecilio di Calatte9 e didimo. al ii secolo risalgono i lavori lessicografici di arpocrazione e Polluce, che citano un solo e unico antifonte, e le ricerche di ermogene sullo stile delle opere antifontee (Περὶ ἰδεῶν λόγου)10. di poco posteriore è l’interessante valutazione di Filostrato (t2(b) Pendrick), che sottolinea la δεινότηϲ presente nei discorsi e la brillantezza delle massime filosofiche nell’opera Περὶ ὁμονοίαϲ11. marCo stroPPa
7
Cfr. smith 1995, pp. 74-75. Cfr. sbordone 1976, p. 113. 9 Cfr. augello 2006, pp. 107-118 e fr. 24, pp. 120-124. 10 Cfr. Gagarin 2002, pp. 46-48. 11 Vitae sophistarum i 15 (p. 500 olearius), Λόγοι δ᾿ αὐτοῦ δικανικοὶ μὲν πλείουϲ, ἐν οἷϲ ἡ δεινότηϲ καὶ πᾶν τὸ ἐκ τέχνηϲ ἔγκειται, ϲοφιϲτικοὶ δὲ καὶ ἕτεροι μέν, ϲοφιϲτικώτεροϲ δὲ ὁ ὑπὲρ τῆϲ ὁμονοίαϲ, ἐν ᾧ γνωμολογίαι τε λαμπραὶ καὶ φιλόϲοφοι ϲεμνή τε ἀπαγγελία καὶ ἐπηνθιϲμένη ποιητικοῖϲ ὀνόμαϲι καὶ τὰ ἀποτάδην ἑρμηνευόμενα παραπλήϲια τῶν πεδίων τοῖϲ λείοιϲ. 8
1 P.Köln V 213
saec. iiip
Nota marginale a tetralogia Α β 5-6 Prov.: ? Cons.: universität zu Köln, Papyrussamlung (inv. 910). Edd.: P.Köln V 213; CPF i 1.1*, pp. 223-224. Tabb.: P.Köln V, 6; CPF iV.2, pl. 100; https://papyri.uni-koeln.de. Comm.: mP3 91.01; LdaB 227 Lundon 2003, p. 9 n. 22; orsini 2005, pp. 74-75.
Frammento di rotolo (cm 5 × 10,5) che conserva le 5-6 lettere iniziali di 11 righi di una colonna, mutila in basso e a destra. il testo riporta Tetralogia Α β 56 ed è scritto in una elegantissima maiuscola biblica perfettamente canonizzata; tale scrittura calligrafica rimanda forse a un’edizione di pregio e la nota sul margine potrebbe essere un appunto del possessore su un passo con qualche particolarità. nel margine superiore si trova la parte finale di un rigo in scrittura informale, inclinata a destra, assegnabile a una mano diversa da quella del testo principale. sul verso è riportata una lettera d’affari scritta in corsiva del iiip, P.Köln V 237.
]ηϲδρ̣α la nota si trova nel margine superiore; a proposito delle lettere dopo δ robert daniel per litteras scrive “the two letters give the appearance of οι, which seems to lead nowhere. thus, an awkwardly made, badly damaged ω is assumed” “ρ damaged at its top but close to certain” (robert daniel) “ϲ̣ι̣ probable, ε̣ι̣ possible, η̣ unlikely but not excluded” (robert daniel). —— ]ηϲδοι̣ ed. pr. : ]ηϲδω̣ρ̣αϲ̣ Cr : ηϲδ ̣ ̣ρ̣αϲ̣ι̣ robert daniel
Poiché la parte restante dell’annotazione si trova nel margine superiore potrebbe riferirsi a un punto qualsiasi della parte superiore della colonna sottostante, oppure anche della colonna precedente – che è interamente perduta –
96
Antipho 1
dal momento che la nota cominciava più a sinistra. in CPF i 1.1*, p. 223, tale annotazione è considerata una spiegazione piuttosto che una variante. Questa considerazione è avvalorata dal fatto che nel discorso fittizio in questione non sono presenti le sequenze leggibili sul papiro. sembra di poter escludere, quindi, che il testo riportato nel margine superiore fosse l’integrazione di una sezione di testo omessa all’interno della colonna di scrittura. resta inaspettato di trovare un commento a un componimento inteso come modello o come esercitazione retorica. Più che di un intervento esegetico è opportuno parlare più genericamente di un’annotazione, il cui contenuto non può essere meglio precisato. una prospettiva interessante è offerta dalla lettura, sebbene incerta, del termine ὥ̣ρ̣αϲ̣: il riferimento a delle “ore” potrebbe essere connesso con l’espressione al par. 5 ἀωρὶ τῶν νυκτῶν, che doveva trovarsi nella colonna immediatamente precedente a quella in parte conservata. ammettendo quindi la lettura dell’ultima lettera come ι (cfr. l’osservazione di robert daniel in apparato), potrebbe trattarsi del numerale 10 e si potrebbe riconoscere l’espressione ]ηϲ δ᾿ ὥ̣ρ̣αϲ̣ ι: “dell’ora decima (della notte)”, che si potrebbe integrare ἑωθι]ν̣ῆϲ δ᾿ ὥ̣ρα ̣ ϲ̣ ι. tale integrazione troverebbe sostegno nell’espressione usata per glossare un termine omerico in P.hamb. iii 200 (= mP3 1209.100; tm 61607), col. ii 19, ad Od. iV 447, ἠοίην· τὸν ἀπὸ τῆϲ ἑωθινῆϲ ὥρα[ϲ (cfr. Lundon 2012, p. 109). Per l’uso dell’espressione ὥραϲ ἑωθινῆϲ in papiri documentari cfr. P.hib. i 10, 60 (ca. 270a). marCo stroPPa
index papyrorum
BKt iii pp. 27-29 = antimachus - scheda (a) o.Berol. inv. 12605 = antimachus 2 P.hib. ii 175, fr. 1, 11 = antimachus - scheda (b) P.Köln V 213 = antipho 1 P.mil.Vogl. i 17 = antimachus 1 P.oxy. xV 1802 + Lxxi 4812, fr. 18 + fr. 3 col. ii 18-19 = andron 1
index tabularum
tabb. i-iV: P.mil.Vogl. i 17 ⇒ antimachus 1
indice i.1.2.3
Prefazione Criteri editoriali Curatori revisori dei papiri siglorum et compendiorum explicatio Conspectus librorum
andron 1 - P.oxy. xV 1802 + Lxxi 4812, fr. 18 + fr. 3 col. ii 18-19. Voce di lessico
V Vi ix x xi xiii
3 3
antimaChus 1 - P.mil.Vogl. i 17. Commentario ad Antimaco (tebaide?) 2 - o.Berol. inv. 12605, 5-9. Voce di lessico (?) (Lyde, fr. 68 M.)
5 9 85
schede (a) BKt iii pp. 27-29 (b) P.hib. ii 175, fr. 1, 11
90 90 92
antiPho 1 - P.Köln V 213. Nota marginale a tetralogia Α β 5-6
93 95
index papyrorum index tabularum
97 98
TABULAE
TAB. I
P.Mil.Vogl. I 17 = Antimachus 1 (Si ringraziano le autorità del Museo Egizio del Cairo, in particolare Khalifa Abdelkader, responsabile della Papyrological Collection)
TAB. II
P.Mil.Vogl. I 17, col. I = Antimachus 1
P.Mil.Vogl. I 17, col. II 1-30 = Antimachus 1
TAB. III
P.Mil.Vogl. I 17, col. II 30-69 = Antimachus 1
TAB. IV