Altrimenti che essere o Al di là dell'essenza [1 ed.] 8816414618, 9788816414617

Tredici anni dopo "Totalità e infinito" Lévinas scrive "Altrimenti che essere", ove ritorna sulle te

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Italian Pages 229 [263] Year 1983

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Altrimenti che essere o Al di là dell'essenza [1 ed.]
 8816414618, 9788816414617

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ALT RIMEN TI CHE ESSER E Tredici anni dopo Totalità e Infinito (1961) Lévinas scrive Altrimenti che esse­ re ... e ritorna sulle tematiche di fondo affrontate nell'opera del '61; ma Altri­ menti che essere. .. non è la semplice continuazione o un'appendice di Totalità e Infinito. Questo testo riprende la trama di Totalità e Infinito, ma la svilup­ pa, la organizza secondo andamenti e con una profondità che lo scritto del '61 non conosceva. Interpretare la soggettività come pazienza, passività, uno­ per-l'altro, esposizione, espiazione, ostaggio, come responsabilità per altri e ultimamente come sostituzione è l'oggetto di questo libro, il cui fine è quello di mettere in questione il riferimento della soggettività all'Essenza e di «tro­ vare all'uomo una parentela diversa da quella che lo lega all'essere». Intrec­ ciando il tema della soggettività umana con quello della trascendenza, Lévi­ nas critica un primato dell'essere e cerca così un senso alla trascendenza al di là dell'ontologia; Altrimenti che essere . è l'opera in cui questa critica è con­ dotta alle sue estreme possibilità, fin laddove la filosofia cessa di porre e di pensare il (e di ridursi al) problema dell'essere e del suo detto per aprirsi alla dinamica dell'altrimenti e dell'al di là. Per il rigore del suo pensiero e per il lavorio della sua scrittura Altrimenti che essere . può essere definita come l'opera fondamentale della riflessione di Lévinas. .

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EMMANUEL LÉVINAS Emmanuel Lévinas nasce a Kaunas, in Lituania, il12 gennaio 1906 . Studia alle Università di Strasburgo e di Friburgo in Brisgovia, e successivamente insegna alla Scuola Normale Israelita Orientale di Parigi (1946-1961) e alle Università di Poitiers (1964-1967), di Paris-Nanterre (1967 -1973) e alla Sorbona (19731976), dove resta come professore emerito fino al1979. Muore a Parigi il25 di­ cembre1995. Tra le sue opere principali ricordiamo: La T héorie de l'intuition dans la phé­ noménologie de Husserl (1930), De l'existence à l'existant (1947), Le Temps et l'Autre (1947), Totalité et Infìni (1961), Difficile liberté (1963), Autrement qu'etre ou au-delà de l'essence (1974), De Dieu qui vient à l'idée (1982), Dieu, la Mort et le Temps (1993). Su Lévinas, presso la ]aca Book, è uscita la biografia di Salomon Malka, Emmanuel Lévinas. La vita e la traccia (2003).

Emmanuel Lévinas ALTRIMENTI CHE ESSERE o AL DI LÀ DELL'ESSENZA

Introduzione di Silvano Petrosino

li Jaca Book il

titolo originale Autrement qu'etre ou au-delà de l'essence traduzione di

Silvano Petrosino e Maria Teresa Aiello © 1 978 Martinus Nijhoff Publishers B.V. © 1 983 Editoriale Jaca Book SpA , Milano prima edizione italiana novembre 1 983 Copertina e grafica ufficio grafico Jaca Book in copertina Theo van Doesburg, Simultaneous Countercomposition, 1 929-30, olio su tela, New York

ISBN 88-16-40 1 12-5

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Direzione Editoriale Jaca Book SpA, via Saffi 19 20 123 Milano Telefono: 8057055- 8057088 -

INDICE

Introduzione Nota di traduzione Nota preliminare

l. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

l. 2.

3. 4.

IX XXXI

l

L'argomento Capitolo primo Essenza e disinteressamento L'«altro» dell'essere Essere e interessamento Il Dire e il Detto La soggettività La responsabilità per Altri Essenza e significazione La sensibilità Essere e al di là dell'essere La soggettività non è una modalità dell'essenza L'itinerario L'esposizione Capitolo secondo Dall'intenzionalità al sentire L'interrogazione e l'obbedienza ad Altri L'interrogazione e l'essere ; tempo e reminiscenza Tempo e Discorso Il Dire e la soggettività

Capitolo terzo Sensibilità e prossimità l. Sensibilità e conoscenza 2. Sensibilità e significazione 3. Sensibilità e psichismo III

5 7 8 11 12 15 19 21 22 25

29

3.3 39 57

77 81 86

Indice 90 9.3 100

4. Il godimento 5. Vulnerabilità e contatto 6. La prossimità Capitolo quarto La sostituzione l. 2 .3. 4. 5. 6.

Principio e Anarchia La ricorrenza Il Sé La sostituzione La Comunicazione La «libertà finita»

123 128 137 142 149 153

l. 2. 3. 4. 5.

Capitolo quinto Soggettività e Infinito La significazione e la relazione oggettiva La gloria dell'Infinito Dal Dire al Detto o la Saggezza del Desiderio Senso e c'è Scetticismo e ragione

165 176 191 203 206

.

Altrimenti detto Capitolo sesto Al di fuori

IV

217

Alla memoria degli esseri più vicini tra i sei milioni di assassinati dai nazional-socialisti, accanto ai milioni e milioni di uomini di ogni con­ fessione e di ogni nazione, vittime dello stesso odio dell'altro uomo, dello stesso antisemitismo .

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Se un giusto si allontana dalla sua giustizia e commette una malvagità io gli porrò davanti un'occasione di caduta ed egli morirà; perché non l'avrai avvertito, morirà nel suo peccato ; i suoi precedenti atti virtuosi non saranno ricordati e io domanderò conto a te del suo sangue . Ezechiele 3,20. E Iahvè gli disse: «Avanza nel centro della città, nel centro di Gerusa­ lemme. Formerai il segno del tau sulla fronte degli uomini che gemo­ no e si lamentano per tutti gli abomini commessi in mezzo ad essa» . Agli altri disse, mentre ascoltavo: « Percorrete l a città, dietro a lui, e colpite ; il vostro occhio non si impietosisca e non risparmiate nessuno. Uccidete sì da annientare vecchi, giovani, vergini, pargoli e donne. Ma non toccate quelli su cui è impresso il tau . Comincerete dal mio san­ tuario» . Ezechiele 9, 4-6

I saggi hanno detto : «Non leggete "comincerete dal mio santuario " ma " comincerete da coloro che mi santificano " ... » come insegna il Trattato talmudico Sabbath, 55a . (Commentario di Rachi in Ezechiele 9,6) « . . . È qui il mio posto al sole». Ecco l'inizio e l'immagine dell'usurpa­ zione di tutta la terra. « ci si è serviti come si è potuto della concupiscenza per farla servi­ re al bene pubblico ; ma è solo finzione, una falsa immagine della cari­ tà; poiché al fondo non è che odio » . Pascal, Pensieri ...

INTRODUZIONE

� nel verbo esse­ re . Ed è per questo che l'uomo è essere di verità che non appartiene ad alcun altro genere di essere. Ma il potere di dire, nell'uomo-qua­

le che sia la funzione rigorosamente correlativa del detto-è al servizio dell'essere ? Se l 'uomo non fosse che Dire correlativo del logos, la sog·

gettività potrebbe, indifferentemente, essere compresa come un valore funzionale o come un valore dell'argomento dell'essere . Ma la signifi­ cazione del Dire va al di là del Detto : non è l'antologia che suscita il soggetto parlante. Al contrario, è la significanza del Dire che va al di là dell'essenza raccolta nel Detto che potrà giustificare l'esposizione del­ l'essere o l'ontologia27• Poiché il lasso di tempo è anche il lasso dell'irrecuperabile, del re­ frattario alla simultaneità del presente, dell'irrappresentabile, dell'im­ memorabile, del pre-storico . Prima delle sintesi di apprensione e di ri­ conoscenza, si compie la « sintesi» assolutamente passiva dell'invecchia­ mento . È attraverso ciò che il tempo si svolge . L'immemorabile non è l 'effetto di una debolezza di memoria, di una incapacità di scavalcare i grandi intervalli di tempo, di resuscitare dal troppo profondo passato . È l 'impossibilità per la dispersione del tempo di raccogliersi in presen­ te-la diacronia insuperabile del tempo, un al di là del Detto . È la dia­ cronia che determina l 'immemorabile, non è una debolezza della me­ moria che costituisce la diacronia. Ma da quel momento nasce un pro­ blema : la diacronia non si caratterizza forse solo negativamente? È in pura perdita ? Non comporta forse una significazione ? Si tratterebbe di una significazione il cui significato non è un « qualche cosa}>, identifica­ to nel tema del Detto, « questo in quanto quello», chiarito nel tempo 26

Cfr. su questo punto la nostra analisi in En découvrant l'Existence avec Hus­ e ss. Cfr. cap. v, pp. 196 e ss.

serl et Heidegger, z• ed . , pp. 217

27

48

Dall'intenzionalità al sentire memorabile dell'essenza. La temporalizzazione non potrebbe significare al tri menti che lasciandosi intendere nel Detto in cui la sua diacronia si espone alla sincronizzazione ? Se il Dire è sotto il correlativo di u n D etto , se la sua significanza non si assorbe nella significazione detta, no n si può forse trovare in quell'al di là o in questo al di qua del Di re dicente l'essere la significanza della diacronia? Dietro l'es sere e il suo mostrarsi s 'intende sin d'ora la risonanza di altre significazioni di­ menticate nell'antologia e che sollecitano la ricerca . Ma prima di inoltra rei in questa ricerca sul Dire, ritorniamo alla 8 str uttura del Detto in cui si mostrano le entità identiche o gli enti2 • d. L'anfibologia dell'essere e dell'ente Il tempo e l'essenza che esso srotola manifestando l'ente identifica­ to nel tema dell'enunciato o del racconto, risuonano come un silenzio, senza farsi temi essi stessi. Essi possono certamente nominarsi nel te­ ma, ma questa nominazione non riduce al silenzio definitivo la riso­ nanza sorda, il ronzio del silenzio in cui l'essenza, come un ente, s'iden­ tifica . Di nuovo, un silenzio risuona intorno a ciò ch'era stato attutito per «l'occhio che ascolta»; il silenzio dello snodarsi dell'essere grazie al quale gli enti, nella loro identità, si chiariscono e si mostrano . Nella proposizione predicativa-nell'apophansis-l'ente può, inve­ ce , farsi intendere verbalmente come un «modo» dell'essenza, come la stessa fruitio essendi, come il come-come una modalità-di questa es ­ senza o di questa temporalizzazione. Già la predicazione tautologica in cui l'ente è, al tempo stesso, sog­ getto e predicato : A è A, non significa solo l 'inerenza di A a se stesso o il fatto che A possiede tutti i caratteri di A. A è A è come dire «il suono risuona» o come « il rosso rosseggia». A è A sarebbe come dire A a-eggia. Nel «rosso rosseggia» il verbo non significa un avvenimen­ to, un dinamismo qualsiasi del rosso opposto al suo riposo di qualità, né un'attività qualsiasi del rosso, il passaggio per esempio dal non ros­ so al rosso-l'arrossire-o il passaggio dal meno rosso al più rosso, una alterazione . Nel verbo rosseggiare non si trova più enunciata una me­ tafora qualunque dell'azione o dell'alterazione, fondata sull'analogia 28

Queste righe e quelle che seguono devono molto ad H eid egg e r Deformato .

e

mal compreso? Per lo meno questa deformazione non sarà stata un modo di rinne­

gare il debito , né questo debito una ragi one di dimenticanza. 49

L'esposizione col dinamismo dell'azione il quale avrebbe per eccellenza il diritto di lasciarsi designare dal verbo . Questo verbo--rosseggiare-dove bruscamente si diacronizza l'im­ mediata coincidenza con se stesso dell'aggettivo nominalizzato-il ros­ so-è solo un segno che, come un nome, designa un processo all'inter­ locutore, una successione di stati e che, grazie al sistema di segni di una lingua, raddoppia la totalità degli enti e degli avvenimenti ? È probabil­ mente questa funzione di segno-la designazione (che le parole eser­ citano incontestabilmente in seno al Detto)-che si attribuisce implici­ tamente al verbo quando ci si sforza di ricondurre la funzione del ver­ bo all'« espressione» degli avvenimenti : azione o alterazione . Se l'essen­ za dell'essere si sillaba o si scandisce o risuona o si temporalizza nel verbo essere per farsi discorso e apophansis, non è affatto per analogia con azioni e processi (in cui la massa se ne va in energia) che il verbo per priorità designerebbe . È la verbalità del verbo che risuona nella proposizione predicativa ed è, in secondo luogo, in ragione della sua di­ stribuzione privilegiata nel tempo che il dinamismo degli enti si desi­ gna e si esprime attraverso i verbi . Lo sforzo per ricondurre i verbi ad esercitare la funzione di segni suppone, ingenuamente, come originale la divisione degli enti in sostanza da una parte e in avvenimenti dal­ l 'altra, in statica e dinamica. Ora, il legame tra il Detto e l'essere non si riconduce completamente alla designazione . Già nel nome, oltre il se­ gno, si mostra il kerigma imperativo dell'identificazione . L'apophansis-il rosso rosseggia, o A è A-non raddoppia il reale. Solo nella predicazione può intendersi l 'essenza del rosso, o il rosseg­ giare come essenza. Solo nella predicazione l'aggettivo nominalizzato si intende come essenza e temporalizzazione propriamente detta . L 'es­ senza non si traduce solo nel Detto, non vi si «esprime» soltanto, ma vi risuona originalmente-ma anfibologicamente-in quanto essenza. Non c'è essenza né ente dietro al Detto, dietro al Logos . Il Detto come verbo è l'essenza dell'essenza. L'essenza è il fatto stesso che ci sia te­ ma, astensione, doxa, o logos, e quindi verità . L'essenza non solo si traduce, essa si temporalizza nell'enunciato predicativo . Affermare che l'essere è verbo non significa dunque semplicemente o solamente che una certa parola, realtà sonora o grafica, della realtà culturale, classificata dai grammatici tra i verbi , sia il segno che designa un processo ed un'azione fondamentale che, in se stessi, farebbero a meno del linguaggio ; e nemmeno che il linguaggio come denominazio­ ne, raddoppiando l 'ente designato, non sia indifferente a questo ente 50

Dall'intenzionalità al sentire non lo lasci solo vedere. Affermare che l'essere è verbo non signifi­ ca dunque, non più , che il linguaggio, denominazione esteriore, riman­ ga estraneo all'essenza ch'esso nomina e lasci soltanto vedere questa essenza. Il nome che raddoppia l'ente che nomina è necessario alla sua stess a iden tità. Anche il verbo : non solo non è il nome dell'es sere, ma è , nel la proposizione predicativa, la risonanza stessa dell'essere inteso come essere . La temporalizzazione risuona nell'apophansis come essenza. Il linguaggio come Detto può dunque essere concepito come un si­ stema di nomi identificante delle entità e, quindi, come un sistema di segni che raddoppia gli enti designando sostanze, avvenimenti e relazio­ ni con sostantivi o con altre parti del discorso derivate dai sostantivi, designando identità-in breve , designando. Ma-e con altrettanto di­ ritto-il linguaggio può essere concepito come verbo nella proposizio­ ne predicativa in cui le sostanze si liberano in modi di essere, in modi di temporalizzazione, ma dove il linguaggio non raddoppia l'essere de­ gli enti, dove esso espone la risonanza silenziosa dell'essenza. Ma le entità identiche-cose e qualità di cose-si mettono a risuo­ nare della propria essenza nella proposizione predicativa non in segui­ to alla riflessione psicologica sulla soggettività e sulla temporalità del­ la sensazione, ma a partire dall'arte, astensione per eccellenza, Detto ridotto al puro tema, all 'esposizione assoluta fino all 'impudenza, capa­ ce di sostenere tutti gli sguardi ai quali esclusivamente si rivolge, Det­ to ridotto al Bello, portatore dell'antologia occidentale . L'essenza e l a temporalità s i mettono a risuonare d i poesia o d i canto . E l a ricerca di forme nuove, di cui vive ogni arte , tiene ovunque svegli i verbi, sul punto di ricadere in sostantivi. Nella pittura il rosso rosseggia e il ver­ de verdeggia , le forme si producono con contorni e si svuotano della loro vacuità di forme . Nella musica i suoni risuonano, nelle poesie i vo­ caboli-materiali del Detto-non si cancellano più davanti a ciò che evocano , ma cantano dei loro poteri evocatori e del loro modo di evo­ care, delle loro etimologie29; in Eupalinos di Paul Valery, l 'architettura fa cantare gli edifici . La poesia è produttrice di canto, di risonanza e di sonorità che sono la verbalità del verbo o l'essenza. Nella diversità inesauribile delle opere, cioè nel rinnovamento essen­ ziale dell'arte, colori, forme, suoni, parole, costruzioni-già sul punto di identificarsi in ente, che già disvel ano la loro natura e le loro quae

29

È senza dubbio a questo che pensava Paul Valery quando definiva la poesia esitazione tra il suono e il senso. 51

L'esposizione lità nei sostantivi portatori di aggettivi, già sul punto di identificarsi in ente-ricominciano ad essere. Qui si temporalizza l'essenza ch'essi mo­ dulano . La tavolozza dei colori, la gamm a dei suoni, il sistema dei vo­ caboli e il meandro delle forme si esercitano a mo' di puro come; è il tocco del colore e della matita, il segreto delle parole, la sonorità dei suoni: tutte nozioni modali , risonanza dell 'essenza . La ricerca dell'ar­ te moderna-o forse, più esattamente, l'arte allo stadio di ricerca, ma allo stadio mai superato-sembra cercare ed intendere in tutta la sua estetica questa risonanza o produzione dell'essenza sotto forma di ope­ re d 'arte. Come se le differenze di altezza, di registro e di timbro, di colore e di forma, di parola e di ritmo non fossero che temporalizza­ zione, sonorità e tocco . La scrittura sulla scrittura sarebbe la poesia stes­ sa. La musica nel Nomos alfa per solo violoncello di Xenakis, per esem­ pio, flette la qualità delle note emesse in avverbi, ogni quiddità si fa modalità, le corde e il legno dileguano in sonorità. Che succede ? Un'ani­ ma si lamenta o esulta dal fondo dei suoni che si spezzano o fra le no­ te che non si fondono più in linea melodica, note che, fino ad allora, si succedevano nella propria identità contribuendo all'armonia dell'in­ sieme, facendo tacere il proprio stridore ? Antropomorfismo o animi­ smo ingannevoli ! Il violoncello è violoncello nella sonorità che vibra nelle sue corde e nel suo legno, anche se già essa ricade in note, in identità che si dispongono al loro posto naturale secondo gamme, dal­ l 'acuto al grave secondo altezze differenti. L'essenza del violoncello­ modalità dell 'essenza-si temporalizza così n ell'opera . Ma nell'isolamento : ogni opera d 'arte è così esotica , senza mondo, essenza in disseminazione . Misconoscere il Detto propriamente detto (qualunque sia la relatività ) nelle proposizioni predicative che ogni ope­ ra d 'arte-plastica , sonora, poetica-risveglia e fa risuonare a mo' di esegesi, significa sperimentare una sordità così profonda come quella che consiste nel sentire nel linguaggio solo nomi. È questo richiamo al­ l 'esegesi che sottolinea anche la funzione essenziale che ritorna al detto verbale, in forma di meta-lingua non-eliminabile, nel sorgere e nella presentazione dell'opera d'arte-come prefazione, manifesto titolo o canone estetico . È questo richiamo che conduce la modalità dell'essen­ za detta nell'opera al fondo dell 'essenza propriamente detta-come s 'in­ tende nell'enunciato predicativo-che giustifica la nozione di mondo : essenza propriamente detta, verbo , logos che risuona nella prosa della proposizione predicativa . L'esegesi non si applica alla risonanza del· l'essenza nell'opera d'arte ; la risonanza dell'essenza vibra all'interno del 52

Dall'intenzionalità al sentire detto dell 'esegesi . Nel verbo dell 'apophansis-che è il verbo propria­ men te detto, il verbo essere-risuona e si ode l'essenza. A è A, ma an­ che A è B si intendono come un modo in cui risuona o vibra, o si tem­ p or alizz a l'essenza di A. Tutti gli attributi degli esseri individu ali, tut­ ti gli att ributi degli enti che si fissano nei o grazie ai nomi, possono, co­ me predicati, essere intesi come dei modi di essere : le qualità che gli en ti mostrano, le generalità tipiche secondo le quali si ordinano, le leg­ gi che li reggono, le forme logiche che li sorreggono e li restituiscono . L 'in dividualità stessa dell 'individuo è u n modo d'essere. Socrate so­ cratizza, o Socrate è Socrate, è il modo in cui Socrate è. La predicazio­ ne fa sentire il tempo dell'essenza.

Ma nel Detto l'essenza risuona al punto di farsi nome . Nella copula è splende o lampeggia l'ambiguità dell'essenza e della relazione nomi­ nalizzata. Il Detto come verbo è essenza o temporalizzazione . O, più esattamente, il logos si annoda nell 'anfibologia in cui l'essere e l'ente possono intendersi , ed identificarsi, in cui il nome può risuonare come verbo e il verbo dell'apophansis nominalizzars i . La discorsione dell'essenza che dissipa l'opacità, garantisce l o splen­ dore di ogni immagine e, di conseguenza, la luce stessa dell'intuizione30, rendendo possibile l'astensione degli enti e l'astensione dell 'essenza stessa . L'astensione della diastasi temporale-cioè l 'astensione del­ l'ostensione, astensione della fenomenalità del fenomeno-è verbo enun­ ciato in una proposizione predicativa . Ma ecco che-attraverso l 'ambiguità del logos-nello spazio di un'identificazione, essere, verbo per eccellenza in cui risuona, in cui si espone l'essenza, si nominalizza, si fa parola che designa e consacra delle identità, che raccoglie il tempo (e ciò che, come gli avverbi, mo­ dulava la temporalizzazione del tempo nell'apophansis) in congiuntura. Il verbo essere-campo della diacronia sincronizzabile , della tempora­ lizzazione, cioè campo della memoria e della storiografia-si fa quasi struttura e si tematizza e si mostra come un ente . La fenomenalità­ l'essenza-diviene fenomeno, si fissa, raccolta in favola, si sincronizza, si presenta, si offre al nome, riceve un titolo . L'ente , o una configura­ zione di enti, emerge tematizzato e si identifica nel sincronismo della denominazione (o nell'unità non sfasabile della favola) , si fa storia, si La sig n i fi caz ione del discorso, condizione della luce Jcll'intuizione, dello spl;;;:: dore delle immagini, non è dunque qui presa nel senso husserliano di correlato di atti segnitivi, assetati d'immagini e di pienezza intuitiva.

30

53

L'esposizione presta allo scritto, al libro in cui il tempo del racconto, senza sovver­ tirsi, ricomincia. Stati di cose-Sach v erh alte-in cui delle parole desi­ gnano idealità identificate a primo titolo, substrati, come li chiama Husserl, noccioli delle cose. Ma ancora nell'anfibologia : l'identificazio­ ne implica, a qualsiasi livello, la temporalizzazione del vissuto, l'essen­ za. Le cose, ogni substrato, vengono dal racconto e rinviano al logos, al detto ; e già l'ente nominato si dissolve nel tempo dell'essenza che ri­ suona nell 'apophansis che lo illumina. Il logos è l'equivoco dell'essere e dell'ente-anfibologia primordia­ le. Ogni « stato vissuto» (Erlebnis), vissuto nella « modificazione tem­ porale», snodamento d ell' ess en za , è memorabile e, così, può nominar­ si, identificarsi, apparire, rappresentarsi. Non esiste verbo refrattario alla nominalizzazione. Nella predicazione (che è il suo «luogo naturale» ) il verbo essere f a risuonare l'essenza, ma questa risonanza s i ammassa, grazie al nome, in ente. Da quel momento essere designa invece di ri­ suonare. Da quel momento essere designa un ente avente, per tutta quiddità, solo l'essenza dell'ente, una quiddità identificata come la quid­ dità di ogni altro ente nominato . Nel Detto si trova il luogo di nasci­ ta dell 'antologia. Essa si enuncia nell 'anfibologia dell'essere e dell'en­ te . La stessa antologia fondamentale, che denuncia la confusione del­ l'essere e dell 'ente, parla dell'essere come di un ente identificato . E la mutazione è ambivalente . Ogni identità nominabile può mutarsi in verbo. Affermare che questa mutazione, nell'anfibologia dell'essere e del­ l'ente, è un'anfibologia del l ogo s , che riguarda Io statuto del Detto, non significa ricondurre la differenza tra essere ed ente ad un gioco frivo­ lo della sintassi . Significa misurare il peso pre-ontologico del linguaggio invece di considerarlo unicamente un codice (che comunque è) . Ma si­ gnifica anche, interpretando il fatto che l'essenza espone e si espone, che la temporalizzazione si enuncia, risuona, si dice, significa non attri­ buire alcuna priorità al Detto rispetto al Dire . Significa risvegliare nel Detto il Dire che vi si assorbe e che entra così assorbito nella storia che il Detto impone. Nella misura in cui il Dire non avrebbe altra si­ gnificazione che questa enunciazione del Detto, nella misura in cui es­ so sarebbe rigorosamente «correlativo» al Detto, esso giustificherebbe sia la tesi della dipendenza del soggetto dall'essere, sia quella del rife­ rimento dell'essere al soggetto . Bisogna risalire al di qua di questa cor­ relazione. Dire è solo la forma attiva del Detto ? « Dirsi » equivale ad «essere detto » ? Il pronome riflessivo si e la ricorrenza ch'esso signifi­ ca pongono un problema . Essi non possono essere compresi unicamen54

Dall'intenzionalità al sentire a pa rtire dal Detto . L'accusativo originario di questo singolare pro­ nome è appena visibile quando, affiancato ai verbi, si logora nel con­ ferire loro, nel Detto, una forma passiva . Bisogna risalire alla loro s i ­ gni ficazione al di là o al di qua della comprensione dell 'attività e della pass ività nell'essere, al di là o al di qua del Detto, al di là del logos e al di là o al di qua dell'anfibologia dell'essere e dell'ente . La « riduzio­ ne» avviene in questa risalita. Essa comporta una fase positiva : mostra­ re la significazione propria del Dire al di qua della tematizzazione del te

Detto.

e. La Riduzione È evidente che fin dalle form u l azioni di queste prime pagine che nominano l'al di qua dell'essere ci si è serviti del verbo essere o del verbo consistere, cosl come è evidente che l'essete fa la sua comparsa , s i mostra, fin dal Detto ; appena i l Dire, a l d i q u a dell'essere, si f a det­ tato e muore, o abdica in favola e scrittura . È certa m ent e naturale , nel caso in cui essere e manifestazione confluissero nel Detto, che il Dire dell ' al di qua del Detto, se si può mostrare, si dica già in termini di essere . Ma è necessario e possibile che il Dire dell'al di qua si tematiz­ zi, cioè si manifesti, entri in una proposizione e in un libro ? È neces­ sario. La responsabilità per altri è precisamente un Dire prima di ogni Detto . Il dire sorpre n dente della responsabilità per altri è, contro gli ostacoli dell'essere, un'interruzione dell'essenza, un disinteressamento

imposto con buona violenza . Tuttavia, gratuità esigita dalla sostituzio­ ne-miracolo dell'etica prima della luce-è necessario che questo Di­ re sorprendente si metta in luce in ragione della gravità stessa dei pro­ blemi che l 'assillano . Esso deve esporsi e raccogliersi i n essenza, deve porsi, ipostatizzarsi, farsi eone nella coscienza e nel sapere, lasciarsi ve­

dere, subire l'influenza dell'essere. I nfl uenz a che l'Etica stessa, nel suo Dire di responsabilità, esige . Ma è anche necessario che il Dite si affi ­ di alla filosofia affinché la luce che si è prodotta non inigidisca in es­ senza l 'al di là dell 'essenza, e l'ipostasi di un eone non si ponga come idolo. La filosofia tende intelligibile questa sotptendente avventura­ mostrata e narrata come un'essenza-alleggerendo questa influenza del­ l'essere . Lo sfotzo del filosofo e la sua posizione contro natuta consi­ stono, pur mostrando l 'al di qua, nel ridune immediatamente l'eone che trionfa nel Detto e nella messa in mostra; e nel conservare, mal­ grado la riduzione, nelle forme dell 'ambiguità, nelle forme dell'espres55

L'esposizione sione diacronica, il Detto di cui il Dire è, di volta in volta, afferma­ zione e ritra zione, l 'eco del Detto ridotto. Riduzione che non si potreb . be compiere a colpi di parentesi le quali sono, al contrario, opera di scrittu ra; riduzione che alimenta con la propria energia l'interruzione etica dell'essenza. Esporre un altrimenti che essere comporterà ancora un Detto onta· logico nella misura in cui ogni messa in mostra espone un'essenza . La riduzione di questo Detto che si sviluppa in proposizioni enunciate, che fa uso di copule e virtualmente scritte, riunite di nuovo in strut­ ture, lascerà essere la destruttura che essa avrà operato . La riduzione dunque lascerà di nuovo essere come eone l'altrimenti che essere. Ve­ rità di ciò che non entra in un tema, la riduzione si produce in contrat­ tempo o in due tempi senza entrare in nessuno di essi, come la critica senza fine-o lo scetticismo--che all'interno di un movimento a vite rende possibile l'audacia della filosofia distruggendo la cong iunzione in cui entrano senza tregua il suo Dire e il suo Detto . Il Detto, contestan­ do l'abdicazione del Dire che pur tuttavia avviene in questo Detto stesso, conserva cosl la diacronia in cui, con il fiato sospeso, lo spirito ode l'eco dell'altrimenti. L'al di qua, il preliminare che il Dire pre-ori­ ginario anima, si rifiuta, particolarmente, al presente e alla manifesta­ zione o non vi si presta che in contrattempo . Il Dire indicibile si presta al Detto, all'indiscrezione ancillare del linguaggio abusivo che divulga o profana l'indicibile, ma si lascia ridurre senza cancellare l 'indicibile nell 'ambiguità o nell'enigma del trascendente in cu i lo spirito ansante trattiene una eco che si allontana. Ma a questa significazione del Dire-responsabilità e sostituzione -si può risalire solo a partire dal Detto e dalla domanda «che ne è di . . . ? » già interna al Detto in cui tutto si mostra. Vi si può risalire at­ traverso la riduzione solo a partire da ciò che si mostra, cioè dall'essen­ za e dall'eone tematizzato-l'unico di cui c'è manifestazione, ma in cui lo sguardo interrogante non è che l 'impossibile sincronizzazione del non radunabile, la storicità fondamentale di Merleau-Ponty alla quale la diacronia della prossimità è già sfuggita . La riduzione, la risalita al di qua dell'essere, al di qua del Detto in cui si mostra l'essere, in cui s'ipostatizza l'eone, non potrebbe in al­ cun modo significare una rettifica di una antologia per mezzo di un'al­ tra antologi a , il pass a g gio da un non so quale mondo apparente a d un mondo più reale. È solo all'interno dell'ordine dell'essere che rettifica, verità ed errore hanno un senso e che il tradimento è mancanza ad una 56

Dall'intenzionalità al sentire fe deltà . L'al di qua o l'al di là dell'essere non è un ente al di qua o al di là dell'essere; ma neppure un esercizio d 'essere-un 'essenza-più v ero o più autentico dell'essere degli enti . Gli enti sono e la loro ma­ nifes tazione nel Detto è la loro vera essenza. La Riduzione non inten­ de ass olutamente dissipare, né spiegare alcuna « apparenza trascenden­ tale» . Le strutture in cui essa comincia sono antologiche . Che l 'essere e gli enti effettivamente veri siano nel Detto, o che essi si prestino al­ l'espressione e alla scrittura, non toglie nulla alla loro verità e descrive soltanto il livello e la serietà del linguaggio . Entrare nell'essere e nel­ la verità è entrare nel Detto ; l 'essere è inseparabile dal suo senso ! Es­ so è parlato . È nel logos . Ma ecco la riduzione del Detto al Dire-al di là del Logos-dell'essere e del non-essere-al di là dell'essenza-del vero e del non-vero, ecco la riduzione alla significazione, all'uno-per­ l'altro della responsabilità (o più esattamente della sostituzione) , luogo o non-luogo, luogo e non-luogo, utopia dell'umano, la riduzione all'in­ quietudine (nel senso letterale del termine ) o alla sua diacronia che l'es­ sere, malgrado tutte le sue forze raccolte, malgrado tutte le forze si­ multanee nella sua unione, non può eternizzare. Il soggettivo e il suo Bene non potrebbero essere compresi a partire dall'antologia . Al con­ trario, è a partire dalla soggettività del Dire che la significazione del Det­ to potrà essere interpretata . Si potrà mostrare che c'è questione del Detto e dell 'essere solo perché il Dire o la responsabilità reclamano giu­ stizia . Cosl soltanto all 'essere sarà resa giustizia ; cosl soltanto sarà com­ presa l'affermazione-strana, da prendere alla lettera-secondo la quale nell'ingiustizia « tutti i fondamenti della terra sono scossi » . Cosl soltan­ to alla verità sarà reso quell'aspetto disinteressato che permette di se­ parare verità e ideologia .

4 . Il Dire e la soggettività a. Il Dire senza Detto Dall 'anfibologia dell'essere e dell'ente nel Detto bisognerà risalire al Dire, significante prima dell'essenza, prima dell'identificazione-al di qua di questa anfibologia-che enuncia e tematizza il Detto, ma si­ gnificandolo all 'altro, al prossimo , secondo una significazione da distin­ guere da quella che hanno le parole nel Detto . Significazione all'altro nella prossimità che spicca su ogni altra relazione, significazione pen57

L'esposizione sabile in quanto responsabilità per l'altro e che si potrebbe chiamare umanità, o soggettività, o sé. L'essere e l'ente hanno un peso grazie al Dire che li mette al mondo . Niente è più grave, niente è più maestoso della responsabilità per l 'altro, e il Dire, assolutamente senza gioco, è di una gravità più grave del suo proprio essere o non-essere . Si tratta precisamente di raggiungere questo Dire prima del Detto o di ridurre il Detto . Si tratta di fissare il senso di questo prima . Che significa il Dire prima di significare un Detto ? Si può tentare di mo­ strare il nodo di un intrigo che non si tiduce alla fenomenologia, cioè alla tematizzazione del Detto e che, per quanto concerne il Dire, non si riduce alla descrizione della sua funzione che consiste nel restare in correlazione con il Detto, nel tematizzare il Detto e nell'aptire l 'essere a se stesso, suscitando l'apparire e, perciò, nel tema, suscitando dei no­ mi e dei verbi, operando la «messa insieme» , la sincronizzazione o la struttura : la messa al mondo e la messa in storia in vista di una storia­ grafia? Il Dire significa altrimenti, non è il presentatore dell'essenza e degli enti-è questa una tesi del presente scritto. Si tratta di mostrare che l'intrigo proprio del Dire lo conduce cer­ tamente al Detto, alla messa insieme della struttura che rende possibi­ le giustizia ed «io penso» ; che il Detto , l'apparire, sorge nel Dire; che l 'essenza ha, da quel momento, la sua ora e il suo tempo; che la chia­ rezza si fa e che il pensiero mira a dei temi ; tutto questo in funzione di una significazione prima e propria del Dire-né antologica, né anti­ ca-di cui resta da stabilire, al di qua dell 'antologia, l'articolazione e la significanza31 • In correlazione con il Detto , in cui il Dire rischia di as­ sorbirsi non appena il Detto si formula, il Dire stesso, certamente, si tematizza , espone, nell 'essenza che appare, fino al suo al di qua dell'an­ tologia, e si introduce nella temporalizzazione dell'essenza . E, certa­ mente, grazie a questa tematizzazione del Dire si mettono in rilievo in esso i tratti della coscienza : il Detto , nella correlazione del Dù·e e del Detto , è inteso come noema di un atto intenzionale, il linguaggio si re­ stringe in pensiero ; in pensiero che condiziona il parlare ; in pensiero che si mostra nel Detto come atto di soggetto, come ente-posto per cosi dire « al nominativo »-nella proposizione , il Dire e il Detto, che configurano nella loro correlazione la struttura soggetto-oggetto. Ma la manifestazione del Dire a partire dal Detto in cui si tematiz­ za, non nasconde ancora , non « falsa » senza rimedio la significazione 31

Cfr. più oltre cap . v, pp. 196

e

ss.

58

Dall'intenzionalità al sentire p rop ria del Dire . L'intrigo del Dire che si assorbe nel Detto non si esau­ risce in questo assorbimento . Esso imprime la propria tracci a alla te­ m atizzazione stessa che subisce esitando tra la strutturazione da una p arte, regime di una configurazione di enti-mondo e s toria per storia­ grafi-e il regime dell'apophansis non-nominalizzata dall'altra, dove il Detto rimane proposizione, proposizione fatta al pross imo, « signifian­ ce ba illée»32 ad Altri . L'essere-verbo della proposizione-è certamen­ te t ema, ma fa risuonare l'essenza senza assordare completamente l'eco del Dire che la sostiene e la fa nascere . Risonanza sempre pronta a ge­ larsi in nomi, dove l'essere si irrigidirà in copula, dove il «Sachverbalt» si «nominalizzerà», l'apophansis è ancora modalità del Dire. L'enuncia­ to predicativo-metalingua necessaria all'intelligibilità dei suoi propri relitti in disseminazione e della sua nominalizzazione integrale in ma­ tematica-si mantiene alla frontiera di una detematizzazione del Det­ to e può essere inteso come una modalità dell' approssimarsi e del con­ ta tto33. Al di là della tematizzazione e del contenuto che vi si espone­ enti, relazione tra enti che si mostrano nel tema-l'apophansis signifi­ ca come una modalità dell 'approssimarsi ad Altri . Essa rinvia ad un Di­ re al di qua dell 'anfibologia dell'essere e dell'ente, legato come respon­ sabilità per Altri ad un passato irrecuperabile-irrappresentabile-che si temporalizza secondo un tempo ad epoche separate, secondo la sua diacronia. Responsabilità che si lascerà riconoscere come sostituzione all 'interno di un'analisi che partendo dalla prossimità, irriducibile alla coscienza di . . . , si descriverà, se è possibile , come rovesciamento34 della sua intenziona!ità . 32

Esp ression e di difficile tr aduz ione;

bailler, t e rm i n e antiquato che s ign ifi c a

dare, consegnare, oggi è esc lu s i v a me n te usato nel s enso di «me la vuoi d a r e a be re ! ; mc

33

la vuoi dare ad i nt e n de re ! »

(tu

me la bailles belle ! ) .

(ndt)

In La Pensée et le Réel Jeanne Delh om m e ha m os tr a t o che il d e tt o filosofico è

mod al i tà

del d i re e non s e mp li ce aggettivazione di tes i , e che cosl il dire non è so­

lamente un modo di rapprescntarsi l'essere. Il «pensiero», il « r e a l e » del ti tolo non

annunciano, in questo libro, il problema della con osc en z a , ma due « modalità» in cui il «pensiero» significherebbe q u al ch e cosa di simile a ciò che nella presente opera si ch i a m a «altrimenti che essere». Ma Jeanne Delhomme attri bu i sce solo al Detto filosofico questa virtù di mod a l i zz are il Dire . 34 A pa r ti re dal dire originale--o pre-originale---- . Unicità significa qui im­ possibilità di sottrarsi e di farsi sostituire, unicità nella quale si anno­ da la ricorrenza stessa dell'io. Unicità dell'eletto o del richiesto che non è elettore, passività che non si converte in spontaneità. Unicità non as­ sunta, non sus-sunta, traumatica : elezione nella persecuzione. Eletto senza assumere l'elezione! Se questa passività non si ricon­ duce alla passività dell'effetto in una relazione causale, se può essere pensata al di qua della libertà e della non-libertà, allora essa deve ave­ re il senso di una bontà malgrado sé, bontà sempre più antica della scelta il cui valore-cioè precisamente l'eccellenza o la bontà, la bon· ..

tà della bontà-è solo in grado di controbilanciare ( e , al di là , per il

meglio! ) la violenza della scelta. Bontà sempre più antica della scelta : il Bene ha sempre già eletto e richiesto l'unico . E i n quanto eletto sen­ za eleggere la propria elezione, privo dell'investitura ricevuta, l'uno è passività più passiva di ogni passività del subire. La passività dell'uno -la sua responsabilità o il suo dolore-non comincia nella coscienza, cioè non comincia; al di qua della coscienza, essa consiste in questa pre­ originale influenza del Bene su di lui, sempre più antica di un qual si voglia presente, di un qual si voglia inizio-diacronia che impedisce che l 'uno si raccolga e s'identifichi come sostanza, contemporanea di se stessa, come un Io trascendentale. Unicità senza identità. Non identi­ tà-al di là della coscienza che, essa, è in sé e per sé-perché già so­ stituzione all'altro. La diacronia con la quale è stata designata l'unicità dell'uno, ri­ chiesto, al di qua dell'essenza, dalla responsabilità e sempre mancante a se stesso, sempre insufficientemente spoglio, in fallimento come una 72

Dali 'intenzionalità al sentire fi tta dolorosa-la diacronia del soggetto non è una metafora. Il sogget­ to de tto, per quanto è possibile (poiché il fondo del Dire non è mai propri amente detto) , non è nel tempo, ma è la diacronia stessa : nel­ l'i dentificazione dell'io, invecchiamento di colui che non si « riprende­ rà » m ai. Diacronia di un'elezione senza identificazione, di un'elezi one ch e impoverisce e denuda, bontà che esige e che, di conseguenza, non è un attributo che verrebbe a moltiplicare l'Uno; poiché se lo molti­ plicasse, se l 'Uno potesse distinguersi dalla Bontà che lo tiene, l'Uno potrebbe prendere posizione rispetto alla propria bontà , potrebbe sa­ persi buono e, così, perdere la propria bontà. f. Soggettività e umanità I concetti si ordinano e si sviluppano nella verità (i cui presuppo­ sti, così come le convenzioni, apparentano la combinazione dei concet­ ti ad un gioco ), secondo le possibilità logiche del pensiero e le struttu­ re dialettiche dell'Essere . L'antropologia non può aspirare al ruolo di una disciplina scientifica o filosofica privilegiata con il pretesto, un tempo addotto, che tutto il pensabile attraversa l'umana coscienza. Al contrario, alle scienze umane questo attraversamento appare esposto al più grave rischio di deformazione. L'hegelismo-anticipando tutte le forme moderne di sospetto riguardo ai dati immediati della coscienza­ ci ha abituati a pensare che la verità non risiede più nell'evidenza ac­ quisita da me stesso, cioè nell'evidenza sostenuta dalla forma ecceziona­ le del cogito che, forte della sua prima persona, sarebbe primo in tutto, ma risiede nella pienezza insuperabile del contenuto pensato, come ai giorni nostri essa dipenderebbe dalla cancellazione dell'uomo vivente dietro le strutture matematiche che si pensano in lui piuttosto ch'egli non le pensi . Nulla, si dice oggi, è in effetti più condizionato della coscienza e dell'io sedicente originario. L'illusione che la soggettività umana sia in grado di fare, sarebbe particolarmente insidiosa. Lo scienziato, avvici­ nando l'uomo, resta uomo malgrado tutta l'ascesi a cui si sottomette in quanto scienziato . Egli rischia di prendere i suoi desideri, a lui stesso ignoti, per delle realtà, rischia di lasciarsi guidare da interessi che intro­ ducono, malgrado il controllo e la critica che possono esercitare i suoi collaboratori o i suoi compagni, un'inammissibile truffa nel gioco dei concetti, e così rischia di esporre una ideologia sotto forma di scienza. Gli interessi che Kant ha individuato nella stessa ragione teorica ave73

L 'esp os i zione

vano subord inato quest'ultima alla ragione pratica, divenuta ragione tout court. Q u est i interessi sono precisamente contestati dallo struttu­ ralismo che è forse da definire sulla base del primato della ragione teo­ rica . Ma il disinteressamento è al di là dell'essenza. Ci si accorge cosl-lo si vedrà nel corso di questo studio--che l'umano, affrontato come un ogget to fra gli altri (anche se si trascura il fatto che il sapere si apre un passaggio in esso), assume delle signifi­ cazioni che si connettono e si implicano in modo da condurre a delle possibilità concettuali estreme e irriducibili che ol t repassano i limiti en­ tro cui si p rocede alla descrizione, fosse anche dialettica, dell'ordine e dell 'essere, che conducono allo straordinario, all'al di l à del p ossib ile significazioni come la sostituzione dell'uno all'altro, l'immemorabile passato che non ha attraversato il presente, la posizione di sé come de­ posizione dell'Io, il meno che nulla come unicità, la differenza in rap­ porto all'altro come non-indifferenza. Nessuno è tenuto a subordinare a queste possibilità la verità delle s c ienze riguardo all'essere materiale o formale o all'essenza dell'essere. Era necessario il dogmatismo della relazione matematica e dialettica (la sola che attenua una strana sensi­ bilità per una certa poesia apocalittica) per escludere dal gioco delle strutture, chiamato scienza e legato ancora all'essere attraverso le rego­ le stesse del gioco, le possibilità estreme delle significazioni umane, stra­ vaganti perché p or t ano precisamente a vie d'uscita. Signifi cazioni nelle quali si tra t te ngono-lonta n i da ogni gioco e più rigorosamente che nell'essere stesso-degli uomini che non sono mai stati commossi (s i a che questo avvenga nella santità o nel la colpevolezza) da altri uomini ai qu a li essi riconoscono, fino all'indiscernibile della loro presenza in massa, un'identità ; davanti ai quali essi si ritrovano insostituibili e uni­ ci nella loro responsabil i t à Si può certamente invocare, contro la sign ifican z a stessa delle situa­ zioni estreme a cui portano i concetti formati a partire dalla realtà uma­ na, il carattere condizionato dell'umano . I sosp et ti generati dalla psi­ canalisi, dalla sociologia e dalla p olitica45 pesano sull'identità umana in modo tale che non si sa mai a chi si parla e con che cosa si ha a che fare quando si costruiscono delle idee a partire dal fatto umano . Ma non si ha bi s og no di questo sapere nella relazione in cui l'altro è il prossimo , in cui prima di essere individuazione del genere umano , o ­

.

,

45

Cfr. Paul Ricoeur in Il conflitto delle interpretazioni, trad . it. di R. Balzarotti, F. Botturi, G. Colombo, Jaca Book, Milano 1 979, p. 1 1 3 . ì4

Dall'intenzionalità al sentire animale ragionevole, o libera volontà, o essenza qualsiasi, l'altro è il p ers eguitato . Perseguitato di cui io sono responsabile fino ad essere il s uo ostaggio e in cui la mia responsabilità-invece di scoprirmi nella mi a «essenza » di Io trascendentale-mi spoglia, e non cessa di spogliar­ mi, di tutto ciò che potrei avere in comune con un altro uomo--che potrebbe cosi sostituirmi-per interpellarmi nella mia unicità come co­ lui a cui nessuno può sostituirsi. Ci si può chiedere dunque se nulla al mon do è meno condizionato dell'uomo, fino all'assenza in lui dell'ulti­ ma sicurezza che offrirebbe un fondamento ; e se, in questo senso, nul­ la è meno ingiustificato della contestazione della condizione umana, e se nulla al mondo libera più immediatamente, sotto la sua alienazione, la sua non-alienazione, la sua separazione-la sua santità--che defini­ rebbe l'antropologico al di là del suo genere ; ci si può chiedere se per delle ragioni non affatto trascendentali , ma puramente logiche, l'ogget­ to-uomo non deve figurare all 'origine di ogni sapere . Le influenze, i complessi e l 'occultamento che ricoprono l'umano, non alterano questa santità , ma consacrano la lotta per l 'uomo sfruttato . In tal senso non è come libertà-impossibile in una volontà esasperata e alterata, vendu­ ta o folle-che la soggettività s'impone come assoluta . Essa è consa­ crata nella sua alterità in rapporto alla quale, in una responsabilità ir­ recusabile, io mi pongo deposto della mia sovranità . Paradossalmente, è in quanto alienus-estraneo e altro- che l'uomo non è alienato. Santità che il presente studio tenta di sviluppare non per predicare qualche via di salvezza ( che del resto non sarebbe vergognoso ricerca­ re) , ma per comprendere, a partire dalla suprema astrazione e dalla su­ prema concretezza del volto dell'altro , questi accenti tragici o cinici, questa acutezza che continua a segnare la sobria descrizione delle scien­ ze umane; per rendere conto dell'impossibile indifferenza riguardo al­ l'umano che non riesce precisamente a nascondersi nell'incessante di­ scorso sulla morte di Dio, sulla fine dell'uomo e la disintegrazione del mondo (di cui proprio nessuno è in grado di minimizzare i rischi) , ma i cui relitti, precedendo la catastrofe stessa-o come i topi che abban­ donano la nave prima del naufragio-d raggiungono nei segni, già in­ significanti, di un linguaggio in disseminazione .

75

Capitolo terzo

SENSIBILITÀ E PROSSIMITÀ

l. Sensibilità e conoscenza

La verità non può che consistere nell'esposizione dell'essere a se stesso in una singolare inadeguatezza a sé che è anche uguaglianza; par­ tizione in cui la parte vale il tutto : in cui la parte è l'immagine del tutto. Immagine immediatamente accolta senza subire modificazioni­ immagine sensibile. Ma lo scarto tra l 'immagine e il tutto impedisce al­ l'immagine di restare nella sua fissità ; essa deve mantenersi ai confini di se stessa o al di là di se stessa affinché la verità non sia parziale o partitica. Bisogna che l'immagine simbolizzi il tutto. La verità consiste per l'essere le cui immagini sono il riflesso, ma anche il simbolo, da identificarsi attraverso nuove immagini. Il simbolo è intravisto o in­ staurato e riceve la sua determinazione nella passività e nell'immedia­ tezza, o nella solidificazione sensibile . Ma in un'immediatezza che, nel sapere della verità, sempre si rimuove . Il sapere è dunque indiretto e tortuoso. Esso si produce a partire dall'intuizione sensibile che è già intuizione del sensibile orientato verso ciò che, in seno all'immagine, si annuncia al di là dell'immagine, questo in quanto questo o in quan­ to quello, questo che si spoglia del limbo della sensibilità in cui, tutta­ via, riflesso, si trattiene : l'intuizione è già la sensibilità che diviene idea, di un altro questo in quanto questo-aura di un'altra idea-aper­ tura nell'apertura. I ncastro di idee che non pregiudica affatto l 'energia (analitica, sintetica, dialettica) che permette di far nascere un'idea dal­ l'altra, che non pregiudica affatto il duro lavoro della ricerca « speri77

L'esposizione mentale » o «razionale»-sempre, nel concreto, presagio e invenzione -che esplicita queste implicazioni, che trae un « contenuto» da un al­ tro, che identifica questo e quello. Movimento «soggettivo » del sapere che , cosl , appartiene all 'essenza stessa dell 'essere , alla sua temporalizza­ zione in cui l 'essenza prende senso, in cui l 'immagine è già idea, sim­ bolo di un 'altra immagine ; ad un tempo tema e apertura , disegno e tra­ sparenza . Movimento soggettivo che tuttavia appartiene all'indifferen­ za s tessa del noema rispetto alla noesi e al pensatore che sorbono e si disperdono .

in esso si as­

Il sapere, l 'identificazione che intende o pretende questo in quan­ to quello , l'intelletto , non consiste dunque nella pura passività del sen­ sibile . Già il sensibile come intuizione di una immagine è «pretesa» . L' «intenzione » che anima l'identificazione d i questo i n quanto questo o in quanto quello è «proclamazione », «promulgazione >> e, cosl, linguag­ gio, enunciato di un detto . La prima rottura con la passività del sensi­ bile

è un dire in correlazione con un detto1• È per questo che ogni sa­

pere è simbolico e conclude in una formula linguistica .

Tocchiamo qui un punto ambiguo intorno al quale si organizza tut­ to il nostro discorso . Il Dire che enuncia un Detto è, nel sensibile , la

prima « attività» che ferma questo i n quanto quello ; ma questa attività

di arres to e di giudizio , di tematizzazione e di teoria, sopraggiunge nel

Dire in quanto puro « per Altri » , pura donazione di segno, puro « farsi segno » , pura espressione di sé, pu ra sincerità, pura passività . Senon­ ché si potrà mostrare la trasformazione di questo Dire-pura espressio­ ne di sé nella donazione di segno ad Altri (linguaggio prima del Det­ to }--i n Dire enunciante un Detto . Si analizzerà la nominalizzazione del­

l'enunciato , che lo separa della sua proposizione ad Altri , il Dire che si

assorbe nel Detto , che offre nella « favola» una struttura in cui le pa­ role della lingua vivente inventariate nei dizionari-ma sistema sincro­ no per colui che parla-trovano i loro punti di contatto . Comunque sia, il Detto non viene ad aggiungersi ad un precedente sapere , ma è l 'attività più profonda del sapere , il suo stesso simbolismo . Di conseguenza, il simbolismo non è il fatto di una frustrazione all 'in­ terno del sapere , il succedaneo di una in tuizione che manca, il « pensie­ ro segnitivo » « non riempito » di Husserl . Esso è l 'al di là del sensibile

già nell 'intuizione e l'al di là dell 'intuizione nell'idea. Che il sapere sia

Cfr. il nostro studio «Langage et proximité» in E11 découvrant l'existence avec Husserl etc. cit . , 2 edizione, p. 217. 78

Sensibilità e prossimità concettuale e simbolico non significa dunque il rtpiego di un pensiero inca pace di aprirsi intuitivamente alla « cosa s tessa». Di per sé l'apertu­ ra all'essere è immaginazione e simbolismo : il disvelato in qu anto di­ svelato si scopre come simbolo di questo in quello ; il disvelato in quan­

to disvelato è identificato in questo in quanto quello ; dunque, subito, preteso e detto . Per questo il sapere è sempre a priori : al di là del gio­ co di riflessi a cui si riconduce l'intuizione detta sensibile . L'intelletto , senza il quale l'immagine si immobilizza, ha l 'autorità di una istanza suprema e sovrana che proclama e promulga l'identità di questo e di qu ello; è quanto si riconosce da tempo in filosofia con il termine di spon taneità dell'intelletto . Se ogni apertura comporta intelletto, allora l 'imm agine nell'intui­ zione sensibile ha già perduto l 'immediatezza del sensibile . L'esposizio­ ne all'affezione-la vulnerabilità-senza dubbio non ha la significazio­ ne di riflettere l'essere. In quanto scoperta e sapere, l 'intuizione sensi­ bile appartiene già all'ordine del detto ; è idealità . L'idea non è una semplice sublimazione del sensibile . La differenza tra sensibile e idea non è quella che distingue conoscenze più o meno esatte o conoscenze dell 'individuale e dell'universale . L 'individuale in quanto conosciuto è già de-sensibilizzato e rapportato all'universale nell'intuizione . Quanto alla significazione propria del sensibile , essa deve essere descritta in termini di godimento e di ferita che sono, lo vedremo, i termini della prossimità . La prossimità, che sarebbe la significazione del sensibile, non appar­ tiene al movimento della conoscenza , all 'operazione in cui l'idea, che la parola sostituisce all 'immagine dell 'ente, « allarga l'orizzonte » del­ l'apparire riassorbendo l 'ombra di cui la consistenza del dato proietta l'opacità nella trasparenza dell'in tuizione . L 'intuizione che si oppone al concetto è già sensibile concettualizzato . La visione , grazie alla sua distanza ed al suo abbraccio totalizzante, imita o prefigura l' « i mparzia­ lità » dell 'intelletto e il suo rifiuto di limitarsi a cui disporrebbe-o che costituisce-l 'immediatezza del sensibile . Disposizione il cui senso pro­ prio è altrove e non si esaurisce affatto nell'arrestare il movimento e il dinamismo della conoscenza . Perfino informata-o deformata dal sapere-l'intuizione sensibile può fare ritorno alla sua propria significazione . La sensazione, già fun­ zionante come « intuizione sensibile»-unità del senziente e del sentito nello scarto e nei ritrovamenti della temporalità come passato rimemo­ rabile-identità nella discorsione di questo e di quello, di questo in 79

L'esposizione quanto quello, che garantisce la presenza dell'essere a se stesso-la sen­ sazione, già elemento della coscienza, è fonte dell'idealismo e,

al tempo

stesso, ciò che mette fine all 'idealismo . Il sensualismo idealista di un Berkeley-di cui l a fenomenologia husserliana prolunga fino a noi le tesi vigorose-consiste nel ridurre le qualità sensibili degli oggetti a contenuti sperimentati in cui, all'interno di un adeguato possesso del sentito da parte del senziente, si ri trova l 'essenza immanente della co­ scienza, la coincidenza dell'essere e della sua manifestazione, essenza dell 'idealismo -ciò che, in altro modo, si afferma nell 'antologia con­ temporanea . M a la sensazione che è a l fondo dell' «esperienza » sensibile e del­ l'intuizione, non si riduce alla «chiarezza » o all'«idea » che si trae da essa. Non che essa comporti un elemento opaco resis tente alla lumino­ sità dell 'intelligibile, ma ancor definito in termini di luce e di visione . Essa è vulnerabilità-godimento e sofferenza-il cui statuto non si ri­ duce al fatto di porsi davanti ad un soggetto spettatore . L'intenziona­ lità del disvelamento de

e

la simbolizzazione di una totalità che compren­

l'apertura dell 'essere mirato dall'intenzionalità, non costituiscono né

l 'unica, né la dominante significazione del sensibile . Una significazione dominante della sensibilità deve certamente permettere di render con­ to della sua significazione secondaria come sensazione, elemento di un sapere. Lo abbiamo già detto : il fatto che la sensibilità possa farsi «in­ tuizione sensibile » ed ent rare nell'avventura della conoscenza non è una contingenza . La significazione dominante dell a sensibilità già percepita nella vulnerabilità e che si mostrerà nella responsabilità della prossimi­ tà, nella sua inquietudine

c

nella sua insonnia, contiene la motivazione

della sua funzione cogn itiv a . Nel sapere , d i p e r sé simbolico, s i compie i l passaggio dall'immagi­ ne, limitazione e particolarità , alla totalità e, di conseguenza, relativa­ mente all'essenza dell'essere , si compie interamente

il contenuto del­

l'astrazione . La filosofia occiden tale non ha mai dubitato della struttu­ ra gnoseologica-e di conseguenza antologica-della significazione . Di­ re che questa struttura è secondaria all'interno della sensibilità e che, tuttavia, la sensibilità in quanto vulnerabilità, significa, è riconoscere un senso al di fuori dell'an tologia ed anche subordinare l 'antologia a questa significazione dell'al di là dell 'essenza . L'immediatezza a fior di pelle della sensibilità-la .sua vulnerabilità- si trova come anestetiz­ zata nel processo del sapere . Ma anche, senza dubbio, rimossa o sospe­ sa. Rispetto a questa vulnerabilità ( che suppone il godimento altrimenti

80

Sensibilità

e

prossimità

che come sua antitesi ) , il sapere-scoperta dell'essere a se stesso--marca una rottura con l'immediato e in u n certo senso un'astrazione . L 'im­ mediatezza del sensibile che non si riduce al ruolo gnoseologico assun­ to dalla sensazione, è esposizione alla ferita e al godimento, espo­

si z ione all a ferita nel godimento; è ciò che permette alla ferit a di rag­ gi u ngere la soggettività del soggetto che si compiace in sé e si pone per sé. Questa immediatezza è innanzitutto la facilità del godere, più i mmediato del bere, tuffo nelle profondità dell 'elemento, nella sua

fre schezza incomparabile di pienezza-piacere ; cioè compiacenza in sé della vita che ama la vita fino al suicidio . Compiacenza della soggetti­ vità, compiacenza provata per se stessa-la sua stessa « egoità » , la sua sostanzialità . Ma subito «denucleazione» della felicità imperfetta che è il battito della sensibilità : non-coincidenza dell'Io con se stesso , inquie­ tudine, in-sonnia, al di là del luogo di ritrovo del presente, dolore che disarciona l'io o, nella vertigine, lo attira come un abisso per impedire

che, posto in sé e per sé, esso « assuma» l'altro che Io ferisce in un mo­

vimento intenzionale, affinché si produca, in questa vulnerabilità , il ro­

vesciamento dell'alt ro

inspirante il medesimo-dolore , debordamento il

del senso attraverso il non-senso, perché il senso superi il non-senso;

senso cioè il medesimo-per-l'altro . Fin qui deve giungere la passività o la pazienza della vulnerabilità ! In essa la sensibilità è senso : attraverso l'altro e per l 'altro : per altri . Non nei nobili sentimenti « delle belle let­ tere » , ma nel momento di uno sradicamento del pane dalla bocca che lo gusta per darlo all'altro, la denucleazione del godimento in cui si for­

ma il nucleo dell'lo.

2. Sensibilità e significazione Una sensazione termica, gustativa o olfattiva, non è originariamen­ te conoscenza di un dolore,

di un sapore, di un profumo . Senza dubbio

essa può assumere questo significato di scoperta perdendo il suo sen­ so

proprio, facendosi esperienza di . . . , coscienza di . . . , « ponendosi» da­

vanti all'essere esposto nel suo tema, discorso in cui ogni inizio comin·

eia. Ma già Dire correlativo di un Detto e suo contemporaneo . Il pre­ sen te della manifestazione-origine del fatto stesso dell'origine-è per la filosofia origine. Ed è ancora ad un discorso tematizzante che la sen­ sazione viene a concludersi . Ma la sensazione riesce a persistere tra il

suo inizio e la sua fine ? Non significa forse al di fuori di ques ti termi81

L'esposizione ni ? La filosofia che nasce con l' apparire, con la tematizzazione, tent a, nel corso della sua fenomenologia, la riduzione del manifesto e della manifestazione alla loro significazione pre-originale, ad una significazio­ ne che non significa manifestazione . C'è ragione di pensare che quest a significazione pre-originale comprenda i motivi dell'origine e dell 'app a­ rire. Tuttavia non si rinchiude né in un presente, né in una rappresen­ tazione; anche se significa l 'alba di una manifestazione in cui può cer­ to splendere e mostrarsi, il suo significare non si esaurisce nell 'effusio­ ne o nella dissimulazione di questa luce .

A questo inizio o a questo compimento della filosofia-pensati co­ me un non plus ultra-si ispira Husserl nella sua interpretazione della soggettività come coscienza di . . . , nella sua teoria sulla priorità della « tesi doxica» che sostiene ogni intenzionalità qualunque ne sia la qua­ lità, nella sua teoria sulla possibile trasformazione di ogni intenziona­ lità non teorica in un'intenzionalità teorica che sarebbe fondatrice : tra­ sformazione senza ricorso alla riflessione sull'atto che oggettiverebbe l'in­ tenzionalità non-teorica . Malgrado il grande contributo della filosofia hus­ serliana alla scoperta, attraverso la nozione d'intenzionalità neo-teori­ ca, di significazioni diverse da quelle dell 'apparire (e della soggettività come fonte della significazione c come definentesi in qualche modo at­ traverso questo sgorgare e questa connessione dei sensi) , un'analogia fondamentale è costantemente affermata da Husserl tra la coscienza di . . . , cognitiva, da una parte, e le intenzioni assiologiche o pratiche dal­ l'altra . Tra l' e sp e ri e n z a dell 'essere da una parte, e l'azione e il deside­ rio dall'altra, ha luogo un parallelismo rigoroso : l'assiologia diviene «conoscenza» dei valori o di ciò che deve essere, cosl come la pratica diviene conoscenza di ciò che c'è da fare o dell 'oggetto usuale . La sen­ sazione-« contenuto primario » delle Ricerche L o g ich e o «hylé» delle Idee-partecipa al sensato solo in quanto animata dall 'intenzionalità o costituita nel tempo immanente secondo lo schema della teoretica coscien­ za di . . . all'intetno della ritenzione e della protezione, della memoria e dell'attesa . Certamente nessuno sarebbe in grado di contestare che nell'olfattivo o nel gustativo l'apertura su . . . , o la coscienza di . . ., o l 'esperienza di . . . non sono la nota dominante--che il godimento o la sofferenza, che sono queste sensazioni, non significano come saperi , an­ che se la loro significazione si mostra nel sapere. La distinzione tra contenuto rappresentativo e contenuto detto affettivo della sensazione appartiene alla psicologia più banale. Ma come significa la significazio­ ne se la sua presentazione in un tema-se il suo splendore-non è la 82

Sensibilità e prossimità sua significanza-o l a sua intelligibilità-ma solo la sua manifestazio­ ne , se la sua apertura alla luce non esaurisce la sua significanza ? Questa è p erciò concepita nella t ra dizione filosofica dell'Occidente come una modalità della sua manifestazione-luce di un « altro colore», diversa da quella che riempie l 'intenzionalità teorica, m a sempre luce . La s truttu­

ra dell 'intenzionalità rimane ancora quella del pensiero e della compren­ sion e . L'affettivo rimane informazione : su sé, sui valori (come in Max Scheler ) , su una dis-posizione nell'essenza dell 'essere e al tempo stesso, at trave rso questa disposizione, comprensione dell 'essenz a {come la Stim­

mung

di Heidegger), anto-logia, qualunque siano le modalità e le st ru t­ ture dell 'esistenza che eccedono tutto ciò che la tradizione intellettuali­

sta intendeva per pensiero, ma che non per questo non si collocano in un

logos dell 'essere . D 'altra parte questa priorità della conoscenza e

della comprensione nell'intenzionalità sembra così facilmente adattarsi a significazioni diverse dalla tematizzazione solo perché Husserl stesso introduce surrettiziamente nella sua descrizione dell'intenzione un ele­ mento che mette fine alla pura tematizzazione : l'intuizione piena (cioè contenta o soddisfa) in cui delude una mira che

mira

a vuoto il pro­

prio oggetto . Dal vuoto che comporta un simbolo in rapporto all'im­ magine che illustra il simbolizzato, si passa al vuoto dell a fame . C'è qui un desiderio al di fuori della semplice coscienza

di. . . Ancora intenzio­

ne, certo, ma in un senso radicalmente diverso dalla mira teorica, qua­ lunque sia la pratica propria che la teoria comporta . Intenzione come Desiderio, in modo che l'intenzione, posta tra delusione ed

Erfiillung,

riduca già l' « atto oggettivamente» alla specificazione della tendenza, a meno di non fare della fame un caso particolare della « coscienza di . . . » . L a coscienza di . . . , correlativa della manifestazione, struttura di ogni intenzionali tà, sarebbe d'altra parte, in Husserl , fondatrice di tutto ciò che si mostra o, anche, la sua essenza . Lo stesso Heidegger non sostie­ ne il primato fondatore della conoscenza nella misura in cui l'essenza dell 'essere che paralizza ogni ente e al di fuori della quale non si può andare , in se stessa mistero inafferrabile, condiziona, con il suo ritrar­ si, l 'ingresso nella luce

e

manifesta il suo mistero attraverso il disve­

lam e nto degl i enti . La conoscenza che si enuncia nel giudizio predica­ tiv o vi si fonda naturalmente . Se l 'essenza dell'essere rende possibile, at traverso questa essenza stessa, la verità, allora il soggetto-qualun­ que sia il nome che gli si attribuisce-è inseparabile dal sapere dell'ap­ parire dell 'intenzion alità. Ma possono delle significazioni dell'al di là 83

L'esposizione dell 'essenza, che non significano fosforescenza e apparire, mostrars f senza tradirsi nella loro manifestazio ne, senza rivestirsi nel loro appa­ rire delle apparenze dell 'essenza, ma facendo appello alla Riduzion e ? I l fatto di mostrarsi esaurisce i l senso di ciò che certamente si mo­

stra, ma che , in quanto non-teorico , non « funziona», non significa ca­ me messa in mostra ? Dove situare il residuo che non è né ciò che si

mostra nell 'apertura, né il disvelamento stesso-apertura o idea o ve­

rità di ciò che si mostra ? È certo che la manifestazione fondi tutto ciò che si manifesta ? Non deve forse essa stessa ess ere giustificata da ciò che si mostra ? L'in terpretazione della significazione sensibile a partire dalla coscien­ za di . . , per quanto poco intellettualista la si voglia, non rende conto .

del sensibile. Essa rappresenta certamente un progresso rispetto all 'ato­ mismo sensualis ta, poiché evita la meccanizzazione del sensibile grazie all '« abisso di senso » o alla trascendenza che separa

il vissuto dall'« og­

getto intenzionale » . Nella trascendenza dell'intenzionalità, in effetti, si

riflette la diacronia-cioè lo psichismo stesso in cui, come responsabi­ lità per altri, si articola, nella prossimi tà, l 'ispirazione del Medesimo per l'Altro . La sensibilità è cosl restituita all 'eccezione umana. Ma da questo riflesso bisogna risalire all a diacronia stessa che , nella pros­

simità , è l'uno-per-l 'al tro : non tale o tal'altra significazione, ma la si­

gn i fi ca n za stessa della significazione , l 'uno per l 'altro come sensibilità

o

vulnerabilità ; passività o suscettibilità pura, passiva al punto di diven­ tare ispirazione , cioè precisamente alterità-nel-medesimo, tropo del

corpo animato dall'anima, psichismo come mano che dona il pane strap­ pato dalla propria bocca . Psichismo come corpo materno . Interpretata come apertura di disvelamen to, come coscienza di . . . la sensibilità sarebbe già ridotta alla visione , all'idea, all'intuizione-sin-· cronia di elementi tematizzati e loro simultaneità con lo sguardo . Bisogna invece chiedersi se la visione stessa si esaurisce nell'apertura e nella conoscenza . Espressione come « godere di uno spettacolo » o « man­ giare con gli occhi » sono puramente metafisiche ? Mostrare il modo di significare delle sensazioni non rappresentative significa descrivere il 2

Sarà possibile comprendere la manifes tazione e l'essere a partire dalla giustizia che si rivolge al­ l'altro in presenza del terzo-giustizia che è questa presenza stessa del terzo e que­ sta manifestazione e per la quale ogni segreto, ogni intimità è dissimulazione-giu­ stizia che è all'origine delle pretese dell'ontologia all'assoluto e all'origine della definizione dell'uomo come comprensione dell'essere. a cui è ricondotto un Dire che non si rivolge più solo all'altro, ma

84

Sensibilità

e

prossimità

loro p sichismo ptima di identificarlo con la coscienza di . . . in quanto co­ scien z a tematizzante, prima di ritrovarvi il riflesso di questa diacronia . La coscienza tematizzante, all'interno del ruolo privilegiato della mani­ fes tazione che le compete, prende senso nello psichismo che essa no n e saurisce e che deve essere descritto positivamen te . Senza ciò l'an­

tologia s 'impone, non soltanto come origine del pensiero tematizzante -il che è inevitabile-e come sua fine in uno scritto , ma anche come si g nificazione stessa . Si tenterà dunque di mostrare che la significazione è sensibilità . Il

fat to che non si possa filosofare prima della messa in mostra in cui il sen so è già un Detto-una qualche cosa-un « tematizzato », non im­ pl ica affatto che la messa in mostra non si giustifichi con la significa­

zione, la quale motiverebbe la messa in mostra e vi si manifesterebbe

tradita e da ridurre-cioè si manifes terebbe nel Detto ; a maggior ra­ g ione il fatto che non si possa filosofare prima della manifestazione di qualche cosa non implica affatto che la significazione « essere», corre­

lativa di ogni manifestazione, sia la fonte di questa manifestazione e di ogni significazione-come si può pensare a partire da Heidegger-né che il mostrare sia il fondamento di tutto ciò che si manifesta-come pensa Husserl . È sul senso stesso di uno psichismo che si gioca nella

tradizione occidentale tra l'essere e la sua manifestazione o nella cor­

relazione dell 'essere e della sua manifestazione, che conviene nuova­ mente riflettere . Non è ancora cambiato nulla quando si dilata la nozione della co­

scienza di . . . e la si descrive come « accesso all 'essere » . L'esteriorità che suppone questo modo di parlare è già tratta dalla tematizzazione, dal­ la coscienza di. . . , dalla correlazione sufficiente a se stessa del

Dire e del

Detto. L'accesso all 'essere enuncia una nozione tautologica come quel­ la della manifestazione dell'essere o dell'anto-logia . La m anifestazione rimane il senso privilegiato e ultimo del sogget tivo; l'idea stessa d i sen­ so ultimo o di senso primo-che è ontologico-permane . La no­ zione dell'accesso all 'essere, della rappresentazione e de ll a tem atizza­ zione di un Detto suppongono la sensibilità

e,

quindi, la prossimità, la

vulnerabilità e la significanza . Tra la significazione propria del sensi­ bile e quella della tematizzazione e del tematizzato in quanto tematiz­ zato, l'abisso è ben più profondo di qu anto non lasci supporre il pa­ rallelismo costantemente affermato da Husserl fra tutte le «qualità» o

tutte le « tesi » dell 'intenzionalità . Il che implicherebbe l 'equivalente del­ lo psichico e dell 'intenzionale . Rinunciando all'intenzionalità come a un 85

L'esposizione filo conduttore verso l 'eidos dello psichismo, intenzion alità che domine­ rebbe l'eidos della sensibilità, l 'analisi seguirà la s ensibilità nella su a

significazione pre-naturale fino al Materno in cu i, come prossimità , la significazione significa prima di contrarsi in perseveranza nell'essere in seno ad una Na tura .

3 . Sensibilità e psichismo Lo psichismo dell 'intenzionalità non risiede n ella coscienza di . . . , nel suo potere di tema tizzare, e neppure nella « verità dell'essere » che si scopre in essa secondo tale o tal 'altra significazione del Detto . Lo psi­ chismo è la forma di un insolito sfasamento--di un rilassamento o di

allontanamento-dell'identità : il medesimo impedito di coincidere con se stesso, spaiato, strappato alla propria quiete, tra sonno e inson­ nia, ansito, fremito . Per nulla abdicazione del Medesimo, alienato e schiavo dell'altro, ma abnegazione di sé pienamente responsabile dell'al­

un

tro . Identità che si accusa nella responsabilità e al servizio dell 'altro . Nelle forme della responsabilità, lo psichismo dell 'anima è l 'altro in me; malattia dell 'identità-accusata e sé, il medesimo per l'altro, medesimo attraverso l'altro3 • Qui pro qua--s ostituzione-straordinario, né ingan­ no, né verità, intelligibilità preliminare della significazione, ma sconvol­

gimento dell 'ordine dell 'essere tematizzabile nel Detto, della simultanei­ tà e della reciprocità delle relazioni dette. Significazione p o ss ibile unica­

mente come incarnazione . L'animazione, il pneuma stesso dello psichismo, l'alterità nell 'identità, è l 'identità di u n corpo che si espone all'altro, che si fa « per l 'altro » : la possibilità del dare. La dualità non ricomponibile degli elementi di questo tropo è la dia-cronia dell 'uno-per-l 'altro, la si­ gnificanza dell'intelligibilità non debitrice alla presenza o alla simultaneità

dell 'essenza di cui sarebbe una diminuzione . L 'intenzionalità non è psi­ a causa della temporalizzazione che opera4-qualunque sia il ruolo della manifestazione per l 'avvio della filosofia e la necessità della luce per la significazione stessa della responsabilità . Lo psichismo dell'intenzionali-

ch ismo

L'Anima è l al t ro in me. Lo psichi smo l 'uno-per-l'altro, può essere pos sesso e psicosi ; l'anima è g i à seme di follia. 4 ti a partire dall'uno-per-l'altro dell'Incarnazione del medesimo che si può com­ prendere la «trascendenza» dell'intenzionalità, il per-l'altro del l o psichismo è pas­ sività dell'esposizione che va fino a ll 'es p os izi one della esposizione, fino all'es-pres­ s ione o Dire ; il Dire si fa tematizzazione e Detto. '

,

86

Sensibilità e prossimità

tà , al di là della correlazione del Detto e del Dire, dipende dalla signi­

ficanza del Dire e dell'incarnazione, dalla diacroni a; l'intenzion alità in­ fa tti non diviene mai-se non perdendo il proprio senso , tradendosi, ap­ parendo secondo l 'intelligibilità del sistema5-simultanea al tem a a cui si rivolge . La significazione che anima l 'affettivo , l'assiologico , l 'attivo , il sensibile , la fame, la sete, il desiderio, l 'ammirazione, non dipende dalla tematizzazione che in essi si può trovare, né da una variazione o da una modalità della tematizzazione. L 'uno-per-l 'altro che costituisce la loro significanza non è un sapere dell 'essere, né un qualunque altro accesso all 'essenza. Queste significazioni non traggono la loro signifi­ canza né dal conoscere, né dalla loro condizione di conosciute. La signi­ ficanza che esse veicolano nel sistema, nel Detto, nella simultaneità di una lingua, è tratto da questo psichismo preliminare, significazione per eccellenza . Nel sistema, essendo il tutto la finalità dei singoli elementi, la s ignificazione dipende dalla definizione dei termini gli uni sulla base degli al tri nella sincronia dell a totalità. Essa dipende dal sistema della lingua sul punto di essere parlata. Situazione nelle cui forme si com­ pie la sincronia universale . Avere una significazione nel Detto signifi­ ca, per un elemento, poter fare riferimento ad altri elementi e, recipro­ camente , per questi poter essere evocati dall'uno . Si sa bene che lo psi­ cbismo può cosi avere un senso come un qualsiasi altro termine della lingua enunciata che si mostra nel Detto , favola o scritto . Il fatto psi­ chico può avere un senso in quanto riferito ad un altro fatto psichico , co­

me ad un qualsiasi altro ele mento del mondo dell'esperienza detta esterna: la percezione si comprende in rapporto alla memoria e all 'attesa ; reci­ procamente, la percezione, la memoria , l'attesa sono unite, grazie alla loro essenza cognitiva, alla loro «impassibilità» e si comprendono in opposizione alla volontà, al bisogno , alla fame-inquieti attivamente o passivamente-i quali si comprendono reciprocamente in rapporto alla serenità del teoretico . Formule come « ogni coscienza è coscienza di qualche cosa», «ogni percezione è percezione del percepito », possono essere intese in questo senso sincronico ed esprimere le banalità più scontate, traendo il loro significato dal sistema, significando in funzione della sua articolazione più o meno sfumata. La significazione della per­

cezione, della fame, della sensazione ecc . , come nozione, significa in forza della correlazione di termini all'interno della simultaneità di un sistema linguistico. Essa deve essere distinta dalla significanza del­ l'«uno per l'altro », dallo psichismo che anima percezione, fame e senCfr. più sopra.

87

L'esposizione sazione . L 'anim azione non è qui una metafora, ma una designazione, se co sl si può dire , dell 'i rriducibile paradosso dell'intelligibilità : dell'alt ro nel medesim o , del tropo del «per l ' altro» nella sua inflessione prelim i­ na re . Significazione nella sua significanza stessa , al di fuori di ogni si­

stem a, prima di ogni correlazione , accordo o pace tra piani che, dal mo­ mento che li si tematizza, segnano una divisione irreparabile come le voca li in dieresi, mantenendo uno iato senza elisione, due ordini car­

tesiani-corpo e anima-che non hanno alcuno spazio in comune per tocca rsi, nessun topos logico per formare un insieme . Tuttavia essi so­ no preliminarmente accordati alla tematizzazione, ma secondo un accor­ do che si sviluppa solo come arpeggio , il che , !ungi dallo smentire l'in­ telligibilità, è la razionalità stessa della significazione grazie alla quale l 'identità tautologica-o l'Io-riceve «l 'altro » e assume a ttraverso esso il senso di u n 'identità insostituibile che « dà» all 'altro .

Il detto mostra, ma tradisce (ma tradendo mostra ! ) la dieresi , il

«disordine » dello psichismo che anima la

coscienza di . . . e che, nel Det­ Detto che lo psi­

to filosofico , si chiama trascendenza . Ma non è nel

chismo signifi ca, anche se in esso si manifesta. La significazione è l 'uno­ per-l 'altro di una iden tità che non coincide con se stessa-il che equi­ vale a tu tta la gravità di un corpo ani m ato , cioè offerto ad altri, che

si esprime o si sfoga ! Questo sfogo--come un conatus alla rovescia , come una sovversione dell'essenza-relazione attraverso una differen­ za assoluta che non si riduce a nessuna relazione sincrona e reciproca che cercherebbe un pensiero to t alizza n te e sistematico preoccupato di comprendere l'>-è la soggettività stessa. «Presenti la guancia a chi lo percuote e sappia saziarsi anche d'oltraggi»14; chiedere nella sofferenza subita questa sofferenza ( senza fare intervenire l'atto che sa­ rebbe l'esposizione dell 'altra guancia), non significa trarre dalla soffe­ renza una qualche virtù magica di riscatto, ma passare, nel trauma della persecuzione, dall'oltraggio subito alla responsabilità per il persecuto­ re e, in questo senso, dalla sofferenza all'espiazione per altri. La perse­ cuzione non viene ad aggiungersi alla soggettività del soggetto e alla sua vulnerabilità; essa è il movimento stesso della ricorrenza. La sog­ gettività come l 'altro nel m edes im o come ispirazione-è la messa in questione di ogni affermazione «per sé», di ogni egoismo che rinasce in questa ricorrenza stessa. (Messa in questione che non è una messa in scacco! ) . La soggettività del soggetto è la responsabilità o l'essere-in­ questione1 5 sotto forma di esposizione totale all'offesa, nella guancia -

14 15

Lamentazioni 3 ,30. Nel sogno, tre volte ripetuto, di Otrcpiev del Boris Godounov di Puskin il falso Dimitri intravede la sua sovranità nel riso equivoco del popolo: « ... dall'alto Mosca mi appariva come un formicaio, in basso il popolo era in subbuglio e mi se· gnava ridendo; io ero preso dalla vergogna e dallo spavento e precipitando, a testa in giù, mi risvegliai ». Ridere al fondo del gesto che mi designa, vergogna e spa­ vento dell'Io, «accusativo» in cui tutto mi designa e mi assegna, risveglio in una caduta «a te st a in giù»-incondizione del soggetto nella sua sovranità. 139

L'esposizione tesa vers o colui che percuote. Responsabilità anteriore al dialogo, allo scambio di dom ande e risposte, alla tematizzazione del Detto che si so.. vrapp one alla mia messa in questione per l'altro nella prossimità e che, nel Dire della responsabilità, si produce come digressione. La ricorrenza della persecuzione nel se stesso è in tal senso irridu­ cibile all'intenzionalità in cui si afferma, fin nella sua neutralità di mo­ vimento contemplativo, la volontà; in cui mai il tessuto del Medesimo -il possesso di sé in un presente-è lacerato, in cui l'Io, colpito, è, in fin dei conti, colpito solo da se stesso, liberamente . La soggettività co­ me intenzionalità si fonda in auto-affezione in quanto auto-rivelazione, origine di un discorso impersonale. La ricorrenza del sé nella responsa­ bilità-per-gli-altri, ossessione persecutrice, va al contrario dell'intenzio­ nalità, tanto che la responsabilità per gli altri non potrebbe mai signi­ ficare volontà altruista, istinto di «benevolenza naturale» o amore. È nella passività dell'ossessione-o incarnata-che un'identità s'individua come unica, senza ricorrere a nessun sistema di riferimento, nell'impos­ sibilità di sottrarsi senza carenza alla convocazione per l'altro. La rap­ presentazione di sé la coglie già nella sua traccia. Assoluzione dell'uno, essa non è né un'evasione16, né un'astrazione ; concretezza più concreta del semplicemente coerente in una totalità, poiché, sotto l'accusa di tutti, la responsabilità per tutti arriva fino alla sostituzione . Il sogget­ to è ostaggio. Ossessionata di responsabilità che non rimandano a decisioni prese da un soggetto «liberamente contemplante», accusata di conseguenza nell'innocenza, la soggettività in sé è il rigetto verso sé, il che concre­ tamente significa : accusata di ciò che fanno o soffrono gli altri o respon­ sabile di ciò che essi fanno o soffrono. L'unicità di sé è il fatto stesso di portare la colpa d'altri. Nella responsabilità verso Altri, la soggetti­ vità non è che questa passività illimitata di un accusativo che non è il seguito di una declinazione che esso avrebbe subito a partire dal nomi­ nativo. Accusa che può ridursi alla passività del Sé solo come persecu­ zione, ma anche persecuzione che non si trasforma in espiazione . Senza la persecuzione, l'Io alza la testa e copre il Sé. Tutto è preliminarmen­ te all'accusativo-condizione eccezionale o in-condizione del sé, signi­ ficazione del pronome Si di cui le nostre grammatiche latine «ignora­ no» il nominativo. 16

Ogni idea di evasione, come ogni idea di maledizione che pesa sul destinato, suppone già l'Io costituito a partire da sé c già libero. 140

La sostituzione Più io ritorno a Me, più mi spoglio-sotto l'effetto del trauma del­ persecuzione-della mia libertà di soggetto costituito, volon tario, i m­ la perialista, più mi scopro responsabile; più sono giusto, più sono colpevo­ le. Io sono «in sé» attraverso gli altri . Lo psichismo. è l'altro nel medesimo senza alienare il medesimo 17• Costretto a sé, in sé perché senza ricorso a niente, in sé come nella propria pelle-e nella propria pelle ad un tem· po esposto all'esterno, il che non accade alle cose, e ossessionato dagli altri in questa esposizione nuda-il sé non ha forse presa su di sé, per la sua impossibilità stessa di sottrarsi alla propria identità verso cui, perseguitato, si ripiega ? Un inizio non ha forse inizio in questa passi­ vità ? L'indeclinabilità dell'Io è l'irremissibilità della accusa rispetto al­ la quale non è più possibile prendere le distanze, rispetto alla quale non è permesso sottrarsi. Questa impossibilità di prendere le distanze e di sottrarsi al Bene è una fermezza più solida e più profonda di quella del­ la volontà che è ancora tergiversazione . Indeclinabilità indicante l'anacronismo di un debito precedente il prestito, di una spesa eccedente le risorse come nello sforzo, essa sareb­ be esigenza nei confronti di sé senza che le possibilità-nel per sé­ si misurino attraverso la riflessione su di sé; esigenza nei confronti di sé senza che il sé rispondente all'esigenza si mostri sotto forma di com­ plemento oggetto diretto--dò che supporrebbe una uguaglianza tra sé e sé; esigenza riguardo a sé senza riguardo per i possibili, cioè al di là di ogni equità-una tale esigenza si produce sotto forma di una accusa precedente la colpa, rivolta contro sé malgrado la sua propria innocenza e, nell'ordine della contemplazione, semplicemente insensa­ ta. Accusa estrema che esclude la declinabilità di sé-la quale sarebbe consistita nel misurare i possibili in sé per accusarsi di questo o di quello, per accusarsi del commesso-quand'anche fosse commesso co­ me peccato originale-accusa che pesa sul sé in quanto sé : esigenza senza considerazione per sé. Passione infinita della responsabilità che va, nel suo ritorno su di sé, più lontano della sua identità18-al di qua 17

La passività del Sé nell'in sé non rientra nel quadro della distinzione tra atteg­ gi ament o e categoria-essendo la categoria ottenuta, come vuole Eric Weil, attra­ verso la riflessione sull'atteggiamento che è una liberazione riguardo all'atteggia· mento e alla sua particolarità. In rapporto alla passività o alla presenza del Sé, l'at­ tegg i am ent o è già libertà e posizione. La passività del Sé precede l'atto volontario che si avventura verso il progetto ed anche verso la certezza che, nella verità, è coincidenza con sé. Il Se-stesso è al di qua della coincidenza con sé. 18 Identità non di un'Anima in generale, ma di me, poiché in me solo l'innocenza 141

L'esposizione o al di là dell'essere e del possibile-che mette l'essere in sé in deficit , nella suscettibilità di essere trattato come grandezza negativa. Ma come la passività del sé diviene una «presa su di sé»? Ques ta non presuppone forse-a meno di essere un gioco verbale-un'attività dietro la passività assolutamente an-archica dell'ossessione, una liber­ tà clandestina e nascosta ? A che pro dunque l'esposizione che ha pre­ ceduto ? Noi abbiamo risposto in anticipo a questa domanda con la no­ zione di Sostituzione.

4. La sostituzione In effetti, esponendo l'in sé della soggettività perseguitata si è rimast i fedeli all'an-archia della passività;> Dicendo la ricorrenza dell'io a sé si è stati sufficientemente liberi dai postulati del pensiero antologico in cui l'eterna presenza a sé sottende, sotto forma di ricerca, fin dentro le sue assenze, in cui l'essere eterno, le cui possibilità sono anche poteri, assume sempre ciò che esso subisce e, qualunque sia la sua sottomissione, risorge sempre come principio di ciò che la raggiunge ? Poiché è forse proprio in ciò, in questo riferimento ad un fondo d'an-archica passività, che il pen­ siero che nomina la creatura differisce dal pensiero antologico. Non si tratta di giustificare qui il contesto teologico di questo pensiero, in quan­ to la parola creatura designa una significazione più vecchia del contesto tessuto intorno a questo nome. In questo contesto-in questo Detto-si cancella già la dia-cronia assoluta della creazione, refrattaria alla raccolta in presente e in rappresentazione dal momento che, nella creazione, il chiamato ad essere risponde ad un appello che non ha potuto raggiunger­ lo, poiché, nato dal nulla, esso ha obbedito prima di intendere l'ordine. Cosl, nella creazione ex-nihilo-a meno che non sia puro non-senso-è pensata una passività che non può essere capovolta e assunta e, cosl, il sé come creatura è pensato in una passività «più passiva» della passività del­ la materia, cioè al di qua della virtuale coincidenza di un termine con se stesso. Il se-stesso deve essere pensato al di fuori di ogni coincidenza sostanziale di sé con sé e senza che la coincidenza sia, come vuole il pen­ siero occidentale che unisce soggettività e sostanzialità, la norma che già guida ogni non-coincidenza, guidandola nella forma della ricerca che può essere accusata senza assurdità. Accusare l'innocenza dell'altro, domandare all'al­ tro più di quanto deve, è criminale. 142

La sostituzione essa genera. Perciò, da quel momento, la ricorrenza a sé può non arre­ starsi a sé, ma deve andare al di qua di sé, nella ricorrenza a sé deve an­ dare al di qua di sé . A non ritorna, come nell'identità, ad A, ma indietreg­ gia al di qua del suo punto di partenza. La significazione della responsa­ bilità per altri-non assumibile attraverso una libertà qualunque-non si dice forse secondo questo tropo ? Lungi dal riconoscersi nella libertà della coscienza che si perde e si ritrova, che, in quanto libertà, distende l'ordine dell'essere per reintegrarlo nella libera responsabilità, la respon­ sabilità per l 'altro, la responsabilità dell'ossessione, suggerisce la passi­ vità assoluta di un sé che non ha mai dovuto separarsi da sé per rien­ trare in seguito nei suoi limiti e per identificarsi riconoscendosi nel suo passato, ma la cui ricorrenza è la mia contrazione. un andare al di qua dell'identità, rodendo questa identità stessa-identità che si rode-in un rimorso. La responsabilità per altri che non è l'accidente di un Soggetto, ma precede in esso l'Essenza, non ha atteso la libertà in cui sarebbe stato preso l'impegno per altri . lo non ho fatto niente e sono sempre stato in causa : perseguitato . L'ipseità, nella sua passività senza arché dell'iden­ tità, è ostaggio. La parola Io significa eccomi, rispondente di tutto e di tutti. La responsabilità per gli altri non è stata un ritorno a sé, ma una contrazione esasperata che i limiti dell 'identità non possono trattenere . La ricorrenza diviene identità facendo esplodere i limiti dell'identità, il principio dell'essere in me, l'intollerabile quiete in sé della definizione. Sé-al di qua della quiete : impossibilità di ritornare di tutte le cose per non « preoccuparsi che di sé», ma tenere a sé rodendosi. La respon­ sabilità nell'ossessione è una responsabilità dell'io per ciò che l'io non aveva voluto, cioè per gli altri . Questa anarchia della ricorrenza a sé, al di là del gioco normale dell'azione e della passione in cui si mantiene­ dov'è-l'identità dell'essere, al di qua dei limiti dell 'identità, questa pas­ sività nella prossimità a causa di un'alterità in me, questa passività della ricorrenza a sé che non è tuttavia l'alienazione d'una identità tradita­ che può essere d'altro se non la sostituzione di me agli altri ? Non aliena­ zione tuttavia-perché l'Altro nel Medesimo è la mia sostituzione all'al­ tro secondo la responsabilità, per la quale, insostituibile sono convocato . Attraverso l'altro e per l'altro, ma senza alienazione: ispirato. Ispirazio­ ne che è psichismo . Ma psichismo che può significare questa alterità nel medesimo senza alienazione, come incarnazione, come essere-nella-pro­ pria-pelle, come avere-l'altro-nella-propria-pelle. In questa sostituzione in cui l'identità s'inverte, in questa passività più passiva della passività congiunta dell'atto, al di là della passività 143

L'esposizione inerte del designato, il sé si assolve da sé. Libertà? Libertà diversa da quella dell'iniziativa. Attraverso la sostituzione agli altri, il se stesso sfugge alla relazione. All'estremo della passività, il se stesso sfugge alla passività o all'inevitabile limitazione che subiscono i termini nella rela­ zione : nella relazione incomparabile della responsabilità l'altro non li­ mita più il medesimo, esso è soppor tato da ciò che limita. È qui che si mostra la sovradeterminazione delle categorie antologiche che le trasfor­ ma in termini etici. In questa passività più passiva il sé si libera etica­ mente di ogni altro e di sé . La sua responsabilità per l'altro-la prossi­ mità del prossimo non significa sottomissione al non-io, ma un'apertura in cui l'essenza dell'essere si supera nell'ispirazione-è un'apertura di cui la respirazione è una modalità o il pregustare o, più esattamente, ciò di cui essa trattiene il sapore. Al di fuori di ogni mistica, in questa respi­ razione-possibilità di ogni sacrificio per altri-attività e passività si confondono. Contro la venerabile tradizione a cui si riferisce Hegel, per il quale l'io è un'uguaglianza con se stesso e, di conseguenza, il ritorno dell'essere a se stesso come universalità concreta, dell'essere che si è separato da sé nell'universalità del concetto e della morte-vista a partire dall'osses­ sione della passività di sé, anarchica, si mette in rilievo, dietro l'ugua­ glianza della coscienza, una diseguaglianza . Diseguaglianza che significa non un'inadeguatezza qualunque dell'essere apparente all'essere profon­ do o sublime, né una risalita verso una innocenza originaria (come la diseguaglianza dell'io a se stesso in Nabert, fedele, forse, alla tradizione in cui la non-coincidenza è solo privazione) , ma una diseguaglianza nel se-stesso per sostituzione, sfuggita-senza domani, ma di nuovo tentata dopodomani-fuori dal concetto, unicità, sotto la convocazione della responsabilità, attraverso questa convocazione che non trova riposo in sé; sé senza concetto, disuguale nell'identità, significandosi alla prima persona , cioè precisamente disegnante il piano del Dire, pro-ducendosi nel Dire me (mai) o io {je), cioè assolutamente differente da ogni altro io, èioè avente un senso malgrado la morte, aprente, contro l'antologia della morte, un ordine in cui la morte può non essere riconosciuta. Iden­ tità in diastasi, la coincidenza venendo a mancare a se stesso, Sé nella ricorrenza identificatrice in cui mi trovo rigettato al di qua del mio punto di partenza! Sé sfasato da sé, oblio di sé, oblio nella morsa su di sé, nel riferimento a sé attraverso il radersi del rimorso . Questi non sono avve­ nimenti che sopraggiungono ad un Io empirico-cioè già posto e piena­ mente identificato-come prova che lo condurrebbe ad