Video d'artista. La video-arte dalle origini a oggi 8859607752, 9788859600000

Il video, per sua natura, si presta in modo particolarmente efficace ad un approfondimento metodologico su tutta l'

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Table of contents :
Presentazione - Tacconi, Cinzia
Congedo e avvio - Mazzanti, Anna
Incontro al contemporaneo : riflessioni sul ruolo e la funzione del mediatore - Gensini, Valentina
Il ruolo dei servizi educativi dei musei tra mediazione e formazione - Pica, Valeria
Inquiry : i vantaggi di un approccio dialogico alla didattica museale : intervista a Georgia Krantz - Bedarida, Raffaele
L’apertura che attraverso l'arte è esperibile : riflessioni aperte per una mediazione critica - Fucich, Michele
Propedeutica : in una didascalia è più importante il titolo o il materiale? - Galletti, Matilde
La dimensione performativa e relazionale della mediazione - Tolu, Eleonora
Progettazione di laboratori di mediazione sulla video-arte : struttura e proposte del corso - Gensini, Valentina
Incontro di introduzione alla video-arte -
R-evolution -
Parole in libertà -
Immagine-corpo -
Tematiche sociali -
Analisi di un gesto -
La città : Republika e Squipërisë ; Squipëria ; Albania -
Lullaby -
Dealing Whit 5+1 Obstructions -
L’esperienza del video - Pecchioli, Caterina
Autoritratto come territorio - Ricci, Moira
Strumenti di valutazione -
Biografie -
Bibliografia mediazione -
Bibliografia sulla video-arte -
Videografia ; Filmografia -
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Video d'artista. La video-arte dalle origini a oggi
 8859607752, 9788859600000

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PROPOSTE DI MEDIAZIONE PER L’ARTE CONTEMPORANEA

VIDEO D’ARTISTA la video-arte dalle origini a oggi

a cura di Valentina Gensini

Coordinamento scientifico ANNA MAZZANTI, Università di Siena Progetto a cura di VALENTINA GENSINI Coordinamento organizzativo ROBERTA PIERACCIOLI, ANNA LISA TOMEO, Settore Politiche Culturali, Comune di Massa Marittima MIRIA MAGNOLFI, CLAUDIA MORI, Direzione Musei Civici, Comune di Follonica DANIELA LEMBO, Ufficio Cultura, Provincia di Grosseto Mediatori DIEGO ALFANO, MICHELE FUCICH, MATILDE GALLETTI, CLAUDIA GENNARI, SERENA PACCHIANI, MARA PEZZOPANE, FRANCESCA ROSINI, FRANCESCA SANI, IRENE SBRILLI, ELEONORA TOLU Artiste tutor dei workshop CATERINA PECCHIOLI, MOIRA RICCI Promosso da REGIONE TOSCANA PROVINCIA DI GROSSETO COMUNE DI MASSA MARITTIMA CITTÀ DI FOLLONICA UNIVERSITÀ DI SIENA Copyright per i testi GLI AUTORI Redazione e coordinamento mediatori SERENA PACCHIANI Foto di copertina GIULIO PAOLINI, UNISONO, 1974. Still frame da video. Courtesy Archivio Giulio Paolini, Torino Grafica, realizzazione e stampa EDIZIONI POLISTAMPA, FIRENZE www.polistampa.com © 2011 Edizioni Polistampa Via Livorno, 8/32 - 50142 Firenze Tel. 055 737871 (15 linee) [email protected] - www.leonardolibri.com ISBN 978-88-596-0000-0

INDICE

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PRESENTAZIONE CONGEDO E AVVIO

Cinzia Tacconi Anna Mazzanti

CONTRIBUTI PER UNA RIFLESSIONE METODOLOGICA SULLA MEDIAZIONE 11 INCONTRO AL CONTEMPORANEO Valentina Gensini RIFLESSIONI SUL RUOLO E LA FUNZIONE DEL MEDIATORE 19 IL RUOLO DEI SERVIZI EDUCATIVI DEI MUSEI Valeria Pica TRA MEDIAZIONE E FORMAZIONE

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INQUIRY: I VANTAGGI DI UN APPROCCIO DIALOGICO ALLA DIDATTICA MUSEALE. Intervista a Georgia Krantz “L’APERTURA CHE ATTRAVERSO L’ARTE È ESPERIBILE” RIFLESSIONI APERTE PER UNA MEDIAZIONE CRITICA PROPEDEUTICA IN UNA DIDASCALIA È PIÙ IMPORTANTE IL TITOLO O IL MATERIALE? LA DIMENSIONE PERFORMATIVA E RELAZIONALE DELLA MEDIAZIONE

Raffaele Bedarida Michele Fucich Matilde Galletti Eleonora Tolu

MATERIALI DI UN’ESPERIENZA DI MEDIAZIONE SULLA VIDEO-ARTE 49 PROGETTAZIONE DI LABORATORI DI MEDIAZIONE Valentina Gensini SULLA VIDEO-ARTE: STRUTTURA E PROPOSTE DEL CORSO 61 67 70 74 78 84 90 95 105

INCONTRO DI INTRODUZIONE ALLA VIDEO-ARTE R-EVOLUTION PAROLE IN LIBERTÀ IMMAGINE-CORPO TEMATICHE SOCIALII ANALISI DI UN GESTO LA CITTÀ REPUBLIKA E SQUIPËRISË –SQUIPËRIA – ALBANIA LULLABY DEALING WHIT 5+1 OBSTRUCTIONS

WORKSHOP CON ARTISTA 112 L’ESPERIENZA DEL VIDEO 117 AUTORITRATTO COME TERRITORIO APPENDICE 119 STRUMENTI DI VALUTAZIONE 121 BIOGRAFIE 124 BIBLIOGRAFIA MEDIAZIONE 130 BIBLIOGRAFIA SULLA VIDEO-ARTE 133 VIDEOGRAFIA - FILMOGRAFIA

Caterina Pecchioli Moira Ricci

Presentazione

Questo nuovo quaderno – dopo Giardini d’artista. Percorsi nell’interdisciplinarità che ha inaugurato lo scorso anno questa piccola collana di esperienze didattiche – è il risultato delle riflessioni e delle pratiche scaturite dai laboratori di Video Arte realizzati nelle scuole della Provincia di Grosseto da mediatori specializzati, grazie ai finanziamenti di vari enti, soprattutto della Regione Toscana e della Provincia di Grosseto attraverso il Piano Integrato della Cultura 2009-2010. Il quaderno, elaborato durante tre densi anni di lavoro sperimentale – condotto da ricercatori, studiosi e studenti che si sono formati presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici dell’Università di Siena con il coordinamento e la cura scientifica di Anna Mazzanti – rappresenta uno degli ultimi resoconti e strumenti progettati e promossi all’interno di questo ricco progetto, che ha riscontrato i massimi punteggi nelle graduatorie dei progetti provinciali della Regione Toscana e di cui andiamo particolarmente fieri. L’intenso percorso progettuale sulla videoarte ha visto la sinergia di molti interlocutori e i suoi principali destinatari, le scuole, sono state protagoniste con gli studenti e gli insegnanti che si sono “fidelizzati” alle iniziative trovando in esse arricchimento, occasione di formazione per la propria professionalità e modi di crescita, attraverso nuova consapevolezza nell’ambito della contemporaneità. L’arte contemporanea, infatti, seppur meno nota rispetto ad altre espressioni artistiche è indubbiamente una presenza e una risorsa di rilievo nel territorio maremmano. Ciò è stato ampiamente dimostrato da questo progetto, che ha stimolato relazioni e connessioni con preminenze di rilevanza addirittura internazionale. Nel presentare questo documento, propositivo e spero utile, voglio quindi cogliere l’occasione di ringraziare, insieme alla Regione Toscana che lo ha finanziato, tutti quanti hanno condiviso questa esperienza formativa: i curatori, i mediatori, i destinatari dei progetti, le istituzioni pubbliche e le società che hanno cooperato e lo hanno sponsorizzato, fino agli esperti che hanno collabo5

rato alle ricerche, agli approfondimenti dei temi indagati e alla alta formazione dei mediatori. Questo piccolo volume ha la speranza – come tutto il progetto – di costituire un precedente per altre nuove proposte che traggano incoraggiamento e frutto da questa entusiasmante esperienza. Cinzia Tacconi Assessore alla Cultura Provincia di Grosseto

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Congedo e avvio

Ecco un nuovo quaderno per un diverso tema. Una seconda proposta che genera una collana e conferma una pratica di mediazione i cui esiti e riflessioni da essi scaturite sono qui raccolte. Tale pratica, modellata su argomenti diversi, comunque connessi al territorio, è finalizzata alla conoscenza di questo nei suoi aspetti poco conosciuti, o sconosciuti. Si è costruito, studiato con cura e coscienza, un metodo attivo di stimolazioni dinamiche, entrate nelle aule per accostare gli studenti ad argomenti spesso estranei alla programmazione didattica, attraverso rapporti extra-didattici introdotti dai mediatori-stimolatori. Per due anni e due cicli di formazione alcuni esperti del settore e spesso responsabili di istituzioni prestigiose sparse per l’Italia, Antonella Angeloro, Raffaele Bedarida, Valeria Ceruti, Stefano Filipponi, Carmine Fornari, Sandra Lischi, Silvia Lucchesi, Elena Marcheschi, Orsola Mileti, Valeria Pica, Alessandra Tempesti, Valentina Valentini, Elena Volpato, sono stati interlocutori dei nostri mediatori ed alcuni hanno contribuito a questo volume con ulteriori preziosi contenuti che certamente forniranno al lettore rilevanti spunti di riflessione. Dunque dopo tre anni intensi di progettazione didattica sperimentale direttamente applicata nelle scuole grazie alla volontà di insegnanti sensibili, aperti, che hanno molto spesso voluto fidelizzare la propria partecipazione e che ringraziamo vivamente per la fiducia e l’interesse accordato a questo progetto, permettendone la sua attuazione e generando un utile fondamentale feedback, son lieta di poter affermare che abbiamo favorito una buona pratica. E tutto ciò grazie ai tutor e progettatori affezionati ed entusiasti, oltre che competenti, come Barbara Campaner e Martino Margheri, in una prima fase (giardini d’artista), e Valentina Gensini in questa seconda dedicata alla video arte, ai quali va tutta la nostra gratitudine. Mi piace infine sottolineare che questo piccolo ma forbito volumetto si propone, si struttura come strumento di lavoro aperto ed estroverso, non dunque semplicemente compilativo e narrativo di un’esperienza trascorsa, ma 7

rivolto a tutti coloro che, siano insegnanti, siano operatori museali, di sezioni didattiche o di mediazione sull’arte contemporanea, intendano avviare esperienze affini, o magari trovandosi fra le dite questo testo – al quale auguro ampia circolazione e applicazione – possano sentirsi stimolati e incoraggiati verso un’esperienza del genere. Per concludere lo still frame proposto nella copertina, tratto dal video di Giulio Paolini Unisono (1974), prodotto nel laboratorio sperimentale di video arte art/tapes/22, attivo a Firenze negli anni Settanta, con la sua poetica proposta combinatoria, sovrapponendo velocemente molte opere dell’artista in un riuscito esito armonico, offre una metafora agli esiti del nostro progetto: dimostra una armonia generata, possibile, fra una dimensione “abituale”, quella della scuola e dei compagni, degli insegnanti, dei colleghi di studio universitari (per i mediatori provenienti dall’Università di Siena), e la dimensione “sconosciuta”, esperienziale, NON predefinita, non stabilita… colma di risorse. Anna Mazzanti Firenze, 5 maggio 2011

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Contributi per una riflessione metodologica sulla mediazione

Incontro al Contemporaneo Riflessioni sul ruolo e la funzione del mediatore Valentina Gensini

Nella Poetica1 Aristotele registra che il piacere estetico consiste nel riconoscimento: proviamo piacere di fronte a quanto riusciamo a riconoscere o meglio, diremo noi, a relazionare ad una struttura cognitiva che ci parla e che troviamo, in qualche modo, decodificabile. L’assunto aristotelico da cui parto ogni volta che parlo di mediazione ha potuto trovare molta forza nell’esperienza: incontrando persone e condividendo con loro l’approccio all’arte, si verifica quanto le modalità cognitive ed emotive attivate di fronte alle opere possano percorrere le vie più diverse, e quanto, in questi percorsi, il ‘riconoscimento’ costituisca un passaggio fondamentale. Un musicista può rimanere affascinato dalla traccia musicale di un video, aiutandoci a comprendere il senso ultimo dell’opera molto più di quanto potessimo immaginare; uno psicologo può rivelare sottili nessi semantici cui la critica ancora non era pervenuta rispetto ad un’opera d’arte; e così un medico, un panettiere, un danzatore, un programmatore, un bambino... i nessi con le opere sono infiniti, e ciascuno, a seconda delle propria abilità e del proprio bagaglio culturale, può comprendere o recepire elementi diversi dell’opera che si desidera analizzare. L’importanza di questo dato è la prima consapevolezza che il mediatore deve avere: ogni individuo ha una chiave personale di accesso all’arte, ed ognuno può iniziare a ‘riconoscere’ l’opera provando piacere in questo riconoscimento, ed attivando così il processo cognitivo. Il più grande dono che un mediatore – come anche un insegnante – può fare ai propri interlocutori, siano essi pubblico generico o allievi, è renderli consapevoli della loro autonoma capacità di lettura dell’opera. Lo spiega in modo illuminante il filosofo Jacques Rancière nel piccolo, portentoso libretto in cui, ben prima della formulazione teorica dello spettatore emancipato2, racconta la meravigliosa storia di Joseph Jacotot3, maestro che 1 2

Aristotele, Poetica, 48 b 17. J. Rancière, Le espectateur émancipé, La Fabrique éditions, Paris 2008. 11

nella prima metà del XIX secolo osò insegnare agli allievi ciò che lui stesso non sapeva, prodigiosamente capace di instaurare con loro una relazione maieutica portatrice di frutti straordinari sia da un punto di vista dell’avventura intellettuale condivisa con gli studenti, sia dal punto di vista della efficacia, con risultati sorprendenti riguardo all’apprendimento se comparati con quelli ottenuti tramite altre metodologie del tempo. Primo obbiettivo della mediazione, dunque, sarà quello di aiutare l’interlocutore ad acquisire fiducia nella propria capacità di intellegere e produrre significato, di interpretare un testo scritto o visivo, di relazionarsi all’alterità che l’opera d’arte costituisce e che è aperta4 a molteplici letture ed ordini di senso. Il mediatore emancipa e spinge il soggetto all’autocoscienza; non impartisce mai nozioni, poiché “chi insegna senza emancipare abbrutisce. E chi emancipa non deve preoccuparsi di ciò che l’emancipato debba o non debba apprendere. Apprenderà ciò che vorrà, forse anche nulla. Saprà però di poter apprendere […]”5. È proprio questo il dato interessante: lasciare al fruitore l’autonomia della riflessione, e aiutarlo a trovare in sé la certezza di possedere gli strumenti per relazionarsi a qualunque esperienza cognitiva. Se il mediatore fosse così bravo da riuscire sempre in questo intento, offrirebbe alle persone che incontra uno strumento insostituibile per le loro esperienze future. Proprio per questo il mediatore sceglie e costruisce un contesto di lavoro non gerarchico, ponendosi in maniera non frontale, usando forme di dialogo orizzontali e aperte, in cui il gruppo lavora a nuove formazioni di senso. Nel gruppo di lavoro, per lo stesso principio, non esisteranno gerarchie: il contributo dato da soggetti di varia provenienza culturale, religiosa, sociale, ed appartenenti a contesti assai differenti per reddito, professione, formazione, forma mentis, sarà ugualmente utile ed ugualmente tenuto in considerazione dal gruppo stesso. Per questo la mediazione aiuta molto la coesione degli studenti all’interno di una classe, ed è una fantastica esperienza di trasversalità per adulti sconosciuti e diversi tra loro che si trovino a condividere un’esperienza insieme6. 3

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J. Rancière, Le Maître ignorant: Cinq leçons sur l’émancipation intellectuelle, Fayard, Paris 1987 (ed. it., Il maestro ignorante, Mimesis, Milano, 2008). Il concetto di ‘opera aperta’ del resto appartiene alla critica d’arte e alla semiotica da decenni, basti citare opere di Eco quali Opera aperta e Lector in fabula, in cui l’universo semantico dell’opera, lungi dall’esistere come dato inconfutabile, è aperto a molteplici letture ma anche ‘aggiunte’ di senso derivanti dal’osservatore attivo. Si veda U. Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee (1962), Bompiani, Milano 2000. E, dello stesso autore, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi (1979), Bompiani, Milano 2002. J. Rancière, Il maestro ignorante, cit., p.48. Dati particolarmente interessanti vengono da esperienze come la mediazione con le comunità di immigrati, non solo coinvolti come fruitori ma anche formati come mediatori: e’ il caso della Gamec di Bergamo. Si veda G. Brambilla Ranise, Intercultura e mediazione: l’esperienza della

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L’operazione maieutica del mediatore – che la letteratura anglo-americana chiama Inquiry – procede per ipotesi e domande, in una dimensione dialettica e di indagine, che mette il pubblico e l’utente al centro dell’attenzione, rifiutando l’idea di una massa indeterminata di spettatori inerti, per invitarli al centro dell’esperienza estetica. Analogamente, il dibattito sulla natura stessa di musei e centri d’arte si sta aggiornando attraverso continui ripensamenti rispetto alle funzioni e alle modalità attraverso cui il museo deve vivere, porsi e proporsi7. Negli anni Novanta le riflessioni di impronta ermeneutica e post-strutturalista lasciavano il campo alla Critical Theory, quindi al Costruttivismo, per cui il soggetto, conoscendo, genera proprie modalità di apprendimento e condiziona il sistema stesso cui si relaziona. L’attenzione alla dimensione estetica come esperienza fondante la dimensione culturale e di crescita di un individuo, già discussa da Dewey nel tentativo di ricongiungere la «continuità dell’esperienza estetica con i processi normali di vita»8, vedeva nuovamente al centro la phronesis aristotelica, riconsiderata da Hans Gadamer in Verità e metodo 9 come la capacità ponderata di tradurre il giudizio in azione. Si trattava di comprendere come le eterotopie foucaultiane10 si traducessero in luoghi in cui prendessero forma nuovi paradigmi cognitivi o dispositivi11. Se il costruttivismo promuove il situated learning, nel post-costruttivismo il mediatore è chiamato a predisporre “dispositivi che forniscano una paraskeue (equipaggiamento), una sorta di preparazione, aperta e insieme finalizzata, dell’individuo agli eventi della vita, ben sapendo che nessun dispositivo determinerà mai in modo meccanico un apprendimento. I dispositivi vedono la presenza di differenti metodologie (ovvero sono presenti anche processi di istruzione) e in essi il molteplice, caratteristica epistemologica del presente, viene attraversato con percorsi flessibili e pluriprospettici, in cui il

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GAMeC di Bergamo, “Antropologia Museale”, anno 7, numero 20/21, autunno/inverno 2008, pp. 29-31; e, in generale, M. Bolla e A. Roncaccioli (a cura di), Il museo come promotore di integrazione sociale e scambi culturali, atti del convegno (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 3 marzo 2007), Comune di Verona – Direzione Musei d’Arte e Monumenti, Verona, 2007. Si veda, ad esempio, un’antologia sul dibattito internazionale proposta da Ribaldi, C., (a cura di), Il nuovo museo. Origini e percorsi, vol. I, Il Saggiatore, Milano 2005. J. Dewey, Arte come esperienza (1934), Aestetica Edizioni, Palermo, 2007, p. 37. H.G. Gadamer, Verità e Metodo (Wahrheit und Methode, 1960), Bompiani, Milano 1983. M. Foucault, Utopie e Eterotopie (Utopies Et Hétérotopies, 1966), Cronopio, Napoli 2004. Sul significato di “dispositivo” in termini didattico-pedagogici si veda la definizione di Perrenoud, 2002; Damiano, 2006; Calvani, 2007: “Con il termine “dispositivo” non ci riferiamo solo a strumentazioni fisiche, ma anche ad apparati culturali, concettuali e normativi: un programma di azione, una strategia didattica, una griglia di lavoro al pari di un’interfaccia software sono ugualmente dispositivi, cioè supporti per orientare le dinamiche acquisitive”. A. Calvani, Fondamenti di didattica, Erikson, Trento 2007, p.18. Sul concetto più esteso di dispositivo in relazione alla gestione del potere si veda anche G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006. 13

soggetto possa saggiare l’essere in azione e la riflessione sull’azione stessa”12. Il post-costruttivismo dunque procede non per contrapposizione, ma per risignificazione e finalizzazione degli assunti del costruttivismo. Pur riconoscendo, come il costruttivismo, un’interazione fondamentale tra il soggetto che conosce e l’oggetto della conoscenza, in un processo interattivo che modifica sia l’osservatore che l’osservato13, il post-costruttivismo sente l’esigenza di articolare il processo dell’apprendimento secondo modalità organiche. L’operazione della mediazione, anti-gerarchica in sé, prevede che il mediatore non si ponga frontalmente, come “colui che sa”, ma orizzontalmente, come colui che vuole esperire – con gli altri e al pari degli altri – l’opera d’arte. Allo stesso tempo questa esperienza condivisa dovrà essere ‘guidata’ e sollecitata in modo stimolante e molto consapevole. Con Rancière ricorderemo che “lo spirito, l’alleanza della volontà e dell’intelligenza, conosce due modalità fondamentali, l’attenzione e la distrazione. […] Il distratto non vede perché dovrebbe fare attenzione. La distrazione è innanzitutto pigrizia, desiderio di sottrarsi allo sforzo. Ma la pigrizia stessa non è il torpore della carne, bensì l’atto di uno spirito che misconosce la propria potenza. La comunicazione ragionevole – e con essa la mediazione, diremo noi – si fonda sull’eguaglianza tra la stima di sé e la stima degli altri”14, nel rispetto di una pluralità, “diversità” ed “uguaglianza delle intelligenze”15. Questa rimessa al centro della responsabilità del fruitore è molto importante e restituisce protagonismo e consapevolezza allo spettatore emancipato. Esperienza collettiva, la mediazione intesa alla luce dell’incontro tra intelligenze di pari possibilità e pari diritti facilita il senso di aggregazione e di collettività. In questo senso è intesa come operazione da poter compiere nel museo, ma anche fuori del museo, nella città, nelle comunità, nelle scuole. La mediazione predilige l’opera d’arte fisicamente presente, ma questo non è un dato indispensabile, visto che parliamo di una pratica cognitiva adattabile a qualunque situazione. Unico presupposto è il fine ultimo che si prefigge, ovvero quello di un’esperienza forte e arricchente capace di avvicinare il pubblico all’arte. La stessa finalità di un mediatore dovrebbe essere condivisa dai direttori dei musei, i curatori delle mostre, gli artisti, e tutti i professionisti del mondo dell’arte quali museologi e museografi: come il museo, la mediazione opera in quello

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P.G. Rossi, L. Giannandrea, P. Magnoler, Mediazione, dispositivi ed eterotopia. Dal situated learning al post-costruttivismo, “Education sciences & Society – Formazione e Società”, vol.I, n.1, 2010, pp.101-116: pp.113-14 Cfr. E.G. Guba, Y.S. Lincoln, Competing paradigms in qualitative research, in N.K. Denzin, Y.S. Lincolarch (a cura di), Handbook of Qualitative Research, Thousand Oaks, CA: Sage Publications, 1994, pp.105-117. J. Rancière, Il maestro ignorante, cit., p. 98. Ivi, p.65.

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spazio ideale di conoscenza ed esperienza che sta tra l’opera e l’osservatore come entità significata e significante anch’essa. L’azione del mediatore si colloca nel sottile, infinito spazio intellettuale analogo a quello che Baxandall individua tra cartellino/etichetta e opera d’arte/oggetto artistico esposto: “Space (intellectual) exists between label (in its extended sense) and artifact because the label is not directly descriptive of the object”16. È lì, è in quello spazio intellettuale che non si appaga di un nome ed un titolo, che non si accontenta di vedere ma vuole guardare ed indagare; in quello spazio intellettuale pieno di domande aperte ad infinite risposte, lì alberga il senso della ricerca umana intorno all’arte, e solo lì il mediatore può investire la propria funzione, considerando l’opera d’arte il principio e il fine ultimo delle pratiche messe in atto. Non vi è altro. Negare l’opera ‘usandola’ come pretesto per un laboratorio divertente, magari anche avvincente, significa tradire le proprie premesse culturali ed etiche. Credo che questo aspetto vada ricordato e che noi mediatori dobbiamo soffermarci a lungo su questa riflessione. Mentre costruivamo i laboratori, domandavo continuamente agli studenti mediatori se le loro proposte e le loro ipotesi ‘tradivano’ l’opera oppure la interpretavano, mettevano in gioco il pubblico – nel nostro caso scolastico – spingendolo ad una relazione con l’opera, oppure la utilizzavano quale pretesto per costruire un percorso ‘altro’. Molti mediatori, infatti, partono dall’opera per giungere ovunque la loro immaginazione li conduca. L’opera è dunque un mezzo, e non un fine. Pur nel massimo rispetto di queste pratiche, non sono d’accordo con chi esercita questo tipo di mediazione, perché credo che trascurare il rigore porti ad abusare della propria figura. In alcuni contesti mitteleuropei la mediazione si spinge alla performance e rivendica essa stessa autonomia performativa. Anche in questo caso non sono d’accordo. Credo che l’operazione del mediatore debba consistere in un intervento maieutico che avvicini il pubblico all’universo semantico dell’opera d’arte; il mediatore dunque è tanto più bravo quanto più in grado di essere una presenza ‘sottile’, in grado di affiancare e stimolare l’osservatore – sia esso studente o adulto – per fargli superare il limen, la soglia attraverso la quale si incontra l’opera in modo più o meno profondo, secondo infiniti livelli di lettura, ma comunque su un piano di relazione creativa. Il protagonismo del mediatore, laddove si lanci in performance di vario tipo, crea invece un sistema gerarchico che non favorisce l’incontro con l’opera, ma che sposta l’attenzione sul mediatore stesso e sulla sua ‘attorialità’, che rappre-

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M. Baxandall, Exhibiting intention: some Precoditions of the Visual Display of Culturally Purposefull Objects, in I. Karp, S.D. Lavine, (a cura di), Exhibiting Cultures: the Poetics and Politics of Museum Display, Smithsonian Istitute Press, Washington& London,1991, pp.33-41: p.38. “Esiste uno spazio – intellettuale – tra il cartellino – nel senso lato –, e l’opera d’arte perché il cartellino non descrive direttamente l’oggetto”. 15

senta un mezzo valido solo se utilizzata come strumento momentaneo finalizzato ad altro, ovvero al ritorno circolare all’opera. Qualunque cosa accada lungo il percorso di mediazione, sono dell’avviso che sia opportuno tornare all’opera affinché l’esperienza sia incisiva e coerente con le proprie premesse. Al fine di concepire in modo migliore possibile un formato, il mediatore dovrà ogni volta studiare in modo approfondito i contenuti su cui lavora e immaginare nuovi dispositivi e sollecitazioni. Se molto spesso la mediazione viene giustamente letta come preziosa occasione di lifelong learning capace di offrire stimoli importanti ad adulti, anziani, disabili che da tempo hanno interrotto ogni processo di aggiornamento e formazione, il mediatore per primo adotta il concetto del lifelong learning. Il mediatore fa auto-formazione e formazione di gruppo, secondo il principio del community learning su cui si basa la mediazione stessa: sarà il gruppo di mediatori a riunirsi per studiare insieme, scambiarsi informazioni bibliografiche, resoconti e relazioni di esperienza, consigli, per poi formulare strategie di lavoro condivise che pongano continuamente nuovi obbiettivi da raggiungere. Dunque il momento della formazione resta fondante lungo tutto il percorso professionale del mediatore, e si articolerà su una conoscenza che, di volta in volta, approfondisce e ridisegna: i contenuti del museo, della mostra o del laboratorio in corso; le biografie e il corpus di opere degli artisti considerati; lo sguardo sulle opere, che vanno affrontate con un’appropriata consapevolezza storico-critica; una valutazione dell’opera nel micro-contesto proposto (sala/allestimento/ambiente ecc.), e nel macro-contesto in cui si trova, laddove per macro-contesto si intende sia la struttura stessa (museo/centro d’arte/galleria/kunsthalle/aula scolastica/dimensione urbana/altro), sia la struttura semantica all’interno della quale viene inserita l’opera: una mostra, un festival, una biennale, un seminario scolastico. Ci si porranno dunque domande fondamentali: accanto a quali altre opere è esposto il nostro testo? In che sequenza? Qual’è il discorso del curatore? Quale luogo e significato acquisisce l’opera all’interno del contesto dato? Se ci troviamo in incontri seminariali sulla video-arte ‘portati’ nelle scuole, come nel nostro caso, quale sequenza proporremo rispetto alle opere? Come introdurremo il tema e come arriveremo a scendere al rapporto diretto con un video? Sappiamo bene come una stessa opera, posta in diverso contesto, possa cambiare di segno semantico. Intorno ad una situazione data, come nel caso di mostre o allestimenti museali in cui non è stato coinvolto17, il mediatore ha

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In Italia, purtroppo, i mediatori sono raramente chiamati ad investire le proprie competenze nell’allestimento e nella strutturazione dei percorsi, unicamente gestiti da curatori e museologi. Questo aspetto è molto limitativo, perché il mediatore, conoscendo bene le modalità di fruizione delle opere e le difficoltà del pubblico, può essere una fonte di esperienza e di aiuto fondamentale nell’allestimento di percorsi espositivi. Ringrazio Barbara Campaner per avermi introdotta a questa visione “allargata” e dinamica delle competenze del mediatore.

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diritto di mantenere un’autonomia di pensiero. Se egli è tenuto a conoscere a fondo l’idea curatoriale a monte dei progetti, credo sia giusto che mantenga un’autonomia critica rispetto ad essa, e che possa condividere i suoi pensieri con il pubblico che incontra. Al fine di strutturare formati e proposte stimolanti, la ‘composizione’ di un gruppo di mediatori deve essere più complessa e variata possibile: diversamente da quello che la nostra cultura ci porterebbe a pensare, non sono sufficienti gli storici dell’arte. Ad un buon gruppo occorrerà, invece, una coesistenza di abilità più ampie possibile, in cui si auspica la presenza di storici dell’arte, museologi, architetti museografi, pedagogisti, psicologi, grafici, professionisti della comunicazione, ma anche attori, performer, danzatori, pittori, ed in genere artisti abituati ad usare il corpo e a leggere/facilitare relazioni con opere di tipo performativo/relazionale,18 per non parlare di opere partecipative. Lo stesso artista, in effetti, può operare come eccellente mediatore, come testimoniano pratiche tra di loro molto differenti tra cui l’impiego di molti artisti nei dipartimenti educativi degli Stati Uniti, (primo fra tutti Pablo Helguera, Director of Adult and Academic Programs del Dipartimento Educativo del MoMA). Lo riconosce, da un punto di vista filosofico, Rancière, per cui “la lezione emancipatrice dell’artista, diametralmente opposta alla lezione abbrutente del professore, è questa: ciascuno di noi è artista nella misura in cui effettua un doppio procedimento – non si contenta d’esser uomo di mestiere ma vuol fare di ogni lavoro un mezzo d’espressione; non si contenta di avvertire qualcosa ma cerca di far condividere”19. L’artista, del resto, non è solo mediatore nel suo lavoro presso i dipartimenti educativi dei musei, ma può esserlo – e spesso lo è – anche al di fuori di un contesto ‘educativo’: basti pensare a progetti complessi come e-flux video rental20, Unitednationplaza (“exhibition as school”)21, o Martha Rosler library22, tutte importanti occasioni in cui artisti come Anton Vidokle, Liam Gillick, Martha Rosler, hanno progettato piattaforme aperte di fruizione e relazione basate su principi fondanti la mediazione. L’interesse delle pratiche artistiche e curatoriali nei confronti della mediazione è testimoniato da un testo molto interessante recentemente pubblicato dal De Appel Arts Centre di Amsterdam: Curating and the

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Si veda N. Borriaud, Esthétique relationelle, Les presses du réel, Paris 1998 (trad. it. L’Estetica relazionale, Postmedia Books, Milano 2010). Borriaud definisce l’estetica relazionale nell’ambito di tutte quelle pratiche che, a partire dagli anni Novanta, costruiscono la propria ragion d’essere nella relazione tra soggetti, e dunque tra artista e pubblico, o pubblico e pubblico, come Angela Bulloch, Liam Gillick, Dominique Gonzalez-Foerster, Carsten Höller, Rirkrit Tiravanija. J. Rancière, Il maestro ignorante, cit., p.92. Si veda http://www.e-flux.com/shows/view/3956 Si veda http://www.unitednationsplaza.org/

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Educational Turn, a cura di Paul O’Neill e Mick Wilson23, che non a caso accoglie testi di Anton Vidokle e Liam Gillick accanto a testi di critici, curatori, professori universitari e direttori di Dipartimenti educativi. Questo testo riassume due dati importanti: da un lato all’interno di pratiche legate all’educazione ruoli predefiniti lasciano il posto a figure professionali ibride e aperte a contaminazioni all’insegna di una buona pratica; dall’altro emerge con forza quanto curatori, artisti e operatori didattici sono indistintamente interessati al campo della mediazione e dell’educazione, senza dubbio al centro del dibattito critico contemporaneo.24

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Si veda http://www.e-flux.com/projects/library/ Curating and the Educational Turn, a cura di Paul O’Neill, Mick Wilson, Open Editions/De Appel Arts Centre, Amsterdam 2010

La bibliografia sulla mediazione a conclusione del libro, seppur breve e selezionata, vuole costituire un compendio sintetico della ricchezza del dibattito critico in corso. A tale proposito di veda anche il testo AA.VV., Rethinking Contemporary Art and Multicultural Education, Routledge, New Museum of Contemporary Art, New York 2011.

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Il ruolo dei servizi educativi dei musei tra mediazione e formazione Valeria Pica

Il sistema dei musei in Italia prevede che il servizio educativo, preposto alla conoscenza e alla valorizzazione delle collezioni e del patrimonio culturale, possa essere posto sotto l’egida di differenti organi secondo la tipologia e la struttura dell’istituto museale. L’ingresso dei privati nell’organizzazione delle attività di accoglienza1 ha reso possibile anche l’esternalizzazione di tale ambito, per cui il servizio educativo può essere gestito dal museo stesso (che sia autonomo, legato alla soprintendenza o che faccia parte di un polo museale) o affidato a cooperative. Una differenza sostanziale, in particolare per i musei nazionali, risiede nelle competenze che il Mibac conferisce al singolo istituto in seguito alle delibere rese pubbliche dall’ultima riforma e dalle sue successive modifiche. Tali norme hanno determinato un sensibile cambiamento della struttura e del funzionamento del settore, evidente soprattutto nel campo dell’autonomia decisionale e finanziaria2 che determina forti ripercussioni sul lavoro dei vari uffici dei musei e anche nel servizio educativo. Il polo museale dovrebbe prevedere una maggiore autonomia d’azione in virtù del fatto che i musei afferenti a quel nucleo sono omogenei ed il personale che opera nel servizio educativo dovrebbe poter lavorare più agevolmente nella gestione delle attività; nel caso della soprintendenza il numero e la tipologia di musei possono risultare molto vari, anche perché generalmente questo organo ministeriale abbraccia più provincie del territorio e, quindi, si trova a fronteggiare realtà molto diverse tra di loro; nel caso del museo autonomo la gestione del servizio educativo si concentra prevalentemente sul museo e sull’impiego delle collezioni del singolo istituto. Da questa prima osservazione si comprende che l’universo oggetto di studio è molto complesso e rispecchia una delle caratteristiche principali dei musei, vale

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Legge n°4/93 (Ronchey) e sui adeguamenti. Per un approfondimento della struttura ministeriale e dei conferimenti di competenze si rimanda a G. Severini, Musei pubblici e musei privati: un genere, due specie, Aedon 2/2003; S. Bonini Baraldi, La riforma del ministero tra “giuridificazione” e “ managerializzazione”, “Aedon”, 1/2007. 19

a dire la loro specifica identità e peculiarità. Ogni istituto, infatti, costituisce il risultato di un’evoluzione storica e di una modalità di costituzione unica rispetto agli altri, per questo motivo ciascuno presenta caratteristiche uniche e difficilmente paragonabili se non creando delle categorie di indagine molto ampie. Ciò emerge anche nello studio delle attività proposte dai singoli servizi educativi che predispongono ed offrono percorsi, laboratori ed incontri tagliati sulla collezione e sul singolo museo. Un altro elemento di discrimine, per quanto riguarda le attività dei musei nazionali, risiede nel luogo in cui l’istituto è ubicato dato che la struttura architettonica può influenzare una serie di attività e di approcci alla didattica nel museo. Solo una minima parte degli edifici che ospita un museo è stata costruita con questo fine, mentre una percentuale considerevole è stata riprogettata e riadattata allo scopo di esporre opere3. Tali spazi, seppur suggestivi e imponenti, non sempre sono idonei alla strutturazione e creazione di percorsi museali, limitando in alcuni casi sia la libertà di movimento che la mera accessibilità alle collezioni. Il tema dell’accessibilità è particolarmente delicato in relazione ad alcune tipologie di pubblico cui i musei si stanno aprendo e il riferimento è diretto in particolar modo al pubblico disabile, di adulti e anziani, che costituisce una significativa percentuale di visitatori. Garantire o adeguare l’accessibilità negli edifici storici richiede un adeguamento delle strutture e dei supporti che non sempre si manifesta in una proposta alternativa di percorsi o di attività educative che sopperiscano i limiti dovuti alla percorribilità degli ambienti. Per accessibilità non si intende esclusivamente quella fisica agli ambienti, ma anche l’accessibilità conoscitiva fornita da un apparato informativo e didattico adeguato alle esigenze dei pubblici. Alcuni musei hanno una propria capacità attrattiva e sembra che non necessitino di alcuna mediazione, ma il visitatore medio non sempre dispone di conoscenze dettagliate e sufficienti che gli permettano di decodificare il messaggio del museo. Come è emerso anche da indagini svolte in passato sulle modalità e la qualità dell’accoglienza nei musei, si possono verificare delle asimmetrie informative per le quali “il museo viene […] visitato in quanto Museo, cioè istituzione a cui viene riconosciuto un ruolo sociale ed una precisa legittimazione nel campo storico, artistico e culturale. Quello che il visitatore può essere più facilmente in grado di valutare è l’eventuale presenza di servizi […] ritenuti di importanza fondamentale per una efficace fruizione museale”4. I servizi cui si fa riferimento sono quelli inseriti nell’accoglienza all’in-

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Spesso si tratta di residenze nobiliari o conventi, fortezze, caserme, castelli che, per via fideiussoria o per lasciti e donazioni, sono giunti nelle proprietà dello Stato e, quindi, aperti al pubblico con l’inaugurazione del museo. L. Solima, A. Bollo, I musei e le imprese. Indagine sui servizi di accoglienza nei musei italiani, in “Notiziario”, n.71-73, 2003, p. 78.

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gresso del museo5 che sicuramente coadiuvano la visita e contribuiscono alla costruzione di un’esperienza positiva presso l’istituto museale, ma non sono portatori di valori aggiunti. Il lavoro svolto dai servizi educativi, invece, verte sulla preparazione e la realizzazione di un’esperienza che non sia solo estetica o emotiva, ma profondamente educativa e articolata su molteplici livelli per l’attivazione e rielaborazione di conoscenze pregresse o maturate in loco che siano da volano all’acquisizione e allo sviluppo di nuove competenze6. Alcuni degli aspetti che un servizio educativo dovrebbe curare sono relativi sia all’ambito museologico che museografico, interessando aspetti legati alla costruzione del significato in forma verbale e visiva. In un servizio educativo dovrebbero lavorare di concerto differenti professionalità mettendo a disposizione del museo attività multidisciplinari che arricchirebbero e implementerebbero l’offerta formativa e didattica. Sono elencati di seguito alcuni punti7 ricorren5

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Nello specifico si considerano il guardaroba, le audioguide, la prenotazione, la libreria, il punto di ristoro e tutto ciò che è accessorio alla visita museale e che rientra in genere nelle competenze dei servizi aggiuntivi. J. Dewey, Arte come esperienza (1934), Aesthetica edizioni, Palermo, 2007. I punti cui si fa riferimento sono parzialmente tratti dalla Carta dei servizi redatta del Servizio educativo del MANN (Museo archeologico nazionale di Napoli). Il primo punto riguarda interventi informativi, sui contenitori o sui contenuti, effettuati con strumenti diversi e destinati al pubblico generico prima che questo acceda fisicamente al museo o al monumento. Nella preinformazione si possono far rientrare le pubblicazioni tradizionali, l’editoria elettronica, l’informazione diffusa attraverso la rete internet o mediante l’operato degli uffici stampa, la pubblicità vera e propria, nonché gli interventi destinati a utenti precisamente identificati: come la scuola, raggiungibile capillarmente con messaggi di richiamo, programmi di attività, testi e sussidi messi a disposizione prima della visita, gratuitamente o a pagamento. L’accoglienza e prima informazione ai visitatori è fornita attraverso la stesura di apparati informativi snelli e di facile lettura, quali brochures e volantini, ma anche con la disponibilità di mappe orientative e redatte in modo da rendere agevole la percorrenza nel museo, in particolar modo se si tratta di un grande istituto con numerose sezioni che necessitano una legenda per la corretta fruizione. A questo ambito si affianca quello della segnaletica, in quanto la sua efficacia e qualità contribuiscono, e in modo rilevante, a porre il visitatore nelle migliori condizioni per fruire dei contenuti e delle iniziative. La segnaletica serve all’orientamento all’interno delle sale, ma anche a facilitare la permanenza con le indicazioni dedicate ai servizi essenziali, ed in presenza di pubblici con scarsa capacità motoria sono fondamentali per indicare percorsi con o senza scale e la presenza eventuale di ascensori che permettano la visita in tutti gli ambienti del museo. Alcuni musei prevedono anche una segnaletica specifica per i bambini, in modo che la loro curiosità sia catturata da una grafica mirata e che anche per loro la visita al museo risulti gratificante. L’allestimento è materia specifica dei museografi, ma un buon lavoro multidisciplinare, in cui esperti di vari ambiti possano far emergere e rendere evidenti i significati di una data collezione e di un dato museo, è auspicabile anche nella prospettiva di creare un messaggio coerente, facilmente interpretabile e allo stesso tempo efficace. In molti casi la creatività e l’estro di alcuni architetti rende la scenografia invasiva e anziché far risaltare le opere le appanna e le spegne. Per tale ragione anche la scelta dei colori degli allestimenti, dei contrasti che si creano tra le opere esposte – siano esse sculture, dipinti o altri oggetti – e lo sfondo dovrebbe essere concordato con i responsabili della comunicazione del museo.

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ti che riguardano in modo generale l’attività da svolgere: PRE-INFORMAZIONE ACCOGLIENZA E PRIMA INFORMAZIONE DEI VISITATORI SEGNALETICA ALLESTIMENTO INFORMAZIONI DISPONIBILI ALL’INTERNO E ALL’ESTERNO DEL PERCORSO ESPOSITIVO INIZIATIVE CULTURALI COERENTI CON I CONTENUTI DEL MUSEO INIZIATIVE NON COERENTI CON I CONTENUTI DEL MUSEO DOCUMENTAZIONE UTILIZZABILE DOPO LA VISITA

Probabilmente l’aspetto più delicato del lavoro di cui il servizio educativo si occupa risiede nel curare la comunicazione testuale, innanzitutto perché di solito non si ha un pubblico di riferimento preciso ma ci si rivolge al visitatore generico. Il livello di complessità del discorso richiede un’attenzione ed un’abilità nello scegliere i termini più idonei senza tradire il linguaggio specialistico del museo, ma adeguandolo alle possibili conoscenze di base del pubblico. Sono utilizzati all’interno del percorso espositivo diversi strumenti che creano una sorta di gerarchizzazione delle informazioni procedendo da quelle essenziali fino a quelle più complesse e articolate. Nello specifico si può iniziare dal pannello espositivo che fornisce informazioni storiche e di contesto generale sulle opere esposte in una determinata sala, informazioni che servono soprattutto a creare una coerenza tra oggetti che di frequente sono provenienti da ambiti geografici e sociali diversi. In questo caso il pannello di sala tende a svelare il fil rouge che collega tutte le opere per porre le basi di una conoscenza più approfondita che può essere ulteriormente arricchita da altre informazioni offerte dalle didascalie e dalle carte di sala. Le prime sono delle vere e proprie carte d’identità delle opere, in cui oltre al titolo e al nome dell’autore (ove conosciuti), in genere sono presenti la data, la provenienza e la tecnica8. Alcuni di questi elementi possono essere approfonditi nelle carte di sala che, grazie ad un apposito richiamo del testo, possono fornire ulteriori dati sull’opera (se la sua storia ha delle caratteristiche di singolare interesse), sull’autore (per delinearne meglio il percorso di formazione e l’eventuale influenza esercita su altri artisti) e soprattutto sulle tecniche che risultano essere di grande interesse e di più semplice approccio per comprendere un’opera. Supporti multimediali o strumenti didattici possono inoltre aiutare la comprensione e la conoscenza di un determinato aspetto, sviluppando le competenze nel visitatore.

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Molto spesso nelle informazioni presenti sulla didascalia viene riportato anche il numero di catalogo o di inventario, elemento che tradisce una attitudine del passato che rivendicava quelle informazioni ad uso degli esperti o degli studiosi; è, però, evidente che tale specifica non fornisce una conoscenza diretta e non aggiunge tasselli per costruire il messaggio complessivo del museo né delle singole opere.

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Al servizio educativo è generalmente affidata l’ideazione e la realizzazione di iniziative culturali che possono essere o meno coerenti con i contenuti del museo. Nel primo caso ci si riferisce a mostre tematiche temporanee che prendono spunto da una collezione, da un artista o da un soggetto di particolare interesse attorno al quale si costruisce un’offerta culturale mirata. Questo tipo di iniziative e attività ha una correlazione stretta con le collezioni e può determinare una ricaduta positiva sull’immagine del museo e sulla possibilità di fidelizzare il pubblico, nel caso in cui l’offerta rispecchia criteri di serietà e godibilità che invoglino il pubblico a ritornare anche in futuro. Ci si può anche riferire a incontri a tema legati all’approfondimento di un argomento come ad esempio gli Incontri di archeologia del Museo archeologico nazionale di Napoli o le letture di singole opere d’arte effettuate da storici dell’arte presso la Galleria degli Uffizi di Firenze. Si tratta, infatti, di iniziative volte alla creazione di un senso di appartenenza al museo e di partecipazione collettiva ad un evento legato al proprio territorio. Un altro aspetto che alcuni servizi educativi perseguono, sempre con l’intento di fidelizzare e far affezionare il pubblico al museo, è relativo alle iniziative non coerenti con i contenuti del museo. In questo senso si intende tutto ciò che non ha una relazione diretta con le collezioni, ma che genera interesse e adesione spontanea come ad esempio concerti, lecturae magistrales, spettacoli teatrali, ricevimenti ecc. Queste attività, seppur lontane dallo spirito educativo e formativo del museo, possono costituire un bacino di riferimento e suscitare un potenziale interesse per visitare il museo. Sono iniziative nate con l’intento di promuovere il museo come istituto di cultura e come luogo delle arti in cui non sono presenti esclusivamente collezioni da “non toccare”, ma dove si possano coltivare interessi molteplici ed arricchire la propria formazione culturale. La documentazione utilizzabile dopo la visita è intesa come ogni materiale didattico destinato al pubblico, in particolar modo scolare, che si ponga l’obiettivo di fissare e completare l’esperienza cognitiva. La funzione di materiali didattici così concepiti risiede nella possibilità di memorizzare e assorbire concetti nuovi nell’ottica platonica del ricordo come mezzo di apprendimento9. Attraver9

L’intreccio tra memoria e conoscenza viene considerato da Platone nel Teeteto in cui si esprimono i concetti di eikon (immagine) e tupos (impronta) mediante la metafora del blocco di cera. L’anima è intesa come un blocco di cera la sua dimensione la sua qualità determinano la possibilità di ricordare in modi differenti. Platone sostiene che i ricordi siano come impronte che cesellano la cera e quando si ricorda qualcosa l’azione che si svolge è proprio il richiamo di queste tracce verificando poi se quanto ci è presente corrisponda o meno all’impronta nella memoria. Le impronte, però, non sono permanenti e l’oblio tende a cancellare le tracce o a modificarne l’assetto. La conoscenza si basa quindi sulla memoria e possiamo ricordare ciò che già conosciamo. “Immagina dunque, a titolo di conversazione, che nelle nostre anime ci sia materiale di cera da imprimere in una forma più grande e in una più piccola, e la prima di cera più pura, la seconda più lurida, e più dura, e alcune di cera più morbida e altre invece di impasto mediano [...]. Diciamo ora che questo, la cera, è un dono di Mnemosine, madre delle Muse. E su questa cera tutto 23

so la memoria, infatti, si possono assimilare, ritenere e poi richiamare informazioni apprese durante l’esperienza museale e, se l’elemento emozionale della visita ha raggiunto alti livelli di intensità, esistono molte probabilità che il materiale didattico svolga un ruolo di recupero dell’informazione archiviata nella memoria. Secondo la prospettiva suggerita, la documentazione di fine visita rappresenta un punto nodale dell’attività del servizio educativo, giungendo a compimento e ricapitolazione di tutte le operazioni eseguite per garantire una adeguata acquisizione e codificazione del messaggio del museo attraverso una traduzione e una categorizzazione degli stimoli ricevuti durante la visita. La conoscenza legata all’esperienza di visita può essere così recuperata a livello di consapevolezza mediante un richiamo che nel caso del servizio educativo può essere realizzato con un buon materiale didattico mirato a suscitare curiosità e interesse, e al tempo stesso soddisfare i criteri di acquisizione delle conoscenze. Come si può notare sono prevalentemente operazioni volte alla conoscenza e alla promozione del museo, in modo da sciogliere ogni possibile ostacolo alla completa fruizione e comprensione del luogo in cui ci si trova. La comunicazione svolta dal servizio educativo può ricadere su uno spettro molto ampio di pubblici che presentano necessità e desiderata molto diversi. Per tale motivo le attività di un servizio educativo dovrebbero poter essere svolte in luoghi diversi all’interno del museo, a seconda delle tipologie di pubblico cui ci si riferisce. Il fattore spazio può risultare determinante per la buona riuscita di un’attività educativa al museo; quest’ultima rientra nel novero di esperienze legate all’apprendimento informale e non a procedure o modalità standardizzate, ma che necessitano comunque di una organizzazione accurata e di un metodo rigoroso, studiato per le specifiche esigenze e caratteristiche del pubblico di riferimento. Trattandosi di un metodo di formazione di competenze in un certo senso “invisibile”, che non coinvolge elementi tradizionali dell’apprendimento strutturato, si instaura una dialettica tra il visitatore e il museo che potrebbe determinare un mutamento o un consolidamento dei modi di pensare e di sapere. Il servizio educativo rivolge la propria attività a tutte le tipologie di pubblici che per comodità si fanno rientrare in una casistica consolidata che prevede il pubblico scolare, adulto e disabile. A queste categorie, però, potremmo aggiungerne almeno altre due (le famiglie e il pubblico ipercaratterizzato) e suddividere poi quelli su menzionati in punti più specifici e dettagliati.

ciò che vogliamo ricordare delle cose che abbiamo visto, udito, o direttamente pensato, sottoponendola alle nostre sensazioni e ai nostri pensieri, noi imprimiamo dei modelli, come vengono impressi i segni dei sigilli. E quello che viene stampato noi lo ricordiamo e conosciamo finché resta la sua immagine. Quello invece che viene cancellato, oppure non è adatto a essere impressionato, lo dimentichiamo e non lo conosciamo”. Platone, “Teeteto”, (191 c-e), in Dialoghi, Einaudi, Torino, 2003.

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S COLARE A DULTO Infanzia Professionisti di altri settori Primarie Università della 3° età Medie inf. Associazioni culturali Medie sup. Convegnisti generici Università

D ISABILE F AMILIARE Motorii Adulti con bambini Non vedenti Anziani con bambini Non udenti Psichici

I PER - CARATTERIZZATO Professionisti del settore Visitatori abituali Convegnisti del settore Insegnanti

Tabella 1

Il possibile panorama dei pubblici dei musei si configura così nella tabella 1 in modo molto più complesso ed a queste categorie vanno aggiunte le relative corrispondenze per i pubblici stranieri, cui il servizio educativo dovrebbe comunque garantire supporto alla visita e materiale informativo e didattico dedicato. Una distinzione di massima potrebbe essere condotta dividendo i visitatori in pubblico consapevole e pubblico istintivo, vale a dire tra coloro che giungono preparati alla visita e coloro che si lasciano trasportare dall’emozione e dalle sensazioni che possono trarre, ma per tutte le tipologie il servizio educativo dovrebbe prevedere un’offerta specifica e mirata. In alcuni casi la sensibilità verso il pubblico è marcata e si desume dalla ricchezza e varietà di attività proposte che ricoprono un ampio spettro di iniziative quali conferenze, proiezioni, visite guidate, mostre e manifestazioni temporanee, spettacoli oltre alla funzione di un servizio di consulenza ed alla realizzazione di apparati didascalici, di interventi allestitivi e di segnaletica che si è già osservato concorrono alla buona riuscita di un’esperienza museale. Il pubblico adulto poi si differenzia tra residenti e non residenti nel territorio in cui è ubicato il museo e ciò comporta un’ulteriore differenziazione nell’approccio e nella modalità di servizio offerto, soprattutto per il lavoro di consulenza perché vi si rispecchiano due esigenze diverse l’una di rinnovamento continuo delle iniziative, l’altro di orientamento e assistenza. È proprio su questo limite tra aggiornamento e consolidamento dell’esistente che si articola la proposta del servizio educativo, considerando poi ancora un’altra tipologia di pubblico che è composta da visitatori e utenti remoti, vale a dire coloro che usufruiscono elusivamente o inizialmente delle pubblicazioni multimediali, dei vari sussidi informatici e del sito internet del museo come primo o a volte unico strumento di conoscenza; anche in questo caso i testi da inserire per quel riguarda il settore didattico spettano al servizio educativo. Il lavoro svolto dai servizi educativi, quindi, verte sulla preparazione e la realizzazione di un’esperienza che non sia solo estetica o emotiva, ma profondamente educativa e articolata su molteplici livelli per l’attivazione e rielaborazione di conoscenze pregresse o maturate in loco che siano da volano all’acquisizione e allo sviluppo di nuove competenze. A tal proposito anche il Codice deontologico redatto dall’ICOM ribadisce la necessità che “ogni museo sia dotato – da parte degli enti proprietari o delle amministrazioni responsabili – di personale in quantità sufficiente e con adeguata qualificazione in relazione: alle sue dimensio25

ni, alle caratteristiche delle collezioni, alle responsabilità e funzioni del museo stesso, anche in rapporto con le altre istituzioni del territorio. Al fine di raggiungere tale complessità di preparazione si rende auspicabile la collaborazione di figure professionali provenienti da ambiti differenti e che abbiano come obiettivo quello di organizzare al meglio l’offerta educativa del museo. Per questo motivo la presenza di professionisti provenienti da settori diversi, che vede storici dell’arte, archeologi (a seconda della tipologia di museo interessato) accanto a pedagogisti, museologi, psicologi, ma anche grafici ed esperti di comunicazione, potrebbe arricchire e migliorare la qualità del servizio educativo. Infatti, il lavoro congiunto di tante professionalità potrebbe condurre ad un’analisi più mirata e al perseguimento di risultati più concreti e duraturi dell’educazione al patrimonio culturale, in modo da poterne verificare i frutti anche a distanza di tempo. Un progetto educativo studiato e vagliato da un gruppo di lavoro multidisciplinare avrebbe il vantaggio di considerare aspetti ed effetti dell’offerta didattica proponendo modalità di apprendimento dedicate, ma anche studiando mezzi comunicativi che possano risultare maggiormente attrattivi generando curiosità e interesse, traini fondamentali per l’apprendimento. A ciò si aggiungerebbe una selezione di argomenti proposti dagli specialisti del settore che potrebbero essere sviluppati e destinati ai pubblici più idonei a seconda della fascia d’età, della provenienza o delle esigenze dichiarate. In un sistema simile il ruolo del servizio educativo assolverebbe al compito di risorsa educativa per tutti gli strati della popolazione. A tal proposito sembra applicabile una gestione sul modello delle communities of practice ipotizzate da Wenger10 come una possibile via per migliorare la attività e la qualità del lavoro. Le communities, traducibili come comunità di pratica e che potremmo definire semplicemente come gruppi di lavoro, sono formate da persone coinvolte in un processo collettivo di formazione all’interno di un ambito comune di ricerca. Coloro che vi prendono parte aderiscono intenzionalmente e soprattutto con lo scopo di migliorare e perfezionare le conoscenze personali mentre interagiscono insieme. Per formare una di queste comunità o gruppi è necessaria l’identificazione di un comune ambito d’interesse all’interno del quale scambiare opinioni sulla base di competenze specifiche, occuparsi in forma collaborativa di attività legate al progetto comune, ma soprattutto la propensione all’aiuto reciproco e alla condivisione delle conoscenze. Un altro aspetto singolare che avvicina queste comunità alla possibile applicazione presso un servizio educativo risiede nella presenza non costante e continuativa all’interno del luogo di lavoro. Questo dato, ad esempio, potrebbe essere applicato ai grafici o agli esperti di comunicazione che potrebbero essere interpellati su attività 10

Etienne Wenger, Communities of practice: learning, meaning, and identity, Cambridge University Press, 1998.

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specifiche e non rientrare nell’organico del museo, anche se sarebbe comunque preferibile che il gruppo di lavoro potesse confrontarsi costantemente sulle attività da svolgere. Anche se la locuzione communities of practice è stata utilizzata in molti modi e per molti scopi, l’accezione che ne dà Wenger è specificamente educativa applicandola alle teorie dell’apprendimento informale rivolta non solo agli studenti, ma applicabile anche tra i docenti in una sorta di scambio alla pari che arricchisce tutti i partecipanti in modo profondo. Si è accennato in precedenza alla possibilità di una ricaduta dell’offerta educativa che proietti nel lungo termine i suoi effetti, sviluppando una consapevolezza maggiore delle potenzialità del museo come luogo di apprendimento. La prospettiva relativa all’apprendimento mediante una comunità di pratica riguarda tre ambiti principali posti in forma di interrogativi da risolvere: interno, esterno e sul lungo periodo. Nel primo caso ci si chiede come organizzare esperienze educative che fondino l’apprendimento scolastico su pratiche che coinvolgano gli studenti attorno ad un soggetto; nel secondo caso ci si domanda come collegare le esperienze degli studenti alla pratica reale anche attraverso forme di partecipazione in comunità che si trovino al di fuori dell’ambito scolastico; infine, ci si domanda come sopperire ai bisogni di apprendimento sul lungo periodo (lifelong learning) creando comunità di pratica mirate a sviluppare interessi che continuino anche dopo l’obbligo scolastico. Wenger conclude che la scuola, così come è concepita, non si propone come luogo privilegiato per un simile approccio allo studio privilegiando un processo per il quale gli studenti acquisiscono delle conoscenze che saranno applicate in seguito al di fuori dell’ambito scolastico. Essendo la vita stessa il primo evento e luogo formativo, e non la scuola, quest’ultima si dovrebbe porre al servizio dell’apprendimento di ciò che accade nel mondo, rivestendo comunque un ruolo formativo di primo piano. Si potrebbe aggiungere che se la scuola riveste il luogo per eccellenza della formazione dell’individuo in una forma tipicamente associata all’apprendimento formale, il museo può proporsi come luogo altrettanto stimolante ed efficace per l’apprendimento informale, dove non si è vincolati da programma più o meno rigidi e dove una comunità di pratica può essere composta sia dagli esperti operanti presso il servizio educativo, sia riportata nell’offerta educativa come modalità di approccio per coloro che si avvicinano al museo per esperirne le potenzialità di strumento di conoscenza e di sperimentazione. Probabilmente le domande poste da Wenger troverebbero nel museo una più semplice risoluzione dato che il soggetto comune attorno cui sviluppare una proposta educativa è facilmente rintracciabile lungo il percorso delle collezioni, spesso orientandosi verso itinerari tematici che appunto focalizzino l’attenzione su aspetti ed eventi uniti da un comune denominatore; inoltre, l’esperienza museale tende a richiamare conoscenze o pratiche esperite personalmente proprio per creare un collegamento tra ciò che si sta sperimentando nel corso della visita o del laboratorio e ciò che è 27

l’esperienza quotidiana, così da creare dei collegamenti logici che fissino gli eventi nella memoria e fungano da possibile richiamo. Infine, il museo si può proporre come luogo privilegiato per il lifelong learning in virtù del fatto che le molteplici identità degli istituti museali possono offrire una rosa vastissima di attività legate all’apprendimento da svolgere, approfondire, migliorare e recuperare lungo tutto il corso della vita. Accrescendo il sentimento di appartenenza ad una comunità, inizialmente quella cittadina che in seguito può diventare museale, si potrebbe migliorare anche la percezione del museo come custode dell’identità e della memoria collettiva.

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Inquiry: i vantaggi di un approccio dialogico alla didattica museale* Intervista a Georgia Krantz condotta da Raffaele Bedarida

Raffaele Bedarida: Quali sono le tue attività nell’ambito della didattica in generale ed in particolare il tuo ruolo all’interno del Museo? Georgia Krantz: Al Guggenheim sono Education Manager for the Adult Interpretative Programs. Significa che coordino i quattro programmi di didattica per adulti nelle gallerie. Ovvero: i Gallery Educators che tengono conferenze e conducono visite guidate nel museo; i Gallery Guides che stanno permanentemente nelle gallerie e parlano con i visitatori dell’arte in esposizione; il Mind’s Eye Program che è un programma pensato per visitatori con problemi di vista, ciechi o sordi; e il personale della Security. Questo è ciò che svolgo qui. Ma la mia formazione – dal master agli studi di dottorato – è da storica dell’arte. Insegno storia dell’arte alla New York University (NYU), dove sto tenendo un corso sull’arte concettuale, ed ho insegnato al Pratt Institute e alla Parsons (New School for Design). Infine svolgo il ruolo di Lecturer al Museum of Modern Art (MoMA), dove tengo conferenze e visite guidate, e lavoro al Disability Program: principalmente mi occupo del programma “Art inSight” per persone cieche o con vista ridotta e cieche. RB: Qual è la filosofia del Guggenheim riguardo alla didattica museale e qual è nello specifico il tuo approccio? GK: Qui al Guggenheim sosteniamo fortemente un approccio all’insegnamento inquiry based, ovvero dialogico. Si tratta di un metodo sviluppato nei musei da almeno trenta anni. Inquiry significa avere delle conversazioni con i visitatori piuttosto che impartire loro lezioni o conferenze preconfezionate. L’idea centrale è quella di stimolare la partecipazione attiva del visitatore alla discussione e allo sviluppo delle idee circa il significato di un’opera d’arte. Questa partecipazione li aiuta ad imparare meglio e di più. Li aiuta anche ad articolare attraverso le loro bocche idee che hanno in testa. È una fase fondamentale nel processo di apprendimento: possiamo pensare molte cose, ma quando le dob*

Intervista tenutasi al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, il 21 aprile 2011. Mia la traduzione in italiano dall’inglese.

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biamo tradurre in linguaggio verbale e comunicarle con chiarezza attiviamo funzioni del cervello diverse. Ed è su questo concetto che impostiamo molti dei nostri corsi di formazione. Gli educatori museali sono dunque mediatori di un’esperienza tra i visitatori e le opere d’arte, tra i visitatori e la visita al museo, tra visitatori e visitatori, tra i visitatori e gli spazi attraverso cui si muovono nel museo. RB: In pratica cosa fa il mediatore museale? GK: Diamo supporto, poniamo domande, e teniamo le redini della conversazione in modo che questa sia organizzata e coerente. Tuttavia la discussione stessa si deve necessariamente sviluppare con e attraverso il visitatore. Il nostro ruolo è quello di gestire le loro idee e ad esse rispondere in maniera interessante. Ma dobbiamo essere una voce all’interno del gruppo, parte della dimensione corale del dibattito piuttosto che elevarci a sola fonte di sapere. Soprattutto perché chiunque entri nel museo porta con seé un bagaglio ricchissimo di sapere e di esperienza. Un aspetto interessante dell’inquiry è che non si limita alla storia dell’arte assorbita dai libri, ma espande costantemente l’indagine sul significato dell’arte attraverso la varietà immensa di esperienze quotidiane e punti di vista che ognuno ha. Ognuno trova una relazione diversa con una stessa opera d’arte. RB: Quello che sostieni dunque è che sia un approccio utile al visitatore ma anche al museo, all’educatore e addirittura alla disciplina “storia dell’arte”? GK: Certo! In queste situazioni io educatore ho da imparare e di fatto imparo moltissimo. Partecipo alla situazione condividendo l’esperienza e la voce collettiva come e quanto gli altri. È dunque un arricchimento maggiore per tutti perché per l’educatore non si tratta di riversare informazioni in maniera meccanica, e al visitatore non vengono buttate addosso informazioni difficili da assorbire. Non siamo nel format tradizionale dei nomi e delle date ma in quello dell’esplorazione di idee. E questo è uno strumento efficace per i bambini così come lo è per gli adulti. Anzi, probabilmente per gli adulti lo è in grado anche maggiore perché, in quanto tali, abbiamo strutturato un nostro modo di pensare e tendiamo a credere di sapere tutto – cosa naturalmente illusoria. È dunque un modo per ispirare la creatività, suscitare curiosità, interesse. Spesso mi capita che la gente si sorprenda del fatto che io sia sinceramente interessata a quello che hanno da dire. Non si capacitano del fatto che una persona che lavora in un museo, un’esponente di questa istituzione sia interessata a quello che pensano e a quello che vedono. Quindi: come visitatore è fantastico e come educatore funziona allo stesso modo perché impariamo. Infine contribuiamo ad abbattere l’idea antiquata che la didattica significhi riversare fatti su chi ti ascolta. Molti studi in una varietà di settori hanno dimostrato come l’educazione e il sapere siano molto più di questo. Il sapere e il pensiero sono funzioni flessibili e permeabili. Se inizi ad esplorare idee attraverso vari canali tutti ne traggono giovamento. 30

RB: Tutto questo modifica anche il ruolo del museo in quanto istituzione. GK: Assolutamente! E questo è particolarmente rilevante in un museo di arte contemporanea. Esiste una stretta relazione tra gli sviluppi dell’arte contemporanea e quelli della didattica in quanto dialogo e partecipazione. Nel senso che l’arte contemporanea, dagli anni Sessanta in poi, ha messo in crisi il concetto di integrità dell’oggetto: l’idea che l’oggetto abbia in sé il significato e che l’osservatore debba capire quel significato. L’arte contemporanea è una conversazione i cui significati si producono e modificano costantemente in maniera dialogica. Dunque per un museo come questo che espone molta arte contemporanea l’approccio dialogico alla didattica è decisamente rilevante. Esiste una letteratura abbondantissima circa la partecipazione, come i testi di Claire Bishop1 di cui abbiamo discusso insieme recentemente2. È un campo ricchissimo di pratica e di riflessione teorica quello che analizza l’idea di fruizione come partecipazione e sviluppa il concetto di apertura dell’opera d’arte. Tutto questo contribuisce al superamento della concezione elitaria del museo d’arte. Naturalmente la problematizzazione della natura elitaria dell’istituzione museo non è un fatto nuovo ed è al centro del dibattito artistico almeno dalla Institutional Critique in poi3. RB: Si tratta quindi di un metodo che corrisponde al contenuto. GK: Credo sia sempre importante guardare al contenuto di ciò che si insegna come ispirazione per il metodo di insegnamento. L’inquiry è dunque un metodo che aiuta a superare il rischio di elitarismo del museo d’arte. È uno strumento che il museo ha per evitare che il proprio rapporto col visitatore si limiti all’idea che il visitatore venga, veda le nostre opere, legga i nostri cataloghi e testi esplicativi, ascolti le nostre audio-guide… per evitare insomma che nel rapporto visitatore-museo il museo sia l’unica fonte di sapere e il visitatore sia un ricettore passivo. E sono soprattutto gli artisti ad insegnarci come fare. Un esempio notevole è quello di Louise Bourgeois4. Parlando delle sue Cells molti critici e curatori hanno messo in evidenza la relazione tra la costruzione di significati basa-

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Il riferimento è all’antologia a cura di C. Bishop, Participation, MIT Press, Cambridge, MA, 2006. Sulla rilevanza (o mancata rilevanza) politica della cosiddetta estetica relazionale si veda anche C. Bishop, Antagonism and Relational Aesthetics, “October”, n. 110, Fall 2004, pp. 51-79. Essendo a mia volta Lecturer al MoMA e Gallery Educator al Guggenheim ho avuto modo di portare avanti questa riflessione con Georgia e con altri colleghi da due anni a questa parte. Per Institutional Critique si intende quel movimento artistico emerso alla fine degli anni Sessanta che ha analizzato il museo in quanto istituzione, mettendo in evidenza le dinamiche sociali, politiche ed economiche, ma anche i rapporti di potere rappresentati, legittimati o innescati dal museo. Tra i principali artisti che hanno sviluppato questo tipo di lavoro si ricordano Marcel Broodthaers, Daniel Buren e Hans Haacke. Il Guggenheim di New York ha tenuto una grande retrospettiva dell’artista nel 2008.

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ta sull’esperienza individuale e la costruzione di significati basata su esperienze universali. Similmente, se incoraggiamo i visitatori a condividere collettivamente esperienze personali, essi vedono come le loro esperienze personali sono riflesse in esperienze di altre persone e giungano quindi a discutere l’opera in relazione ad esperienze universali e dunque la conversazione prende esattamente la direzione intesa da Louise Bourgeois. Il metodo dialogico non è semplicemente “cosa pensi di quest’opera?” o “cosa vedi?”. RB: Fai spesso riferimento al lavoro o alle parole degli artisti come spunto metodologico. In uno dei nostri incontri formativi ricordo che hai citato Olafur Eliasson per quanto riguarda l’attivazione del visitatore. GK: Assolutamente. In quell’intervista con Robert Irwin5 Eliasson parla del coinvolgimento umano e afferma che se il tempo rappresenta la quarta dimensione, il coinvolgimento umano è un quinto livello specifico di sensibilità. Il coinvolgimento e la partecipazione sono aspetti fondamentali dell’arte contemporanea ed è importante che si riflettano nel metodo di insegnamento e di visita. Eliasson è anche rilevante dal nostro punto di vista perché parla di mettere il visitatore nella condizione percepire se stesso percepire, o di vedere se stesso vedere. Molte delle sue installazioni luminose mettono il visitatore nella condizione di sondare il proprio modo di vedere. Come quando ti appaiono quelle strane ombre negli occhi. Ti chiedi quale meccanismo fisiologico viene venga attivato o disattivato per creare questa disfunzione nel proprio apparato visivo. Inquiry funziona in modo simile: qualcuno dice qualcosa e tu gli fai una domanda che lo mette nella condizione di riconsiderare il funzionamento di ciò che ha detto. RB: Nell’intervista Eliasson parla anche di creare nuove dimensioni temporali. Credo che anche l’esperienza di una temporalità di osservazione diversa da quella di altre esperienze sia un aspetto importante che caratterizza la visita al museo. In uno dei nostri training parlavi dell’importanza di visite guidate limitate a poche opere se non addirittura ad un’opera sola. Questo naturalmente può creare problemi con visitatori che hanno attraversato mezzo mondo e vogliono vedere il più possibile. GK: Alcuni nostri educatori infatti tendono a discutere in una visita di un’ora non più di una o due opere. Ecco: questa sì che è un’esperienza rara per i visitatori! E quando i visitatori capiscono il senso dell’operazione ed entrano nella dimensione di un’osservazione più approfondita non se ne vogliono più andare. Naturalmente questo deve essere spiegato: l’educatore deve avvertire i visitatori che si tratta di una scelta deliberata e spiegarne le motivazioni. Se poi c’è una sollevazione generale e sono tutti contrari, chiedo sempre agli educatori di esse5

O. Eliasson and, R. Irwin, Take Your Time: A Conversation, in M. Grynsztejn (a cura di) Take your time: Olafur Eliasson, Catalogo della mostra, San Francisco: San Francisco Museum of Modern Art, Thames & Hudson, London 2007:, pp. 51-61. Il testo dell’intervista si può scaricare online dal sito web ufficiale dell’artista: www.olafureliasson.net.

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re flessibili e ad andare incontro alle richieste dei visitatori. Ma se la motivazione del rifiuto è semplicemente “voglio vedere tante cose” si può sempre rispondere che abbiamo ottime audio-guide, abbondanza di testi esplicativi, e ci sono i Gallery Guides che stanno permanentemente nelle gallerie per rispondere ad eventuali domande. La maggior parte delle persone risponderanno: “no, rimaniamo”. RB: Per tornare al cambiamento del ruolo del museo: credi che questo abbia anche a che fare con internet? GK: Il museo oggi ha la capacità di avere un rapporto partecipativo con il proprio pubblico già da prima che il pubblico vi entri fisicamente: attraverso Twitter, Facebook, l’utilizzo di internet in generale. Per esempio progetti come “Learning Through Art”, attivo nel nostro sito web, o svariati altri programmi di interazione e collaborazione tra artisti, educatori e pubblico sono importantissimi nella costruzione di un rapporto biunivoco tra museo e pubblico. Ma non si tratta solo di internet. Per esempio sviluppiamo tutta una serie di progetti e mostre in giro per la città e fuori dalla sede fisica del museo. Tutti i musei cercano di integrarsi sempre di più con la comunità. Attraverso questo modello d’insegnamento contribuiamo a sviluppare il museo nella stessa direzione. Questo è importante, la gente vuole musei che siano aperti e permeabili; non il museo-tempio. Chiaramente, non tutti, ma è la tendenza più vitale oggi. RB: Però è stato fatto notare che c’è un rischio in questo approccio: quello che Cheryl Meszaros chiama la “Whatever interpretation”6. Ovvero di incoraggiare e legittimare il luogo comune secondo cui, essendo l’interpretazione dell’arte un fatto soggettivo, qualsiasi osservazione non solo è lecita ma è ugualmente valida. Questo può andare a scapito del rigore d’approccio e della qualità della discussione. Come si fa dunque ad evitare che il livello della comunicazione si appiattisca? GK: Questo è un aspetto fondamentale. Personalmente avendo una formazione da storica dell’arte considero importantissimi il rigore metodologico e la consistenza dei contenuti. Ho lavorato in molti musei e posso dire che non conosco altre istituzioni dove la didattica per adulti sia affrontata con maggiore coerenza e rigore. I nostri educatori hanno un alto profilo di preparazione storico-artistica ed abbiamo molti incontri di formazione e discussione sia per quanto concerne i contenuti (conferenze e dibattiti con i curatori di ogni mostra, distribuzione dei cataloghi di ogni mostra e scambio di articoli e indicazioni bibliografiche tra educatori) sia per quanto riguarda l’approccio (discutiamo sempre il

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C. Meszaros, “Now THAT is evidente: Tracking Down the Evil ‘Whatever’ Interpretation”, “Visitor Studies Today”, vol. 9, 3, 2006, pp. 10-15. Nello stesso numero di questa rivista si vedano anche le risposte alla Meszaros: K. Knutson, K. Crowley, J. Heimlich, G. Hein, Three Responses to Cheryl Meszaros’ Evil ‘Whatever’ Interpretation, pp. 16-20.

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“come” sollevare e affrontare problematiche complesse nel modo più efficace). In questi training propongo sempre modelli che supportino il rigore e la qualità dei contenuti. L’importanza data nell’ inquiry all’ esplorazione, scoperta, discussione, interazione, e al contraddittorio non preclude assolutamente l’utilizzo e il ruolo dell’informazione. L’inquiry è un intreccio tra: 1) l’esperienza del visitatore e 2) il bagaglio di sapere legato al lavoro (artista, movimento, storia e altre informazioni che l’educatore conosce). Una buona inquiry significa intrecciare queste informazioni all’interno di una discussione “condotta” dall’osservazione del visitatore. Per esempio, un visitatore può dire “questo quadro di Kandinsky mi trasmette un senso di calore”; e sta all’educatore legare questa osservazione al fatto che Kandinsky infatti ha scritto un trattato teorico su come i colori agiscono emotivamente sull’osservatore eccetera. La mia sensazione è che si fornisca la stessa qualità e quantità di informazioni in un inquiry che in una conferenza. La differenza è solo che nel primo caso le informazioni hanno un contatto e una relazione con il visitatore e la sua esperienza, proprio perché io educatore fornisco un’informazione che è stata sollecitata dalla partecipazione del visitatore. RB: Quindi si dà libertà interpretativa al visitatore ma fino a un certo punto… GK: Come ho scritto anche in un breve documento che distribuiamo agli educatori, l’inquiry non sostituisce il sapere, non è un “whatever” e non deve mai sfuggire di mano, fuori controllo. Diamo agli educatori gli strumenti teorici ed insegniamo loro alcune tecniche pratiche per riportare la conversazione ai temi e al nostro bagaglio di sapere riguardo al lavoro e all’artista. Periodicamente seguo le visite guidate e mi accerto che questo metodo non tenda ad allentare il rigore ed ad avvallare interpretazioni infondate. Anzi credo che proprio questo metodo sia utile ad insegnare al pubblico che c’è e ci deve essere un rigore nell’arte. RB: Puoi fare un esempio? GK: Quello che generalmente facciamo è lasciare che i visitatori elaborino e sviluppino le proprie idee, ma l’educatore deve intervenire di volta in volta per rielaborare quello stesso materiale di idee e riformularlo. Per tornare a Kandinsky, i visitatori possono proporre che un Kandinsky della fase astratta in realtà rappresenti dei cavalli in corsa. L’educatore a quel punto deve intervenire e dire che per Kandinsky non era così, citando l’artista stesso e magari facendo notare che il cavallo in effetti è un simbolo importante nella sua poetica, ma in un altro senso eccetera. Essendo un processo dialogico, l’educatore può porre domande che conducano gli altri nella direzione di una lettura solida, fondata. Dalle risposte che vengono date inizialmente può commentare brevemente e formulare nuove domande che aiutino i visitatori a precisare il proprio stesso pensiero ed a ripensare le proprie stesse affermazioni in rapporto all’opera e alle nuove informazioni introdotte nel dialogo. L’esperienza del visitatore può anche avere 34

niente a che fare con il sapere specifico della storia dell’arte, ma arricchisce e può essere sempre intrecciato al discorso storico artistico. Quindi lasciamo che i visitatori sviluppino liberamente il proprio discorso; noi entriamo nel discorso a precisarlo e reindirizzarlo a più riprese in direzione di un modo più critico e consapevole di pensare l’opera che si ha di fronte. Il visitatore quindi uscirà avendo assorbito non solo l’informazione ma anche il processo: “io pensavo il quadro rappresentasse dei cavalli, Kandinsky invece lo considerava pura astrazione senza riferimenti all’esperienza visiva del mondo”. RB: Se tu dovessi scegliere un testo di riferimento sul metodo inquiry, quale consiglieresti? GK: Come ho detto la mia formazione è di storica dell’arte e quando preparo i gallery talks e le visite guidate preferisco dare la priorità ai contenuti. Il mio metodo è basato più sull’esperienza, ma sicuramente ci sono delle letture che ho molto apprezzato e che mi hanno aiutato a definire il mio approccio. Il primo libro che mi viene in mente è la raccolta di saggi di Rika Burnham: Teaching in the Art Museum7. Ha un’ottima impostazione teorica, ma anche un approccio pratico di grande utilità. Ed è anche un libro che si legge molto bene. È efficace nel farti entrare nell’ottica dell’arricchimento che le persone possono portare alla lettura dell’opera. Spiega anche come questo sia uno strumento prezioso per noi che guardiamo queste opere da anni e leggiamo testi critici e storici relativi, e ne parliamo e ne scriviamo: attraverso gli occhi dei visitatori riusciamo a recuperare uno sguardo fresco sull’opera che a volte rischiamo di perdere. Ma ribadisco, la cosa più importante è l’esperienza sul campo. Ed è anche il motivo per cui non ho intenzione di abbandonare l’attività di educatore museale in prima persona per dedicarmi alla sola ricerca o al solo lavoro di ufficio. Non riesco a vivere e ad imparare la storia dell’arte solo sui libri. La presenza delle opere e il vederle con altre persone con diverse sensibilità sono fonti insostituibili.

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R. Burnham e, E. Kai-Kee, Teaching in the Art Museum: Interpretation as Experience, J. Paul Getty Museum, Los Angeles 2011 35

“L’apertura che attraverso l’arte è esperibile” Riflessioni aperte per una mediazione critica1 Michele Fucich

Con una riflessione emersa a partire dalla metà degli anni Novanta, il mondo tedesco ha cominciato ad offrire mirati spunti di riflessione sul potenziale e l’identità di colui che, in diversificati contesti, si trova oggi a pensarsi come mediatore artistico. Mediatore, Kunstvermittler: colui, come sintetizza efficacemente Pierangelo Maset, che decide di superare un rapporto con l’arte in “ in cui questa sia soltanto l’oggetto di un processo di insegnamento/apprendimento ricostruibile e pianificabile”, e con il quale “non può verificarsi l’‘apertura’ che attraverso l’arte è esperibile”2. Il filosofo e pedagogista Karl Josef Pazzini descrive il rapporto fra arte e pedagogia come un campo di esistenza strutturalmente e perennemente in tensione: “Così il mediatore artistico si trova sempre nel mezzo, è collante, produttore di tensioni tra ambiti diversi, i quali esistono fin quando la tensione può essere mantenuta”3. Un’altra importante voce del dibattito, Eva Sturm, sottopone la stessa considerazione alla luce del fatto che tutto il sistema artistico (musei, gallerie, fiere) struttura e prolunga se stesso, i propri discorsi e le proprie azioni, come primo strumento di mediazione dell’arte a sua volta: per rendere questa, secondo disparati interessi, a più livelli percepibile, presente, performativa4. Che cosa ne è, dunque, del carattere e della pratica differenziale di un’altra media-

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In mancanza di edizioni italiane delle opere citate, tutte le citazioni presenti nel testo sono frutto di traduzione dal tedesco da parte del suo redattore. P. Maset, Zur Notwendigkeit Aestetischer Operationen, in Wie laufen S(s)ie denn hin? Neue Formen der Kunstvermittlung foerdern, S.Baumann & L.Bauman (hg), WolfenbuettelerAkademie Texte, Wolfenbuettel 2006, Wolfenbuettel 2006, p. 59. K.J. Pazzini, Kuns existiert nicht. Es sei denn als angewandte. in Bauhaus-Universitaet Weimar: Tator Kunsterziehung. Thesis, Wissenschaftliche Zeitschrift der Bauhaus-Universitaet Weimar, Weimar 2000, cit. in E.Sturm, Woher kommen die Kunst-VermittlerInnen? Versuch einer Positionsbestimmung, in Duerfen die das?Kunst als soziale Raum, Art/Educational/Cutural/Work/Communities, a cura di S. Rollig, E. Sturm (hg), Wien 2002, p. 203 E. Sturm, Kunst in der Vermittlung. Vermittlung in der Kunst. Zu einem komplizierten Verhaeltnis, pubblicato in www.kultur-vermittlung.ch, 21.01.2011.

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zione, in ogni caso consapevole di esistere e agire in questo campo, appunto non solo terminologico, di tensione? E quale il suo rapporto con il concetto di pedagogia, di didattica? Il presupposto e l’orizzonte, in larga misura mutati rispetto al passato, in cui il mediatore artistico inscrive se stesso e il potenziale del proprio agire è presentato ancora da Eva Sturm alla luce dell’interessante prospettiva per cui all’origine di ogni iniziativa di mediazione dell’arte oggi risiederebbe ogni volta una mancanza (Fehlen)5. Questa mancanza si potrà intravedere in seno a un sistema artistico che, attraverso e oltre la modernità, è andato sempre più e programmaticamente destituendo i confini fra le pratiche e accompagnando il dissolvimento di grandi, ricostruibili forme simboliche: dissolvendosi, cioè, in lingue e linguaggi particolari, ed aumentando sempre di più le destabilizzazioni, le dispersioni sul piano di relazione fra significanti e significati. Il soggetto – l’artista non meno del suo spettatore – andrebbe in questo modo definitivamente compreso nella condizione di colui che, anche in una mancanza o in una crisi preventiva di significati, si trova spinto in una condizione quasi irrecusabile di produrli: unico modo per persistere in una possibilità di inclusione o partecipazione critica rispetto allo stesso sistema artistico, ai suoi oggetti e discorsi, ai suoi centri di rappresentanza e potere. Questa considerazione terrà conto, soprattutto, delle peculiarità dell’arte in età post-moderna e contemporanea; del prodursi di questa come implementata selva di relazioni con il reale, destituzioni di ogni aura classica, disparate dislocazioni, saturazioni o svuotamenti del simbolico e dell’immaginario: in un vasto arco di fenomeni che include, ai suoi estremi, forme di esibizioni ostentate del reale in quanto tale e feticizzazioni dell’immagine-segno come coperture di un vuoto di questo. È una selva nelle cui pieghe si gioca la partita aperta dello smarrimento, di un possibile ritrovarsi, ma anche della caduta della stessa capacità di comprendere, produrre e connettere attivamente simboli da parte di ogni spettatore6; e cioè di sentirsi presente a un diramato reticolo di segni e significati, muovendosi nel quale egli non perda l’originaria facoltà di riconoscere e pensare se stesso. Da qui ogni suo potenziale venire in contatto con i linguaggi, le operazioni, le forme di esibizione del sistema artistico secondo dinamiche di scoperta, confronto e apertura; ma, altrettanto, di estraneità, blocco, indifferenza o rifiuto. Negli spazi di una mostra come nella classe di una scuola. Pazzini sembra centrare l’attualità della questione stigmatizzando “l’immaginazione di un’arte pura, degradata attraverso la pedagogia e la teoria”. Tale idea, egli dice, “aspira a vivere del niente, a non macchiarsi, e in tal modo a non assumere nessuna forma differenziale, a non sessuarsi, a non esporsi al deside5 6

Cfr. E. Sturm, 2002, op. cit, pp. 201-206. Sul complesso tema della crisi del simbolo e di una coscienza simbolica, anche in relazione all’esperienza artistica contemporanea, si rinvia a: M. Recalcati, Il miracolo della forma, Bruno Mondadori, Milano 2007. 37

rio nei suoi lati sporchi e complicati […] È il tentativo di non diventare colpevole, di rimanere incolpevole di nulla”. Ed aggiunge: “Colpevoli si diventa comunque sempre, non appena si apre bocca. Chi parla tradisce il proprio interesse e ancora di più. È questo l’altro lato della cosa. È scomodo. Lo si voglia riconoscere oppure no”7. Fra queste righe si intravede l’orizzonte della riflessione tedesca sulla Kunstvermittlung, il suo essersi misurata – in chiave anzitutto auto-riflessiva – con la propria posizione nei contesti dell’arte del presente e con il piano specifico dei propri interventi discorsivi8. La scomodità a cui Pazzini allude – quel tradire un proprio interesse e ancora di più parlando – è direttamente quella per cui ogni attore coinvolto in una dimensione più o meno istituzionale di rapporto con l’opera si trova inevitabilmente ad agire; ad esporsi più o meno consapevolmente in un ruolo che può decidere o meno di porre in discussione, e di mettere o meno a disposizione del potenziale di ‘apertura’ che attraverso l’arte è esperibile. Qui sembra meglio profilarsi il posizionamento e l’orizzonte possibile di una mediazione artistica, compreso il suo mantenere una relazione aperta con il concetto di pedagogia dell’arte. Si può decidere, innanzitutto, la sua possibilità di agire su un piano differenziale da altre pratiche – ora curatoriali ora didattiche – che tendono a convogliare le logiche di discorsi diversi in un discorso armonizzato e conchiuso. “Fallire, balbettare, parlare per buchi”9, scrive Eva Sturm riferendosi alla necessità di intraprendere, rispetto ai vari tipi di pubblico, un confronto che includa l’accettazione dei limiti stessi della comprensione e del linguaggio, con le potenziali dinamiche di rifiuto e le possibili destabilizzazioni del soggetto che vi si accompagnano: la domanda, da qualunque parte venga in una situazione di mediazione, può produrre una ricerca, la parola e l’atto successivo, come nella produzione di un testo aperto; ma anche il riprodursi della stessa o di una diversa mancanza, che potrà venire inclusa in vista di un rinnovato predisporsi a successive direzioni non date a priori10. 7 8

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K.J.Pazzini, cit.in E. Sturm 2002, op.cit, pp.202-203. Lo sfondo teorico di queste riflessioni andrà intravisto negli sviluppi e fra le tematiche della cosidetta New Museology, maturata nel corso degli Ottanta soprattutto nel contesto anglosassone. Si vedano al riguardo: A. Hauenschild, Neue Museologie, Uebersee-Museums (hg), Bremen 1988; P. Vergo, The new museology, Reaktion books, London 1989. Questa andrà a sua volta collocata sullo sfondo di più ampie elaborazioni, caratterizzanti l’ambito degli studi post-coloniali e della Visual Culture anglosassone, di alcune linee del pensiero filosofico della post-modernità e in primo luogo del post-strutturalismo, a cui in questo intervento è possibile fare soltanto cenno. E. Sturm, Im Engpass der Worte. Sperchen ueber moderne und zeitgenoessische Kunst, Reimer, Berlin Main 2006. Andrà considerata, sullo sfondo di queste considerazioni, l’elaborazione di influssi diversi derivanti dalla pedagogia critica, della teoria di apprendimento costruttivista, dalla stessa psicanalisi e dalle teorie della performatività. Sul legame fra parola e azione, anche in un atto di ricezio-

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Interesserà allora una forma di mediazione critica favorire anzitutto, nel rapporto con le persone del pubblico, una pratica discorsiva dal carattere decostruttivo11 rispetto a elementi predisposti di compiutezza contenutistica; ammettere e perseguire, da ogni parte, la non chiusura dei processi di interrogazione e di interpretazione possibili mediante una dimensione di indagine autonoma. Proprio di un discorso decostruttivo è la disponibilità a porre in questione le strutture stesse dei registri linguistici e narrativi preconfigurati, inclusi quelli utilizzati da parte delle istituzioni sull’arte e potenzialmente dal mediatore stesso. L’esperienza di confronto con le opere e i loro contesti diviene una struttura nella quale ciascun spettatore può essere messo in grado di inscriversi con una capacità autonoma di osservare, decodificare, quindi criticare dai propri punti di vista e con il proprio portato di sapere le operazioni estetiche, le funzioni discorsive, gli eventuali rapporti di potere o esclusione da queste implicati; e, allo stesso modo, di mettere in potenziale crisi il proprio sguardo, di sottoporre a ulteriori esperienze di approfondimento i propri approcci emotivi e i registri linguistici usati. Questo orizzonte porta innanzitutto con sé il presupposto di mantenere costantemente l’accesso ad una semiosi aperta; di portare diverse pratiche dell’auto-riflessività – entro cui il mediatore si percepisce orizzontalmente coinvolto a fianco degli interlocutori – in una dimensione effettivamente pedagogica per tutti i soggetti in gioco. È però a maggior ragione inevitabile che ogni intenzione di mediazione dell’arte rinnovi e tenga costantemente aperta la domanda su che cosa per arte si intende. Tale domanda difficilmente oggi potrà insistere su un interrogativo del tipo qual’è l’essenza di un’opera d’arte, focalizzato su presunte qualità universali e presupponente una forma che semplicemente fissi e renda trasmissibile un contenuto preesistente. Varrà ricordare i molti casi – emblematici dell’esperienza contemporanea – di spazi espositivi o mostre che rendono i propri lavori non integralmente esperibili mediante un unico tipo di modalità o di angolatura percettive: mettendoli in condizione di produrre significati solo mediante l’attivazione di accessi sensoriali, prospettive e quindi opinioni diverse, incrociate. Né andranno trascurati, in molte operazioni espositive, gli esiti destabilizzanti del prelevamento delle opere da loro originari contesti spaziali e temporali: le opere stesse divengono spesso frammenti, i cui perimetri estetici e contenutistici fluttuano, si trasformano o rideterminano nella più o

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ne estetica, importanti i rimandi a: J.L. Austin, Come fare le cose con le parole, (1962), Masietti 1820, Milano 2007; J. Rancière, Le espectateur èmancipè, La Fabrique èditions, Paris 2008. Essenziale il rinvio a: C. Moersch, Die Documenta 12 Vermittlung zwischen Affirmation, Reproduktion, Dekonstruktion und Transformation, in Zwischen kritischer Praxis und Dienstellung auf der Documenta 12. Ergebnisse eines Forschungsprojekts, (hg) Kunstvermittlung II, Berlin 2009, pp. 9-34.

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meno calibrata coesistenza con altri lavori12. L’esistenza di un campo differenziale rispetto al piano dei significati predisposti ben si coglie nel passaggio di una riflessione di Alexander Henschel sull’esperienza di mediazione come prassi critica nella Documenta 12, con ripresa di temi cari al teorico dei sistemi Niklas Luhman13: “l’arte può disturbare, nei termini in cui essa rende ignoto il noto. Essa non è un universo parallelo, ma si ‘riferisce’ alla realtà. Per principio interrompe e sposta la sua percezione. Le armonie vengono disturbate”14. Torna qui a farsi considerare da vicino quel necessario campo di tensione fra mediazione ed arte tematizzato da Pazzini. Esso fa pari con l’affermazione per cui un’opera d’arte arte è in sé “morta”, laddove essa non sia un insieme di “spazi di passaggio, che offrano uno spazio per un tempo in cui le tensioni rimangano in sospeso”15. Una mediazione attenta agli effetti controversi e non predeterminati della ricezione potrà allora sperimentare metodi per accompagnare lo spettatore a registrare alterazioni nella propria esperienza dello spazio, del tempo e dell’espressione – anche corporea – indotte da diverse forme di relazione con le opere. Avrà un peso – specie con gruppi e target specifici – favorire esperienze che intercettino, portino gradualmente ad interiorizzare o a confrontarsi autonomamente con i presupposti generatori di quelle stesse condizioni di disturbo della percezione normale; quindi stimolare, con le necessarie strategie di accumulazione di tempo, di silenzio e di attraversamento sensoriale, l’interiorizzazione e la produzione di riflessioni sul campo aperto di significati a cui quelle esperienze possono indurre. Può essere significativo il riferimento a un’esperienza riportata dall’artista e direttore della Galerie fuer Landschaft Kunst di Amburgo Till Krause16: un gruppo di scolari veniva invitato a muoversi negli spazi della galleria senza guida e senza aiuti preventivi alla comprensione, con la libertà di imbattersi anche in momenti di noia, di un non far niente. Gli studenti erano in una seconda fase sti12

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Sulla costruzione di un’esperienza estetica e di ricezione dell’opera come “frammento” all’interno di una grande mostra di arte del presente si rimanda alle rifessioni sulla mediazione nella Documenta 12 da parte di Annika Hossain. Cfr. A. Hossain, Das Fragment – Leitmetapher der Moderne und Indikator fuer diskursive Formationen in der Kunstvermittlung, in Kunsvermittlung II, in: Zwischen kritischer Praxis und Dienstellung auf der Documenta 12. Ergebnisse eines Forschungsprojekts, (hg) Kunstvermittlung II, Berlin, 2009 pp. 193-209 Sul concetto di “operazione estetica”, in rapporto alle teorie di Luhmann e al concetto di mediazione artistica, si veda ancora: P. Maset, op.cit, pp. 58-62. H. Enschel, K. Wienand, Komplizin Kunst – Kunstvermittlung als kritische Praxis auf der Documenta 12. conferenza del 29.11.2010, in E. Sturm, 2011, cit. K. J. Pazzini, Kann Didaktik Kunst und Paedagogik zu einem Herz und Seele machen oder bleibt es bei auch zwei Seelen in der Brust? in Kunstpaedagogische Positionen 8, a cura di E. Sturm, W. Legler, T. Mayer, Hamburg 2005, p.7. T. Krause, Unbedingtheit. Vortrag an der Carl von Ossietzki Universitaet Oldemburg, 8.11.2010, in E.Sturm 2011, cit.

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molati dallo stesso Krause a lasciare una propria traccia fisica durante uno di questi momenti, come a dare a questi un principio di articolazione sensibile. Tornando assieme su quelle stesse tracce, si cominciava di nuovo a guardare, e a riflettere: sul senso di quell’agire spontaneo, sulle sensazioni avvertite, sui pensieri insorti in relazione a quegli istanti di contatto primigenio con gli spazi, con le opere. Si operavano delle prime connessioni interne a un’esperienza in partenza incondizionata di incontro con un contesto e una sfera di operazioni estetiche. Si entrava con gradualità in quello che Eva Sturm, riprendendo Pazzini, definisce un portarsi “concretamente vicini all’arte come spazi di passaggio e campi di disturbo del normale”17. Si tratta soltanto e ovviamente di uno spunto di operatività possibile, commisurato a uno spazio e ad un target specifico di interlocutori. In ogni caso, come ricorda Maset, si tratterà di favorire dinamiche di accesso a una condizione mentale e sensoriale di apertura18, a partire dalla quale si possano poi avviare i momenti di discernimento concettuale, di interpretazione e produzione di significati. Starà ad ogni atto di mediazione rinvenire e calibrare in sé le ragioni della stessa alternanza, o intersezione, fra il piano di approfondimento di esperienze sensibili e quello di un’elaborazione concettuale e discorsiva. All’interno di una mostra tematica dal titolo Labirinto-Libertà nel forte di Fortezza, in Alto-Adige/Suedtirol19, accadeva che classi delle scuole superiori fossero condotte in un percorso “a salti” attraverso quei materiali dell’esposizione che meglio richiamavano diversi temi della costrizione corporea e psicologica nella storia umana, della privazione delle facoltà di espressione o di movimento. Alla fine del percorso e delle discussioni intercorse, gli studenti erano invitati a prendere contatto con determinati materiali predisposti dai mediatori (stoffe, reti, corde, fogli di alluminio e plastiche) che potessero evocare sensazioni contrastanti. Qui venivano stimolati a produrre in piccoli gruppi su se stessi, mediante l’impiego di questi materiali, libere e basilari forme di vestizione, mascheramento e performatività connesse alla propria idea di privazione, mancanza di libertà, costrizione. Ne scaturivano, alla fine, momenti sorprendenti di intensa produttività di senso, di confronto con gli stessi temi della mostra, e una loro inattesa rielaborazione a partire dalla sensibilità e dall’esperienza degli interlocutori specifici. Si potrà chiudere questo intervento menzionando il “diario di bordo” elaborato durante l’esperienza di mediazione nella Documenta 12 da Hanika Hossein20. La mediatrice vi testimonia dei diversi momenti di negoziazione degli stes17 18 19

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E.Sturm 2011, cit. P.Maset, op.cit, p.59 Cfr. Labyrint::Freiheit-Labirinto::Libertà, Athesia, Bolzano/Bozen 2009; Documentazione della Mostra Interregionale 2009, a cura di Paolo Bianchi, Athesia, Bolzano 2009 http://www.lab09.net/it/mediazione-culturale/liberta-di-parola/; http://www.lab09.net/vermittlung/frei-sprechen/ Cfr. A. HOSSAIN, op.cit, pp. 193-209 41

si ruoli in gioco intercorsi nel rapporto fra sé e il pubblico, dati dal profilarsi, all’interno dei gruppi di partecipanti e verso se stessa, di inattesi rapporti di potere, di produttivi fraintendimenti, ma anche di incolmabili distanze. In questo modo l’atto di mediazione si sperimenta e riconosce anche come stimolo all’articolazione e all’accettazione di diverse auto-rappresentazioni possibili in una dimensione di confronto con le operazioni artistiche. Anche qui, la recente prassi e riflessione tedesca ci rammenta come la mediazione possa proporsi di tenere vivo un piano di critica aperta, imprevedibile e irriducibile, nei confronti dell’arte stessa e del gioco spesso implicito dei suoi interessi e valori. Una mediazone effettivamente critica solleciterà un lavoro di confronto anche con le contraddizioni, le stesse crisi di senso e le varie intenzionalità implicite che le operazioni artistiche – spesso assieme alla sintassi auto-rappresentativa delle istituzioni – possono produrre o nascondere agli occhi degli interlocutori. Scriveva Sartre: “sia consentito ai partecipanti di fare qualcosa che a loro è stato fatto”. È anche da qui che una mediazione artistica, oggi, può cominciare a pensare il proprio orizzonte.

Desidero ringraziare in primo luogo Barbara Campaner, quindi Silvia Morandi e Paola Lampugnani, fondamentali per l’esistenza di questo contributo.

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Propedeutica In una didascalia è più importante il titolo o il materiale? Matilde Galletti

Esiste un’empiria delicata, che si identifica intimamente con l’oggetto e che così diventa vera e propria teoria. Goethe1.

Nel corso degli ultimi anni e con il progredire delle riflessioni sull’argomento, lo spettatore è stato designato attore principale del momento di ricezione dell’opera, sia come destinatario primo – conseguenza del valore di esponibilità dell’opera d’arte come caratteristica fondamentale della produzione contemporanea – sia come colui che attraverso la propria analisi corrobora ed esplicita il senso ultimo del manufatto artistico2. Nello specifico del tema discusso in questa sede, è necessario osservare come i soggetti osservatori, in particolare i ragazzi, siano abituati a valutare l’oggetto artistico che “incontrano” e con cui sono invitati a relazionarsi, come se fosse un testo “biblico” di cui compiere l’esegesi. «L’artista voleva dire» o «il significato potrebbe essere» o ancora «questo simboleggia» sono le prime frasi che pronuncia uno studente quando lo si mette davanti a un’immagine. Un’opera d’arte non è una formulazione visiva didascalica di un’idea, non è simbolo o metafora: l’opportunità di sdoganare queste consuetudini cognitive necessita di considerare idea, materia e forma come elementi in sintonia orchestrati dal pensiero operativo. L’opera, il linguaggio artistico, è un codice che deve essere osservato in tutte le sue componenti per poter essere decifrato. Le opere sono composte da parti che vanno a unirsi per creare il tutto significativo. Trovare la stele di Rosetta per la decodifica dell’opera d’arte contemporanea implica la necessità di un primo approccio analitico affiancato alla percezione e alle sue ripercussioni sul nostro essere senziente che vada a contemplare le singole parti significanti dell’oggetto e, al contempo, i loro effetti sulla nostra appercezione per far sì che possa avvenire una lettura di primo livello che sia pratica-

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W. Benjamin, Kleine Geschichte der Photographie, “Die Literarische Welt”, Jh. 7, n. 38, 39, 40, 1931, poi in Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Suhrkamp Verlag, Frankfurt 1955 (tr. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 2000, p. 72). Cfr. in questo senso L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Edizioni di «Filosofia», Torino 1954 (nuova ed. Bompiani, Milano 2005). 43

bile anche da chi non è dotato di un più o meno complesso apparato critico-nozionistico rispetto alla produzione artistica contemporanea. Partire dall’individuazione delle componenti lessicali dell’immagine e da questa allargarsi fino alla lettura delle tematiche, e non viceversa come spesso avviene per consuetudine, sarebbe una buona pratica da attivare di contro alle prassi educative in atto in scuole, accademie e università, dove la pratica di un insegnamento e, conseguentemente, un apprendimento prevalentemente nozionistico porta a una drastica riduzione della capacità di individuare il carico possibilistico3 di cui è colmo un manufatto artistico4. Scrive Eleonora Fioriani, docente di antropologia culturale al Politecnico di Milano: “Mi sembra importante sottolineare l’importanza di vedere, capire, avvicinarsi all’anima dei materiali. I materiali non vengono scelti solo in base alla prestazione, ma all’immaginario che essi veicolano e evocano e l’artista li utilizza in questo senso. Essi infatti intervengono sulla nostra sensibilità, modificandola, così come sulla nostra percezione. A volte ci si chiede se sia la forma a determinare il materiale o il materiale a determinare la forma, io credo che siano reciprocamente influenzabili”5. Il mediatore culturale dovrebbe farsi tramite di lettura e accompagnatore nel sistema dei segni – organizzato attraverso i materiali di cui si compone l’oggetto artistico – che compongono i lavori con cui gli studenti sono chiamati a relazionarsi, osservandoli e incoraggiando l’autonoma scoperta delle numerose strade che conducono a una comprensione potremmo dire “epidermica” e anche epistemologica dell’opera d’arte. In ultima analisi, i laboratori che verrebbero così proposti non sarebbero, quindi, solo il luogo della realizzazione ma assumerebbero la configurazione di fucine di nuovi strumenti mentali e visivi: ci richiederebbero di rendere adoperabile il sapere che abbiamo.

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In questo senso è ancora attualissimo quanto ci è mostrato da Henri-Georges Clouzot nel film Le mystère Picasso: non solo come lavora l’artista, ma – e soprattutto – le infinite possibilità che sono a disposizione dell’arte e che sono comunque presenti in ogni opera, anche la più ovvia. Molte di queste riflessioni sono emerse anche durante alcune recenti occasioni di dibattito sul tema dell’educazione e della formazione, come, ad esempio, Education lab. Percorsi di formazione dei giovani alla contemporaneità attraverso l’arte, serie di seminari, incontri e workshop svoltasi tra il 24 e il 29 marzo 2011 a Milano; oppure il seminario internazionale Learning Machine. Discorsi svolto in occasione dell’evento Learning Machines. Art Education and Alternative Production of Knowledge, a cura di Marco Scotini, 10-11 Dicembre 2010. zonarte2010.wordpress.com. Si tratta del sito di un progetto promosso dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT Torino Piemonte «rivolto alla funzione educativa dell’arte contemporanea nei confronti del pubblico» e ideato e sviluppato dai Dipartimenti Educazione di sei istituzioni del sistema arte contemporanea di Torino e Piemonte: Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Cittadellarte Fondazione Pistoletto, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Fondazione Merz, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, PAV - Parco Arte Vivente.

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La dimensione performativa e relazionale della mediazione Eleonora Tolu

Si può parlare di una ‘vocazione educativa’ dei musei attuali: ogni museo o centro d’arte che si rispetti ha oggi il suo dipartimento educativo, che progetta e realizza vari formati di visita e attività laboratoriali, modulandoli a seconda delle diverse tipologie di pubblico. In un museo ‘critico’, che riflette su di sé e sul proprio ruolo nella società, si fa urgente una riflessione sulla qualità delle pratiche educative poste in essere1. È opportuno innanzi tutto sostituire la parola educazione con ‘mediazione’, che suggerisce meglio l’idea di apertura e scambio. Il mediatore non ha il ruolo di trasmettere concetti e informazioni in maniera unidirezionale, il suo ruolo è piuttosto quello di coordinare, tirare le fila, stimolare alla partecipazione e attivare il senso critico. Può essere utile, in una riflessione sulla mediazione, prendere in esame alcuni assunti che, a partire dalle avanguardie storiche di inizio Novecento, si fanno ‘urgenti’ nella produzione artistica occidentale e formano un fil rouge che passa attraverso futuristi e dadaisti, figure come quelle di Klein e Manzoni, gli happening e le performance degli anni Sessanta e Settanta e le recenti manifestazioni di arte relazionale e partecipativa. Già Futurismo e Dadaismo avevano teorizzato la coincidenza di arte e vita, dichiarando il disprezzo per un’arte aulica e per l’aura sacrale dell’oggetto artistico, e dando vita ad un ‘anti-arte’ che non disdegnava di servirsi di forme espressive come il teatro di varietà e il cabaret. L’arte doveva scendere dal piedistallo, uscire dai musei, mescolarsi alle folle. Il rapporto con la società e i suoi cambiamenti, l’utilizzo del corpo, la dimensione temporale, la smaterializzazione dell’opera d’arte, tutti elementi centrali nell’arte degli anni Sessanta e Settanta, esistevano già in nuce negli interventi di futuristi e dadaisti, ed erano conseguenze di una scelta radicale: l’aver gettato l’arte nel turbinare dell’esistenza. Avvicinare l’arte alla vita: anche mettendo in gioco sé stessi, il proprio corpo, la propria fisicità, esporla nella sua fragilità e nella sua forza di fronte al pubblico. L’arte concettuale, la performance, la body art, portavano con sé una carica eversiva che voleva provocare il pubblico, spesso anche coin1

Cfr. i seguenti testi: C. S. Bertuglia, S. Infusino, A. Stanghellini, Il museo educativo, Franco Angeli Edizioni, Milano 2004; La qualità nella pratica educativa al museo, a cura di M. Sani e A. Trombini, Editrice Compositori, Bologna, 2003; Educare all’arte contemporanea. L’esperienza del Mart, a cura di M. T. Fiorillo, Skira, Milano, 2001.

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volto nelle performances, e in ogni caso scosso, ‘costretto’ a partecipare, a prendere posizione, a esserci, non più passivo ammiratore di opere d’arte esposte in una galleria o in un museo. E da quei decenni di fermenti rivoluzionari e di azioni provocatorie, interrogatrici, affermative, urlate, c’è un filo rosso che ci porta fino ad oggi, fino alle più recenti manifestazioni di arte relazionale e partecipativa. Anche se profondamente diverso è l’atteggiamento dell’artista, non più figura istrionica e sciamanica alla Beuys: l’artista è colui che propone un progetto e si pone come coordinatore e regista. I progetti spesso riguardano da vicino comunità che compongono la società contemporanea, chiamate a prendere posizione su certi temi o scelte che le riguardano. Il filo rosso, come abbiamo detto, è in quel binomio arte/vita che già animò l’attività delle avanguardie, e che ora si esplica in pratiche fondate sulla relazione e sullo scambio2. Tornando alla mediazione: cosa ci può essere utile guardare delle pratiche artistiche menzionate? Possiamo mutuare alcuni elementi e utilizzarli nella pratica di mediazione, basti pensare a concetti che abbiamo sottolineato come: la forte relazione che gli artisti ricercano con il pubblico, la smaterializzazione dell’arte che si dà sempre meno nell’‘oggetto’ e sempre più nell’‘evento’, l’importanza del corpo. La fisicità, la ‘capacità performativa’ nel momento della mediazione sono elementi fondamentali, che fanno parte della qualità dell’approccio con il pubblico; e anche saper intercettare e leggere le reazioni fisiche delle persone risulta particolarmente importante per rendersi conto di ‘come stanno andando le cose’ e prendere direzioni magari non previste nel momento progettuale, ma necessarie in una particolare situazione. La mediazione ha un’intrinseca dimensione performativa, che può essere più o meno sviluppata dal mediatore. È auspicabile che in un buon dipartimento educativo o di mediazione vi siano persone portatrici di competenze e saperi diversi, che possano essere condivisi per concorrere all’obiettivo di una mediazione di qualità. Gli artisti la cui attività può essere definita come ‘partecipativa’ o ‘relazionale’ si pongono spesso in un ruolo registico, di coordinazione, simile a quello del mediatore. Piuttosto che danzatori o attori alcuni artisti che operano oggi nelle arti performative vengono definiti performers, e sono gli eredi dei rivolgimenti che hanno investito la danza e il teatro nel corso del Novecento, rivolgimenti di natura simile a quelli avvenuti nell’ambito delle arti visive. Il teatro e la danza sono scesi dal palcoscenico, come l’arte è scesa dal piedistallo, per avvicinarsi, anch’essi, alla concretezza dell’esistenza. I confini fra arti visive e arti performative si sono fatti sempre più labili. La presenza di un artista sensibile alla dimensione performativa e all’estetica relazionale in un gruppo di mediazione potrebbe apportare un notevole contributo alla qualità dei progetti, sia in fase di ideazione che di realizzazione.

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Cfr. R. L. Goldberg, Performance. Live art since the 60s, Thames & Hudson, London, 1998; N. Bourriaud, Esthétique relationelle, Les presses du réel, Paris, 1998 (trad. it. Postmedia Books, Milano 2010); S. O’Reilly, The Body in Contemporary Art, Thames & Hudson, London 2009 (trad. it. Einaudi, Torino 2011).

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Materiali di un’esperienza di mediazione sulla video-arte

Progettazione di laboratori di mediazione sulla video-arte: struttura e proposte del corso Valentina Gensini

Il progetto qui descritto, promosso dalla Provincia di Grosseto in collaborazione con la Scuola di Specializzazione dell’Università di Siena, è stato dedicato alla formazione di operatori didattici e mediatori in grado di introdurre gli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado della provincia di Grosseto al linguaggio della video-arte. Tale formazione (fase A del progetto) ha previsto 3 momenti distinti di lavoro, cui è seguita la pratica di mediazione esercitata dagli studenti del corso direttamente nelle scuole (fase B), attuando un programma distinto in cinque stadi di attuazione. Il corso rappresenta una realtà sinergica virtuosa che riesce a coniugare, grazie alla direzione scientifica di Anna Mazzanti, Enti Locali e Università, Ricerca e Formazione, introduzione al lavoro e potenziamento dei servizi culturali sul territorio, promozione della cultura contemporanea tra formazione e fruizione. Infatti giovani laureati del territorio sono stati formati per attivare la cultura del contemporaneo sul loro stesso territorio di appartenenza. Il corso, oltre alla formazione gratuita, ha previsto un tirocinio retribuito – aspetto, questo, molto importante, sia sotto il profilo etico che sotto la pretesa di ‘professionalizzazione’ –, in cui si è chiesto agli studenti di essere protagonisti nella strutturazione del materiale da proporre alle classi, e di gestire in modo completamente autonomo e responsabilizzato le relazioni con gli insegnanti, gli allievi di scuole medie e superiori, le artiste tutor dei workshop nonché i laboratori stessi nella loro fase di attuazione e proposizione alle classi, cui sono stati offerti gratuitamente. In una realtà territoriale priva di un Museo di arte contemporanea – ed in questo senso la situazione di Grosseto è comune alla maggior parte delle provincie italiane –, l’intervento dei mediatori nelle scuole diventa ancor più importante, ed un servizio ‘mobile’ di mediazione sul contemporaneo viene a sostituirsi al dipartimento educativo del Museo. Medium ideale per proporre agli studenti l’arte contemporanea all’interno della struttura scolastica è il video. Non solo perché è un testo dal supporto mobile e pertanto facilmente fruibile ovunque, ma anche per ragioni ben più profonde, che avremo modo di affrontare in diversa 49

sede1. Il video, per sua natura, si presta in modo particolarmente efficace ad un approfondimento metodologico su tutta l’arte degli ultimi cinquant’anni, e la storia stessa del medium ce lo insegna, contaminato e ibridato com’è, fin dalla nascita, con tutte le altre forme principali di espressione, dalla performance alla body art, dall’arte ambientale a quella concettuale, a tutto l’universo di fluxus. In questo senso il video rappresenta un’occasione di discussione sul contemporaneo ‘fortunata’, ma non ideale: bisogna sempre ricordare – lo abbiamo fatto noi con i nostri giovani mediatori, e loro con gli allievi delle scuole grossetane – che il video non è l’opera in sé, ma che fruito in un contesto ‘altro’ da quello previsto perde molti aspetti costitutivi del suo essere opera d’arte: l’ambiente che generalmente l’artista prevede o con cui interagisce, sia esso una galleria, un museo o una qualunque altra sede pubblica o privata, qui ovviamente sostituita da un’aula scolastica; il contesto semantico attorno all’opera, costituito non solo dal supporto di proiezione ma anche dall’allestimento pensato per l’opera, eventualmente legato ad altri oggetti o a particolari condizioni di rumore, luce ecc., nonché le dimensioni di riproduzione, assai variate negli anni dal monitor alle video-proiezioni o addirittura video-installazioni ambientali (si pensi a Sleepwalkers di Doug Aitken al MoMa NY). Tutti questi elementi costitutivi dell’opera vengono a mancare nella dimensione di fruizione rappresentata dall’aula, ed è molto importante che i ragazzi ne siano consapevoli. D’altro canto sarà loro immediatamente evidente che se lavorare con un video proiettato in classe non è come trovarsi in un museo, lavorare e partecipare a laboratori con la video-arte è anche una condizione ben diversa e assai più stimolante che osservare opere riprodotte fotograficamente in un libro.

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Si veda il mio contributo, in uscita, V. Gensini, Alle origini della video-arte: la contaminazione dei linguaggi e l’indagine sul medium come sperimentazione di percorsi ‘mediati’ verso il contemporaneo, in Art/tapes/22. Il laboratorio in trasferta. Alle origini della sperimentazione video in Toscana, atti del convegno a cura di A. Mazzanti, Follonica 2011.

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Struttura del progetto tra formazione dei mediatori e azione nelle classi delle scuole medie e superiori della Provincia di Grosseto

FASE A FORMAZIONE DEGLI OPERATORI COME ‘MEDIATORI CULTURALI’ La fase di formazione degli operatori costituisce un momento fondamentale in cui studenti universitari di storia dell’arte, laureati o specializzandi, hanno approfondito le loro conoscenze scientifiche sul tema della video-arte per poi affrontare con consapevolezza i principi cardine della mediazione e costruire concretamente i laboratori da proporre alle classi. La formazione si è suddivisa in 3 momenti diversi:

a) LA VIDEO-ARTE: SPECIFICITÀ LINGUISTICHE E CARATTERISTICHE STORICHE DEL MEDIUM VIDEO. È nostra profonda convinzione che non si possa fare mediazione su realtà che non si sono conosciute, studiate e approfondite criticamente. Pertanto l’aggiornamento degli studenti è avvenuto tramite seminari tenuti da docenti e specialisti in video-arte, che hanno affrontato questioni critiche di particolare rilevanza quali: – la specificità linguistica e semantica del medium video Il video come time based art, con caratteristiche proprie, indagate dalla video-arte sperimentale che con artisti quali Peter Campus e Nam June Paik cercava di condurre una sperimentazione interna al medium – relazioni e rapporti con cinema, TV, video-documentario questo aspetto ha costituito un momento molto importante, e anche gradito agli insegnanti. La riflessione sul mezzo video, fondamentale nel linguaggio e nella comunicazione contemporanei, offre giustamente un’occasione preziosa per distinguere forme artistiche da impieghi molto diversi, sia per natura che per modalità espressive, come il cinema, che pure è fortemente contaminato con la video-arte, la televisione – che a differenza di cinema e video, linguaggi immediatamente associati ad una finzione creativa o immaginifica, è facilmente quanto erroneamente considerata dai giovani alla stregua di una finestra sulla realtà, con ingannevoli certezze di ‘verità’ o ‘realtà’ rispetto a quanto rappresentato; il video-documentario, nella sua doppia natura di documentario di varie realtà – tra cui quella artistica con i suoi protagonisti e i suoi ambienti – o di documentazione di performance artistiche avvenute e registrate a fini documentari e non artistici. 51

– la differenza tra video d’artista, ovvero semplicemente realizzato da un artista video-arte, un video che lavora sulla specificità del medium con consapevolezza rispetto a questo dato video-documentazione di performance, ovvero la registrazione video di una performance, realizzata con un intento di documentazione. – l’evoluzione della video-arte dalle origini ad oggi: dalle origini del portapack negli anni Sessanta, ad esperienze fondamentali per il nostro territorio ma anche su scala internazionale, quali Art tapes 22 con Maria Gloria Bicocchi, fino alle più recenti esperienze e formati sperimentati dagli artisti di ultima generazione anche a livello internazionale. Sono intervenuti, per approfondire i temi suddetti con gli studenti: Carmine Fornari, operatore tecnico di art tapes 22 e docente di cinematografia RUFA, Libera Accademia di Belle Arti a Roma Sandra Lischi, docente video-arte Università di Pisa e direttrice del festival Invideo Silvia Lucchesi, direttrice del festival di video documentari d’arte Lo schermo dell’arte, Firenze Elena Marcheschi, dottore di ricerca Università di Pisa e consulente artistico festival Invideo Orsola Mileti, curatrice ed esperta di video-arte Valentina Valentini, professore presso il Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo, Università La Sapienza di Roma, e curatrice Elena Volpato, curatrice per il settore contemporaneo e responsabile della Videoteca della Galleria d’arte moderna, Torino

b) L’ESPERIENZA DI MEDIAZIONE NELL’ARTE CONTEMPORANEA: FOCUS SULLA VIDEO-ARTE La mediazione riguardo alla cultura artistica contemporanea ha una serie di specificità che sono state considerate, con particolare riguardo al medium video. La fruizione del video non è immediata: richiede un tempo prestabilito, e dunque non lascia libertà totale all’osservatore. In un contesto museale o espositivo, se un video è molto lungo difficilmente lo spettatore medio accetta di vederlo per intero; inoltre il dato – probabile – di iniziare la visione a metà può costituire una difficoltà rilevante rispetto alla possibilità di creare una relazione profonda con l’opera. Come curatrice, ritengo che l’aspetto della fruizione delle opere non sia ancora al centro del lavoro dei curatori, e che anche in contesti importanti ed internazionali ancora troppo spesso non si trovano le condizioni ideali perché un lavoro sia fruito al meglio, soprattuto nel caso della video-arte. In un contesto scolastico si può – erroneamente – pensare di ‘obbligare’ la 52

classe a vedere un video dall’inizio alla fine, ma non si può costringere l’attenzione dei ragazzi. Se siamo attenti ed interessati ad una buona fruizione, sarà pertanto opportuno scegliere video di una lunghezza piuttosto breve nella loro interezza. L’alternativa di mostrare frammenti di video può essere accettabile solo quando sono funzionali ad un discorso teorico ampio, ma non restituirà certo il senso dell’opera, e pertanto è una scelta da fare solo in rari e ponderati casi. Rispetto ad un lavoro in contesto dato quale il museo o l’esposizione, con il gruppo di giovani mediatori ci siamo trovati nella condizione – rarissima – di dover scegliere le opere su cui lavorare, aspetto questo che ci ha impegnati in valutazioni di varia natura, motivate da molteplici priorità: – operare un selezione di opere di ultima generazione, in grado di parlare un linguaggio vicino ai giovani e immediato rispetto alle loro modalità di fruizione nonché ai loro interessi; video come Big bang, big boom di Blu, oppure Signature di Philippe Grammaticopoulos hanno costituito una preziosissima occasione di coinvolgimento e stimolo anche relativamente alle tecniche utilizzate come lo stop motion per Blu, che non si limita a registrare un’azione performativa, ma fa sì che il video sia esso stesso opera; la grafica in Grammaticopoulos, che nel video Signature sintetizza in modo straordinario messaggio etico e ricerca linguistica. – attraverso la frequentazione di opere video strettamente contemporanee introdurre tematiche importanti in relazione ai problemi sociali, politici, etici e culturali del nostro tempo: si è così potuto parlare dei diritti umani grazie a Signature, di valori patriottici e ideali grazie a Six Actions in Narrative Justice di Carlos Motta, della condizione geopolitica attuale grazie a Dammi I colori di Anri Sala, ma anche dei diritti della donna tramite Doll Clothes di Cindy Sherman, datato 1975; – attraverso la familiarizzazione con il mezzo, andare à rebours fino alle origini della video-arte, parlarne ai ragazzi nella lezione introduttiva spiegando loro l’ibridazione tra le arti in cui nascono i primi tentativi, raccontare l’esperienza di art tapes 22, confrontandosi su video in catalogo art tapes 22 quali Art is beautiful, Artist must be beautiful di Marina Abramovic, The Florence tape: clothing, walking, lifting, learning di Douglas Davis o Third routine di Allan Kaprow, entrambi datati 1974; – riflettere sulla specificità del medium mettendolo in relazione con cinema e tv, proprio in virtù della contaminazione dei linguaggi: in rari casi ci si è concessi di partire non da un video d’artista ma da un film, come per il laboratorio su Le Cinque Variazioni (titolo originale Five Obstructions, 2003) del regista Lars Von Trier, ottima occasione per prendere in analisi le relazioni cinema-arte, guardando anche video come 24h Psycho di Douglas Gordon e rimettendo in gioco tutte le problematiche della time based art. – lasciare spazio ad una dimensione più immaginifica e creativa, che nel video 53

trovasse stimoli e spunti per guardare ed osservare in modo diverso la realtà, come suggerisce il video Lullaby di Pipilotti Rist – utilizzare materiale reperibile, dunque video integralmente presenti sui siti degli artisti – è il caso di Blu e Motta –, o reperibili sul web in forma intera o comunque in porzioni significative. La scelta di usare il web come fonte primaria dipende dal fatto che le videoteche di musei e gallerie non prestano i video, e dunque si può lavorare sulla video-arte solo attingendo dal web, fonte eccezionale anche per gli insegnanti e per gli studenti stessi, che grazie ai nostri mediatori hanno scoperto che internet è una buona risorsa anche per scoprire e conoscere l’arte contemporanea. Nella formazione per la mediazione si sono dunque strutturati i 9 formati qui proposti: – una lezione introduttiva che desse agli studenti le basi per un approccio critico alla lettura di un video (vedi laboratorio 1), basata sull’introduzione delle categorie parola, immagine, suono, quindi piccoli riferimenti agli anni Sessanta-Settanta, e all’aspetto time based art nonché a caratteristiche linguistiche – 8 laboratori in cui – eccetto in un caso – si è deciso di affrontare un solo video a laboratorio, costruendoci intorno attività volte alla comprensione ed analisi dell’opera. Come ho detto nell’Introduzione credo che l’opera resti l’origine e il fine della mediazione, e su questo ci siamo interrogati a lungo con gli studenti-mediatori. È stato interessante, in proposito, confrontarsi con diversi mediatori e con i presupposti che muovono il loro lavoro. Sei seminari sono stati tenuti da operatori e responsabili dei dipartimenti di mediazione afferenti ad alcuni tra i più importanti musei e centri di arte contemporanea in Italia e anche all’Estero: Raffaele Bedarida, Gallery Educator al Solomon R. Guggenheim Museum e Lecturer al MoMA, dottorando CUNY, New York Barbara Campaner, già mediatrice a Documenta, Kassel, Manifesta e al Museion di Bolzano Valeria Ceruti, responsabile del progetto europeo DidArt e Coordinatrice del Dipartimento Educativo del MamBo, Bologna Antonella Angeloro, mediatrice presso il Dipartimento educazione della Galleria d’arte moderna, Torino Alessandra Tempesti, mediatrice e responsabile del progetto Open Studios presso il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze Stefano Filipponi, Coordinatore del MUDI, Museo dell’Istituto degli Innocenti e della Bottega dei Ragazzi, Firenze. 54

Il confronto con esperti del settore ha portato gli studenti del corso a confrontarsi con diverse pratiche e modalità operative, e con differenti programmi di educazione e mediazione, costruiti su e con opere di video-arte. Particolari riflessioni si sono svolte con Raffaele Bedarida, in diretta skype da New York, e con Valeria Pica, dottore di ricerca presso l’Università di Roma Tre sui temi della mediazione e didattica museale. Con loro abbiamo riveduto i principi della mediazione e le diverse circostanze in cui il mediatore può trovarsi ad operare.

c) ‘MEDIARE’ VIDEO DI ARTISTI CONTEMPORANEI: COSTRUZIONE DI LABORATORI DESTINATI AD UN TERRITORIO ED UN TARGET SPECIFICO. Questa ultima fase ha visto una approfondita introduzione metodologica su presupposti, principi e pratiche della mediazione, cui sono seguiti alcuni incontri seminariali in cui gli studenti stessi sono stati chiamati a costruire laboratori destinati alle scuole. Così si è prodotto il materiale che ha consentito di passare alla fase attuativa di reale pratica, in cui gli studenti hanno proposto i laboratori alle scuole. La metodologia attuata è quella della didattica dell’arte basata sulla mediazione che porti operatori e studenti a relazionarsi alle opere in modo partecipativo e maieutico, stimolando consapevolezze ma anche un approccio personale, critico e creativo all’arte, come ai contenuti e le problematiche sollevate dalle opere prese in esame. Come da presupposti metodologici, l’arte contemporanea diventa così occasione per riflettere sulla realtà contemporanea, sui problemi del nostro tempo, su questioni sociali, etiche, politiche ed economiche. Il punto è: come coinvolgere gli studenti? Come ottenere la disciplina in classi numerose? Come relazionarsi con gli insegnanti? Di fronte a queste domande la risposta è sempre e solo: “dialogo e messa in gioco di sé”. L’unica risorsa del mediatore è la sua esperienza. E non intendo solo esperienza professionale: intendo esperienza di vita, esperienza culturale. Come chiediamo agli studenti che vivono con noi un’esperienza di mediazione di fare ricorso alla propria esperienza di vita per trovare gli strumenti per leggere un’opera d’arte ed entrarci in relazione, così il mediatore deve fare altrettanto. Non si insegna a diventare mediatori, si può solo fare un’operazione di mediazione alla formazione. Starà a ciascun mediatore sperimentare le modalità opportune per trovare una sintonia con il gruppo di lavoro, ed ogni volta il gruppo sarà diverso, e richiederà attenzioni, modalità e approcci diversi. Per quanto riguarda il rapporto con gli insegnanti, invece, credo che possano essere un alleato fondamentale per il buon lavoro di un mediatore, sia che esso operi in un museo o struttura espositiva, sia che esso vada ad operare nelle classi, com’è stato il nostro caso. 55

FASE B Proposta dei formati di mediazione su video-arte a studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado della Provincia di Grosseto

a) INCONTRI PRELIMINARI CON GLI INSEGNANTI Alcune figure di coordinamento, scelte tra i mediatori, hanno strutturato incontri preliminari con i docenti, in cui sono stati preventivamente presentati i formati laboratoriali offrendo loro la possibilità di scegliere tra alcuni laboratori in base ai loro interessi rispetto a tematiche e linguaggi trattati. Un buon rapporto con gli insegnanti è molto utile al mediatore perché – rispetta il lavoro pregresso che il docente ha fatto sulla classe – stimola sinergie importanti che attivano favorevoli ricadute sulla classe – favorisce un confronto dialettico che offrirà strumenti reciproci e che favorirà un clima di scambio e collaborazione anche nel corso dei laboratori con gli studenti L’incontro preliminare ha offerto ai docenti la possibilità di concordare gli appuntamenti sulla video-arte per rispondere alle esigenze da loro espresse in rapporto ad alcuni fattori specifici quali: – Aspetti metodologici: confronto e interazione tra insegnamento e pratiche di mediazione – Programmi svolti in ambito scolastico: ricerca di sinergie tematiche – Esigenze dei ragazzi e difficoltà da loro mostrate in rapporto a lavori di osservazione/analisi/produzione – Valutazione congiunta relativamente agli aspetti del mondo contemporaneo cui i giovani possono essere più sensibili (effetti della globalizzazione sui paesi emergenti, condizione della donna, bioetica, partecipazione civile ecc.). – Creazione di percorsi specifici con attenzione mirata al target di riferimento su cui adattare i formati: scuole medie inferiori, scuole superiori divise in istituti tecnici, professionali, licei ecc. – Adattamento dei formati sulle singole classi: gli insegnanti hanno informato i mediatori su eventuali casi problematici, sulla presenza di ragazzi disabili, su classi particolarmente ‘difficili’ in modo che i mediatori potessero esercitare al meglio e con la massima attenzione la loro pratica di mediazione. Si tenga conto che, come abbiamo avuto modo di riflettere, situazioni così dette problematiche sono un terreno ideale per la mediazione. La metodologia della mediazione, infatti, per sua stessa natura si propone a tutti indistintamente, e considera le abilità di soggetti diversamente abili un dato molto ricco ed interessante su cui far lavorare l’intero gruppo; quindi i mediatori hanno cercato di coinvolgere gli insegnanti e di invitarli il più possibile a far partecipare classi ‘dif56

ficili’ o con situazioni certificate, fiduciosi nell’utilità degli incontri proposti anche ai fini di favorire e sostenere l’integrazione. Anche in situazioni di conflitto razziale, etnico o culturale – per es. religioso – la mediazione ha un valore importantissimo, e come tale è da consigliare come pratica anche agli insegnanti: la mediazione non prevede risposte giuste o sbagliate, non accetta assiomi, non contempla gerarchie di sorta, ed in questo senso è una metodologia radicalmente educativa e stimolante, perché esclude la contrapposizione e il pregiudizio per favorire il confronto aperto, il dialogo e l’immaginazione.

b) PRIMO INCONTRO: INTRODUZIONE ALLA VIDEO-ARTE (formato per scuole secondarie di II grado) Incontro propedeutico in cui si sono affrontati elementi chiave per la ‘lettura’ di un’opera di video-arte, fornendo agli studenti: a) elementi di analisi del mezzo video attraverso i vari registri che lo compongono: – elemento visivo: l’uso dell’immagine, la fotografia, il montaggio, l’animazione – elemento sonoro: la colonna sonora, il suono ambiente, voci fuori campo, voci narranti – elemento testuale: testo scritto/testo parlato – elemento installativo: distinzione tra opera video a canale singolo e videoinstallazione b) analisi del rapporto video-realtà: aderenza alla realtà, manipolazione della realtà, riproposta della realtà con enfasi di specifici elementi. Analisi dell’immagine in movimento distinguendo le specificità del medium (differenze tra televisione, video-arte, cinema, documentario). c) elementi di storia dell’arte degli anni Sessanta-Settanta, per capire la nascita della sperimentazione video, in particolare in relazione ai movimenti di body art, arte performativa e arte concettuale, anche in rapporto al concetto di dematerializzazione dell’oggetto artistico. In questo senso il tema della video-arte si presta benissimo a coprire quel lasso di tempo – dagli anni Sessanta ad oggi – generalmente non studiato a scuola, laddove i programmi arrivano abitualmente agli anni Sessanta-Settanta. Pertanto i mediatori potrebbero davvero lavorare di concerto con i docenti per fare un rapido excursus sull’arte più recente andando a completare il programma curriculare con modalità metodologiche laboratoriali.

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c) SECONDO INCONTRO: LABORATORIO DI MEDIAZIONE (formati per scuole secondarie di I e II grado) Gli studenti-mediatori hanno proposto nelle classi i laboratori di mediazione preventivamente concordati con gli insegnanti. Le numerose tematiche presenti negli 8 formati disponibili hanno fatto sì che molti docenti abbiano potuto scegliere soggetti affini ad alcuni temi di approfondimento del programma curriculare, trovando così stimolanti sinergie. Attraverso la scelta di uno o più video contemporanei, gli studenti hanno vissuto un’esperienza profonda con l’opera d’arte in questione, analizzandola attraverso gli schemi assimilati in precedenza, ma anche venendo stimolati ad una partecipazione attiva e creativa attraverso un approccio laboratoriale, che li ha coinvolti chiamandoli direttamente in causa sia attraverso la formulazione di giudizi critici sia attraverso la produzione di elaborati.

d) TERZO INCONTRO: WORKSHOP CON L’ARTISTA Il workshop finale, tenuto da un video-artista, ha costituito un laboratorio unico e rimesso alla soggettività dell’artista stesso, un’esperienza creativa e partecipativa che ha portato alla produzione di elaborati video da parte degli alunni. Le artiste Caterina Pecchioli e Moira Ricci, note a livello internazionale, hanno proposto formati differenti a seconda dei diversi istituti che hanno partecipato, ottenendo ottimi risultati in termini di partecipazione e produzione di materiale da parte dei ragazzi.

e) ELEMENTI DI VALUTAZIONE I mediatori hanno distribuito questionari di valutazione a insegnanti e alunni (si vedano schede relative) Sia dopo gli incontri con i mediatori, sia dopo gli workshop con gli artisti sono stati attivati elementi di valutazione del lavoro svolto. I mediatori hanno distribuito due diversi questionari di valutazione a insegnanti ed alunni per valutare i risultati ottenuti e le problematiche riscontrate, nonché l’efficacia degli interventi riguardo agli obbiettivi prefissati. Mediatori e artisti hanno inoltre tenuto colloqui con gli insegnanti per verificare la funzionalità dei formati proposti. L’aspetto della valutazione è molto importante e va saputo interpretare. Dati apparentemente negativi da parte degli alunni come un rifiuto di un tema, per esempio, possono essere indice che qualcosa è avvenuto, che qualcosa li ha disturbati attirando la loro attenzione. Anche i risultati dei questionari vanno letti come dati complessi da valutare in modo analitico, e non meramente quantitativo. 58

CONCLUSIONI Il progetto complessivo è stato costruito per fornire agli studenti-operatori spunti critici di consapevolezza sul lavoro della mediazione, nonché dati importanti per lo svolgimento del proprio lavoro. Sul piano dell’attuazione dei laboratori, grande importanza si è data al confronto con il corpo docente e con gli studenti stessi, come momento di lettura ed interpretazione delle esigenze del territorio. I questionari e gli elaborati prodotti dai ragazzi, nonché i fruttuosi colloqui tenuti con gli insegnanti, incoraggiano fortemente a ripetere l’esperienza, con la speranza che i mediatori formati possano restituire al territorio questi anni di esperienza ‘guidata’ con un servizio ed un rapporto continuativo e professionale con le scuole. La formazione gratuita seguita da uno stage retribuito con parametri professionali, credo rappresenti un raro e onesto esempio di come gli Enti locali possano costruire percorsi virtuosi coniugando in un unico progetto interessi di Università e Scuola secondaria, tra formazione, ricerca e sperimentazione, avviamento al lavoro per i giovani laureati/specializzandi e offerta di servizi culturali alle scuole secondarie del territorio. L’auspicio di tutti noi è che questo biennio introduca i nostri mediatori in un percorso professionale che li porti a lavorare stabilmente sul territorio, costituendo un gruppo di lavoro capace di auto-formarsi ed aggiornarsi, e di arricchirsi di nuovi elementi.

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Giulio Paolini, Unisono, 1974. Still frame da video. Courtesy Archivio Giulio Paolini, Torino

Esempi di formati laboratoriali INCONTRO DI INTRODUZIONE ALLA VIDEO-ARTE PREMESSA Presentazioni Poiché si prevede che questo sia l’incontro introduttivo di un percorso, è fondamentale che il mediatore faciliti la creazione di un ambiente disteso, in cui ciascun componente si senta parte attiva di un percorso di apprendimento collettivo. Il gruppo lavora in modo non gerarchico, si cerca di stare in cerchio, il mediatore si pone come un qualunque studente e invita gli insegnanti presenti a fare altrettanto. Eventualmente, oltre a chiedere agli studenti di presentarsi, faremo loro esprimere qualche idea riguardo alle aspettative maturate riguardo all’esperienza che li attende. DURATA 5 min

Comprensione del testo Si invitano gli studenti ad esprimere liberamente associazioni mentali con la parola VIDEO Ogni risposta fornita dallo studente sarà scritta sulla lavagna e il mediatore dovrà cercare di disporre le parole in sequenza sulla base del valore semantico. Al termine delle risposte dei ragazzi introdurre il concetto di video partendo dalla sua etimologia: significato di video dal verbo latino video (vedere); sottolineare quindi il momento della visione vera e propria, e sviluppare la parte sia tecnica che poetica che il mezzo può offrire. Terminare la presentazione descrivendo la peculiare caratteristica del video, inteso come flusso di informazioni elettroniche. DURATA 15 min

I PARTE Analisi Introdurre 3 categorie utili per la lettura del linguaggio video, che interessa più sensi contemporaneamente. Ottimi spunti sono offerti dall’opera “Il linguaggio del video” di S. Lischi (Carocci Editore). I concetti saranno iscritti in maiuscolo sulla lavagna: 61

– IMMAGINE – SUONO – PAROLA – IMMAGINE Evidenziare la vasta gamma di “effetti” visivi che l’immagine elettronica consente: staticità o movimento dell’oggetto e/o della videocamera, velocità o lentezza con cui si muove l’oggetto (spiegare la differenza tra le sperimentazioni in real time e il montaggio effettuato in post produzione). Focalizzare l’attenzione sulle possibilità tecniche offerte dalla videocamera: zoom, carrello, panoramica, spostamenti circolari, orizzontali, verticali, continui, effetto slow-motion, effetto accelerato. – SUONO Sottolineare che la videoarte ha origine parallelamente alle sperimentazioni della musica elettronica e della musica concreta (Pierre Schaeffer) ed enfatizzare il potere evocativo derivato dai suoni e dalla musica. La ricerca e la sperimentazione degli artisti comprende spesso alterazioni sonore o la rivendicazione di spazi al silenzio e soprattutto ai rumori. Far dunque riflettere i ragazzi sull’importanza della presenza o dell’assenza di sonoro nel video e il modo in cui essa viene utilizzata: se in contrasto o coerente la narratività dell’immagine, se estraniante o potenziatrice del significato dell’immagine, se sono presenti voci, dialoghi di uno o più personaggi o rumori provenienti da diverse fonti. – PAROLA Sottolineare che il video si sviluppa, diversamente dal cinema, senza una precisa sceneggiatura; l’uso della parola è quindi diverso da quello tradizionale. Far riflettere gli studenti sulla presenza o meno della parola in senso lato: scritta a mano, scritta sul video, con vari effetti di luce e colore; analizzare le possibili modalità con cui essa viene presentata all’interno dell’opera video. Riflettere inoltre su come la parola possa relazionarsi al suono e all’immagine; dove e quando la parola è presente nel video: se solo nel titolo e nel nome dell’artista, se vi sono dialoghi riportati, narrazioni con voci fuori campo, poesie, parole in libertà ecc. Far riflettere inoltre gli studenti sulle infinite possibilità che il video può offrire all’artista e sul fatto che una determinata scelta condiziona e determina il significato e le emozioni che il video vuole trasmettere. DURATA 20 min

TIME BASED ART Introduzione del concetto del video come time based art, quale arte strettamente legata alla dimensione temporale. Esemplificazione del concetto sopra esposto attraverso la differenza che 62

corre tra VIDEO in senso stretto, video d’artista, documentario, film, videoclip, cortometraggio, video-installazione ecc. DURATA 5 min

BREVI ACCENNI STORICI SULLA NASCITA DEL VIDEO Il legame intrinseco con body art, performance, arte concettuale, arte ambientale Testare la pregressa preparazione dei ragazzi in merito alla conoscenza di eventi come la performance, la body art e l’ibridazione tra le arti con particolare riferimento a Fluxus. Detto questo, impostare un discorso di carattere prettamente storico partendo dagli eventi significativi come la dotazione agli artisti del nuovo modello portapack della Sony nel 1965 e le conseguenti sperimentazioni. Accennare attraverso una generica cronologia l’evoluzione del mezzo video tra gli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta fino alle recenti e più significative esperienze. DURATA 15 min

II PARTE Visione di materiale video Visione di video, still o photo-frame che esemplifichino le tematiche precedentemente affrontate, partendo dallo schema ‘immagine-suono-parola’ (perché l’intervento del mediatore sia maieutico, è preferibile rimanere in silenzio durante la visione di ogni video e lasciare lo spazio per una discussione e commento solo al termine di ogni sezione tematica e di ogni gruppo di video visionati). Questo momento deve essere dedicato all’attivazione della classe. Se la classe è troppo numerosa, oppure poco vivace ecc., si può ricorrere all’ipotesi di farli lavorare per 25 min divisi in gruppetti assegnando ad ogni gruppetto un lavoro di analisi –secondo lo schema indicato sulla lavagna – su uno-due video, per poi presentare il lavoro alla classe nel quarto d’ora successivo. In questo caso il mediatore passa di gruppo in gruppo sostenendo l’analisi. Per le possibilità tematiche da affrontare si veda la scheda allegata. DURATA: 40 min

Conclusioni Discussione finale e commento dell’esperienza al fine di far emergere negli studenti la consapevolezza che il loro modo di affrontare la visione di un video, nelle sue molteplici espressioni, è da spettatori attivi e cercare di sviluppare in loro una nuova coscienza critica ogni volta che si avvicinano ad un qualsiasi tipo di visione. DURATA: 10 min 63

ALLEGATO Scaletta video divisi per tematiche 1) MANIPOLAZIONE VIDEO Elementi tecnici (sperimentazione di distorsione e manipolazione delle immagini, circuito chiuso, effetto specchio, intarsio, video come ripresa di performance). – Nam June Paik (esperimenti di distorsione delle immagini e sperimentazioni sul mezzo video), visione di alcuni frammenti di “Good Morning Mr.Orwell, 1984”, “Global Groove”, 1973, ed i numerosi interventi ripresi dall’artista all’interno delle performances del gruppo Fluxus (“A tribute to John Cage”, 1976). – Marina Abramovic, “Art must be beautiful”, 1975 e “Relation in time”, 1977. – William Wegman, “Stomach song”, 1970. – Bruce Nauman, “Video Corridors” e “Pinch neck”, 1968 (esemplificazione del circuito chiuso). – Vito Acconci, “Open book”, 1974, “Mouth piece”, 1978 (circuito chiuso e ripresa della performance, ibridazione tra le varie espressioni artistiche elaborate ed immortalate attraverso il mezzo video). – Peter Campus, “Three Transitions”, 1973 (sperimentazioni del mezzo elettronico video, circuito chiuso, intarsio, diversificazione di ognuna delle “transizioni”). – Robert Cahen, “Just le temps”, “Invitation au voyage”, “Sept visions fugitives”, 1995 (montaggio, utilizzo del colore, ricorrenza del tema del viaggio).

2) RAPPORTO con il TEMPO (accelerazione, slow-motion, montaggio)

Relazione con la PITTURA : – Sam Taylor Wood, “Still life”, 2001 (tema della Natura morta e della Vanitas, cfr. Caravaggio). – Bill Viola, “The Greeting”, 1995 (slow motion; possono essere mostrati anche altri esempi di Bill Viola, estratti video e/o photo-frames, come “The silent Mountain”, 2001, o “The quintet of remembrance”, 2000, o “Emergence”, 2002, “Observance”, 2002).

NB Il tema della pittoricità del video e dei riferimenti artistici storici: sarà utile mostrare ai ragazzi anche le riproduzioni pittoriche di Pontormo (“La visitazione”) e di Caravaggio (“Canestra di frutta”). 64

Relazione con il CINEMA : – Douglas Gordon, “Twenty four hour Psycho”, 1993 (rallentamento estremo del flusso delle immagini reso possibile solo grazie alla tecnologia video che genera processi di astrazione, riferimenti al film “Psyco” di A. Hitchcock, 1960). – Tracey Moffat, “Doomed”, 2007 (montaggio di sequenze di film più o meno celebri, con l’effetto della costruzione di una narrazione assurda ed alienante, attraverso il prolungamento dei momenti tragici e drammatici che caratterizzano ogni film preso in considerazione).

VIDEO-INSTALLAZIONI L’attitudine al coinvolgimento diretto dello spettatore è una costante delle videoinstallazioni, già a partire dalle prime prove di Nam June Paik, come “Tadaikson”, Seul, 1988, “Buddha TV”, 1989, o di Wolf Vostell, come “Tv de-collage”, 1963). Spiegare le caratteristiche ‘ambientali’ della video-installazione. – Pipilotti Rist, “Ever is over all”, New York, MoMa, 1997. – Fabrizio Plessi, “Mare di marmo”, 1984. – Pipilotti Rist, “Put your body out”, New York, MoMa, 28 novembre 2008. – Studio Azzurro, “Il nuotatore (va troppo spesso a Hidelberg)”, Venezia, Palazzo Fortuny, 1984. – “Luci di inganni”, Milano, Showroom ARC-74, 1982 (evoluzione del gruppo e passaggio dal primo decennio dei videoambienti alle recenti sperimentazioni degli ambienti sensibili). – Doug Aitken, “SleepWalkers”, New York, MoMa, 16 gennaio-12 febbraio 2007.

VIDEO DI ANIMAZIONE – William Kentridge, “Mine”, 1991 (tecnica del palinsesto: utilizzo del carboncino, cancellazione e disegno sullo stesso foglio). – Grammaticopoulos, “Signature”, 2007 (utilizzo della china). – Blu, “Big Bang Big Boom”, 2010.

VIDEOCLIP Videoclip di Gondry, Cunningham, Corbijn

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R-EVOLUTION

Oggetto Blu, Big Bang Big Boom, 2010. Il video è interamente visibile sul sito internet dell’artista all’indirizzo: www.blublu.org

Destinatari Scuole Superiori di primo e secondo grado.

Obiettivi – Acquisizione di strumenti analitici per la comprensione del mezzo video e della poetica espressa dall’artista (tema dell’evoluzione, della trasformazione, dell’ibridazione tra le arti, musica, video, pittura, performance). – Comprensione del video nella sua specificità complessiva: significati, simboli, peculiarità tecniche.

Biografia dell’artista Blu è lo pseudonimo di un giovane artista. Nato nei primi anni Ottanta, cela volontariamente la sua identità per preservare il lavoro di graffitaro: al limite della legalità, avvolge la sua personalità in un alone di mistero. Vive a Bologna ed è attivo nel campo della street-art dal 1999, quando il desiderio di trasformare architetture ordinarie, talvolta fatiscenti, lo spinge a esprimere la sua creatività in uno spazio aperto e potenzialmente illimitato. Ama il segno asciutto e rifiuta i virtuosimi, procedendo per uniformi campiture di colore. Nei suoi lavori si rintraccia un messaggio morale, un forte attacco alla società che corre sui muri dei suoi stessi palazzi. Tra i primi murales che lo vedono impegnato in campo internazionale ci 67

sono quelli di Barcellona e Malaga, nel 2001. Nel 2008 si confronta con le pareti della Tate Modern di Londra e nel 2009 lo ritroviamo in Perù e in Colombia. L’anno successivo realizza importanti lavori di indiscusso impatto a Berlino, Madrid, Lisbona e Varsavia. Sempre nel 2010, il MOCA di Los Angeles gli commissiona una pittura murale sulla facciata del museo: Blu realizza delle bare di soldati coperte da banconote da un dollaro americano, andando incontro all’immediata censura dell’opera. Realizza numerosi video, alcuni ‘making of’ che testimoniano i risultati del suo lavoro sul quale, secondo le leggi dei writers, altri possono intervenire cancellando o modificando quanto di preesistente.

I Parte Visione del video Viene mostrato alla classe il video dell’artista, incentrato sulla evoluzione e sulla metamorfosi, che porta un essere unicellulare a diventare uomo, animale, fino ad una inevitabile distruzione finale. DURATA 10’

Breve analisi del video – Brevi osservazioni sull’utilizzo del mezzo video in quest’opera. Particolare attenzione verrà posta sull’analisi tecnica del video, soprattutto sulla tecnica dello stop motion. – La classe sarà invitata a commentare il video cercando di individuare: personaggi, contesto, soggetto, suono. – Attraverso le nostre indicazioni e stimoli rifletteranno infine su un’ipotesi di ricostruzione narrativa: che tipo di narrazione e suono sono presenti. Gli studenti verranno invitati a trovare dei riferimenti; come spunto proponiamo la visione del video Mine di W. Kentridge (1991), che può essere messo in relazione con il video di Blu come imprescindibile precedente nell’uso della tecnica dello stop motion con particolare attenzione al palinsesto, ovvero la traccia grafica segno della memoria e della dimensione temporale. In entrambi i casi, infatti, il foglio/architettura è un supporto sporco sopra in quale si procede per aggiunta, sovrapposizione e obliterazione del passaggio precedente. DURATA 20’

II parte Dividere la classe in gruppi congrui (a seconda del numero complessivo degli studenti), ai quali verranno consegnate fotografie di un oggetto che rappresenti un 68

ipotetico inizio di un processo di trasformazione: – un cassonetto dei rifiuti – vecchie lamiere di un’ automobile – un edificio abbandonato – vestiti laceri Gli studenti dovranno costruire un percorso immaginario mettendo in relazione semantica una trasformazione dell’oggetto che porti in sé un messaggio etico. Sarà possibile fare ciò per associazione di idee attraverso foto, disegni, inserti di parole e immagini, immagini rielaborate in sequenza digitale. DURATA 45’

Conclusioni La classe rivede gli elaborati e li commenta insieme; ogni gruppo espone a tutti gli altri il proprio lavoro. A questo punto il mediatore può fare alcuni racconti interessanti o curiosi riguardo gli altri video realizzati da Blu e al suo modo di lavorare. DURATA 25’

Materiali necessari Immagini tratte da riviste, fotografie, carta, colla, forbici, pennarelli, pc (con programma di rielaborazione di immagini), fotocamera digitale.

a cura di Claudia Gennari e Mara Pezzopane

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PAROLE DI LIBERTÀ

Oggetto Carlos Motta, Six Actions in Narrative Justice, mostra Found in Translation, Guggenheim Museum, New York, curata da Nat Trotmann, Febbraio 2011; i video sono interamente visibili sul sito internet dell’artista all’indirizzo http://www.carlosmotta.com/sixacts.html

Destinatari Scuole Superiori di secondo grado.

Obiettivi – Acquisizione di strumenti analitici per la comprensione del mezzo video e della poetica espressa dall’artista (importanza del discorso, della forza della parola e dell’esposizione in pubblico). – Comprensione del video nella sua specificità complessiva: significati, simboli, peculiarità tecniche. Riflessione sull’importanza della fonte storica e della fonte primaria.

Biografia dell’artista Carlos Motta è nato a Bogotà (Colombia) nel 1978 e attualmente lavora a New York (USA), dove ha frequentato la School of Visual Arts e ha conseguito il Master of Fine Arts (2003). Ha ottenuto numerose e prestigiose residenze, tra le quali spiccano: Individual Artist Grant (2010), New York State Council of the Arts (2010), John Simon Guggenheim Memorial Foundation, New York (2008), Experimental Television Center, New York (2008). 70

Numerose sono le mostre, personali e collettive, alle quali ha partecipato: la personale alla galleria Winkelmann di New York nel 2011, alla Hebbel am Ufer di Berlino l’anno precedente e alle recente X Biennale di Lione (2009), Le spectacle du quotidien. Vincitore di premi e talent prices, ha esposto anche in Italia nel 2007 alla collettiva System Error. War is a force that gives us meaning, al Palazzo delle Papesse (Siena). Nei suoi video sono spesso presenti tematiche politiche che fanno riflettere sulla stringente quotidianità in maniera originale e mai retorica. Ulteriori e esaustive informazioni sono reperibili sul sito dell’artista www.carlosmotta.com.

I Parte Visione del video Si sceglie di proporre alla classe solo uno dei sei video che compongono la serie, quello ritenuto il più rappresentativo – La patria y la libertad, discorso originale del 1901 composto da Rafael Uribe Uribe – per mantenere alta l’attenzione degli studenti. Verrà mostrato inoltre il link dei video, sottolineando la scelta allestitiva del curatore della mostra. Il lavoro, impostato contro l’attuale campagna elettorale presidenziale in Colombia, è diviso in sei atti: An Experiment in Narrative Justice si basa su una serie di azioni performative nelle piazze a Bogotà. Sei attori di diversa estrazione sociale ed etnica leggono discorsi di pace pronunciati da sei leader politici colombiani della sinistra (Jorge Eliécer Gaitán, Luis Carlos Galán, Bernardo Jaramillo Ossa, Jaime Pardo Leal, Carlos Pizarro e Rafael Uribe Uribe, assassinati negli ultimi cento anni a causa della loro ideologia). Questi Acts sono basati sulla necessità di ricordare la sistematica eliminazione di voci che hanno osato opporsi all’ordine dominante, denunciandone corruzioni e violenze. DURATA 10’

Breve analisi del video Il mediatore sollecita sintetiche osservazioni sull’utilizzo del mezzo video in quest’opera e sulle sensazioni ricevute. La classe sarà invitata a commentare il video cercando di individuare: personaggi, contesto, soggetto, suono. Attraverso gli stimoli forniti dai mediatori gli studenti rifletteranno infine su un’ipotesi di ricostruzione narrativa: che tipo di narrazione è presente, che tipo di suono/i si possono ascoltare ecc., secondo le categorie immagine-suono-parola. Particolare attenzione verrà posta sulla modalità in cui il video è stato girato, senza interpolazioni in post-produzione e sull’importanza della parola e dei discor71

si originali, scritti da dissidenti colombiani e declamati da attori professionisti. Si potranno anche mostrare spezzoni degli altri video della serie per esemplificare e confermare i concetti che emergeranno durante la discussione. Gli studenti verranno invitati a ricostruire il contesto storico – internazionale e locale– nel quale i discorsi sono stati declamati e approfondire quale sia il senso di riprodurli nell’attualità. DURATA 20’

Svolgimento Dividere la classe in quattro gruppi (per la tipologia del laboratorio è preferibile il coinvolgimento di una classe numericamente non superiore ai venti studenti). Ad ogni gruppo, supportato dai mediatori, verrà assegnato un celebre discorso. Ogni componente del gruppo, sulla falsariga del video di Carlos Motta, avrà un compito ben preciso: regista, performer e pubblico (che riveste una grande importanza). Il performer, d’accordo con il regista, potrà scegliere di recitare o declamare in uno spazio all’interno della scuola; entrambi selezioneranno del discorso le parole o le frasi che riterranno più significative. Nel frattempo gli studenti/pubblico si documenteranno sulla biografia dell’autore del discorso e sul contesto storico, attraverso mezzi di informazione quali: articoli, testi, ricerche in rete. Il regista e il/i performer valuteranno che cosa riprendere del discorso (solo il volto del declamatore o la sua figura intera, una parte specifica, oppure se concentrarsi sulla folla astante e sulle sue reazioni); il regista potrà inoltre adottare varie modalità di ripresa quali zoom, immagine fuori campo, carrello ecc. Gli studenti/pubblico durante la performance del declamatore, sulla base delle conoscenze acquisite, interagiranno liberamente (con domande, provocazioni, applausi ecc.). Queste operazioni, che diverranno scelte consapevoli dei vari componenti di ogni gruppo, hanno il preciso obiettivo di far riflettere sull’importanza delle parole e sulla necessità di una loro contestualizzazione, in un preciso momento storico in cui il discorso e la parola sono al centro della nostra vita, ma proprio per questo a volte non sono considerati nel loro significato più profondo.

Materiali utili: Poesie di Bertold Brecht I bambini giocano, Chi sta in alto dice: pace e guerra, La guerra che verrà; testo della canzone Imagine di John Lennon (11 ottobre 1971); discorso di accetazione del Premio Nobel di Madre Teresa di Calcutta (11 dicembre 1979); 72

discorso di accettazione del Nobel da parte del Dalai Lama (1989); discorso durante la cerimonia del Nobel di Rigoberta Menchù Tum (10 dicembre 1992); discorso inaugurale di Nelson Mandela del 1994; articolo di Benazir Bhutto tratto da “La Repubblica”: http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/pakistan-1/assassinibhutto/assassini-bhutto.html. DURATA 1h

Conclusioni La classe rivede i video prodotti da ogni gruppo commentandoli insieme; ogni gruppo espone a tutti gli altri il proprio lavoro. A questo punto il mediatore può integrare i racconti dei video prodotti dagli studenti con commenti sul video Six Actions e sul lavoro di Motta. DURATA 25’

Materiali necessari Fotocopie degli articoli e delle opere letterarie che si intende utilizzare (vedi lista suggerita), fotocamera digitale e/o telecamera (con o senza cavalletto). I materiali verranno forniti dai mediatori.

a cura di Diego Alfano e Serena Pacchiani

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IMMAGINE-CORPO

Oggetto Cindy Sherman, Doll Clothes, 1975 (2’24’’). Il video è stato originariamente girato in Super-8 e in un secondo momento è stato trasferito dalla pellicola in supporto digitale. Il video è reperibile e visibile interamente su Ubuweb alla sezione “Film & Video”: http://www.ubu.com/film/sherman_doll.html

Destinatari Scuole Superiori di primo e secondo grado (classi III medie e superiori).

Obiettivi – Acquisizione di strumenti analitici per la comprensione del mezzo video e della poetica espressa dall’artista. – Capacità di riflessione e comprensione delle tecniche video e della tematica affrontata dall’artista (identità, ruolo della donna nella società, omologazione del costume ecc.). – Analisi del video nella sua specificità complessiva: significati, simboli, peculiarità tecniche e “sguardo critico” (nuovo modo di vedere, osservare e riflettere sul video e sulle molteplici possibilità offerte dal mezzo). – Riguardo al video verrà notato infine come l’artista stessa (la bambola) dopo un momento piacevole in cui sembra possa decidere l’abito da indossare, viene presa da una mano, spogliata e rimessa nella scatola, vedendosi nega74

ta qualsiasi possibilità di azione e reazione.

Biografia dell’artista Cindy Sherman nasce a Glen Ridge, New Jersey, nel 1954. Studia arte presso la State University di New York, dapprima dedicandosi alla pittura poi successivamente alla fotografia. Nel 1975 realizza la prima serie di immagini che la ritraggono nelle vesti di cinque personaggi differenti. In queste fotografie l’artista indaga la figura del clown, il ruolo della maschera, dell’infanzia e del divertimento ma anche sulla mostruosità e la regressione. Unica protagonista dei suoi scatti, ella si mostra come specchio e modello, analizzando le definizioni dell’apparenza e del genere. Nel 1976 si trasferisce a New York ed inizia a lavorare al progetto che la renderà celebre in tutto il mondo: Untitled film stills, serie di immagini in bianco e nero che la ritraggono nelle vesti di affascinanti donne del cinema hollywoodiano. Tra il 1983 e il 1994 lavora su commissione per molti servizi di moda. La consacrazione dell’artista avviene solo nel 1995, quando il MoMa di New York acquista per oltre un milione di dollari la sessantanove fotografie di Untitled film stills, a cui il museo dedica, due anni dopo, una fortunata mostra. Nel 1997 si cimenta con un nuovo linguaggio artistico: dirige la commedia horror Office killer.

Premessa Qualora il laboratorio venga effettuato nelle scuole secondarie di primo grado si può proporre alla classe di reagire per associazione di parole a ‘video’ (eventualmente si può aprire il discorso con domande tipo: avete mai visto un video d’arte? Sapete cos’è?). DURATA 10’

Qualora il laboratorio segua ad una lezione introduttiva sul video, come previsto per le scuole superiori, il laboratorio può direttamente iniziare come segue

I parte Visione del video DURATA 4’

Breve analisi del video Brevi osservazioni sull’utilizzo del mezzo video in quest’opera, e sulle sensazioni ricevute. Parlare del video cercando di individuare: personaggi, contesto, soggetto, 75

suono; infine farli lavorare su un’ipotesi di ricostruzione narrativa (c’è una storia? Vera o immaginata? Quale? Perché il video è silenzioso? Ecc.). DURATA 15’

II parte Dividere la classe in gruppi congrui di 4-5 persone (a seconda del numero complessivo degli studenti). Consegnare a ciascun gruppo delle immagini o testi che rimandano all’idea della donna-bambola-icona, mettendo così in risalto il concetto di identità e travestimento. I ragazzi possono lavorare sui materiali qui sotto indicati: La Bambola di Patty Pravo, che lavora sui cliché della donna-bambola. http://www.youtube.com/watch?v=6J3CCHTic9w Le foto di Sheila Pree Bright, che sfiorano anche il tema della chirurgia estetica. http://www.repubblica.it/2006/08/gallerie/spettacoliecultura/sheilaopere/sheila-opere.html?ref=search L’immagine-icona di Marilyn Monroe eterna bambola (potrebbero essere visionati piccoli frammenti di film in cui Marilyn è protagonista, ad esempio Niagara o Quando la moglie è in vacanza, e foto d’epoca o la serigrafia di Andy Wahrol). Un brano tratto da L’età dell’innocenza di Edith Wharton oppure in alternativa la versione cinematografica di M. Scorsese. Un brano tratto da Marie Antoinette di S. Coppola http://www.youtube.com/watch?v=c3ZStJQmzVw&feature=related Un brano di Die Puppe (La bambola di carne) di E. Lubitsh (1919). http://www.youtube.com/watch?v=6J3CCHTic9w Un articolo di Natalia Aspesi (http://velvet.repubblica.it/dettaglio/donna-dipotere-o-bambola/41221) Il monologo di Nora tratto da “Casa di bambola” di Ibsen. Proporre ad ogni gruppo la rielaborazione del materiale loro affidato (e dei relativi temi ad esso associati) secondo le modalità da loro preferite: collage, storyboard, rielaborazione di immagini con programmi in digitale, svolgimento di un piccolo elaborato scritto ecc. DURATA 45’

Conclusioni La classe rivede il video, lo commenta insieme e alla fine ogni gruppo espone a tutti gli altri il proprio lavoro. 76

A questo punto il mediatore può fare alcuni racconti interessanti o curiosi riguardo all’artista e al suo modo di lavorare, attraverso la visione di altre opere realizzate da Cindy Sherman nel corso della sua carriera (video, fotografie ecc). DURATA 25’

Materiali necessari Fotocopie a colori degli articoli, cd da fornire agli studenti con il materiale (opere letterarie in pdf e brani già selezionati), carta, riviste e giornali, colla, pennarelli.

a cura di Diego Alfano, Mara Pezzopane e Serena Pacchiani

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TEMATICHE SOCIALI

Oggetto Philippe Grammaticopoulos, Signature, 2007 (2’16’’). Il video è stato realizzato presso l’agenzia Mr Hyde per la TBWA Paris e utilizzato come spot pubblicitario di Amnesty International nella campagna di sensibilizzazione del pubblico sull’importanza e sul valore delle petizioni. Per averne visione si può reperire tramite il sito: http://www.youtube.com/watch?v=eEwkrnw9g84&feature=related

Destinatari Scuole superiori di secondo grado

Obiettivi – Acquisizione di strumenti analitici per l’analisi critica del video in oggetto, da un punto di vista formale e di significato. – Riflettere sul mancato rispetto dei diritti umani sia a livello globale sia, a maggior ragione, a livello locale e quotidiano della realtà vissuta in prima persona dai ragazzi.

Biografia dell’artista Philippe Grammaticopoulos nasce in Francia nel 1970. Si forma alla rinomata scuola di cinema e animazione di Supinfocom a Valenciennes. Dopo aver creato e pubblicato con relativo successo alcuni volumi di fumetti, i suoi lavori video sono stai presentati in alcune delle più prestigiose manifestazioni europee e internazionali per il cortometraggio e il cinema di animazione. Ha partecipato tra gli altri all’AniMOweb di Modena, al Festival International du Court Métrage a 78

Clermont-Ferrand (Francia), all’International Festival of Catalonia Sitges (Spagna) e all’Edinburgh International (Scozia). Nel 2005, con l’opera “Le Régulateur”, suo secondo film d’animazione in 3D, si è aggiudicato il primo premio al Brooklyn International Film Festival e nel 2007 con lo spot realizzato per Amnesty International, “Signature”, ha vinto un Leone d’Oro al Cannes Lions International Advertising Festival. Sul piano tecnico, Grammaticopoulos usa un linguaggio personalissimo messo a punto attraverso le metodologie più innovative dell’animazione 3D, mentre sul quello formale è riuscito ad ottenere un perfetto equilibrio e una sintesi ben riuscita fra i temi trattati, spesso di forte attualità, e un’estetica che rimanda alle illustrazioni dei primi anni del secolo scorso sottolineata anche dalla scelta non casuale della bicromia bianco nera.

Premessa Prima della visione del video sarà compito dei mediatori introdurre brevemente la realtà di Amnesty International, andando a integrare le conoscenze degli alunni. Verrà sottolineato l’importante ruolo che svolge questa organizzazione che lavora attivamente dal 1961 per la difesa dei diritti umani promuovendo campagne di sensibilizzazione su uno specifico paese o su un particolare tema sociale, attraverso il ricorso ai più disparati mezzi persuasivi e media, fra cui il video. L’organizzazione umanitaria da una parte struttura e mette in pratica progetti educativi per sollecitare l’adesione ai valori della Dichiarazione Universale dei diritti umani, dall’altra organizza eventi di grossa portata e risonanza pubblica al fine di sensibilizzare l’opinione delle masse. Vengono istituite campagne di informazione attive su tutti i livelli come l’invio di appelli mondiali, l’organizzazione di azioni urgenti o attività di lobby e la presa di contatti con le ambasciate, per arrivare ad ottenere sia il maggior coinvolgimento possibile dell’opinione pubblica sia la pressione necessaria nei confronti dei governi violatori dei diritti fondamentali dell’uomo. Si consiglia di prendere visione del sito ufficiale di Amnesty International per avere un’idea delle azioni promosse dall’organizzazione a livello mondiale: http://www.amnesty.it/index.html DURATA 10’

I parte a) Visione del video Viene mostrato alla classe il video dell’artista. DURATA 2’24’’

b) Breve analisi del video Dopo la visione del video la classe sarà suddivisa in 5 gruppi. Ognuno di essi si 79

dovrà occupare dell’analisi di un preciso episodio del video. Ai gruppi verranno fornite delle apposite schede da compilare (vedi allegato a seguire) in cui si richiederà di descrivere il video sia a livello formale secondo le tre categorie di analisi (immagine, suono e parola) utili al fine di enucleare il significato del video, sia a livello di contenuto, evidenziando prima l’ambientazione, poi il contesto culturale e la problematica sociale individuata. Il video verrà fatto rivedere almeno una seconda volta ai singoli gruppi. Una volta completate le schede i mediatori proporranno ai gruppi di comunicare al resto della classe le riflessioni scaturite dall’analisi dell’episodio preso singolarmente in esame. Si partirà dal gruppo che si è occupato del primo brano del video e via di seguito. DURATA 30’

II parte Svolgimento Dopo questa breve discussione i ragazzi saranno invitati a riflettere su altri problemi di tipo sociale che sentono vicini. Sarà loro compito trovare un’analogia fra i temi affrontati nello spezzone del video di Grammaticopoulos che hanno analizzato e un problema della nostra cultura e del mondo in cui viviamo: lavoro o violenze infantili, integrazione razziale, stalking, violenze sulle donne ma anche problemi che denunciano errati comportamenti di cui i ragazzi possono avere un’esperienza più diretta come la mancata integrazione nel gruppo classe, la maleducazione, il non rispetto verso l’altro, il bullismo ecc. Ogni gruppo si dovrà accordare su un solo tema. Saranno forniti i seguenti materiali cartacei da cui prendere spunto: la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 (reperibile anche sul sito: http://www.interlex.it/testi/dichuniv.htm) e articoli di cronaca delle più importanti riviste e dei maggiori quotidiani italiani. Saranno inoltre mostrati altri due video incentrati rispettivamente sulla condizione della donna nel mondo islamico e sullo sfruttamento della manodopera come possibili esempi: – Shirin Neshat, Turbulent, 1998 (8’) http://www.youtube.com/watch?v=f2DNMG2s_O0 – William Kentridge, Mine, 1991 (5’43’’) http://www.youtube.com/watch?v=w7WtFZKwdtc Sul tema deciso il gruppo dovrà riuscire a focalizzare la propria attenzione e trovare qualche immagine esemplificativa attraverso i giornali portati dai mediatori o tramite internet, finalizzata a realizzare una pubblicità-progresso o un progetto video. DURATA 45’ 80

Conclusioni Al termine del laboratorio i mediatori stimoleranno gli alunni a presentare il lavoro svolto in forma progettuale agli altri componenti del gruppo classe. Questo primo livello creativo sarà la base per un’elaborazione pratica e concreta del progetto da sviluppare in seguito. DURATA 15’

Materiali necessari Dovranno essere presenti nell’aula in cui si svolgerà il laboratorio almeno cinque computer con collegamento internet per permettere la visione simultanea dei singoli episodi del video di Grammaticopoulos. Ai ragazzi non si richiede di procurarsi alcun tipo di strumentazione; tutti i materiali cartacei verranno forniti dai mediatori (si veda scheda in allegato).

a cura di Francesca Rosini, Francesca Sani, Irene Sbrilli

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Allegato al laboratorio TEMATICHE SOCIALI SCHEDA DI ANALISI DEL VIDEO Philippe Grammaticopoulos, “Signature” for Amnesty International (2007) L’artista ha prodotto nel 2007 questo video per conto di Amnesty International – France, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle petizioni ed i risultati ai quali esse portano. Una firma può essere un aiuto concreto per tutte quelle persone che sono vittime ogni giorno, in ogni parte del mondo, di violazione dei diritti umani. Così “Signature” ruota intorno allo slogan “la tua firma è più potente di quel che pensi”.

Analisi formale: 1 IMMAGINE (che tipo di immagine hai visto? Che tecnica è stata usata per realizzata? Era in b/n o a colori?) .................................................................... .................................................................... 2 SUONO (era presente? Vi era una colonna sonora o un suono ambientale abbinato a ciò che hai visto?) .................................................................... .................................................................... 3 PAROLA (erano presenti parole scritte sul video? Cosa c’era scritto? Cosa rappresentavano?) .................................................................... ....................................................................

Analisi del contenuto: 1 QUALE AMBIENTE (CONTINENTE, PAESE, ECC...) È RIPRODOTTO NELLA SCENA? .................................................................... .................................................................... 2 CHI È IL PROTAGONISTA DELLA SCENA? .................................................................... .................................................................... 82

3 È POSSIBILE INDIVIDUARE LA DIMENSIONE SOCIALE DEL PROTAGONISTA DELLA SCENA? .................................................................... .................................................................... 4 QUALI SONO I CARATTERI SOCIO-CULTURALI DEL PROTAGONISTA ? (cerca di individuare se è incentrata sul problema della cultura sessuale, della cultura religiosa, della dimensione femminile, sul problema dell’infanzia violata) .................................................................... .................................................................... 5 COSA HA VOLUTO RAPPRESENTARE PHILPPE GRAMMATICOPOULOS IN QUESTA SCENA? A QUALE TIPO DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI È POSSIBILE COLLEGARLA? .................................................................... .................................................................... 6 IN CHE MODO IL TEMA CENTRALE PER CUI È NATO QUESTO VIDEO (IL VALORE DELLA FIRMA E L’IMPORTANZA DELLA PERSONALE SOTTOSCRIZIONE) VIENE PORTATO ALLA LUCE? .................................................................... ....................................................................

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ANALISI DI UN GESTO

Oggetto Marina Abramovic´, Art must be beautiful…artist must be beautiful…, 1975 (estratto di 14’ dei 45’ dell’originale). Il video è conservato presso l’ASAC, Archivio della Biennale di Venezia. Per averne visione parziale si può reperire tramite il sito: http://www.ubu.com/film/abramovic_four.html

Destinatari Scuole superiori di secondo grado.

Obiettivi – Conoscenza della situazione di forte sperimentazione artistica che ha portato gli artisti della Body Art a utilizzare il mezzo video. – Acquisizione di strumenti per l’analisi critica del video in oggetto, da un punto di vista formale e di significato. – Cognizione dell’uso del mezzo video all’interno della poetica dell’artista, quindi comprensione del video nella sua specificità.

Biografia dell’artista Marina Abramovic´ (Belgrado, 30 novembre 1946) è un’artista, performer, tra i fondatori della Body Art, che con la sua opera ha segnato profondamente il sistema artistico degli ultimi trent’anni. Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Belgrado dal 1965 al 1970, ha perfezionato la sua formazione all’Accademia di Belle Arti di Zagabria nel 1972. Negli anni Settanta, contemporaneamente alla realizzazione delle sua prime performance, ha insegnato all’Accade84

mia di Belle Arti di Novi Sad, per poi trasferirsi ad Amsterdam. Dal 1976 nella capitale olandese ha iniziato una stretta collaborazione con il collega Ulay, pseudonimo per Frank Uwe Laysiepen, che è stato anche suo compagno fino al 1989. Fin dagli esordi Marina Abramovic´ ha utilizzato il proprio corpo come mezzo artistico col fine di indagare, attraverso prove estreme e provocatorie, la relazione tra performer e pubblico e i confini della resistenza fisica e psicologica. Già dagli inizi l’artista serba ha utilizzato il mezzo video per registrare le proprie performance quasi sempre incentrate sul rapporto uomo donna e sulla rappresentazione della sessualità, finalizzata all’indagine del significato stesso dell’opera. Le azioni realizzate dalla seconda metà degli anni Settanta in poi, Art must be beautiful (1975), Lips of Thomas (1975), Freeing the memory (1976), Dragon heads (1990)... hanno permesso all’artista di indagare i limiti fisici del proprio corpo, fino alla performance Balcan Baroque che nel 1997 le ha permesso di vincere un premio alla Biennale di Venezia. Attualmente Marina Abramovic´ insegna Arte della Performance presso la Hochschule für Bildende Künste in Germania e le sue lezioni sono frequentate da tutti i giovani che vogliono intraprendere la strada della performance a livello internazionale.

Preparazione propedeutica al laboratorio Durante l’incontro preliminare i mediatori consiglieranno agli insegnanti testi, film e video da proporre agli studenti, in modo che questi possano avvicinarsi al clima storico, culturale, sociale e sperimentale dei primi anni Settanta. Il materiale consigliato farà riferimento in modo particolare alla corrente della Body Art che prevede l’utilizzo del corpo come protagonista della creazione artistica sottoforma di performance e che, tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, contribuì alla sparizione dell’oggetto artistico tradizionalmente inteso*.

Materiale da consegnare preventivamente agli insegnanti: Pink Floyd. The Wall (1982), è la trasposizione cinematografica del concept album “The Wall” dei Pink Floyd, realizzato nel 1979 dalla band americana. http://www.youtube.com/watch?v=VxNM7j_ppHI Jesus Christ Superstar (1973), diretto da Norman Jewison, trasposizione sul grande schermo del famosissimo musical omonimo di Tim Rice, autore dei testi, e Andrew Lloyd Webber, autore della musica. Woodstock 1969, musica e immagini per una retrospettiva dell’evento simbolo della rivoluzione musicale e giovanile di quegli anni. http://www.youtube.com/watch?v=TJ4QF45Vygw&feature=related Frammenti di interviste effettuate nel 1969 ad alcuni ragazzi presenti al concerto di Woodstock. http://www.youtube.com/watch?v=tAiweHKeyJA * A questo proposito si veda la bibliografia citata nel saggio di Eleonora Tolu nella prima parte del volume 85

Premessa a) Presentazione performativa La presentazione verrà effettuata con i ragazzi distribuiti in cerchio. I mediatori, distanti l’uno dall’altro, si introdurranno tra i ragazzi e dopo essersi sistemati, pronunceranno il loro nome abbinandolo a un’azione, un movimento del corpo. Dopo aver osservato le reazioni della classe, i mediatori provvederanno a spiegare ai ragazzi che ciò a cui hanno assistito è la modalità di presentazione che dovranno attuare anche loro. I mediatori, quindi, inviteranno i ragazzi a presentarsi a turno, chiedendo loro di pronunciare il nome e allo stesso tempo di compiere un gesto spontaneo, istintivo, che sentono proprio. Si spiegherà che qualsiasi gesto, anche uno insignificante come muovere gli occhi, la bocca o incrociare le braccia sarà rilevante. Si inizierà, quindi, il giro delle presentazioni che comincerà da uno dei due operatori, il quale, a sua discrezione, potrà ripetere il gesto già fatto o compierne uno nuovo. Nel caso in cui gli spazi siano abbastanza ampi, invece di presentarsi ciascuno fermo al proprio posto, potrebbe essere stimolata una situazione più dinamica. In questo caso il mediatore, dopo essersi presentato, attraverserà il cerchio e si dirigerà da uno dei ragazzi, prendendo il suo posto, quindi spronerà quest’ultimo a fare altrettanto, dando vita a una “reazione a catena”. DURATA 10’

b) Breve introduzione storico-artistica Seguirà una breve introduzione storico-artistica da parte dei mediatori che, attraverso domande, sonderanno le conoscenze dei ragazzi riguardo alle sperimentazioni artistiche dei primi anni ’70. Le lacune della classe verranno colmate attraverso sintetiche spiegazioni ed esempi. In particolare ci si concentrerà sui linguaggi dell’arte concettuale, della Body Art, della performance e della video arte. Per avvicinare i ragazzi a questi concetti e per introdurre il video di Marina Abramovic´, si farà riferimento all’esperienza fiorentina di Art Tapes 22, raccontando loro le vicende di Maria Gloria Bicocchi e degli artisti del panorama artistico internazionale che lavorarono attivamente in quel laboratorio di sperimentazione visiva attivo nel capoluogo toscano dal 1973 al 1987. Non verranno aggiunti molti riferimenti sulla biografia dell’artista per lasciare ai ragazzi la possibilità di analizzare il video senza preconcetti. DURATA 10’

c) Visione del video Art must be beautiful, artist must be beautiful DURATA 14’ 86

I parte Breve analisi del video Il video sarà osservato attraverso le categorie: immagine, parola e suono. Verrà scelto uno studente che scriverà le categorie alla lavagna, quindi i mediatori stimoleranno gli alunni a descrivere il video dal punto di vista delle categorie suddette e ogni osservazione verrà trascritta sotto il nome della categoria di appartenenza. Proponiamo di seguito le associazioni che dovranno essere stimolate per un’analisi corretta: – Immagine: bianco/nero. L’artista è protagonista del video. Ambientazione con sfondo neutro. Telecamera fissa sul volto della performer. Il gesto che viene ripetuto è legato all’atto estetico. Lo schermo è usato come uno specchio. Utilizzo della telecamera a circuito chiuso. Nudità dell’artista. Variazione dell’intensità del gesto. L’azione artistica è pensata appositamente per il video e non come una documentazione-video di una performance. – Parola: Schermata iniziale con le frasi Art must be beautiful, artist must be beautiful: tradurre la frase. Solo in seguito si spiegherà il suo senso interrogandoli in merito – Suono. Si sente la voce dell’artista che pronuncia ripetutamente le parole del titolo, con intensità di tono e di espressione variabili, in corrispondenza all’intensità e alla violenza del gesto abbinato. Insieme alla voce si nota la presenza anche di un suono-ambiente caratterizzato dal rumore della spazzola fra i capelli e il respiro dell’artista. DURATA 20’

Analisi del significato del video A partire dall’analisi formale del video attraverso la suddivisione in categorie e dalle risposte date precedentemente dai ragazzi, si procederà alla riflessione sul significato dell’opera che nasce dall’interazione di immagine, parola e suono. Si avvierà dunque un dibattito in classe, mediato dagli operatori, considerando che i concetti alla base della comprensione del messaggio dell’artista sono: – Il CORPO inteso come mezzo per sperimentare e produrre arte, utilizzato a fini provocatori, ma non provocanti. – Il corpo, materia prima dell’arte, serve per sperimentare il LIMITE come mezzo per mettere alla prova la propria RESISTENZA fisica e psicologica. – Attraverso un ritmo, alternamente più o meno concitato, il GESTO si fa più violento e diventa negazione del significato della parola ripetuta che lo accompagna, e nello stesso tempo negazione della sua stessa natura di azione estetica, tipicamente femminile. – In tale contesto il video critica il SISTEMA DELL’ARTE per il contrasto con l’idea che l’arte debba essere sempre qualcosa di esteticamente piacevole, sintetizzando il dibattito critico di quegli anni. DURATA 20’ 87

II parte Gli alunni saranno suddivisi in tre grandi gruppi: A, B, C. Successivamente saranno formati sottogruppi di tre persone composti da un componente del gruppo A, uno del gruppo B e uno del gruppo C (tale modalità è stata pensata per evitare il riproporsi delle abituali dinamiche interne al gruppo classe). Solo a questo punto verrà spiegata l’attività da svolgere. DURATA 5’

a) I mediatori chiariranno che, all’interno dei sottogruppi di tre persone, i ragazzi che facevano parte del gruppo A avranno il ruolo di proporre un gesto da analizzare, che possibilmente dovrà essere legato all’atto estetico che essi di solito compiono davanti allo specchio (accarezzarsi il volto, passarsi una mano fra i capelli o arrotolarsi una ciocca, sistemarsi i vestiti, abbottonarsi la camicia, truccarsi, passare il burro di cacao sulla labbra...). Dopo aver deciso il gesto, i ragazzi del gruppo A lo dovranno ripetere più volte nel modo più equilibrato possibile, mentre gli altri due lo dovranno osservare per alcuni minuti. Successivamente gli altri due componenti del sottogruppo dovranno re-interpretare il gesto secondo alcune categorie di opposti che i mediatori illustreranno, scrivendole alla lavagna. Le categorie saranno: – QUALITÀ EMOTIVE: allegria / tristezza pacatezza / nervosismo dolcezza / rabbia – VARIAZIONI D’INTENSITÀ’: delicatezza / violenza lentezza / velocità Per chiarire ai ragazzi tali “coppie di opposti” i mediatori integreranno la spiegazione verbale alla dimostrazione pratica, fisica, di quanto detto e si aiuteranno con un telecomando in cartoncino che loro stessi forniranno ai ragazzi e che riproduce simbolicamente le categorie di opposti con le diverse intensità. Verrà distribuito un telecomando a ogni componente dell’originario gruppo A che dovrà decidere con quale qualità emotiva e con quale intensità ciascuno dei suoi due compagni dovrà eseguire il gesto. A questo punto gli alunni avranno un po’ di tempo per provare fra di loro quanto deciso. DURATA 15’

b) Ogni gruppetto avrà a disposizione alcuni minuti per organizzare la propria performance che verrà ripresa dai due mediatori presenti con videocamere a circuito chiuso. Attraverso la registrazione della performance da parte dei media88

tori, i componenti di ciascun gruppo avranno la possibilità di rivedersi in diretta e quindi capire praticamente cosa significa “circuito chiuso” ed effetto specchio. Successivamente le riprese verranno mostrate alla classe. DURATA 10’

Conclusioni Al termine del laboratorio i mediatori stimoleranno gli alunni a riflettere concettualmente sul lavoro svolto, mettendolo in relazione al video di Marina Abramovic´, di cui verrà mostrato qualche frammento. DURATA 10’

Materiali necessari Non si richiede ai ragazzi di procurarsi alcun tipo di strumentazione per l’esecuzione del laboratorio. Sarebbe preferibile svolgere il lavoro entro un ambiente spazioso, come potrebbe essere un’aula magna o un laboratorio, in cui la classe possa essere distribuita prima in cerchio e poi a piccoli gruppi di tre persone. È necessario che nella classe ci sia un computer collegato a un videoproiettore o a uno schermo abbastanza grande per mostrare il video. I mediatori forniranno i telecomandi in cartoncino e saranno muniti di videocamere proprie per la ripresa delle performance dei ragazzi.

a cura di Irene Sbrilli, Francesca Rosini, Eleonora Tolu

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LA CITTÀ REPUBLIKA E SHQIPËRISË – SHQIPËRIA – ALBANIA

Oggetto Anri Sala, Dammi I colori, 2003 (16’). Le dimensioni di proiezione sono variabili.Il video è reperibile e visibile interamente su Ubuweb alla sezione “Film & Video”: http://www.ubu.com/film/sala_dammi.html

Destinatari Scuole Superiori di secondo grado.

Obiettivi – Acquisizione di strumenti analitici per la comprensione del mezzo video e dell’immaginario messo in campo dall’artista. – Capacità di riflessione e comprensione sulle tecniche video e delle tematiche elaborate. – Comprensione della complessità della narrazione costruita attraverso immagini in movimento. – Analisi del video nella sua specifica complessità: tecniche di ripresa, fotografia, scenografia, sonoro, lettura critica dei segni.

Biografia dell’artista Artista albanese nato a Tirana nel 1974, Anri Sala è oggi, insieme ad Adrian Paci, uno degli artisti albanesi più conosciuti in Italia e all’estero. Dopo essersi laureato all’Accademia di belle arti di Tirana, si sposta a Parigi per proseguire gli studi. 90

Si trasferisce quindi a Berlino, dove tuttora vive e lavora. L’artista è noto soprattutto per i suoi video, legati, al momento dell’esordio, a un immaginario personale fatto di ricordi ed esperienze d’infanzia e di visioni che scaturiscono dai suoi luoghi d’origine e sempre tradotto con semplice poesia. In seguito la sua attenzione si è rivolta anche verso tematiche politiche, sociali o, ancora, psicologiche e percettive. La struttura dei suoi lavori è sempre piuttosto concisa: partendo dai semplici montaggi dei primi video, Sala prosegue prestando sempre più attenzione a particolari rese cromatiche, alla modulazione delle luci e ai loro effetti percettivi. Il suo vagabondare tra immagini e immaginari possibili gli rende semplici profonde analisi dei territori sociali dell’utopia e di vari fenomeni culturali. Anri Sala è tra i protagonisti indiscussi del panorama artistico internazionale, presente nelle manifestazioni più rappresentative, quali la Biennale di Venezia, Manifesta, Hugo Boss Prize.

Premessa Durante il primo incontro (introduttivo sulla Video arte e propedeutico per le Scuole Superiori di secondo grado) viene chiesto ai ragazzi di portare, il giorno del laboratorio, delle immagini – cartacee o digitali – di luoghi della propria città che amano particolarmente (punti di ritrovo con gli amici, territori della memoria ecc.) o che non gli piacciono affatto. Il laboratorio, che prende avvio in un secondo incontro, può iniziare come segue:

Visione del video DURATA 16’

I Parte Breve analisi del video – Osservazioni su come è stato utilizzato il mezzo video, quali tecniche sono state messe in campo, come ha scelto di muoversi l’artista. Quali sono le percezioni che vengono attivate nello spettatore? Dialogare intorno al video cercando di individuare gi elementi costituenti: soggetto, personaggi, contesto, sonoro.

Infine individuare le tematiche su cui verranno poi costruite le azioni del laboratorio: – La storia locale: dalla Perestroika al crollo del muro di Berlino; la dissoluzio91

ne dell’impero sovietico e la fine dei regimi comunisti e loro lasciti in Albania (i fatti storici, affiancati da racconti di giovani albanesi che ora vivono in Italia, sono solo da accennare, ma risultano importanti da conoscere visto che nelle scuole si fa fatica ad arrivare alla storia più contemporanea). – Utopia (stimolare i ragazzi a considerare significato, valore e potenzialità di questo termine e ascoltare ciò che per loro, nel loro micro universo, figura). – Immaginario collettivo (chiacchierare, prendendo spunti dal video, sulla loro idea di città, cercando di far emergere il loro sguardo quotidiano; piccole curiosità sulle loro opinioni) – Concetto di Non-luogo (suggerimenti che riguardano questo tema, fondamentale nella ricerca antropologica, sociologica e anche estetica degli ultimi anni; ovviamente le informazioni non verranno veicolate in maniera nozionistica, ma si cercherà di desumerle dagli spunti intelligenti che sicuramente forniranno i ragazzi). DURATA 25’

II parte Svolgimento a) Sono sviluppati gli argomenti indicati sopra. Vengono fornite, all’arrivo dei mediatori, alcune fotocopie di brani tratti dai libri Italo Calvino Le città invisibili, Oscar Mondadori, Milano 1996, Marc Augè Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 19-25, Kurt Vonnegut Le sirene di titano, I Narratori Feltrinelli, Bologna 2006, pp. 146-148, per avere spunti di conversazione rispettivamente su: possibili immaginari urbani, non-luoghi, spazi che i ragazzi conoscono bene e che frequentano assiduamente, come centri commerciali, fantasie utopiche di mondi diversi. Potrebbero essere date delle immagini della situazione, sempre immobile e molto simile formalmente a quella del video, dell’Aquila. La distruzione di una città e le possibilità di ricostruzione si collegano direttamente alle tematiche del video Ovviamente si cercheranno le differenze e si agirà in maniera tale da portare il discorso su un piano ‘politico’, raccontando loro come è diversa la quotidianità in Albania. Sottolineare, come suggerisce il titolo del laboratorio, che il nome della nazione è assolutamente diverso da quello reale e si riferisce a quando questa era ancora una dittatura filo-stalinista.

b) Distribuiti in gruppi non troppo rigidi, a ciascuno viene chiesto di approfondire una delle tematiche proposte in cartaceo, di estrapolare da questi materia92

li una o più parole chiave da proporre alla classe.

c) La classe è poi divisa in piccoli gruppi, in base al numero totale e anche ai luoghi delle immagini che hanno portato.

d) Viene proposta la rielaborazione di quelle immagini come meglio credono: dal collage, alla colorazione di particolari, all’eliminazione di elementi architettonici con forbici o programmi di computer per chi sceglie di lavorare in digitale ecc.

e) Una volta terminata la fase di rielaborazione delle immagini, la conclusione del laboratorio consiste nella post-produzione del materiale, da operarsi nella maniera più libera possibile: da una sequenza di immagini che scorrono su un rullo al montaggio in pc. DURATA 45’

Conclusioni La classe rivede il video, lo commenta insieme e alla fine ogni gruppo espone a tutti gli altri il proprio lavoro. DURATA 15’

Materiali necessari Oltre alle fotocopie dei testi citati, carta da collage, pennarelli, forbici, scotch opaco, tubi di cartone o plastica di 4-5 cm di diametro e circa 30-40 cm di altezza, almeno due macchine fotografiche e due computer con programmi tipo Photoshop, fogli di acetato e penne di almeno tre colori.

A cura di Matilde Galletti

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LULLABY

Oggetto Pipilotti Rist, Lullaby, 2002 (5’20’) http://www.youtube.com/watch?v=lQZcIbPh8mE Biografia, bibliografia e filmografia artista: http://www.pipilottirist.net

Destinatari Scuole Superiori di primo e secondo grado (classi III medie e superiori) Quando presenti, si segnalano le variazioni metodologiche specificando se destinate a scuole medie o superiori.

Obiettivi – Acquisizione di strumenti tecnici utili per ‘leggere’ le riprese video – Acquisizione di strumenti analitici per la comprensione del mezzo video – Capacità di riflessione sul video specifico: significati e simboli (la finestra), specificità tecniche (braccio meccanico), la poetica dell’artista. – Capacità di comprensione dei diversi passaggi di costruzione video e della moltiplicazione di sguardi insita nelle possibilità del mezzo (sguardo e visione del personaggio, della macchina da presa, dell’operatore, dello schermo, nostro ecc)

Premessa Proposta alla classe di reagire per associazione di parole a ‘video’ 94

Eventualmente si può aprire il discorso con domande tipo: avete mai visto un video d’arte? Sapete cos’è? DURATA: 10 min

Visione del video, in silenzio DURATA: 6 min

I parte Spiegazione del titolo Lullaby (Ninna Nanna). Seguono piccole osservazioni sull’utilizzo del mezzo video in quest’opera, e sulle sensazioni ricevute DURATA: 4 min

Analisi Per le scuole medie: parlare del video cercando di individuare: personaggi, contesto, soggetto, suono; infine farli lavorare su un’ipotesi di ricostruzione narrativa (c’è una storia? Vera o immaginata? Quale?) Per le scuole superiori: lavorare con le categorie individuate nello schema fornito nell’incontro di Introduzione alla video-arte (si veda scheda) DURATA: 20 min

Laboratorio DURATA: 55 min

Dividere la classe in gruppi di 3 persone e assegnare a ciascun gruppo una porzione di muro su cui attaccare un grande foglio bianco alto almeno 1,5 mt e largo almeno 1mt. (nota: si suggerisce di distribuire i banchi in 2 file al centro della classe, in modo da avere il perimetro libero per le attività) DURATA: 5 min

Assegnare i ruoli all’interno dei gruppi e specificare il compito di ciascuno: a) sceneggiatore – scenografo b) regista – operatore c) critico – narratore

a) disegnerà con pennarelli colorati a punta larga una rudimentale scena o story-board strettamente funzionale alla descrizione di una situazione immaginata o vissuta. Unico vincolo: il soggetto vede e vive la scena attraverso una finestra o un finestrino (di auto-pullman-nave-aereo-ecc) che va rappresentato come elemento della scena o anche come cornice della stessa, in caso di inqua95

dratura soggettiva imposta da A NB: spiegare il significato di soggettiva e cos’è uno storyboard. L’elemento della finestra è funzionale alla successiva analisi del video: finestra come soglia, limen, diaframma b) inquadra la scena con un quadrato formato dalle due mani con l’aiuto di pollice e indice allargando e stringendo, facendo carrelli, piani sequenza, slow motion, braccio meccanico che consente ‘voli’ come in Lullaby ecc. Fornire informazioni sulle possibilità tecniche e sulle scelte di inquadratura: non importa inquadrare tutto quel che è rappresentato o nell’ordine rappresentato, ma si deve esercitare la propria facoltà critica di registrazione dell’immagine. c) racconta in tempo reale la storia che vede attraverso l’inquadratura offerta da B, come se non gli fosse dato di vedere niente altro al di fuori di essa. La storia può essere raccontata come voce fuori campo di narratore esterno o di voce narrante interna alla storia, in 1° o 3° persona. DURATA: 15 min

I gruppi lavorano contemporaneamente. DURATA: 10 min

La classe si incontra e ciascun gruppo mostra il lavoro svolto. Solo il narratore parla, raccontando la ‘sua’ storia. A fine dimostrazione la classe fa osservazioni su scarto tra storia narrata e storia reale, e su altre possibili storie. Seguono riflessioni collettive, in cui anche regista e disegnatore sono invitati a parlare esprimendo osservazioni sui tagli effettuati rispetto al proprio lavoro. DURATA: 25 min

Conclusione La classe rivede il video Lullaby e si commenta insieme. A questo punto il mediatore può fare alcuni racconti interessanti o curiosi riguardo all’artista e al suo modo di lavorare. DURATA: 15 min

Materiale Un foglio bianco alto almeno 1,5 mt e largo almeno 1mt. 1 foglio ogni 3 studenti. Scotch da carta, pennarelli colorati a punta molto larga.

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1-2. Studenti della classe III B dell’Istituto Professionale Grafico Pubblicitario “L.Einaudi” di Grosseto durante il laboratorio “Dealing with 5+1 Obstructions” (anno 2009/2010)

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3-4. Studenti della classe IV B dell’Istituto Professionale Grafico Pubblicitario “L.Einaudi” di Grosseto al lavoro durante il laboratorio “R-evolution” (anno scolastico2010/2011) 5-6. Incontro delle classi dell’Istituto Professionale Grafico Pubblicitario “L.Einaudi” di Grosseto con la videoartista Caterina Pecchioli (anno scolastico 2009/2010) 6

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7-9. Laboratorio dell’ISIP di Arcidosso (anno scolastico 2010/2011) 10-12. Laboratorio su Six Actions in Narrative Justice di Carlos Motta, classe V A dell’Istituto Professionale di Grosseto, 9 aprile 2011

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13-15. Laboratorio su Doll Clothes di Cindy Sherman fatto con la classe IIIA del Liceo Artistico di Grosseto l’8 aprile 2011 104

DEALING WHIT 5+1 OBSTRUCTIONS

Oggetto Lars Von Trier, Le Cinque Variazioni (titolo originale Five Obstructions, 2003) è un film che racconta di un particolarissimo “gioco a ostacoli” lanciato dal regista stesso all’amico Leth, autore nel 1967 di un cortometraggio ironico dal titolo “L’uomo perfetto”. Il regista invita l’amico a realizzare un film insieme, ma a patto di accettare e superare prima una clamorosa sfida: girare per cinque volte il suo vecchio breve film cambiando ogni volta una sola regola del gioco, imposta dallo stesso Lars Von Trier (cambio dell’ambientazione; cambio nella tecnica di ripresa; cambio nel registro della voice off etc.). Come in un gioco al gatto e al topo, si susseguono i cinque, riusciti tentativi di Leth di rifare “lo stesso film” e le altrettante, brillanti soluzioni per attenersi ogni volta ad un nuovo, ferreo vincolo. Sarà e non sarà, ogni volta, “lo stesso film”.

Destinatari Classi IV e V delle scuole superiori.

Obiettivi – Stimolare negli studenti un’autonoma capacità di riflessione sul video, sia in quanto tecnica e linguaggio, sia in quanto “prodotto” della società contemporanea, veicolo di precise intenzionalità e messaggi influenti nella vita quotidiana. – Attivare una processualità creativa consapevole mediante l’uso meditato e progettuale delle unità linguistiche di base del medium in questione. Abituarsi al rapporto fra “libertà” e “regole” nell’esercizio dei linguaggi artistici 105

– Affinare e approfondire, in direzione auto-riflessiva e mediante l’esercizio di nuove abilità, il rapporto pregresso degli studenti delle attuali generazioni con il linguaggio video (fotografia digitale, youtube e sfera di internet in generale, video musicali, pubblicità etc.)

Svolgimento I PARTE Breve analisi del video – Breve introduzione al tema del rapporto tra scelte tecniche e di linguaggio (in tutte le pratiche espressive e artistiche, quindi anche nel film e nel video) e finalità (tipo di messaggio; sensazioni e sentimenti suscitati; idee ed eventuali comportamenti indotti etc.) – Visione di tre brevi spezzoni di “Cinque variazioni”, preceduta da una sintetica introduzione al tema del film. Al termine della visione i mediatori raccolgono dei feedback e invitano la classe a riflettere su come sia stimolante, nell’apprendimento e nell’esercizio delle arti, il darsi delle regole e dei limiti per poi poterli consapevolmente trasgredire. – Ripresa in dialogo del tema del rapporto fra scelte di linguaggio e finalità perseguite. Segue la visione e la discussione di alcuni brevi spezzoni dei seguenti film o video pertinenti ad ambiti diversi, tutti esemplificativi di uno stretto rapporto fra scelte tecnico/linguistiche, intenzionalità implicite o esplicite del regista o del produttore, effetto sullo spettatore: – Alfred Hitchcock – Psycho (scena dell’omicidio nella doccia) – 1960 - 2’ 33’’ Film in pellicola: montaggio serrato, inquadrature brevi, in funzione di suspance estrema. – Douglas Gordon – 24h Psycho - 35’’ Video d’artista: estrema slow-motion senza suono, applicata alla stessa scena con effetto straniante, ironico e antitetico all’originale. – Anton Corbijn – “Barrel of a gun” (Depeche mode) – 1996 – 5’ 33’’ Videoclip musicale: montaggio serratissimo, inquadrature di due-tre secondi in funzione della musica e del significato del testo. – Pipilotti Rist – Aujourd’Hui – 9’ 55’’ 106

Video d’artista: piano sequenza ininterrotto sul volto della protagonista e sull’ambiente circostante con camera ruotante su se stessa e musica: lo sguardo dello spettatore si identifica con quello allucinato dell’artista-attrice. – Michael Gondry – Levis’commercial – 1’ 32’’ Video commerciale d’artista: montaggio serrato, piani seguenza in rapido movimento alternati a inquadrature brevi, in funzione del climax e della musica incalzanti, della “trama” e del messaggio associato al prodotto. – Michael Gondry – Air France – 1’ 32’’ Video pubblicitario d’artista: poche inquadrature in lento movimento, in funzione della musica rilassante, del tipo di scansione non “narrativa” e del messaggio associato al prodotto. – Michael Gondry – Polaroid commercial – 1’ 01’’ Video pubblicitario d’artista: montaggio serrato, piani sequenza in rapidissimo movimento alternati a brevi inquadrature con la camera scattosamente ruotante sul proprio asse, in funzione del climax musicale, della “trama”e del messaggio associato al prodotto. – Breve raccolta di impressioni e feedback dalla classe. DURATA 45’

II PARTE Ripresa, in riferimento a ciò che si è visto e detto fin qui, del tema del rapporto fra regole e libertà espressiva nella creazione di un elaborato espressivo/artistico. Si avanza alla classe la proposta di lavorare sul video pubblicitario, invitandola a concepirlo come un prodotto “d’artista”.

a) Divisione della classe in gruppi di 3 o 4 persone. Ogni gruppo decide autonomamente e poi dichiara al resto della classe il tipo di prodotto che intende pubblicizzare nel suo futuro progetto di video. – I mediatori espongono (per terra, sulla cattedra o a una parete) tanti fogli quanti sono i gruppi. Ciascun foglio è una scheda contenente cinque brevi regole tecniche (comuni al linguaggio filmico e video), ma non riportano alcuna indicazione su un prodotto da pubblicizzare. Le regole (o “obstructions”) sono relative a: – durata (ad esempio: 7’) 107

– climax di sensazioni o sentimento di fondo (ad esempio: ininterrotta sensazione di esaltazione con finale ad improvviso calo di tensione) – tecniche fondamentali di ripresa, includenti numero, ritmo e modalità delle inquadrature (ad esempio: alternanza di tre lunghi piani sequenza con tre inquadrature fisse e una scena in slow-motion finale) – ambientazione (se si tratta di un set artificiale, di un’ambientazione reale etc., indicandone alcune caratteristiche generiche) – presenza o assenza di suono e/o parola, e se sì di che tipo (ad esempio: libera alternanza di musica classica e motivo punk-rock; oppure: secca sequenza di aggettivi sussurrati da una voice-off) – Ogni foglio contiene una regola (o “obstruction”) ulteriore, ma coperta da una finestrella di carta, che sarà aperta soltanto in privato dal gruppo che lo riceverà. Si accenna solo al fatto che questa è la “regola” in più (+1), quella spiazzante, che imporrà un senso ulteriore all’opera e alla quale devono attenersi come alle altre (si avvisa che sarà “folle” o giocosa, e che servirà a creare destabilizzazioni, ad esempio: “il video deve indurre ad avere seriamente paura dell’ambientazione in cui è girato”; oppure: “il video deve suscitare seri dubbi sull’onestà della ditta che produce il prodotto” etc.). – I ragazzi sono invitati a prendere tutti assieme una rapida visione dei fogli e a pensare a quale potrebbe essere più invitante per il loro prodotto. – Si svela in modo giocoso che al posto di Lars Von Trier, o di qualcuno per lui, stavolta a decidere c’è il caso. Si ripiegano i fogli a quattro e li si assegna ai gruppi mediante estrazione a sorte. Ogni gruppo scopre l’associazione tra il suo prodotto e la scheda di “obstruction”. – Si spiega che ciascun gruppo, entro un tempo limitato, dovrà elaborare in forma di appunti suo progetto di video pubblicitario nella modalità che preferisce: suddivisione e disegno delle scene; descrizione a parole con l’ausilio di brevi appunti grafici; realizzazione di un sommario flip-book ecc.(di fatto molto verrà lasciato all’interlocuzione orale fra i ragazzi e alla loro libera modalità espressiva). Fondamentale sarà attenersi alle 5 regole+1; il resto sarà piena libertà progettuale.

b) Segue la fase di lavoro dei gruppi, liberi di scegliere la propria postazione di lavoro nella classe o negli spazi a disposizione. c) Ogni gruppo presenta alla classe il proprio progetto, premettendo le regole a cui ha dovuto attenersi, compresa quella segreta, e parlando delle impressioni maturate nell’esperienza. 108

Conclusioni Finale raccolta di feedback e rapido ricapitolo dei sensi principali del laboratorio svolto. Segue l’invito a realizzare realmente il video a casa e a inviarlo al team dei mediatori verso fine anno, con proposta di realizzazione di una cartella su youtube con i video-esperimenti. I mediatori si impegnano a mandare al referente di ciascun gruppo una breve mail/recensione (simpatica e non giudicante) sul video creato. DURATA 1h. 15’

a cura di Michele Fucich

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WORKSHOP CON ARTISTA

L’esperienza del video Caterina Pecchioli

Struttura del workshop 1° INCONTRO La prima e seconda ora: Attraverso l’analisi del mio lavoro ho provato a fornire agli studenti le linee guida e gli interrogativi necessari per poter svolgere un lavoro pratico di video arte. Mostati alcuni dei miei lavori ho cercato attraverso il dialogo e scambio con gli studenti (domande-risposta, osservazioni etc), di farne emergere i punti fondamentali. Una volta evidenziati alcuni dei punti centrali sono stati approfonditi. Parleremo quindi di: – Fasi di costruzione del lavoro, a partire dall’idea per arrivare all’esposizione, e tutti gli aspetti da considerare durante questo percorso. – Uso della tecnologia al servizio dell’idea e non il contrario. – Il metodo di lavoro, ovviamente secondo il mio approccio personale, quindi la differenza tra “documentare la realtà” o “manipolarla”. – L’importanza della scelta, per ogni tipo di progetto, del mezzo tecnico ed espositivo. Infine ho spiegato agli studenti il lavoro che dovranno svolgere individualmente.

Terza-quarta-quinta ora: Approfondimento dei vari aspetti del lavoro che gli studenti dovranno svolgere personalmente, iniziando a far emergere un po di idee. Il compito assegnato consiste nel realizzare individualmente un video, tenendo presenti tutti i punti analizzati durante la visione dei miei lavori. Gli studenti sono stati invitati a fare un video cercando di sforzarsi di mettere a fuoco idea, esposizione, come muoversi. Oltre al video, si è chiesto anche uno schizzo su come vorrebbero esporre il lavoro. 112

2° INCONTRO Aula: Laboratorio Fotografico con possibilità di utilizzo del proiettore Durante ogni incontro si sono analizzati alcuni dei video prodotti, presi ad esempio per tutti, in modo da stimolare le capacità di analisi sul medium video, ed una auto-critica in merito alla produzione svolta.

VALUTAZIONI EX POST I ragazzi che hanno preso parte al workshop hanno potuto approfondire alcuni aspetti del processo creativo. Il lavoro svolto ha cercato di aumentare la loro consapevolezza sulle problematiche da considerare per realizzare un’immagine, a partire dall’idea fino ad arrivare alla presentazione finale. Si è inoltre focalizzato l’attenzione sulle componenti comunicative dell’immagine, offrendo agli studenti più piani di osservazione che non si limitino al mero giudizio estetico. Il workshop ha infatti cercato di fornire loro gli strumenti per un’analisi che vada oltre a banali categorizzazioni del “mi piace”-“non mi piace”, “bello”-“brutto”, per ottenere una più ampia capacità di lettura di quello che un’immagine porta con sé, in modo da essere consapevoli sia del processo di recezione che di quello di costruzione. La forma visiva presa in esame in questa occasione, e su cui gli studenti si sono esercitati, è stata quella della video arte, ma il metodo utilizzato ha cercato di avvicinare gli studenti a una consapevolezza più generale sulle problematiche del processo creativo, indipendente da un tipo specifico di forma visiva. Evitando così di considerare l’immagine come un prodotto istintivo e geniale di pochi, ma valutandola come il risultato di un processo complesso che richiede lavoro, analisi, capacità di scelta e dedizione oltre a una certa dose di istinto, fantasia e divertimento. Il workshop si è sviluppato in tre momenti:

PRIMA FASE: visione ed analisi dei miei lavori video La visione dei lavori non è stata preceduta da alcuna spiegazione, in modo da lasciare agli studenti libertà nella lettura dell’opera. Una volta esaurite le riflessioni spontanee sul video ho posto alcune domande su di esso in modo da introdurre ulteriori aspetti in gioco. Attraverso il dialogo e lo scambio bilaterale con 113

gli studenti sono emersi molti degli aspetti da tener presenti e con cui fare i conti, sia nella realizzazione di un lavoro video che, più in generale, nel trasferire un’idea in immagine. È stato mostrato come piccoli cambiamenti nelle scelte del lavoro ne trasformino messaggio ed obiettivi, e come quindi esse siano determinanti perché la forma finale risulti efficace e coerente con l’intenzione comunicativa.

Alcuni dei punti analizzati sono stati: Le fasi di lavoro a partire dall’idea fino ad arrivare alla scelta espositiva. L’importanza di un momento di ricerca per trovare o approfondire l’idea di partenza, attraverso testi, immagini, suoni, memorie, osservazione della realtà ecc. L’uso della tecnologia al servizio dell’idea. Gli studenti hanno potuto osservare come l’esigenza comunicativa a volte si avvalga di scelte tecniche particolari, come l’uso del bianco e nero, di una qualità di risoluzione bassa, di manipolazioni della velocità ecc. oltre a riflettere su come a volte sia più efficace adottare un diverso mezzo visivo rispetto a quello scelto inizialmente. Approfondimento della differenza tra “documentare la realtà” o “manipolarla”. L’importanza della scelta espositiva, sia nell’individuazione del contesto espositivo, dipendente dal target a cui vogliamo rivolgerci (galleria-white cube, spazio pubblico, televisione, youtube ecc.), che nella scelta della forma espositiva, dipendente dal tipo di coinvolgimento da determinare nello spettatore (video installazione, video su grande schermo, piccolo monitor, internet ecc.).

SECONDA FASE: la pratica del video In questa fase gli studenti sono stati invitati a realizzare individualmente un breve video di un minuto, che potesse essere come il “bozzetto-schizzo” del lavoro video che avrebbero voluto realizzare se avessero avuto sufficienti mezzi e tempi di produzione. Oltre ad aver fornito alcune indicazioni pratiche è stato chiesto loro di tenere presenti i punti emersi durante la visione dei miei lavori e di sforzarsi di capire come muoversi dall’idea all’esposizione, senza preoccuparsi dell’aspetto tecnico, ma piuttosto liberando fantasia ed immaginazione al servizio dell’intenzione comunicativa. Per questo oltre a realizzare il video hanno compilato una scheda in cui specificare Idea di partenza e intenzione di cosa si vuole comunicare Breve descrizione del video finale: durata, tipo di qualità Luogo espositivo Soluzione espositiva. 114

TERZA FASE: analisi dei lavori video degli studenti e confronto con la classe Uno alla volta i video realizzati sono stati visionati dalla classe e accompagnati dal commento degli studenti. Una volta esaurite le varie osservazioni, incentrate in particolare su ciò che il video comunica e trasmette, è stato chiesto al realizzatore di spiegare come ha proceduto nel lavoro e di parlare delle sue intenzioni e del progetto finale (qualità, durata, scelte espositive). Attraverso questo confronto gli studenti hanno potuto sperimentare su loro stessi l’efficacia o meno delle proprie scelte rispetto alla volontà comunicativa, e riflettere sulle varie soluzioni possibili per migliorare il rapporto tra l’intenzione del “regista” (lo studente) e l’interpretazione dell’immagine da parte del pubblico (la classe).

ESITI Nonostante l’ambiziosa e difficile proposta di lavoro, i risultati sono stati molto soddisfacenti. Spingere gli studenti a lavorare in modo personale ed autonomo, e non su un tema comune, ma individuando ciascuno un tema partecipato, ha permesso l’emergere di approcci, interessi e stili diversi, in un esercizio che li ha spinti a dar fiducia a una personale volontà comunicativa indipendente dalla committenza di terzi. I video sono emersi quindi nella loro diversità e nelle diverse metodologie di lavoro prescelte (chi ha costruito la situazione da filmare, chi ha lavorato manipolando materiali video o fotografici esistenti, chi ha documentato un evento ecc.). Gli studenti hanno dimostrato, attraverso la realizzazione dei video e la redazione della scheda, di essersi posti il problema di cosa comunicare e di come farlo perché risulti efficace, mostrando di aver assimilato i molteplici aspetti da considerare in questo percorso di lavoro e di aver tenuto presente e sperimentato come scelte diverse condizionino messaggio e comunicazione. I ragazzi hanno preso decisioni originali per migliorare la comunicazione dell’idea e sono stati in grado di mettersi in discussione e approfondire le loro scelte attraverso il confronto con la classe. Il lavoro è stato affrontato con passione e apertura critica ed è inoltre emersa dalla scelta personale dei temi una diffusa sensibilità a problematiche di attualità. Infine la maggior parte dei video realizzati e delle soluzioni proposte sia per il video finale che per la forma espositiva si sono contraddistinti per la loro originalità. Infatti pur lavorando in funzione dell’idea comunicativa i giovani sono riusciti a creare dei lavori non scontati o descrittivi, ma capaci di intendere il potere di una comunicazione astratta e simbolica, caratteristica della video arte. 115

VALORE E SENSO La video-arte si basa su una comunicazione simbolica, solitamente non ha una linea narrativa chiara ma lavora astraendo e manipolando la realtà. Per questo a un primo sguardo i video possono sembrare criptici ed enigmatici, ma soffermandoci si scopre in essi molta più forza comunicativa di quanto si immagini inizialmente. La pubblicità stessa si basa su un meccanismo affine, meno diretta di quanto si creda, nasconde una serie di informazioni subliminali che spesso assimiliamo passivamente. Da questo punto di vista il workshop ha permesso di accrescere un tipo di capacità di analisi e di dialogo sull’immagine già presente nel corso di studi di grafica pubblicitaria degli studenti partecipanti. Ciò che è stato introdotto di nuovo, è un approccio rispetto alla costruzione di un’immagine indipendente dalla scelta e appropriazione del mezzo tecnico e non subordinato alla committenza di terzi. Infatti rispetto al grafico o all’illustratore l’artista solitamente vuole comunicare un tema a sua scelta, e spesso – ma non sempre – l’artista contemporaneo non parte dalla scelta del mezzo, bensì esso viene determinato o addirittura “reinventato” per adattarsi all’idea e all’esigenza comunicativa. Stimolare ed esercitare questo tipo di approccio va anche a vantaggio di chi sceglie di non diventare artista ma di lavorare in un ambito professionale quale la grafica. Infatti un professionista che assimila questo tipo di “libertà creativa”, funzionale all’idea ma non determinata dal mezzo, può essere in grado di trovare soluzioni più fantasiose ed efficaci sia a livello progettuale che tecnico (si pensi ad esempio a Bruno Munari). Senza sottovalutare l’importanza per gli studenti di aver potuto sperimentare e familiarizzare con la pratica dell’artista e del regista, dato che potrebbero essere anche queste possibili strade professionali future. Infine la video-arte è un mezzo adatto per approfondire le dinamiche artistiche e creative data la familiarità da parte dei ragazzi con questo tipo di linguaggio visivo (cinema, televisione, youtube etc) che ha permesso ai giovani sia di capire che di sperimentare i diversi aspetti introdotti dal workshop.

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Autoritratto come territorio Moira Ricci

Il progetto consiste nel far eseguire ad ogni studente un video di ricerca su un territorio che ritengono significativo per la loro identità, un territorio che può essere sia esterno che interiore. Gli studenti sono liberi d’interpretare la loro ricerca in qualsiasi forma e tecnica: riprese, screening di fotografie, montaggio scultoreo a “passo uno”, disegni ecc.; e di eseguirla con qualsiasi mezzo: con fotocamera digitale o analogica, con videocamera di qualsiasi tipo, con cellulare ecc. Il video deve essere presentato infine in formato PAL 720x576 px e accompagnato da un breve testo esplicativo del lavoro svolto.

Struttura del workshop Primo giorno – Presentazione di tutto il mio lavoro con particolare attenzione ai video. Durata: un’ora circa. – Proposta di alcuni brevi esempi di artisti conosciuti che attraverso la videoarte hanno fatto un autoritratto. Durata: un’ora circa. – Divisione in tre gruppi degli studenti. ogni gruppo deve essere presente per un’ ora e gli studenti devono iniziare ad ideare il loro progetto. Durata: tre ore circa.

Secondo giorno Verifica dello stato dei lavori di ogni gruppo, discussione, suggerimenti.

Terzo giorno Consegna dei lavori definitivi e visione collettiva con proiezione.

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VALUTAZIONI EX POST Proporre il workshop sulla video-arte a studenti delle scuole superiori ha significato per me sensibilizzare e consapevolizzare i ragazzi attraverso la mia esperienza e la mia conoscenza rispetto alla situazione dell’essere artista oggi. Ho pensato fin dall’inizio che se avessi parlato della mia storia e di come sono arrivata a fare quello che faccio, loro si sarebbero potuti calare nei miei panni, rivedere nella mia esperienza, perché anch’io come loro sono partita da una città come Grosseto, ho fatto la stessa scuola (nel caso del Liceo Artistico) e ho fatto tanti mestieri (pagati poco) per mantenermi gli studi a Milano. Ho cercato di non illuderli, facendo loro acquisire consapevolezza che non si ottiene niente per niente, e che bisogna sempre essere tosti e andare dritti all’obbiettivo che ci siamo prefissati, anche allontanandosi dalla propria famiglia e dal nostro territorio. Ho proposto loro un tema abbastanza diffuso in questo periodo, ma molto importante per la loro età, visto che si fanno grandi domande su sé stessi e si ha bisogno di parlare di sé. L’autoritratto, senza saperlo, al Liceo Artistico era anche il tema che stavano svolgendo con i loro insegnanti di arti visive/grafiche e dunque “L’autoritratto come territorio” stava perfettamente nell’argomento che stavano svolgendo durante l’anno scolastico. Il loro lavoro consisteva nell’eseguire un video con qualsiasi tecnica e qualsiasi strumento disponibile per rappresentarsi. È stato un tema in cui potevano spaziare, potevano essere presenti nel video oppure no, simbolizzando con oggetti o luoghi la loro persona. Molti si sono ispirati al mio lavoro, visto che la mia ricerca è molto personale e biografica. Come avevo previsto la maggior parte di loro si è rivista nelle mie esperienze che sono storie normali e che possono succedere a tutti: come il distacco dalle cose passate, dalla famiglia, dal posto d’origine; come parlare di un gioco che usualmente facevo; come parlare di un lutto, di una perdita ecc. Molti mi hanno consegnato i lavori e molti si sono emozionati nel parlarne. Ci sono stati alcuni elaborati veramenti belli rispetto alle possibilità e al poco tempo a disposizione per eseguirli. Penso che sia stata una bella esperienza per loro perché in tanti mi hanno contattato per via mail e facebook per consigli e domande. Ed è stata una bella esperienza soprattutto per me, che mi sono scoperta amante dell’adolescenza e degli adolescenti di questi anni che m’inteneriscono per la loro età così difficile in un periodo storico altrettanto difficile.

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STRUMENTI DI VALUTAZIONE QUESTIONARIO GRADIMENTO MEDIAZIONE RAGAZZI ISTITUTO: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Età dello studente: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Soggetto del laboratorio: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Titolo laboratorio: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’argomento e il video del laboratorio erano interessanti? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 2. I video presi in esame ti hanno interessato o ti hanno fatto sentire coinvolto? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 3. Gli argomenti trattati nel laboratorio ti hanno interessato/coinvolto? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente La figura del mediatore nome/nomi mediatori: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il mediatore ti è sembrato competente riguardo agli argomenti trattati? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 2. Il mediatore è stato capace di coinvolgere la classe nelle attività/discussioni? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 3. Il mediatore è riuscito a stimolare un’analisi e una comprensione dei video proposti? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente Metodologia e materiali 1. Ti sembra che la metodologia laboratoriale utilizzata funzioni bene? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 2. I materiali utilizzati (video, articoli, materiale tecnologico, materiale di laboratorio) erano stimolanti? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente Note e commenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ......................................................................... 119

QUESTIONARIO GRADIMENTO MEDIAZIONE INSEGNANTI ISTITUTO: . . . . . . . . . . . . . . . . Soggetto del laboratorio: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Titolo laboratorio: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il soggetto del laboratorio ha interessato la classe? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 2. I video presi in esame contengono elementi di interesse rispetto a tematiche ritenute rilevanti dal docente o in merito al programma scolastico? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 3. Gli argomenti trattati risultano appropriati e coinvolgenti? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente La figura del mediatore nome/nomi mediatori: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il mediatore si è mostrato competente riguardo agli argomenti presentati? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 2. Il mediatore è stato capace di coinvolgere la classe nelle attività/discussioni? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 3. Il mediatore è riuscito ad applicare una metodologia non frontale, basata sul coinvolgimento attivo dei ragazzi e finalizzata all’analisi e alla comprensione delle opere proposte? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente Metodologia e materiali 1. La metodologia utilizzata risulta convincente? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 2. Le competenze richieste ai ragazzi erano congrue? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente 3. I materiali utilizzati (video, articoli, materiale tecnologico, materiale di laboratorio) sono risultati stimolanti ed appropriati? Insufficiente Mediocre Sufficiente Discreto Buono Ottimo Eccellente Note e commenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .......................................................................... 120

BIOGRAFIE

Michele Fucich si è laureato in storia dell’arte contemporanea all’Università di Pisa ed è specializzando presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici dell’Università di Siena. Ha studiato presso il Kunsthistorisches Institut della Humboldt Universitaet di Berlino, dove ha preso parte ai seminari/laboratori “Ideas Lab in contemporary art and practice” e “Thinking and doing Documenta” del curatore e Rudolf Arnheim Professor Sarat Maharaj. Ha svolto uno stage presso il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli-Museo di Arte Contemporanea (TO) e conseguito un master in comunicazione museale presso la Scuola Normale di Pisa. Ha partecipato alle attività di mediazione artistica in Toscana nell’ambito di “Una rete regionale delle culture della contemporaneità” ed è stato mediatore presso la Mostra Interregionale Labirinto: Libertà nel forte di Fortezza (BZ) nel 2009. Ha proseguito progetti di mediazione e organizzazione artistica in Alto-Adige Sudtirol. Matilde Galletti (nata a Fermo nel 1979, vive e lavora tra Genova e Fermo) è storica e critica d’arte. Laureata in storia dell’arte contemporanea e specializzanda presso la Scuola di Specializzazione in storia dell’arte dell’Università di Siena, ha orientato le proprie ricerche verso quegli aspetti dell’arte compresa tra gli anni sessanta e oggi che sviluppano indagini di tipo fenomenologico, logo-iconico e concettuale-analitico. Il suo lavoro si concentra in particolare sull’analisi degli approcci di tipo esperienziale nell’ambito della produzione e della fruizione dell’arte contemporanea. È inoltre interessata allo studio delle sistematiche delle nuove pratiche formazione e delle più recenti teorie e attività di arte pubblica. È stata docente di Estetica presso l’Accademia di belle arti di Macerata negli a.a 2009/2010 e 2010/2011; è redattrice della rivista “Titolo” dal 2008. È incaricata della gestione, revisione e aggiornamento dell’archivio dell’artista Mario Airò, situato presso il suo studio e presso il Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli (To). Valentina Gensini è storica dell’arte e curatrice. Dopo un incarico presso la Soprintendenza fiorentina, ha lavorato allo studio della collezione Ambron presso la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti grazie ad una borsa di studio. Ha pubblicato numerosi saggi sull’arte dell’Ottocento e del Novecento e ha partecipato a convegni. I suoi interessi si concentrano sulla progettazione culturale in relazione al territorio e sull’analisi dei network relativi alla formazione artistica e curatoriale – con particolare attenzione al sistema di residenze –, e alla didattica e progettazione museale come pratiche di mediazione culturale. Nel biennio 2007-2009 ha lavorato come consulente di mediazione e didattica della cultura visiva contemporanea per la Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze svolgendo il ruolo di mediatrice per il CCCS, dove nel 2009 ha curato il progetto internazionale Green Platform. Arte Ecologia Sostenibilità. Nel 2010 è stata membro della Commissione Cultura per la selezione dei progetti dell’Estate fiorentina, Comune di Firenze. Con Anna Mazzanti e Lucia Mannini ha curato la mostra Novecento Sedotto. Il fascino del Seicento tra le due guerre, 121

Firenze, Villa Bardini 2010-2011. Per il Comune di Firenze ha rivestito l’incarico di direttore artistico della Notte bianca 2011, con curatela di progetti speciali per il Maggio fiorentino e Residenze d’artista. Sotto la direzione scientifica di Anna Mazzanti ha curato un corso biennale postlaurea sulla mediazione per l’arte contemporanea attraverso la video-arte, finanziato dalla Provincia di Grosseto in collaborazione con la Scuola di Specializzazione in storia dell’arte dell’Università di Siena. È docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Istituto Europeo di Design, Firenze. Georgia Krantz è Education Manager for Adult Interpretive Programs presso il Solomon R. Guggenheim Museum. È inoltre Adjunct Associate Professor of Communications per corsi post-lauream al ITP/NYU e Gallery Lecturer al MoMA (Adult and Academic Programs). Interessata alla diversificazione del pubblico museale, Georgia è attiva nel campo dell’accessibilità per persone disabili. Ha lanciato e coordina “Mind’s Eye”, un programma per visitatori disabili al Guggenheim, lavora con gruppi di disabili al MoMA, ha tenuto conferenze sul tema dell’accessibilità ed è stata invitata alla Casa Bianca per una serie di incontri informali sullo stesso tema. Georgia è una storica dell’arte specializzata in arte e teoria moderna e contemporanea. Ha insegnato in numerose istituzioni tra cui Pratt Institute, New School, International Center of Photography, Morgan Library e Rubin Museum of Himalayan Art. Raffaele Bedarida sta completando un dottorato in storia dell’arte contemporanea presso il Graduate Center, CUNY, New York. Gallery Educator al Solomon R. Guggenheim Museum e Lecturer al MoMA (Adult and Academic Programs), è co-fondatore e curatore di HSF by MA, un programma di residenza per artisti internazionali ad Harlem, NY. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Prima che il gallo canti (Allemandi, Torino 2011), Susanna Pozzoli: On the block (Allemandi, 2010), “Bourgeois? Never!” Fontana contended in the late 1930s (Andrea Rosen, New York 2008); Reuven Israel (Montrasioarte, Milano 2008); Dennis Oppenheim: Short-circuit (Silvana, Cinisello Balsamo 2007); Lucio Fontana: Attraversando la Materia (Silvana, 2006); Pizzi Cannella: Canto (Studio Guastalla, Milano 2005); Bepi Romagnoni: Il Nuovo Racconto (Silvana, 2005). Caterina Pecchioli (Firenze 1978) vive tra Firenze ed Amsterdam dove lavora come artista, regista e teorica. Si è laureata al Dams di Bologna con una testi su Antonin Artaud con la quale ha vinto il Premio Dams nel 2005. Successivamente ha proseguito gli studi in Olanda con un periodo di ricerca al Piet Zwart Institute, master in Arti Visive a Rotterdam, e conseguendo una seconda laurea in arti visive alla Rietveld Academie ad Amsterdam, dove è stata nominata per il Gra Award. Dal 2003 prende parte a numerose mostre e festival nazionali e internazionali. I suoi video, performance e installazioni si concentrano su alcuni aspetti d’identità culturale principalmente espressi attraverso il corpo. Il suo lavoro è influenzato dalla ricerca pratica e teorica in discipline diverse quali il teatro, la danza, la fotografia e altre forme visive. Ha pubblicato gli articoli Antonin Artaud: Segni e Disegni nella rivista Culture Teatrali e l’articolo Il corpo adolescente nella fotografia contemporanea in Il Corpo Adolescente, ed. CLUEB. Tiene lezioni e workshop in Scuole d’Arte e Università in Italia e in Olanda. 122

Valeria Pica si è laureata in Lettere a Napoli, dove ha conseguito anche il diploma di Scuola in Specializzazione in Storia dell’Arte con una tesi in Museologia presso l’Università Federico II. Ha seguito master e corsi di perfezionamento in varie università italiane e ha frequentato i corsi di museologia dell’Ecole du Louvre a Parigi e di didattica museale presso l’Universtià di Copenhagen. Collabora dal 2001 con alcuni musei di Napoli e Roma e dal 2005 insegna Didattica museale presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Le conoscenze acquisite e le competenze maturate dal lavoro diretto negli istituti museali e dallo studio delle realtà internazionali sono diventate spunto per le sue ricerche dottorali che vertono sull’analisi dei servizi educativi dei musei nazionali italiani. Moira Ricci è nata a Orbetello nel 1977, vive e lavora in Italia. Il suo lavoro (fotografia, video, installazione) spesso d’impronta autobiografica, indaga i temi dell’identità individuale e sociale, della storia familiare, della casa e del legame originario con il territorio, intrecciando invenzione tecnologica a riscoperta dell’immagine di appertenenza popolare. Eleonora Tolu Laureata in storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Firenze, ha studiato e catalogato l’opera grafica e pittorica di Leonardo Savioli conservata nello Studio dell’architetto, oggi proprietà della Regione Toscana. Nel 2010 ha curato con Claudio Paolini la mostra “Registrare l’esistenza”. La pittura e il disegno di Leonardo Savioli, tenutasi presso il Museo di Arte Contemporanea e del Novecento di Monsummano Terme. Ha lavorato nei Servizi Educativi del Museo Marino Marini a Firenze, coordinati dall’Associazione Culturale “L’Immaginario”, conducendo laboratori rivolti alle Scuole dell’Infanzia, Primarie, e Secondarie di Primo Grado. Recentemente ha seguito il corso in Mediazione e Didattica organizzato dall’Università di Siena e dalla provincia di Grosseto nell’ambito del progetto “Una rete regionale delle culture della contemporaneità” collaborando all’ideazione e alla realizzazione di laboratori presso Scuole Secondarie di Secondo Grado della provincia di Grosseto. Nel 1999 ha iniziato un percorso di studio e pratica della danza contemporanea, sia dal punto di vista tecnico che creativo, attività che dal 2008 ha considerevolmente approfondito. Recentemente ha lavorato con Angela Torriani Evangelisti a In principio erat, ideato a partire dal lavoro di Ketty La Rocca e dai suoi scritti. In principio erat è andato in scena nell’ambito del Festival Sui Generis, svoltosi nel marzo 2011 presso il Museo Marino Marini di Firenze.

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BIBLIOGRAFIA MEDIAZIONE (in ordine alfabetico, in sezioni tematiche)

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Riflessioni filosofiche intorno al medium Derrida, J., La voce e il fenomeno: introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl (La voix et le phénomène, 1967), Jaca Book, Milano 1984 Deleuze, G., L’Immagine-tempo (L’image-temps, 1985), Ubulibri, Milano 1989 Varela, F.J., Thompson, E., Rosch, E., The embodied mind: cognitive science and human experience, The MIT Press Cambridge, London 1993 Bergson, H., Pessina, A., (a cura di), Materia e memoria: saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito, Laterza, Roma-Bari 1996 Deleuze, G., L’immagine-movimento (L’image-mouvement, 1983), Ubulibri, Milano 1997 Krauss, R., Reinventing the Medium, “Critical Inquiry”, vol. 25, n. 2, Winter 1999, pp. 289305 (trad it. Reinventare il medium. Cinque saggi sull’arte d’oggi, Bruno Mondadori, Milano 2004) Birnbaum, D., Cronologia. Tempo e identità nei film e nei video degli artisti contemporanei (Chronology, 2005), Postmedia Books, Milano 2007

Bibliografia di mostre e video-artisti considerati nel corso Bicocchi, M.G, Salvadori, F., (a cura di), Gli art/tapes dell’ASAC, catalogo della rassegna, Venezia 1977 Media connection, mostra e catalogo a cura di G. Romano, Libri Scheiwiller, Roma 2001 AA.VV., Manifesta 4: European biennal of contemporary art, Ostfildern-Ruit, Hatje Cantz, Frankfurt/Main 2002 Monk, P., Double-cross: the Hollywood films of Douglas Gordon, Power Plant, Art Gallery of York University, Toronto 2003 Bicocchi, M.G., Tra Firenze e Santa Teresa dentro le quinte dell’arte (‘73/’87). Art/tapes/22, Edizioni del Cavallino, Venezia 2003 Di Marino, B. (a cura di), Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili. Video and sensitive enviroments, Feltrinelli, Milano 2007 131

Monografie e studi interessanti Van Nieuwenhuyzen, M., Stork, G., Gabriel Orozco: from Green Glass to Airplane Recordings, (Stedelijk Museum), Artimo Ed., Amsterdam 2001 Il giocoliere elettronico: Nam June Paik e l’invenzione della videoarte, mostra e catalogo curati e coordinati da Marisa Vescovo, Hopefulmonster, Torino 2002 Walsh, J., Bill Viola, J. Paul Getty Museum in association with The National Gallery of London, Los Angeles 2003 Music to see. The music video as an art form, catalogo a cura di L. Mortensen e P. Brix Søndergaard, Århus: ARoS Aarhus Kunstmuseum, Denmark 2008

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VIDEOGRAFIA - FILMOGRAFIA

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Finito di stampare in Firenze presso la tipografia editrice Polistampa maggio2011