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Italian Pages 120 [90] Year 2013
al piccolo Martino e al suo fratellino Pietro
VIAGGIO SULLA LUNA Voyage dans la Lune (Georges Méliès, 1902)
INTRODUZIONE Di Voyage dans la Lune tutti conoscono l’icona del faccione della Luna colpito in un occhio da un obice. Tutt’al più, qualcuno ricorda l’e etto splatter della sostanza gelatinosa che ne fuoriesce. Ma quanti conoscono veramente il lm? E quanti conoscono l’avventurosa storia del cinema primitivo, quando i lm si chiamavano ancora vues animées e l’arte della meraviglia (cinema delle attrazioni) aveva la meglio sulla narrazione? Questo volumetto è rivolto a chi voglia conoscere meglio questo piccolo gioiello del cinema primitivo. Voyage dans la Lune e Georges Méliès sono al centro di Hugo Cabret (2011), il lm di Scorsese premiato con ben cinque Oscar; e il fatto che siano stati tutti assegnati a funzioni per così dire “tecniche” non è così grave, conferma solo quale importanza abbia (e abbia avuto) la dimensione artigianale nel fare la grandezza del cinema. A Voyage dans la Lune e a Méliès è dedicata l’installazione che William Kentridge, uno dei più importanti artisti visivi contemporanei, ha esposto alla 51.a Biennale di Venezia (7 Fragments for Georges Méliès, Day for Night, Journey to the Moon). La presentazione al Festival di Cannes (2011) della versione restaurata di una copia colorata di Voyage dans la Lune, miracolosamente ritrovata presso la Filmoteca de Catalunya, e la sua successiva programmazione in una sala parigina (dicembre 2011) sono solo l’atto nale di un lavoro di recupero dell’intero corpus mélièsiano sopravvissuto, che da alcuni anni ormai è a disposizione degli spettatori in eccellenti edizioni in dvd. Questa rinnovata fortuna di Méliès e in particolare di Voyage dans la Lune, a oltre un secolo di distanza, rende quanto mai necessario un agile strumento per guidare il lettore, passo dopo passo, alla conoscenza di un’opera così lontana nel tempo e insieme così vicina e persino familiare, se solo accettiamo di seguirne la logica compositiva e ci lasciamo
prendere dall’incanto della sua poesia. Come i due piccoli eroi di Hugo Cabret che passano da una séance del Festival del Cinema Muto alla Biblioteca del Film, il lettore sarà invogliato a passare dall’arte di guardare (e interpretare) le immagini a quella di interrogare i documenti e testi che ne raccontano la storia e ne de niscono i percorsi di senso, per poi di nuovo tornare al piacere della visione. Molti sono coloro che, anno dopo anno, mi sono stati di aiuto nelle mie ricerche sul cinema primitivo e sull’opera di Méliès. Troppi per poterli citare uno per uno. Mi limito quindi a un pensiero riconoscente alla memoria di Angelo R. Humouda (1937-1994) che, alla ne degli anni settanta, mi permesso di studiare Voyage dans la Lune e la piccola collezione di lm di Méliès in 16 mm da lui raccolta nella Cineteca Gri th di Genova. Ringrazio poi Giulia Carluccio che per prima mi ha suggerito l’idea di questo piccolo studio; e Valeria Burgio per i materiali e le indicazioni che mi sono stati preziosi per l’omaggio a William Kentridge che lo conclude.
CAST & CREDITS VOYAGE DANS LA LUNE1 (Francia 1902) di Georges Méliès Soggetto, sceneggiatura, scenogra a, regia: Georges Méliès; fotogra a: Théophile Michaut e Lucien Tainguy; scene: Claudel; costumi: Jehanne d’Alcy (che gura anche tra le interpreti); personaggi e interpreti: Barbenfouillis (Georges Méliès), Febe, dea della Luna (Bleuette Bernon); gli astronauti (Brunnet, Farjaut, Joseph Kelm, Victor André, Depierre), le marinarette e le stelle (danzatrici del Théâtre du Châtelet); il pilota del razzo (Henri Delannoy); u ciale di artiglieria (François Lallement); i Seleniti (acrobati delle Folies Bergère); produzione: Star Film, autunno 1902; prima proiezione pubblica: 1 settembre 1902
SINOSSI In una notte di luna piena, nella sede del Club degli Astronomi, si svolge una riunione piuttosto agitata durante la quale il prof. Barbenfouillis espone il suo progetto per raggiungere la Luna mediante un razzo sparato da un cannone. Alla ne l’assemblea si lascia convincere dai metodi un po’ bruschi del professore (che placa le contestazioni con il lancio di libri) e il progetto viene approvato. Dismesse toghe e parrucche, gli astronomi visitano l’interno della fabbrica in cui il razzo è in costruzione e poi, da un balcone, assistono alla fusione dell’immenso cannone che lo dovrà dirigere verso la Luna. Raggiunta la base di lancio, sono accolti da uno stuolo di marinarette che li fanno sistemare all’interno del razzo e caricano il cannone, mentre un u ciale, al comando di un plotone d’onore, rende omaggio alla bandiera e impartisce l’ordine della partenza. La Luna, che splende alta nel cielo, ci appare sempre più vicina no a che possiamo vedere il razzo con ccarsi nel suo occhio destro. Usciti dal razzo, gli astronauti assistono meravigliati allo spettacolo della terra che si alza sull’orizzonte (chiaro di terra) e all’eruzione di un vulcano. Stanchi, si stendono per un sonno ristoratore, ma sono visitati in sogno da apparizioni celesti: le costellazioni (Orsa Maggiore, Gemelli), Febe, dea della Luna, Saturno. Per ripararsi dal freddo e dalla neve, che Febe ha fatto cadere, gli astronauti si rifugiano nelle viscere della Luna, dove scoprono le meraviglie dei funghi giganti che crescono all’istante. Assaliti da uno stuolo di Seleniti, strane creature metà uccelli e metà insetti, oppongono resistenza, ma sono presto fatti prigionieri. Portati al cospetto del re della Luna che ne comanda l’esecuzione, si ribellano e, guidati dall’intraprendente Barbenfouillis, si danno a una rapida fuga. Gli astronauti, inseguiti dai Seleniti, raggiungono il dirupo dal quale il razzo è fatto
precipitare nel vuoto. Un Selenita, però, riesce ad aggrapparsi alla base del velivolo spaziale. Dopo uno spettacolare ammaraggio, il missile viene recuperato da una nave e ai nostri eroi viene riservata un’accoglienza trionfale.
IL CONTESTO 1. Il mago di Montreuil Il tema del viaggio fantastico sulla Luna era già ampiamente di uso nel teatro di féerie2. Esso aveva, inoltre, una lunga tradizione letteraria: dal volo sulla Luna di Astolfo in groppa all’Ippogrifo nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1516) a L’Autre Monde ou les Etats et Empires de la Lune (1662) di Cyrano de Bergerac3. Una tradizione rinnovata da Edgar A. Poe con L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (1835)4, entrato a far parte dei Tales of Grotesque and Arabesque (1840), e dai romanzi “fantascienti ci” di Jules Verne e Herbert G. Wells, di cui diremo oltre. Il lm è stato ideato, realizzato e interpretato da Georges Méliès nel laboratorio di Montreuil-sous-Bois, nei dintorni di Parigi, costruito nel 1897 (un secondo più ampio e attrezzato sarà allestito nel 1905). Si trattava di un capannone a vetri che permetteva di sfruttare la luce solare (come nelle riprese en plein air), ma anche di avere tutti i dispositivi di messa in scena di un teatro. Una suggestiva ricostruzione del laboratorio di Montreuil è stata realizzata dallo scenografo italiano Dante Ferretti in Hugo Cabret di Martin Scorsese. Méliès era nato a Parigi nel 1861, nell’agiata famiglia di un fabbricante di calzature, e aveva avuto un’ottima educazione al Liceo Louis-le Grand di Parigi. Ben presto, però, aveva dimostrato attitudini artistiche, rivelando una predisposizione per il disegno e un’autentica passione per il teatro di magia. Nel 1888 , utilizzando la sua quota di eredità paterna che gli era stata liquidata dai fratelli, aveva acquistato il Théâtre Robert-Houdin, il più famoso teatro di prestidigitazione di Parigi. Qui si dedicò alla messa a punto di trucchi teatrali che inscenava seguendo un canovaccio comico-fantastico, alla maniera di quanto aveva visto all’Egyptian Hall, durante il suo soggiorno a
Londra (1884) dove il padre lo aveva mandato nella speranza, presto delusa, di avviarlo alla carriera commerciale. Dopo aver assistito alla proiezione del 28 dicembre del 1895 del Cinématographe Lumière, Méliès decise di usare questo nuovo dispositivo per arricchire gli spettacoli del suo teatro, dove già venivano esibite ombre cinesi, proiezioni di lanterna magica e altri congegni di «ottica fantastica». I Lumière però avevano scelto di non commercializzare il loro apparecchio, preferendo sfruttarlo all’interno della loro rete di distribuzione di prodotti fotogra ci. Méliès riuscì ugualmente, in società con Lucien Reulos e Lucien Korsten, a brevettarne uno proprio, il Kinetograph (aprile 1896), ricavandolo, probabilmente, da quello dell’inglese Robert W. Paul o da quello dei fratelli Isola. Al Théâtre Robert-Houdin fece vedere, all’inizio, pellicole di Paul e Edison. Poi, cominciò a proiettare le proprie realizzazioni, imitando i soggetti che i fratelli Lumière avevano reso popolari: arrivo del treno, partita a carte, uscita di una barca dal porto e simili. Ben presto, però, cominciò a produrre versioni cinematogra che dei suoi trucchi teatrali, a partire dal celebre Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin (1896). La tecnica non era propriamente originale: Edison la aveva già usata in The Exsecution of Mary Queen of Scots (USA, 1895): si trattava di un trucco di arresto (della ripresa) e di sostituzione (del soggetto ripreso). Nel caso di Edison, l’impiegato della Kinetoscope Company che, in abiti femminili, interpretava il ruolo di Maria Stuarda, era sostituito da un manichino, che veniva tranquillamente decapitato. In quello di Méliès, c’era la sostituzione di una signora con uno scheletro. Méliès si specializzò, quindi, nella produzione di trucchi cinematogra ci (molti dei quali sono usati ancor oggi, anche se magari si preferisce chiamarli e etti speciali). Ognuna delle sue prime produzioni, che inizialmente non
superavano i 20 metri di lunghezza, era basata su uno o più trucchi. Dopo la costruzione del laboratorio di Montreuil e la fondazione della società Star Film, Méliès cominciò a mettere in scena produzioni più complesse, arrivando ai 75 metri di La Lune à un mètre (La Luna a un metro, 1898), ai 120 di Cendrillon (Cenerentola, 1899) e, in ne, ai 260 di Voyage dans la Lune. In questo caso, si trattò davvero di uno sforzo produttivo senza precedenti, e non solo per la lunghezza, ma anche per quantità di trucchi, accuratezza degli e etti scenogra ci, numero e qualità di attori impiegati. Costò la cifra, enorme per l’epoca, di 10.000 franchi. Non furono, però, da meno i prezzi di vendita (i lm ancora non venivano noleggiati): 560 franchi per la copia in bianco e nero, 1000 per il colore. Dopo qualche iniziale di coltà, soprattutto con gli ambulanti delle ere che trovavano il prezzo eccessivo, il lm incontrò un crescente successo e una di usione senza precedenti, come dimostrarono ben presto le numerose imitazioni, contra azioni e plagi: clamoroso il caso di Excursion sur la Lune (t.l. Escursione sulla Luna, 1908), realizzato dalla Pathé per la regia di Segundo de Chomón5. Sadoul riferisce che con Voyage dans la Lune venne inaugurata la prima sala a programmazione stabile di Los Angeles6. E tuttavia proprio dagli Stati Uniti il «mago di Montreuil» ebbe i maggiori dispiaceri nanziari, perché il lm fu immediatamente duplicato e sfruttato illegalmente da Lubin e Edison. In seguito al grave danno economico subito, Méliès cercò di tutelarsi: aprì a New York una liale della Star Film, diretta da fratello Gaston, e fece depositare i negativi su carta delle sue pellicole alla Library of Congress di Washington, in modo da garantirsi la stessa tutela prevista per i libri (cosa che del resto Edison aveva cominciato a fare con i suoi Edison Kinetoscopic Records n dal 1893-94!). 2. Lumière o Méliès? L’immagine dell’obice con ccato nell’occhio della Luna è diventata l’emblema del cinema di Méliès, come la
locomotiva che entra in stazione lo è di quello dei fratelli Lumière. E gli uni e l’altro sono diventati a loro volta emblemi di due di erenti e antitetiche concezioni del cinema. Da una parte la verità documentaria dei fratelli Lumière, dall’altra le illusioni e le misti cazioni di Méliès. Questa contrapposizione è stata in auge negli anni di “battaglia delle idee”, quando le rovine seminate dalla seconda guerra mondiale appena conclusa e l’esasperazione dello scontro ideologico spingevano Cesare Zavattini a indicare in Lumière la via maestra di un realismo documentario, e in Méliès la perversione e la corruzione7. Pur giusti cabile nel contesto in cui è stata posta, la cotrapposizione diventa assai problematica, se si pretende di farne un criterio di valutazione generale. Ma già Sadoul, pur essendo su posizioni politiche a ni a Zavattini, obiettava che, se si voleva davvero trovare un antenato di Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, Italia, 1948), non si cercasse nella Sortie des Usines Lumière (t. l. Uscita dalle o cine Lumière, 1895), ma altrove, magari nell’uscita dalla messa di mezzanotte di Détresse et Charité (t.l. Miseria e carità, Méliès, 1905)8. E ci penserà poi Godard, con il suo gusto della provocazione e del paradosso, a scompigliare le carte a ermando, in La Chinoise (La Cinese, 1967), che in realtà Louis Lumière era un pittore, mentre Méliès faceva i documentari! Del resto, lo stesso Zavattini avrà modo di entrare in una felice contraddizione con la sceneggiatura di Miracolo a Milano (De Sica, 1951), un lm che, con gli spazzini che prendono il volo a cavallo delle loro scope, era sicuramente più vicino alle favole di Méliès che ai documentari dei Lumière. E la cosa non gli fu perdonata, a lui come a De Sica, dagli arcigni custodi dell’ortodossia realista. Lo sviluppo degli studi sul cinema delle origini ha fatto, in tempi più recenti, giustizia delle sommarie contrapposizioni tra Lumière e Méliès, ricostruendo il contesto in cui prendono forma e rapidamente si evolvono usi, funzioni e signi cati delle vues animées (vedute
animate), alle quali noi continuiamo impropriamente ad attribuire, oltre al nome di lm, anche i signi cati e i valori che tale parola andrà acquistando solo in successivi assetti dell’istituzione cinematogra ca. D’altra parte, gli studi teorici hanno da tempo abbandonato la contrapposizione tra autentico e arti ciale, mostrando come i meccanismi di funzionamento del dispositivo cinematogra co si basino su un inestricabile intreccio tra questi due aspetti e come il trucco sia essenziale al funzionamento del cinema fantastico quanto di quello realistico9. Come ha scritto Morin, per trasformare il «cinematografo» in «cinema», vale a dire l’attrazione delle immagini in movimento in linguaggio cinematogra co, era necessario il passaggio, tra l’altro, attraverso i trucchi e gli e etti d’illusionismo, in modo che alle proprietà dell’immagine fotogra camente riprodotta si potessero aggiungere quelle del «doppio», dell’ombra, del ri esso, dell’immagine mentale10. 3. La potenza del falso Perché queste a ermazioni siano un po’ meno astratte, bisognerà tornare al contesto in cui viene prodotto e presentato Voyage dans la Lune. Certo, pur tenendo conto di quanto appena detto, c’è sempre una bella di erenza tra la veduta di un treno che entra in stazione (L’arrivée d’un train à la Ciotat, 1896, di L. Lumière) e quella di un treno che, passato attraverso le costellazioni, entra nella bocca di un Sole dall’aria seccata almeno quanto la Luna colpita dall’obice, come accade in Voyage à travers l’impossible (Viaggio attraverso l’impossibile, 1904, di G. Méliès). E tuttavia si può citare, nello stesso anno di realizzazione di Voyage dans la Lune, almeno un’occasione in cui «vedute» Lumière e «vedute» Méliès sono presentate anco a anco, integrandosi perfettamente a vicenda. Di cosa si tratta? È il 9 agosto del 1902, data in cui, nalmente, si svolge, nella cattedrale di Westminster a Londra, l’incoronazione
di Edoardo VII. Finalmente, perché l’incoronazione sarebbe dovuta già avvenire il 26 giugno, ma un attacco di appendicite aveva provocato il rinvio della cerimonia. A lmare l’entrata e l’uscita del corteo reale c’è, tra gli altri, un operatore Lumière. Riprese all’interno della cattedrale non sono ancora possibili e, forse, nemmeno pensabili. Ma le vedute dell’incoronazione, commissionate a Méliès da Charles Urban per conto della Warwick Trading Company, erano già pronte da tempo, addirittura da qualche giorno prima di quel fatidico 26 giugno, data della mancata incoronazione. E la sera 9 agosto, data della vera incoronazione, nella sala dell’Alhambra Theatre in Leicester Square, e poco dopo in varie sale di Parigi, il (falso) documentario (o «attualità ricostruita», come si diceva allora) di Méliès veniva presentato assieme alle riprese dal vero fatte all’esterno della cattedrale11. Méliès aveva, sembra con la consulenza degli stessi dignitari di corte, usato la sua abilità per produrre la “documentazione” di un evento che, per un gioco della sorte, fu terminata prima che l’evento stesso avesse luogo! È vero che, durante la lavorazione del lm a Montreuil, un giornale francese aveva gridato allo scandalo: «Edoardo VII a Montreuil. Incoronazione truccata. Sala del trono dipinta su tela. Simil-re. Inglesi, vi fate prendere per il naso!». È anche vero che il catalogo della Warwick parlava prudentemente nella sua pubblicità di «rappresentazione di una prova dell’incoronazione»12. E tuttavia, nella logica delle attrazioni, il vero documentario e la ricostruzione in laboratorio (non diversa però dalle tavole di attualità dipinte nei giornali illustrati) potevano convivere in una perfetta integrazione tra e etto di realtà (fotogra a animata) e fascinazione spettacolare. Il cinema fantastico di Méliès poteva bene ciare di quel potere di certi cazione che era stato guadagnato dal capillare lavoro degli operatori Lumière e che dalle vedute dal vero si estendeva ai più folli voli della fantasia. A proposito di Voyage dans la Lune, Méliès ha più volte raccontato, divertito, che gli spettatori delle ere
credevano che, per il fatto di essere stato lmato, il viaggio sulla Luna fosse davvero avvenuto. Il contrario di quanto accadrà a proposito del vero sbarco sulla Luna (luglio 1969) che, proprio perché puntualmente «certi cato» da un imponente apparato di dirette televisive che l’hanno trasformato in uno dei più colossali media event del secolo scorso, è stato da certuni messo in dubbio. C’è un mockumentary13 che dà corpo ai dubbi e alle ipotesi dei «negazionisti», cioè di chi nega l’e ettivo svolgimento dell’impresa spaziale, o quanto meno dell’autenticità della documentazione a suo tempo esibita: secondo costoro sarebbe stata la CIA a commissionare a Stanley Kubrick, che aveva appena realizzato 2001 Odissea nello spazio, la messa in scena della diretta televisiva dell’allunaggio che non sul nostro satellite sarebbe avvenuto, ma in uno studio hollywoodiano. Opération Lune (2002)14 è il titolo di questo mockumentary, realizzato da William Karel e trasmesso dall’emittente franco-tedesca ARTE il 16 ottobre 2002: nel lm si sostiene che la simulazione dell’allunaggio fu commissionata a Kubrick dalla CIA la quale sarebbe stata in seguito responsabile della morte dello stesso Kubrick, eliminato perché depositario di un segreto che non sarebbe mai dovuto essere reso noto. Circa la convivenza in un’unica séance del vero documentario dell’operatore Lumière all’esterno di Westminster e del falso documentario di Méliès sull’incoronazione all’interno della cattedrale, mi è capitato di commentare che si trattava di due aspetti «di un unico processo che troverà il suo compimento in un sistema universale di equivalenze tra il reale e la sua riproduzione» e in cui, secondo la ben nota formula di Baudrillard, «il reale non è soltanto ciò che può essere riprodotto, ma ciò che è sempre già riprodotto. Iperreale»15. A questa dichiarazione possiamo oggi accostare le parole di William Karel, l’autore di Opération
Lune, il quale ha dichiarato anche di non aver mai sostenuto che Armgstrong non ha passeggiato sulla Luna, ma semplicemente di aver fatto l’ipotesi che gli Stati Uniti abbiano voluto avere una copertura nel caso in cui non ci fossero state immagini dei primi passi: Per la Luna, se non ci fossero state immagini, non ci sarebbe stato evento. E poi il cinema in uenza i documentari. C’è stata la messa in scena di Iwo Jima, le foto rifatte della presa del Reichstag, lo sbarco degli Americani in Somalia ripetuto due o tre volte per le telecamere. E durante la guerra del Golfo o quella, recente, in Afganistan, abbiamo visto tre o quattro luci verdi e non una sola vera immagine… Pensavo che sarebbe stato interessante mostrare l’importanza delle immagini, o l’assenza d’immagini in un avvenimento16.
IL FILM 1. Fuori l’autore Quando parliamo del cinema primitivo, bisogna tener conto che si rivolgeva a un pubblico ingenuo, che poteva spaventarsi, a quanto si è tramandato, per la locomotiva dei fratelli Lumière. Come va evitato di applicare al cinema delle origini categorie estetiche o ideologiche che appartengono a epoche successive, così bisogna operare un controllo anche su altre nozioni che non appartengono all’assetto del cinema primitivo. Innanzi tutto, quella di cinema narrativo, almeno quale lo intendiamo dall’avvento del lungometraggio in poi e dall’a ermazione dello «stile classico hollywoodiano». Noël Burch di erenzia nettamente il Modo di Rappresentazione Primitivo (MRP) dal Modo di Rappresentazione Istituzionale (MRI). Mentre il primo riguarda la fase in cui il cinematografo era una delle tante attrazioni o erte nei luoghi di spettacolo, il secondo coincide con la progressiva conquista da parte del cinema della capacità di raccontare e rappresentare vicende anche complesse e, quindi, di rivaleggiare con il teatro e la letteratura. Il MRP è caratterizzato dalla frontalità del quadro e dalla ssità della cinepresa; dalla mancanza di articolazioni spaziotemporali e, quindi, narrative; dall’autosu cienza («autarchia») della singola veduta cui corrisponde una «esteriorizzazione» della funzione narrativa e commentativa, a data alla voce di uno speaker e all’accompagnamento musicale. All’opposto, il MRI è caratterizzato dalla «grande forma narrativa» basata sulla discontinuità delle immagini (alternanza della scala dei piani) e sulla «linearizzazione» dei vari elementi signi canti17. Allo stesso modo bisogna evitare di ricorrere a categorie come autore e autonomia del singolo lm inteso come opera. Per misurare la distanza che separa il tipo di circolazione e fruizione di un’opera cinematogra ca di
oggi da quella dei primi tempi, basterà esaminare il modo in cui un giornale di Firenze diede conto (non è il caso di parlare di recensione) della proiezione di Voyage dans la Lune, presentato con il titolo Dalla Terra alla Luna, cioè lo stesso del romanzo di Jules Verne («La Nazione», 7-8 dicembre 1902): Una meraviglia eccezionale ha presentato al suo pubblico il signor Remondini, senza usare una ciarlataneria della quale egli non ebbe né avrà mai bisogno, meraviglia che concerne una sequela di scene simili a quelle che ideò la fervida fantasia di Giulio Verne. Sissignori! Il signor Remondini ha voluto trasportarci dalla Terra alla Luna per farci assistere per molto tempo e con proiezioni a colori a uno spettacolo che non solo onora l’arte, ma fa merito allo stesso Remondini il quale si adopera in ogni modo per cattivarsi sempre più la simpatia della sua numerosa e scelta clientela18. Al di là del generico riferimento all’arte e alla fonte letteraria, il testo insiste sulle qualità merceologiche del prodotto: lunghezza (eccezionale per i tempi) e colore (che, come abbiamo visto, era ben più costoso del bianco e nero). Non si fa il nome dell’autore o produttore del lm, si punta piuttosto sul ruolo dell’imprenditoreintermediario e sulla sua abilità di procacciarsi le novità. È vero che pochi cinematogra sti (questo era il nome di chi oggi chimiamo regista o magari autore) meritano come Méliès l’appellativo di autore, tale era la sua volontà di controllo e partecipazione diretta a ogni fase dell’ideazione e realizzazione delle sue vedute. Quella dell’autore è una dimensione che viene applicata a posteriori e che era estranea alla logica di produzione e consumo del cinema dei primi tempi. Né può valere l’obiezione che Méliès di questa sua dimensione di autore (in un senso vicino a quello che abbiamo oggi) avesse piena coscienza. Fu proprio questo suo privilegiare una dimensione artistico-artigianale che impedì alla
produzione della Star Film di reggere lo scontro con la concorrenza e di trovare il modo di adeguarsi alle mutate esigenze conservando lo standard qualitativo in precedenza raggiunto. Analizzando Voyage dans la Lune, potranno essere messi in evidenza aspetti narrativi o potranno essere individuati caratteri riconducibili a quella che oggi chiameremmo una poetica, e tuttavia non bisognerà dimenticare che esso fa parte di un assetto del cinema, il modo di rappresentazione primitivo, in cui la logica delle attrazioni prevale su quella della narrazione, in cui è ancora una sintassi di tipo teatrale (la féerie) a sorreggere una tecnica che è già cinematogra ca. 2. Fonti e precedenti Non c’è storia della fantascienza che non renda un omaggio a Voyage dans la Lune, spesso frettoloso, talora un po’ più circostanziato, ma quasi sempre zeppo di errori (anche se le intenzioni sono buone). Tra le fonti (o per lo meno i precedenti) di Voyage dans la Lune, si è soliti citare Jules Verne e Herbert George Wells. Da due romanzi di Verne, De la Terre à la Lune. Trajet direct en 97 heures (1865) e Autour de la Lune (1870)19, si possono far derivare l’idea dell’obice sparato da un cannone gigantesco e alcuni spunti circa l’aspetto del suolo lunare. A The First Men in the Moon (1901)20 di Wells vanno probabilmente fatti risalire i Seleniti, l’interno del cratere, i funghi giganti e il palazzo del re della Luna. Si può ricordare, inoltre, l’operetta Le Voyage dans la Lune (1875) di Jacques O enbach, messa in scena al Théâtre de la Gaîté per la regia di Adolphe d’Ennery (e successivamente ripresa al Théâtre du Châtelet), che potrebbe aver fornito l’idea della scenogra a del cannone mostruoso «che sovrastava vallate, con villaggi e umi» e della vegetazione che cresce con incredibile rapidità, oltre alle suggestioni dei celebri balletti delle chimere e dei occhi di neve. Leggiamo al proposito questa suggestiva descrizione dell’operetta fatta da Kracauer nel suo studio su O enbach e la Parigi del
suo tempo: Il clou del primo atto era il cannone mostruoso che sparava i viaggiatori sulla Luna. Era appoggiato su montagne e sovrastava vallate, con villaggi e umi. Nel secondo atto si ammirava il paesaggio lunare dove cresceva una pianta di tabacco le cui foglie si sviluppavano in pochi secondi. Ma che era questo in confronto con l’eruzione vulcanica del quarto atto? I viaggiatori condannati ai lavori forzati sono stati appena deportati nell’interno del vulcano quando si sentono improvvisamente forti tuoni; la terra trema, la lava zampilla e dappertutto si alzano amme. Un viaggiatore si rifugia su una grande roccia, la roccia è investita da una tempesta di fuoco e scagliata lontano. A questo scatenarsi degli elementi segue una pioggia di cenere e poi l’immagine della vetta del vulcano devastato da cui si scorge la terra, un corpo celeste che rapidamente ingrandisce, diventa sempre più luminoso e da ultimo riempie tutta la scena. Gli avvenimenti umani non furono da meno di quelli astronomici. Il leit motif dell’azione intrecciata con episodi satirici e comici è il seguente: il principe Caprice – impersonato da Zulma Bou ar – accende sentimenti molto teneri nella principessa Fantasia che, come tutti gli abitanti della Luna, non può amare. Il duetto amoroso eseguito dai due personaggi penetra vittorioso tra le meraviglie tecniche, che sono abbastanza contenute per lasciar posto su ciente a un balletto delle chimere e a un balletto dei occhi di neve. La bellezza particolare di quest’opera sta nella musica di O enbach che orisce non meno favolosa di quella pianta di tabacco. Essa dà l’illusione di una situazione in cui la tecnica non sottometta più l’uomo, ma l’uomo stesso possa disporre così liberamente della tecnica da poter addirittura giocare con essa21. Nei riguardi di questi precedenti, Méliès procede con il suo metodo che consiste nell’isolare degli spunti sui quali
mettere alla prova la sua abilità di “mago” e nel combinarli secondo la logica di una messa in serie di attrazioni (trucchi, scenogra e, performances degli attori). Inoltre, non c’è traccia in Méliès dello spirito didattico e scienti co che nutre la prosa di Verne e Wells: diciamo subito che tale spirito risulta, semmai, parodiato. La Luna è un soggetto a rontato a più riprese da Méliès, il quale si rifaceva alla tradizione degli spettacoli di féerie. Già nel 1898 aveva prodotto La Lune à un mètre in cui riprendeva i temi dello sketch teatrale Les Farces de la Lune ou les Mésaventures de Nostradamus che aveva realizzato al Théâtre Robert-Houdin nel 1891: da ricordare, tra le attrazioni di questo trucco teatrale, Febe, la dea della Luna, interpretata da Jehanne d’Alcy, mollemente distesa sul croissant lunare (di cui il cinema di Méliès ci fornirà molte variazioni) e un e etto di “avvicinamento” della Luna («La Luna a venti leghe», «La Luna a due metri»)22. Nel lm del ‘98, La Lune à un mètre, Méliès stesso interpreta il ruolo di un astronomo, con mantello e cappello a cono, che subisce le angherie di una Luna male ca che, alla ne, lo inghiotte e subito lo sputa fuori, ma interviene la dea Febe, bella e bene ca, e ricompone il suo corpo fatto a pezzi dalla Luna antropofaga. I temi scienti ci e lo spirito autenticamente divulgativo legato ai grandi sviluppi delle scienze tra i due secoli, una volta integrati nel clima della féerie, si caricano di un segno per lo più opposto a quello che animava le pagine di Verne e di Wells, come dimostrano i successivi lm sul tema lunare e, in particolare modo, Eclipse de Soleil en Pleine Lune (Méliès, 1907). Nel catalogo della Star Film, inoltre, troviamo molti titoli che fanno esplicito riferimento a tutte le mitologie delle scoperte, dei viaggi, dei prodigi della tecnica. Esse però vengono da Méliès ribaltate in parodia, proposte in forma volutamente paradossale e burlesca. Lo schema è più o meno il seguente: scienziati e esploratori, al di là delle seriosità dei loro atteggiamenti, sono mossi da istinti molto comuni (si
pensi al voyeurismo degli astronomi) e, quando con i loro arditi progetti s dano buon senso comune o leggi di natura, vengono bellamente puniti e be ati. Questo vale anche per una delle invenzioni più sorprendenti di Voyage dans la Lune: sul suolo lunare, al calar della notte, gli infreddoliti astronauti di Méliès vedono la Terra sorgere all’orizzonte e dominare il rmamento. È il «chiaro di Terra» che illumina le fredde notti lunari. Si tratta però di una versione in chiave carnevalesca delle suggestioni spaziali di Verne e di Wells; e in tutti i casi il «chiaro di Terra» va collocato nella tradizione iconogra ca del mondo alla rovescia, come del resto tutta l’allegra fantascienza di Georges Méliès. All’inizio di L’altro mondo di Cyrano de Bergerac, quattro amici fanno le loro ipotesi su cosa sia la grande «palla di za erano» che splende in cielo. E il narratore, in polemica con le sottili fantasie dei suoi compagni, si dichiara convinto che «la Luna è un mondo come questo, al quale il nostro serve da Luna»23. Stupore e sbalordimento esprime il protagonista di L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall di Poe quando prende coscienza della di erenza tra la super cie lunare e quella della «mia madre terra» la quale «si trovava al disopra della mia testa […] mentre la Luna, la Luna in tutta la sua gloria si stendeva ai miei piedi»24. Diverso è il signi cato che nel successivo cinema di fantascienza acquista il tema dello sguardo «alieno», lo sguardo del fuori, che si posa sul pianeta Terra, da La guerra dei mondi25, tratto dal romanzo di H. G. Welles, a Independence Day26. All’inizio di quest’ultimo c’è un suggestivo e etto di «chiaro di Terra»: vediamo l’immagine della Terra alta sull’orizzonte del suolo lunare dove inquadrature ravvicinate ci fanno vedere le tracce del primo sbarco umano, la bandiera degli Stati Uniti, la targa con la rma autografa degli astronauti e le impronte dei primi moonboots, ma subito dopo aver visto l’ombra della Terra estendersi lungo la super cie della Luna, ecco immense piattaforme provenienti dagli spazi stellari incombere sulle metropoli terrestri e
proiettare a terra terri canti zone d’ombra. 3. Arte della meraviglia e tecniche del racconto Come ho già ricordato, per Méliès qualsiasi storia, vera o inventata, era un pretesto per costruire e esibire la magia dei suoi trucchi. Quindi più che una logica e coerente costruzione del racconto, le sue vedute sono la messa in serie di punti di attrazione che si succedono con ritmo incalzante. Il racconto, in quanto tale, o era dato per noto (come nelle celebri abe di Perrault) o era richiamato dai titoli dei quadri che, elencati nei cataloghi della Star Film, servivano all’imbonitore per orientare gli spettatori. Il modo di rappresentazione primitivo, come ci ricorda Burch, è caratterizzato dalla esteriorizzazione della funzione narrativa e di commento, svolta per lo più da elementi complementari ma esterni alla successione delle immagini sullo schermo, quali le parole di un imbonitore e la musica eseguita dal vivo27. E tuttavia Voyage dans la Lune, ha uno sviluppo narrativo chiaramente individuabile in quanto è basato su un viaggio. Come ci spiegano gli studi narratologici, il viaggio comporta dei passaggi per così dire obbligati: le prove preliminari (preparazione e conseguimento dei mezzi necessari), la partenza, una serie di peripezie determinate da divieti o obblighi, la prova de nitiva, il ritorno, il riconoscimento e la celebrazione dell’eroe. Per raggiungere la Luna, oggetto del suo desiderio, Barbenfouillis supera varie prove in cui deve destreggiarsi tra oppositori e aiutanti (la funzione di oppositori è dapprima svolta dai suoi stessi colleghi, poi dalle creature celesti e in ne dai Seleniti), mentre quella di aiutante è svolta dalla scienza e dalla tecnica. Le creature celesti, che generosamente si o rono allo sguardo e al desiderio degli umani quasi fossero stelline del varietà, sono intangibili: Febe, provocando la tempesta di neve, costringe gli eroi a rifugiarsi dentro un cratere e ad a rontare nuove peripezie28. Il divieto a proseguire l’esplorazione viene in ne dai Seleniti, ai quali gli astronomi si sottraggono
con la fuga. L’eroe (Barbenfouillis), si salva miracolosamente e, avendo portato a terra, sia pure senza volerlo, la prova della sua impresa (il Selenita esibito come una attrazione da circo), viene “riconosciuto” come eroe e glori cato. Per quanto sia uno dei lm di Méliès più strutturato dal punto del vista del racconto, la logica che presiede alla sua organizzazione è quella del meraviglioso piuttosto che quella del fantastico29. Ciò signi ca che non c’è una vera gerarchia tra un piano di eventi ordinari e uno di eventi straordinari: come nelle abe, tutto è portentoso, sia in terra che in cielo; e la successione di meraviglie, ritmata dalle dissolvenze incrociate, introduce in ogni scena una deliziosa atmosfera di apparizione magica. La tecnica della narrazione per immagini integrate con didascalie si svilupperà a poco a poco e non fa ancora parte degli strumenti della narrazione cinematogra ca. Come risulterà chiaro nel capitolo di descrizone analitica del lm, Voyage dans la Lune risulta articolato in scene e quadri, i cui contenuti e i cui raccordi sono chiariti dallo scenario (in realtà si tratta di una lista dei quadri) pubblicato nel catalogo della Star Film30. I testi, che attraverso i cataloghi o altro materiale erano forniti assieme alle pellicole, servivano a garantire una migliore comprensione del racconto: in assenza di didascalie (e in tutti i casi il pubblico del cinema dei primi tempi era spesso analfabeta), spettava all’imbonitore integrare, arricchire e commentare la successione delle immagini. Spesso, come accade in Voyage dans la Lune, importanti e etti di senso (per esempio, per la produzione o per il ra orzamento di un e etto comico) erano prodotti da queste integrazioni verbali. Il fatto che il protagonista della spedizione si chiami Barbenfouillis non è senza importanza (ma questo gli spettatori d’epoca lo vengono a sapere da colui che commenta le immagini): il nome, oltre a essere una storpiatura di Barbicane, il protagonista dei due romanzi lunari di Verne, riprende quello del
protagonista di uno sketch teatrale di Méliès, Le decapité recalcitrant (1891), spassosa parodia del savant, bizzarro e esagitato. Oltre che da un eccezionale impegno sul piano produttivo, Voyage dans la Lune è caratterizzato da una grande attenzione al problema dei raccordi tra scene e quadri, problema che diventa di vitale importanza passando da vedute che assai raramente raggiungevano i 60 metri a un kolossal (quale dovette sembrare all’epoca) di 260. Come ho già ricordato, ogni cambiamento di scena è realizzato mediante dissolvenze incrociate (o vues fondantes, letteralmente vedute fondenti, secondo la terminologia dell’epoca). Méliès aveva impiegato questa tecnica già in Cendrillon (1899), cioè nella prima delle sue due versioni di Cenerentola. Si tratta di un procedimento che ha già a che fare con il montaggio, non solo perché entrerà a far parte delle tecniche del montaggio narrativo del cinema classico, ma anche perché come ha dimostrato Jacques Malthête (e contrariamente a quanto si riteneva) per la realizzazione della dissolvenza (e per ogni sovrimpressione in genere) non era su ciente la tecnica del riavvolgimento dell’ultimo segmento di pellicola impressionato per procedere alla sovrimpressione del primo segmento della nuova scena. Il trucco doveva essere realizzato a parte, riprendendo i personaggi immobili. In un successivo momento il trucco era inserito all’interno della continuità, e quindi procedendo con taglio e incollatura. Di tale procedimento rimane traccia visibile nei negativi originali analizzati, per cui c’è chi ha parlato di montaggio31. È tuttavia interessante fare un confronto tra la funzione di questo trucco in Voyage dans la Lune e in Voyage à travers l’impossible. Nel primo la continua ripetizione dell’e etto non fa che accrescere il clima di incanto e di stupore che si rinnova a ogni veduta. Nel secondo, il cui impianto vorrebbe essere più spettacolare e movimentato, la dissolvenza perde in parte la funzione di
intensi cazione magico-poetica, senza tuttavia diventare un elemento di una più complessa sintassi lmica. Così, l’esito del secondo è decisamente inferiore e comunque non paragonabile a quello di Voyage dans la Lune. Il cui fascino sta nella sua sospensione tra due universi, quello teatrale e quello cinematogra co, allo stesso modo in cui i suoi bu astronomi sono sospesi tra medioevo fantastico e fantascienza; e allo stesso modo in cui sono ancora sospese tra la trasmutazione magica e la funzione sintattica le dissolvenze incrociate32. Accanto a raccordi arditi, come quello a 90° tra la scena IV (base del cannone vista di lato) e la V (veduta d’insieme del cannone da dietro, secondo una prospettiva che lo mostra proteso su un vasto paesaggio), persiste una logica combinatoria di netta derivazione teatrale. Per esempio, gli astronomi escono da destra dalla sede del Club e entrano da destra nell’o cina meccanica, come si faceva a teatro. E ancora di tipo teatrale è la scena delle creature celesti che appaiono in sogno agli infreddoliti astronauti. Come in un palcoscenico, il sognatore e i personaggi del sogno (o del ricordo) sono contemporaneamente in scena: così accade in Histoire d’un crîme (t. l. Storia di un crimine, 1901) di Ferdinand Zecca e così Méliès continuerà a fare no a Les Hallucinations du Baron de Münchhausen (t. l. Le allucinazioni del Barone di Münchhausen, 1911). 4. Il cannone e il telescopio Un approfondimento particolare merita il «quadro» più celebre del lm, quello dell’e etto di avvicinamento alla Luna che si conclude con l’obice che si con cca nell’occhio destro della Luna. Tecnicamente si tratta di un falso travelling, cioè di un apparente movimento in avanti della cinepresa: in realtà, come capita in altri lm di Méliès, l’e etto è ottenuto avvicinando progressivamente il soggetto ripreso alla macchina (che era ssa). E etti del genere in Méliès sono attestati solo per mostrare trasformazioni di dimensione di un oggetto dovute a
magie varie: in L’Homme à la tête en caoutchouc (t. l. L’uomo dalla testa di caucciù, 1901), vediamo un alchimista gon are con un mantice la propria testa no a farla scoppiare; in La Syrène (1904), vediamo un prestidigitatore che con formule magiche fa ingrandire un acquario no a farlo diventare un vero fondale marino (in ambedue i casi l’e etto è ottenuto avvicinando progressivamente i due oggetti alla cinepresa). Uno spettatore moderno tende a interpretare l’avvicinamento della Luna come una “soggettiva” dal punto di vista degli astronauti, come si farebbe regolarmente in un lm di oggi. Cosa che hanno fatto anche vari studiosi. C’è chi ha visto nel corso della stesso quadro una sorta di mutamento del punto di vista, con un passaggio da una soggettiva (gli spettatori si identi cano con un supposto punto di vista degli astronomi) a un’altra visione soggettiva, quella del pubblico rimasto a terra o a un’oggettiva, «omniscient view»33. Si tratta, inevitabilmente, di applicazioni al cinema dei primi tempi della logica compositiva del cinema successivo. Più opportunanente, James Frazer parla, a proposito di questo quadro, di e etto di primo piano della Luna, ma aggiunge: «un primo piano contestualizzato da particolari circostanze, come nei primi piani a iride di Albert Smith in Grandma’s Looking Glass» (t.l. La lente della nonna, 1900)34. In realtà, nel lm di Smith, si succedono vari e etti di dettaglio, motivati però dalla lente di ingrandimento della nonna, con la quale un bambino sta giocando. Risolutivo sembra essere un approccio che lavori anzitutto sulle fonti iconogra che, per esempio il già citato sketch teatrale di Méliès Les Farces de la Lune ou les Mésaventures de Nostradamus (1891) in cui era già realizzato un e etto del tutto analogo. Nota a questo proposito Jacques Deslandes: «la traiettoria dell’obice che si avvicina alla Luna, nel lm del 1902, che sembrerà così sorprendentemente cinematogra co a molti storici, è già
interamente inscritto nella successione dei quadri di illusione del 1891»35. Né va trascurata una delle fonti del lm, cioè De la Terre à la Lune di Verne: il punto di vista che giusti cherebbe questo quadro è un punto di vista telescopico, come sembrerebbe suggerire questo passo: «Questo strumento, cannocchiale o telescopio, doveva avere la potenza necessaria a rendere visibile sulla super cie della Luna un oggetto che avesse nove piedi di larghezza»36. In realtà il fascino di questo quadro, divenuto una sorta di emblema del cinema di Méliès, sta nella sua ambiguità che sarebbe un errore voler sciogliere: nella sua trovata tecnica, insieme arcaica e arditissima, Méliès riesce a sintetizzare quello che fu il nucleo ispiratore del romanzo di Verne, cioè l’intuizione di una connessione tra il cannone e il telescopio, vale a dire della possibilità di mettere in relazione l’eccezionale energia propulsiva prodotta dal cannone con la possibilità del telescopio di seguire le fasi del lancio spaziale. In pochi quadri e con dei mezzi estremamente limitati Méliès ci fa percepire la connessione tra la balistica e l’ottica. Nella successione dei quadri, inoltre, c’è un passaggio da una resa per così dire realistica del tondo della Luna a una decisamente allegorica: la Luna nella magica visione di Méliès, torna a essere la stessa che inquietava le notti dell’astronomo di La Lune à un mètre: più che a raggiungere la Luna dell’astronomia (della quale in fondo parlavano Verne, Wells ma anche Poe e Bergerac) l’azione combinata di cannone e telescopio ci consente di riguadagnare il mondo magico della féerie.
SCENE E QUADRI [Décors et tableaux]
La segmentazione di Voyage dans la Lune che qui viene proposta non può essere considerata un découpage desunto come è inteso oggi. Essa è articolata in 17 scene (décors) e in 30 quadri (tableaux), secondo i criteri compositivi del cinema primitivo. In particolare, sono ripresi i titoli dei tableaux tradotti dall’elenco dei quadri che lo stesso Méliès ha redatto e il cui manoscritto autografo è riprodotto in Bessy e Lo Duca, Georges Méliès Mage, cit., pp. 92-98, lo stesso dal quale hanno preso le mosse quegli studiosi che hanno ricostruito il découpage del lm: Aa.Vv., Essai de reconstitution du catalogue français etc., cit., pp. 107-112 ; Pierre Jenne, Le Voyage dans la Lune, , in «L’Avant-Scène du Cinéma», 334, novembre 1984, pp. 29-37 e, in ne, Laurent Aknin, Découpage, in «L’Avant-Scène du cinéma», 592, avril 2012, pp. 86-99. Nelle pagine di sinistra sono descritte in successione le scene e i quadri: sotto il numero romano che indica la scena, sono riprodotti i titoli dei quadri secondo la
numerazione fornita da Méliès stesso. Segue una sommaria descrizione dei quadri, con la segnalazione delle dissolvenze incrociate. Nella pagina di destra si troverà una selezione dei quadri, riprodotti a due a due. Nei casi più signi cativi, sono riprodotte le dissolvenze incrociate, per documentare l’importanza che tale procedimento acquista per la produzione del clima magico che caratterizza Voyage dans la Lune.
Scena I, quadri 1-2 [1. Il congresso scienti co al Club degli Astronomi 2. Il progetto del viaggio spiegato agli scienziati, entusiasmo generale] Nella sede del Club degli Astronomi si svolge un congresso scienti co. Una scenogra a, dipinta secondo una prospettiva ascendente, mette in mostra colonne classicheggianti (stile vagamente corinzio), un’arcata romanica sullo sfondo e un’arcata a ogiva sulla destra, sfere e telescopi: alta in cielo, oltre l’arcata dello sfondo, si vede la Luna piena. Il professor Barbenfouillis illustra alla lavagna il suo progetto di viaggio sulla Luna. La vivace opposizione dell’assemblea è domata dall’esagitato relatore con lancio di libri. Alla ne la proposta viene approvata e cinque astronomi, capeggiati da Barbenfouillis, dismessi i pittoreschi mantelli e cappelli a cono, vestono più moderni abiti da viaggio e prendono congedo dall’assemblea. [dissolvenza incrociata]
Scena II, quadro 3 [3. L’o cina colossale, costruzione del proiettile] Gli scienziati visitano l’o cina dove è in costruzione l’obice. Bu e impacciati, tre di loro provano l’abitacolo dei veicolo e un altro nisce a gambe all’aria dentro una tinozza. [dissolvenza incrociata]
Scena III, quadro 4 [4. le fonderie, gli altiforni, la fusione del cannone gigante] Salgono, poi, sulla terrazza dalla quale assistono alla fusione del gigantesco cannone che dovrà “sparare” il missile nello spazio. [dissolvenza incrociata]
[dissolvenza incrociata]
Scena IV, quadri 5-6 [5. Gli astronauti si imbarcano nell’obice 6. Il cannone viene caricato] Ora prendono posto nell’obice che viene inserito nella base del cannone da una squadra di vezzose marinarette.
Scena V, quadro 7 [7. S lata dei granatieri. Saluto alla bandiera. Fuoco!] Vediamo, quindi, sullo sfondo di un paesaggio montuoso l’immenso cannone (dipinto) proteso verso la Luna alta nel cielo: un u ciale di artiglieria, scortato da un plotone con bandiera tricolore, ordina il fuoco, provocando l’entusiasmo di un pubblico incuriosito e festoso. [dissolvenza incrociata]
Scena VI, quadri 8-9 [8. La corsa nello spazio. La Luna s’avvicina. 9. In pieno occhio] Circondata da nuvole, la luna si fa sempre più vicina no a occupare tutto lo schermo. Quando l’obice si con cca nell’occhio destro, facendo uscire un liquido gelatinoso, il suo faccione si contrae in una smor a. [dissolvenza incrociata]
Scena VII, quadri 10-14 [10.Caduta dell’obice sulla Luna. Chiaro di terra 11. La piana dei crateri. Eruzione vulcanica. 12. Il sogno: stelle lanti, Orsa Maggiore, i Gemelli; Saturno. 13. La tempesta di neve. 14. Quaranta gradi sotto zero. Discesa in un cratere] L’obice precipita sul suolo lunare. Gli astronomi, usciti all’aperto, assistono allo spettacolo della terra che si alza in cielo (chiaro di terra) e, subito dopo, all’eruzione di un vulcano. Ora possono, nalmente, stendersi e prendere sonno. In sogno vengono visitati dalle creature che popolano la volta celeste e che sembrano non gradire l’intrusione degli umani: vediamo una cometa, le sette stelle dell’Orsa Maggiore, Saturno che, da sopra gli anelli del suo pianeta, si a accia brontolando, la dea Febe che, contrariata, ordina alla neve di cadere. Svegliati dal freddo intenso, essi cercano rifugio in un cratere [l’immagine degli astronauti nella parte inferiore del quadro e quella delle creature celesti risultano in sovrimpressione].
Scena VIII, quadri 15-17 [15. All’interno della Luna. La grotta dei funghi giganti. 16. Scontro con i Seleniti. Combattimenti omerici. 17. Prigionieri!] All’interno del cratere scoprono la meraviglia dei funghi giganti: basta piantare a terra un ombrello perché si trasformi rapidamente in un fungo mostruoso. Ma l’esplorazione è interrotta dall’arrivo dei Seleniti. Questi strani esseri, metà insetti e metà uccelli, li minacciano con lance. Barbenfouillis oppone resistenza e a colpi di ombrello ne fa esplodere alcuni, ma viene catturato assieme ai suoi compagni.
Scena IX, quadro 18 [18. Il re della Luna. L’esercito dei Seleniti] Introdotti all’interno di un fastoso palazzo, i prigionieri sono portati al cospetto del re della Luna che ordina l’immediata esecuzione. Barbenfouillis si ribella, a erra il sovrano e lo scaraventa al suolo, facendolo scoppiare.
Scena X, quadri 19-20 [19. Evasioni. 20. Inseguimento indaviolato] Dopo una nuova scaramuccia con i Seleniti, gli astronomi evadono e si danno alla fuga, ma sono inseguiti. [dissolvenza incrociata]
Scena XI, quadro 21 [21. Gli astronomi ritrovano l’obice. Partenza dalla Luna] Prendono posto all’interno dell’obice, già predisposto al limite di un promontorio lunare, mentre Barbenfouillis, con l’aiuto di una corda, lo fa precipitare nel vuoto. Un selenita riesce a aggrapparsi alla base dell’obice nel momento in cui sta per lasciare il suolo lunare.
Scena XII, quadro 22 [22. Caduta verticale nel vuoto] In rapida successione vediamo lo spazio interstellare attraversato dal missile in caduta
Scena XIII, quadro 23 [23. L’obice cade nell’oceano] La distesa marina dove precipita sollevando un’onda altissima
Scena XIV, quadro 24 [24. Nelle profondità marine] Il fondale popolato di pesci e vegetazione in cui dapprima a onda e da cui subito risale [dissolvenza incrociata]
Scena XV, quadro 25 [25. Salvataggio. Ritorno al porto] Nello scenario tranquillo di un porto visto di notte, un battello porta in salvo la navicella recuperata. [dissolvenza incrociata]
[dissolvenza incrociata]
Scena XVI, quadri 26-28 [26. Grande festa, marcia trionfale 27. Incoronazione e decorazione degli eroi del viaggio 28 Grande s lata di marinai e pompieri] In una piazza si svolge una cerimonia, simile a quella dell’inizio del viaggio. I protagonisti dell’impresa sono decorati con un’enorme insegna dell’Ordine della Luna) e il selenita catturato viene esibito come un animale da circo.
Scena XVII, quadri 29-30 [29. Il sindaco e i consiglieri comunali inaugurano il monumento commemorativo 30. Grandi festeggiamenti pubblici. Il selenita riportato dalla Luna come prigioniero ed esibito in pubblico come un fenomeno] A Barbenfouillis viene dedicata una statua che lo ritrae nell’atto di posare un piede sull’e gie della Luna violata: sul basamento si legge «Labor omnia vincit» e seguono grandi festeggiamenti pubblici. [Da notare che il quadro 30 non è attestato in nessuna copia arrivata no a noi o, meglio, esso corrisponde al quadro che precede l’inaugurazione del monumento che nelle copie esaminate risulta come ultimo.]
A L’AUTOMA DI SCORSESE E LA MOKA DI KENTRIDGE 1. Il momento di Méliès Parigi, 14 dicembre 2011: quattro giorni prima del debutto sugli schermi parigini di Hugo Cabret, il nuovo lm di Scorsese, esce in sala Voyage dans la Lune (1902) di Georges Méliès, nella stessa versione colorata e restaurata presentata in maggio a Cannes.37 Méliès è uno dei protagonisti del lm di Scorsese che ha messo in campo le risorse del cinema digitale e del 3D per rendere omaggio al cinema delle origini, per dare vita alle straordinarie avventure di Hugo Cabret, scritte e disegnate da Brian Selznick nella graphic novel che ha ispirato il lm38. Siamo nella Parigi «al tempo delle stazioni» e la vicenda si svolge quasi interamente all’interno della Gare de Montparnasse, dove Méliès avrebbe nito i suoi giorni come venditore di dolciumi e giocattoli, se non fosse stato riscoperto da Léon Druhot e riportato agli onori del Tout-Paris in un memorabile Gala Méliès, svoltosi alla Salle Pleyel il 16 dicembre 1929. Assolutamente artigianali, anzi imparentati con il bricolage domestico, i mezzi con i quali William Kentridge ha reso omaggio a Georges Méliès nell’installazione presentata alla Biennale di Venezia del 2005 (7 Fragments for Georges Méliès, Day for Night, Journey to the Moon). Il cinema contemporaneo dialoga con il «modo di rappresentazione primitivo», allo stesso modo in cui s’in ttisce la dinamica degli scambi tra cinema e arti visive. Con importanti mutamenti di prospettiva, però. Se agli inizi era il cinema che guardava alle arti visive, alla pittura soprattutto, per trovare una legittimazione e riscattarsi dalle sue umili origini, ora le cose vanno alquanto diversamente. Sono le arti visive contemporanee che, lasciata alle spalle quella che un tempo si chiamava la «pittura da cavalletto», guardano sempre più alle immagini in movimento dalle quali
desumono modelli, materiali iconogra ci, suggestioni di tutti i tipi, da 24 Hour Psycho, realizzato da Douglas Gordon nel 1995, l’anno del centenario del cinematografo, a Devo partire. Domani/I must go. Tomorrow (2010), videoinstallazione dell’artista cinese Ming Wong ispirata a Teorema di Pier Paolo Pasolini. Ma è nel nome di Méliès che si realizza una straordinaria convergenza tra una delle più ra nate espressioni delle arti visive contemporanee (Kentridge) e il lm di genere «family & kids» (Hugo Cabret), tra le tecniche artigianali del pre-cinema e il digitale in 3D. Al lm di Scorsese e all’arte di Kentridge è dedicata l’appendice con la quale si conclude questo piccolo studio su Voyage dans la Lune39. 2. Hugo Cabret Hugo Cabret, prima incursione di Martin Scorsese nel 3D e nei kids movies, ci a erra n dalle prime immagini e, in un folle volo, ci trascina, oltre una congerie d’ingranaggi e una Parigi tutta innevata (e tutta inventata), dentro lo spazio labirintico di una grande stazione, progettata da Dante Ferretti sul modello di Gare Montparnasse (e altre stazioni parigine) e interamente ricostruita negli studi di Shepperton. Qui, attraverso il pertugio di un quadrante d’orologio, incontriamo lo sguardo del protagonista. Il lm, che si apre sugli occhi di un bambino che scrutano il mondo, si chiude sulla maschera di un automa che ci ssa dal vuoto delle sue pupille. Tra questi due sguardi ha luogo un viaggio nei cieli di cartapesta della fantascienza ai suoi albori (Voyage dans la Lune), alla ricerca del suo inventore (Georges Méliès), che è anche il personal journey di Scorsese nella storia del cinema e nella Parigi «capitale del XIX secolo». Siamo alla ne degli anni venti o nei primi anni trenta. Hugo (Asa Butter eld), è un orfano dodicenne che sembra uscito da un romanzo di Dickens: vive nei meandri di una grande stazione, sotto tutela di uno zio ubriacone che si occupa della manutenzione degli orologi. Quando all’improvviso lo zio si dilegua, il ragazzetto s’ingegna a
far funzionare gli orologi della stazione, per non venire scoperto e spedito in un orfanotro o dal terribile ispettore ferroviario (Sacha Baron Cohen), un po’ cyborg, con la sua sferragliante gamba meccanica, e un po’ poliziotto, con il suo cane addestrato agli inseguimenti. Hugo coltiva la speranza di riparare un automa, unica eredità lasciatagli dal padre, morto in un incendio. Quest’automa è poetico come il «Pierrot écrivain», costruito da Léopold Lambert nel 1875 e programmato per scrivere lettere d’amore alla sua Colombina40; ed è perturbante come il robot di Rotwang in Metropolis di Lang. Hugo è convinto che, se riuscirà a rimetterlo in funzione e a farlo scrivere, potrà nalmente leggere un messaggio segreto del padre. Per raggiungere il suo scopo, il ragazzo ruba pezzi meccanici e attrezzi vari in un negozietto di giocattoli gestito da un vecchio e scorbutico signore (Ben Kingsley). Il lm racconta come Hugo arrivi a scoprirne l’identità, grazie alla complicità di Isabelle (Chloë Grace Moretz), una nipote dell’anziano personaggio. Si tratta di Georges Méliès, l’autore di Voyage dans la Lune. A un automate è a dato il compito di tracciare i segni che permetteranno a Hugo di sciogliere l’enigma. Non di scrittura si tratta, però, ma di un’immagine: il disegno della Luna colpita in un occhio dall’obice degli astronauti. La scrittura compare solo come logo, come image de marque della produzione Méliès. Il geniale cineasta, dimenticato da tutti e volutamente dimentico del proprio passato, può così ricevere, grazie alla “scoperta” di Hugo, il riconoscimento del Tout-Paris, nel corso di un memorabile gala in cui sono mostrati alcuni dei suoi lm miracolosamente ritrovati. Scorsese recupera integralmente quel sentimento di stupore e timore, di tenerezza e d’incanto suscitato dagli spettrali carboncini della graphic novel di Selznick. E, nello stesso tempo, ci o re una sistematica rivisitazione del cinema muto, rievocato attraverso spezzoni e ash in un fascinoso bianco e nero che, dalla lontananza delle due dimensioni, si impone nel bel mezzo dei rilievi e delle
accensioni cromatiche del cinema digitale in 3D. Oltre a numerose citazioni dirette di lm di Méliès e dei fratelli Lumière, vediamo spezzoni e foto di scena di Harold Lloyd, Louise Brooks, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Rodolfo Valentino. Ma assai più delle citazioni dirette (secondo alcuni, un po’ scontate e risapute), contano le allusioni, omaggi e rifacimenti, disseminati lungo tutto il lm. La tragicomica sequenza di Safety Last (Preferisco l’ascensore, 1923), in cui Harold Lloyd è sospeso nel vuoto, aggrappato alle lancette di un orologio, trova la sua replica nel tentativo di Hugo di sfuggire all’implacabile ispettore. Nell’immagine delle mani del bambino che, sospeso nel vuoto, a erra le lancette dell’orologio sta la metafora che sorregge l’intera vicenda: il cinema è l’arte di a errare il tempo, di mettere in sintonia il tempo meccanico del dispositivo di ripresa e proiezione con il tempo vivente della memoria e del desiderio. Il macchinista che si sporge dalla locomotiva con il viso imbrattato di fuliggine, dietro grandi occhiali scuri, sembra provenire direttamente da La bête humaine (L’angelo del male, 1938) di Jean Renoir. Les 400 coups (I quattrocento colpi, 1959) di Tru aut è rievocato nel dettaglio di Hugo che ruba una bottiglia di latte per sfamarsi. Indimenticabile è la scena in cui i mille fogli con schizzi e progetti di Méliès, in ne ritrovati, uttuano nell’aria, con un e etto di ralenti, come le piume della battaglia dei cuscini in Zéro de conduite (Zero in condotta, 1933) di Vigo. Mentre nel libro di Selznick, Hugo, con la sua giacca a code e i pantaloni attillati, sembra un piccolo lord disambientato, nel lm di Scorsese, con una giacca striminzita su dei calzoncini corti, appare fraternamente vicino e simile al piccolo Edmund di Germania anno zero (1948) di Rossellini. E ancora al cinema italiano rinvia uno degli snodi più importanti del lm. Hugo contempla, assieme a Isabelle, lo spettacolo della città di Parigi dall’orologio della Gare Montparnasse e dice: «Mi piace
immaginare che il mondo sia un unico grande meccanismo. Sai, le macchine non hanno pezzi in più. Hanno esattamente il numero e il tipo di pezzi che servono. Così io penso che il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo». Non ci devono sfuggire le somiglianze con il dialogo tra il Matto e Gelsomina nel lm La strada (1954) di Fellini: «Tu non ci crederai, ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco…prendi…quel sasso lì, per esempio. […] Beh…anche questo serve a qualcosa. Anche questo sassetto». Tuttavia manca in Scorsese l’a ato cosmico del cinema felliniano e c’è piuttosto una dimensione pragmatica: un meccanismo rotto è qualcosa che non può fare ciò che deve fare, osserva Hugo. In questo, uomini e macchine sono uguali. Chi perde il suo scopo diventa un congegno inutile, rotto. I bambini sono sorpresi e incantati dalla sollecitudine del signor Labisse, che ha le fattezze di un Christopher Lee stupendamente invecchiato. Egli gestisce una surreale libreria che sembra «pensata» da Borges o da Eco (meglio: da tutti e due, insieme). Lo scopo del signor Labisse è di fare arrivare i libri giusti alle persone giuste. Georges Méliès ha bruciato le sue scenogra e e ceduto i suoi lm a un’industria che ne ha ricavato materiale chimico per fare alzatacchi, lui che era glio di un ricco industriale delle calzature e aveva ceduto la sua quota di eredità per potersi dedicare al teatro di magia. È diventato una persona che ha perso il suo scopo. Restituendogli il suo nome e la sua identità, attraverso l’impresa della riparazione dell’automa, Hugo gli fa ritrovare il suo scopo; e così trova a sua volta il proprio. Più o meno nello stesso momento in cui, sugli schermi parigini, il treno fantasmatico dei Lumière entrava nella stazione della Ciotat, provocando immotivate reazioni di paura (rese non senza ironia dal 3D di Scorsese), un altro treno, per un guasto ai freni, sfondava davvero la vetrata della stazione Montparnasse e niva come inerte ferraglia senza vita sulla strada sottostante. Lo scatto fotogra co di
quel memorabile evento (1895), riproposto da Clive Lamming nella straordinaria galleria d’immagini raccolte in Paris au temps des gares41, è stato riprodotto tale e quale tra le invenzioni fantastiche di Selznick e rianimato con e etti sorprendenti dal 3D di Scorsese. Il disastro ferroviario realmente accaduto viene però presentato come un sogno del protagonista: in tal modo, Scorsese suggerisce una sorta di equivalenza tra quest’immagine «storica» e quella «fantastica» del treno stellare che si schianta sul sole in Voyage à travers l’impossible (1904). Selznick e, con lui, Scorsese si addentrano nell’universo perturbante della fantasmagoria e ci fanno percepire quali miti e quali sensazioni nutrano lo spazio del «meraviglioso» urbano. Uno spazio in cui l’abitante della metropoli fa quotidianamente esperienza del pericolo di perdere la vita, come ben sapeva Benjamin e come, a suo modo, ripete l’ispettore ferroviario: «Questo è un luogo pericoloso, lo volete capire?». Davvero ammirevole è la performance di Ben Kingsley che dà vivacità e dolente consapevolezza allo sguardo e al gesto di Méliès. Ugualmente ammirevole è la ricostruzione dei luoghi, in particolare dello studio di Montreuil. Sarebbe quindi da pedanti rilevare imprecisioni ed errori rispetto ai dati documentati da una bibliogra a ormai sterminata: il più delle volte si tratta di licenze poetiche. Mi limiterò a rilevare che, nella sequenza in cui compaiono immagini della prima guerra mondiale e in cui la musica piuttosto convenzionale di Howard Shore lascia spazio alla Gnossienne n. 1 di Erik Satie, è accreditata l’idea che siano stati i mutamenti di gusto del pubblico che aveva fatto la terribile esperienza della guerra a determinare la rovina di Méliès. In realtà, la sua attività produttiva cessò prima dello scoppio della guerra mondiale, e la sua crisi artistica ed economica era cominciata molto prima. Irrimediabilmente legato a un’idea romantica di artigianato artistico, Méliès non aveva saputo cogliere il signi cato della mutazione del cinema in industria e della maturazione linguistica del
nuovo mezzo: l’una e l’altra spostavano l’epicentro negli Stati Uniti, dove s’imponevano nuove strategie produttive e distributive. In questo senso, la decadenza di Méliès era cominciata con il suo maggior successo, Voyage dans la Lune, quando aveva a rontato con un’organizzazione inadeguata il mercato americano e Edison aveva potuto trarre grandi pro tti dalla duplicazione illegale del lm. Quando M.me Méliès (Helen McCrory), nel lm di Scorsese, spiega a Hugo: «I lm li abbiamo colorati noi stessi, a mano, fotogramma per fotogramma», accredita una versione romantica di una realtà un po’ diversa: per consentire l’immissione nel mercato di pellicole a prezzi maggiorati, uno stuolo di giovanissime operaie, sotto la vigilanza di M.me Thuillier, provvedeva alla coloritura dei lm in un grande capannone nei pressi di Vincennes. I metodi della lavorazione in serie s’imponevano già, anche se sarà ben presto la più potente organizzazione industriale di Pathé ad avere la meglio su Méliès, anche nel campo del colore. 3. William Kentridge Dava una sorta di vertigine, alla 54.a edizione della Biennale di Venezia (2011), l’installazione The Clock di Christian Marclay collocata alle Corderie dell’Arsenale e premiata con il Leone d’Oro. Trovare in ciascuno dei lm citati orologi che indicavano la stessa ora dell’orologio al nostro polso. Pensare che, nella successione delle sequenze, in nostra assenza, il tempo (un tempo misurato su orologi collocati nel secolo scorso), avrebbe continuato a uire, simultaneamente al tempo del nostro secolo, misurato dalle lancette del nostro orologio. Pensare che attimi di esistenza di personaggi ttizi erano lì a scandire un tempo che si stava attualizzando nelle nostre esistenze di spettatori vivi. La vertigine nasceva anche dal fatto che di fronte all’installazione di Marclay si faceva esperienza di un tempo senza futuro, ripiegato nella ripetitività meccanica del loop che è altro dalla temporalità ciclica del mito, mentre noi eravamo tutti presi dalle cure del nostro
tempo e della nostra giornata, dei nostri percorsi veneziani, dell’appuntamento con qualcuno, di un treno che partiva, degli impegni per l’indomani. Allo stesso modo, dà un senso di vertigine quel continuo e crescente ticchettio di orologi che, nel lm di Scorsese, satura lo spazio della Gare de Montparnasse, abitata da topolini meccanici e da automates, bisognevoli, al pari degli orologi, della manutenzione del piccolo Hugo. E il tempo è, da ultimo, diventato il tema centrale della ricerca di William Kentridge, come fa vedere la mostra Vertical Thinking, allestita al MAXXI di Roma (17 novembre 2012-3 marzo 2013) e incentrata sull’installazione The Refusal of Time, prodotta in occasione di Documenta 13 di Kassel. La mostra romana, strettamente connessa con lo spettacolo teatrale Refuse the Hour, passato al Teatro Argentina dal 15 al 18 novembre 2012, conferma il ruolo che nell’opera di Kentridge ha il recupero delle tecniche artigianali del precinema (teatro d’ombre, zootropio, cronofotogra a) e del cinema primitivo, con un’attenzione particolare all’opera di Méliès: basti ricordare quelle ironiche citazioni di Méliès, quando la silhouette dell’artista, replicata più volte sullo sfondo delle solite pagine d’enciclopedia, gioca con cappelli di varia foggia con la stessa disinvoltura con cui Méliès giocava con le repliche della propria testa sotto i righi del pentagramma, in Le mélomane (1903). Kentridge colma lo spazio espositivo di oggetti, reperti, feticci del suo tempo quotidiano, ordinario, privato (l’onnipresente ca ettiera), e lo mette in rapporto con i dispositivi di una misurazione cosmica del tempo (i metronomi e altre macchine del tempo, costruzioni artigianali sospese tra la scienza di Leonardo e la fantascienza di H.G. Wells). Ed è qui che si trova una linea di continuità tra l’attuale ricerca di Kentridge e il suo omaggio a Méliès presentato alla Biennale del 200542. In Journey to the Moon (2003), William Kentridge scruta il cielo attraverso una tazzina e ne aziona il manico come se fosse la levetta di uno zoom: vuole godersi meglio lo spettacolo della sua moka che colpisce un occhio della
Luna. A metà strada tra il documentario d’arte (studio d’artista) e il lm di fantascienza, Journey to the Moon potrebbe gurare in un’antologia degli omaggi che il cinema ha tributato al design italiano (la Moka Express Bialetti): altra cosa è, infatti, la gigantesca «napoletana» maneggiata da Totò in Totò, Peppino e la dolce vita (1961), antesignana del vaso di Nutella in Bianca (1984) di Nanni Moretti. Mentre l’uso improprio (metaforico) della tazzina in cui si esibisce Kentridge non potrà mancare in un repertorio di tazzine cinematogra che. Accanto a quelle con le quali Totò spiega a uno stralunato Peppino i meccanismi dell’accumulazione capitalistica, (La banda deglli onesti, 1956), che rischiano di apparirci patetici se confrontati alle attuali bolle speculative. O accanto alla tazzina il cui tintinnio misura lo scorrere di un tempo interminabile in attesa che Robert De Niro esterni la sua linea di condotta, in C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone. In realtà, le tecniche dell’animazione, del cinema delle origini e del pre-cinema sono le preferite da Kentridge che ama mescolarle con i procedimenti dell’avanguardia: i passi della donna nuda attraverso lo spazio dello studio (la modella è la moglie dell’artista) sono insieme un omaggio all’amore coniugale, al precinema (le cronofotogra e di Muybridge e di Marey) e alle pratiche del teatro d’avanguardia (la spirale di Père Ubu). Day for Night (2003) riprende l’iconogra a di 7 Frangments for Georges Méliès e Journey to the Moon: moka, tazzina, forbice, carta e matite. Con l’inversione del lmato (negativo), Kentridge ottiene una sorta di e etto notte, come dice appunto il titolo. Alla base di questo lm che, al pari dei 7 Fragments, scorre in loop, sta l’utilizzo di formiche che avevano invaso la casa dell’artista. Tracciando linee sulla carta con un pennello intinto in acqua zuccherata, Kentridge ottiene che le formiche con i loro frenetici movimenti si dispongano lungo diverse traiettorie. L’inversione al negativo trasforma lo sfondo in una notte sulla quale si stagliano le formiche diventate
macchioline bianche in frenetica agitazione. A metà strada tra le animazioni entomologiche di Stanislas Starewitch (il pioniere russo che utilizzava insetti imbalsamati per le sue riprese a passo uno) e la «fantascienza fatta in casa» di Alexander Kluge nei primi anni settanta (Willi Tobler und der Untergang der 6. Flotte, 1972), Kentridge ci mostra il sogno e l’illusione nel loro farsi: ci fa intravedere – attraverso una fusione di spazio domestico, entomologia e cosmologia – altri mondi e altri spazi, senza muoversi dal suo studio e senza distaccarsi dai consueti strumenti di lavoro. È l’ironia la sua musa, come quella che ispira la chiusura dell’ultimo dei 7 Fragments for Georges Méliès (Feasts of Prestidigitations), una sorta di remake di Le portrait mystérieux (1899) o di Le roi du maquillage (1904), in cui vediamo l’artista di spalle trasformato prima nel disegno che egli stesso sta tracciando sul muro e poi nella spirale nera di Père Ubu. Ed è prorio Ubu Roi di Jarry, cui Kentridge ha dedicato una produzione teatrale (Ubu and the Truth Commission, 1996), un altro importante anello di congiunzione tra l’artista sudafricano e Méliès. Nella biogra a romanzata del grande Georges che Madeleine Malthête-Méliès ha recentemente ristampato (2011), si narra che Méliès, presente alla prima di Ubu Roi di Jarry al Théâtre de l’Œvre (1896), abbia reagito ai rumorii di disapprovazione del pubblico che non capiva con un lapidario: «Ayez au moins la pudeur d’être idiots en silence»43.
4. Clausola (buñueliana) Vero o falso che sia, l’aneddoto riferito da Madeleine Malthête-Méliès ci o re lo spunto per riproporre il tema dei rapporti tra l’avanguardia e Méliès, a integrazione di quanto nora detto sull’opera di William Kentridge. Sappiamo che le avanguardie parigine amarono il cinema di Méliès44. La sua riscoperta avvenne alla ne degli anni venti, in piena epoca surrealista. Hans Richter e René Clair resero più volte visita a Méliès, nell’ospizio per artisti di Orly dove egli passò gli ultimi anni della sua vita. Hans Richter aveva allora in animo di realizzare un remake di Les Hallucinations du Baron de Münchausen. Più tardi Ado Kyrou darà a Méliès la patente a pieno titolo di cineasta surrealista45. Per il Gala Méliès del 16 dicembre del 1929, l’entrata in scena del Mago di Montreuil venne realizzata con una trovata simile a quella di Clair e Picabia nel nale di Entr’acte (1924)46. Méliès lacerava uno schermo di carta sul quale era impressa una sua gigantesca caricatura facendo la comparsa in carne e ossa, come nel lm di Clair e Picabia, Jean Börlin, nel ruolo del prestidigitatore, lacerava lo schermo di carta sul quale era già apparsa la parola FIN. Del resto le citazioni mélièsiane abbondano in Entr’acte. Oltre all’artista-prestidigitatore del nale, si può ricordare il prologo in cui ci viene presentata una versione parodistica del «cannone gigantesco» di Verne-O enbach-Méliès: dopo un’inquadratura del «cannoncino» maneggiato da Eric Satie e Francis Picabia e proteso verso il cielo, anziché l’avvicinamento del tondo della luna, vediamo il tondo dell’obice che ci viene incontro dal fondo della canna, con un singolare ribaltamento di prospettiva, ma con indubbie analogie gurative. In Au clair de la Lune (1903), realizzato da Méliès l’anno dopo Voyage dans la Lune, vediamo la dea Febe che viene in soccorso di un povero Pierrot e lo vendica delle angherie subite da parte di un avaro signore che non ha gradito le sue serenate. La dea non solo applaude al
povero Pierrot, ma lo accoglie sul croissant lunare con baci e abbracci. La Luna, in ne, si trasforma in un occhio che, come scrive il catalogo americano della Star Film, «è l’occhio di Dio che punisce il signore per la sua avarizia e per la sua mancanza di cuore»47. In questo lm viene stabilita in modo esplicito l’associazione tra la Luna e l’occhio, sul quale in erirà più tardi il rasoio di Buñuel. Nel prologo di Un chien andalou (1929), un personaggio maschile (interpretato dallo stesso Buñuel), dopo aver osservato il tondo della luna “tagliato” in due da una sottile nuvola, squarcia con il suo rasoio l’occhio di una fanciulla, improvvisamente materializzatasi accanto a lui, come una delle apparizioni della dea Febe che inquietavano le notti degli astronomi di Méliès. Se, come ci ha ricordato Karoly Kerenyj, la dea Febe è associata nella mitologia greca all’idea di purezza e di intangibilità48, vediamo delinearsi una rete di possibili connessioni tra la burlesca violazione dell’occhio della Luna in Voyage dans la Lune e la profanazione dell’occhio virginale della Luna-fanciulla nel lm di Buñuel.
NOTE 1 Altro titolo attestato: Le voyage dans la Lune. Titoli in lingua inglese. A Trip to the Moon; Trip to the Moon. Titoli italiani attestati: Viaggio fantastico dalla Terra alla Luna; Viaggio fantastico nella Luna; Il viaggio alla Luna (cfr. Paolo Cherchi Usai, Georges Méliès, Il Castoro, Milano 20092, p. 130). 2 Il termine féerie (derivato da fée, cioé fata) è a volte tradotto in italiano con fantasmagoria, anche se è invalsa l’abitudine di mantenere anche nella nostra lingua l’originale francese; esso designa un genere teatrale di uso in Francia nella seconda metà dell’800, basato su vicende fantastiche e caratterizzato da una messa in scena ricca di e etti scenogra ci e spettacolari. Il Théâtre du Châtelet era considerato il tempio di tale genere, con il quale il cinema delle origini e in particolare Méliès sono strettamente collegati; cfr. Hassan el Nouty, Théâtre et précinéma, A.G. Nizet, Paris 1978; Max Milner, La fantasmagorie. Essai sur l’optique fantastique, PUF, Paris 1982; trad. it. La fantasmagoria. Saggio sull’ottica fantastica, Il Mulino, Bologna 1989. 3 A chi non si senta di a rontare direttamente il testo originale, si consiglia: Italo Calvino, Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino con una scelta del poema, Einaudi, Torino 1970; per una traduzione italiana del testo di Cyrano de Bergerac, L’altro mondo. Storia fantastica di un viaggio sulla Luna, introd. di Luciano Erba, Theoria, Roma 1982. 4 Edgar A. Poe, Opere scelte, a cura di Giorgio Manganelli, Mondadori, Milano 1991, vol. I, pp. 112-164. 5 Aka: Escursion dans la Lune; Excursión a la luna (Spagna). Per un’accurata analisi delle imitazionicontra azioni di Voyage dans la Lune, cfr. Sylvain Angiboust, Du Voyage aux voyages, in «L’Avant-Scène du cinéma», 592, avril 2012, pp. 36-43.
6 Georges Sadoul, Lumière et Méliès, Lherminier, Paris 1985, p. 173. 7 Cfr. la relazione Il cinema e l’uomo moderno, tenuta da Zavattini al «Convegno internazionale di cinematogra a», svoltosi a Perugia dal 24 al 27 settembre 1949, nella quale egli sosteneva, tra l’altro: «il cinema aveva fallito completamente la sua missione scegliendo la strada di Méliès e non quella di Lumière dove erano disseminate le spine della realtà». Già nel corso del convegno non mancarono interventi che ri utavano tale contrapposizione: inviti a una maggior cautela venivano anche da coloro che trovavano suggestiva la proposta di Zavattini (Galvano Della Volpe, per esempio); cfr. Cesare Zavattini, Neorealismo ecc., a cura di Mino Argentieri, Bompiani, Milano 1979, pp. 61-65 (oltre alla relazione di Zavattini è riportato anche un passo di quella di Della Volpe, p. 64). 8 Sadoul, Lumière et Méliès, cit., p. 198. 9 Cfr. Antonio Costa, La morale del giocattolo. Saggio su Georges Méliès, Clueb, Bologna 1989, pp. 92-103. 10 Edgar Morin, Le cinéma, ou L’homme imaginaire: essai d’anthropologie sociologique, Les éditions de Minuit, Paris 19772; trad. it. Il cinema o l’uomo immaginario, Feltrinelli, Milano 1982, p. 49. 11 Michelle Aubert e Jean-Claude Seguin (a cura di), La Production cinématographique des Frères Lumière, Centre National de la Cinématographie-Bibliothèque du Film, Paris 1996, pp. 305-308. 12 Aa.Vv., Essai de reconstitution du catalogue français de la Star-Film suivi d’une Analyse Catalographique des lms de Georges Méliès recensés en France, Centre National de la Cinématographie, Paris 1981, p. 105. 13 Il termine nasce dalla contrazione di mock (falso, simulato) e documentary. 14 Aka: The Dark Side of the Moon.
15 Jean Baudrillard, L’Echange symbolique et la mort, Gallimard, Paris 1976; trad. it. Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979, p. 87 e Costa, La morale del giocattolo, cit., pp. 15-16. 16 Citazioni tratte da Entretien avec William Karel leggibile nel dossier pubblicato sul sito di ARTE: http://www.cerimes.fr/pdf/operation_lune_arte_01580097 .pdf; [traduzioni mie]. 17 Noël Burch, La lucarne de l’in ni. Naissance du langage cinématographique, Nathan, Paris 1991; trad. it. Il lucernario dell’in nito. Nascita del linguaggio cinematogra co, Il Castoro, Milano 2001; vedi anche Costa, Saper vedere il cinema, Bompiani, Milano 20112, p. 86. 18 Mauro Conciatori, Le fantasie luminose di Georges Méliès nei cinematogra italiani, in Riccardo Redi (a cura di), Verso il Centenario. Méliès, Di Giacomo, Roma 1987, pp. 51-52. 19 Trad. it. Jules Verne, Dalla Terra alla Luna; Intorno alla Luna, Mursia, Milano 1999. 20 Herbert George Wells, I primi uomini sulla Luna, in Idem, Il risveglio del dormiente e altre avventure di fantascienza, Mursia, Milano 1980, pp. 175-328. 21 Siegfried Kracauer, Jacques O enbach und das Paris seiner Zeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1976; trad. it. Jacques O enbach e la Parigi del suo tempo, Marietti, Casale Monferrato 1984, p. 281. 22 Jacques Malthête, Méliès. Images et Illusions, Exporégie, Paris 1996, p. 36. 23 Bergerac, L’altro mondo…, cit., p. 20. 24 Poe, L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall, cit., p. 156. 25 The War of the Worlds (USA, 1953) di Byron Haskin (un remake con lo stesso titolo è stato realizzato da Steven
Spielberg nel 2005). 26 Independence Day (USA, 1996) di Roland Emmerich. 27 Burch, Il lucernario dell’in nito, cit. 28 A proposito di Febe, nella mitologia greca, scrive Karoly Kerenyj: «si sa soltanto che il nome signi ca la dea Luna, più precisamente la “Pura” e “Puri catrice”, ma anche “colei che atterrisce” e perciò rimane “intangibile”»; cfr. Karoly Kerenyi, Die Mythologie der Griechen, RheinVerlag, Zurich, 1951-1958; trad. it. Miti e eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 2009, pp. 115-116. 29 Costa, La morale del giocattolo, cit., pp. 123-144. 30 Maurice Bessy e Giuseppe Maria Lo Duca, Georges Méliès Mage, Pauvert, Paris 1961, pp. 92-98. 31 Malthête, Méliès. Images et Illusions, cit., pp. 63-65. 32 Metz ha osservato, a proposito della dissolvenza incrociata, che anche negli stadi più avanzati e maturi della sintassi cinematogra ca, quando cioè è usata come un puro e semplice segno di interpunzione per marcare un cambiamento di luogo o il passaggio da un piano temporale a un altro, essa conserva «qualcosa della fusione sostanziale, della trasmutazione magica, dell’e cacia mistica»; cfr. Christian Metz, Le signi ant imaginaire. Cinéma et psychanalyse, UGd’E, Paris 1977; trad. it. Cinema e psicanalisi. Il signi cante immaginario, Marsilio, Venezia 1980, p. 255. 33 Anne-Marie Quévrain, , A la redécouverte de Méliès, in «Cahiers de la Cinémathèque», nn. 35-36, automne 1982, p. 163; Richard Abel, The Ciné Goes to Town. French Cinema 1896-1914, University of California Press, BerkeleyLos Angeles-London 1994, p. 72. 34 James Frazer, Arti cially Arraged Scenes. The Film of Georges Méliès, G.K. Hall & Co, Boston, Mass., 1979, p. 96. 35 Jacques Deslandes, Les Boulevard du cinéma à l’epoque de Georges Méliès, Ed. du Cerf, Paris 1963, p. 41.
36 Jules Verne, De la Terre à la Lune suivi de Autour de la Lune (1865 e 1870), Garnier-Flammarion, Paris 1978; trad. it. Dalla Terra alla Luna; Intorno alla Luna, Mursia, Milano 1999, p. 211. 37 Thierry Méranger, La face colorée de la Lune, in «Cahiers du cinéma», 673, décembre 2011, pp. 54-55. Il programma comprendeva oltre al lm di Méliès nella versione restaurata a colori anche il documentario Voyage extraordinaire (2011) di Serge Bromberg et Eric Lange; l’uno e l’altro sono ora disponibili in dvd e in blu-ray, pubblicati da Lobster, l’etichetta che ha in catalogo l’edizione integrale dei lm di Méliès. 38 Brian Selznick, The Invention of Hugo Cabret, Scholastic Press, New York 2007; trad. it. La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, Mondadori, Milano 2007. 39 Quest’appendice riprende, con poche varianti e qualche integrazione, la recensione a Hugo Cabret che ho pubblicato in «Alfabeta2», a. III, n. 18, aprile 2012, pp. 3132 e alcuni paragra del mio scritto Sette frammenti per Gianni Rondolino compreso nel volume collettivo Non so se è chiaro. Omaggio a Gianni Rondolino, Kaplan, Torino 2012, pp. 45-52. Ringrazio i rispettivi editori per l’autorizzazione concessami. 40 Cfr. Mario G. Losano, Storie di automi. Dalla Grecia classica alla Belle Epoque, Einaudi, Torino 1990, pp. 143144. In realtà, Brian Selznick per la sua graphic novel e poi gli specialisti degli apparati di scena del lm di Scorsese si sono ispirati all’automa di Henri Maillardet conservato presso il Franklin Institute di Philadelphia, mentre per l’espressione del volto il modello è stato l’enigmatico sorriso della Gioconda di Leonardo. Cfr. Brian Selznick, Hugo Movie Companion, Scholastic Press, New York 2011, p. 20 e pp. 154-165. 41 Clive Lamming, Paris au temps des gares, Parigramme, Paris 2011. 42 Cfr. Valeria Burgio, William Kentridge. Mediare
sempre!, Postmedia Books, Milano 2013. 43 Madeleine Malthête-Méliès, Georges l’enchanteur, La Tour Verte, Paris 20112.
Melies
44 Per una trattazione più dettagliata del rapporto tra avanguardie cinematogra che e Méliès, mi permetto di rinviare a Antonio Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino 2002, pp. 201-204. 45 Ado Kyrou, Le Surréalisme au cinéma, Le Terrain Vague, Paris 1963, pp. 63-64. 46 Cfr. Roland Cosandey, L’inescamotable escamoteur ovvero Méliès come discorso, in Paolo Cherchi Usai, Lo schermo incantato. Georges Méliès (1861-1938), Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1991, p. 88. 47 Cit. in Aa.Vv., Essai de reconstitution du catalogue français de la Star-Film, cit. p. 174. 48 Vedi nota 28.
PICCOLA GUIDA BIBLIOGRAFICA Quella che segue non è una bibliogra a sistematica (i principali titoli della bibliogra a di riferimento sull’opera di Méliès e di Voyage dans la Lune si possono desumere dalle note al testo). Qui di seguito il lettore troverà una guida per altre letture e approfondimenti: essa non si rivolge agli specialisti, ma a quanti stanno muovendo i primi passi in questo campo (o a chi ha il compito di guidarli e seguirli). Il primo consiglio è certamente di partire dalla graphic novel da cui il lm è tratto, disponibile anche in italiano: Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, Mondadori, Milano 2007. Esistono varie edizioni del découpage desunto di Voyage dans la Lune, ma quello che fornisce la documentazione più ricca, completa e aggiornata è: Aa. Vv., Georges Méliès Le Voyage dans la Lune, in «L’Avant-Scène du cinéma», 592, avril 2012, pp. 1-99, da leggere e degustare avendo la possibilità di vedere e rivedere il recentissimo dvd Le Voyage dans la Lune en couleurs précédé du Voyage extraordinaire, cofanetto edito da Lobster, Paris 2012. L’intero corpus sopravvissuto dell’opera di Méliès è disponibile nel cofanetto di 6 dvd, Georges Méliès. Le premier magicien du cinéma, anche questo pubblicato da Lobster. Un cofanetto analogo, ma con qualche lm in meno, è disponibile sul mercato italiano: Georges Méliès. Tutto Méliès: 175 cortometraggi in 5 dvd, Valter Casini Edizioni, Roma 2010. A chi non legge il francese, si può suggerire un recentissimo volume collettivo interamente dedicato a Voyage dans la Lune: Matthew Solomon (ed.), Fantastic Voyages of the Cinematic Imagination. Georges Méliès’s Trip to the Moon. State University of New York Press, New York 2011 (il libro, al quale hanno collobarato specialisti di Méliès di tutto il mondo, è corredato da un dvd che riproduce la versione restaurata in bianco e nero e una
versione con i viraggi a colori). Per quanto riguarda opere in italiano su Méliès, suggerisco senz’altro la nuova edizione della bella monogra a di Paolo Cherchi Usai, Georges Méliès, Il Castoro, Milano 20092, che può essere integrata da un’altra raccolta di materiali e saggi curata dallo stesso Cherchi Usai, Lo schermo incantato. Georges Méliès (1861-1938), Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1991. Per una contestualizzazione, nel cinema primitivo, della contrapposizione Méliès/Lumière, mi permetto di suggerire: Antonio Costa, I padri fondatori: Lumière e Méliès, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, vol. I, Europa. Miti, luoghi, divi, Einaudi, Torino 1999, pp. 74-106. A chi voglia a rontare lavori più impegnativi consiglio due libri: Noël Burch, Il lucernario dell’in nito. Nascita del linguaggio cinematogra co, Il Castoro, Milano 2001 (un’opera, a tratti impervia, che vale sicuramente la pena di a rontare perché, nonostante le asperità e qualche rigidità ideologica, resta una delle più belle sul cinema primitivo); Thomas Elsaesser e Adam Barker, Early cinema: space, frame, narrative, British Film Institute, London 1990 (il BFI distribuisce anche un ottimo dvd che presenta una ricca antologia dei lm di cui il libro tratta). Naturalmente una parte cospicua della bibliogra a su Méliès è in lingua francese. Tra i classici citerò i titoli più signi cativi, precisando che non sono di facile reperibilità (ma esistono anche in molte città italiane biblioteche specializzate simili a quella frequentata dai due protagonisti di Hugo Cabret). Maurice Bessy e Giuseppe Maria Lo Duca, Georges Méliès Mage, Pauvert, Paris 1961 (edizione del centenario); Jacques Deslandes, Les Boulevard du cinéma à l’epoque de Georges Méliès, Ed. du Cerf, Paris 1963. Sadoul, Georges, Lumière et Méliès, Lherminier, Paris 1985.
Per quanto riguarda opere più recenti e aggiornate, segnalo questi titoli che possono essere utilmente e piacevolmente consultati anche da chi non conosce il francese, per la ricchezza e la bellezza degli apparati iconoogra ci: Jacques Malthête, Méliès. Images et Illusions, Exporégie, Paris 1996. Jacques Malthête e Michel Marie, Georges Méliès illusioniste n de siècle?, Presse de la Sorbonne NouvelleColloque de Cerisy, Paris 1997. Jacques Malthête e Laurent Mannoni, L’Œuvre de Georges Méliès, La Cinémathèque Française-Éditions de la Martinière, Paris 2008.
GUIDA FILMOGRAFICA Sono qui ricordati i principali lm di Méliès dedicati al tema lunare e una selezione di quelli dedicati ai viaggi immaginari (tutti i lm sono compresi nel cofanetto Georges Méliès. Tutto Méliès: 175 cortometraggi in 5 dvd, Valter Casini Edizioni, Roma 2010). Seguono poi alcune proposte di lm sul tema del viaggio fantascienti co e fantastico. L
M
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La Lune à un mètre (t.l. La Luna a un metro, 1898) Voyage dans la Lune (Viaggio sulla Luna, 1902) Au Clair de Lune ou Le Pierrot malheureux (t.l. Al chiaro di Luna o Pierrot sfortunato, 1903), Eclipse de Soleil en pleine Lune (t.l. Eclissi di Sole in Luna piena, 1907) Le Rêve d’un Fumeur d’Opium (t.l. Il sogno di un fumatore d’oppio, 1908) Les Hallucinations du Baron de Münchausen (t.l. Le allucinazioni del Barone di Münchausen, 1911) A
M
:
Voyage à travers l’impossible (t.l. Viaggio attraverso l’impossibile, 1904) A la Conquête du Pôle (t. l. Alla conquista del Polo, 1912) S
M
:
Avventure straordinarissime di Saturnino Farandola (Italia, Marcel Fabre, 1914) Vynáles skázy (La diabolica invenzione, Karel Zeman, Cecoslovacchia, 1957) A
L
:
Frau im Mond (Una donna sulla Luna, (Germania, Fritz
Lang, 1929) Destination Moon (Uomini sulla Luna o Destinazione Luna, (USA, Irving Pichel, 1950) Totò nella Luna (Steno, Italia, 1958) Countdown (Conto alla rovescia, USA, Robert Altman, 1967) Apollo 13 (Apollo 13, USA, Ron Howard, 1995) M Opération Lune (Francia-Germania, William Karel, 2002) M
:
7 Fragments to Georges Méliès; Day for Night e Journey to the Moon (2003) di William Kentrdge Hugo Cabret (Hugo Cabret, Usa, Martin Scorsese, 2011)
APPROFONDIMENTI INTERDISCIPLINARI Prendendo spunto dal lm, si possono suggerire ricerche sulla presenza della Luna nella letteratura e nelle tradizioni popolari. Il confronto tra cinema e letteratura, con particolare attenzione al genere fantastico e fantascienti co e, in particolare, ai romanzi di Verne. Cinema e percezione visiva, che potrebbe a prima vista sembrare un tema ostico, è un campo di indagine che si presta benissimo a studiare il problema delle illusioni ottiche, dei trucchi visivi e, quindi, dei principi sui quali si basa il dispositivo cinematogra co. Le indubbie di coltà che comporta l’approccio al cinema primitivo possono suggerire approfondimenti per mettere in discussione la supposta naturalezza dei linguaggi visivi e acquisire la nozione della loro storicità (tanto per le arti gurative quanto per il cinema).
PAROLE CHIAVE Actualitées reconstituées. Arti visive. Automi. Avanguardia. Cinema primitivo. E etti speciali/trucchi. Fantascienza. Féerie/fantasmagoria. Graphic novel. Installazioni. Mezzi di trasporto (treno). Mockumentary (falso documentario). Modi di produzione. Pre-cinema. Storia del linguaggio cinematogra co. Surrealismo. Tecnica cinematogra ca movimenti di macchina).
(montaggio;
dissolvenza;
SOMMARIO Il teatro di féerie e la formazione di Méliès. Lumière/Méliès: una contrapposizione che va superata. Intreccio di autentico e arti ciale nel cinema. Il cinema di Méliès nell’ambito del cinema dei primi tempi. Verne, Wells, O enbach: le fonti di Voyage dans la Lune e i precedenti soggetti “lunari” di Méliès. L’arte della meraviglia (cinema delle attrazioni) e articolazioni del racconto cinematogra co. Analisi degli aspetti linguistici e estetici del lm. Méliès e la sua opera nel cinema e nelle arti contemporanee.