Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ” 8899847177, 9788899847173

L'opera testimonia la conservazione e la trasmissione pressoché millenaria delle conoscenze mediche e tecniche-farm

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Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”
 8899847177, 9788899847173

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8 L. Taborelli

L’opera testimonia la conservazione e la trasmissione pressoché millenaria delle conoscenze mediche e tecniche-farmacologiche. In essa possiamo riconoscere connessioni tra il mondo ellenistico e quello alto medievale, tra quello di tradizione greco-romana e quello di tradizione ebraica e islamica, tra quello transmediterraneo e quello delle regioni circostanti e più lontane. Si tratta di un patrimonio di informazioni conservato, fatto progredire e arricchito non solo grazie alla quotidiana applicazione e sperimentazione ma anche alla comunicazione scritta e al confronto dei risultati ottenuti. Un patrimonio di trattati e ricettari la cui ricchezza intravediamo in minima parte rispetto a quanto potenzialmente poteva venir consultato dal nostro Autore verso la fine del I millennio dell’era volgare. In esso si incontrano tracce del sapere tràdito da Teofrasto a Galeno, ivi compreso quello di Scribonio Largo. Grazie alla copiatura i loro trattati erano comunque salvaguardati per essere consultati nella lingua originale o nelle traduzioni promosse da illuminati personaggi che affermavano in modo munifico la loro potenza e la ricchezza delle loro corti e dei loro monasteri anche attraverso la cultura.

[Per la Bibliografia scientifica cfr. Academia.edu al nome dell’A.]

Euro 16,00

Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”

Luigi Taborelli ha concluso la sua attività universitaria nel 2008 come Coordinatore dei Laboratori Storici del DICAS - Politecnico di Torino. I suoi ambiti di ricerca sono la conseguenza delle esperienze maturate in Italia, Africa Settentrionale e Grecia nel corso di Missioni archeologiche promosse da: Università, Scuola Archeologica Italiana di Atene, UNESCO, CNR. Da tali esperienze nascono i suoi interessi per le produzioni, i commerci e i consumi dei manufatti (in vetro, ceramica e metallo) nonché dei prodotti medicamentosi e cosmetici. Nei suoi scritti su questi argomenti vengono approfonditi gli aspetti archeologici, storici, economici e sociali, anche mediante l’impiego di fonti antiche (Plinio, Scribonio Largo, Columella) e moderne (Montfaucon e Caylus). Negli anni più recenti ha focalizzato l’attenzione sul rapporto intercorrente tra il contenitore e la sostanza in esso contenuta nonché sul medicamento Lykion.

8

Luigi Taborelli

Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”

8 Collana di Studi Archeologici

1 G.M. De Rossi, Fossanova e San Tom-

maso, Sulle orme di San Tommaso d’Aquino a Fossanova: un percorso tra agiografia e topografia, 2013.

2 E. Mangani, Il Museo Nazionale Preistorico Etnografico di Luigi Pigorini, 2014.

3 R. Dolce, “Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico, 2014. 4 S. Formigli, A. Pacini, Dioscoride. I minerali. La sezione minerologica nel V libro della Materia Medica traduzione e commento, 2015. 5 S. Strano, La “Tazza Farnese” Nuova analisi egittologica-semiotica – The “Farnese Cup” A new egyptological-semiotic analysis, 2016. 6 G. Mandatori, Pomptina Palus. Un

profilo storico, topografico ed economico del territorio pontino in età romana (IV sec. a.C.VI sec. d.C.), 2016.

7 M. Cecchelli, Studio sulla Confessione

vaticana, 2017.

8 L. Taborelli, Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”, 2019.

L’opera testimonia la conservazione e la trasmissione pressoché millenaria delle conoscenze mediche e tecniche-farmacologiche. In essa possiamo riconoscere connessioni tra il mondo ellenistico e quello alto medievale, tra quello di tradizione greco-romana e quello di tradizione ebraica e islamica, tra quello transmediterraneo e quello delle regioni circostanti e più lontane. Si tratta di un patrimonio di informazioni conservato, fatto progredire e arricchito non solo grazie alla quotidiana applicazione e sperimentazione ma anche alla comunicazione scritta e al confronto dei risultati ottenuti. Un patrimonio di trattati e ricettari la cui ricchezza intravediamo in minima parte rispetto a quanto potenzialmente poteva venir consultato dal nostro Autore verso la fine del I millennio dell’era volgare. In esso si incontrano tracce del sapere tràdito da Teofrasto a Galeno, ivi compreso quello di Scribonio Largo. Grazie alla copiatura i loro trattati erano comunque salvaguardati per essere consultati nella lingua originale o nelle traduzioni promosse da illuminati personaggi che affermavano in modo munifico la loro potenza e la ricchezza delle loro corti e dei loro monasteri anche attraverso la cultura.

Euro 16,00

Luigi Taborelli ha concluso la sua attività universitaria nel 2008 come Coordinatore dei Laboratori Storici del DICAS - Politecnico di Torino. I suoi ambiti di ricerca sono la conseguenza delle esperienze maturate in Italia, Africa Settentrionale e Grecia nel corso di Missioni archeologiche promosse da: Università, Scuola Archeologica Italiana di Atene, UNESCO, CNR. Da tali esperienze nascono i suoi interessi per le produzioni, i commerci e i consumi dei manufatti (in vetro, ceramica e metallo) nonché dei prodotti medicamentosi e cosmetici. Nei suoi scritti su questi argomenti vengono approfonditi gli aspetti archeologici, storici, economici e sociali, anche mediante l’impiego di fonti antiche (Plinio, Scribonio Largo, Columella) e moderne (Montfaucon e Caylus). Negli anni più recenti ha focalizzato l’attenzione sul rapporto intercorrente tra il contenitore e la sostanza in esso contenuta nonché sul medicamento Lykion. [Per la Bibliografia scientifica cfr. Academia.edu al nome dell’A.]

8 L. Taborelli

L’opera testimonia la conservazione e la trasmissione pressoché millenaria delle conoscenze mediche e tecniche-farmacologiche. In essa possiamo riconoscere connessioni tra il mondo ellenistico e quello alto medievale, tra quello di tradizione greco-romana e quello di tradizione ebraica e islamica, tra quello transmediterraneo e quello delle regioni circostanti e più lontane. Si tratta di un patrimonio di informazioni conservato, fatto progredire e arricchito non solo grazie alla quotidiana applicazione e sperimentazione ma anche alla comunicazione scritta e al confronto dei risultati ottenuti. Un patrimonio di trattati e ricettari la cui ricchezza intravediamo in minima parte rispetto a quanto potenzialmente poteva venir consultato dal nostro Autore verso la fine del I millennio dell’era volgare. In esso si incontrano tracce del sapere tràdito da Teofrasto a Galeno, ivi compreso quello di Scribonio Largo. Grazie alla copiatura i loro trattati erano comunque salvaguardati per essere consultati nella lingua originale o nelle traduzioni promosse da illuminati personaggi che affermavano in modo munifico la loro potenza e la ricchezza delle loro corti e dei loro monasteri anche attraverso la cultura.

[Per la Bibliografia scientifica cfr. Academia.edu al nome dell’A.]

Euro 16,00

Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”

Luigi Taborelli ha concluso la sua attività universitaria nel 2008 come Coordinatore dei Laboratori Storici del DICAS - Politecnico di Torino. I suoi ambiti di ricerca sono la conseguenza delle esperienze maturate in Italia, Africa Settentrionale e Grecia nel corso di Missioni archeologiche promosse da: Università, Scuola Archeologica Italiana di Atene, UNESCO, CNR. Da tali esperienze nascono i suoi interessi per le produzioni, i commerci e i consumi dei manufatti (in vetro, ceramica e metallo) nonché dei prodotti medicamentosi e cosmetici. Nei suoi scritti su questi argomenti vengono approfonditi gli aspetti archeologici, storici, economici e sociali, anche mediante l’impiego di fonti antiche (Plinio, Scribonio Largo, Columella) e moderne (Montfaucon e Caylus). Negli anni più recenti ha focalizzato l’attenzione sul rapporto intercorrente tra il contenitore e la sostanza in esso contenuta nonché sul medicamento Lykion.

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Luigi Taborelli

Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”

8 Collana di Studi Archeologici

1 G.M. De Rossi, Fossanova e San Tom-

maso, Sulle orme di San Tommaso d’Aquino a Fossanova: un percorso tra agiografia e topografia, 2013.

2 E. Mangani, Il Museo Nazionale Preistorico Etnografico di Luigi Pigorini, 2014.

3 R. Dolce, “Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico, 2014. 4 S. Formigli, A. Pacini, Dioscoride. I minerali. La sezione minerologica nel V libro della Materia Medica traduzione e commento, 2015. 5 S. Strano, La “Tazza Farnese” Nuova analisi egittologica-semiotica – The “Farnese Cup” A new egyptological-semiotic analysis, 2016. 6 G. Mandatori, Pomptina Palus. Un

profilo storico, topografico ed economico del territorio pontino in età romana (IV sec. a.C.VI sec. d.C.), 2016.

7 M. Cecchelli, Studio sulla Confessione

vaticana, 2017.

8 L. Taborelli, Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”, 2019.

Collana di Studi Archeologici, 8

Collana di Studi Archeologici, 8

© PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Edizioni Espera

v.le Monte Falcone 44 00077 Monte Compatri (Rm)

[email protected]

www.edizioniespera.com Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, fotocopiata o diffusa con altri metodi senza le dovute autorizzazioni.

ISBN: 978-88-99847-17-3

In prima di copertina: Lastra tombale in pietra (particolare). Nell’angolo in basso a destra si noti l’iscrizione incisa Ὀριγ[α]νίων, da intendersi come soprannome del defunto, associata all’immagine dell’essenza vegetale. L’origano della regione di Smirne è menzionato come aromatizzante e componente nei medicamenti anche da Dioscoride e Scribonio. In forma di olio essenziale per impieghi farmaceutici è stato esportato in Germania e Austria sino alla fine del XIX secolo. Smirne; età Romana primo-imperiale; si veda: Robert 1977, part. pp. 52-54. In quarta di copertina: Particolare del capitello angolare litico con la rappresentazione di un personaggio assiso nella sua officina. Antica Ragusa (Dubrovnik), Palazzo dei Priori (vedi fig. 5).

Luigi Taborelli

Šabbeṯay bar Avraham, un medico-farmacopòla e il suo trattato “Sefer ha-mirqaḥôṯ”

Indice



9 |



11 |

Introduzione

13 |

Il testo e il Commento



55 |

Dentro il trattato e attorno ad esso

61 |

Conclusioni



63 |

Bibliografia



69 |

Riassunto



71 |

Abstract



73 |

Indice Integrato



Prefazione

A Zoe Porphyrogenita, Imperatrice di Bisanzio (978 - 1050): “Questo solo era l’oggetto di ogni sua cura e sforzo: trasformare la natura degli aromi e fare profumi, creare fragranze nuove e particolari o variamente lavorare le esistenti, tanto che la sua privata camera da letto non si presentava affatto più decorosa delle botteghe di mercato ove svolgono il loro mestiere i fabbri fucinatori. Disseminati tutt’intorno per la stanza ardevano vari bracieri e tutte le ancelle s’affaccendavano, quale a dosare le resine, quale a mescolarle, altre a qualche diversa incombenza”. [Le affinità tra il genere degli aromata e quello dei medicamenta giustifica la citazione - da Michele Psello, Imperatori di Bisanzio (Cronografia) I - e, dunque, la dedica]

Prefazione

La visita compiuta a Ferrara nella primavera di quest’anno alla Mostra inaugurale del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS, Ferrara 14/12/17 – 16/9/18) e la lettura del suo Catalogo, dal titolo “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni” (a cura di A. Foa – G. Lacerenza – D. Jalla, Electa, Milano – Verona 2017), mi hanno offerto una ricaduta culturale immediata e coinvolgente facendomi scoprire un personaggio e una sua opera meritevoli di particolare attenzione. Si tratta di Šabbeṯay bar Avraham, medico, ma anche astronomo e non solo, autore, tra altri scritti, del “Libro degli elettuari” (Sefer ha-mirqaḥôṯ) di cui ci occupiamo in questo lavoro. Sono convinto che la nuova, autorevole, presenza del Museo MEIS, che negli intenti dei fondatori non vuole essere solo un luogo di esposizione di reperti e testimonianze ma anche e soprattutto un centro di elaborazione e promozione di cultura attraverso il confronto, sarà occasione per proficue riflessioni. Innanzitutto sulla necessità e la convenienza dell’approfondimento dei rapporti interculturali indispensabili per la migliore convivenza tra le diverse componenti della società e per il progresso della cultura che, in tutte le sue forme sempre degne di rispetto e di tutela, o è una o non è. L.T. Jesi 31/12/2018

Introduzione

All’inizio del breve trattato l’A. dichiara di chiamarsi “Šabbeṯay bar Avraham il medico detto Donnolo”1 e di essere originario di Oria. Inoltre ci informa di essersi votato allo studio della medicina2 dopo burrascose vicende e varie esperienze di lavoro3. Secondo Giancarlo Lacerenza “è fra i due termini del 946 e del 982 e.v. che (Šabbeṯay) elabora il suo più noto scritto medico-farmacologico, il Sefer ha-yaqar (Libro prezioso) o Sefer ha-mirqaḥôṯ (Libro degli elettuari o Libro delle misture), nella cui premessa egli avverte di aver studiato l’arte medica per quarant’anni, fornendo così una collocazione di tale scritto intorno al 970”4. Tale trattato è da ritenere, secondo Giuseppe M. Cùscito, “il più antico testo farmacologico ebraico, se non il più antico te*  Ringrazio Vera von Falkenhausen, Anna Maria Ieraci Bio e Giancarlo Lacerenza per aver letto questo lavoro e per avermi fornito suggerimenti e materiale bibliografico. 1  Così nell’Introduzione, in Cùscito 2014, p. 96; si veda inoltre Lacerenza 2004, pp. 47-48, il soprannome gli deriverebbe dall’essere “verosimilmente conosciuto soprattutto con il nomignolo di ‘signorello’, Δόμνουλος, probabile evidenza di uno status riconosciutogli da pazienti di rango”, p. 59; ancora sul nomignolo, Putzu 2004, pp. 108-109 e nota 8. 2  “Mi affannai molto per apprendere e per comprendere la scienza della medicina”, così L’A. in Lacerenza 2004, p. 50. 3  Di particolare interesse i riferimenti a concrete conoscenze empirico-sperimentali, quali le reazioni chimico-fisiche di alcuni materiali, e ad altre tratte dall’osservazione di speciali tecnologie fra cui quella del vetro: Lacerenza 2004, p. 50, nota 24 e p. 56. 4  Lacerenza 2004, p. 46, nota 2; Cùscito 2014, p. 93, propone il terminus post quem al 965. In particolare per il termine elettuario si veda Ferre 2004, p. 4, nota 4 e Cùscito 2014, p. 95.

sto medico scritto in questa lingua dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente”5. Traggo dal lavoro di Lacerenza, che ha avuto il merito di mettere a fuoco la figura di Šabbeṯay, una serie di acute notazioni. Tra queste, che l’A. “è spesso citato come il primo autore occidentale di testi medici scritti in lingua ebraica. (Che) l’interesse (per il suo lavoro) risiede anche nel fatto che nella descrizione delle varie preparazioni, fra molti termini presi in prestito dal greco e dal latino, sono impiegate varie glosse volgari. (Che) senza mostrare alcun interesse, qui e altrove, per la cultura araba6, (l’A.) resta ancorato alla tradizione occidentale (dimostrando) molta sapienza teorica e conoscenza libresca, quindi; ma anche molta conoscenza sperimentale (quella propria dell’) indagatore instancabile (…) attento e curioso osservatore, (da cui deriverebbero) le esemplificazioni, come da maestro ad allievo, sulle cause di reazioni chimico-fisiche di elementi, sostanze e materiali, o su tecnologie poco note o poco diffuse, come quella del vetro. (…) Desideroso di apprendere del mondo il più possibile e, senza fermarsi alla superficie, di conoscerne le cause, le logiche e i meccanismi, (conclude Lacerenza, l’A.) è stato dunque quasi uno ‘scienziato’ nel senso moderno del termine”7.

5  Cùscito 2014, p. 93, con i riferimenti bibliografici. 6  Per Putzu 2004, p. 109, “nel periodo di massimo sviluppo della medicina araba, il trattato di Donnolo testimonia la sopravvivenza nell’Italia meridionale, di una tradizione medica greca non ancora influenzata da quella araba”. 7  Lacerenza 2017, pp. 141-143.

Il Testo e il Commento

Non conoscendo la lingua ebraica in cui il testo originale venne redatto, ne utilizzo la traduzione italiana fornita da Cùscito; dipendo dal lavoro di questo Studioso anche per i manoscritti da cui il testo ci è noto, le edizioni critiche, il contesto culturale, l’identificazione delle diverse piante medicinali, le scelte operate nel tradurre e suddividere in paragrafi nonché per le precisazioni di carattere terminologico8.

8  Cùscito 2014, part. pp. 93-96.

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Luigi Taborelli

[Introduzione] Questo è il libro prezioso. Questo è il libro degli elettuari, bevande, polveri, impiastri, unguenti, incensi, cataplasmi9 curativi, preparati da Šabbeṯay bar Avraham il medico, detto Donnolo, diffuso dalla città di Oria per insegnare ai medici di Israele e per far loro conoscere come preparare le erbe secondo la sapienza dei medici ebrei e bizantini che, con l’opera delle proprie mani, provò [grazie alla] sapienza medica [maturata] in quarant’anni di profondo studio e ricerca medica, secondo la parola di Dio. Commento Il testo inizia con l’elenco dei generi e dei prodotti che costituiscono l’argomento del trattato cui segue la rivendicazione dello status di medico da parte dell’A. Un medico che con le sue mani ha confezionato gli elettuari più diversi giovandosi della sapienza professionale maturata in quarant’anni di profondo studio e ricerca10. Lo scopo dichiarato è quello di far conoscere ai medici come “preparare le erbe”, cioè come manipolare le essenze vegetali di base e gli altri ingredienti trasformandoli con opportune raffinazioni e miscelazioni da materie prime grezze in prodotti medicamentosi. Si tratta di una sorta di prologo11 cui fa seguito il riferimento al contesto culturale tradizionale: “secondo la sapienza dei medici ebrei e bizantini” e “secondo la parola di Dio”.

9  Si veda: Cùscito 2014, p. 96, nota 9: “Nel testo (…), forse dal greco πλάσσω (plasmo) o da interpretare (…) come ‘seplasia’ ”; Ferre 2004, p. 12, nota 1. 10  Nel prosieguo del lavoro mi limiterò a citare, in abbreviato e a titolo di esempio, solo alcune delle innumerevoli occorrenze presenti nelle fonti tecniche specialistiche ed enciclopediche che, con ogni probabilità, l’A. del trattato consultò in varia forma, più probabilmente in modo indiretto, senza però ritenere di menzionare gli autori e le opere da cui aveva attinto (infra). 11  Per il ‘prologo’ nelle opere mediche bizantine come “sorta di soglia dove l’autore dichiara i propri intendimenti” si veda Ieraci Bio 2001, p. 114.

Il Testo e il Commento

[1] È opportuno che i medici esperti e capaci conoscano in primo luogo le spezie, le resine degli alberi, gli olii e le piante medicinali per conoscerle in verità secondo lo studio dei saggi e nell’insegnamento dei libri e degli antichi, nonché che comprendano e sappiano se le spezie, le resine, gli olii e le piante siano puri e senza adulterazione né aggiunte di qualcosa [d’altro], poiché i venditori frodano e ingannano. In secondo luogo, [è opportuno] che conosca le spezie, le resine, le polveri pestate nel mortaio e passate al setaccio e che conosca le resine sciolte nel fuoco, sia da sole, sia col miele o con olio. Allora [potrà] cominciare a produrre gli effluvi desiderati. L’esperto dovrebbe inoltre saper scegliere il miele giusto da aggiungere nelle bevande affinché esso sia fresco e molto dolce, denso ed oleoso, il suo profumo sia buono ed il suo aspetto rosso, o nero, o verde, puro e pulito. Commento Il paragrafo attira l’attenzione sulla formazione e le competenze professionali. In primo luogo “è opportuno che i medici esperti e capaci conoscano” le sostanze di base (spezie, resine, oli, piante medicinali), “nonché che comprendano e sappiano” se tali sostanze siano “pure e senza adulterazione, poiché i venditori frodano e ingannano”12 (Figg. 1-2). Si tratta di conoscenze da acquisire “in verità secondo lo studio dei saggi e nell’insegnamento dei libri

12  Sul tema già Scribonio Largo, Compositiones 22, e non per caso Galeno sarà disposto a viaggiare tra le isole del Mediterraneo, Taborelli 1985, pp. 202-203, o a incontrare carovane provenienti dall’India, Jackson 1996, p. 2238, per procurarsi davvero cospicue quantità di sostanze da trasformare con le proprie mani in farmaci (rispettivamente Lemnia e Lycium). Su Plinio, la medicina, la farmacologia e la botanica nella Naturalis historia, Taborelli 1991, part. pp. 547-554, e note 81, 83, 102 (sulle fonti specialistiche dell’enciclopedista). Illuminante, per più di una ragione, il passo pliniano: “Atque haec omnia (sostanze per medicamenti) medici (…) ignorant, pars maior et nomina; in tantum a conficiendis medicaminibus iis absunt, quod esse proprium medicinae solebat. Nunc quotiens incidere in libellos, componere ex his uolentes aliqua, hoc est inpendio miserorum experiri commentaria, credunt Seplasiae omnia fraudibus corrumpenti. Iam quidem facta emplastra et collyria mercantur, tabesque mercium aut fraus Seplasiae sic exteritur” 34, 108.

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Luigi Taborelli

e degli antichi”13. In secondo luogo, è opportuna la conoscenza delle sostanze in corso di lavorazione: le polveri pestate nel mortaio e passate al setaccio; le resine sciolte sul fuoco (da sole, col miele o con olio). “Allora (il medico esperto e capace) potrà cominciare a produrre gli effluvi desiderati”. Le considerazioni sul miele che chiudono il paragrafo [1] sono di introduzione all’argomento sviluppato nel paragrafo [2]. L’intero trattato esalta il ruolo del miele (infra); intanto viene anticipato che l’esperto (medico) dovrebbe saper scegliere quello giusto da aggiungere alle bevande, non solo secondo criteri organolettici tutto sommato generici ma, forse, anche più stringenti come potrebbe essere quello cromatico: “il suo aspetto sia rosso, o nero, o verde”14.

13  Si veda supra, nota 10 e infra. 14  Su cui non siamo altrimenti informati. Sul colore come possibile criterio distintivo della qualità nella Naturalis historia pliniana, Taborelli 1994, pp. 121-123.

Il Testo e il Commento

[2] È opportuno informarsi riguardo al luogo di provenienza del miele ed in quale pascolo erboso le api abbiano per lo più estratto e raccolto, poiché vi sono luoghi in cui crescono o piante velenose o elleboro che provocano vomito e diarrea 15. Commento Dopo il primario riferimento al legame con il contesto locale (nell’Introduzione il libro è “diffuso dalla città di Oria”), qui l’opportunità di “informarsi” a proposito del luogo di provenienza e della qualità del pascolo delle api (definito “erboso”) appare sensata solo se riferita a un rapporto diretto tra medico acquirente e apicoltore produttore.

15  Si veda Cùscito 2014, p. 97, che a nota 13 osserva: “Nel testo, lett. ‘erbe di follia’ ”; ivi per le specie botaniche, i generi e i riferimenti alle fonti. Ricordo la descrizione della sintomatologia da ingestione di miele “velenoso” in Senofonte, Anabasi 4, 20-21; sul “mel uenenatum” Plinio 21, 74-78 e in part. 77 sul miele “maenomenon” provocatore di follia: André 1969, pp. 124-125.

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[3] In ogni luogo in cui cresca un arbusto chiamato per lo più in greco kumkum e nella lingua straniera16 ṣylbṭrw o (uno) chiamato in greco kissos e in latino hedera, le api estraggono un miele cattivo, poiché ha un odore e un sapore cattivi. Inoltre, tutte queste: la ginestra, che in latino è genista; la pianta spinosa chiamata in greco sapalton; l’erba chiamata nella lingua greca tymalos, che è il totomelius e l’erba ferula, grande e piccola, chiamata ferula, che nella lingua greca è narteki; l’erba asfodelo, detta in latino albuzzo e chiamata inoltre in greco kiunilusu; l’albero chiamato skusun, che in greco è akaitis; l’erba chiamata anch’essa in greco akaitis, che si chiama ‘ir langaron e in latino ebulus; la pianta cocomero asinino, chiamata in latino cocomerina. Se da esse le api raccolgono gran parte del miele, esso è molto cattivo, poiché provoca vomito e diarrea. Commento Allo scopo di evidenziare quello che si potrebbe interpretare come uno sfoggio di conoscenza ma che potrebbe riflettere anche il desiderio di riconnettere una nomenclatura botanica soggetta con il passare del tempo a lacune o incertezze, a titolo di esempio sottraiamo al testo originale i nomi delle essenze vegetali (menzionati qui e in [4] come altrove): “In ogni luogo in cui cresca un arbusto chiamato per lo più in greco (…) e nella lingua straniera (…) o (uno) chiamato in greco (…) e in latino (…), le api estraggono un miele cattivo, poiché ha un odore e un sapore cattivi. Inoltre, tutte queste: (…), che in latino è (…); la pianta spinosa chiamata in greco (…); l’erba chiamata nella lingua greca (…), che è il (…) e l’erba (…), grande e piccola, chiamata (…), che nella lingua greca è (…); l’erba (…), detta in latino (…) e chiamata inoltre in greco (…); l’albero chiamato (…), che in greco è (…); l’erba chiamata anch’essa in greco (…), che si chiama (…) e in latino (…); la pianta (…), chiamata in latino (…). 16  Sul termine “lingua straniera” si veda: Cùscito 2014, p. 97, nota 14; diversamente Ferre 2004, pp. 3 e 12 adotta il termine “Romance” (possibile riferimento a “volgare”?).

Il Testo e il Commento

L’apprezzamento dell’A. per l’impiego del nome preciso si riscontra anche in altre occasioni, ad esempio dalla specificazione in [9] dove a “zedoaria” segue “e c’è chi dice ‘zedoara’ ”. Prosegue la messa in guardia a proposito dell’origine del miele che, come potremo constatare (infra), è considerato ben più che un semplice eccipiente dei principi attivi contenuti nelle essenze vegetali utilizzate nella ricetta.

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[4] [Se le api raccolgono da] ogni luogo in cui crescano per lo più: la pianta detta in ebraico “mentuccia”, in greco kalamina e in latino nepeta; l’erba detta “menta poleggio”, cioè polegion; l’erba origano, cioè kolina; l’erba ruta, cioè ruta; ogni genere di erba di issopo, cioè ispinon, nonché rosmarino e salvia; [allora] il miele è buono e scelto nelle bevande medicinali, poiché è dolce come quello del luogo chiamato Atene e detto Atis. Riguardo a ciò, il sapiente Ippocrate prescrive di porre in ogni bevanda del miele dell’attica Bydyon. Simile ad esso è il miele prodotto nelle città di Otranto e di Oria e nella terra di Calabria, nel luogo chiamato Martis, vicino la città di Rossano. Commento Che il miele dell’Attica fosse quello più apprezzato nell’antichità era informazione ben nota17 (Fig. 3). Quanto all’apprezzamento per i prodotti sperimentati, torna il riferimento al contesto locale (supra, [2]) o regionale forse basato su un rapporto diretto e non occasionale.

17  Scribonio cita il miele dell’Attica in 17 diverse ricette e nella Comp. 25 specifica che: “fa bene di per sè solo (…), conservato in un vasetto di rame ed entro il periodo di due mesi, non meno, riposto; infatti quanto più a lungo vi rimane, tanto più efficace diventa”; si noti che l’impiego del miele in generale ricorre in almeno un quarto delle sue 271 ricette. Plinio magnifica il miele dell’Attica, ad es. 21, 57; per l’enciclopedista il miele è il più grande dono fatto dalla natura all’uomo, tanto da farne raccomandare l’uso in medicina e nei medicamenta in innumerevoli occasioni.

Il Testo e il Commento

[5] Quando il medico vorrà preparare una bevanda contenente miele, pesti le spezie e le setacci in un recipiente con foratura finissima. In seguito, faccia bollire il miele in un recipiente di terracotta o in un recipiente chiamato “laveggio”18 , sui carboni accesi e non sulla fiamma, e mescoli il miele per tutto il tempo senza sosta, finché il miele non traboccherà per il calore della bollitura. Se ne vede salire in alto la schiuma, tolga il recipiente dai carboni, lo lasci riposare finché la schiuma si sarà lentamente ridotta e poi, quando avrà smesso di ribollire, tolga col mestolo tutta la schiuma finché nel recipiente non resterà [che] il miele pulito e puro. Allora ponga di nuovo il miele nel recipiente a bollire lentamente sui tizzoni, finché non affiori e se ne addensi lentamente gran parte [separandosi] dalla sua parte liquida, affinché il miele denso e solidificato duri per lunghi giorni e anni, preservando l’elettuario da un rapido decadimento. Se il miele sarà umido e non ben cotto, gli elettuari si rovineranno velocemente e non dureranno molti giorni. Dopo che il miele sarà bollito, lo cuocia seguendo la legge religiosa, e quindi aggiunga tutte le spezie setacciate e macinate nel mortaio. Commento Quando il trattato comincia a inoltrarsi nella parte più strettamente tecnico-pratica, quella del “saper fare”, del “manipolare”, il complesso di avvertenze e astuzie professionali che caratterizza tutta l’opera diviene martellante. La ricorrenza di verbi e azioni che promuovono, sostengono e accompagnano le iniziative è stringente. Questo ci consente di osservare che, se la parte prescrittiva risulta ridotta all’indispensabile, quando non addirittura carente per l’attività di un medico dell’antichità, quella tecnico-pratica, largamente preminente rispetto alla prima, pare più consona all’attività di un farmacopòla, sarebbe a dire a quella di un preparatore di me18  Cùscito 2014, p. 99 e nota 32; Ferre 2004, pp. 13-14 e nota 11. Su i recipienti in pietra ollare, detta anche lavizzara, impiegata per produrre “laveggi” o “lavezzi” (soprattutto pentole e tegami dotati di particolari caratteristiche nella conduzione e conservazione del calore) si veda Lavagna 2005, part. pp. 433-434 e 451.

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dicamenta, prima che mercante degli stessi, almeno per come la conosciamo dalle fonti. Si tratta di una figura professionale non valutata allo stesso livello rispetto a quella del medico, sovente vittima a ragione o a torto di prevenzione e sospetto, comunque professionalmente, in apparenza, separata19 (Fig. 4). Al contrario, nel trattato in esame che è così decisamente permeato di antichità, riscontriamo la sostanziale coincidenza delle due attività (cfr. infra) e la testimonianza che, nonostante il passare di non pochi secoli, le lezioni di Scribonio, Plinio e Galeno, ad esempio, erano tenute in alta considerazione20. Come si moltiplicano le prescrizioni e le manovre per eseguire le ricette nel modo migliore, così si moltiplicano le indicazioni sull’instrumentum officinale: qui, vasellame e utensili con caratteristiche e impieghi precisi, nei prossimi paragrafi, contenitori per la conservazione e il commercio dei medicamenti21. Di grande interesse l’antica eco (ancora Scribonio, Plinio e Galeno) che risuona a proposito della preservazione dell’elettuario nel tempo, e dunque della conservazione della sua efficacia prolungata per anni22, talvolta anche grazie anche alla perseguita disidratazione del miele.

19  Taborelli 2018, pp. 169-170, nota 1. 20  Autori che insistono sulla necessità di cautele nella raccolta, l’acquisto, la confezione, la creazione di scorte di dosi di materie prime e prodotti, affinché sia assicurata la qualità dei medicamenti e l’autonomia del medico nei confronti di un mercato speculativo di cui diffidare (supra). Sul ruolo di Galeno nella trasmissione del sapere medico, Taborelli 2018, p. 175, nota 26. In part. sulla convenienza – non convenienza del medico a compiere anche il lavoro del farmacopòla oppure a rivolgersi direttamente al mercato dei medicamenti già confezionati, Jackson 1996, p. 2239. 21  Cfr. infra, inoltre Taborelli 1996, pp. 148-156. 22  La cura per la conservazione del prodotto e il ricorso alla sua maturazione, o stagionatura, volta sovente ad aumentarne l’efficacia, ricorre in tutte le fonti specialistiche, ad es.: Teofrasto, Hist. Plant. 9, 14, 1 ss.; Plinio, ad es. in 20, 5; 26, 61; 27, 43; 29, 55; 31, 68. Si veda inoltre: Taborelli 1982, part. nota 45; Taborelli 2018, p. 173 e nota 21, p. 186, e nota 74.

Il Testo e il Commento

[6] Se si tratta di un elettuario di quelli in cui vada aggiunto dell’olio di balsamo, aggiunga l’olio prima sulle spezie [sopra de] scritte nel mortaio e l’olio, secondo il suo peso, [quindi] lo versi e lo cuocia bene, [mescolando] con un mestolo di rame o di legno. Così, similmente, per un impiastro di quelli in cui vada aggiunto o del galbano umido e fresco, o terebinto triturato e mescolato lentamente in un po’ di miele, o del tragacanto sciolto, schiacciato o spremuto, o il succo di una qualsiasi pianta od ogni cosa fusa, sciolta o liquida; versi prima il liquido sulle spezie nel mortaio, mescoli bene con le spezie e quindi versi su di esse il miele molto caldo, bollente, piano piano, finché non si crei un impasto nel mezzo, non molto liquido, né troppo duro; mescoli e pesti bene la bevanda con il miele nel mortaio con un cucchiaio finché questo preparato non raffreddi lentamente il miele; allora il medico ponga il preparato in un recipiente pulito [con] vino buono maturo e profumato o vino nuovo o [altro] alcolico [a base] di uva. Commento Qui l’A. mostra in quale modo e in quale misura egli padroneggi tutti gli aspetti della sequenza produttiva dei diversi generi di medicamenta. Nel caso si tratti di aggiungere olio in un elettuario, suggerisce di attenersi al parametro del peso e, durante la cottura, di utilizzare un mestolo di rame o di legno. Analogamente quando si tratti di aggiungere una sostanza a un impiastro, e in questo caso si potrebbe ipotizzare che vengano indicate prima le addizioni destinate a caratterizzare maggiormente il prodotto finale, quali galbano, terebinto, tragacanto (opportunamente manipolate) poi, genericamente, il “succo di una qualsiasi pianta od ogni cosa fusa, sciolta o liquida”. Nello scandire i passaggi della sequenza l’A. fornisce dettagli tecnici in modo incalzante, come può fare solo chi abbia piena confidenza con il procedimento per averlo lungamente praticato e sperimentato. Pare superfluo sottolineare gli innumerevoli richiami alle fonti che abbiamo menzionato23, ma non solo a quel23  Persino la raccomandazione “(il medico) ponga il preparato in un re-

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le - si pensi a Celso e Dioscoride, che nell’A. sono nascoste dietro il riferimento allo “studio dei saggi e nell’insegnamento dei libri e degli antichi” (supra, [1]).

cipiente pulito” risuona dalle fonti tecniche dell’antichità. Oltretutto l’insistenza dell’A. e delle fonti nel raccomandare la pulizia del contenitore (anche in [17] il recipiente sarà “pulito”, e in [7] “puro”; ma, ad es., in Plinio 20, 61 e Dioscoride 77, 2, addirittura “nuovo”), fa sorgere il sospetto che non tutti gli operatori adottassero l’opportuna cautela.

Il Testo e il Commento

[7] Se l’elettuario sarà di quelli che conservano e ripristinano il movimento delle interiora (nel ventre), il medico aggiunga una bevanda inebriante di frutti di gelso chiamata suchara oppure liquore di mirtillo selvatico o acqua di rose e, tenendo il pestello in una mano, lo immerga nel vino o in uno dei liquori o nell’acqua di rose, pestando l’elettuario con tutta la sua forza dentro il mortaio ed immerga il pestello in uno dei liquidi descritti sopra, pestando così con tutta la sua forza l’elettuario dentro il mortaio. Immerga il pestello molte volte e pesti gli elettuari fino a schiacciare, triturare, mescolare e amalgamare molto bene. Allora ponga l’elettuario in un recipiente puro di vetro o di piombo o di legno smaltati di vernice, cioè swdrwm, e con grasso; poiché, se si pone l’elettuario in un recipiente in legno o un recipiente di creta che non sia smaltato, saranno assorbite e risucchiate la vitalità e l’efficacia dell’elettuario, che si deteriorerà rapidamente [perdendo] l’utilità e la capacità di conservarsi a lungo. Ogni volta che farà un elettuario da conservare, lo faccia invecchiare al coperto e la vitalità e l’efficacia si accresceranno molto di più rispetto a un elettuario nuovo. In questo modo, Šabbeṯay ha già provato a conservare gli elettuari fino a trent’anni e la loro grande forza ed efficacia si sono accresciute, nella parola di Dio. Commento Anche nel caso di un’applicazione specialistica24, dopo aver suggerito una gamma di gradevoli additivi più o meno facilmente reperibili (acqua di rose; liquore di mirtillo selvatico; succo di frutti di gelso25), l’A. prosegue con minuziose specifiche procedurali. Più in generale, la sua acribia e l’insistenza su determinate manovre26 potreb24  Si osserva che l’A. non indica i componenti dell’elettuario né le loro dosi, informazioni che c’è da chiedersi se non fossero riportate nell’Antidotario, cfr. infra. Data la specificazione iniziale “Se l’elettuario sarà di quelli che …”, forse l’A. si aspettava che il medico sapesse di che tipo di elettuario si trattasse (forse confezionato in precedenza) e qui si limitasse a suggerire additivi e ulteriori reiterate manipolazioni. 25  Si noti che l’A. cita il nome (suchara) forse utilizzato per indicare il prodotto nella regione, un dato che potremmo interpretare come indicazione volta a suggerire il consumo di prodotti locali più genuini e controllabili. 26  Sulle cotture ripetute e prolungate delle diverse componenti nel miele

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bero riflettere la consapevole necessità di catturare tutti i principi attivi delle diverse essenze per farli assorbire al prodotto nella corretta sequenza, con la conseguenza di armonizzarli in modo sinergico e, per quanto possibile, stabilizzarli27. La prescrizione che segue e la sua spiegazione sono di particolare interesse per gli archeologi: “Allora (il medico) ponga l’elettuario in un recipiente puro di vetro o di piombo o di legno smaltati di vernice, cioè swdrwm28, e con grasso; poiché, se si pone l’elettuario in un recipiente in legno o un recipiente di creta che non sia smaltato (dunque il precedente riferimento ai contenitori in vetro e in piombo viene a cadere), saranno assorbite e risucchiate la vitalità e l’efficacia dell’elettuario, che si deteriorerà rapidamente [perdendo] l’utilità e la capacità di conservarsi a lungo”. Notato che questa parte del paragrafo sembra allargare l’orizzonte di riferimento e passare dallo specifico preparato alla gamma degli elettuari in tutta la sua ampiezza, osserviamo che l’A. sta parlando di medicamenti da conservare, dunque da proteggere anche in previsione di una loro diffusione commerciale. Si tratta di medicamenti confezionati collocati in un contenitore, non di quelli freschi, sfusi e subito o presto assunti o consumati, e neppure di quelli disidratati più durevoli. L’allusione a questa “vernice” (da applicare con ogni probabilità sulla parete interna del contenitore) costituisce un apporto originale, comunque tutto da valutare dato che mi pare trovi solo limitati riscontri nelle fonti più antiche29. si veda supra, [5]. 27  Si veda, infra, [17] dove il pesto di erbe aromatiche fresche sarà lasciato sul fuoco “fino a che non sarà infusa nell’acqua ogni virtù delle erbe”. 28  Cfr. Cùscito 2014, p. 100, nota 35: “Che S. Muntner, R. Shabtai Donnolo (913-985), First Section: Medical Works, Jerusalem 1949, p. 62, interpreta come βερονίκη (cf. il lat. vernix), che indica l’ambra gialla. Probabilmente il procedimento prevedeva la copertura della superficie interna del recipiente con una resina che, una volta solidificata in ambra, formava uno smalto impermeabile. Il grasso, menzionato subito dopo, forse era usato come strato intermedio. Il termine swdrwm, probabilmente di origine latina, non è stato identificato”, ma si veda Ferre 2004, p. 14 e nota 14. 29  Il problema della permeabilità degli unguentari ceramici, ma ricordo che in Plinio 31, 68 e Dioscoride 5, 12, il vaso contenitore è impeciato, ha

Il Testo e il Commento

Quanto al “grasso” è possibile che fosse spalmato in strato sottile solo sulla superficie del prodotto, poco sotto il bordo e la capsula di chiusura, allo scopo di contrastare o almeno rallentare l’ossigenazione e dunque il deperimento del prodotto stesso30. Non meno interessante del problema riguardante i tempi di conservazione dei medicamenta (supra, [5]) è quello del loro invecchiamento con conseguente accrescimento della loro efficacia31. E proprio la chiusa del paragrafo viene a dimostrare il prioritario interesse dell’A., come del resto di tutti i produttori di medicamenta, sia per la conservazione sia per la maturazione del prodotto. La sperimentazione della conservazione e dell’accrescimento dell’efficacia per un periodo di durata straordinario sembra giustificare, se ben intendiamo, l’evocazione della “parola di Dio”. Già nell’Introduzione, per asseverare una sua affermazione connessa a un periodo protrattosi in misura straordinaria (“quarant’anni di profondo studio e ricerca medica”, supra), l’A. aveva menzionato la “parola di Dio”. Tornerà nel caso di una circostanza affine a quella in questione a evocare l’aiuto supremo: “affinché sia aumentata la forza dell’unguento e la sua efficacia con l’aiuto di Dio” [18]. Veniamo così a disporre di una notevole testimonianza che giunge a confermare l’interesse dell’A. per la sperimentazione e a suggerire il ruolo che lo stesso potrebbe aver avuto in essa32.

incoraggiato elucubrazioni non sempre condivisibili riferibili già a più di un millennio prima della fonte in esame, da ultimo Taborelli 2018, pp. 177179. Per il ricorso a contenitori per medicamenta realizzati in piombo si veda Taborelli, da ultimo 2018, p. 179 e nota 42; per quelli in legno, questa sembra la testimonianza della continuità di un’antica tradizione, ad es. Scribonio, Comp. 16 e 74. 30  Taborelli 2018, pp. 178-179 e nota 41. 31  Si veda supra, nota 22. 32  Cfr. Lacerenza 2017, cit. supra, nota 7.

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[8] Ogni medico che desideri ricercare un elettuario di unzione [fatto] da resine come aloe, mastice, bdellio, mirra, ammoniaco, ferula persica, opoponace addensato e secco, spina santa33 , galbano secco e addensato, oppio, storace e altre resine come queste, se il succo non sarà umido e molto tenero34 , ponga tutto insieme con le spezie e le erbe e i semi nel mortaio e lì li schiacci insieme, dolcemente, affinché non le faccia riscaldare tutte con l’azione del pestello e non si impàstino; non si affretti nel setacciare, ma faccia in modo di schiacciare le spezie e le linfe insieme, affinché le renda come una polvere fine; allora le passi nel setaccio piano piano, continuando così finché tutto sia completamente mescolato e setacciato. Commento Come si può constatare già dal titolo del trattato in esame, nell’ambito dell’esercizio della medicina l’attività di confezione dei medicamenta da parte del medico stesso, che in tal modo (secondo il consiglio di Galeno) si rendeva indipendente da un mercato poco affidabile, era considerata fondamentale. Soprattutto in questa parte del trattato ci si occupa sempre di più dell’attività di confezione dei medicamenta. Così, a seconda dei desiderata del medico (esplicitati altrove?), si danno indicazioni sulla confezione degli elettuari di unzione a 33  Spina santa è il nome dell’essenza vegetale utilizzato da Cùscito 2014, per tradurre il termine ebraico (così spina santa in: [8], p. 101, nota 40; [12], p. 102, nota 47; [16] e [18]). Al posto del termine utilizzato dal traduttore avrei preferito conservare all’essenza il nome Λύκιον (da essa si ricavava il medicamento omonimo tanto apprezzato nell’antichità, non da ultimo da Galeno, supra, nota 12 e Jackson 1996, p. 2238) come fa Ferre 2004 (così lycium, in: [8], p. 15, nota 15; [12-13], [16]). Noto: in Cùscito, p. 103, [13], dopo ‘resina di colofonia’ segue “e tutte quelle …” (manca ‘spina santa’), cfr. Ferre, p. 16, [13], dove a ‘colophony’ segue ‘lycium’; diversamente in Ferre, p. 18, [18], dopo ‘nard’ segue ‘saffron’ (manca ‘lycium’), cfr. Cùscito, p. 105, [18], dove a ‘nardo’ segue ‘spina santa’ (ma non vi è menzione di zafferano). 34  Qui il termine “succo”, così come in [6] il termine “bevanda”, non pare congruente rispetto alla descrizione. Per il caso in questione si veda Ferre 2004, p. 15, con l’impiego del termine “plant material”. Per il caso in [6] ancora Ferre 2004, p. 14, con l’impiego del termine “beverage” ma in occasioni diverse.

Il Testo e il Commento

base di resine (come in [9] si daranno indicazioni sugli elettuari composti da “radici spesse ed erbe spesse”). In coerenza con i precedenti paragrafi anche questo prende il via con un’avvertenza e prosegue con la guida alle specifiche procedurali che accompagnano il confezionatore sino alla sua conclusione.

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[9] In caso di elettuari composti da radici spesse ed erbe spesse come cannella, zenzero, zedoaria – e c’è chi dice “zedoara” – secca, costo e rabarbaro, amolo, aristolochia e altre simili, il medico ponga innanzitutto nel mortaio le spezie dure da sole, senza le resine, e le frantumi quasi fino a che non siano triturate come le spezie. Allora mischi e mescoli tutto con le resine e pesti [tutto] insieme, come è scritto più sopra. Commento L’accento è posto sulla consistenza (spessore) delle materie prime, comportante difficoltà di manipolazione risolvibili replicando le procedure adottate in precedenza.

Il Testo e il Commento

[10] Se il medico volesse aggiungere alla bevanda del tragacanto, lo immerga innanzitutto tre giorni in acqua calda e miele finché si amalgamino bene e allora li ponga insieme nel mortaio e li pesti e li macini (nel mortaio) fino a che si siano impastati bene e si formi come una pasta schiacciata; allora li ponga sulle spezie triturate e setacciate e li mescoli con esse, dopodiché li impasti col miele bollito. Commento In questo caso si tratta di addizionare con il tragacanto, una gomma consistente35, la miscela di sostanze predisposta per ottenere una bevanda medicamentosa. Il procedimento consigliato, che richiede un periodo di tre giorni di macerazione preliminare della gomma, sembra ancora una volta il frutto dell’esperienza derivante da innumerevoli repliche dell’applicazione del procedimento stesso.

35  Sempre che in mancanza dell’essudato non si ricorresse alla macerazione di parti prescelte dell’essenza vegetale. Per cosa si intenda con i termini “resina”, “gomma” e in cosa consista l’eccezione del tragacanto si veda Cùscito 2014, pp. 95-96.

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[11] In caso le resine scritte più sopra, o altre simili a esse, siano umide e morbide, e il medico non possa schiacciarle insieme al resto delle spezie: se si tratta di storace o galbano o terebinto, il medico versi la resina in una padella piccola coperta di stagno, con olio di mandorle o con olio di sesamo od olio di oliva vecchio, di una quantità di pochi cucchiai, piccola rispetto alla resina [quanto basti] per amalgamare; ponga la padella sui carboni ardenti e la faccia cuocere finché si sciolga e traspiri e si mescoli con l’olio; pigi bene e la amalgami fino a renderla [densa] come un miele e poi aggiunga sulla resina del miele bollito da cui sia stata separata la schiuma e mescoli bene; allora svuoti la padella sulle spezie frantumate e setacciate e le mescoli insieme ed in seguito impasti a sufficienza con il miele bollito. Commento In caso si richiedesse l’impiego di resine umide e morbide le difficoltà di lavorazione sarebbero state superabili ricorrendo a un’astuzia esperienziale che l’A. suggerisce ai colleghi meno esperti. Il riferimento sembra essere rivolto alle tre resine, storace, galbano e terebinto, che potenzialmente erano più in grado di caratterizzare un medicamento e dunque il riferimento a una malattia (?) prima che, genericamente, a “quelle (resine) scritte più sopra, o altre simili a esse”36. Nella dettagliata procedura risaltano: l’utilizzo di una “padella piccola coperta di stagno”; l’alternativa nell’impiego, solo in apparenza indifferente, di diversi tipi di olio (di mandorle, di sesamo37, di oliva invecchiato); il suggerimento circa le proporzioni tra olio e resina; l’impiego, si direbbe “a tutto campo” o “multiruolo” del miele (sostanza, prodotto, eccipiente, additi36  Si veda in [6] per il caso di impiastri con additivi caratterizzanti: in quel caso galbano, terebinto, e tragacanto; in questo, galbano, terebinto e storace al posto del tragacanto. 37  Questo però probabilmente non paragonabile, per il suo maggior pregio e la sua relativamente facile disponibilità, agli altri due: Reger 2005, part. p. 262.

Il Testo e il Commento

vo, conservante) del resto assolutamente coerente con le fonti tecniche d’epoca ellenistico-romana a cui l’A. deve aver attinto38.

38  Si veda Bresson 2008, in part. p. 138, che su la produzione del miele cita Columella, De re rustica 9, 14, 18-19, (dipendente da Celso); ivi per il senso da attribuire al termine “pascolo” (supra). Si veda inoltre Fausti 2012, part. pp. 204-205.

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[12] Se il sagapeno, o ammoniaco, opoponace, salqordo39 lazaron, cioè silfio, o bdellio o spina santa o resina di colofonia, o altre [sostanze] similari, dovessero essere troppo umide e soffici al punto da non poter essere pestate insieme col resto dei farmaci dell’elettuario, il medico le ponga insieme in una padella con del vino o con del liquore, secondo la misura che stimerà secondo la sua esperienza; regoli la proporzione delle resine in modo da far sì che diventino come un miele non troppo umido; ponga sul fuoco la padella sui carboni ardenti e riscaldi piano finché siano amalgamate; aggiunga la resina con il vino o col liquore fino a che non sia simile a un miele; quindi la versi sui farmaci pigiati e setacciati e mescolati bene; allora versi su di essi il miele bollito a sufficienza e segua le istruzioni scritte più in alto. Commento Premesso che la disidratazione della maggior parte delle sostanze, oltre che assicurare la loro conservazione, ne facilitava la riduzione in polvere preliminare alla loro manipolazione nell’imminenza dell’impiego, in questo paragrafo si rileva il ricorrere di suggerimenti e riferimenti connessi a criteri di giudizio ed esemplificazioni che vengono ad assumere un tono didattico: “Se (le sostanze) dovessero essere troppo umide e soffici al punto da non (…)” (riferimento ricorrente nel corso del trattato); “il medico le ponga (…) secondo la misura che stimerà secondo la sua esperienza”; “regoli la proporzione (…) in modo da far sì che diventino come un (…)”; “riscaldi piano finché (…)”; “aggiunga (…) fino a che non sia simile a (…)”; versi (…) il miele bollito a sufficienza (…)”40. Quanto alla formula di chiusura “(il medico) segua le istruzioni scritte più in alto”, va notato che trova corrispondenza in quella “come è scritto più sopra” impiegata nel paragrafo [9]41. 39  Cfr. Ferre 2004, p. 15 “salqordo asafetida, that is silfion” e ivi nota 16. 40  A testimonianza di quelle “esemplificazioni, come da maestro ad allievo”, in Lacerenza, supra, e nota 7, ricorrenti nel testo, ad es. in [8]. 41  Si veda infra, nota 73.

Il Testo e il Commento

[13] E queste sono le resine sciolte sul fuoco da sole. Tutte le resine che si attaccano alle mani, come la pece, e che non si riescono a pulire dalle mani senza l’aiuto di olio, quali la pece, la resina di galbano, il terebinto, la resina di cedro, il catrame, la resina dolce o altre simili a queste, [il medico] le sciolga da sole sul fuoco; tutte le resine che si attaccano alle mani e si rimuovono con lavaggio con acqua, quali la gomma, tutti i tipi di opoponace, oppio, ferula (persica e assafetida), ammoniaco, bdellio, mirra, resina di colofonia e tutte quelle che sono ad esse simili, le mescoli con acqua o vino o liquore o un liquido qualsiasi e le riscaldi piano sui tizzoni accesi; storace, laudano, incenso e similari siano sciolti con olio e miele mescolati. Il tragacanto [va] immerso e ammorbidito in acqua calda e miele. Commento Il carattere tecnico prevalente in questo trattato si conferma anche nei minuti dettagliati insiti nei suggerimenti: “Tutte le resine che si attaccano alle mani (…) e che non si riescono a pulire dalle mani senza l’aiuto dell’olio (…); tutte le resine che si attaccano alle mani e si rimuovono con lavaggio con acqua (…)”. Il suggerimento relativo al tragacanto trova riscontro in [10]. Quanto alla distinzione tra resine e gomme42, in [13] ma anche in [16], non pare impensierire l’A. che forse la dava per acquisita anche dai colleghi meno esperti.

42  Cfr. supra, nota 35.

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[14] Se il medico cercasse di fare una fasciatura, cioè un impiastro con spezie e resine, spezzetti l’impiastro e pesti innanzitutto in polvere le spezie e le resine, se non sono umide e tenere come nelle istruzioni scritte più in alto, eccetto resina43 , la resina di galbano, la cera e il terebinto, poiché essi vanno posti insieme nel recipiente sui tizzoni infuocati; li sciolga e li versi in una padella di rame bucato con fori finissimi finché si troveranno [così filtrate] in un altro recipiente. Allora il medico prenda i recipienti delle spezie macinate in polvere, ben setacciate, e le versi piano piano nel recipiente dove ci sarà pece, resina, galbano, terebinto e cera pestati e schiacciati; li amalgami e li mescoli bene insieme, lontano dai tizzoni. Non li lasci a cuocere sul fuoco poiché, se si bruciano con le spezie e le resine scritte in precedenza, esse si anneriscono e bruciano inutilmente. È opportuno solo mescolare con i farmaci lontano dal fuoco fino a che si raffreddino e addensino. Allora li schiacci bene nelle sue mani a sufficienza. Se il medico non vuole che, nell’impastare, l’impiastro si attacchi alle sue mani, ponga dell’aceto forte e olio o burro in parti uguali e li mescoli per bene in un recipiente con le sue mani, fino a che l’aceto e l’olio siano mescolati [al punto da] essere amalgamati come un unguento; allora lo spalmi sulle sue mani e schiacci l’impiastro, lontano dal calore del fuoco, affinché si faccia secondo la legge religiosa, e quindi lo spalmi sulla pelle, premendo delicatamente, e bendi l’addome del paziente. Commento In questo relativamente lungo paragrafo, del quale il [15] che segue è appendice, l’A., grazie al richiamo e alla descrizione di minuti particolari, “prende per mano” e coinvolge il lettore professionale nel complesso procedimento che si viene svolgendo nella sua officina (Fig. 5). Alcune emergenze sono degne di segnalazione. Così l’uso che vien fatto del termine “fasciatura”44 (seguito dall’avverbio correttivo del termine stesso e da quello nuovo “impiastro con spezie e resine”), che trova spiegazione 43  Ma “pitch” in Ferre 2004, p. 16. 44  Ferre 2004, p. 12, nota 1.

Il Testo e il Commento

quando il procedimento si conclude con la prescrizione “(il medico) bendi l’addome del paziente”. Così all’inizio della procedura l’indicazione “(il medico) spezzetti l’impiastro”, che fa ipotizzare la sua precedente confezione: del medico stesso, autore di diversi tipi di “impiastri” prodotti seguendo diverse ricette, non necessariamente elaborate da lui; oppure acquistato rivolgendosi al mercato dei medicamenta45. Comunque un “impiastro” conservato in stato di disidratazione in vista del suo impiego46. Non basta che il medico spezzetti, pesti in polvere, sciolga, amalgami, mescoli gli ingredienti; dopo la loro cottura, eseguita nel modo raccomandato come più opportuno, quando essi si saranno raffreddati e addensati il medico “li schiacci bene nelle sue mani a sufficienza”47. Non resta che da sottolineare l’assenza di informazioni, comunque non facilmente spiegabile, per quanto attiene sia la specifica malattia, o il genere di malattie, che si intendeva curare con il medicamento, sia le essenze vegetali o i prodotti specifici sia, ancora, le quantità (pesi o dosi) da utilizzare per realizzarlo (infra)48.

45  In particolare a quello dei “facta emplastra” stigmatizzati da Plinio, supra, nota 12. 46  Si veda supra, nota 24. 47  Ancora con le sue mani il medico mescolerà, amalgamerà, manipolerà e, finalmente, spalmerà l’impiastro sulla pelle del paziente premendo delicatamente, infine concluderà con il bendaggio. Per inciso, se dovessimo attenerci alla testimonianza di questo trattato, sembrerebbe che almeno nell’alto medioevo la professione del medico e del farmacopòla si assommassero nella stessa figura, ammesso che ciò non accadesse, in molti casi, già nell’antichità e che, in altrettanti casi, il farmacopòla non facesse anche il medico. 48  In particolare per quanto riguarda le unità di misura (quantità, peso, dose, ecc.), l’esattezza della misurazione e l’importanza del rispetto da parte del confezionatore del quanto indicato nella ricetta, si veda Reggiani 2016, part. pp. 115, 120, 126, 128, 130-132.

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[15] Il medico che voglia che l’impiastro abbia un buon odore aggiunga alle spezie piantaggine, seme di levistico, aristolochia rotonda e seme di fieno greco, macinati a lungo in polvere. Se non dovesse avere né galbano né terebinto, aggiunga in sostituzione molta resina di pino. Commento Come nel paragrafo [7] l’A. aveva suggerito l’aggiunta all’elettuario di una bevanda inebriante di frutti di gelso o di liquore di mirto selvatico oppure, ancora, di acqua di rose, per renderlo più gradevole al palato, così qui per ottenere un prodotto aromatico suggerisce da prima l’aggiunta di una miscela di aromata eccellenti, costosi e di non sempre facile reperimento, poi di un loro succedaneo decisamente più economico e alla portata di tutti: “molta resina di pino”.

Il Testo e il Commento

[16] Queste sono resine da accendere e bruciare col fuoco e non da sciogliere: aloe, olibano, mastice, mirra, sagapeno, ammoniaco, opoponace, bdellio, spina santa, laudano, storace, tragacanto e ogni genere di gomma. Commento L’incipit del paragrafo richiama quello precedente in [13] “E queste sono le resine sciolte sul fuoco da sole” da riferire a [12]. Considerando i due casi vien da chiedersi se in essi non si possano riconoscere le tracce superstiti degli schemi di organizzazione del sapere specialistico patrimonio dell’A., in altri termini, le tracce della gestione e dell’archiviazione di tale sapere, derivante dall’elaborazione e dall’assimilazione di quel corredo di copie di trattati, ricettari, annotazioni49, raccolti nel corso dei lunghi anni di esercizio professionale e di confronto con altri medici e con fornitori di essenze e altri prodotti. Sarebbero gli stessi schemi di organizzazione del sapere che hanno consentito all’A. di arrivare a elaborare e compilare un trattato come questo in esame, oppure, forse, un trattato di cui questo in esame potrebbe costituire la versione, completa o meno che sia, a noi pervenuta.

49  Ad esempio a proposito di prescrizioni, dosaggi, prezzi, ma anche commentari, catechismi, ecc. Sulla composizione di questo corredo professionale specialistico, si veda da ultimo Bonati 2016, part. pp. 60-69.

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[17] Se il medico desidera preparare un unguento per riscaldare e ammorbidire i tendini e il dolore delle ossa causato dal freddo, prenda tutte le erbe da scaldare (e) il cui profumo sia buono; le pesti, [ancora] fresche, accuratamente, le faccia bollire a fondo nell’acqua in un calderone, [lasciandolo] sul fuoco fino a che non sarà infusa nell’acqua ogni virtù delle erbe. Allora le tolga dal fuoco e raccolga lentamente l’acqua con un panno, fino a spremere, con la forza della mano, tutta l’acqua calda, che raccoglierà in un recipiente pulito; getti via le spezie cotte e spremute e riversi quell’acqua di nuovo nella pentola. Allora versi in quell’acqua ogni olio caldo, i midolli e i grassi di animali, di uccelli e di bestiame d’allevamento, nonché burro e bile bovina; sciolga i grassi e i midolli a parte e li ponga in un recipiente bucato, vale a dire un setaccio di rame; li versi con i grassi e le bili su quell’acqua e li cuocia insieme fino a che non finisca tutta l’acqua. Questo ti50 sia il segno per sapere se è evaporata quell’acqua: se sentirai il suono della bollitura della pentola simile allo sfrigolare di pesci nella padella, allora saprai che l’acqua sarà evaporata; allora togli la pentola dal fuoco, fino a che si sia raffreddata lentamente e poi spremi i grassi, gli olii, i midolli e il burro da sopra il sedimento che vi rimane. E mentre svuoti la pentola lentamente in un altro recipiente, ciò pulirà bene i sedimenti dalla pentola, e avrai un filtro di questo sedimento [da usare] per ungere con esso i contadini e la plebe, e [per] i dolori della gola e del collo, per rafforzare i lombi, le ginocchia, le cosce e tutte le ossa dolenti dall’umidità e dal freddo. Versi ancora gli olii spremuti in una pentola e ponga la pentola sul fuoco e allora aggiunga a quei grassi la cera sciolta, affinché [li] faccia coagulare piano fino a farne un unguento. Commento Questo paragrafo è sicuramente il più lungo del trattato (anche senza tener conto del paragrafo [18] che di questo costituisce un’appendice) e quello che per l’ese50  Per il passaggio di persona, limitato a questo capoverso, Cùscito 2014, p. 104, nota 51 e p. 105, nota 52.

Il Testo e il Commento

cuzione della ricetta comporta non solo le manovre più complesse e prolungate, ma anche il più ampio ricorso a sostanze appartenenti oltre che al mondo vegetale anche a quello animale. Il freddo e l’umidità dovevano essere nemici temibili per la salute della stragrande maggioranza della popolazione, cioè “i contadini e la plebe”, come si premura di specificare l’A., che a costoro offriva il soccorso di “un unguento per riscaldare e ammorbidire i tendini e il dolore delle ossa (e non solo) causato dal freddo”. Di particolare interesse l’attenzione posta dall’A. alla componente aromatica dell’unguento, “(il medico) prenda tutte le erbe (…) il cui profumo sia buono” e l’indicazione di far bollire il pesto ricavatone “fino a che non sarà infusa nell’acqua ogni virtù delle erbe”. Segue una serie di indicazioni relative ai passaggi e alle manovre necessari all’esecuzione dell’articolata e complessa ricetta. Così, dopo l’infusione del pesto: “(il medico) raccolga lentamente l’acqua con un panno, fino a spremere, con la forza della mano, tutta l’acqua calda, che raccoglierà in un recipiente pulito (per filtrazione). Segue, a parte, lo scioglimento e la stacciatura dei grassi51 e poi l’arricchimento dell’infuso di erbe mediante l’incorporazione dei medesimi, infine la riduzione del composto: “li cuocia insieme fino a che non finisca tutta l’acqua”. La sequenza di manovre a questo punto è interrotta da un’astuzia suggerita dalla consumata esperienza nell’applicazione della ricetta: “Questo ti sia il segno per sapere se è evaporata quell’acqua: se sentirai il suono della bollitura della pentola simile allo sfrigolare di pesci nella padella, allora saprai che l’acqua sarà evaporata”52. 51  Grassi vegetali, “ogni olio caldo”, ma soprattutto animali: “i midolli e i grassi di animali, di uccelli e di bestiame d’allevamento, nonché burro e bile bovina”. 52  Questa astuzia del “saper fare”, davvero originale nel corpo del trattato, non mi pare trovi riscontro nelle fonti più antiche. Essa, unitamente a indicazioni di valore analogo, penso a quelle sulle resine che “si attaccano alle mani” e “che non si riescono a pulire dalle mani” nonché ai modi di lavarle via [13], contribuisce a caratterizzare il contributo dell’A. e il modo di esporre il suo sapere.

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La stessa sequenza - ma siamo ormai alle operazioni conclusive - riprende, dopo il lento raffreddamento della mistura, con l’asportazione e la filtrazione dei grassi affioranti sul prezioso sedimento da travasare con ogni cura. L’ulteriore riscaldamento sembra volto solo ad incorporare delicatamente quella cera che trasformerà il composto in un unguento medicamentoso. Questo paragrafo costituisce uno dei contributi più significativi nell’ambito di un’opera in cui quasi mai l’A. mostra un’analoga capacità di offrire informazione. Ciononostante, se si confronta il contenuto del paragrafo [17] con quanto Scribonio prescrive in alcune delle sue Compositiones per affrontare e risolvere problematiche analoghe53, si possono constatare chiaramente i limiti e le lacune insiti nel programma e nell’opera di Šabbeṯay. Così, se ritenessimo che l’opera ci è pervenuta nella versione originale e integra, opinione che non potremmo condividere, dovremmo riconoscere che la stessa non può essere certo considerata rappresentativa delle conoscenze del settore nella sua epoca54.

53  Si confrontino, ad es., le Comp. 257 e 268-271, su cui torneremo, infra. 54  Pensiamo alle conoscenze mediche e farmacologiche maturate e diffuse in epoca ellenistico-romana e tardo-antica, recepite e sviluppate dai medici bizantini cui allude Šabbeṯay nell’Introduzione e si vedano: Ieraci Bio 2001 (che richiama come caratteristiche della letteratura medica bizantina “l’appropriazione, la conservazione, la trasmissione del patrimonio antico”) p. 113; Putzu 2004, pp. 107-109 (Galeno); Ieraci Bio 2005, part. p. 23 (Plinio e Galeno) e passim; Cùscito 2014, part. p. 96, nota 12.

Il Testo e il Commento

[18] Se il medico desiderasse aggiungere a questo unguento olii e resine affinché sia aumentata la forza dell’unguento e la sua efficacia con l’aiuto di Dio, quali nardo, spina santa, cinnamomo, menta greca, piretro e altre droghe come queste, nonché resine come il galbano, il terebinto, la resina di pino, l’aloe, l’incenso, il mastice, la mirra, il bdellio, il sagapeno, l’assa fetida ovvero silfio, l’ammoniaco, l’opoponace e altre resine come queste, schiacci e riduca in polvere le spezie da sole e le resine cotte sul fuoco, le faccia cuocere a parte e le passi in un setaccio di rame sopra gli olii. Dopodiché scioglierà in esse la cera fino a come è d’uso, faccia bollire lentamente tutto insieme con le resine sciolte e spremute, quindi tolga la pentola con gli olii e le resine dal fuoco e li lasci riposare fino a che si raffreddino in modo da poterle maneggiare; allora vi aggiunga lentamente le droghe e le resine triturate finemente, le mescoli e le cuocia bene senza farle bollire e le faccia riposare fino a che si addensino bene; allora ponga il preparato in recipienti affinché siano filtri di medicina, con l’aiuto del medico. Commento Non sarebbe stato agevole spiegare quella che si configurava come una destinazione d’uso dell’unguento rivolta alla fascia più ampia, povera ed esposta ai malanni della popolazione (collocata alla fine del secondo capoverso del paragrafo precedente), se ad essa non fosse seguito il contenuto di questo paragrafo. Infatti, “affinché sia aumentata la forza dell’unguento e la sua efficacia” l’A. suggerisce l’addizione di “olii e resine”, alcuni esotici e decisamente costosi, per arrivare alla confezione di un prodotto che questa volta, dobbiamo dedurre, doveva essere destinato a un numero ristretto di pazienti-consumatori privilegiati e dotati di adeguate risorse55. In seguito all’applicazione di manovre rientranti nelle sequenze operative più volte descritte, il medico arriverà a ottenere una gamma di prodotti (diversi tra loro a se55  Vengono in mente per primi quei “pazienti di rango” a cui si riferisce Lacerenza 2004, supra, nota 1, inoltre Putzu 2004, pp. 108-109.

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conda delle sostanze additivate) da porre “in recipienti affinché siano filtri di medicina”. Di particolare interesse il rapporto che nei paragrafi [7] e [17]-[18] lega tra loro diversi parametri: impiego di ingredienti di pregio (sovente esotici); “invecchiamento” (maturazione o stagionatura del prodotto); aumento dell’efficacia; conservazione in contenitori. Si tratta dei parametri qualitativi che sin dall’antichità concorrevano a determinare il prezzo del medicamento.

Il Testo e il Commento

[19] Questo è quanto Šabbeṯay il medico provò e sperimentò delle erbe da porre in unguenti. Aristolochia e la sua radice, che è di due tipi, rotonda e lunga: aggiunga ad esse un pugno pieno di cipolla del deserto, una radice grande e bianca, la tagli in pezzi piccoli; una radice di asfodelo, cioè albuccio, una radice di alirium, una radice selvatica, il coloquintide, detto in latino cocorbitina, una radice di cocomero asinino e su di esse una radice di cedro cioè kyperon giunco radice, una radice di elleboro nero, radicchio, foglie di alloro, cioè lauro, foglie di limone, ruta, salvia, assenzio, abrotano, sabina, artemisia, dragoncello, issopo di ogni genere, origano, basilico, menta poleggio, cioè qswl’, camedrio ovvero i suoi decotti, elleboro nero, nepeta, cioè calaminta, lavanda selvatica, menta cioè hedyosmos, symchrion, o achillea: un pugno pieno di ognuna, ridotta in polvere, in una pentola d’acqua due volte la misura delle erbe. Commento La frase di apertura del paragrafo suona come una sorta di sottoscrizione di garanzia: “Questo è quanto (chi scrive) provò e sperimentò”; si tratta di una frase il cui tenore sembra renderla adeguata a chiudere il trattato. E proprio a proposito della chiusura del trattato, c’è da notare che anche Scribonio aveva dedicato le ultime Compositiones a risolvere le stesse problematiche56 e, inoltre, che anche lui, subito dopo, concludeva la sua opera con una formula di analogo significato57. D’altro canto genera perplessità la frase successiva che, in assenza di un incipit, inizia con un elenco di componenti che sembrano appartenere a una ricetta, meglio a un frammento di ricetta, la cui descrizione, peraltro già avviata, non sembra arrivare a conclusione58. 56  Cfr. ad es. le Comp. citate nella nota 53, tutte dedicate a contrastare e risolvere il raffreddamento, la stanchezza e la tensione o il dolore dei nervi, in cui ricorrono anche additivi aromatizzanti. 57  Comp. 271: “Moltissime di queste ricette, se ciò merita una garanzia, io stesso ho composto, ed io conosco il loro effetto per le malattie su scritte”. 58  Nessuna perplessità è espressa in merito sia in Ferre 2004 sia in Cùscito 2014.

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Si noti, infine, che l’unità di misura “un pugno pieno” (di cipolla del deserto), indicato in due occasioni, compare qui per la prima volta nel trattato, così come il riferimento proporzionale “un pugno pieno di ognuna (delle erbe appena elencate), ridotta in polvere, in una pentola d’acqua due volte la misura delle erbe”. Si tratta di unità di misura mai utilizzate in precedenza nel testo, che sono tali da suonare in certa misura estranee ad esso.

Il Testo e il Commento

[20] Queste sono le parole sugli sciroppi e impiastri studiati e ricercati nei limiti della mia conoscenza di cui non ho trovato di simile, riguardo alle malattie. Ciò è scritto in alto nell’antidotario, al numero 210. Commento Occorre notare che le parole iniziali del paragrafo sembrano inadeguate a soddisfare pienamente il loro ruolo: quello di una sia pure stringata conclusione del trattato. Inoltre il riferimento alle malattie, ma persino la loro evocazione generica, paiono fuori luogo rispetto al contesto, così come quella sorta di rivendicazione di originalità. Risalta infine per il suo interesse il riferimento a un antidotarium in merito al quale, però, nulla sappiamo59.

59  Si veda Fiaccadori 1992, part. p. 217. Riporto quanto indicato in Cùscito 2014, p. 106, nota 66: “Antidotarium è il titolo di diverse opere mediche, anche ebraiche, di cui nessuna, al momento, è stata attribuita con certezza a Donnolo (segue il riferimento bibliografico a Ferre 2004). L’improvviso cambio di registro, inoltre, lascia aperta la possibilità che la frase possa essere un’aggiunta redazionale successiva, peraltro evidentemente presente già nell’originale da cui provengono le due copie finora rinvenute” (seguono i riferimenti ai manoscritti originali). Si veda tuttavia Ferre 2004, p. 1.

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Fig. 1. Al medico-farmacopòla che voleva approvvigionarsi di sostanze di qualità conveniva recarsi nei luoghi in cui queste erano reperibili oppure incontrare le carovane che le importavano dalle regioni di produzione. Frammento di bassorilievo in arenaria forse da monumento funerario attribuito alla famiglia dei Peticii (larg. 1 m. – alt. 95 cm.). Il reperto corrobora l’ipotesi che utilizzando le vie carovaniere tale famiglia commerciasse scambiando vino con sostanze aromatiche e medicamentose ed estendesse la sua rete commerciale dai porti del Mar Rosso sino all’India. Amiternum o Peltuinum (?), già nel Palazzo Dragonetti de Torres a L’Aquila, ora al Museo di Sulmona; ultimo quarto del I sec. a.C.; si veda: Tchernia 1992, part. pp. 298-299; Taborelli 2012, part. pp. 61-62.

Fig. 2. L’arrivo dal lontano Oriente di carovane cariche di spezie preziose non cessò di infiammare la fantasia popolare nel corso dei secoli, non solo nelle città capolinea delle strade carovaniere, come Tessalonica, ma anche negli angoli più remoti d’Occidente. Pannello scolpito ad alto rilievo con la rappresentazione di una carovana di cammelli. Tessalonica; Arco di Galerio (Colonna A – IV, lato Nord-Est, pannello 13); eretto poco dopo il 298 d.C. per celebrare il trionfo imperiale a conclusione delle vittoriose guerre contro il re dei Persiani Sasanidi Narsete; si veda: Bianchi Bandinelli 1976, part. pp. 305-306.

Fig. 3. Il miele dell’Attica godeva della più alta considerazione tuttavia altri erano prescelti per qualità particolari. Punzone in bronzo atto a marchiare con duplice impronta panetti di miele medicamentoso semisolido per medicazioni otorinolaringoiatriche (diametro 3,7 cm.). A sinistra, sopra, le due lettere iniziali del nome della città; sotto, il nome del produttore e/o venditore del medicamento. A destra, in circolo, l’indicazione del medicamento e del suo impiego. Efeso; età Ellenistica; si veda: Chishull 1728, pp. 1-4; Taborelli - Marengo 2010, part. pp. 232-233.

Fig. 4. Iscrizione funeraria di Valeria Ursa incisa su sarcofago litico. Nel testo viene disposta la cessione di un agellus (piccolo podere) a favore del “coll(egio) farmac(opolarum) publicor(um)” [dall’alto, riga 9]. Si tratta dell’unica attestazione pervenutaci di un collegio di farmacopòli pubblici; il loro riconoscimento come tali dal governo della città depone a favore della loro onestà e affidabilità contribuendo a rivalutare la cattiva opinione sulla categoria e la professione tramandataci dalle fonti. Brescia; III sec. d.C.; si veda: CIL V, 4489 = ILS 8370 = InscrIt X, 5, 280; Boscolo 2005-2006, part. pp. 60-61, 66.

Fig. 5. Le immagini che riproducono l’interno di officinae per la produzione di medicamenti e cosmetici sono estremamente rare. Capitello angolare litico con la rappresentazione di un personaggio (“Asclepio” nella fantasia popolare) assiso nella sua officina. Da notare: al centro, l’accurata rappresentazione di contenitori, di varia tipologia, per le sostanze utili alla produzione dei medicamenta che richiama analoghe rappresentazioni su bassorilievi “gallo-romani” e “germanici”; in basso a destra, l’immagine di un distillatore evoluzione dei più antichi prototipi tardo-antichi, bizantini e altomedievali; infine, la barba del personaggio che rimanda a lontani prototipi “assiro-babilonesi”. Antica Ragusa (Dubrovnik); palazzo dei Priori (prima età rinascimentale); si veda, per la temperie culturale nel cui contesto venne realizzata l’opera (Creative Commons by Sailko).

Dentro il trattato e attorno ad esso

Non possiamo essere sicuri che tra gli scopi del breve trattato ci fosse anche quello di valorizzare nell’ambito della professione medica la componente tecnica nella produzione dei farmaci, tuttavia, di fatto, è ciò che sembra verificarsi. Un riscontro in tal senso è desumibile anche da quella sorta di indice che possiamo ricavare da un elenco degli incipit dei paragrafi; un indice che, per come sembra essere stato concepito, ci porta ad alcune constatazioni e a qualche conseguente considerazione. Dopo il paragrafo [1], sulla opportunità o, meglio, la necessità, di conoscenza e di discernimento delle sostanze di cui servirsi nella professione medica, già nel [2] e più ancora nei paragrafi [3] e [4] il protagonista è il miele. La centralità di questo prodotto nella cultura professionale dell’A. e nel trattato che la rispecchia è ulteriormente asseverata dalla formulazione dell’incipit del paragrafo [5] in cui il miele, oltre che svolgere il ruolo di eccipiente e additivo pregiato e importante, sembra assurgere a quello di medicamento60. I paragrafi che seguono indicano ai medici come fare un elettuario o un impiastro, addizionare una bevanda, aromatizzare un impiastro, potenziare un unguento, ecc. Soprattutto, però, essi sembrano essere una guida per eseguire correttamente una ricetta, svolgere una sequenza coerente di complesse manovre, risolvere un problema che dovesse sorgere nel corso della confezione del medicamento. Che nel trattato prevalga la componente tecnica-produttiva del medicamento è posto in ulteriore evidenza dal fatto che, salvo rara eccezione, non vi sono indicazioni riguardo una seconda componen60  Nel testo il miele ha ben 38 menzioni, ma ad es. solo, si fa per dire, 70 nell’opera di Scribonio che pure ha dimensioni tanto più grandi da non essere paragonabili.

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te, che diremmo allo stesso tempo complementare ed essenziale in quanto non meno importante della prima, riguardante: la malattia per alleviare la quale il medicamento era elettivo; le dosi, i pesi e le proporzioni degli ingredienti miscelati per comporlo; la posologia; infine l’età e il sesso del paziente destinatario del prodotto finale risultato della corretta esecuzione della ricetta61. Così indicazioni come quella contenuta nel paragrafo [7] che l’elettuario “è di quelli che conservano e ripristinano il movimento delle interiora”, oppure quella nel [17], che si tratta di “un unguento per riscaldare e ammorbidire i tendini o il dolore delle ossa causato dal freddo” e che dal complesso procedimento “avrai un filtro [da usare] per ungere con esso i contadini e la plebe, e [per] i dolori della gola e del collo, per rafforzare i lombi, le ginocchia, le cosce e tutte le ossa dolenti dall’umidità e dal freddo”, sono destinate ad apparire straordinarie e tali da evidenziare lacune inspiegabili62. Per questo vien da chiedersi se nel trattato, accanto o in appendice ad esso, fosse prevista almeno una parte di collegamento tra la componente farmaco-produttiva, che per come il trattato ci è pervenuto appare pressoché esclusiva e decisamente orientata a guidare il modus operandi del medico, e una seconda componente, complementare ma certo non meno importante della prima, a noi non pervenuta63. Constatiamo così che il trattato di Šabbeṯay offre una testimonianza tanto originale quanto parziale delle conoscenze mediche disponibili nell’ambiente di chi all’epoca esercitava la medicina. A proposito di questo ambiente, quando Anna Maria Ieraci Bio richiama la circolazione di testi dell’antichità o di loro parti, si riferisce alla produzione e alla circolazione di codici, in particolare greci, nell’Italia meridionale, circolazione di codici che la Studiosa considera una “spia della tipologia di cultura (medica) presente e disponibile in quell’area”64. Ancora Ieraci Bio richiama “lo schema consolidatosi (nei 61  Per non soffermarci sul fatto che, ad esempio, non si fa menzione di dietetica, chirurgia, traumatologia, oftalmologia. Quanto alle questioni di carattere eziologico l’unico cenno è in [17], infra. 62  Si veda infra, nota 74. 63  Di conseguenza vien da chiedersi anche quale forma potesse avere l’antidotario, appena menzionato alla fine del paragrafo [20] ultimo del trattato, e quale reale funzione gli fosse stata delegata dall’A. 64  Ieraci Bio 1989a, part. pp. 448-450. Per il “possesso di cognizioni mediche da parte dei monaci italo-greci” p. 450 ss. (le basi sono Dioscoride, p. 448, e Galeno, per un catalogo di testi galenici sino al IX secolo pp. 448-449, ma anche Aezio e Paolo d’Egina, p. 449). Si veda più in generale Ieraci Bio 1989b, part. pp. 163 ss. e 168 ss.

Dentro il trattato e attorno ad esso

manuali di medicina e farmacologia) fra epoca ellenistico-romana e tardo antica (…) nel quale le malattie sono classificate a capite ad calcem e vengono presentate (per) cause, sintomi e terapia”65. Se ora poniamo a confronto il trattato di Scribonio66, che aderisce sostanzialmente anche se non sistematicamente allo schema citato, e quello di Šabbeṯay, che salvo eccezione (infra) sembra ignorarlo, emergono interessanti opportunità di valutazione del testo di quest’ultimo. Nell’illustrare la singola composizione Scribonio segue uno schema che enuncia nella parte finale dell’Epistola introduttiva: “Pertanto prima di tutto abbiamo indicato contro quali malattie le ricette sono state scelte e sono adatte, e le abbiamo numerate, perché si trovi più facilmente quello che si cercherà; poi abbiamo aggiunto alle malattie il nome e il peso delle medicine che compongono le ricette”67. A queste indicazioni fa seguire il procedimento tecnico di lavorazione degli ingredienti, i modi e i tempi di applicazione o di assunzione e, quando necessario, i tempi di stagionatura-maturazione del prodotto nonché, talvolta, la forma e la sostanza del contenitore più adatte alla sua conservazione. Il rispetto dello schema fornisce un’importante verifica che può essere attuata mettendo a confronto le Compositiones 268-271 (ma anche 257) di Scribonio, con i “procedimenti” (termine che pare più congruente rispetto a quello di “ricette” per indicarli) argomento dei paragrafi [14-15] e [17-18] di Šabbeṯay, i suoi più importanti e significativi68. In entrambi i casi si tratta rispettivamente delle ricette, nel primo, e dei procedimenti, nel secondo, posti a conclusione del rispettivo trattato; riguardano prodotti calmanti dei dolori derivanti dal raffreddamento, rilassanti la stanchezza, la tensione e la contrazione dei nervi. Inoltre, come vedremo, ad essi segue una formula “di garanzia”. Qui si rinuncia a riprendere i brani del testo di Šabbeṯay, avendoli appena riportati e commentati (supra), ma al fine di permettere la ve65  Ieraci Bio 2006, part. p. 109. Sulla letteratura medica prodotta e circolante in area bizantina, conosciuta e applicata nelle sue prescrizioni anche dai medici ebrei attivi in tutta l’area mediterranea e vicino-orientale islamica, Lacerenza 2010, part. p. 163. 66  Jouanna-Bouchet 2016. 67  Il richiamo fatto, in Comp. 97, al medico Paccio Antioco, più anziano di una generazione, mostra a quale schema già diffuso e accettato Scribonio aveva aderito: “(Paccio Antioco) confessa in un libretto che quella ricetta non è stata inventata da lui ma sperimentata e applicata nella pratica più precisa, contro quali malattie, con quali ingredienti e in qual modo somministrata fa effetto”. 68  Dove [15] e [18] sono appendici dei precedenti [14] e [17] e sono dedicati all’aromatizzazione del prodotto, ma nel secondo caso anche al suo potenziamento.

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rifica di quello che pare essere qualcosa di più dell’occultamento di una fonte, è necessario citare almeno per sommi capi alcuni passi di Scribonio nei quali si può notare che per i prodotti in questione ricorrono alcune indicazioni riprese da Šabbeṯay: le più significative quelle a proposito delle manovre di filtraggio (colatura); la collocazione finale in un contenitore; l’efficacia del medicamento nel tempo; l’importanza della componente aromatica per la clientela. Comp. 257: va riposto “e giova più efficacemente dopo 30 giorni (quando è più asciutto)”. Comp. 268: va colato “bene con panno doppio di lino”; va riposto “in un vaso di terracotta o di stagno”; “di questo si serviva l’Augusta”. Comp. 269: va riposto “in un vaso di terracotta”; in due casi l’ingrediente è quello di cui “si servono gli unguentarii”. Comp. 270: “di odore alquanto grave (infatti gli ingredienti superiori sono di buon odore)”. Comp. 271: va colato “per mezzo di un panno di lino o un sacchetto di giunco fatto apposta per filtro”; va riposto “in uno o più vasi di stagno, coperti e saldati con piombo con diligenza”; “se ne servono di regola l’Augusta e l’Antonia”69. Comp. 271: “Moltissime di queste ricette, se ciò merita una garanzia, io stesso ho composto, ed io conosco il loro effetto per le malattie su scritte”70. Occorre infine osservare che la lettura del trattato fa sorgere qualche interrogativo non solo a proposito della figura del medico a cui questo era destinato, ma anche di quale fosse la sua formazione e in quali livelli questa si articolasse. Purtroppo il testo che ci è pervenuto offre solo labili indicazioni in merito. Nel paragrafo [5] troviamo il riferimento a una cottura da effettuarsi “seguendo la legge religiosa”, certo valida per “i medici di Israele (…), i medici ebrei” [Introduzione], ma probabilmente non per “i medici bizantini” menzionati subito dopo nella stessa71. A proposito di esperienza professionale acquisita dal medico, nel paragrafo [12] il riferimento è esplicito dato che la miscela che andrà a comporre l’elettuario sarà “secondo la misura che (il medico) stimerà 69  Da notare che in particolare nel caso delle Comp. 269 e 271, la lavorazione è estremamente complessa e prolungata nel tempo e la ricetta richiede l’impiego di ingredienti esotici e preziosi, Taborelli 2018, p. 189, nota 83. 70  Da confrontarsi con gli incipit dei paragrafi [19-20] in Šabbeṯay. 71  Si vedano le prescrizioni, nel corso di procedimenti, rispettivamente a cuocere [5] e a fare [14] “secondo la legge religiosa”.

Dentro il trattato e attorno ad esso

secondo la sua esperienza”. Ancora a proposito di esperienza, nel paragrafo [18] si indica di sciogliere nel composto appena manipolato la cera “fino a come è d’uso”, dunque facendo riferimento a un’esperienza acquisita e condivisa72. In conclusione, nonostante qualche cenno di incertezza a proposito della fiducia da riporre sia nei medici che erano in una fase di apprendistato professionale sia in quelli “esperti e capaci”, ai quali l’A. si riferisce nel paragrafo [1] le cui lacune sembrano adombrate73, propenderemmo per l’ipotesi che l’A. del trattato avesse l’ambizione di rivolgersi a tutti i medici. Resta da chiedersi se il trattato non intendesse esaltare l’importanza dell’autonomia dei medici stessi sia nella composizione dei farmaci sia nell’autosufficienza riguardo la loro disponibilità, forse sottostimate o cadute in desuetudine, tanto durante la fase di formazione professionale quanto nell’ambiente in cui l’A. e i suoi colleghi si trovavano a esercitare la loro attività.

72  Sarebbe anche possibile interpretare la semplice elencazione di sostanze, non mi riferisco solo al tutto sommato anomalo paragrafo [19] ma un poco a tutto il trattato, come un promemoria dei componenti che non potevano mancare nella composizione del farmaco, confidando sul fatto che il “medico esperto e capace” conoscesse i tempi e i modi di introduzione degli stessi, nonché le relative proporzioni quantitative, in relazione alla realizzazione della ricetta (cfr., infra, nota seguente). 73  Nello stesso paragrafo in cui l’ “esperto” (scil. medico) dovrebbe inoltre saper scegliere …)”. Si riscontrino inoltre gli inviti rivolti dall’A. ai medici affinché seguano “le istruzioni scritte più in alto” ad es. in [9], [12], [14].

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Conclusioni

Concludiamo l’indagine sul trattato, che è stato acutamente definito da Gianfranco Fiaccadori “un’opera farmacologica di cui ci è pervenuto un frammento o un insieme di frammenti”74, sottolineando la necessità di condurre ulteriori ricerche e approfondimenti75 ma anche tornando con un cenno alla questione delle fonti dell’A. e su quella, connessa, delle sue conoscenze linguistiche. Non si può che concordare con la maggioranza degli Studiosi che ha visto tra le fonti a cui avrebbe attinto indirettamente Šabbeṯay almeno Dioscoride, Plinio e, con ruolo predominante, Galeno; purtroppo, come universalmente sottolineato, egli è reticente nell’informarci in proposito. Tuttavia nel ragionarne vorremmo che l’attenzione volta a queste fonti maggiori - tra cui, se non erro, sino ad oggi non aveva trovato riconoscimento Scribonio Largo76 - non andasse a detrimento di quella da rivolgere alla produzione e rielaborazione di trattati più vicini cronologicamente alla composizione del Sefer ha-mirqaḥôṯ. Mi riferisco al Sefer Refū’ōt (Libro dei medicamenti) ascritto ad Asaf77, al Kitab al-hawi fi al-tibb di Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya al-Razi78 e al Kitâb Zâd al –musâfir di Ibn al-Gazzâr79. 74  Fiaccadori 1992, p. 216. 75  Di tipo filologico, lessicografico e di confronto tra il trattato e le fonti di età classica per stabilire e valorizzare talune dipendenze e soprattutto la “tenuta” del sapere tecnico nel volgere dei secoli. 76  Sul rapporto tra i trattati di Scribonio Largo e Galeno, si veda Guardasole 2014, part. pp. 324, 327-328, e, ancora, Guardasole 2015, part. pp. 74-75, 88. 77  Su cui si veda: Kottek 2004, pp. 24-26, 38-40 e nota 61; Franzone 2017, p. 285, n. 124. Sarebbe il primo testo di medicina scritto da un ebreo, composto nel Vicino Oriente prima della conquista islamica forse dagli allievi di Asaf ha-Yehudi (Sefer Asaf ha rofe). 78  Nebbia 1965, part. pp. 311 e 315. 79  Ieraci Bio 2006, part. pp. 109-110.

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Ricordando che per Lacerenza il trattato di Šabbeṯay è stato scritto intorno al 97080, non si può che condividere quanto lo stesso Studioso prudentemente argomenta a proposito delle fonti e delle conoscenze linguistiche di Šabbeṯay. “L’eventuale impronta del Safer Asaf su Šabbeṯay non è stata (…) documentata e, sebbene appaia possibile, in ultima analisi risulta fondata - con poche eccezioni - più sulla logica che sulla comparazione testuale, ancora sostanzialmente da compiersi”81. D’altro canto va rilevato che “(ancora Lacerenza, ma a proposito del Sefer ḥaḵmônî)82 nonostante l’iniziale riferimento anche alla ‘scienza degli Ismaeliti’, ossia arabo-islamica, Šabbeṯay poi non dichiari, né qui né altrove, di aver adoperato opere di autori musulmani. Il dato non è del tutto inatteso, essendo ancora a venire, sebbene di lì a poco, la stagione delle prime traduzioni in Occidente della letteratura scientifica in lingua araba: è pertanto solo pensabile che egli (Šabbeṯay) possa aver avuto di tale produzione una conoscenza molto limitata, forse anche per insufficienza linguistica83. E nondimeno, il fatto che egli non si sia servito direttamente di testi arabo-islamici, non significa che nell’opera di Šabbeṯay siano assenti, come spesso si è detto, riferimenti a concetti o a terminologie mutuate dal mondo musulmano il cui probabile snodo è, infatti, ricercabile nell’ultima fonte della sua sapienza, dopo il mondo e i libri, ossia i suoi compagni di studio, le sue guide e i suoi maestri”84. Luigi Taborelli

già Coordinatore dei Laboratori Storici DICAS - Politecnico di Torino

80  Lacerenza 2004, p. 46, nota 2; per Cùscito 2014, p. 93, dopo il 965. 81  Lacerenza 2004, p. 57, nota 55 (cfr. bibliografia citata). 82  Si noti che il riferimento è all’ambito dell’astronomia ma il ragionamento mi pare si adatti bene anche a quello della farmacologia. 83  Lacerenza 2004, p. 59, nota 62: “Nonostante il parere favorevole espresso da vari studiosi circa la conoscenza dell’arabo da parte di Šabbeṯay, i suoi scritti – anche il farmacologico Sefer ha-yaquar (o Sefer ha-mirqaḥôṯ) – non forniscono significative evidenze in tal senso (cfr. bibliografia citata)”. 84  Ivi, pp. 59-60.

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Riassunto

Se dovessimo definire questo trattato e il suo Autore con tre aggettivi, sceglieremmo: ambizioso, dotato, reticente. La sensazione che lascia l’analisi del testo è quella che si tratti di “un’opera farmacologica di cui ci è pervenuto un frammento o un insieme di frammenti” (Fiaccadori 1992). L’opera testimonia la conservazione e la trasmissione pressoché millenaria delle conoscenze mediche e soprattutto, in questo caso, delle conoscenze tecniche-farmacologiche. Possiamo constatare una connessione tra “mondi”: dal punto di vista cronologico (dal mondo ellenistico a quello alto medievale); della cultura (da quello di tradizione greco-romana, dunque bizantina, a quello di tradizione ebraica e, in parte, islamica); della geografia (da quello transmediterraneo a quello delle regioni circostanti e più lontane). Si tratta di un patrimonio di informazioni conservato, fatto evolvere, progredire e arricchito non solo grazie alla quotidiana applicazione e sperimentazione ma anche alla comunicazione scritta e al confronto dei risultati ottenuti che venivano discussi, accolti o confutati. Un patrimonio di trattati, ricettari, antidotari, excerpta, compilazioni, la cui ricchezza intravediamo in minima parte rispetto a quanto potenzialmente poteva venir consultato dal nostro Autore verso la fine del I millennio dell’era volgare. Va notato altresì che tra le opere di argomento tecnico ed enciclopedico venivano privilegiati e divulgati proprio i trattati di medicina e farmacologia (non per caso il titolo “alternativo” del trattato esaminato è Sefer ha-yaqar cioè Libro prezioso). In esso si incontrano tracce del sapere tràdito a partire da Teofrasto a Celso, Dioscoride, Plinio il Vecchio e, soprattutto, Galeno, ma anche, e non sorprendentemente, a Scribonio Largo. Attraverso la copiatura, non priva di lacune, sviste e fraintendimenti, i loro trattati erano comunque salvaguardati per essere consultati, in rari casi in copie integre, molto più frequentemente di seconda o terza

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mano, nella lingua originale o nelle traduzioni promosse da illuminati personaggi che affermavano in modo munifico la loro potenza e la ricchezza delle loro corti e dei loro monasteri, anche attraverso la cultura. Con la lettura di quest’opera si aprono per noi opportunità di conoscenza inattese, riflessi di un mondo di tradizioni e rapporti tra culture che non finisce di sorprenderci e ci lascia stupefatti.

Abstract

If we were to define this treatise and its author in three words, we would choose: ambitious, gifted, reticent. The sensation that the analysis of the text leaves is that it is “a pharmacological work of which a fragment or group of fragments has come down to us” (Fiaccadori 1992). The work attests an almost millenary preservation and transmission of medical knowledge and, above all in this case, of technical-pharmacological knowledge. We can see a link between “worlds”: from the point of view of chronology (from the Hellenistic to the early medieval world); culture (from the Greco-Roman tradition, then Byzantine, to the Hebrew and, in part, Islamic traditions); geography (from the trans-Mediterranean world to that of surrounding regions and those further off). It is a patrimony of preserved information, that has developed, progressed, and become richer not only thanks to daily use and experimentation, but also to written communication and the comparison of the results obtained, which were discussed, accepted or rebutted. A patrimony of treatises, books of formulas and antidotaria, excerpta, compilations, whose wealth we glimpse in minimal part with respect to how much could have been potentially consulted by our author towards the end of the first millennium of the Common Era. It should also be noted that among technical and encyclopaedic works it was precisely the treatises on medicine and pharmacology that were preferred and circulated (not by chance the “alternative” title of the work being examined is Sefer ha-yaqar - Precious Book). It contains traces of learning taken from Theophrastus, Celsus, Dioscurides, Pliny the Elder and, primarily Galen, and not surprisingly, also

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Scribonius Largus. Through copying, not without lacunae, oversights and misunderstandings, their treatises were however safeguarded to be consulted, in rare cases in integral copies, frequently second or third hand, in the original language or in translations paid for by enlightened personages who munificently affirmed their power, and the wealth of their courts and their monasteries, also through culture. The reading of this work opens up the opportunity of unexpected knowledge, reflections of a world of traditions and cultural relationships that never cease to amaze us.

Indice integrato

Indice dei lemmi ricorrenti nel trattato: la lettera I rimanda all’Introduzione, il numero in carattere arabo al paragrafo in cui il lemma ricorre. Sono esclusi i componenti farmacologici a eccezione di quelli contrassegnati con *.

aceto* forte 14 acqua 13, 17 a. calda 10, 13, 17 a. di rose* 7 a. raccolta lentamente con un panno 17 addensamento 5, 14, 18 addome 14 adulterazione 1 affioramento 5 aiuto “con l’a. del medico” 18 a. “con l’a. di Dio” 18 amalgama 12 a. densa 11, come un unguento 14 antidotario 20 api 2, 3, 4; pascolo erboso 2 Atene 4 Atis 4 Attica 4 bevanda I, 1, 4, 5, 6, 10 b. inebriante (suchara) 7 b. medicinale 4 bile bovina 17 bollitura a fondo nell’acqua 17

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b. del miele 5 b. lenta 5, 18 b. suono della b. 17 b. ribollitura 5 burro* 14, 17 Bydyon 4 Calabria 4 calderone 17 cataplasma I cera 14, 17 c. (aggiungere la c. sciolta come) coagulante 17 c. (sciogliere la c.) “come è d’uso” 18 coagulazione 17 comprensione 1 conoscenza I c. “nei limiti della mia c.” 20 c. “in verità” 1 conservazione (capacità di conservarsi a lungo) 7 c. fino a trent’anni 7 c. funzione fisiologica 7 contadini 17 cosce (rafforzamento) 17 cottura “a parte” 18 c. “senza far bollire” 18 c. “seguendo la regola religiosa” 5 c. “non lasciare in c.” 14 cucchiaio 6 decadimento (rapido dell’elettuario) 5 decotto 19 deterioramento rapido 7 diarrea 2, 3 Dio I, 7, 18 dolore del collo 17 d. della gola 17 d. delle ossa 17 droghe (altre d. come queste) 18 durata (del miele e dell’elettuario) 5 d. “non molti giorni” 5 efficacia (accresciuta, aumentata) 7, 18

Indice Integrato

effluvio 1 elettuari I, 5, 6, 7, 9, 12 e. da conservare 7 e. di unzione 8 e. durata, rovina 5 e. nuovo 7 erbe I, 8, 19 e. ogni genere di e. 4 e. da scaldare 17 e. spesse 9 e. “e altre simili” 9 e. pestate ancora fresche 17 e. virtù delle e. 17 e. il cui profumo sia buono 17 esperto (scil. medico) 1 evaporazione (dell’acqua) 17 farmaci 12, 14 fasciatura 14 filtro (di sedimento come medicamento) 17 f. di medicina 18 foglie 19 forza (accresciuta, aumentata) 7, 18 f. con tutta la f. nel mortaio 7; dolcemente 8 freddo (causa di malanno) 17 genere “di ogni genere” 19 ginocchia (rafforzamento) 17 gomma 13 g. ogni genere di g. 16 grassi “di animali, di uccelli e di bestiame d’allevamento” 17 immersione (per tre giorni) 10 i. e ammorbidimento 13 impasto 10 i. “nel mezzo, non molto liquido, né troppo duro” 6 impiastro I, 6, 14, 15, 20 i. che abbia un buon odore 15 i. che si attacca alle mani 14 incensi I infusione (nell’acqua) 17 insegnamento “dei libri e degli antichi” I

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interiora 7 invecchiamento (al coperto) 7 Ippocrate 4 istruzioni “scritte più in alto” 12; “come nelle i. scritte più in alto” 14 lavaggio (con acqua) 13 laveggio 5 limiti (della conoscenza) 20 linfe 8 liquido (qualsiasi) 13 l. (descritti sopra) 7 liquore 7, 12, 13 l. di mirtillo selvatico* 7 lombi (rafforzamento) 17 malattie 20 mani (con l’opera delle proprie) I m. resine che si attaccano alle m. 13 m. resine che non si riescono a pulire dalle m. 13, 14 m. farmaci che si schiacciano nelle m. 14 m. mescolare con le m. 14 m. spremere con la forza della m. 17 m. maneggiare 18 medico 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 17, 18 m. (rif. a se stesso) I, 19 m. “medici ebrei e bizantini” I m. “medici esperti e capaci” 1 m. “medici di Israele” I mestolo 5 m. di rame o di legno 6 midollo 17 miele* 1, 5, 6, 10, 11, 13 m. bollito 10, 11 m. bollito a sufficienza 12 m. buono 4 m. caldo “molto caldo, bollente” 6 m. cattivo, molto cattivo (odore, sapore) 3 m. cotto (non ben) 5 m. denso 1 m. “denso come un m.” 12 m. denso e solidificato 5

Indice Integrato

m. di Martis 4 m. di Oria 4 m. di Otranto 4 m. dolce 1 m. molto dolce 4 m. durata “per lunghi giorni e anni” 5 m. fresco 1 m. giusto 1 m. luogo di provenienza 2 m. nero 1 m. oleoso 1 m. profumato 1 m. pulito 1, 5 m. puro 1, 5 m. rosso 1 m. scelto 4 m. “simile a un m.” 12 m. umido 5 m. “non troppo umido” 12 m. verde 1 mortaio 1, 5, 6, 7, 8, 9, 10 odore (buono) 15 olio* 1, 6, 13, 14, 17, 18 o. caldo 17 o. di mandorle 11 o. di oliva vecchio 11 o. di sesamo 11 o. “senza l’aiuto dell’o.” 13 Oria I, 4 ossa (dolore) 17 Otranto 4 padella 12, 17 p. di rame, bucato con fori finissimi 14 p. piccola, coperta di stagno 11 panno 17 parti uguali (olio o burro in p. u.) 14 pasta schiacciata 10 paziente 14 pelle 14

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pentola 17, 18 p. “d’acqua due volte la misura delle erbe” 19 pesci 17 pestello 7, 8 pianta medicinale 1 pianta velenosa 2 plebe 17 polvere I, 1, 8, 14, 15, 18, 19 preparato 6, 18 preparazione I prescrizione 4 prodotti (e sostanze) “puri e senza adulterazione né aggiunte” 1 profumo (buono) 17 proporzione 12 prova I, 19 pugno pieno (unità di misura) 19 quantità (una q. di pochi cucchiai) 11 q. piccola rispetto alla resina 11 radici 9, 19 raffreddamento 14, 18 r. lento (del miele) 6 r. lento (della pentola) 17 recipiente 14, 17, 18 r. “r. bucato, vale a dire un setaccio di rame” 17 r. con foratura finissima 5 r. chiamato “laveggio” 5 r. di creta (non smaltato) 7 r. di legno (non smaltato) 7 r. di terracotta 5 r. pulito 6, 17 r. puro, di legno (smaltato e con grasso) 7 r. puro, di piombo (smaltato e con grasso) 7 r. puro, di vetro (smaltato e con grasso) 7 r. smaltato di vernice “cioè swdrwm” 7 resine 1, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 18 r. “altre r. come queste” 8, 18 r. “o altre simili a esse” 11; “o altre simili a queste” 13; “e tutte quelle che sono ad esse simili” 13 r. da accendere e bruciare sul fuoco e non da sciogliere 16

Indice Integrato

r. cotte sul fuoco 18 r. “molta r. di pino” 15 r. sciolte sul fuoco da sole 13 r. sciolte e spremute 18 r. “scritte in precedenza” 14; “scritte più sopra” 11 r. sulle mani 13, 14 r. umide e morbide 11 ricerca medica I r. per produrre 8 r. studio e r. nei limiti della conoscenza 20 riposo (lasciare a r.) 5, 18 ripristino (funzione fisiologica) 7 riversamento 17 Rossano 4 rovina (veloce dell’elettuario) 5 sapienza 1 s. medica I schiuma 5, 11 sciroppo 20 scritto “come è s. più sopra” 9 “secondo la legge religiosa” 5, 14 “secondo la misura che stimerà” 12 “secondo la parola di Dio” I; “nella parola di Dio” 7 “secondo la sapienza dei medici” I “secondo lo studio dei saggi e l’insegnamento dei libri antichi” 1 “secondo la sua esperienza” 12 “secondo il suo peso (olio)” 6 sedimento 17 segno del sapere 17 semi 8 setaccio 1, 8 s. di rame 18 s. “recipiente bucato, vale a dire un s. di rame” 17 sostanze “o altre similari” 12 sosta (senza s.) 5 sostituzione (in s.) 15 sperimentazione 19 spezie 1, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 14, 15, 18

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s. cotte e spremute (gettar via) 17 s. “scritte in precedenza” 14; “sopra descritte” 6 spremitura 17 studio (profondo) I s. e ricerca nei limiti della conoscenza 20 succo “di una qualsiasi pianta od ogni cosa fusa” 6 s. umido e molto tenero 8 suchara* 7 sufficienza (a s.) 11, 12 swdrwm 7 tempo “per tutto il t. senza sosta” 5 tendini 17 traboccamento (del miele) 5 traspirazione 11 umidità (causa di malanno) 17 unguento I, 14, 17, 18, 19 u. per riscaldare e ammorbidire 17 u. “aumentata la forza dell’u. e la sua efficacia” 17 u. “come un u.” 14 utilità 7 venditore “(i v.) frodano e ingannano” 1 vino* 6, 7, 12, 13 virtù (ogni v. delle erbe) 17 vitalità (v. accresciuta) 7 vomito 2, 3

Finito di stampare nel mese di gennaio 2019 per conto di Edizioni Espera presso Via Cassia km 36,300 zona ind.le Settevene 01036 Nepi (VT)