Una sacra rappresentazione profana: Fortune di Griselda nel Quattrocento italiano 9783110941210, 3484522534, 9783484522534


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Italian Pages 99 [100] Year 1994

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Indice
Introduzione
Nota al testo
GRISELDA. Sacra rappresentazione del secolo XV
Commento
Glossario
APPENDICE (testi di Romigi dei Ricci, Jacopo Foresti, Neri Nerli)
Nota al testo di Romigi de' Ricci
Testo di Romigi dei Ricci
Nota al testo di Jacopo Foresti
Testo di Jacopo Foresti
Nota al testo di Neri Nerli
Testo di Neri Nerli
Riferimenti bibliografici
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Una sacra rappresentazione profana: Fortune di Griselda nel Quattrocento italiano
 9783110941210, 3484522534, 9783484522534

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BEIHEFTE ZUR ZEITSCHRIFT FÜR ROMANISCHE

PHILOLOGIE

BEGRÜNDET VON GUSTAV GRÖBER FORTGEFÜHRT VON WALTHER VON WARTBURG UND KURT BALDINGER HERAUSGEGEBEN VON MAX PFISTER

Band 253

RAFFAELE MORABITO

Una sacra rappresentazione profana Fortune di Griselda nel Quattrocento italiano

MAX NIEMEYER VERLAG TÜBINGEN 1993

Gedruckt mit Unterstützung des Dipartimento di Culture Comparate, Universitä dell'Aquila.

Die Deutsche Bibliothek - CIP-Einheitsaufnahme Morabito, Raffaele: Una sacra rappresentazione profana: Fortune di Griselda nel Quattrocento italiano / Raffaele Morabito. - Tübingen: Niemeyer, 1993 (Beihefte zur Zeitschrift für Romanische Philologie ; Bd. 253) NE: Zeitschrift für Romanische Philologie / Beihefte ISBN 3-484-52253-4

ISSN 0084-5396

© Max Niemeyer Verlag GmbH & Co. KG, Tübingen 1993 Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany. Satz und Druck: Allgäuer Zeitungsverlag GmbH, Kempten Einband: Heinr. Koch, Tübingen

Indice

Introduzione

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Nota al testo

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Griselda. Sacra rappresentazione del secolo X V

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Commento

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Glossario

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Appendice: - Nota al testo di Romigi dei Ricci

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- Testo di Romigi dei Ricci

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- Nota al testo di Jacopo Foresti

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- Testo di Jacopo Foresti

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- Nota al testo di Neri Nerli

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- Testo di Neri Nerli

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Riferimenti bibliografici

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Introduzione

Ε ben noto che una delle novelle piu fortunate del Decameron e stata quella di Griselda, con cui il libro si conclude; ed anche che il suo enorme successo e passato attraverso la riscrittura fattane da Francesco Petrarca, che la volse in latino traducendo dal volgare toscano di Giovanni Boccaccio (il quale, a quanto ne sappiamo, fu il primo a raccontare questa vicenda 1 )· A giusto titolo la versione petrarchesca e stata considerata non come una traduzione servile, ma come una vera e propria rielaborazione, volta a sottolineare il significato morale della storia2: abolendo i tratti comici del commento con cui Dioneo (il personaggio decameroniano cui e affidata questa narrazione) accompagna il racconto, Petrarca ne suggerisce il valore allegorico, per cui il rapporto tra Griselda e Gualtieri viene indicato come equivalente a quello tra l'anima umana e Dio. Ma e indicazione discreta, che non elimina del tutto le ambiguita presenti in Boccaccio e relative al significato generale della storia. Tuttavia proprio nell'ambiguitä e nella contemporanea esplicita indicazione di un possibile valore morale che, tramite il riferimento allegorico ο simbolico, superi la particolarita delle vicende dei personaggi, ha radice la fortuna che alia storia arrise, cospicua, nelle etä successive. Che in virtü di tali caratteri era possibile attribuirle caso per caso valori e significati rispondenti a difierenti istanze. Redatta alio scadere della sua esistenza terrena ed inclusa nelle Seniles, la riscrittura di Petrarca si pone a distanza piu che ventennale daH'originale boccacciano ed apre la strada ai numerosi rifacimenti quattrocenteschi; il moltiplicarsi dei quali testimonia di un successo che non si limita ad andare di pari passo con quello dell'intera raccolta decameroniana, ma riguarda anche la novella a se stante, la quale si diffonde in vario modo: come 'spicciolata' ο come storia narrata nelle forme di generi letterari differenti, dal cantare alia sacra rappresentazione, dalla rievocazione storiografica al racconto romanzesco 3 . II fatto poi che in alcuni casi, in lingue diverse dall'italiana, all'in-

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Sul problema delle fonti della storia di Griselda cfr. Morabito 1990. Rimando per tutti a Severs 1942 e Martellotti 1951, nonche al recente intervento di Bessi 1989. Per le riscritture della storia di Griselda cfr. il repertorio da me curato (Morabito 1988/a), alia cui stesura hanno collaborate D. Faraci, A. M. Iorio, M. Rossteuscher, Z. Pospisilovä, M. Olsen, S. Swahn, S. Apo; ad esso, salvo diversa indicazione, ι

terno di traduzioni dell'intero Decameron venisse incorporata, invece di quella condotta direttamente sul testo di Boccaccio, la traduzione dal latino di Petrarca4, non fa che confermarne la complessa e articolata circolazione. La fama dell'autore e l'uso della lingua di cultura comune all'Europa dell'epoca costituivano per la Griselda petrarchesca la premessa del successo presso un pubblico esteso. Del resto lo stesso Petrarca dichiara di averla scritta per raggiungere una cerchia di lettori non limitata all'Italia: «ut nostri etiam sermonis ignaros tarn dulcis historia delectaret»; e difatti e dalla sua versione che derivano la maggior parte degli adattamenti e rielaborazioni che gia dagli Ultimi anni del secolo XIV, e poi sempre piu numerosi nel XV, cominciano a diffondersi in tutta Europa, e con particolare frequenza in Francia e in Germania. Se il racconto petrarchesco costituisce dunque la fonte principale della fortuna di Griselda nel Quattrocento (e ad esso attinse anche Chaucer per il Clerk's Tale5), n o n e d a trascurare un altro testo: quello di Jacopo Foresti, che la storia di Griselda incluse nel suo Supplementum chronicarum (per la prima volta nell'edizione del 14856), opera di grande successo e diflusione, cronaca universale utilizzabile a fini scolastici, in cui sotto l'anno 985, a proposito delle origini del marchesato di Monferrato, viene condensata in una pagina la storia di Gualtieri e Griselda. II Supplementum era in latino (ma fu presto tradotto in italiano, nel 1491, ed in spagnolo, nel 1510) e la sua circolazione non incontrava barriere linguistiche in Europa: cosi venne conosciuto e utilizzato, per esempio, tanto dall'ignoto autore italiano dei cantari pubblicati a stampa alio scadere del X V secolo ο all'inizio del X V I e piu volte ripresi fino al secolo XVII 7 , quanto dallo spagnolo Pedro Navarro (1603; magari tramite

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faccio riferimento per tutte le notizie relative alia circolazione della storia. Dei cantari su Griselda, come pure di un esempio di narrazione 'storica' (Foresti), do notizie piü sotto; la storia venne anche inserita da Tommaso III di Saluzzo nel suo romanzo Le chevalier errant (su cui cfr. Gorra 1892 e Golenistcheff-Koutouzoff 1933), mentre un altro esempio di adattamento teatrale, oltre a quello qui presentato, e costituito da L'estoire de Griseldis en rime etporpersonnages, edito da Roques 1957. Per una discussione sulla paternita di quest'ultima opera, da alcuni attribuita almeno parzialmente a Philippe de Mezieres, cfr., oltre a Roques 1957, Frank 1936 e Craig 1954; contrari all'ipotesi di una diretta responsabilita di Philippe nella redazione si dichiarano invece, oltre a due recensori della Craig (Holmes 1955 e Harris 1955-56), Raynaud de Lage 1958 e Coopland 1975 (di cui cfr. in particolare p. X X I X , n. 53). Cosi e per il catalano (cfr. de Riquer 1978), per il castigliano (cfr. Bourland 1905), per il francese (cfr. Hauvette 1907-09). Sulle fonti del Clerk's Tale rimando a Severs 1941 e 1942 (in attesa della nuova edizione dei Sources and analogues of Chaucer's "Canterbury Tales" diretta da R. M. Correale). Va rettificato il dato del repertorio cit. (Morabito 1988/a), in quanto nella prima edizione del Supplementum (1483) non figura la storia di Griselda. Numerose edizioni sono elencate in Passano 1862, Kristeller 1897, Segarizzi 1913, Sander 1942, Angeleri 1953, Santoro 1964; edizione moderna: Romagnoli 1967.

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la citata traduzione nella sua lingua8); mentre il francese Jean Dufour compilando il suo La vie des femmes celebres (1504) aveva davanti a se un altro libro del Foresti, il De plurimis claris selectisque mulieribus (1497)9, in cui a Griselda era dedicato un capitolo che riprendeva con varianti minime la narrazione compendiosa del Supplementum. Per una ricostruzione dei canali di diffusione della storia fra Quattrocento e primo Cinquecento l'asse portante e costituito, dunque, dai due testi latini, in primo luogo da quello di Petrarca; e per quest'ultimo sarebbe da verificare la diffusione dei manoscritti contenenti la storia, tanto inserita nelle Seniles quanto sciolta. Su tale sfondo vanno lette le narrazioni in volgare scritte nell'Italia del X V secolo, le quali, a differenza delle altre composte oltralpe, hanno tutte un rapporto diretto anche con l'archetipo decameroniano: rapporto a volte assai stretto, anche dal punto di vista formale (cosi e per i cantari di un certo Silvestro, contenuti nel manoscritto Parmense 2509 della biblioteca Palatina di Parma, ο per Sercambi, vero e proprio plagiario di Boccaccio), a volte di minore prossimita. Che fra tutti questi capitoli della diffusione di Griselda in volgare la preminenza vada assegnata al cantare a stampa lo impone il dato obiettivo del moltiplicarsi delle edizioni10; tuttavia anche altri episodi si pongono come significativi per far comprendere le modalitä e il significato della circolazione della storia. Ai limiti del secolo (1399) troviamo la versione di Romigi di Ardingo dei Ricci: si tratta di una ritraduzione in italiano del racconto petrarchesco; fatto di per se interessante, a dimostrazione di come giä dai primi lettori venisse sentita marcatamente la sua differenza rispetto al testo decameroniano - al punto da desiderare di averne una versione in volgare (e non si doveva trattare di un unicum, dato che il testo di Romigi si presenta con le caratteristiche di una copia). Ma ancor piü interessante il luogo in cui questa traduzione dal Petrarca si trova: il manoscritto Riccardiano 1655, uno zibaldone in cui, giusta la descrizione di Salomone Morpurgo 11 , sono riuniti pagine di conti, istruzioni di agricoltura, componimenti in versi, trattati e poemetti morali. La storia di Griselda e preceduta nel manoscritto, nell'ordine, da una Genesi in volgare, dai proverbi di Seneca e dal Breviloquio delle quattro virtu di Giovanni Gallico, tutti e tre trascritti da Romigi di Ardingo nel giugno 1399; al mese successivo risale la trascrizione della Griselda, compiuta il 25 luglio, giorno di san Jacopo (come informa lo stesso Romigi 12 ), che e seguita da un paio di pagine di versi e da un altro scritto di Seneca intitolato Delle quattro

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Cfr. Farinelli 1904. Sul rapporto Dufour-Foresti cfr. Sands 1977. Sui rapporti fra cantari a stampa e cantari di Silvestro cfr. la mia introduzione all'edizione dei secondi (Morabito 1988/b). Cfr. Morpurgo 1900, pp. 608-609. Cfr. Bencini 1851, p. 30, n.i.

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virtu, anch'esso «asemprato per [...] Romigi». Insomma, un libro che rientra nella tipologia dei libri di famiglia, di recente accuratamente delineata da Mordenti e Cicchetti' 3 . L'annotazione: «Semprato per Romigi», apposta al termine del racconto nel manoscritto Riccardiano, evidentemente allude non alia composizione del testo ma alia sua copiatura; in un libro destinato ad un uso familiare Romigi include una storia morale, accanto ad altri scritti devoti ο che hanno il compito di istruire ο ammaestrare alia virtu: e comunque l'uso privato del testo, non la sua diffusione pubblica, che chi scrive ha di mira. Romigi e cioe uno di quei «copisti per passione» descritti da Branca 14 , non letterati di professione ma borghesi istruiti, e appartiene a quel pubblico che tanto aveva amato fin dal suo primo apparire il Decameron e che, dedicandogli nel copiarlo le proprie fatiche, ne aveva decretato la duratura fortuna; sebbene rispetto ai mercanti descritti da Branca la sua cultura possa sembrare meno ä la page, meno laica (e la preferenza, rispetto a Boccaccio, per la moralizzata Griselda petrarchesca appare significativa). All'altro estremo cronologico del secolo (anzi anch'egli al di lä dei suoi confini) troviamo l'altro fiorentino Neri Nerli, la cui scelta di tradurre Boccaccio in latino e un modo di manifestare le proprie ambizioni intellettuali, mettendosi a confronto non troppo indiretto con Petrarca. Non una gara, tuttavia, che mira dichiarata di Neri e usare Griselda per fondare una nuova scrittura comica, richiamandosi a modelli antichi; mentre Petrarca s'era mosso in una direzione opposta, eliminando dalla propria scrittura ogni elemento comico basso. Neri, della nobile e antica famiglia ricordata da Dante nel Paradiso (XV, 115), era persona colta, se (come plausibilmente ipotizza Cosenza 15 ) e a lui, in societä con il fratello Bernardo e con Giovanni Acciaiuoli, che bisogna attribuire l'impresa editoriale della stampa delle opere di Omero in greco, realizzata a Firenze nel 1488, curata da Demetrio Calcondila e accompagnata dal De ortu Homeri di Erodoto, dal De vita Homeri di Plutarco e dal De Homero di Dione Cassio 16 ; nella prefazione, in latino, Bernardo Nerli dichiara di essersi awalso dell'aiuto del fratello Neri («Nerii fratris liberalitatem»), il cui nome figura poi nel colophon, in greco, a pari titolo di quello dello stesso Bernardo, ed ambedue vengono identificati come figli di Tanai Nerli. Presso la biblioteca Riccardiana sono conservati due manoscritti di opere di Neri in latino: uno, il Moreniano 220, contiene sue lettere a diversi destinatari17; l'altro, il Riccardiano 951, include, accanto a delle lettere al gonfaloniere Pier

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Cfr. Cicchetti e Mordenti 1984 e 1985. Cfr. Branca 1961. Cfr. Cosenza 1962. Descritto in IGI1954. Descritto nell'inventario a stampa Mss. Moreniana 1908-09, pp. 224-225.

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Soderini, a Giovanni Vittorio Soderini ed a suo fratello il cardinale Francesco, un panegirico di quest'ultimo, trascritto in bella copia ma con l'aggiunta di numerose correzioni in corsivo. L'omogeneitä dei destinatari puo far pensare che dovesse esistere un altro manoscritto, una copia messa in pulito e destinata ai Soderini; che il Riccardiano 951 fosse invece una copia ad uso dell'autore puo farlo pensare anche il fatto che tra i fogli pergamenacei se ne trovino altri cartacei contenenti un frammento di dialogo (mancano la parte iniziale e quella finale) dello stesso Neri Nerli. La lettera che ci interessa apre il manoscritto moreniano e ne occupa la metä (poco piu di diciannove carte su trentanove che compongono l'intero volume). Diretta a Giovanni Ugolini, non e datata, ma un'indicazione approssimativa sull'epoca della sua composizione si puo ricavare dalle altre lettere comprese nel libro, in due delle quali la data e indicata: la seconda del volume, diretta alio stesso Giovanni Ugolini, e del febbraio 1502 e quella indirizzata «Magnificis conseruatoribus terre Burgi» e dell'ottobre 1506. La disposizione sembra quindi in ordine cronologico, ed e plausibile far risalire la stesura dell'epistola con la versione da Boccaccio a poco prima del febbraio 1502: stesura in un secondo momento attentamente rivista, come testimoniano le numerose rasure, cancellature ed aggiunte marginali.Nel proemio e nella conclusione della nostra lettera Neri si presenta come uomo maturo, in posizione tale che gli consente di dare consigli al suo destinatario. Mori dopo il giugno 1522: al 13 di quel mese e datata una sua lettera inclusa nel codice Riccardiano. Uomo di importanti relazioni sociali nella sua cittä, dunque, come comportava l'appartenenza ad una famiglia di antica nobilta; ed anche uomo di cultura. Scrivere un libro di lettere in latino, ed aprirlo con un'epistola contenente una traduzione dell'ultima novella del Decameron, voleva dire per lui reclamare una patente di nobilta letteraria. Egli conosceva la famosa lettera XVII,3 delle Seniles, che include la versione petrarchesca della storia e nella prima parte della sua epistola, la quale funge da proemio alia narrazione, ricorda che Petrarca «latinam fecit fabulam marchionis Monti Ferrati». II Monferrato non e Saluzzo, ma le vicende dei due marchesati erano strettamente intrecciate, e pochi anni prima anche il Foresti aveva inserito nel Supplementum la storia della pastora Griselda divenuta marchesana di Saluzzo proprio lä dove trattava delle origini degli Aleramici, marchesi di Monferrato: spiegabile quindi l'inesattezza. Fatto sta, comunque, che nel suo proemio Neri menziona tanto Petrarca quanto un altro maestro dell'umanesimo toscano, Leonardo Bruni, ricordato come autore della traduzione latina della novella di Tancredi principe salernitano. Insomma, i termini di raffronto erano dei piu alti e indicavano la dignitä letteraria cui aspirava la sua scrittura. La quale non trovava le proprie motivazioni in intenti di divulgazione (presso coloro che ignoravano la lingua toscana) e di moralizzazione che avevano presieduto al rifacimento petrarchesco. II suo programma non e d'indagare ed esplicitare i significati morali e le valenze simboliche della storia: piuttosto 5

egli intende ricercare nuove possibility per la prosa latina del suo tempo, distaccandosi dal modello ciceroniano ed 'aureo' per entrare invece in una dimensione comica. Ε gli autori latini evocati nella prima pagina sono appunto tre comici: Terenzio, Plauto e Nevio. Che si tratti d'una scrittura sperimentale lo conferma il divario stilistico fra le parti proemiale e conclusiva e la narrazione propriamente detta, organizzata in strutture sintattiche lontane da quelle classiche e tendenti ad awicinarsi al volgare. Insomma un dettato che non fosse quello nobile dell'umanesimo alto, ma conservasse un andamento piu familiare, magari tale da apparir claudicante («claudicare»), pero anche da poter essere «immago et speculum vitae»; e uno stile che si definisce comico sulla base d'una distinzione legata alle retoriche tradizionali, in quanto conduce col suo esito «ad summum domestice felicitatis»: ciö che lo caratterizza come comico e il percorso da un esordio disforico a una conclusione felice18. Comico alto, dunque, non quello di Peronella ο di Masetto di Lamporecchio; e non e un caso che si tratti della novella conclusiva del libro (come sottolinea lo stesso Neri nel proemio), del momento alto in cui il percorso comico si invera in una dimensione elevata socialmente (la corte) e moralmente (la virtü senza ombre ne incertezze di Griselda). Ma si tratta pur sempre di scrittura comica, e resta il dato che Neri si discosta decisamente dalla strada battuta da Petrarca. Quanto al fatto, poi, che maestro di stile comico venga considerato Boccaccio - ed il Boccaccio del Decameron - , e significativo della nuova considerazione di cui egli e oggetto. Egli e maestro della scrittura narrativa comica piu di ogni autore antico. Ma la menzione nel proemio di Terenzio, Plauto e Nevio mostra anche che la comicitä a cui viene annesso non e solo quella delle retoriche medievali, di una progressione della materia narrativa verso esiti felici. Pur non ascrivendosi fra i «docti homines», l'autore nella sua versione latina, conservando i «flosculos vernaculos», salvaguardando le «sententie» e la «gravitas», tenta l'individuazione di un latino 'comico' per la civiltä umanistica. Ε un programma volto a conferire alia dimensione del comico una propria dignitä e legittimita, a liberarla da quell'«infamia» da cui a suo tempo Piatone aveva giudicato esenti solo i «tragica poemata». La commedia che ne risulta (non soltanto «sequenda», ma «assequenda») ha un obiettivo dichiarato, sebbene piu ridotto e meno elevato di quello del racconto petrarchesco: indurre il destinatario, il giovane Giovanni Ugolini, da un lato alle gioie del matrimonio, dall'altro alia composizione di nuove «fabule». In questo senso, di una morale piu ironicamente pratica, son diretti interrogativi come quello espresso nella conclusione, se la figlia di Gualtieri fosse piü contenta per aver trovato dei genitori ο delusa per aver perduto un marito (dove con ironico distacco adombra un altro interrogativo piu tardi posto in chiave non ironica da moderni critici psicanalisti in

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Sul Decameron

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in relazione alle teorie medievali degli stili cfr. Branca 1970.

merito a sottintesi incestuosi della storia19); ο la riproposizione del commento osceno del Dioneo boccacciano alia fine del racconto («s'avesse si a un altro fatto scuotere il pelliccione che riuscito ne fosse una bella roba»20, e «sic subagitari alicunde quesisset ut mereretur pulcherrima vestimenta»). Sara poi appena il caso di aggiungere che la scelta del Boccaccio decameroniano come modello di comicitä e in linea con le tendenze dell'epoca, con l'uso del Decameron da parte dei commediografi cinquecenteschi, su cui ha insistito Nino Borsellino 21 . La consonanza con la scelta di Neri Nerli e evidente: indicare nel Decameron un modello di scrittura comica richiamandosi a Plauto e Terenzio significava ipotizzare nelle sue pagine una intrinseca teatrabilita: rintracciarvi delle situazioni rappresentabili da parte di attori e degli intrecci e dei conflitti capaci di dar vita ad un'azione scenica; rintracciarvi, insomma, quello che ha indotto Borsellino a parlare di«Decameron come teatro». Se Neri Nerli, anche in virtu della scelta del latino, si rivolgeva a dei lettori colti, altri adattamenti della storia di Griselda erano invece indirizzati a un pubblico assai meno dotto, un pubblico di non-lettori (o perlomeno che includesse anche dei non-lettori). Cio vale per i cantari giä citati - tanto quello a stampa quanto quelli di Silvestro (i secondi rimasti manoscritti ed in apparenza culturalmente piü ambiziosi, anche se non piu raffinati, del primo). Genere, il cantare, in cui il rapporto con l'esecuzione orale e presupposto incombente della scrittura; cio che puo valere, a maggior ragione, per una sacra rappresentazione: per un testo teatrale la previsione della messa in scena diventa la stessa ragion d'essere delFopera. Di una sacra rappresentazione quattrocentesca dedicata alia figura di Griselda, «contenuta mutila del principio in un codicetto a forma di vacchetta, di scrittura del secolo XV», fa menzione nella seconda edizione delle sue Origini del teatro italiano Alessandro D'Ancona 22 . D'Ancona sottolinea l'interesse di un tale testo, del quale trascrive un'ottava (quella che in questa edizione corrisponde ai vv. 353-360), osservando che si tratterebbe del piu precoce esempio di dramma profano svolto nelle forme proprie del teatro sacro: profano ο almeno «non prettamente religioso», come s'era gia espresso privatamente, in una lettera da Pisa del 9 febbraio 1887 al proprietario del codice, il professore americano Willard Fiske 23 , che risiedeva allora a Firenze:

'» Cfr. Rank 1912, recensito da Reik 1912 e ripreso in tempi piü recenti da Baudouin 1929 (cfr. p. 82 dell'edizione italiana) e da David 1967, pp. 9 9 - 1 0 0 e 185. 20 Le citazioni dal Decameron son tratte dall'edizione Branca 1980. 21 Cfr. Borsellino 1974. 22 Cfr. D'Ancona 1891,1, pp. 4 3 8 - 3 9 . 23 Questa lettera, come l'altra di D'Ancona citata piü sotto, e custodita fra le carte di Willard Fiske, presso il Department of Manuscripts and University Archives della Cornell University Library (sotto la segnatura: 13/1/1165).

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Preg. Sig. Quando fui a trovarla, Ella ebbe la gentilezza di farmi vedere un frammento di rappresentazione su Griselda. Parmi ricordare ch'Ella gentilmente me l'offrisse. Ora, ripigliando i miei studi sul teatro antico, per una nuova edizione del mio Origini del teatro, gradirei, s'Ella me lo permettesse, di aver notizia di cotesto frammento, e forse stamparlo. S'Ella do mi concedesse glie ne sarei molto grato, perche sarebbe l'unico esempio di un dramma non prettamente religioso. Frattanto mi dico suo A. D'Ancona

Figura originale e un po' avventurosa di professore e collezionista di libri e manoscritti, quella del Fiske 24 . Nato nel 1831 a Ellisburg, nello stato di New York, aveva studiato in Europa e girato a lungo tra Europa e Stati Uniti, soggiornando anche in Egitto, ora diplomatico a Vienna, ora professore in patria, alia Cornell University di Ithaca. Finche, quasi cinquantenne, aveva sposato la ricca ereditiera Jennie McGraw. Rimasto vedovo l'anno successivo, si trovo a disporre di un capitale che gli consenti di mettere assieme un'importante collezione di libri e manoscritti, specializzata in testi danteschi e petrarcheschi, oltre che nel campo della letteratura islandese. Da Firenze, dove s'era stabilito, inviava elenchi di desiderata a tutti i principali antiquari del vecchio continente: e quel che trovava comprava. Proprio l'ereditä della moglie era stato il motivo di un contrasto con la Cornell University, che a sua volta accampava diritti; l'aveva spuntata Fiske, che s'era assicurato cosi una fortuna, ma era stato costretto ad abbandonare la cattedra. Tuttavia fu alia Cornell che alia sua morte, nel 1904, egli lascio la sua collezione, nonostante il governo italiano cercasse d'indurlo a destinarla a Firenze, nominandolo cavaliere e promettendogli il titolo di conte: promessa che pero non impedi che i libri venissero trasferiti in America, dove attualmente son custoditi, presso la Olin Library della Cornell University. Alessandro D'Ancona aveva avuto modo di vedere quei tesori probabilmente fra il 1886 ed il 1887. Giä nel 1885 aveva progettato una visita a villa Fiorini, la dimora fiorentina del Fiske, ma non aveva potuto attuare il progetto, e la vigilia di Natale di quell'anno gli aveva scritto: «In ogni caso spero di poter giungere altra volta in tempo, prima che si effettui la eventualita del trasporto della raccolta sotto altro cielo». Ε difatti poco piü di un anno dopo aveva compiuto quella visita e poteva indirizzare al professore americano la lettera riprodotta qui sopra. II progetto del D'Ancona di pubblicare il testo, pero, non ebbe seguito, ed il manoscritto, assieme a tutto il resto della collezione, varco l'Atlantico. Tuttavia nel catalogo a stampa della raccolta Fiske custodita presso la Cornell University, curato da Mary Fowler ed edito nel 1916, non figura alcuna indicazione di manoscritti teatrali quattrocenteschi sulla Griselda. Era la nostra sacra rappresentazione da ritenersi smarrita? Si sarebbe indotti a ritenere di 24

Su Willard Fiske cfr. White 1925.

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si. Se non che a p. 56 si trova la segnalazione di un manoscritto del XVII secolo contenente una «Dramatic version of Griselda»: una inedita Griselda barocca? Una rapida occhiata a tale manoscritto e pero sufficiente a rivelare invece di cosa si tratta: di un prodotto ben piu antico, risalente al X V secolo; a conferma di cio alia carta 19V si puo leggere appunto l'ottava copiata dal D'Ancona. II manoscritto, segnato «Bd.Petrarch.P.G86+» (cui corrisponde nel catalogo a stampa la segnatura: «Pet+z8»), ha un formato di mm. 295 χ 105, si presenta in una rilegatura moderna, verosimilmente ottocentesca (forse dovuta ad iniziativa dello stesso Fiske?), e consta di un foglio di guardia seguito da died carte moderne non numerate, quindi da carte antiche numerate sul recto da 14 a 31 (ma solo quelle fino a 27V contengono il testo, mentre le altre sono bianche) e da altre tre carte moderne, piu il foglio di guardia. II testo e mutilo dell'inizio, e sulla base del numero delle carte possiamo valutare che la parte mancante dovesse avere estensione grosso modo equivalente a quella superstite. II manoscritto e sprovvisto di colophon. Non ci sono, come si vede, elementi interni che consentano una datazione precisa del manoscritto. Tuttavia puo essere fondata l'ipotesi che esso risalga alia seconda meta del secolo. In questo senso deporrebbe il suo aspetto grafico; mentre sul piano linguistico la presenza di elementi lessicali attestati nei dizionari con esempi non anteriori al secolo X V I potrebbe corroborare tale ipotesi (per esempio: calogna, v. 225, segnalato in Varchi; 'mportanza, v. 411, nel senso di 'ciö che importa', segnalato in autori cinquecenteschi). Gli elementi linguistici forniscono anche degli argomenti per la collocazione in area toscana, e verosimilmente fiorentina. Da segnalare, fra l'altro, accanto all'uso di forme peculiari come i participi suto e suta (rispettivamente vv. 114 e 773, e 189) e all'uso frequente nella prima persona plurale della desinenza verbale -ano per -amo, che e «forma peculiarmente toscana e probabilmente piu propriamente fiorentina»25, elementi del lessico anch'essi tipicamente toscani: per esempio, oltre al giä ricordato 'mportanza, ignuda nata, v. 244 (usato a Firenze fra i secoli XIV e XVII 26 ), nimicare, v. 231, nel senso di 'trattare come un nemico, odiare', ο anche 'avere in spregio' (usato da autori toscani fra i secoli XIV e XVII), ο montare in bica, v. 486 (usato a Firenze dal Pataffio al Firenzuola): voci queste tutte registrate anche nel vocabolario della Crusca, cosi come lo e assapere, in tutti gli esempi addotti dal dizionario di Battaglia retto dal servile fare (fatto assaputo, v. 50; fo assapere, v. 417). Mentre nello stesso dizionario della Crusca non ne figurano altre usate nella sacra rappresentazione, come la toscanissima esclamazione (giä usata nel Decameron, VI, 6,8 e VIII, 9,70) alle guagniele, v. 485; ο minaccio, v. 323, maschile, per 'minaccia' (attestato a Firenze nei secoli X I V - X V I , e 25 26

Rohlfs 1966-69, §530. Le verifiche sul lessico sono state effettuate ricorrendo a Tommaseo-Bellini 1977, Crusca 1863, Battaglia 1961.

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poi in autori fiorentini e non); stranare, v. 501, per 'bistrattare' (anche per esso gli esempi addotti dai dizionari sono toscani); ο garabulla, v. 274, a quanto mi risulta non attestata altrove e da porre in relazione con il fiorentino garabullare, 'perdere il tempo, bighellonare'. Tutte voci, queste ultime, che, non accettate nella codificazione della Crusca, conferiscono al discorso una connotazione bassa, estranea alia piü elevata dimensione di letterarieta consegnata alle pagine del vocabolario. Ε se nel caso di garabulla e in quello di alle guagniele si tratta del discorso diretto di un contadino (di Giannetto, padre di Griselda), nel caso di calogna e messer Giordano, cioe un cortigiano, che parla, ed in quelli di minaccio e di stranare e la stessa Griselda, cioe un personaggio non certo comico, alle cui espressioni verbali non s'intende conferire una connotazione umile all'interno dell'universo discorsivo del testo. Quando vuol perseguire un simile registro l'autore scrive versi come i 1 1 3 - i 14, con la ripetizione del che, che conferisce alia sintassi un andamento bassamente colloquiale, o, nei rimproveri di Giannetto a Griselda (w. 4 8 1 494), usa un lessico umile ο popolaresco (per esempio asinaccia ο montare in su la bica); e lo stesso valga per le parole che la serva Marta rivolge a Griselda nei vv. 697-719, in cui alia situazione ed al lessico bassi si accompagnano anche delle rime sdrucciole («gocciola / arrecheroccela / gavocciola»), tradizionalmente comiche. Una collocazione nella seconda metä del Quattrocento assegnerebbe il nostra testo a un momento in cui la storia di Griselda sembra conoscere in Italia una rinvigorita fortuna: e allora che si diffondono piu ampiamente rifacimenti e riscritture italiane, in volgare come in latino. In latino la breve narrazione di Jacopo Filippo Foresti, inclusa nel suo Supplementum chronicarum e ripresa nel De plurimis claris selectisque mulieribus, stampato a Ferrara nel 1497 27 . In volgare i cantari gia citati, quelli del manoscritto della biblioteca Palatina di Parma e l'altro piu breve intitolato II marchese di Saluzzo e la Griselda, piü volte ristampato, nonche la volgarizzazione del Supplementum del Foresti firmata «Francesco C.» ed edita a Venezia nel 1491. Non sarä casuale che tanto i due cantari quanto la nostra sacra rappresentazione siano di estrazione toscana, e probabilmente fiorentina; ne che fra tali testi siano istituibili raffronti puntuali. Cosi, per esempio, nei vv. 210 e 224 della sacra rappresentazione figurano espressioni («la dota che tu ci recasti», «ignuda e nata») che hanno riscontro in «la dota ch'io n'ho recata» (II,xxxi,2) e in «nuda e nata» (II,xxxi,8) dei cantari parmensi: e questa una confluenza alla cui radice sta evidentemente il dettato decameroniano («quella dota me ne porti che io ci recai», «ignuda») e che non puo certo essere indizio di rapporto diretto fra i due testi. Egualmente in Boccaccio («Ben venga la mia donna») trova origine la coincidenza fra il nostra manoscritto («ben venga la mie diletta sposa», v. 682) e il parmense («Bern venga la mie donna», III,xviii,7). 27

Riprodotto da Jean Tixier de Ravisy nella sua compilazione De memorabilibus et claris mulieribus (Parigi, 1521). 10

Sono momenti 'forti' della narrazione, in cui l'appoggio sul discorso del Decameron risulta particolarmente funzionale. Mentre per la ripresa della coppia di aggettivi «gratiosa» e «benigna», che appaiono accostati dapprima in Boccaccio e poi nel cantare del manoscritto parmense (I,xxxix,2) e in quello a stampa (pp. 18 e 23) e nella sacra rappresentazione (v. 676; ma anche nel v. 556 Griselda viene definita «benigna», oltre che «savia, dabbene e discreta»), deve essere stata decisiva la suggestione, operante giä su Boccaccio, di un celebre luogo dantesco {Inferno, V, 88). Pili significativo forse un altro riscontro nella scena del banchetto: «e subbito l'acqua a le mam fe' dare» nel manoscritto parmense (III,xxii,5), «ch'egli e 'n punto el dar l'acqua a le mani» nella sacra rappresentazione (v. 690). Particolare assente invece in Boccaccio, dove la scena e rapidamente riassunta («furon messe a tavola e cominciate a servire»), e che rientra, assieme all'elenco delle ricche pietanze (rispettivamente III,xxiii e w . 692-696), in un'amplificazione comune ai due testi quattrocenteschi della scena del banchetto, la quale, in un'atmosfera di gotico internazionale e cortese, acquista un rilievo celebrativo, che sancisce pubblicamente l'esito felice del racconto e la reintegrazione di Griselda nella sua posizione sociale. Corrispondentemente questa scena assume un rilievo particolare nelle illustrazioni iconografiche quattrocentesche: piü semplice e meno affollata di personaggi e di cose nelle miniature del manoscritto 5070 della Bibliotheque de l'Arsenal di Parigi (miniato da artisti fiamminghi fra il 1430 ed il 1440) e del codice Palatino Latino 1989 della Biblioteca Vaticana, contenenti la traduzione francese del Decameron, ο nella parte destra della xilografia dell'incunabolo veneziano del 149228; piü ricca di movimento e di personaggi nei dipinti quattrocenteschi di alcuni cassoni nuziali italiani29. Essa e invece assente, a quanto mi risulta (salvo una vignetta dell'incunabolo 1424 della biblioteca Casanatense di Roma), nelle illustrazioni delle diverse edizioni del cantare a stampa, ed un motivo puo esserne ricercato nel fatto che nel testo la scena non viene sviluppata. Nel cantare a stampa figura pero un elemento stilistico che si ripresenta nella nostra sacra rappresentazione: l'uso, magari in una forma adattata alia pronuncia volgare, di espressioni latine entrate nella lingua comune - e per di piu nella sede privilegiata di fine

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29

Le miniature del manoscritto della Bibliotheque de l'Arsenal sono riprodotte in Pognon 1978, le xilografie dell'edizione veneziana in Marti 1974. Mi riferisco in particolare al cassone della pinacoteca Estense di Modena, a quello del Pesellino conservato presso l'Accademia Carrara a Bergamo, a quello della scuola del Signorelli conservato alia National Gallery di Londra, censiti in Schubring 1923 (rispettivamente sotto i numeri 186, 2 6 8 - 2 6 9 , 5 3 6 - 5 3 8 ) ed ivi riprodotti. II cassone Estense e riprodotto anche in Branca 1970; per quello di Bergamo cfr. anche Rossi 1979, pp. 36—37. D a ricordare inoltre la scena affollata del banchetto nuziale nel ciclo di affreschi del castello di Roccabianca, ora trasportati al Castello Sforzesco di Milano, risalenti all'incirca alia seconda meta del secolo X V (cfr. Ragghianti 1949, che ne fissa la data fra il 1458 ed il 1464; ma Arese Simicik 1983 ritiene possibile anche una datazione piü tarda). II

verso: nel cantare a p. 23: «0 di lasciar post morte»; p. 27: «e piü noli me tangere»; nella sacra rappresentazione v. 122: «d'isofatto». Sono, questo e gli altri sin qui elencati, tratti che appariranno tutt'altro che straordinari nell'ambito di quei generi poetici e di quella forma metrica (l'ottava), assai vivi in Toscana. Ma si tratta delle tessere d'un mosaico che, se non bastano a delineare un rapporto preciso fra la nostra sacra rappresentazione e le altre versioni coeve della storia, sono tuttavia sufficienti a segnalarci la sua collocazione aH'interno di un orizzonte culturale, a mostrarci come essa si attenga a modalita di rilettura della storia allora diffuse. Cosi come diffusa era all'epoca l'interpretazione della storia in chiave morale e l'accostamento a figure come quella della Madonna 30 , assai trasparente nel v. 6, dove la stessa protagonista dice: «Quest'e el coltello che mi passa el petto», riecheggiando le parole che nel vangelo di Luca (2,35) Simeone indirizza a Maria al momento della presentazione di Gesü al tempio: «et tuam ipsius animam pertransibit gladius» (e gia nella nostra tradizione volgare quel «gladius» era divenuto un «coltello», in Jacopone, Donna de paradise, vv. 130-131: «Ora sento Ί coltello / che fo profitizzato» 31 )· Ε uno degli echi evangelici che ricorrono nel testo a proposito di Griselda, e che in altri luoghi rimandano alia figura di Cristo. Cosi per due volte nelle sue preghiere a Dio, nel momento piu basso delle sue fortune, Griselda riprende l'invocazione di Cristo crocifisso: vv. 503-504: «Γ mi rimetto, Signor, nelle tuo braccia / e son per fare quello che vuo' ch'i' faccia», e v. 541: «nelle tuo sante braccia i' mi rimetto» (per cui cfr. Luca, 23,46: «Pater, in manus tuas commendo spiritum meum»). Mentre a Giuda potrebbero rinviare, eventualmente in chiave antifrastica, le parole che Gualtieri riferisce a Griselda, vv. 187188: «Meglio sare' no°H'aver ma' veduta / e che nel mondo ela non fussi nata» (per cui cfr. le parole di Cristo a proposito di Giuda in Matteo 26,24 e in Marco 14,21: «bonum erat ei, si non esset natus homo ille»). Questi riscontri con precisi luoghi evangelici indicano come la figura di Griselda potesse accogliere valenze simboliche differenti. Vero e che l'ultima frase citata e posta sulla bocca di Gualtieri e si spiega nella prospettiva di una voluta sottolineatura della drammaticita della situazione; pure dal Petrarca in poi l'insistenza sul valore simbolico delle figure e di tutto il complesso della storia si accentua, e quanto al suo significato morale fondamentale le enunciazioni diventano esplicite, e al tempo stesso molteplici. Se direttamente viene esaltata la pazienza di Griselda (vv. 753 e 779-784), la sua autocritica, allorche tornando a casa rimprovera se stessa per la propria superbia (vv. 321-325), ne fa risaltare invece l'umilta, ribadita piü sotto dalle parole d'un testimone attendibile al di la di ogni dubbio: l'angelo che introduce la seconda giornata della rappresentazione, il quale la definisce «umile mansueta e buona» (v. 348). Ed ai temi 'religiosi' di queste virtu s'intreccia quello 30 31

Cfr. in proposito Deulin 1979, Branca 1970, e anche Morabito 1988/c. Cito da Mancini 1980. 12

profano, ma all'epoca assai vivo e attuale, della fortuna: e sempre la protagonista che lo enuncia (w. 524-525 e 749), traendo ammaestramento dalla propria stessa vicenda. Analogamente nel cantare a stampa si parla dell'umiltä di Griselda (p. 17), della sua pazienza (ivi e p. 32), della sua prudenza (p. 23), della sua costanza (p. 32) e delle sue altre virtu, dalla saviezza all'obbedienza alia continenza alia cortesia (pp. 22 e 34). La problematicitä della novella boccacciana, la sua enigmaticita32, si risolve quindi nell'individuazione delle specifiche virtu di Griselda, spesso con la scelta fra le altre di una che la caratterizza particolarmente. Non di rado sono gli stessi titoli dei rifacimenti della storia che danno esplicite indicazioni: costanza in Sercambi (De muliere constante, 1400 c.), pazienza nel Viaticum Narrationum di Hermannus Bononiensis (Paciencia, X V sec.) ο nel racconto in prosa francese, redazione C {Lapacience de Griselidis, 1491), etc.; ed anche Petrarca appone alia sua versione in latino il titolo De obedientia et fide uxoria. Insomma, quello che nella storia di Boccaccio restava piuttosto taciuto, aflfldato, si direbbe oggi, alia collaborazione interpretativa del lettore (mediata in chiave comica anche dai commenti non di rado salaci del narratore decameroniano di turno, Dioneo), tendeva nelle rielaborazioni successive a venire in piena luce, anche se cio poteva costare un impoverimento del racconto. Tuttavia la storia si offriva a veicolare un ventaglio di significati abbastanza ampio per garantirne una diffusione capillare nel Quattrocento e nei secoli successivi. Ed e opportuno sottolineare come, parallelamente alia possibilitä di associare al racconto significati morali diversi ma chiaramente definiti ovvero di conservarne l'ambiguitä e - per usare un termine moderno - la polisemicitä (le versioni letterariamente alte di un Boccaccio ο di un Petrarca), ed anzi proprio grazie a tale possibilitä, il pubblico Potenziale della storia nelle sue varie versioni fosse ampio e differenziato: dai borghesi istruiti che la copiavano da Boccaccio ο si procuravano, come Romigi, traduzioni in volgare da Petrarca; ai colti umanisti che leggevano direttamente il latino petrarchesco o, come Neri, adottavano la storia quale campo dei loro esperimenti stilistici; al popolo che in piazza poteva assistere alle sacre rappresentazioni ο ascoltare i canterini. Ulteriore motivazione di un successo che si sarebbe prolungato ben oltre i limiti del secolo XV. Spunto iniziale di questo lavoro e stato il proposito di produrre un'edizione dell'inedito frammento di sacra rappresentazione contenuto nel manoscritto della collezione Fiske; ma poi l'intento di fornire un'immagine articolata della circolazione della storia mi ha indotto ad affiancare alia sacra rappresentazione un altro testo inedito (quello di Neri Nerli) ed a riprendere, rivedendola, la vecchia edizione di Bencini del racconto di Romigi. Ho anche ag32

Almansi 1984 include «la novella di Griselda nella versione pre-petrarchesca» fra i «piü celebri testi ambigui della letteratura europea» (p. 118); sull'ambiguitä della novella di Boccaccio ha insistito Savelli 1 9 8 3 - 8 4 ; e cfr. anche Tateo 1988.

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giunto la trascrizione della pagina del Supplementum di Foresti dedicata a Griselda, di cui non mi Consta esistano edizioni moderne (a parte la ristampa anastatica dell'edizione bresciana del 148533). Quanto agli altri testi italiani dell'epoca, facilmente reperibili sono quelli di Sercambi; della Defensione delle donne e dei cantari a stampa esistono edizioni nella collezione della Commissione per i testi di lingua (rispettivamente Zambrini 1876 - ma per la parte relativa a Griselda cfr. anche Zambrini 1875 - e Romagnoli 1967), mentre di quelli di Silvestro, contenuti nel manoscritto Parmense 2509 della biblioteca Palatina di Parma ho curato di recente la pubblicazione (Morabito 1988/ b). Resta inedito invece l'exemplum del Viaticum narrationum di Hermannus Bononiensis, contenuto in un manoscritto della biblioteca reale di Copenaghen. Ringrazio la Biblioteca Moreniana e la Biblioteca Riccardiana di Firenze, il Department of Rare Books e il Department of Manuscripts and University Archives della Cornell University Library, che hanno consentito la riproduzione di materiali di loro proprietä. Ringrazio inoltre Maria Rita Berardi, Maria Luisa Lombardo, Bruno Luiseiii e Pasquale Stoppelli, con i quali ho discusso alcuni aspetti di questo mio lavoro.

33 Foresti 1983.

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Nota al testo1

II manoscritto cartaceo della Olin Library segnato «Bd.Petrarch.P.G86+» viene rapidamente descritto nel citato catalogo a stampa della collezione Fiske curato da Mary Fowler (nel quale e indicato con la vecchia segnatura «Pet+z8»): «[Dramatic version of Griselda.] MS. 17th century, ff. 15-27. 295x105 mm. Lettered: Griselda Dramma». Di fatto queste ultime due parole sono scritte a matita su una delle carte aggiunte nella rilegatura e che precedono il testo da una mano moderna, la quale ha apposto anche l'indicazione del secolo. II manoscritto e evidentemente una copia (come suggeriscono gli errori e le correzioni illustrati piu oltre); perduto, per quanto ne sappiamo, l'antigrafo. Due sono le mani che si possono distinguere: alia prima si deve tutto il testo, alia seconda delle brevi aggiunte posteriori, in questa trascrizione racchiuse tra parentesi acute ( < > ) . II fatto poi che esse mirino soprattutto a chiarire la distribuzione delle battute fra i diversi personaggi in scena puo indurre a pensare che il manoscritto sia stato utilizzato in vista di una messa in scena teatrale. Da notare inoltre che alcune correzioni ( w . 701,704,721) tendono a restituire ai versi la regolare misura endecasillabica; tuttavia la presenza di numerosi versi fuori misura denuncia l'occasionalitä degli interventi (d'altronde la presenza di ipermetri ο ipometri e tutt'altro che insolita nel Quattrocento). Nel manoscritto figurano le seguenti correzioni: - v. 170: furore corretto in furia: evidentemente la prima lezione deriva da un salto dallo stesso alio stesso (cfr. v. 182, il cui secondo emistichio e identico a quello di questo verso); - v. 173: dipriegho trasformato con soprascrizione in tipriegho; - '362: la seconda parola (che e nella prima riga della pagina) e erasa e sopra la riga, nel margine, e aggiunto dalla seconda delle due mani sopra individuate: «Lesandra»; - *6oo: in pigla (= «piglia») la sillaba iniziale e scritta su una grafia precedente (sotto la ρ si distingue una s);

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Nei rimandi al testo i numeri preceduti da asterisco si riferiscono alle didascalie che seguono immediatamente al verso corrispondente.

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-

*66o: la lezione del manoscritto e: «E voggesi allessandro suo figlio edice»; ma allessandro (= «allessandro») e tutto cancellato con un tratto di penna, salvo la a iniziale. In realtä il figlio cui si rivolge Ramondo e Ulivieri (come risulta dal v. 661); l'errore puo essere stato generato dalla vicinanza di "664, ove viene spiegato come Ramondo si rivolga ad un altro suo figlio, appunto di nome Alessandro. - v. 701: ti e aggiunto nell'interlinea fra tu e credi; - v. 703: guardati e aggiunto nell'interlinea (o meglio, trattandosi della prima riga della pagina, nel margine superiore), sopra a un guartj, che perö non e cancellato; - v. 720: ο nel vocativo «0 Marta» e aggiunto nell'interlinea fra uo (= «νο») e Marta.

Nella trascrizione ho cercato di mantenermi per quanto possibile fedele alia grafia del manoscritto. Mi sono attenuto ai seguenti criteri editoriali: - scioglimento delle abbreviazioni; l'abbreviazione per la nasale che precede la ρ e stata resa con η (e non con m) per analogia con i pochi casi di grafia non abbreviata (vv. 372,658,666); - introduzione della punteggiatura conformemente all'uso moderno; - normalizzazione di maiuscole e minuscole secondo l'uso moderno; - distinzione fra u e v, di norma rese nel manoscritto con identico grafema «u»; - trascrizione di i e j come i (nel manoscritto le due grafie si alternano indifferentemente); - aggiunta di i dopo la palatale liquida gl (per esempio in «figluol», v. 399, grafia che ricorre in altri tre casi - vv. 499,657 e *66i - in altemanza con la piu frequente figliuol-) e dopo le palatali occlusive ctg seguite da a, 0 od u (per esempio v. 11 aciö, dalla grafia «aco», e martgiare dalla grafia «mangare»; nel manoscritto figurano anche le grafie con la i: per esempio w . 47 e 48: «facciano», «faccian»); - aggiunta di h finale all'«o» e al «de» interiettivi (rispettivamente w . 360, 715 evv. 119,239,293); - aggiunta della h (nel manoscritto non sempre presente) nelle forme tranche della congiunzione che, nonche nella forma tronca deH'indefinito qualche (v. 723); - riduzione a c e g di ch e gh nei nessi cha, cho, chu, ehr, e gha, gho (nel manoscritto si alternano alle grafie senza h: per esempio, '685, scudieri da schudieri)\ - riduzione a gn del nesso ngn; - trascrizione del nesso qu conformemente all'uso moderno: per esempio cuore da quore (v. 542), cucina da qucina (*6oo; nel manoscritto tale grafia si alterna con cucina, v. 588), scudieri da squdieri (v. 457).

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Ho introdotto inoltre i seguenti emendamenti: - v. 13: bisogna in luogo di bisogno; - v. 31: contenta in luogo di chontento; - v. 78: prego in luogo di progho\ - * 120: balie in luogo di bale·, - v. 187: Meglio sare' in luogo di Fat to sare'; - v. 210: e far questa per ultima in luogo die fa questa per lutima', - v. 237: verginitade in luogo di veginitade; - v. 264: statevi in luogo di fatevi; - '272: alia testa in luogo di alia tesa; - v. 295: pensa in luogo di pensar (grafia, quest'ultima, che si puo spiegare per attrazione esercitata dalla prossimitä di altri infiniti); - v. 301: gio vedi in luogo di guo vedi; - "400: Gualtieri in luogo di Gualtirv, - v. 405: faro in luogo di faro faro; - v. 468: tanto in luogo di tanta (probabilmente prodottosi per la prossimita di altri due tanta, nei w . 466 e 468); - v. 469: pongo in luogo di poncho; - v. 543: a questo in luogo di e quest0; - v. 581: mantenga in luogo di mantega; - v. 613: guarda in luogo di guardo (confortato dal parallelismo con i due guarda con cui iniziano anche i vv. 609 e 611); - v. 652: offeso in luogo di offeo\ - v. 689: lavate in luogo di lavete (richiesto fra l'altro da motivi di rima); - v. 740: fatto in luogo di fattitto; - v. 749: ruota in luogo di ruta. - v. 758: promette in luogo di premette. Tra parentesi quadre nel testo le integrazioni da me proposte. In margine, anch'esse tra parentesi quadre, le indicazioni delle pagine corrispondenti nel manoscritto.

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GRISELDA Sacra rappresentazione del secolo XV

[Griselda:]

[...] che di gran doglia mi sento mancare. Oime, Girfalco, a che m'a' tu richiesta? Oime, marito mio, che vuo' tu fare? Oime, che cosa cruda e disonesta ch'el padre facci e figliuoli amazare! Quest'e el coltello che mi passa el petto! Ε volta a Girfalco dice: Ma non di manco fa quel ch'e' t'a detto. Sol una gratia i' ti vo' adimandare: che doppo morte e' sien sotterati a d o ch'e cani no'lli possin mangiare: e' son pur del suo sangue e di me nati. Girfalco risponde: Non ti bisogna piü per lor pregare, perche sono a morte giudicati. Gratia aver non posson per lor madre. Griselda risponde: Toli e fanne el voler di lor padre. Girfalco piglia e fanciulli sotto el braccio e co I'altro cava fuore un pugnale e vanne signore, e Griselda s'inginochia e dice: Sie benedetto, Giesü, la tuo potenza, sie benedetto la tuo somma bontade! I' so ch'i' son degna di magior sentenza per la superbia mia e crudeltade. Priego, Signore, che mi die patienza in questa e nell'altre aversitade. Egl'e pe' mie' pecati, e chiaro el veggio, che, non che questo, meriterei peggio.

Ora Girfalco giugne co' banbini al signore e dice: Eco, signore, i' son ritornato: eco e figliuo' tua, come tu a' detto. En verita e' mi par gran pecato del pianto che Griselda fa nel letto. Per Dio, ch'i' me ne son maravigliato, che nel suo pianto el'a senpre detto del tutto esser contenta e darsi pace a questo e altre cose, se ti piace.

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30

[14V]

El signore risponde: Vien qua, Girfalco, e fa quanto i' ti dico: truova le balie, e mettera'ti in via co' mie' figliuoli, come i' ti replico, e va 'n Ferara, a pie di Lonbardia, al marchese Ramondo, che m'e amico; dalli e banbini e di da parte mia che faccia tanto quanto i' li dissi l'altrieri, per quella lettera li scrissi.

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Girfalco va e truova la Fiammetta e la Nastasia e dice loro: Vien qua, Fiammetta, e tu, Nastasia: i' ν'ό trovato un po' di buon guadagno: se vo' venite meco in Lonbardia vo' servirete un degno e buon conpagno. La Fiammetta risponde: Questa sara a punto la Ventura mia, e forse sarä me' ch'andare al bagno.

45

La Nastasia dice: Andiamo e non facciano altre parole: se lui ci paga faccian cio che vuole. Ε vanno inanzi al signore e Girfalco dice: Eco le balie, signor, ch'i' 0 trovate; i' faro tanto quanto tu m'a' detto. El signore alle balie: Andate via. Vo' sarete pagate di buona voglia, e cosi vi prometto.

22

50

Una balia dice : Signor, no' ti sian senpre ubrigate e servirenvi con sommo diletto sicome signor degno, alto e felice. El signore risponde loro: Andate e fate quanto Girfalco dice. Ora si parte Girfalco e le balie. Ε ite alquanto una dice : Questa mi pare una lunga via. Dimmi, Girfalco, quanto abiam noi andare? No' sian si strache, per la fede mia, che di posarci mill'anni ci pare. Girfalco dice e mostra lor la terra: In veritä, a non vi dir bugia, vedete la terra, i've la vo' mostrare: a pie del monte, la in quella pianura vedete le porte, le torre e le mura. Ε vanno, e quando sono alia terra Girfalco dice alle balie: Quest'e la terra che si chiama Ferrara, e al signore noi c'apresentereno. Una balia risponde : Questa e cosa che m'e molto cara, perche ispero no' ci posereno. L'altra si e che la cosa si e chiara che e banbini al signor lascereno. Ma fa che prima Girfalco lo prieghi che Ii die a balia che non ce li streghi. Egiunti al signore Girfalco fa reverentia e dipoi dice: Iddio ti salvi, alto signor marchese. A'tte ci manda el mie signor Gualtieri: i' so ch'el voler suo ti fe' palese infin quando ti scrisse vie Faltrieri. Eco qui suo' figliuoli, signor cortese: prego che tu gl'accetti volentieri, e pregoti, signore, strettamente che li die a balia che sie diligente.

El marchese Ramondo allegro risponde: Per mille volte e benvenuti siete; queste son cose a me molto grate. Passate dentro e si vi poserete, che queste balie sono affaticate; e de' banbini i' so che vo' vedrete alquante balie che sono ordinate, e so che le saranno tutte perfette, e non bastando dua ne torro sette. Messe le balie a 'ssedere e Girfalco, el signore chiama Picardo, suo scalco Vien qua, Picardo, el quale i' amo assai perche mi fusti sempre ubbidiente: va alle balie ch'i' ti comandai e dira' loro che sien diligente, e questi banbini allatar lor farai, e sopratutto non manchi niente, e di che primi patti saran questi: che gli stien bene e per danar non resti. Risponde Picardo e dice: Signore, e' sarä fatto el tuo volere: questi banbini i' li faro allevare con molta diligenza, com'e dovere; istä contento e no ne dubitare.

85

90 [i5v]

95

100

El signore risponde : Γ son contento e me lo par vedere. Γ non te Ii vo' piü racomandare, ch'i' so che tu se' pratico e discreto. Picardo risponde: I' lo faro, signore, e fie segreto. Ε detto questo, Picardo piglia e banbini e portali alia suo donna e dice: Diletta sposa e cara mie mogliera, questi banbini mandati al signore, che lieli mando un suo amico ier sera, ch'i' li faccia allevare a grande onore egli m'a posta questa soma intera, ed io ne priego te, pel suo amore,

24

105

no

che questo peso d'adosso mi lievi, che Ii die a balie ch'ameduo li allievi. La moglie di Picardo sorridendo dice: Ιο ό paura che questi banbini che non ci sie suto qualche inganno, e credo, Picardo, fra questi vicini in ogni modo tu abbia fatto danno. Picardo adirato risponde: Tu se' pur pazza e senpre ma' indovini a qualche male, come le donne fanno. La donna risponde: V mi motteggio: deh, non t'adirare. Picardo le da e banbini e dice: Te sie contenta di farli allevare. La donna piglia e banbini, e Girfalco e le balie piglian licentia dal signore e Girfalco dice: Gratia rendiano a tua magnificenza, avendoci tu fatto tanto onore. No' sian forzati di far dipartenza e ritornarci al nostra signore. El signore da lor licenza e dice: A vostra posta abbiate licenza, e dite a Gualtieri che per suo amore de' suo' figliuoli el governo ν'ό mostro. Girfalco lo ringratia e dice: I' vi ringratio, e siano al piacer vostro. Partito Girfalco e le balie e iti alquanto, Girfalco dice: Dimmi, Fiametta, el vero: che te ne pare si de' banbini e di questo signore? Fiammetta risponde: In veritä e' mi par da lodare, inpero che c'ä fatto un grande onore. Ε de' banbini e' si puo giudicare che ne fa stima e porta loro amore.

Girfalco rafferma e dice: Ε cosi pare a me, per la mie fede, per tutto quanto quel che se ne vede. Edetto questo, vanno via. Εgiunti a Gualtieri, Girfalco dice: Salviti Iddio, alta magnificenza, e 'n ogni cosa ti facci contento. No' fumo di Ramondo alia presenza e fatto abiano el tuo comandamento; ed abian visto per esperienza che t'ama assai ed e molto contento, e de' fanciulli che tu gl'ä' mandati e' ne fe' festa, ed a balia li a dati. El signore allegramente dice: Tu sie, Girfalco, el molto ben tornato, che, per mie fe, i' n'o grande allegrezza; ch'ancor di nuovo i' 0 deliberato provar Griselda di maggior fortezza.

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[i6v] Girfalco, mostrando liel'encresca, dice: Guarda, signore, egl'e pur gran pecato e me ne viene al cuor gran tenerezza. El signore dice: Ιο ό disposto ancora in altro modo di fame pruova, ch'i' Ι'ό posto in sodo. Va per Griselda e di da parte mia, Girfalco, ch'ella debba a me venire, e parla alquanto un po' con villania che tu'lla faccia tutta sbigottire.

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Girfalco risponde: Eco, signore, e cosi fatto sia, come e ragione i' ti voglio ubbidire; ma pur, signore, i' te la racomando. El signore risponde: Va pur per lei e fa cio ch'i' comando. Girfalco va per Griselda, e giunto: Griselda, el tuo signor ti manda a dire che presto venga a'llui d'iso fatto.

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Griselda si turba e dice: Eco, insomma i' lo voglio ubbidire, e 'n questo punto el suo voler sie fatto. Aspetta un poco, i' vo' teco venire: i' vo sino in casa e tornero di fatto. Girfalco risponde: Torna pur presto, come tu a' detto. Griselda risponde: Deh, aspetta un po\ che sie benedetto! Griselda va da 'llato e alza Ii ochi al cielo e dice: Ο vero Iddio, che novella fie questa, che m'a richiesta con tanta furia? Questa no mi pare molto onesta, e se l'e, la mi par con ingiuria. O'Ddie, ti priego che di forza mi vesta e che perdoni a tanta mi' penuria, e se tu mi vuo' dar piu penitentia, prego, Signore, che mi die patientia. Griselda torna a Girfalco e dice: Eco, Girfalco, ch'i' son ritornata: laude ne rendo aH'etterno Signore. Questa richiesta si m'ä spaventata e sempre mai i' penso al peggiore. Girfalco risponde: Γ non so qual cagione si sie stata che lu' ti voglia con tanto furore. Griselda si stringe nelle spalle e dice: Sie quel che vuole, i' voglio ubbidire insino all'ora ch'i' debbo morire. Ε detto questo vanno al signore, e giunti Girfalco dice: Eco Griselda, signor, ch'e venuta subito, come i' li fe' la 'nbasciata. El signore turbato dice: Meglio sare' no'll'aver ma' veduta e che nel mondo ela non fussi nata.

Griselda lagrimando dice: S'i' son cagione de' vostri danni suta, e' me ne duole e sonne adolarata. El signore la minaccia e dice: Le lagrimuzze senpre ti fan giuoco, ma a questo tratto le ti gioveran poco Vedi, Griselda, i' 0 deliberato che tu ti torni a casa di Giannetto, ch'i' vo a pericol di perder lo stato. Tu sai, che altre volte i' te Γό detto, quando ti tolsi, credo, ero inpazato, che l'ora e Ί punto ne sie maladetto! Vatti con Dio, e sol questo ti basti, con quella dota che tu ci recasti. Griselda sanza turbarsi risponde. Signore, i' son parata al tuo volere e sol mi basta che tu sie contento: a me e di gratia di farti piacere. Ma gl'e ben vero ch'i' non mi ramento averti dato ne dota, ne avere, ne veruna cosa in pagamento; pero ti priego, signor, quant'i' posso che qualche panno tu mi lasci indosso El signore risponde: Ch'i' ti die nulla non ne ragionare, se non la dota che tu ci recasti. Spogliati presto, non ti far pregare e far questa per ultima ti basti. Griseldafaccendo cenni col capo e braccia, e dipoi si spoglia e dice: Ο signor mio, i' ti voglio pregare, per quell'amor, se ma' me ne portasti, e' non far la tuo voglia tanta cruda che tu consenta ch'i' ne vadia ignuda. Ε detto questo, si spoglia afatto e vogesi al signore e piatosamente dice: Eco, signore, i' mi sono spogliata e sol questa camicia si mi resta; 28

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pregoti ch'i' ti sie racomandata, ch'en cortesia tu mi doni questa.

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El signore adirato risponde: E' mi par propio che tu sie inpazata, inpronta, scelerata e disonesta! Griselda humile risponde: Non t'adirare, signore: i' son parata, po' che ti piace, andarne ignuda nata. Messer Giordano riprende el signore e dice: Non far, signore, che ti sare' vergogna: lasciale la camicia ch'el'ä indosso. Sappi che tutto el popol ti calogna, ch'a tanta crudeltä tu ti sie mosso. El signore, volto a messer Giordano, dice: Non pregar piü per le', che non bisogna. Tu sai pur certo ched io non posso, po' che fortuna tanto mi nimica. Spogliati ignuda, e chi vuol dir dica. Griselda risponde: I' ti priego, signore, in caritade, per que' figliuoli che di me ingenerasti, e per l'onor della tuo maestade, e se ma' gratia ignuna mi donasti, e ancor per la mie verginitade ch'i' t'arecai, e tu la consumasti, per tutte queste cose, deh, sie contento darmi questa camicia in pagamento.

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El signore risponde: I' vego che l'inpronto vince l'avaro e che chi non chiede anche non aquista. L'esser tu inpronta mi costerä caro. Tra'ti cotesta e to'ne una piü trista. Griselda dice: A me sol basta aver tanto riparo che la mie carne ignuda non sie vista.

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El signore la licentia e dice: Tu m'a' di gratia una camicia chiesta: vatti con Dio e portane cotesta. Griselda lo ringratia e dice: I' ti ringratio, marito e signore, che m'a' usato tanta benignita. Ε s'i' avessi fatto ignuno errore, ο 'η nessun modo offeso la citta, chiego perdono, dal maggiore al minore, e tutti quanti priego in caritä che voi perdoniate al mie signore, che fe' quando mi tolse tanto errore. Ε se nel tempo ch'i' ci sono stata avessi fatto ignuna maggioranza per quale avessi persona ingiuriata, a tutti quanti i' chiego perdonanza.

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El signore la rilicentia e dice: Orsu, Griselda, tu'sse licentiata: non piü parole, le sono abastanza. Griselda lifa reverentia e risponde: Γ l'o ben caro, dolce signor mio. Restate in pace e statevi con Dio. Εpartesi, e ita alquanto s'inginochia e dice: Gratia ti rendo, ο grolioso Iddio, e benedetto sie la tuo potenza. I' so ben che tu sai el bisogno mio e che d'ogni cosa ä' provedienza; e so che peggio ancor meritav'io, e piü fatiche e magior penitenza; e se cosi di me, signor, ti piace, donami gratia i' lo sopporti in pace. Ε detta l'oratione, si rizza e vasene a casa. Ε quando Giannetto la vede sipone la mono alia testa e dice: Griselda mia, ο che vorrä dir questo, che tu ritorni cosi garabulla? Questo mi pare un caso disonesto, che tu torni in camicia e sanza nulla.

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Griselda risponde: Ο padre mio, i' ti fo manifesto ch'al mondo non fu mai altra fanciulla che mai avessi pari al mie dolore. Pur d'ogni cosa laudato sie il Signore.

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Giannetto la conforta e dice: Sta cheta, Griselda, i' non vo' che tu pianga, ch'egl'e gran pezzo che io t'aspettava, e positi i tuo' panni in su la stanga, che insino allora i' melo 'ndovinava; e fu' per pigliare un manico di vanga e mazzicagli, ma i' dubitava di quel signore, ch'e si iniquo e fello, che non mi caricassi d'un balzello. Vedi, Griselda: i' vo' che tu mi dica la verita, e non me la negare, po' che fortuna t'e tanto nimica che possa l'aria e Ί cielo spricolare.

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Griselda risponde: Deh, padre, non ti dar tanta fatica, e non voler piii tanto ricercare, e pensa solo che tutto el mie dolore sia al piacere e volere del Signore.

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Giannetto si lamenta, dice: Oh povero Giannetto sventurato, che ben fortuna mi s'e contro volta! Ε lei e Ί ciel d'aqua v'änno rovinato tanto ch'i' 0 perduta la ricolta; e giuovedi, ch'i' ero ito al mercato, dal rettore la bestia mi fu tolta, e bisognommi pagare el catasto, e ora questa mi raconcia el basto.

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Ε voltasi a Griselda e dice:

E' ti bisogna, Griselda, sgranchiare ed esercitarti e fare e fatti tuoi, cacciarti alia fatica e lavorare e guadagnar del pane, se tu ne vuoi. Va mangia un po', se tu vuo' manicare, e po' farai un fascio d'erba a' buoi.

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Griselda risponde: Cosi faro, ο dolce padre mio, e d'ogni cosa laudato ne sie Iddio. Giannetto risponde: Griselda mie, che Die ti benedica! Vestiti prima, e po' va a manicare, e, non aver per male ch'i' telo dica, to' quello stame e comincia a filare, che al mondo sian nati per durar fatica; ed io andro nel campo a'llavorare, e tu leva e rassetta quelle vasa e l'altra ciarperella ch'e per casa. Ε detto questo, Giannetto to' la zappa e va via; e Griselda to' e panni di su la stanga e se stessa riprende e dice: Orsu, Griselda, ritogli i tuo' stracci, che si superba eri diventata che non temevi d'Iddio e minacci, sconoscente, ignorante ed ingrata. Ε il diavolo m'ave teso tanti lacci che certamente i' morivo dannata. I' riputo da'Ddio che questo sia sol per salute dell'anima mia. Griselda, rivestita, ancor dice: Ove son ora e richi vestimenti che'ttante volte mi mettevo el giorno? Ove son ora e diamanti e pendenti che tanti avevo e al collo e d'intorno? Ingrata, tu non meriti altrimenti! Eco qui le delitie a ch'i' ritorno pe' mie' pecati; e piace al Signore ch'i' mangi el pane del mie propio sudore. Griselda to' la roca collo stame e ponsi a sedere e flla, e 'n questo I'angiolo licenzia la prima giornata: Popol diletto adunato al presente, prendete esemplo della festa nostra, come Griselda e stata patiente; vedete quant'umilta ela si mostra; e se mancassi del mestier niente facciano scusa alia carita vostra, e faccian fine e andate in pace e tornate domane, se vi piace.

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La siconda giornata l'agnolo annunzia e dice: El vero Iddio, ch'e somma providenza, e chi lo serve mai non abandona, a fatto di Griselda isperienza: truovala umile, mansueta e buona. Oggi si le rivoca la sentenzia e falla contenta sopra ogni persona: pe' giusti prieghi che di lei intende el suo marito e suo' figliuo' Ii rende. Volse Gualtieri ancor un'altra volta provar Griselda, e falla a'sse venire, e disse ch'un'altra donna aveva tolta e colle stiave la tenne a servire. Ε come pazza, scimunita e stolta ognun la batte e voleva schernire. Griselda sta senpre umile e gratiosa. Oh, state attenti e vedrete ogni cosa. Ora Lultiana.figliuola di Gualtieri e di Griselda, si vogge alle sua conpagrte e dice: Orsu, Alesandra, e cosi tu, Dimitilla, cantiano una canzona a rigoletto; orsü, e la dira qui la Camilla. Una si vogge alia Camilla e dice : Or dilla, su, po' ch'ella te l'a detto. La Camilla si scusa e dice: Tu m'ä straca. Se'ttu vuo' dir, dilla. Sa ch'i' son fioca e anche non ό petto. Un 'altra alia Camilla :

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Picardo risponde: Γ lo faro, signor, non dubitare, e d'ogni cosa tu vedra' l'effetto. El signore risponde : I' ne son certo. Va presto per loro, che tu ancor n'ara' buon ristoro. Picardo va a Lutiana, e giunto dice Tu sie la ben trovata, Lultiana. Vieni al signor, che te lo manda a dire; istä su presto, non esser villana.

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Lutiana si leva su presto e dice: Eco, i' son mossa, i' vo' ben venire. Picardo si vogge α Ulivieri e dice: Ε tu, Ulivieri, pigliala per la mano; vieni, a tuo padre e' si vuole ubbidire. Ulivieri la piglia per mano e dice: Eme di gratia d'ubbidir mie padre: orsu, andian da suo virtü leggiadre.

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Ε, presiper la mano, vanno inanzi a Ramondo, e giunti Picardo dice: Questa si e Lutiana, al tuo piacere: guarda, signor, s'i' l'o bene allevata. El signore risponde : In veritä che tu ä' fatto il dovere; ell'e gia una donna diventata. Ε accenna Lutiana e segue: Passa qua inanzi e ponti a'ssedere. Quando fie tempo i' t'aro maritata. Eaccena Ulivieri e segue: Ε tu Ulivieri, figliuol mie caro e bello, siedi qui d'Alessandro, tuo fratello. Εposti a 'ssedere, Gualtieri chiama Arichetto corriere e dali un brieve e dice: Vien qua Arrighetto, fedel servidore: te' questo brieve, e mettera'ti in via. Vanne in Ferrara dinanzi al signore e dalli questo qui da parte mia. Arrighetto piglia el brieve e dice: Γ lo faro, signore, e con amore: non dubitate di cosa che'ssia. Gualtieri dice: Ε dilli come fedele e buono amico facci con fede quanto per questo dico. Arrighetto si parte, e giunto dice: Die ti salvi, signore, e facci lieto. Te' questo brieve che mi da Gualtieri, e la 'mportanza e' ti scrive in segreto. Pregoti tu'llo facci volentieri. El signore piglia el brieve e dice : Tu'ssia el benvenuto. Tu'sse discreto come de' esser ciascun messaggieri. Enteso ch'i' aro la suo proposta farolli, bisognando, la risposta. Gualtieri si vogge a' cittadini e dice: Diletti cittadini, i' vi fo assapere

che s'i' fe' male pel tempo passato a'ttor Griselda, e fe' contro al dovere e anche fe' vergogna al vostro stato, sappiate ch'ora al vostro piacere di ristorarvi i' son deliberato. Colla dispensa i' η'ό un'altra tolta, e non ό fatto come l'altra volta: questa e bella ed e di grande stato, figliuola ell'e del duca di Ferrara. Messer Giordano risponde: Se tu I'd' tolta, Iddie ne sie lodato. Sendo tuo donna, no' l'abiam ben cara. Ma sappi tu a' fatto un gran pecato, se'ttu ben pensi colla mente chiara: tu cacciasti Griselda sanza cagione: guarda che Dio no'lli faccia ragione. Gualtieri dice: Faccine Iddio tutto el suo volere, che hi' sa bene la mie intentione. Γ Po pur tolta e chiegovi un piacere, ma prima questa, ch'e di conditione: ch'andiate per lei, com'e dovere, con ogni sforzo e con riputatione. Messer Giordano risponde: Ciascun di noi sie mosso e parato, ma sopra di te ne resti ogni pecato. Ora messer Giordano si vogge a' baroni e dice: Presto, baroni: vo' avete inteso nostro signore: e' si vuole ubbidire. Messer Anno dice: Ιο ό gia per me il partito preso: andian per lei, ch'i' vo' ben venire. Un altro barone : Ε ancor io no ne sto sospeso, ch'al voler vostro i' voglio aconsentire. Messer Giordano a tutti: Qui non conviene che nessun si vanti; presto e d'acordo partiam tutti quanti. 36

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Ora sipartono, e giunti a Ramondo messer Giordano dice: L'alto Iddio, signor, ti salvi e mantenga. Gualtier ci manda per la tuo figliuola, che vuol che a marito oggi ne venga. Qui non bisogna dirti altra parola. Ramondo risponde: Se non vuole che 'η casa piu la tenga, ecola qui, che pare una vivuola. Ora ο qui a un mese non mi costa; ell'e suo donna: menila a suo posta. Ε voggesi alii scudieri e dice: Presto, scudieri, in un tratto ordinate un bei convito e fate da godere buone vivande e le mense parate come solete e fate el dovere.

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Picardo risponde: L'ordine e fatto: le man vi lavate e a vostra posta andate a'ssedere. Ramondo acenna e baroni e dice: Orsu, baroni, qua fatevi avanti e ponetevi a'sseder tutti quanti. Ramondo e Lutiana e messer Giordano e tutti e baroni sipongono a 'ssedere, e Gualtieri da 'sse dice: 465 Puo esser mai che tanto patiente istie Griselda a tanta aversitade, e d'ogni cosa ella sie ubbidiente benignamente e con tanta umiltade? Che, quando i' penso bene e pongo mente, ell'e fontana di somma bontade. [22r] 470 Ancor d'un'altra cosa la vo' provare e po' la vo' del tutto ristorare. Torna Gualtieri in sedia e chiama Falchetto scudiere e diceli che vadia per Griselda: Sta su, Falchetto, e presto sara' andato insino a Griselda, e falla a me venire, che 'η questo punto i' 0 deliberato ch'a queste nozze ella venga a servire.

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Falchettofa riverenza al signore e dice: Eco, signore, i' son mosso e parato al piacer tuo di volerti ubbidire: non dubitare, che io ti prometto falla venire dinanzi al tuo conspetto. Falehetto va via. En opra Giannetto dice villania a Griselda e riprendela: Tu sa\ Griselda, i' t'o piu volte detto che no' siam nati per durar fatica. E' par che tu mi faccia per dispetto che tu non vuoi far cosa ch'i' ti dica: alle guagniel, Griselda, ti prometto, se'ttu mi fa' montare in su la bica, i' caccero le mani a un bastone e farotti mutare d'opinione. Griselda risponde e dice: Che volete voi, padre, ch'i' faccia, che di ne notte non piglio ma' posa?

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Giannetto gridando dice: El mal che Iddio ti dia, asinaccia, che mi rispondi cosi rigogliosa, che tu non vuoi della fatica ch'accia, infigarda, poltrona e dolorosa! Griselda risponde: Vo' avete il torto, e lo sa bene Iddio.

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Giannetto dice: E'ttu se' cagione di tutto el mal mio. Giannetto si parte, e Griselda s'inginochia e quasi piangendo dice: Ο vero Iddio, deh, non m'abandonare: ascolta un poco questa sconsolata! Io mi viddi de' figliuoli privare e dal marito poi esser cacciata. Ora mi vego dal padre stranare e son da tutto el mondo abandonata. Γ mi rimetto, Signor, nelle tuo braccia e son per fare quello che vuo' ch'i' faccia.

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In questo Falchetto giugne di dreto a Griselda, e sentendolo si cuote e rizasi, e Falchetto li dice: Die ti salvi, Griselda, e dieti aiuto, en tutti e tuo' bisogni ti sovenghi. Gualtier signore m'ä fatto assaputo che da suo parte presto a'llu' venghi. Griselda allegra risponde: Ε per suo parte tu sie el benvenuto, ch'el vero Iddio lo salvi e mantenghi. E' sommi mossa giä alle tuo parole; ma dimmi, se tu sa\ quel ch'e' si vuole. Falchetto risponde e dice: Tu m'ä' tanto pregato a questa volta ch'i' ti vo' dir perche tu se' richiesta. Sappi Gualtieri un'altra donna ä tolta di gentil sangue e d'una nobil gesta; questa allegrezza so che non t'e molta. En punto a messo una gentil festa, e'lla cagione che ti fa a'llu venire e perche e' vuole che tu venga a servire Griselda si mostra allegra e dice: In verita che io l'o molto caro, e'Ddio lo sa se io l'o per male, pero ch'i' vego e conosco chiaro contro a fortuna niente non vale, e quel che vuole Iddio non v'e riparo. Chi viva al mondo quando scende e sale. Se piace a'Ddio e piace a Gualtieri, i' son contenta piii che volentieri. Falchetto risponde: Orsu, Griselda, e' non e da badare; piglia partito se tu vuo' venire.

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Griselda risponde: Deh, non t'incresca un poco l'aspettare: i' vo sino in casa: deh, non ti partire. Falchetto risponde: Va, torna presto, i' te ne vo' pregare, perche si vuole con prestezza ubidire. 39

Griselda risponde: Deh, sie contento e un poco m'aspetta. Falchetto risponde: Va, torna presto, che sie benedetta! Griselda va nella capanna e si s'inginochia e dice Ο vero Iddio, Signor giusto e perfetto, a questo tratto, deh, porgimi aiuto, ch'i' mi sento tremare el cor nel petto per questo messaggier ch'e qui venuto. Nelle tuo sante braccia i' mi rimetto con tutto el cuore, si come e dovuto; a questo tratto mi manda conpagnia come mandasti al figliuol di Tubia. Faita I'oratione, torna dove era Falchetto, e giunta dice: Eco, Falchetto, ch'i' son ritornata; or andian via, a laude del Signore: perdon ti chiego s'i' son troppo stata, perch'i' conosco aver fatto errore. Falchetto risponde: A me incresce che sie si sventurata ch'or rinuovi si fatto dolore. I' ti priego che tu sopporti in pace. Griselda risponde: Cosi contenta son, po' che a'Ddie piace. Εpartonsi, e giunti a Gualtieri Falchetto dice: Eco, signor, Griselda, ch'e venuta com'una pecorella mansueta. Ε molt'umiltä i'llei ό veduta, benigna, savia, dabbene e discreta. Dell'altra donna la novella ä saputa; mostrasi allegra ed esserne lieta. El signore risponde: I' l'o ben caro. Falla a me venire, che tutto el voler mio i' le vo' dire.

Griselda viene inanzi a Gualtieri, e giunta dice: Quel vero, etterno e grolioso Iddio, da cu' precede ogni virtu infinita, si ti salvi e mantenga, signor mio, in grande stato e in trionfal vita. I' fu' richiesto ch'i' venissi, et io dinanzi a'tte, signor, son conparita, e son parata a ogni tuo volere per ubidirti, sicome e dovere. El signore risponde e dice: Sappi, Griselda, ch'i' 0 per te mandata prima per dirti come da me se' sciolta; per una bolla ch'o dal papa cavata i' con licentia un'altra donna 0 tolta, si che da'mme tu se' or licentiata. Tutta la corte mi s'era rivolta, si che, Griselda, abbi patienza, po' che fortuna cosi ti sentenza. Griselda allegra risponde: Questa mi pare una buona novella en veritä, ch'i' n'o grande allegrezza, masimamente s'el'e giovane e bella e piena di virtu con gentilezza. Che Iddie vi mantenga gran tenpo con ella en grande stato e 'n somma richezza, con tutti Ii altri beni che Iddie vi mostra, che sien salute della cittä vostra. El signore li dice: Vedi, Griselda, i' ti voglio pregare ch'a queste nozze tu c'aiuti un poco tutte le sale e le mense parare, e in cucina ancora aiuti al cuoco, le camere e le letta rassettare, e ciö che bisognassi in ogni loco, e da tu' parte i' vo' ch'el bando mandi e alle serve e alle stiave comandi.

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Griselda monstrandosi lieta dice: Signore, i' faro tutto el tuo volere, com'e ragion, ch'i' ne sono ubrigata:

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mentre ch'i' vivo, e cosi e dovere, senpre al servirti i' saro aparechiata.

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El signore le da le chiave e dice: Tien qui le chiave di tutto el mie avere: abbi la casa a tuo modo guidata, e fa con diligentia e con amore. Griselda risponde: Cosi sie fatto, caro mie signore. Griselda piglia le chiave e va verso cucina, e ita alquanto s'inginochia e dice: Laudato ne sie tu, Giesü beato, e la tuo madre, Vergine Maria! Questo m'aviene per qualche pecato ch'i' ό commesso, 0 qualcun de' mia, ο padre ο madre ο qualche mie passato. Ma d'ogni cosa a'Ddio laude ne sia: ο imenso Iddio, ο somma sapienza, per tuo pieta donami patienza. Un servo si leva su e dice al signore: Guarda, signore, che Iddie non s'adiri: tu strati tanto questa poveretta; guarda che 1'arco tanto no'llo tiri che tu lo spezzi e po' no'llo commetta; guarda ch'e pianti di Griselda e' sospiri dinanzi a'Ddio non gridin vendetta. El signore risponde: Γ ό deliberato e posto in sodo a questa volta di fare a mie modo.

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Ora Griselda va da' servi e dice: Vo' siate e ben trovati, servidori. Dice el signor ch'i' vi venga aiutare. La Marta stiava risponde: Non aspettare qua che nessun t'onori, ne di volere a nessun comandare. Griselda risponde: I' vo' che tutti quanti siate mie' maggiori, e piu che voi i' mi vo' affaticare. 42

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La Maria risponde: Tu non se' degna giä d'avere onore, che tu non se' piü sposa del signore. La Maria dice all'altre serve: Coste' si soleva esser la padrona, or come noi tornat'e fantesca, e magra e smunta si e la suo persona; credo del bosco sol per la fame esca. Griselda umile dice: Lasciatemi stare nella mie fortuna. Non sie di voi a chi di me gl'incresca, che s'i' fo del signore el comandamento di tutto el mondo el mie cor e contento. Ora messer Giordano chiede licenzia al marchese Ramondo e dice: No' ringratian la tuo magnificenza che'ttu c'a' fatto cosi grand'onore, e prego che tu abbi patienza di Lutiana, e non ti dar dolore, e sie contento di darci licenza che no' ci ritorniano al nostro signore. Ramondo risponde: A vostra posta mettetevi in via, a laude e grolia del fil di Maria. Segue Ramondo e vogesi α Lutiana: Ε tu, figliuola mia, stammi a udire: fa che a Gualtieri tu sia ubidiente, di cosa alcuna no'lli contradire, e sta contenta, umile e patiente. Un'altra cosa ancor ti vo' dire, la qual ti prego che tu tenga a mente: la terza cosa che ti comand'io, benche la prima, che ami e tema Iddio. Lutiana risponde e dice: Ο riverente padre, i' aggio inteso el vostro degno e buono amunimento; e se mai i' t'avessi, padre, offeso, i' si'tti prego che tu sie contento, come di te merze el cor m'ä 'cceso, tanto mi piace el tuo comandamento,

che mi perdoni e con tuo devotione mi die la paterna tuo beneditione. Ramondo la benedice e dice: Sta su, figliuola, che sie benedetta. L'agnol del ciel ti facci conpagnia: fa che tu viva santamente e netta, sanza pecato e onesta tuttavia. Ε voggesi a suo figlio e dice: Ε tu, Ulivieri, figliuol mio, ti rassetta, ch'i' vo' che tu'lle facci conpagnia.

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Ulivieri risponde: Padre, i' son mosso e andro volentieri, perch'io ό caro di veder Gualtieri. Ramondo si vogge a 'Llessandro suo figliuolo e dice come in segreto: Sta su, Lessandro, che sa' la 'mportanza, e va co'lloro insieme in conpagnia, che a Gualtieri io ό scritto abastanza che Lutiana per donna e' ti dia. Alessandro mostrandosi lieto risponde: Questa allegrezza tutte l'altre avanza, ch'i' ne morivo di maninconia; che se io ό Lutiana per isposa, padre, i' non chiego al mondo altra cosa. Ora sipartono e vanno via, e giunti dinanzi α Gualtieri messer Giordano dice: Die ti salvi, signor, duca e marchese. No' sian tornati colla sposa novella che par un sole: ecola qui palese, benigna, savia, gratiosa e bella. Ε suo degno padre, signor cortese, e suo figliuoli a mandati con ella, e le parole son che lui ci dette ch'el patto della dota in te rimette. El signore scende di sedia e dice: Vo' siate tutti e molto ben tornati. Ε voggesi α Lutiana e dice: Ε ben venga la mie diletta sposa. 44

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Ε voggesi a tutti e baroni e dice: Ε vo\ baroni, siate tutti pregati di fame festa nobile e famosa, con suoni, balli e canti figurati. Ε voggesi α Ii scudieri e dice: Ε vo\ scudieri, non pigliate posa e mettete in punto una magna cena, e di vivande la mensa sie piena. Eballato e sonato alquanto, Girfalco inanzi al signore dice: A vostra posta le man vi lavate ch'egl'e 'n punto el dar l'aqua a le mani, e le vivande son tutte ordinate: capponi, starne, pagoni e fagiani, becafichi assai e tortole sfoggiate e quaglie e tordi e di molti ortolani e lepre assai e molti salvagiumi e pesci d'Arno e di molti altri fiumi. El signore e'baroni si lavan le mani e vanno a tavola con grande onore. En questo Griselda sollecita la Marta e dice: Su, presto, spacciati Marta, in ora buona, rec'un po' d'aqua, che non ce n'e gocciola. La Marta irata risponde: Sie col malanno, malvagia poltrona! A punto per tuo dire arrecheroccela! Tu ti credi esser forse la padrona, che ti possa venire una gavocciola! Guardati un po', che s'el fummo mi toca con questa mazza ti spezzo la boca. Griselda si ristrigne nelle spalle e dice: I' vego ben che tu debb'esser calda: tu'tti sarai azzuffata col vino. La Marta gridando dice: Tu menti per la gola, porca ribalda, ch'io ό beuto sol questo orciolino, e non farebbe el ciel ch'i' stessi salda, porca figliuola di quel contadino,

stolta, da poca, scimunita e pazza! E' sara buon ch'io open la mazza. Ε valle adosso e cominciale a dare, e Griselda si scusa e dice: Non mi dar, Marta, che se tu mi dai i' ti prometto i' lo diro al signore. La Marta risponde: Oh, i' ti so dire che lu' ti stima assai! Γ vego che ti porta grand'amore! Se'ttu scoppiassi alia barba l'arai, a'ttuo dispetto e onta e disonore. Or va pe'll'aqua; tu non comandare. Griselda si racomanda e dice: Eco ch'i' vo, ο Marta, no'mmi dare.

715

720

Ε posti a tavola, el signore a' servi dice: Su, servi mie': che state vo' a vedere? Presto, su, le vivande qui recate! Ε servi vanno per le vivande. El signore dice a'cantori: Ε vo' cantori, qualch'onesto piacere, versi ternali ο frottole cantate. Un de' cantori risponde : E' sie fatto, signore, el tuo volere. No' abbian certe canzone ordinate ternali ο 'η quarta rima: cantereno e di darti piacere ci sforzereno. Ε cantono e dipoi el signore a chi e a 'ttavola dice Or che finito an costor di cantare e n'o satiato apresso l'apetito, fate Griselda inanzi a me chiamare, che tanto bene ordinato a Ί convito, ch'i' la vo' mille volte ringratiare perche con fedelta m'a ubbidito. Un servo va per lei e dice : Griselda, el signor manda per te.

46

725

[26V]

730

735

Ela risponde al servo: I' vengo.

Poi dice al signore: Che volete vo' da me?

El signore le risponde e dice: Γ t'o fatta chiamar, Griselda, in pruova, prima per ringratiarti del convito da'tte provisto, ch'assai me ne giova del tuo buon ordin fatto e si pulito. Dimm'or qualcosa: della sposa nuova che te ne par? Di'ssu co l'almo ardito.

740

Griselda risponde: I' tel diro, signor: parmene bene, ben ch'i' ti dica quello che non conviene. Signore, alia dimanda tuo rispondo perche tu vuo' ch'i' dica el mie parere. Poch'uomini si truova oggi nel mondo che lor promesse voglino ottenere. Ma 'ntendi ben: la ruota volge a'ttondo: sie contento a costei di non volere far come all'altra, e sappi ben che Dio e nel ciel cosi giusto come pio. Se'll'altra fonte fu di pacienza, fonte tu fusti a'llei di crudeltä. Sappi che Dio non usa po' clemenza a quelli ch'usano a altri inpieta. Iddio, el quale e somma sapienza, ne' suo' santi vangeli promette e da, dicendo: chi fa quello che si conviene ad altri, a'llui daro l'etterno bene.

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El signore risponde: Certo conosco che cotesto e vero, Griselda, che tu di' sanza fallare. I' non vo' piü celarti el mie pensiero: infino a qui voluta t'o provare; e visto el tuo amor puro e sincero, e con che fedeltä m'avuto amare, tal che constretto sono da'Ddio amarti e come cara sposa ripigliarti, render ti voglio e figliuoli e l'anello.

[27r]

765

47

Ε νο' le veste sua qui recherete, e di donne con lei sia un drappello, e di nuovo far festa ordinerete. Ε ringratia Iddio, ch'e suto quello ch'alle tuo pene posto ä oggi quiete; e sopratutto intendi el parlar mio, ch'ogni cosa e voler del magno Iddio Ora le cameriere rivestono Griselda. Ε vestita, s'inginochia e dice al signore: I' ti ringratio, signore e caro sposo, e prego Iddio che ci conservi in vita. La lunga patienza oggi in riposo condotta m'ä e quello Iddio ch'aita. Non e nessuno in si mar tempestoso che non nel cavi la bonta infinita. Dunque vedete che la patienza col tenpo supera ogni gran violenza. Ε ritta e posta a 'ssedere a 'llato al signore, el signore dice: Diletta sposa mia, la tuo constanza m'ä fatto raddoppiare in te l'amore. Non creder, donna, mai che con certanza i' t'avessi cacciata ο di buon core. Griselda risponde: Ο caro sposo mio, la mie ignoranza come donna vivuto 0 con timore, credendo cosi fussi la tuo voglia, e pero stata son con tanta doglia.

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775

780

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790

El signore risponde: Poi che finiti son oggi e tuo' guai debb'essere el cor tuo lieto e contento. Griselda risponde: Con mille lingue dire non potre' mai el gaudio e l'allegrezza ch'oggi sento. Ringratiato sie Iddio, s'i' piansi mai. Oggi e la fine d'ogni mie tormento. Or priego te, dolce marito mio, che 'nsieme rendian laude e gratie a'Ddio. FINIS 48

795

800

Commento

II numero si riferisce al verso; se preceduto da asterisco, alia didascalia che segue immediatamente il verso. 7. Quest 'e... petto: cfr. nel vangelo di Luca, 2,35, la profezia di Simeone alia Madonna, formulata al momento della circoncisione di Gesü: «et tuam ipsam animam pertransibit gladius». 15. per lor madre: 'per considerazione, per rispetto della loro madre'; o w e ro indica l'agente: 'da parte della loro madre'. 16. Toli: prendili. 27. pecato: cosa incresciosa. 34. mettera'ti: ti metterai. 36. a pie di Lonbardia: nella parte bassa della Lombardia. 40. lettera li scrissi: non insolita nella lingua quattrocentesca l'ellissi del che relativo. 46. sard... bagno: 'sara piü piacevole che andare alle terme', che in genere erano luoghi di divertimenti. 58. quanto... andare: 'quanta strada dobbiamo fare'; ellissi della preposizione a ("abbiamo a") per assimilazione da parte dell'altra a- iniziale di andare. *6o. terra: cittä. 69-70. L 'altra... che: l'altra cosa a me cara e che sia evidente il fatto che. 72. che non ce Ii streghi: 'che, essendo una Strega, non li faccia oggetto di qualche incantesimo, di qualche maleficio' (cfr. anche v. 80). 76. vie: rafforza enfaticamente il successivo awerbio temporale (vie I'altrieri si trova anche in Boccaccio, Decameron, VIII,5). 85-86. e de'... ordinate: vedrete diverse balie assunte per prendersi cura dei bambini. *88. scalco: maggiordomo, funzionario della corte. 95. primipatti: clausole fondamentali del nostro accordo. 96. che... resti: 'che i bambini stiano bene, e che non esitino a sostenere per loro tutte le spese necessarie' (perche - si sottintende - ne saranno ricompensate). 101. /' son... vedere: son soddisfatto delle tue rassicurazioni e mi par giä di vedere le mie raccomandazioni messe in pratica. 109. ma... intera: 'ha affidato a me questo incarico' (si noti l'anacoluto).

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1 1 3 - 1 1 4 . Ιο... inganno: altro anacoluto. 1 1 5 - 1 1 6 . fra... danno: insomma, la d o n n a pensa che i due bambini siano il frutto di una scappatella di Picardo con una vicina. 1 1 7 - 1 1 8 . indovini... male: pensi sempre male. 127. elgoverno: il m o d o in cui vengono trattati. 1

35· Per- · fede: in fede mia. 148. provar...fortezza: 'metter di nuovo alia prova Griselda, affinche dimostri una forza ancora maggiore' di quella che ha sin qui dimostrata. "148. liei'encresca: che gliene dispiaccia. 152. I'd... sodo: T h o ben meditato' (riferito al modo di far pruova di Griselda). 158. come e ragione: come e giusto. 162. d'iso fatto: alterazione del latino ipso facto, 'immediatamente'. 166. difatto: subito. 174. perdoni... penuria: abbia pietä delle tante mie pene. 195. vo... stato: rischio di perdere la mia condizione di sovrano. 197. tolsi: presi in moglie. 198. che... maladetto: ripresa antifrastica di una celebre movenza petrarchesca (Canzoniere, LXI, 1 - 2 ) . 212. far... ultima: far questo come ultima cosa, come atto conclusivo del nostro matrimonio. 224. ignuda nata: nuda. 227. calogna: biasima. 231. mi nimica: mi e a w e r s a . 244. trista: misera. 258. maggioranza: soperchieria. 268. d'ogni... provedienza: provvedi a tutto. 274. garabulla: perditempo, fannullona. 283. in su la stanga: nella modesta abitazione di Giannetto, che non dispone di cassapanche, gli indumenti vengono custoditi lasciandoli appoggiati su delle stanghe. 284. che... 'ndovinava: fin da allora io fra me lo prevedevo. 286. mazzicagli: 'mazzicarli, mandarli al macero' (cioe 'macerarli battendoli con una mazza', in questo caso col manico della vanga); m a anche per un'operazione cosi irrilevante dal punto di vista economico temeva che Gualtieri (qui dipinto come un signore esoso) lo obbligasse a pagare un balzello, una tassa. 292. che... spricolare: anche l'aria ed il cielo potrebbero sgomentarsene. 299-300. Ε lei... tanto: la fortuna e il cielo hanno rovesciato tanta pioggia sul mio campo. 302. rettore: magistrate annonario che controllava il mercato. 303. catasto: tassa catastale. 304. mi... basto: espressione ironica da intendere nel senso di 'finisce di conciarmi per le feste'. 50

305. sgranchiare: sgranchirti, darti da fare. 306. fare... tuoi: prowedere tu stessa alle tue necessitä. 307. cacciarti alia fatica: metterti al lavoro. 316. to': prendi. 320. ciarperella: roba da poco, cianfrusaglie. 323. e minacci: 'le minacce' (dal maschile minaccio). 332. d'intorno: indosso. 333. tu... altrimenti: tu non meriti altro. 335-336. piace... sudore: ricorda le parole rivolte da Dio ad Adamo dopo il peccato originale: «In sudore vultus tui vesceris pane» (Genesi, 3,19). 341. se... niente: 'se manca qualcosa di cui c'e bisogno, se c'e qualche manchevolezza'; si sottintenda: 'in questa rappresentazione'. 343. e... pace: verso con doppia dialefe. 362. a rigoletto: adatta ad aceompagnare un rigoletto, una danza in cerchio. 365. straca: forma apocopata di participio da stracare, 'stancare'. 366. ch'i'... petto: sono rauca e mi manca il fiato. 400. d'Alessandro: accanto ad Alessandro. '400. Εposti: evidentemente a questo punto cambia il luogo dell'azione scenica, che si trasferisce da Ferrara alia corte di Gualtieri. 408. per questo: per mezzo di questo brieve. 410. Te': tieni, prendi. 411. la 'mportanza: la cosa piu importante. 423. dispensa: e la dispensa dal vincolo matrimoniale ottenuta dal papa (vedi w . 571-72). 432. faccia ragione: renda giustizia. 436. ma... conditione: ma come prima cosa vi chiedo questo, e ve lo pongo come condizione di un nostro accordo. 438. riputatione: rispetto. 439. parato: pronto. 455. Ora... costa: mandarla ora ο fra un mese per me non fa differenza. 456. a sua posta: a suo piacimento. 468. benignamente... umiltade: forse eco di Dante, Vita nuova, X X V I , sonetto Tanto gentile, 6: «benignamente d'umiltä vestuta». '472. Torna... sedia: Gualtieri ha pronunciato la sua battuta a parte, stando in piedi discosto dagli altri personaggi, e adesso prende posto a sedere in mezzo ai suoi cortigiani. 480. falla: per 'farla', con assimilazione consonantica. '480. En opra: mentre stanno lavorando. 486. se 'ttu... bica: se mi fai arrabbiare. 487. caccerd... a: prendero. 492. rigogliosa: orgogliosa. 493. tu... ch'accia: 'l'unico lavoro che tu vuoi fare e fllare' (cioe un lavoro ben piu leggero di quello dei campi); Yaccia e il 'filo grezzo'. 51

494· dolorosa', scellerata. 501. stranare: maltrattare. 507. m'äfatto assaputo: 'mi ha incaricato di dirti' (propriamente: 'mi ha fatto sapere'). 512. si vuole: diversamente che nel v. 534, qui il si e riflessivo. 516. gesta: prosapia, Stirpe. 517. questa: questa notizia. 526. quando... sale: 'ora scende ed ora sale', cioe e soggetto ai mutamenti della fortuna. 543. a questo trat to: in questa circostanza. 547. s'i'... stata: se ho indugiato troppo. 562. virtii infinita: generica eco dantesca (cfr. espressioni come «Bonta infinita», Purgatorio, III, 122, ο «Valore infinito», Paradiso, XXXIII, 81, per designare Dio). 574. mi... rivolta: s'era rivoltata contro di me. 576. cosi ti sentenza: pronuncia contro di te questa sentenza. 591. ch 'el bando mandi: che tu dia gli ordini. 605. passato: antenato. 607. somma sapienza: eco dantesca: cfr. Inferno, III, 6, «la somma sapienza» (e anche v. 757). 610. strati: maltratti. 612. no'llo commetta: non riesca piu a ripararlo (a riconnettere le parti in cui sara spezzato). 628. del... esca: che sia uscita dal bosco (dove ormai si trovava, una volta tornata dal padre Giannetto) e venuta al palazzo solamente perche spinta dalla fame. 640. fil: figlio. 648. benche la prima: benche sia la piü importante. 652-655. si'tti... perdoni: 'ti prego di volermi perdonare, dato che la tua benevolenza nei miei confronti ha commosso il mio cuore, e tanto il tuo comandamento mi piace' (si riferisce ai precetti di vita impartiteli da Ramondo nell'ottava precedente, vv. 641 -648). 655. devotione: affetto. 665. 'mportanza: vedi v. 411. 679-680. le parole... rimette: il messaggio che ci ha affidato e che si rimette a te per fissare la dote. 685. cantißgurati: canti accompagnati da quadri viventi. 693. sfoggiate: straordinariamente grandi. 694. ortolani: sorta di uccelletti. 702. una gavocciola: un bubbone. 703. sei... toca: semi arrabbio. 711. da poca: inteso come aggettivo declinabile, e quindi con la desinenza del femminile. 712. operi: adoperi.

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717-

barba l'arav. 'dovrai sopportare tutto a tuo danno'; owero in I'arai il pronome si riferisce alle busse che riceve dalla stessa Marta. 724. ternali: in terza rima. 737. in pruova: a ragion veduta. 748. ottenere: mantenere. 753-754. fonte.. .fonte: la parola ha sfumature semantiche differenti nelle due occorrenze: nella prima si riferisce all'esemplaritä di Griselda, che diventa uno stimolo a praticare la virtu della pazienza; nella seconda a Gualtieri come causa diretta delle sofferenze di Griselda. 757. somma sapienza: cfr. v. 607. 782. bontä infinita·. cfr. Dante, Purgatorio, III, 122: «ma la bontä infinita ha si gran braccia» (e anche v. 562). 787. con certanza: con sicurezza, con convinzione.

53

Glossario

II numero si riferisce al verso; se preceduto da asterisco, alia didascalia che segue immediatamente il verso.

Abbreviazioni agg.

aggettivo

pass.

passato

aw.

a w e r b i o , avverbiale

pi.

plurale

cong.

congiunzione

prep.

preposizione

f.

femminile

pron.

pronome

inf.

infinito

intr.

intransitive

rifl. s.

sostantivo

riflessivo

inv.

invariabile

sost.

sostantivato

m.

maschile

tr.

transitivo

part.

participio

v.

verbo

accennare, acennare v. tr., 'rivolgere un cenno' ('396, '398, '462). accia s. f., 'filo grezzo' (493). aconsentire v. intr., 'accondiscendere, obbedire' (446). adimandare v. tr., 'chiedere' (9). almo s. m . , ' a n i m o ' ( 7 4 2 ) . altrimenti a w . , 'diversamente' (333). ameduo pron.,'ambedue'(112). amunimento s. m., 'ammonimento' (650). andare v. intr., andare per, 'andare a chiamare' (153, 160, *i6o, 377, 383, 437, 444, '472, 719, "722, '734); andare a pericolo, vedi pericok). aparechiare v. tr., 'preparare' (596). apiesentarsi v. rifl., 'presentarsi' (66). aquistare v. tr., 'ottenere, guadagnare' (242). assapere v. tr., 'sapere' (417, 507). avanzare v. tr., 'superare' (669). bagno s. m., 'terme' (46). bando s. m., mandare el bando, 'dare gli ordini' (591). barba s. f., avere alia barba, 'dover sopportare a proprio dispetto' (717). basto s. m., vedi raconciare il basto. bica s. f., montare in su la bica, 'adirarsi' (486).

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bisognare v. intr., 'essere necessario' (13,229, 303, 305,416). brieve s. m., 'lettera' ('400,402, ' 4 0 4 , 4 1 0 , 4 1 2 ) . cacciare v. tr., 'scacciare' (431,500,788); cacciare le mani a, 'prendere' (487). cacciarsi v. rifl., 'mettersi' (307). calognare v. tr., 'biasimare' (227). caricare v. tr., 'imporre l'onere' (288). catasto s. m., 'tassa catastale' (303). cavare v. tr., 'estrarre' ('15,782); 'ottenere' (571). certanza s. f., 'certezza, convinzione' (788). chiaro agg., 'lucido, schietto' (430). ciarperella s. f., 'roba da poco, cianfrusaglie' (320). citti s. f., 'cittadinanza, insieme degli abitanti della citta' (252, 584). commettere v. tr., 'ricomporre, riparare' (612). conditione s. f., essere di conditione, 'essere elemento costitutivo di un patto' (436). conpagna s. f., 'arnica' ('360, 372) (vedi anche conpagno). conpagno s. m., 'padrone' (44) (vedi anche conpagna). cortesia s. f., en cortesia, per favore (220). costare v. intr., 'esser gravoso, spiacere' (455). cristiana s. f., 'donna' (373). cnotersi v. rifl., 'riscuotersi, trasalire' ("504). da poca agg., 'inetta' (711). dare v. intr., 'picchiare' ( ' 7 1 2 , 7 1 3 , 7 2 0 ) . deliberaie v. tr., 'decidere' ( 1 4 7 , 1 9 3 , 4 7 5 , 6 1 5 ) ; deliberate, part, pass., 'risoluto' (422). devotione s. f., 'affetto' (655). di prep., 'accanto a' (400). di fatto a w . , 'subito' (166). d'intorno a w . , 'indosso' (332). dipartenza s. f., far dipartenza 'partire' (123). d'iso fatto a w . , 'immediatamente' (162). disonesto agg., 'ingiusto' (5); 'scostumato' (222); 'sconveniente' (275). dispense s. f., 'autorizzazione' (423). doloroso agg., 'scellerato' (494). donna s. f., 'moglie' ('104, 355, 428, 456, 515, 557, 572, 668, 787, 790); 'donna' (118, *n8,'121,396,771). dovere s. m., 'cosa doverosa, dovuta' (99, 395,419,437,460, 568,595). dreto a w . , 'dietro' C504). dubitare v. intr., 'averdubbi, temere' (100,286,381,406,479). durare v. tr., 'sostenere, sopportare' (317,482). effetto s. m., 'risultato' (382). encrescere v. intr., 'increscere, dispiacere' ("147). esercitarsi v. rifl., 'tenersi in esercizio' (306). fallaie v. intr., 'sbagliare' (763). fatica s. f., 'lavoro' (307); 'fatica' (317). fatto vedi di fatto e d'iso fatto.

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fede, fe' s. f., 'fiducia' (408); per la mia fede, 'in fede mia, sinceramente' (135). fello agg., 'spietato' (287). figurata part. pass, di figurare, 'accompagnato da figure' (685). ill s. m.,'figlio'(640). floco agg.,'rauco'(366). fontana s. f., 'modello esemplare' (470). fonte s. f., 'modello esemplare' (753); 'causa' (754). fortune s. f., 'sorte' (629). forzare v. tr.,'obbligare'(i23). frottola s. m., composizione poetica (724). fummo s. m., 'fumo, ira' (703). furia s. f., 'fretta, urgenza' (170) (vedi anche furore). furore s. m., 'fretta, urgenza' (182) (vedi anche furia). garabullo agg., 'perditempo, bighellone' (274). gavocciola s. f., 'bubbone' (702). gesta s. f., 'Stirpe' (516). giudicare v. tr., 'condannare' (14). gratia s. f., 'benevola concessione' (9, 236, 272); 'clemenza, condono' (14); essere di gratia, 'essere cosa gradita' (203, 391); di gratia, 'come grazia, come concessione' (247); rendere gratia, 'ringraziare' (121,265, 800). grillanda s. f., 'ghirlanda' ('367,368). grolia s. f., 'gloria' (640). grolioso agg., 'glorioso' (265,561). guagniel s. m., 'vangeli', alle guagniel, 'per i vangeli' (484). ignudo agg., 'nudo' (216,232,246); ignudo uato, 'tutto nudo' (224). ignuDO agg., 'alcuno' (236,251,258). indovinare v. intr.,'supporre'(117). ingenerare v. tr., 'generare' (234). inpazare v. intr., 'impazzire' (197,221). inpietä s. f., 'empietä', usare inpietä, 'comportarsi in modo empio' (756). inpronto agg., 'sfacciato' (222,243); s. m., 'uomo sfacciato' (241). insomma a w , 'tutto sommato' (163). isperienza s. f., 'prova' (347). licentia s. f., 'permesso, autorizzazione' (572). licentiare v. tr., 'congedare' (573). maggioranza s. f., 'soperchieria' (258). maggiore, magiore s. m., 'persona di condizione ρίύ elevata' (253); agg. (19, 148, 270, 621). manco vedi non di raanco. mandare v. tr., 'inviare' (74, 106, 107, 143, 1 6 1 , 386, 543, 544, 678); v. intr., mandare

per, 'mandare a chiamare' ("376,450, 569,735). manicare v. tr., 'mangiare' (309, 314). mazzicare v. tr., 'macerare' (286). me' a w . , 'meglio' (45).

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menare v. tr., 'condurre, portar via' (456). mente s. f., poire mente, 'riflettere' (469). mentreche cong.,'finche'(595). merze s. f., 'benevolenza' (653). messaggieri s. m./messaggero'(414). mestiere s. m., 'cio che e necessario' (341). minaccio s. m., 'minaccia' (323). minore s. m., 'persona di condizione meno elevata' (253). mostrare v. tr. (*6o, 62, 127, '148, '367, 583); mostrarsi v. rifl., 'mostrare, dimostrare' (340); 'mostrarsi' ("520, 558, *668). motteggiarsi v. rifl.,'scherzare'(119). moversi v. rifl., 'indursi' (228). 'mportanza s. f., 'cosa di importanza preminente' (411,665). nato vedi ignudo nato. nimicare v. intr., 'essere awerso' (231). non di manco cong., 'nondimeno, tuttavia' (8). operare v. tr., 'adoperare' (712). opra s. f., en opra, 'durante il lavoro' ("480). ora s. f., in ora buona, 'alia buon'ora' (697). ordinäre v. tr., 'preparare, organizzare' ( 8 6 , 4 5 7 , 6 9 1 , 7 2 6 , 7 3 2 , 772). online s. m., 'organizzazione, preparativi' (461,740). ottenere v. tr., 'mantenere' (748). pagone s. m., 'pavone' (692). parare v. tr., 'preparare' (459, 588); parato, part, pass., 'pronto' (201, 223, 439, 477, 567). partirsi v. rifl., 'partire' ('56); 'andarsene' (532). partite s. m., pigliar partito, 'decidere' (530). passato s. m., 'antenato' (605). pecato s. m., 'colpa' (23, 335,429,440,603,660); 'fatto spiacevole' (27,149). peggiore s. m., 'peggio, cosa peggiore' (180). pendente s. m., 'ciondolo, orecchino' (331). penuria s. f., 'sofferenza' (174). perdonanza s. f., 'perdono' (260). perdonare v. intr., perdonare a, 'avere pietä di' (174). pericolo s. m., andare a pericolo, 'rischiare' (195). petto s. m.,'fiato'(366). piacere s. m., 'cosa gradita' (203); 'servigio' (435); 'divertimento, diletto' (723, 728); al piacere di, 'secondo la volontä di' (296); al tuo/vostro piacere, 'a tua/vostra disposizione, ai tuoi/vostri ordini' (128, 393,478); al vostro piacere, 'per farvi contenti, per darvi soddisfazione' (421). pie s. m., 'parte bassa, inferiore' (36,63). posa s. f., 'riposo' (490,686). posarsi v. rifl., 'riposare' (60,68, 83). posta s. f., 'piacimento' (125,456,462,639,689). prestezza s. f., 'prontezza, rapiditä' (534).

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proposta s. f., 'discorso, messaggio' (415). provedere v. tr., 'organizzare' (739). provedienza s. f., 'previdenza, capacitä di prevedere' (268). pruova s. f., 'prova' (152); in pruova, 'a ragion veduta, con uno scopo preciso' (737). pulito agg., 'assettato, lindo' (740). panto s. m., 'momento' (164, 198, 475); mettere en punto, 'preparare' (518, 687); esser in punto, 'essere imminente' (690). raconciare v. tr., raconciare il basto, 'rimettere in sesto i propri affari' (304). raffermare v. tr., 'confermare' ("134). regionäre v. intr., 'parlare' (379). ragione s. f., 'cosa dovuta secondo giustizia' (158, 594); fare ragione, 'rendere giustizia' (432)· repücare v. tr., 'ripetere' (35). restate v. intr., 'trattenersi' (96); 'ricadere' (440). rettore s. m., 'magistrate annonario' (302). ricercare v. tr., 'indagare' (294). richiedere v. tr., 'far venire, convocare' (3,170,514); 'chiedere' (565). ricolta s. f., 'raccolto' (300). rigoglioso agg., 'orgoglioso' (492). rigoletto s. m., particolare tipo di danza eseguita girando in cerchio (362). rimettere v. tr., 'affidare' (680); rimettersi v. rifl., 'affidarsi' (503,541). riparo s. m., 'rimedio, difesa' (525). riputatione s. f., 'rispetto' (438). ristorare v. tr., 'risarcire' (422,472). ristoro s. m., 'vantaggio, ricompensa' (384). ritogliere v. tr., 'riprendere, prendere di nuovo' (321). rivocare v. tr., 'revocare' (349). rivolgersi v. rifl., 'ribellarsi' (574). rizarsi, rizzarsi v. rifl., 'alzarsi in piedi' ('272, '504, "784). roca s. f.,'rocca'("336). rovinare v. tr., 'far cadere sopra rovinosamente' (299). saldo agg., 'padrone di se' (709). sahagiume s. m., 'animale selvatico, selvaggina' (695). sbigottire v. tr., 'intimorire' (156). scako s. m., 'maggiordomo, funzionario della corte' (*88, "368). sconoscente agg., 'irriconoscente, ingrato' (324). scusa s. f., fare scusa, 'chiedere scusa' (342). scusarsi v. rifl., 'schermirsi' ("364); 'ripararsi dai colpi' ("712). sedia s. f., 'scranno, trono' ("472, *68o). seguire v. tr., 'proseguire' ('396, "398). sentenza, sentenzia s. f., 'condanna' (18,349). sentenzare v. tr., 'condannare' (576). sfoggiato agg., 'grande e prosperoso' (693). sgranchiare v. intr., 'sgranchirsi' (305). sodo s. m., porre in sodo, 'stabilire, decidere' (152,615). solazzare v. intr., 'sollazzarsi, divertirsi' (372).

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soma s. f., 'incarico, compito gravoso' (109). sospeso agg., 'incerto' (445). spacciarsi v. rifl., 'spicciarsi, afTrettarsi' (697). spricolare v. intr., 'sgomentarsi' (292). stato s. m., 'signoria, dominio' (195); 'condizione sociale' (420,425,564,582). stiava s. f., 'schiava' (356, 592, *6i8). stima s. f., far stima, 'tenere da conto' (134). straco agg., 'stanco' (59); part. pass, di stracare, v. tr., 'stancare' (365). stranare v. tr., 'maltrattare' (501). stratare v. tr., 'maltrattare' (610). strettamente a w . , 'con insistenza, con calore' (79). tenerezza s. f., 'dispiacere' (150). temale agg., 'in terza rima' (724); s. m., 'componimenti poetici in terza rima' (727). terra s. f., 'cittä' (*6o, 62, '64, 65). togliere (torre, tolere) v. trans., 'prendere' (16, 244, '320); 'prendere in moglie' (197, 256,355,419.423,427.515,572)· tortola s. f., 'tortora' (693). trarsi v. rifl., 'levarsi di dosso' (244). tratto s. m., 'circostanza' (192, 538, 543); in un tratto, 'rapidamente' (457). tristo agg., 'misero' (244). ubrigare v. tr., 'obbligare' (53, 594). ultimo agg., per ultima, 'infine, insomma' (212). vergogna s. f., 'cosa vergognosa' (225); 'offesa' (420). vie a w . , rafforzativo di a w . temporale (76). villania s. f., 'scortesia, cosa scortese' (155, "480). villano agg., 'scortese' (387). vivuola s. f., 'viola' (454). vogersi, voggersi v. intr., 'rivolgersi' ('216, '360, '363, '388, '416, "440, "456, "640, *66o, •664, *68i, '682, '685). voglia s. f., 'desiderio' (215); di buona voglia, 'volentieri' (52). volere v. tr., 'esser doveroso, convenire' (390,442); inf. sost., 'volontä' (15). volta s. f., 'circostanza' (616).

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APPENDICE (testi di Romigi dei Ricci, Jacopo Foresti, Neri Nerli)

Nota al testo di Romigi de' Ricci

II testo occupa sette carte del manoscritto Riccardiano 1655 (descritto da Morpurgo 1900, pp. 608-609), che recano nel recto, in alto a sinistra, una numerazione (di mano piü recente di quella che ha copiato il testo) da 59 a 65. Riprendo l'edizione di Bencini 1851, verificando la sua trascrizione sul manoscritto e rivedendo la punteggiatura; in neretto fra parentesi quadre le indicazioni delle carte corrispondenti nel manoscritto. Errori evidenti, giä corretti da Bencini nella sua edizione (si noti fra l'altro la lacuna da lui individuata in 6 iv, dove e caduta una parte della fräse), e incongruenze (anch'esse segnalate da Bencini: per esempio in 62r la stringa «ma i' rigore riceuto nel suo», di problematica interpretazione e correlazione al contesto), denunciano che si tratta di una copia e che non e Romigi l'autore del testo. II fraintendimento piü significativo si riscontra al passaggio fra le cc. 64r e 64V: l'ultima riga della pagina si conclude con le parole «ella divotissimamente disse», seguite da un fregio che occupa il resto del rigo; la pagina successiva inizia con: «Valtero disidero». L'interruzione costituita dal fregio denota come il copista attribuisse a Griselda la battuta, intendendo quel «Valtero» come un vocativo; mentre in realta esso e soggetto della fräse che precede e la battuta, che va attribuita a lui, incomincia con «disidero». Di Bencini recepisco quasi tutti gli emendamenti, ma diversamente da lui conservo i raddoppiamenti fonosintattici e le assimilazioni e dissimilazioni del manoscritto, ed anche le oscillazioni nell'uso di doppie e scempie (per esempio l'alternanza fra forme come vecchiezza e vechiezä). Inoltre, come Bencini: - ho soppresso nei nessi cie e gie la -i- che indica la palatalizzazione; - ho soppresso la -h- nei nessi cha, cho, chu, gha, gho, ghu; - ho trascritto ch la forma tronca della congiunzione che (nel manoscritto si alternano le forme ch e c); - ho ridotto a -gn- il nesso -ngni-; - ho uniformato alle abitudini moderne l'uso di u e v, che nel testo si alternano indifferentemente, cosi come indifferentemente si alternano i ed j, da me trascritte sempre come /; - ho adottato la grafia moderna cuore in luogo di quore\ - ho sciolto in -n- l'abbreviazione per la nasale che precede la -p-.

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II seguente apparato nella prima parte registra le variazioni sostanziali rispetto alia lezione di Bencini (per il concetto di 'sostanziale' cfr. Greg 195051), accolte in accordo col manoscritto; nella seconda le variazioni rispetto alla lezione del manoscritto per cui, viceversa, son stati accettati gli emendamenti di Bencini. I numeri fanno riferimento a pagina e riga dell'edizione Bencini (accompagnata tra parentesi dalla pagina del manoscritto). Precede la lezione da me adottata, segue quella di Bencini ο del manoscritto. testo ] Bencini P· 9. 2 (59r) Veloxo ] Vesulo 9,12 (59r) Framinea ] Flaminia 10.3 (591·) e]e 10,5 (59r) Veloso ] Vesulo 14,26-27 (6ov) preselo] presolo 17,19 (6iv) sudetti ] sudditi 18.10 (61 v) se avere ] che avere 21,30 (62V) consentamento ] consentimento 26.24 (64Γ) essendo ] sentendo 27,1 (64r) appariva ] apparve 28,7 (64V) si fece ] felicie testo ] ms p. 12,1 (59V) rara ] ra 12,22-23 (6or) donna vostra ] donna fosse vostra 13.5 (6or)neaesse]nea'sse 13.6 (6or) di Giannicola aveva ] Giannicola aveva 13.14 (6or) pocherelle ] pechorelle 13.25 (6or) del volgo ] del luogo 14,12 (6ov) desinare ] desididerare 15.11 (6ov) tua presenza ] sua presenza 15.15 (6ov) disusata di tanto ] di tanto disusata di tanto 16,9 (61 r) ignuda ] ingnunda 17.7 (61 r) fervente ] fevente 17,14 (6iv) assente ] equesente 17,17 (6iv) dicesono ] disciesono corretto in diciesosono 17,22 (6iv) sentendola ] sentendola la 18,17-18 (6iv) per parola si mosse che ] per parola si mosse per parola che 21.4 (62r) niuna, niuna ] niuna 21,22 (62V) e'ddi riposo ] o'ddi riposo 22,28 (63Γ) fanciullo ] falciullo 22,28 - 29 (63r) in maraviglia ] si maraviglia 23,3—4 (63r) Ma ben ch'essa fosse amorevole ] nelms ripetuto due volte 23,21 (63r) con una ] chomincia 64

24,ι ι (63V) che'ddi lei ] che'ddi e lei 25,16-17 (63V) giocondissimamente ] giocondissimente 2 6 . 2 ( 6 4 1 · ) piace ] prego 2 6 , 1 2 - 1 3 (641") se ne va ] nelms ripetuto due volte 2 6 , 1 5 ( 6 4 1 : ) venerabile ] verebile 26,19 (64Γ) nata ] tanta 2 6 . 2 3 (64Γ) parte ] pare 27,10 (64V) desinare ] desiderare 2 7 . 2 4 ( 6 4 V ) essendo ] sendo essendo 2 7 , 2 4 ( 6 4 V ) apparecchiare ] apparecchare 28,7 (64V) si fece ] felice 2 9 . 3 ( 6 5 1 · ) Dicendo ] nel ms ripetuto due volte 2 9 , 2 2 ( 6 5 Γ ) molta ] malta 2 9 , 2 7 (651") conceputa ] compiuta con aggiunto nell'interlined cie sulle due lettere mp 2 9 , 2 8 - 2 9 ( 6 5 Γ ) opponesse ] oppesse 2 9 , 2 9 ( 6 5 1 · ) e'llui ] nel ms ripetuto due volte 2 9 , 3 2 ( 6 5 1 · ) lieto ] liesta 30,9 (65V) appostolo ] apposto 30,15 (65V) manifesti ] manifesto 30,18 (65V) il quale ] al quale

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Testo di Romigi dei Ricci

[59rJ Volgare d'una istoria scritta in latino per lo facondissimo novello poeta messer Francesco Petrarca fiorentino. Ε verso l'occidente in Italia un monte chiamato Veloxo, de' gioghi d'Apennino monte altissimo, il quale, colla sua somita soperchiando i nuvoli, se medesimo mette nel puro aere; monte per sua natura nuvoloso, per lo nascimento del Po nobilissimo, il quale del suo lato da piccola fonte passa scorrendo contro all'oriente, e co maravigliosi acrescimenti infiato, corso per brieve spazio, non solamente da' grandissimi fiumi uno e detto, ma da Virgilio e nomato re de' fiumi. Per Liguria colla sua abondanza d'aqua violente passa, e indi in Emilia e Framinea e Vinegia discendendo, alia fine con grandi porti e rami nel mare Adroatico discende. Ma quella parte delle terre della quale prima dissi, la quale e grata pianura con interposti colli, e di molti intornianti monti dilettevole igualmente e gioconda e, e da'ccoloro a' quali e sottoposta chiamata per nome Piemmonte, et alquante cittä e castella nobili a. Intra l'altre cose alia radice del detto monte Veloso e la terra di Saluzo, di borghi e di castella assai spessa, retta sotto l'albitro e signoria de' marchesi di Saluzzo; de' quali marchesi uno e primo di tutti e massimo si crede che fosse chiamato Gualtieri, al quale appartenesse di tutte le terre il governo e della famiglia: e questi per certo fresco huommo e d'etä, ne meno di costumi che di sangue nobile, e in somma da ogni parte huomo notabile, se none che della sua presente sorte contento, era incuriosissimo delle cose future. Quasi come se tutte l'altre cose avesse in nigrigenza, al tutto al cacciare ed all'uccellare era adatto, e quello che in prima i popoli suoi molestamente portavano era ch'egli avesse inn-odio per consigli il matrimonio. Ciö alcuna volta taciti conferirono insieme lungamente; finalmente a brigata andarono. De' quali uno, overo che per autoritä maggior fosse ο di senno over facundia, e magiore col suo duca avesse familiarita, dise: «La tua umanitä, ottimo marchese, questo a'nnoi ardir presta, che e teco ciascuno quanto la cosa i' richide con devota fidanza parliamo, e ora le nascose volontadi e tacite di tutti la mia voce a' tuoi orecchi co riprension parli, non perch'io abbia alcuna cosa singulare a questa materia, se'nnonne che'ttu me intra gli altri a'tte caro per molti indizii confermasti. |59v] Concio sia cosa adunque che degnamente tutte le tue cose piaccino a'nnoi e senpre son piaciute, intanto che ci giudichiamo felici tal signore avere, una cosa e la quale se ci concedi e permetti a'nnoi che da'tte la 'npetriamo, pienamente di tutti i vicini saremo felicissimi; cioe che' 66

ll'animo tuo disponghi al matrimonio, e il tuo collo non libera ma inperioso sottoponghi a'llegittimo gioco: e che questo facci tosto. Volano i di rapidi, e ben che'ssia d'että fiorita, pur continuamente questo fior giovinile nascosamente la vecchieza perseguita, e esa morte ad ogni etä e prossima. A niuno di questo debito e data inmunitä ne franchigia. Igualmente ogni uomo muore; e come questo e'ccerto, cosi e dubbio quando, ove, ο come la morte vegna. Preghianti adunque che'ttu riceva le preghiere di coloro i quali niuno comandamento recuseremmo, ma'llo studio di cercare di moglie lascia a'nnoi. Tale per certo procureremo d'avere per te che'ssia degna d'averti, e di si chiari e nobili genitori nata, che di lei sia d'avere ottima speranza. Libera tutti i tuoi da questa molesta sollecitudine, e di cio ti preghiamo, accio che'sse alcuna cosa a'tte fosse avenisse, sanza successore non ti partissi, e noi sanza desiderato rettore non rimanessimo». Mosono le preghiere l'animo di Gualtieri, e disse: «Amici, costrignete a quello che mai nell'animo no mi venne. Di piena liberta mi dilettava, la quale nel matrimonio e rara. Ma'ssottopongomi alle volontadi di sottoposti a me spontaneamente, e confidandomi ne la prudenzia e fede vostra, quella sollecitudine la quale mi proferete di cercare di moglie vi rimetto, ed essa a' miei umeri e a me medesimo riserbo. Ma che'lla bonta d'uno ο craritä conferisce coll'altro? Ε spesse volte i figliuoli sono disimiglianti da' padri. Quello che'nnell'uomo di bene e non procede d'altrui che da'Ddio. A'llui io, seguitando, alle sorte del mio matrimonio, sperando nella sua usata pietä, ό comesso. Egli troverrä a me quello ch'al mio riposo e salute fia espediente e utile. Adunque quando a voi e piacere moglie meni, cio a voi a buona fe prometto, ne vostro desiderio ingannero ne indugerö. Una cosa voi a me promettete e servate, che qualunque moglie io torro, quella voi con somo onore e reverenzia onoriate, ne'ssia veruno intra voi il quale mai del mio giudicio ο litichi ο si ramarichi. Vostro sia, me libera di tutti coloro i quali mai cognoscessi, avere sottoposto a giogo di matrimonio: [60r] mia sia la elezione d'esso matrimonio. Qualunque moglie mia sarä, quella, come del romano prencipe figliuola fosse, donna vostra sia». Promettono lietamente e d'un animo che niuna cosa delle predette mancherä: e apena niuno credeva potere vedere il di desiderato delle noze. Delle quali noze apparecchiare magnificamente in certo di, il comandamento del comandante signore allegri riceviettono: e cosi si partirono da ragionamento. Ed esso Gualtieri nondimeno quella medesima sollecitudine delle noze a' suoi domestici inpuose, e die loro il di. Fu non di lunge dal suo palagio una villicciuola da pochi e poveri abitatori, uno de' quali piü povero che tutti gli altri, e aveva nome Gianicola. Ma come la grazia celestiale le piccole case de' poveri non dispregia ne a esse porta invidia, ma esse raguarda, il detto Giannicola aveva una figliuola chiamata Griselda, assai bella del corpo, ma di belleza di costumi si speziosa che niuna cosa piu. Questa con tenperato vivere in soma senpre povertä nutricata, niuna delicateza cognoscendo, niuna cosa tenera pensare ο lasciva aveva aparata, ma virile animo e vecchio era nascoso nel suo virginal petto. Ε go67

vernando la vecchieza del padre con amore innistimabile, e pocherelle sue pecore pasceva, e guardandole filava a rocca, e alcuna volta tornando a'ccasa camangeri ed erbette e vivande alia sua poverta convenienti apparecchiava, e il duro letto spianava: ed in somma in piccolo spazio tutto l'uficio e di filiale ubidienza spacciava. In questa virginella overo vermena Gualtieri, spesso passando dalla casa di lei, alcuna volta none con disonesta giovanile ma con gravi senbianti di vecchio con fissi occhi la raguardo, e nella grande virtude sopra il sesso feminio e piu che a l'että sua non si conveniva, la quale virtu nascondea agli ochi del volgo l'oscuritä del vile suo nascimento, con aspro raguardo trapassato aveva; intanto che'll'effetto disponesse ad aver moglie, cioe quella la quale innanzi aveva voluto, e insieme quest'una e niun'altra. Apressavassi il di delle noze, ma d'onde la sposa dovesse venire nullo sapeva, e ciascuno si maravigliava. Egli intanto ed anella d'oro e corone e scheggiali apparecchiava, ma vestimenti preziosi e calzamenti e d'ogn'altre cose necesarie e simiglianti [60v] fanciulla la quale per istatura era simigliante a Griselda faceva apparecchiare. Venuto era l'aspettato di de le nozze, e non udendosi veruna fama della sposa, maraviglia di tutti grandememte era cresciuta: e era giä ora di desinare, e del grande apparecchio tutta la casa romiva. Allora Gualtieri aventatamente, come se volesse andare incontro alia sposa, di casa usci, seguitandolo brigate d'uomini e di donne nobili. Griselda, nulla sappiendo di quelle cose che per lei s'apparecchiavano, fatto in casa quelle cose che v'erano a'ffare, aqua da una fonte da lungi recando nella paterna casa entrava, acio che, spacciata d'altre cose ch'aveva a'ffare, a vedere la sposa del suo signore con fanciulle sue conpagne s'afrettasse. Ε mentre che Gualtieri andasse pensoso, chiamo Griselda per nome e domando dove fosse il padre suo. La quale avendo risposto reverentemente ed umilmente ch'era in casa, disse Gualtieri: «Comanda che venga a me». Vegnendo il vecchierello e preselo per la mano, un poco gliela strinse e sottovoce gli disse: «So, Giannicola, che'ttu m'äi caro, e io t'ho cognosciuto uomo fedele, e penso che'ttu volli tutte quelle cose che mi piacciono. Ma una cosa voglio che sappi nominatamente; se me il quale ai per signore, data a me questa tua figliuola in moglie, per genero vogli». Maravigliato il vecchio per questo fatto innoppinato, quasi diventö lapideo, ed appena finalmente sospirando un poco disse: «Niuna cosa ο voler debbo ο non volere, se none quello ch'a'tte piacer sia, che signor mio sei. Entriamo», disse, «adunque in casa soli, accio ch'io domandi lei di certe cose in tua presenza». Ε veggente il populo e maravigliandosi, trovarono la fanciulla che attendeva e'ss'afaticava intorno all'osequio del padre, e nell'entrata ο vero venuta disusata di tanto forestiere stupida e maravigliata. Alia quale Gualtieri parla in questa forma: «Ed al padre tuo ed a me piace che'ttu sia mia moglie. Credo questo medesimo piaccia a'tte: ma otti a domandare, dove questo fatto si conpia, la qual cosa incontanente sara con volontario animo apparecchiata, che d'ogni cosa mi si convenga di te disporre come mi piacera, intanto che mai di niuna cosa dalla mia volontä tu'tti discordi; e'ccio che'tteco fare vorrö, sanza gniuna ripugnanzia teco

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coll'animo volente a me sia licito». [61r] A queste cose ella rispuose, e tremando per la novitä del fatto come di cosa miracolosa disse: «Signor mio, di tanto onore so me essere indegna; ma'sse la volonta tua e'sse la sorte mia e, niuna cosa io giamai scientemente non ch'io faccia ma eziandio non pensero che contro all'animo tuo sia, ne'ttu alcuna cosa farai, se mi comandassi ch'io morissi, ch'io il porti molestamente». «Assai e», dise egli; e menandola fuori di casa e mostrandola al populo disse: «Questa e mia moglie, questa e vostra donna, questa onorate e questa amate; e se caro avete me, costei carissima abbiate». Dappoi, actio che quinci alcuna cosa delle reliquie della sua vecchia fortuna e povera non recasse nella nuova casa, comando Gualtieri che fosse spogliata ignuda, e dal pie al capo la fece vestire di nuove veste: la qual cosa dalle donne circustanti arogata, e chi meglio recandolasi in braccio e in grembo, fu vergognosamente e tostanamente adenpiuto. Ε cosi la vergine vestita, e Ί suo capo pettinato e fatta la treccia colle mani, e ornatola quanto per allora fare si pote, e ornatola di gemme e di corona, come subitamente trasmisurata il popolo la ricognobbe. La quale Gualtieri con prezioso anello, il quale a questo fine seco aveva portato, sollennemente sposo, e in su 'n uno cavallo bianchissimo la fece conducere al palagio della sua abitazione, acconpagnandola il popolo con grande gaudio. A questo modo furono fatte le nozze, e quel di lietissimo fu finito. Dappoi in brieve tenpo alia povera sposa tanto abondö del divino favore, che nonne in casa di pastore ma in corte inperiale nutricata e amaestrata parea; e apresso tutti piü che'nnon si potrebe credere esendo cara e venerabile fatta, appena a que' medesimi che'llei dal suo nascimento conosciuta avevano ne si poteva far credere ch'ella fosse la figliuola di Giannicola: tanta era la belleza e l'ornamento de' costumi e della vita sua, quella gravitä di parole e'ddolceza, alle quali gli animi di tutti nodo di si grande amore aveva stretti. E'ggiä non solamente intra i confini della provincia di Saluzo, ma per tutte le province vicine il suo nome divolgava la fama con laudabile e festereccia loda; sicche molti uomini e donne a veder quella con fervente studio concorressono. Cosi Gualtieri, onestato d'umile matrimonio ma notabile e felice, vivea in casa con somma pace, e'ffuori di casa con somma grazia degli uomini; e che grandissima virtude sotto tanta povertä [61v| nascosa cosi sottilmente avesse conpresa, dal volgo era riputato prudentissimo. Ma'lla sollecita isposa non solamente le cose feminili [...] assente il marito, le liti del paese e'lle discordie de' nobili terminando e conponendo con si gravi risposte e con tanta maturita ed equitä del giudicio, che'ttuti e paesani dicesono ch'a'ssalute plubica essa femina fosse del cielo mandata. Ne molto tenpo era scorso, che, fatta gravida, prima i sudetti con angoscioso aspettare tenne sospesi; dappoi ch'ebbe partorito una figliuola bellissima, benche figliuolo avessono piu tosto voluto, sentendola feconda, cioe atta a'flare figliuoli, non solamente il marito ma tutta la patria fece lieta. Prese, come si fa, in questo mezo, Gualtieri, essendo giä la fanciulla lattata, una mirabile piu che lodevole (i piu savi di me il giudichino) cupidita di provare altamente la fede della cara mo69

glie, assai provata, da'ccapo alcuna o'ppiu volte, e da'ccapo cioe seconda e terza volta di tentarla. Sola adunque chiamatola in camera da'pparte, colla faccia torbida cosi le parlo: «Sai, ο Griselda, (io non credo che per la presente fortuna tu abbi dimenticato il tuo passato piccolo stato) sai come co me in questa casa sia venuta. A me per certo cara assai e diletta se'; ma a' miei nobili non cosi spezialmente dappoi che cominciasti a'ppartorire: i quali co molesti animi portano essere sottoposti a una femina plebea. A me adunque, se avere pace co'lloro desidero, necessario e della figliuola tua nonn-al mio ma all'altrui giudicio servire, e far quello che gniun'altra cosa mi potrebbe essere piu molesta. Ma cio non farei mai sanza tua saputa: ma voglio che mi presti il tuo consentimento e pazienzia la quale dal principio del nostro matrimonio promettesti». Queste cose udite, ne per parola si mosse che udito avesse, e disse: «Tu'sse' nostro signore, ed io e questa picola figliuola tuoi siamo. Delle tue cose adunque fa come ti piace. Gniuna cosa puö piacere a'tte che a me dispiaccia: niuna cosa al postutto ο aver desidero ο di perder temo se'nnon te. Questo i' ό nel mezo del cuore fitto, che mai indi per iscorso di tenpo ο per morte non si puo evellere ο rimuovere. Tutte le cose prima fare si possono, che Ί mio animo si possa mutare». Lieto quelli [62r] de la risposta ma infignendosi nel viso malinconoso si parti: e poco dopo uno de' suoi masinadieri fedelissimo a'llui, le cu' opere in piu gravi fatti era consueto d'usare, ed informatolo di quello che far voleva, alia moglie il mandö. II quale a lei di notte vegnendo disse: «Perdonami, ο donna, ne a me inputare quello che costretto fo. Sai, savissima donna, quello che e essere sotto e signori, ne a'ttale ingegno qual e il tuo e'nnascosa la dura necessitä ch'e d'ubbidire a'ssignore, pero che'ddi cio se' sperta. Comandato m'e che io tolga questa fanciulla, e che lei...» Qui, il sermone rotto, quasi crudele opera cone sillenzio tacette. Sospetta era la fama dell'uomo, sospetta la faccia, sospetta l'ora, sospetto era il parlare. Per la qual cosa quantunque chiaramente la morte intendesse della dolce figliuola, ne'llagrima ne sospiro die; la qual cosa a una balia non che alia madre sare' stata cosa durissima: ma colla faccia tranquilla e lieta prendendo la fanciullina in collo un poco la raguardo, e baciandola la benedisse e segno col segno della santa croce, e diella al masindiere e disse: «Va, e quello ch'il signore di noi t'inpuose metti inn-esseguzione. D'una cosa ti prego, che'ttu abbi cura che quello corpicciuolo le fiere non lo lacerino ο gli ucelli; si veramente che Ί contrario non ti sia comandato». Tomato al signore e avendo rapportato quel ch'era stato detto per lui e risposto per lei, e avendogli offerta la figliuola, la pietä comosse il paterno animo, ma i' rigore riceuto nel suo, ma comando al masindarie che involta la fanciulla in panni e messa inn-una cesta, e posta sopra un giumento riposato e mansueto, con quanta diligenzia potesse la conducesse a'Bbologna alia sirocchia sua che'llä era maritata al conte da'Ppanico, ed essa a'llei desse a nutricarla con istudio materno e costumarla di cari costumi, tenendola occulta con tanta diligenzia che per niuno si possa sapere ch'ella sia figliuola di lui. Ando queli incontanente, e sollecitamente quello che gli era inposto adenpie. Valtero in questo 70

mezzo ispesso il volto della moglie e'lle parole considerando, niuno giudicio nell'animo suo conprese essere mai mutato. Pari allegreza e continuanza, usato servigio, tristizia niuna, niuna della figliuola sua menzione facea, ne mai della bocca della madre fu udito nominare il nome della sua figliuola ne ex proposito ο vero incidentemente. [62v] Erano gia passati quatro anni insino a questo punto, ed essendo gravida da'ccapo partori un figliuolo bellissimo, letizia del padre grandissima e di tutti gli amici. El quale levato dal petto della nutrice dopo du' anni, all'usata curiositä di volere tentare la moglie tomato il padre, da'ccapo parla alia moglie e disse: «Per adietro udisti il popol mio molestamente portare il nostra maritaggio, spezialmente che dappoi che'tte cognobbono aver figliuoli, ma'nnon mai tanto quanto dappoi che'tti viddono aver partorito maschio. Dicono, e spesso questo mormorio a' miei orecchi e pervenuto: "Morendo Valtero, il nipote di Giannicola ci signoreggerä, e cosi nobile paese a tal signore sarä suggetto". Molte cose in questa sentenzia si parlano ne' popoli adunque, per le quali io e'ddi riposo disideroso e, confessandoti il vera, temendo, mi muovo che di questo fanciullo disponga quello che della sirocchia dispuosi. Questo a'tte notifico accio che'nnon ti turbi dolor subito innopinato». A queste cose ella rispuose: «E dissiti e ripetoti ch'io non posso ο volere ο non volere se'nnon quel che'ttu, e di questi figliuoli non ό se'nnon fatica. Tu, di me e di lor signore, nelle tue cose usa la tua ragione, ne mio consentimento cerca. Nel primo entrare della tua casa, come i panni cosi e'lla volonta e disiderii miei mi spogliai, i tuoi vestii. Cio che'ttu vogli di qualunche cosa, io eziandio voglio. Per certo se innanzi la tua volonta futura io sapessi e volere e disiderare, incomincerei quelle cose che'ttu volessi. Ora l'animo tuo, il quale, per non saperlo, prevenire non posso, volentieri seguito. Fa'cch'io senta che'tti piaccia che io muoia, volentieri morro. Niuna cosa, ne essa morte, sara pari al nostra amore. Raguardando Valtero con maraviglia la costanza della femina, con turbato volto si parti da'llei. Ε incontanente il masindarie per adrieto mandato a'llei incontanente mando; el quale molto scusata la necesitä dell'ubbidire, e molto adomandato perdonanza s'alcuna cosa a'llei molesta ο avesse fatta ο facesse, come se una iscelerata cosa dovesse fare, adomandando il fanciullo, e ella con quel medesimo volto che prima, benche nell'animo dolorosa, il figliuolo di forma di corpo e d'aspetto non solo alia madre ma a tutti amabile il prese in braccio, e segnandolo col segno della croce e benedicendolo come la figliuola aveva fatto, ed un pochetto accostandosi agli occhi e baciandolo, niuno al postutto segno di dolor mostrato, |63r] all'adomandatore il diede e disse: «Tolo: fa quello che'tt'e stato comandato. D'una cosa ti priego, che'sse far si puo, quello corpo tenero del fanciullo egregio difendi da molesta d'uccelli e di fiere. Con questi comandamenti tomato il masindarie e col fanciullo al signore, il suo animo piu e piu in maraviglia indusse, in tanto che se'nnon che sapeva ch'ell'amava smisuratamente i figliuoli, poco meno si poteva sospettare questa feminil forza d'animo da certa crudelta proccedere. Ma ben ch'ella fosse amorevole di tutti i suoi e 71

molto, di niuno era piu amante che del marito. Ma comandato al masindarie che andasse a Bologna, il fanciullo lä porto. Potevano a rigidissimo marito Valtero queste pruove di benivolenza e'ddi fede bastare. Ma son di quegli che ove una volta comincino non si sanno rimanere, ma perseverano nello incominciato proponimento. Ragguardando adunque con fissi occhi, se niuna mutazione verso lui si facesse contenprava continuamente, ne veruna ne poteva trovare; se'nnon che piu fedel di di in di e piu servigiale, intanto che di due solo un animo parea essere, ed esso animo non comune d'amendue ma'ssolo del marito. Ε per tanto era pure un animo, pero che'lla moglie avea fermato l'animo suo per se niuna cosa volere, e, come detto e, non volere. Era cominciato di Valtero inn-ogni parte mala fama crescire, ched egli mosso da vergogna e da pentimento dell'umile matrimonio, con una fiereza e dureza disumana avesse comandato che' figliuoli fossono morti; pero che' fanciulli non conparivano, e dove e' fossono niuno di suo gente aveva udito. Ne per la detta infamia il suo crudele animo si piegava, ma nella suspetta fiereza e di coprire quello che fosse de' figliuoli proccedeva nella sua dura volontä. Essendo giä la figliuola pervenuta d'eta di dodici anni, mando a Roma u-messo el quale simulate e non vere lettere appostoliche recasse, per le quali nel populo si palesasse che a'llui fosse data licenzia dal papa di Roma che, per pace sua e delle sue genti il primo matrimonio rimosso, altra moglie menar potesse. Ne fu certo cosa malagevole agli animi alpestri e rozi ogni cosa far credere. La quale fama essendo pervenuta a notizia di Griselda, ebbene tristizia, secondo ch'io pemso; ma come se medesima una volta di'sse e delle sua sciagure aveva fermato, stabile e ferma |63v] stette, aspettando quello che'ddi lei esso Valtero diliberasse, a cui tutte le sue cose aveva sottomesse. Aveva mandato giä egli a'Bbologna al cognato, aveva pregato che a'llui rimenasse i figliuoli, messa la fama inn-ogni parte che quella fanciulla menasse per moglie a Valtero. La qual cosa fedelmente egli mettendo ad asseguizione, la fanciulla giä da marito, di forma bellissima e di bello ornamento adornata, e'cco'llei il suo fratello giä pervenuto all'etä di sette anni menando, con gran conpagnia di nobiluomini il di ordinato si misse a'ccamino. Intra queste cose Valtero, coll'usato ingegno di dolore e di vergogna per ritentare la moglie, lei menata in prubico, disse: «Assai d'averti per moglie mi dilettava, i tuoi costumi e nonn-el nascimento raguardando. Ora, com'io vego ogni gran forma e signoria e grande servitu, nonn-e a me licito far quello che a ciascuno lavoratore e licito. Costringono me i miei suditti, e il papa il consente, che io abbia altra moglie: e giä la moglie nuova e in Camino, e incontanente ci sarä. Istä dunque coll'animo forte e'ddä luogo all'altra, e'lla dota tua te ne porta nell'antica casa, e'lla ti ritorna colla mente quieta. A niuno huomo e la fortuna perpetua ne stabile». Ella rispose a'llui e disse: «Signor mio, senpre seppi che intra la grandeza tua e'lla piccoleza mia niuna essere aguaglianza, e mai non mi riputai degna non che d'averti per marito ma d'esser tua servigiale: e in questa casa nella quale mi facesti donna, senpre coll'a72

nimo stetti serva; e di ciö Iddio ne sia testimone. Di questo tenpo adunque, il quale teco co molto honore lungamente sopra ogni mio merito fu', a'tte e a'Ddio ne rendo grazia. De rimanente sono apparecchiata con buono e pacifico animo nella casa del mio padre ritornare, e dov'io vissi fanciulla ivi fare la mia vecchiezza e morire, felice e'ssenpre onorevole vedova, considerato che di tale huomo io sia stata moglie. Alia nuova sposa volentieri do luogo, la quale che'ffelice a'tte venga, e della tua casa ove co'lletizia giocondissimamente dimorava, quando a'tte cosi piace, non contra mia volontä ma volontariamente mi parto. Ε quello che comandi, cioe ch'io ne porti la mia dota, qual ella sia veggo; ne ό dimenticato nella casa di mio padre spogliata di miei panni e delle vestimenta tue vestita a'tte venni, ne altra dota ebbi se non fede e'nnuditä. Ecco adunque che questa vesta mi spoglio e |64r] l'anello ti rendo col quale mi sposasti. Gli altri anella, vestimenta, e ornamenti, de' quali donandomegli tu infino a invidia io era abondante, nella tua camera sono. Ignuda la tornero. Ma penso non sia cosa degna che questo ventre nel quale i tuoi figliuoli stettono, i quali generasti, dal popolo scoperto sia veduto. Per la qual cosa ti priego e ossecro, se'tti piace e'nnon altrimenti, che in prezzo della verginita mia la quale qua recai avegna che'nno ne la riporti, che'ttu comandi ch'una camicia mi sia data di quelle che teco soglio usare, colla quale il ventre di quella che'ffu tua moglie cuopra». Abbondavano'lle lagrime al marito in tanto che contenere non'lle poteva; e rivolgendo la faccia da'llei, disse: «Abi una camicia». Ma a pena il pote dire, tremandogli le parole in bocca; e piangendo si parti. Ella spogliandosi dinanzi a tutti, sola la camicia si ritenne: della quale contenta, col capo scoperto e co' piedi iscalzi se ne va. Ε seguitandola molti che'ppiangevano e'cche'ssi dolevano della sua fortuna, ella sola sanza piagnere con onesto e venerabile sillenzio alia casa del padre ritorno. II vecchio, il quale il matrimonio di questa sua figliuola senpre aveva reputato sospetto, ne mai tanta speranza nella sua mente aveva concepputa che'nnon temesse di tal fine, ch'essendo sazio della sposa nata in si umile casa, lei si nobile huomo e tanto grande e superbo, com'e usanza de' nobili, non cacciasse, la sua gonnella aspra e'rrotta per vecchieza nascosa, la quale inn-alcuna parte aveva conservata, ritrovo. Essendo lo scalpizio non solamente della figliuola che tornava ma della gente che'lla aconpagnava, le si fece incontro in sull'uscio, e quasi lei ignuda colla sua usata vesta ricoperse. Istette ella col padre alquanti di co mirabile umilista e con pazienza d'animo, sicche in se li niuna tristizia ne segno d'animo malinconoso, niuno segno di primiera prosperitä in lei appariva, anzi essendo ella giunta senpre intra le riccheze povera nell'animo ed umile. Giä il conte di Panico, cognato di Valtero, s'apressimava, e delle nuove noze giä gran fama era. Ed avendo mandato un de' suoi famigli col di che a'Ssaluzo fosse per venire, aveva Valtero sentito il dl che giugnere doveva. Per che Valtero alcuni di innanzi fece venire a'sse Griselda, che era a'ccasa del padre; e vegnendo ella devotissimamente, disse |64v] Valtero: «Disidero 73

che'lla fanciulla che de' esser domane qui a desinare, magniflcamente sia riceuta, e che gli uomini e'lle donne che'ssono co'llei insieme co' nostri che nel convito änno a essere, si sia servito e di parole e di luoghi intero onore a ciascuno, che'bbene istea. Ε concio sia cosa ch'io nonn-abbi in casa femine atte a'ccio, provedi tu benche'ssie poveramente vestita. Questa sollecitudine prendi tu che ottimamente conosci e miei costumi di ricevere e d'allogare i forestieri». Ella rispuose: «Non solamente volentieri, ma con disiderio faro ogni cosa ch'io vedro che'tti sia in piacere, senpre mentre che'llo spirito mi durerä». E'ccio detto premdendo a servire, incomincio a spazare la casa, apparecchiare le mense, confortare l'altre servigiali, a modo d'una fedelissima ancilla. Et essendo giä nel sequente di all'ora di terza, sopragiunse il conte di Panico colla sposa e col fanciullo. Ε tutti si maravigliavano della belleza e de' costumi loro: ed erano di que' che'ddicevano: «Valtero saviamente e felicemente ä'ccambiato: questa nuova sposa e'ppiü fanciulla e'ppiu nobile, e Ί cognato e cosi bellissimo». Ed esendo l'aparecchio del convito grandissimo, Griselda era presente a ogni cosa e di tutto era sollecita, e per tanto caso non ne sbigotti ne apparve confusa per vergogna nel disorevole vestimento; ma con lieto viso si fece incontro alia fanciulla che veniva e dise: «Ben ne venga la donna mia». Ε sucessivamente mentre che gli altri invitati e co maravigliosa suavitä ricevesse, e la gran casa co molt'arte disponesse e governasse, sicche tutti e spezialmente i forestieri si maravigliassono onde tanta maesta di costumi e onde tanta prudenzia sotto si vile abito le venise, ed ella in prima che verun altro non si poteva saziare di lodare la fanciulla e Ί fanciullo, ma a vicenda la beleza ora della vergine ora del fanciullo predicando, Valtero di quel luogo dov'egli era a sedere alle mense guardando verso Griselda, con chiara voce dinanzi a tutti quasi schernendola disse: «Che'tti pare di questa mia sposa? Ε bella e onesta assai?» Diss'ella: «Certamente ne veruna piu bella ne'ppiu onesta trovar si puo mai. Ο co niuna mai ο con costei avere potrai vita tranquilla e felice: e che cosi sia desidero e spero. D'una cosa in buona fe ti priego ed amonisco: [65r] che'ttu non tratti costei con quelle punture colle quali tu äi trattata l'altra, perö ch'ell'e piu giovane ed e stata piu dilicatamente nutricata. Tanto patire, secondo ch'io m'imagino, non potrebbe». Esaminando adunque e raguardando l'alegreza e'lla costanza della femina tante volte e'ccosi aspramente offesa, che tali cose diceva, e'cch'ella nonn-aveva meritato cosi vilmente essere tratata, avendo della sua indegna sorte misericordia e sostenere piü non potendo, disse Valtero: «Griselda mia, assai e cognosciuta e veduta da me la fede tua, ne'ppenso che'ssotto Ί cielo sia alcuno che'ttante sperienze d'amore di moglie abbia conprese». Dicendo queste cose la cara moglie, ripiena d'una maraviglia lieta e come desta da un turbido sonno, disiderosamente abraccio dicendo: «Tu sola se' la moglie mia, ne altra ebbi ne altra ό. Costei la quale tu pensi essere mia sposa, flgliuola tua e, questi ch'era riputato mio cognato e tuo figliuolo; questi che divisi perduti parevano, insieme äi riceuti. Sappiamo adunque coloro che anno creduto il con74

trario, ch'io sono stato curioso ed isperiente e nonn crudele; e ό voluto provare la donna mia e non condannarla, ed occultare e figliuoli miei e nonnucciderli. Griselda queste cose udendo, per allegreza piatosa quasi uscita f u o r di se, con liete lagrime d'amore andö ad abraciare i suoi figliuoli. Ed incontanente le donne e'lle matrone liete intorno a Griselda spogliandola de' vili vestimenti e rivestendola de' suoi onorevoli ed usati, e addornarolla debitamente, e balli lietissimi e solennitä grandissima menarono, rinsonando le boci di tutti canti di letizia, e co molta allegreza insieme con pianto tutto quel di f u lieto e'ffestereccio, e molto piu che Ί di delle nozze. Ε per molti anni con gran pace e'ccon concordia vivettono insieme. Ε Valtero il povero suocero, il quale per adrieto aveva avuto in nigrigenzia mostrando di non curarsi di lui, acciö che alia conceputa sperienzia che Valtero s'aveva proposto nell'animo non s'opponesse, nella sua casa el fece venire e'llui onoro avendolo in reverenzia. La sua figliuola magnificamente e onestamente marito, e il suo figliuolo, chiamato Duri, suo successore lascio, lieto di moglie e di famiglia. |65v] Questa istoria m'e paruto di raccontare con altro stile che altri non fece, non per inducere le donne del nostro tenpo a seguitare la pazienzia di questa moglie, la quale a me appena pare da'sseguitare, m a accio ch'io desti e induca coloro che'lleggeranno a seguitare almeno la fermeza di tal femina; aciö che quelo che essa al suo marito presto, questo prestare allo'Ddio nostro ardiscano. II quale Iddio, secondo che dice santo Jacopo appostolo (che nel di suo conpio questa storia di scrivere), quantunque non sia intentatore de' mali ne veruno tenti, pure ci pruova e spesse volte noi con molte e con gravi tribulazioni ci lascia esercitare e provare: non per sapere l'animo nostra, il quale seppe innanzi la nostra creazione, m a aciö che a'nnoi medesimi la nostra fragelitä e deboleza con manifesti e dimestiche e'cchiari indizii e dimostrazioni sia manifesta. Di soperchio e soprabbondante ό parlato a costanti huomini; chichessia il quale per lo Iddio suo sanza mormorio patisca quello che pati per lo suo mortale marito questa feminella alpigiana. Finisce la storia di Griselda marchisana di Saluzzo. Senprato per Romigi.

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Nota al testo di Jacopo Foresti

Ho effettuato la trascrizione dalla ristampa anastatica dell'edizione bresciana del 1 4 8 5 (Foresti 1 9 8 3 ) , libro XII, cc. 2 4 6 1 - - 2 4 6 V , limitandomi ad adeguare punteggiatura e grafia all'uso moderno, sciogliere le abbreviazioni, normalizzare l'altemanza dei grafemi u e v, ridurre cha.cegha.g nei nessi cha, cho, chu, gha, gho. Inoltre ho corretto due refusi, trascrivendo hac per harte e pignorum per pignerum.

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Testo di Jacopo Foresti

Griseldis autem femina nullius nobilitatis genere insignita sed obedientie et fidei splendore decorata in hac Alarami marchionis primi familia cuidam Valtero Salutiarum marchioni coniugatam fuit. Cuius historiam pacientie plenam ad multorum instrucionem hie (ut ex Francisco Petrarcha accepi) conscribere statui. Fuit enim hec femina in primis forma corporis satis egregia, sed pulchritudine morum atque animi adeo speciosa ut nihil supra. Eius autem pater pauperrimus erat, cui nomen Jannicola, qui illam parco victu et in summa semper inopia educaverat, ita ut nil molle nilque tenerum unquam cogitare didicerit sed virilis senilisque animus virgineo latebat in pectore; et patris senium inextimabili refovebat caritate et pauculas eius oves depascens colum interim digitis atterebat. In hanc virginem Valterus quidam Salutiarum Marchio, sine uxore existens, sepe iliac transiens oculos non iuvenili lascivia, sed senili gravitate defixerat et ipsius virtutem eximiam supra sexum supraque etatem acri penetraverat intuitu. Unde factum est ut illam et non aliam uxorem habere omnino disposuerit. Et ad patrem cum multo comitatu accedens, ilium seorsum parumper abstrahens, illi submissa voce dixit an ipsum data sibi uxore filia generum vellet habere. Cui senex: «Nihil», inquit, «aut velle debeo aut nolle nisi quod tibi placitum est, quia dominus meus es». Advocans deinde una cum patre Valterus marchio puellam, dixit: «Griseldis, et patri tuo placet et mihi ut uxor mea sis; credo id ipsum tibi placeat». Cui Griseldis cum omni tremore respondit: «Ego, mi domine», inquit, «tanto honore me indignam scio. At si tua voluntas sic quam sors mea est, nihil autem ego unquam sciens nedum faciam, sed etiam cogitabo quod contra animum tuum sit. Nec tu aliquid facies, etsi me mori iusseris, quod moleste feram». «Satis est», ille inquit. Vocataque in publicum puella, universo astante populo illam cum omni plausu accepit uxorem, ac anulo preciosissimo solemniter desponsavit. Deductaque in pallatium, brevi tempore tantus illi divinus favor affluxit, ut non in casa pastorali sed in aula imperatoria educata atque edocta visa fuerit, et omnibus supra fidem cara esse cepit. Quam ob rem Valterus marchio humili quidem sed insigni ac prospero matrimonio honestatus, summa cum pace domi et extra vivere cepit; pauloque post gravida facta, filiam peperit pulcherrimam, pro qua totam patriam letam fecit. Quam cum ablactasset, Valterus, ut ipsius coniugis experiret fidem, finxit illam se interfici velle. Et cuidam satelliti suo iussit illam secreto modo Bononiam deferre, ad sororem videlicet suam, que illic comiti cuidam nupta fuerat, eamque nomine 77

suo traderet alendam. Ex hac tamen filie amissione Griseldis numquam mutati animi demonstravit indicium. Post quattor deinde annos etiam filium masculum peperit, forma quidem corporis elegantissimum; quem et post aliquot tempus Valterus marchio et ipsum interfici velle finxit; quern tamen et ipsum Bononiam sicut et filiam misit. Post vero ab ortu filie duodecimum annum Valterius ut acrius etiam Griseldim experiretur, e Roma simulatus litteras apostolicas deferre fecit, quibus videbatur sibi a Romano pontifice datam fuisse licentiam ut pro sua suique populi quiete aliam duceret uxorem. Que res cum ad noticiam Griseldis pervenisset, etsi tristis in corde, inconcussa tum stetit animo; illo interim tempore Valterus Bononiam misit nuncios qui cognatum rogarent ut ad se filios adducat: fama undique diffusa virginem illam Valtero in coniugium duci. Dum hec agerentur Valterus, ut uxorem denuo retentaret, videlicet ad doloris ac pudoris cumulum, illam in publicum venire fecit et astante atque audiente populo dixit: «Griseldis mea, obsecro, pacienciam habe in me. Papa enim precepit mihi ut aliam ducam uxorem, que iam in via est et statim adesse debet. Esto igitur forti animo et da locum ei, et tuam dotem accipiens in domum patris tui revertere». Cui ilia respondit: «Ego, mi domine, parata sum bono ac pacato animo voluntatem tuam in omnibus exequi et nove tue coniugi volens cedo». Ac sic se veste preclara exuens, anulum quo earn subaraverat eidem restituit et cum sola camisia in paternam domum remisit. Que res Griseldis mirabili equanimitate atque humilitate tolleravit, ita ut nullum in ea signum tristioris animi videretur, quippe cum in mediis opibus inops semper spiritu vixisset atque humilis. Cumque filia ex Bononia Salutias appropinquasset, pridie antequam veniret Valterus Griseldim in veste hispida ac lacerata ad palatium suum venire fecit et preparandi convivii eidem curam commisit. Veniensque puella cum germano cum omni apparatu, arbitrans Griseldis illam veram esse uxorem, cum sereno vultu intranti puelle obviavit, et: «Bene venerit domina mea», inquit; atque ita tarn ipsam quam reliquos comites lota facie et mira verborum suavitate suscepit. Cumque videret Griseldis novam sponsam pulcherrimam atque preclaram adesse ad Valterum, ait: «Obsecro, mi domine, atque moneo ne hanc tenellam sponsam illis acculeis agitare velis quibus me agitasti». Talia dicentis alacritatem intuens, Valterus ipsius miseratus, ac ferre eius pacientiam et tollerantiam diutius non valens, dixit: «Griseldis mea, satis mihi cognita est fides tua, nec sub celo aliquem esse puto qui tanta coniugalis amoris experimenta precipere potuerit sicut ego». Et hec dicens universo astante convivio, caram coniugem leto stupore perfusam cupidis ulnis amplectitur. «Et tu», ait, «mea sola uxor es; aliam nec habui nec habere volo. Ista autem quam tu sponsam meam existimas filia tua est; hicque qui cognatus meus credebatur tuus est filius, et que divisim perdita videbantur simul omnia recepisti». Hec ilia audiens, pene gaudio exanimis effecta, cum lachrimis suorum pignorum in amplexus ruit. Raptimque matrone alacres circumfuse, vilibus earn exuentes vestibus, suis solitis vestibus exornaverunt, plaususque letissimus et fausta omnium verba circumsonant, multoque cum gaudio

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et fletu ille dies celeberrimus omnibus fuit, celebrior quoque quam dies nuptiarum fuerat. Multosque post per annos ingenti pace concordiaque Valterus et Griseldis vixere, et viderunt filios filiorum usque in generationem et generationem. Hanc itaque historiam exemplaritatis plenam hic ad multorum solatium conscribere volui, ut et matrone nostri temporis atque alii ad imitandum huius Griseldi[s] pacientiam, que mihi imitabilis videtur, excitarem. Quo autem tempore hec gesta facta fuerint habere non merui.

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Nota al testo di Neri Nerli

II manoscritto Moreniano 220, pergamenaceo, contenente lettere latine di Neri Nerli, e descritto dettagliatamente in Ms. Moreniana 1908-09, pp. 224-225. In calce alla prima carta figura una nota del 1650, che ne attribuisce la proprietä a Matteo Mercati (a cui appartenne anche il Riccardiano 951, ricordato nell'introduzione e contenente altri scritti del Nerli). II manoscritto e di 39 carte, che recano nel recto (a destra in alto) una numerazione moderna. La lettera contenente la storia di Griselda si legge dalla carta ir alia 2or. II testo presenta numerose correzioni: rasure, cancellature, aggiunte interlineari e marginali. Nella trascrizione mi sono limitato a sciogliere le abbreviazioni e adeguare la punteggiatura all'uso moderno; le pochissime mie integrazioni del testo sono fra parentesi quadre; inoltre ho trascritto tanto le i quanto le j come i, e tanto le u quanto le ν come u (nel testo le grafle si alternano indifferentemente). Ho anche corretto cum cum in cum (c. I5r, riga 7) e atteneris in a teneris (carta I5r, riga 8). Tra parentesi quadre in neretto e inserita nel testo l'indicazione delle pagine corrispondenti del manoscritto. I tre punti sospensivi staccati da quanto precede indicano una parola indecifrabile nel manoscritto.

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Testo di Neri Nerli

[lrj Nerii Nerliprohemium in mythicam historia[m] Boccacii ad Ioannem Ugolinum incipit. [U]t multi fugiende obscitationis causa tessaris talis uel oscillis hoc est picturatis inlusum cartis his carnis priuiis ludunt diebus, ita ego, ut meridianas et plebeias ineptias que pergradiuntur urbem fugiam, quasi in tranquillissimum portum condo me in bibliotecam meam, aliis fortasse uilem mihi maxime pretiosam. Ac dum amatos uoluo libros, horum ego nihil egregie (ut terentianus Panphilus) preter cetera studebam: nam id arbitrabar ut in tempore allusit Sosia his presertim liberalibus sacris apprime in uita esse utile ne quid nimis. Que quidem cum litteris amenioribus propterea agere cupio quod ad uegetandi corporis gratiam liberi patris uis cum liberos (ut ait Neuius) faciat [lv] homines maxime facit. De bacanti itaque mihi forte ueniunt ad manus centum mythice historie, quas cum percurerem delectatus Boccacii nostri ingenio et in hac re eloquentia libuit in latinum uertere unam: ea est de Gualterio principe Salutii. Que ut ultima in illius uolumine sic nobis talis exercitii cum maiora concipiam nouissimus erit labor. Nec id dixerim ut peniteat fecisse quod fecere Petrarcha et Leonardus Aretinus, uiri spectatissimi, quorum alter latinam fecit fabulam marchionis Montis Ferrati, alter Tancredi prineipis salernitani. Obmitto breuitatis causa quot nostra tempestate et a quibus translate sint, quam accurate, quam apposite, quam eleganter. Quod uidetur Boccacio in lingua uernacula homini elegantissimo cedere in magnam |2r] laudem, quasi ipse sit experimentum primi rudimenti cuiusque ad immortalitatem litterarum aspirantis. Nec propterea me in cetu doctorum hominum insero (id enim proteruum esset): sufficit enim mihi ut illius utilitatem partem uel minimam assequar quam doctiores uiri consequuntur e greco in latinum uertendo. Quod quidem ingenii exercendi causa utile esse et ad stilum maxime facere etiam Cicero iudicauit et plurimum exereuit. Profecto uelim hoc officium, hoc transferendi tarn lene negocium, hec mea scripta tantum apud te habere ponderis, quantum instigare tyrocinium iuuentutis tue possint ad tale aliquod exercitium. Quod non diffido fore: noui ingenium, noui animum tuum, noui quam studiosus sis in officio numquam uinci. Accipe ergo, iuuenis optime et in studiis humanitatis litterisque deditissime, [2v] genialis oeii opusculum de alieno argumenta nostrum, nec pigeat te legisse qualecumque est id quod tibi offertur: sufficit enim ad officium in me tuum si a te cui peculiariter dicauimus perlectum fuerit. Saltem cum ociaris, 81

cum muse tue in hec ipsa studia humaniores sint, et panpinei patris nescio quid sapiunt. Nam pensitare poteris num latina hec interpretatio ad flosculos uernaculos aspiret, num sententias tueatur et grauitatem seruet. Quantum uero conmmentariolis his nostris postquam coronium illis imposui et sucinta ad exitum in limine erant penituit me non facile dixerim. Nam timui quamuis ad amicum festinent censuram et sedentium satiras ad Eurotam. Primum igitur pressi illorum uestigia, mox impetus fuit orantes ueniam et exitum clamore petentes discerpere, et fecissem ueritus ne nostre etatis [3r] homines, cum delicati nimium sint gusti, talia fastidirent. Uerum adiuuit me cum obscitatissimum carnis priuii tempus ad ineptias excusandas maxime oportunum, tum inscriptio illa humanissimi nominis tui cui peculiariter dicati sunt, «Parce», inquiens, «pias scelerare manus. Uide insuper ne quidquam ab archetipo minuas. Non enim amplius seniola hec tui sunt iuris sed illius cuius in frontispicio gestant nomen. Cui si libuerit apud se habere non tanquam uernaculos aut hospites sed uelut domesticos quid tua?» Igitur, Uguline carissime, dum alios personarum strepentium iuuant ineptie, queso te si potes Scipionis et Lelii exemplo ociosus esse mecum, hoc est cum meis nugigerulis cartis, quas ad te misi meridiare parumper ne graueris. Quas quidem si gerris siracusanis leuiora putabis, poteris illa [3v] uel tempore excusare, uel iuuante Uulcano ut Plato tragica poemata liberare infamia, uel si aliquatenus merentur lucem apte translata comprobare. Adeo quodcumque hoc esse negocii inuenies boni consules. Certe prima facie facillime nosces me uoluisse hoc pro simbolo ueri amoris uereque neccessitudinis quam a tribunatu patris tui tecum contraxi tibi dicare; quod quidem singularis beniuolentie munusculum, uos cum unice amem, coegit me (ut amantes solent) etiam in leuiusculis esse longiorem. Uale.

Historia mythica in latinum e uernaculo Ioannis Boccacii sermone uersa per Nerium Nerlum Ioannique Ugolino dicata incipit. [MJultis ab hinc annis in familia principum Salutii prestantissimus fuit iuuenis quidam nomine Gualterius, [4r] qui cum celibem duceret uitam nulla alia in re pleraque tempora conterebat quam aucupiis et uenationibus, habebaturque sapientissimus quia neque ad uxorem neque ad liberos animum applicaret. Quod quidem consilium ciuibus suis cum maxime improbaretur, iterum iterum illum orant uxorem duceret, ne se ipsum heredibus et subditos suos legittimo domino defraudaret. Proin receperunt conciliaturos se illi nuptiis uirginem tantis oriundam parentibus, quam et spes et ratio facile suadebit satis sibi ex sententia facturam. Quibus Gualterius: «Amici», inquit, «quandoquidem ad illud me adigitis inuitum a quo semper abhorrui, perpendens quam difficile inuentu sit que cum mariti moribus conueniat uxor quantaque morosarum sit copia et quam grauis illius sit uita qui istius modi in coniugem mores nactus fuerit; sed quid hoc [4v] esse dicam, quia me ad parentum mores inspiciendos traducitis atque inde argumentamini daturos mihi talem quam laudem et uehementer probem. Ualde id quidem leue et nugatorium

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est, cum compertum non habeam quo patres cognosci aut secreta matrum sciri possint, eorum inquam parentum qui, quamquam optimi et moribus sanctissimi cognoscantur, sepe filie tarnen ab illis degenerant. Ceterum postquam ita suadetis huic iugo collum subiciam. Uerum ne nisi de me ipse conquerar si res ad uotum non successerit, egomet uirginem inueniam inuentamque si hercle cuiuscuius conditionis fuerit a uobis ut ueneranda domina non coletur, maximo uestro detrimento experiemini quam molestum graueue sit me uestris precibus fatigatum inuite admodum accepisse uxorem». Boni autem illi [5r] uiri conditionibus anuerunt modo sponsam duceret. Placuerat iam pridem Gualterio summopere cuiusdam paupercule uirginis fulgens quedam uirtus lete magneque indolis, que oriunda erat quadam in uilla uicina u[i]llis et pretorio suo. Cum igitur hec sibi uideretur moribus et forma conrespondere uotibus suis, missis ceteris, statuit hanc coniugem sibi despondere. Accersito itaque uirginis patre, qui pauperrimus erat, cum eo de filie nuptiis ubi conuenit omnis suos ciues et nobiles regni congregauit in unum. «Amici», inquit, «carissimi, ut uestra fuit intentio animum ad uxorem applicaui, magis ut uestre quam mee obsequar uoluntati. Cogitate igitur uxorem quam duxero quam maxime letis honorare nuptis: quippe nactus sum nec procul (5v) hinc ex sententia uirginem unam quam statui intra paucos dies ducere». Illi autem leta fronte respondent id se exorasse gaudere: «Quare nostrum erit, ο princeps, omni officio ac potius pietate sicut nostram decet colere dominam tuam semper persequi uxorem». Itaque ut religiose recepere se comparant ad splendidas magnasque nuptias, quod idem fecit et sponsus; nam inuitauit amicos propinquosque et multos nobiles regni, nec non et finitimorum magnos heroas. Mandauit insuper fieri quam plurima splendida uestimenta magnique pretii ad staturam cuiusdam mulieris que similis illi uidebatur quam ducere statuerat; preparauit preterea cingula, anulos, ditissimam atque pulcherrimam corollam et quicquid denique nouellam condecet [6r| sponsam. Postquam dies nuptiarum aduenit Gualterius circiter tertiam diei oram equum ascendit et cum illo omnes qui sui causa ad nuptias uenerant, dispositisque rite omnibus ait: «Preclarissimi proceres, sponse adducende tempus iam est». Ac iter capiens peruenit ad uillam humilemque puelle casam, ubi forte uirgini occurrit que cum aque urna a fonte ob id ipsum festinans reuertebatur, ut cum aliis simul mulieribus ad nouelle sponse spectaculum proficisceretur. Quam ut Gualterius uidit nomine uocans: «Criselda», inquit (id enim illi nomen erat), «ubinam pater tuus?» Cui ilia: «O domine mi, domi». Tum Gualterius desiliens equo precepit omnes se prestolari, solus ad patrem puelle, qui Giannuculus nuncupabatur, ingressus ait: «Equidem, Giannucule, ueni desponsurus in coniugem Criseldam: sed priusquam hoc [6v] faciam ab ilia te presente non nulla sciscitari et querere cupio. Si te», inquit, «in coniugem accepero, Criselda, contendes ne pro uiribus mihi bene esse morigerata? Nihilque quod dixero feceroue moleste laturam prebebis ne te, ο Criselda, sine controuersia obsequentissimam mihi?» Multaque alia interrogauit superstitiosa, quibus omnibus ilia uerecunde annuit. Tum Gualterius apren-

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sa uirginis manu foras duxit, coramque omni comitatu et ceteris circumstantibus nuptialibus illis uestimentis que supra diximus faciunda curauerat uestiri quamprimum et ornari iussit atque supra puelle capillos sic ut erant incompti coronam ipse imposuit. Cumque omnes hac tarn insperata re mirarentur ait: «Proceres, hec mihi cordi est uxor si me maritum uult». Itaque ad illam uersus que tarn subita |7r| fortuna confusa totaque rubore perfusa quasi attonita astabat: «Uisne me», inquit, «Criselda, in uirum?» Cui ilia: «Uolo, ο domine mi». « E t ego te» inquens Gualterius, presentibus cunctis illam sibi despondit, impositamque nobili equo domum honorificentissime duxit. Nuptie autem magne splendideque fuere, non minorque fuit frequentia omniumque letitia ac si regis Gallie gener Gualterius esset adscitus. Nouella uero hec sponsa uisa est cum pannis animum simul et mores inmutasse. Erat enim, ut diximus, formosissimo corpore uultuque uenustissimo; et ut formosissima ita quoque multa illi accesserat gratia atque hilaritas ac tanta modestia et suauitas ingenii ac sermonis, ut non modo rustici hominis filia ac ouium custos fuisse pre se ferret, sed quolibet preclarissimo uiro nata; que quidem res in admirationem ducebat omnes qui illam [7v] antea nouerant. Erat preterea tanta obedientia tantaque obseruantia in uirum itaque ipsum lenierat ut tali coniugio inter mortales beatissimum sese predicaret; nec non erga uiri subditos tanta in omnes gratitudine et humanitate ut uniuersis merito esset carissima. Omnes igitur mortales pro ipsius sublimi excelsoque fastigio uotis precibusque deum fatigantes felicitatem illi precantur in euum; ubi ergo prius demussabatur in populo Gualterium hanc ut accepit egisse rem hominis parum prudentis, inmutata sententia asseueretur fuisse perquam circumspectum, cum preter illum nemo nisi difficulter discerneret eximiam animi uirtutem latitantem in pauperculis pannis et rustica sub conditione. Atque ut breuiter perstringam ita denique in omnibus se gessit ut non solum per totum uiri regnum, sed apud [8r] omnes finitimas nationes breui frequens fama de uirtutibus ac piis suis et sanctissimis factis uolitaret. Itaque uiri calumniam quam sui causa ille contraxerat quando tale iniit coniugium in laudem conuertit. Ceterum Criselda sub ipsis pene nuptiis concepit ac exactis mensibus partu puellam edidit, de qua Gualterius mirifice laetatus est. Ast ubi cupido quedam Gualterium ipsum inuasit uelle longa experientia intollerabilibusque periculis illius patientiam tentare, primum cepit duriusculis uerbis illam taxare, simulans se mestum quoniam ciues sui egre illam ferebant, pretesi humilitatem generis, presertim ubi uident illam filios parere; unde de filia nuper nata perquam tristes apparere neque nisi susurris et maledictis uacare. Quibus mulier nihil inmutata [8v] uultu santoque in proposito persistens ait: «O Domine mi, illud de me consilium sumpto quod tue magis conueniat dignitati quodque tuo commodo faciat et tibi satis, nihil uero moleste ferendum ducam, ut que probe noscam minoris esse quam ciues tui, cum tali me non digner honore ad quem tu pro tua singulari humanitate me extollere dignatus es». Hec autem uerba gratissima Gualterio fuere, qui animaduerteret nulla affectam superbia ex amplitudine quam a se uel ab aliis

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honorata accepisset. Uerum cum sepe antea uulgaribus quibusdam uerbis dixerat uxori dues suos tollerare non posse filiam nuper natam, quemdam familiarem sibi subornatum ad illam misit. Qui tristi sane uultu: «Mea», inquit, «ο hera, emori ni uelim oportet me mandata domini exequi. Ille quippe precepit uti arripiam hanc tuam atque ut [9r] e g o . . . » E t subinde tacuit. Mulier uero ubi ex uerbis uultuque serui simul memor superioris uiri orationis, facile collegit mandatum illi esse filie neci tradende. Protinus ad cunas accessit ac filiam sinu receptam identidem osculatam nouissimis salutat. Nec uultu mutata quamuis altum premeret corde dolorem, in ulnas famuli imposuit de hac inquiens: «Facito quicquid a tuo meoque hero tibi mandatum est; sed per deos omnis te obsecro ne bestiis auibusque laniandam exponas, excepto nisi tale quid imperatum sit». Famulus arrepta filia Gualterium statim certiorem facit quecumque mulier fecit dixitque. Qui tametsi satis mirari non poterat uxoris constantiam, famulum cum filia Bononiam misit ad quamdam cognatam, per deos omnis illam obtestans ne unquam palam faceret filie parentes, simulque diligenter ac liberaliter [9v] aleret. Nec multo post contigit ut iterum conciperet ac in tempore pareret puerum, qui carissimus Gualterio fuit. Uerum cum non sufficerent experimenta que antea fecerat, ut maioribus uxorem aculeis afficeret, irato uultu dicit: «Ο mulier, postquam hunc peperisti filium importunitatem meorum ciuium nullo modo sustinere diutius possum, qui quidem egre ferunt atque dedignantur nepotem Giannuculi sibi dominatum iri. Quare uereor regno ni eici uelim ne eadem mihi que olim de Iiberorum expositione necessitas ingruat, atque insuper aliam, te dimissa, ducere cogar». Mulier autem constanti ilium audiuit animo nihilque aliud respondet quam: «Ο here mi, nulla de me habita ratione cogita satis uoluntati tue facere, cum nihil gratum, nihil iocundum mihi sit, nisi quantum tibi cui semper uni tribui omnia placuisse intelligo». [lOr] Ceterum paucis interpositis diebus Gualterius eodem pacto quo abduxit filiam misit abductum et puerum, quem quidem simulans neci traditum, educatum misit Bononiam quemadmodum et filiam; qua de re mater nihil magis mutata est, nec aliter condoluit quam de filia. Cuius rei Gualterius ipse uehementer admiratus secum affirmabat tale aliquid constanter perpeti posse preter hanc mul[i]erum neminem; et nisi filiorum dum apud se fuerant amantissima cognouisset, prorsus facinus hoc contigisse crediderit quia nulla liberorum teneretur caritate. Ciues autem existimantes filios neci traditos, uehementer Gualterium incusabant et crudelem appellabant, nec non matri compatiebantur, que sane inter matronas que de hoc secum conquerebantur casu numquam aliud dixit nisi idem se probare quod illi qui eos genuerat uideretur. Cumque iam plures a natiuitate puelle [lOv] preteriissent anni, uisus est Gualterio de mulieris patientia ultima experiri. Multis igitur e familiaribus dixit nullis se conditionibus sustinere diutius posse Criseldam in uxorem, neque ignorare male ac iuueniliter fecisse cum earn acceperit. «Summa itaque ope adnitendum est cum summo pontifice ut dimissa Criselda aliam ducere mihi liceat». Huius ille rei a multis bonis sane uiris obiurgatus uehementer est; quibus nihil amplius respondet, nisi oppor85

tere rem sic abire. Criselda hec eadem presentiens iam uidebatur reuerti ad paternos lares pecoraque, ut alias fecerat, pascenda ac conspicere alium ilium sinu fouere in quem amorem et omne bonum coniecerat suum uehementer secum cruciabatur. Tamen ut alios fortunae ictus patienter tulerat, ita nunc constanti fortique [llrj animo constituit extrema hec tollerare. Interea loci Gualterius allatis Roma (ut curauerat) adulterinis litteris, ciues certiores fecit summum pontificem diuortium concesisse. Quocirca accersita uxore coram omnibus ait: «O mulier, impetrationes discidii habemus, siquidem romano me soluente pontifice, repudiata te, aliam possum et uolo ducere; quoniam igitur maiores mei magna oriundi prosapia sunt atque harum regionum domini, secus autem tui qui rustici, perpeti amplius non possum te uxorem. Quare ad patrem tuum redi cum dote ilia quam ad me attulisti, atque ego aliam accipiam quam iam pridem designaui, que quidem cum nobilitate generis mihi conueniet». Criselda uero supra muliebre ingenium lacrimas continens: «Here», inquit, «ignobilitas mea cum nobilitate generis uestri nequaquam conuenire conscia semper fui; quare hoc ipsum tempus quod tecum uixi summo deo et tibi acceptum refero, neque tamen illud ut meum unquam habui uel [llv] existimaui, sed ut rem mihi mutuatam, quam nunc te repetere et eandem restituere mihi propterea gratum est quod tu ita uis. En tibi cui nuptialia sunt cordi, en accipe anulum quo me spopondisti. lubes insuper ut dotem quam ad te attuli hinc abiens mecum asportem: qua quidem in re neque tibi numerato neque mihi sacculo ad pecuniam opus est aut baiulatore: memoria quippe nondum excidit me nudam te accepisse. Et si dignum iudicas [ut] uterum hunc quo filios a te genitos tuli et fastidia decern mensium nudum conspiciant homines, e nulla re cinta nuda recedam, postquam ... in optimam partem accipiam; sed oro obsecroque te si nullus est deprecationis locus ut in premium uirginitatis mee quam tibi depascendam attuli quamque auferre nequeo, supra dotem meam portare saltern detur unicam interiorem tunicam. Gualterius qui [12r] ad lacrimas quam ad aliud quidquam pronior erat, persistens tamen tristis difficilisque ait: «Tu uero unicam auferto». Quotquot autem Gualterium circumstabant uehementer deprecabantur ut uestium saltern aliquam quibus olim induebatur dum melior fortuna fuit muliercule dono daret, ne ilia, que proximis tredecim annis uel amplius uxor sua fuerat, tam paupercula atque ita ignominiose exauctorata domo exire et spectaculo esse conspiceretur. Igitur sola camicia uelata, nuda pedem, nudos humeris infusa capillos, post ultimam salutationem ad patrem e uestigio ipsa sese contulit, non sine lacrimis et singultu omnium qui earn affectam sic uidere. Giannuculus qui numquam sibi persuaserat matrimonium filie longius duraturum (discidium enim hoc quotidie expectabat), pannos diligenter seruatos quos Criselda primum sponsa exuit illi reddit. Ita prorsus [12v] abiecta quamprimum se accinsit ad tenues humilesque curas (ut a teneris consueuerat) rei familiaris paterae domus, magno inuictoque animo ferens acerbos fortune impetus. Post hec Gualterius proceribus curie narrat uxorem accepisse flliam cui[u]sdam comitum Apanagi. Cumque nuptiarum 86

aparatus ingens ferueret, accersita ilia ait: «Uxorem quam nuper accepi letis, Criselda, nuptiis cum honorare affectem, probe nosti nullam mihi esse cui rem et summam domestici negocii eque apte ac tibi committere possim. Proin feceris commode mihique gratum si te accinges et si quod opus est parabis. Inuitato puellas et optimates que tibi digne uidebuntur, illasque accipe non secus ac si edium matrona princeps sis; deinde a nuptiis duces te iterum ad penates [13r] tuos». Quamquam hec peracuti gladii fuerint animo Criselde et quamquam ilia que non ita facile amoris summi erga ilium oblita fuerit sicut illecebre fortune: «Here mi», tarnen inquit, «presto parataque sum». Et humili panno ingressa domum, unde paulo ante interiori tunica amicta exierat, cepit cubilia uerrere, scanna, sedilia et mensas disponere, tapetes distendere, aulea per triclinia dependere, similiter et culine prouidere omnibus denique rebus uelut domus ancilla minima, nullis permisit rebus quemquam manus admouere, nec quidem ante ab incepto destitit quam omnia ut cultus nuptiale desiderat iugiter disposuit. Subinde inuitatis Gualterii nomine omnibus ciuitatis puellis et matronis, dies nuptiarum expectabatur. Qui postquam illuxit, [13v] animo et gratia quamuis uilissima ueste qualibet tamen matrona non inferior, omnes inuitatas mulieres leta ilarique fronte acceptas obseruabat. Interim Gualterius, qui diligenter curauerat liberos Bononie educandos apud cognatam suam nuptam in familia comitum Apanagi, cum filia ferme nata sexdecim annos uenustissima ac pulcherrima omnium que unquam fuerint, puer uero esset duodecim, misit Bononiam ad alumnos filiorum, precibus instans uti non grauarentur Salutium contendere cum ambobus liberis ac nobili ornatissimoque comitatu, et palam predicarent uirginem earn Gualterio ducere; rem hoc commento dissimulatam nulli apperirent. Nobiles illi uiri pro mandatis principis se comparant, ac iter capientes [14r| paucis post diebus cum uirgine ac uirginis fratre cumque amplissimo comitatu sub horam prandii Salutium uenere, ubi ciues omnis ac multos etiam e finitimis in maxima uulgi frequentia offendunt, nouellam Gualterii sponsam expectantes. Que quidem, a mulieribus officiosissime excepta, ducta est quamprimum nuptiale in cubiculum honorificentissime apparatum ut parumper ab itineris labore leuaretur, atque inde in aula ubi mense structe iampridem erant. Cui Criselda ut quidem erat ornata obuiam hilaris procedens, tanta gratia: «Salue», inquit, «o mea hera», ut omnes in se conuerteret conuiuas et maxime matronas. Que quidem multum sed frustra Gualterium fatigabant alterutrum ut faceret: uel Criseldam in conclaue duceret, uel, sic abiecta ne conspiceretur, pro temporis indictione mutuaretur illi uestium uel minimi aliquid. Cuius quidem pertinacie cum maxime dolerent ad inuicem matrone et uiri, tali inter sese querela erumpebant: «Ο qualis inops misellaque, [14v] Criselda, uideris, qualis ciuibus qualis et regni heroibus; ο qualis uxori recenti nupte appares. Cui ilia egregio uiro ο quam moroso se nuptam suspicabit?» Ceterum dum sic inter sese mussuant conuiue ad mensas seriatim disponebantur. Ac dum illis inseruitur uirginem admirantur omnes ac uno ore asserunt Gualterium scite quidem conmutauisse, et in primis 87

Criselda laudabat uirginem et fratrem. Gualterius, cui luce clarius perspectum erat quantum de patientia uxoris desiderauerat, uidens illam nouitate rerum nihil turbari, certus nihilominus id in earn non cadere aliqua animi stoliditate, cum sapientissimam semper cognouerit, tempus eruere misellam ab egritudine atque a mestitia auocare in qua sub costanti firmo uultu uersabatur. Quare accersita ilia coram omnibus ait: «Criselda, quid tibi uidetur de mea sponsa?» [15r] «Bene quidem: nam si ita prudens ut formosa, nihil sane uereor quin tali coniugio felicissimum te ipsum omnium predices uerum. Enim uero pro singulari mea in te affectione uehementer oro ne stimulos quibus tam inclementer priorem inuxisti uxorem adiungas et huic, que sustinere minime poterit quia iuuencula, quia delicate moliterque nimium nutrita uidetur; cum altera in continuis laboribus a teneris usque annis uersata obduruerit in malis». Gualterius prospiciens Criseldam nihil dubitantem uirginem suam esse uxorem nec propterea temere aliquid loquentem, sedere iussit iuxta sese et ait: «Ο Criselda, iam quidem tempus est ut magne atque incredibilis tollerantie tue fructum percipias. Tum illi cognoscant qui me crudelem iniquum inmanemque bestiam putarunt quodcumque [15v] egerim factum esse non citra consilii mei rationem, cupiens te plane docere uxoris officium, illos autem accipere acceptamque uxorem in officio continere, atque hinc perpetuam mihi quietem parere quamdiu una uixerimus; quod quidem cum ad uxorem me uerti magna mihi solicitudo fuit ne secus accideret. Unde huius rei periculum faciens scis ipsa quot quantisque modis non instigauerim te et pupugerim modo uerum et urserim quotidie magis dandas usque ad impatientie manus. Nec tamen aduerti inter tot tantisque pugionibus uerbis te aut factis quoquam a nostra unquam discesisse sententia. Quandoquidem igitur contudisti tu mihi animum, statui hac ipsa hora restituere tibi quod multis uariisque temporibus eripui et summa cum iocunditate cumulatissime reficere stimulos illos quibus te inuxeram. Igitur hilari iocundoque [16r) animo accipe en tibi hanc quam credis mihi sponsam et fratrem eius: nostra sunt carissima pignora que una cum multis credideras neci exposita. Ego quidem uir tuus sum qui te pre omnibus ut semper adamaui, amo quique hoc unum predico: neminem sua uxore magis ad uotum gaudere quam me». Atque inter hec strictim illam amplectens osculatur, simulque cum sua Criselda pergaudio lacrimante profectus ubi filia hec audiens attonita sedebat, tenere admodum illam fratremque amplexi oscula suis libauere natis. Idemque multi alii alieque hoc ipsum admirantes spectaculum fecere. Matrone letissime a mensa surgentes cum Criselda in cubiculum profecte, melioribus certe auspiciis obsitos exuentes pannos preciosissimis honestauere. Hanc quidem [16v] mulierem cui cernere erat in uilibus et abiectis uestimentis non decrescere uenustatem, in preciosis quam maxime augeri, in aulam tandem spectabilem reduxere; ibique cum filiis ac reliquis proceribus omnibus quidem letissimis, magna letitia celebratum est nuptiale festum, protractaque est hec celebritas in multos dies. Omnes autem quamuis sapientem censebant Gualterium, tamen ut nimium durum atque inhumanum ilium existimauere in suis experi88

mentis; ita uno ore perquam maxime prudentem Criseldam predicabant. Apanagi comes cum omni comitatu intra paucos dies Bononiam rediit; Gualterius Gianuculum ab aratro rusticoque opere exemptum quali socerum decet rerum collocauit fastigio, ut [17r] iocunde simul et honorificentissime suam exigens senectutem uitam honestissime finiret. Denique filia ut decuit magnifice uiro locata, Gualterius cum Criselda mutuo ingentique amore letissime in senectutem uiuentes uita felicissime decesserunt. Age uero quidnam dicendum hac de re est nisi quod in pauperum casulas celitus defluunt diuini etiam spiritus; quemadmodum in regias edes uenire cernas nonnullos ad pascendos plerumque porcos quam ad imperandum aptiores. Que nam preter Criseldam potuisset siccis, non leta hilarique dicam fronte, excipere rigida et inaudita experimenta que Gualterius in se tam inclementer periclitatus est? Cui forsan pro meritis non male contigisset si nactus fuisset talem uxorem [17v] quam cum preter equum et decorum domo sola camisia uelatam abegisset, sic subagitari alicunde quesisset ut mereretur pulcherrima uestimenta. Hec autem historia quam ad te misi latina postquam euasit, quamquam claudicare aliter uidetur ac asserit Quintilianus latinam comediam, tamen ad imaginem quandam romane comedie factam esse nec quisquam inficias ibit, cum sane factis et iocis utatur non infra soccum seriis usque ad coturnum. Si ergo ad summum domestice felicitatis ueluti immago et speculum uite ducit ipsa comedia, non sequenda solum, sed quantum possumus assequenda est. Qua fiducia freta historia hec cogitandum tibi etiam atque etiam iniungit matrimonii [18r] uoluptates non modo prouecto, sed iuueni esse in curriculo, liberorum educationem longam ac difficilem, etatem uero nostram perquam breuem ideoque festinat se ipsam continuare saltern in filios. Tamdiu autem hec cogitabis quoad te non peniteat maritum quam primum fieri ut labilem nostre etatis cursum prouideas, utque interim dulces sentias curas, ut natos natorum uideas. Maturandum ergo tibi est ad uxorem atque, ita dii me ament, maturandum ut obmitantur Gualterii istius, uel cuius uis, fatuas superstitiones que te in accipienda uxore hesitabundum procrastinatorem facerent queque etiam coniugii commodis et dulcibus heredibus, ut multos equidem cognosco, turpiter priuarent. Tum optimis parentibus herilem filium, quod nefarium est, minus audientem redderent; tum [18v] sibi ipsi morosum et ceteris plane ridiculum preberent. Oro igitur obsecroque te ut hoc sapore quem tibi his ociosis et uncti patris diebus propinamus utcumque delinitus aliquid uelis in latinum sermonem promere quod proficiat in gustum tam quidem iocunde et honeste familiaritatis quam optime litterature; cui uidetur, ne a seriis discedam et iocis, quatragena macilenta quidem mater per suos cuculatos studiose aduersari. Promit enim preteri allia serpillumque et herbas olentes, ne pulmenta dixerim pulpitamenta quedam et declamationes in subdastros. Itaque opere pretium est aliquando uidere ut sub capitio sudantes immanius hiant triplici cerbero, ut minitabundi deuoluunt miseros ad 89

fauces graue olentis auerni [19r] utque interim euomunt usque ad lienteria quicquid per totum anni circulum ingurgitarunt. Sed quid, macilenta mater, accessurus ad pedes tuorum murmuro? Igitur percusso pectore redeo ut his sileniis diebus quibus saturnalitio lubet ludere more soluas mihi difficilem n o d u m in quem me iniecit historia nostra: utrum cum filia, que credebat se esse sponsa queque uiderat Gualterium ut coniugem, cum historia dicat stetisse attonitam, considerato in tenello pectore maritales et parentales affectus, maior ne illi fuerit mestitia ex amisso marito uel letitia ex cognitis parentibus. Hec ut mihi soluas nihil opus est Alexandri Magni industria ilia que in gordiani plaustri capistro multum decantata [19v| est, neque rursus ut arioli faciunt et diuinaculi nates uerberes tuas, neque etiam lancines latus tuos et saucies te ipsum quemadmodum Bellone sacerdos: stat latus prefixa ueru, stat saucia pectus et canit euentus quos dea magna monet. Sed stes ad liberi patris bellaria inuitesque et in tantum te excites ut Homeri exemplo impleas etiam celum fabulis. Sed quid occupo ludi partes cum apitianorum Diespiter precipitare rem cogat? Qui personatus incedens coronium operi nostra dum imponere festinat, fauere Unguis omnes iubet et aperire os, quod bene uertat, ad offas, aures u o r o saturnalitios ad cantus. Peccantis ueniam libertatemque requirunt Saturnalitii qui rediere dies: «O festi faustique dies!» nunc omnia clamant. Est dare pro cartis qui sine teste sient; Quidue hoc sit si tu non ignorare laboras Altilium nobis quodlibet ipse dabis. Uale.

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