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Italian Pages [283] Year 2020
Un filosofo a Wall Street Copertina: Studio Wise, Milano Impaginazione: Laura Panigara, Cesano Boscone (MI) Copyright © 2020 EGEA S.p.A.
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Prima edizione: marzo 2020 ISBN volume 978-88-238-3765-2 ISBN ebook 867-88-238-1798-2
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Stampa: Ceca Industrie Grafiche, San Giuliano Milanese (MI)
Questo volume è stampato su carta FSC° proveniente da foreste gestite in maniera responsabile secondo rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardsbip Council°
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Prologo Casa dolce casa Rachele ha appena firmato gli atti del mutuo per l'acquisto della casa. Stringe la mano a Giulia, la direttrice della banca che le ha appena accordato il mutuo, qualche sorriso, poi saluta tutti e via di corsa al lavoro. Si, per i prossimi venticinque anni dovrà versare rate con interessi al 5,2%, ma alla fine lei, e i suoi figli, avranno una casa di proprietà. È il coronamento di un sogno, di un progetto di vita. Mentre Rachele esce dalla banca incontra Pietro, un suo ex compagno di scuola: anche lui sta andando a stipulare un mutuo immobiliare. A lui ne è stato accordato uno un po' diverso, un mutuo ventennale con tasso fisso al 6,6%. Ha un lavoro meno sicuro e meno pagato, e quindi Giulia ha negoziato condizioni che tutelano di più la sua banca. Accendere un mutuo per l'acquisto di casa, un atto finanziario che oggi sembra semplice e ordinario, sarebbe impossibile senza le innovazioni che la finanza, e il denaro prima, hanno introdotto nel corso degli ultimi secoli e soprattutto decenni. Prima di queste innovazioni, infatti, Rachele avrebbe dovuto vivere in affitto e cercare di risparmiare soldi fino a raggiungere la cifra sufficiente per acquistare una casa, sperando che nel mercato immobiliare nel frattempo non si fossero alzati troppo i prezzi. Tutto sarebbe stato molto più lento, se non impossibile: i soldi pagati per l'affitto, una Spesa a fondo perduto, avrebbero pesato come un macigno sul suo benessere e le sue possibilità economiche. Grazie alla finanza, invece, Rachele non solo non paga l'affitto e può utilizzare questi soldi per altri obiettivi, ma ha già la casa che le piace al prezzo di mercato attuale, sa quanto spenderà di mutuo per i prossimi venticinque anni e può pianificare la sua futura vita finanziaria con più agio. Mese dopo mese, rata dopo rata, l'ipoteca sull'immobile accesa dalla banca di Giulia si estinguerà e quando il prestito sarà ripagato, la casa sarà definitivamente di Rachele. La finanza è questo: è la scienza del futuro, o meglio sul futuro e i rischi che esso comporta. Anticipa un futuro, lo «sconta», lo attualizza, e lo realizza. Prende un domani e lo trasforma in oggi mediante un mirabile processo di accelerazione e manipolazione economica e temporale.
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Tutti contenti allora, giusto? Non proprio. O meglio, non sempre, e non tutti. Proprio accendere un mutuo per l'acquisto per una casa, l'atto finanziario che definisce la vita di milioni di famiglie in tutto il mondo, è diventato negli ultimi decenni l'oggetto di una delle più sofisticate costruzioni finanziarie. Ecco come. La banca di Giulia vuole ingrandirsi e diventare sempre più concorrenziale - è vitale in un mondo così competitivo I suoi capi decidono allora di seguire l'idea di Paolo: raccogliere tutti i mutui sottoscritti dai correntisti, sui quali la banca ha acceso ipoteca, e metterli in un unico contenitore, ossia creare quella che si definisce una obbligazione ipotecaria (mortgage bond). Obiettivo: metterla sul mercato. In fondo, alla banca di Giulia conviene monetizzare subito invece di tenersi a bilancio asset (i mutui) che richiedono venti o trenta anni per dare frutti. Che cosa ha spinto Paolo ad avere l'idea di impacchettare insieme tutti questi mutui? Un principio finanziario molto semplice: e difficile che l'eventuale fallimento del mutuo concesso a Rachele abbia a che fare con l'eventuale fallimento del mutuo concesso a Pietro. I due eventi non sono correlati. Se è vero che alcuni mutui possono fallire, ossia non venir ripagati, è tuttavia improbabile che tutti falliscano, per di più contemporaneamente. Ed è improbabile che il fallimento di pochi comprometta l'intero pacchetto di mutui. Quindi tutti questi mutui vengono messi insieme per scommettere su un rischio sistemico, e non sul rischio di un singolo mutuo. In sostanza, mettere insieme i mutui fa diminuire il livello medio di rischio e in questo modo il pacchetto è più sicuro e la banca di Giulia ha un nuovo prodotto da vendere. Un prodotto allettante: i titoli di stato USA a trent'anni, uno dei beni rifugio del mondo, danno rendimenti, ossia interessi, tra il 3% e il 5%, mentre i mutui immobiliari come quello di Rachele o Pietro, tra il 5% e il 10%. Rendimenti più alti = più investitori. Ovviamente la banca di Giulia non è la sola a confezionare questi prodotti finanziari. Molte altre banche fiutano l'affare, assemblano decine di obbligazioni ipotecarie e per venderle si rivolgono a un intermediario: la società diretta da Paolo. Questa raccoglie obbligazioni ipotecarie e le piazza sul mercato. Tuttavia, Paolo sa che le obbligazioni ipotecarie hanno un 5
tallone d'Achille: quando i tassi di interesse calano, i proprietari di casa tendono a rifinanziare. In altre parole, ripagano il vecchio mutuo e ne stipulano uno nuovo con un tasso di interesse inferiore più vantaggioso. Come si dice in gergo, si comportano in modo strategico. Il risultato è che quando questo succede, l'investitore che ha comprato obbligazioni ipotecarie riceve molti soldi proprio quando meno Il vorrebbe, ossia quando i tassi di interesse sono bassi e quando è difficile reinvestirli ottenendo grandi rendimenti. Bisogna quindi rendere il prodotto ancora più allettante e meno rischioso. Paolo e i suoi collaboratori si mettono al lavoro e trovano una soluzione ingegnosa: «affettare» i mutui in diversi strati, chiamati tranche. In particolare, li affettano e li ordinano in base al loro rischio di insolvenza. Le tranche in basso sono composte dai mutui che con più probabilità saranno pagati in anticipo, ossia prima della scadenza naturale del mutuo, o non pagati affatto e che quindi, in quanto più rischiosi per gli investitori, offrono tassi di interesse più elevati. In cima ci sono le tranche con i mutui che dovrebbero essere più sicuri e che quindi offrono un tasso di interesse più basso. Questi prodotti vengono poi sottoposti alla valutazione di Matteo, direttore di una delle principali agenzie di rating. A Matteo piace l'idea di Paolo, anche se qualcuno potrebbe malignamente pensare che questo possa dipendere dal fatto che Paolo è uno dei grandi finanziatori dell'agenzia di Matteo. In ogni caso, Matteo dà alle tranche più sicure il punteggio più alto (AAA), mentre il punteggio più basso (BBB) lo attribuisce alle tranche in fondo alla pila. Le tranche BBB sono composte per lo più dai mutui subprime, ossia i mutui di proprietari che sono stati giudicati meno affidabili. Sono i mutui di coloro che sono finanziariamente a rischio in quanto hanno un lavoro precario o pagato poco, problemi di salute, segnalazioni bancarie, o che hanno già dimostrato di comportarsi in modo strategico, ossia rifinanziare i propri prestiti quando i tassi d'interesse calano. Quando Paolo ha finito di assemblare una obbligazione ipotecaria, arriva Giorgio e con la sua banca d'investimento la compra: ora i mutui immobiliari non stanno più «nella pancia» della banca dove lavora Giulia e i flussi di denaro che derivano dal pagamento delle rate di mutui come quello di Rachele o Pietro, con i relativi interessi, non finiscono più nelle sue casse. La banca di Giulia è contenta: si è liberata di passività e possibili perdite, e può utilizzare i proventi della vendita delle obbligazioni per finanziarsi e investire. 6
Giorgio, d'accordo con il direttivo della sua società, decide di perfezionare le obbligazioni ipotecarie per confezionare un nuovo prodotto, ancor più raffinato, allettante e sicuro, da offrire agli investitori di tutto il mondo. Per far ciò replica su scala più grande l'operazione ideata da Paolo: prende centinaia di obbligazioni ipotecarie, le mette insieme in un unico contenitore, e le affetta ancora. Centinaia di sezioni di diverse obbligazioni ipotecarie vengono raggruppate in un nuovo strumento, ossia vengono «ricartolarizzate». Di nuovo, queste diverse sezioni vengono ordinate in base al rischio di insolvenza: in basso ci sono quelle più rischiose, in alto quelle meno rischiose. Che cosa ha indotto Giorgio a mettere insieme centinaia delle sezioni più rischiose di un'ipoteca? La risposta è la stessa data per Paolo: quando le tranche più rischiose di obbligazioni ipotecarie sono messe insieme, il loro livello medio di rischio diminuisce. Ma Giorgio non si ferma qui e avanza una nuova operazione di ingegneria finanziaria. Prende queste sezioni, le taglia di nuovo in vari pezzi e usa questi pezzi per assemblare nuovi prodotti. ECCO a voi i CDO, Collaterized Debt Obligation. Obbligazioni, ossia titoli, che hanno come garanzia (collaterale) un credito. Sono i cosiddetti prodotti «derivati»: derivati perché derivano il loro andamento da un altro bene, in questo caso le obbligazioni ipotecarie. Dentro un CDO di alto livello, noto anche come CDO senior o super-senior, Giorgio ha messo per lo più (circa il 90%) tranche di titoli ipotecari con rating AAA. In un CDO di basso livello, noto come mezzanino, ha invece messo per lo più tranche di obbligazioni ipotecarie con rating BBB. Inoltre, Giorgio e i suoi collaboratori hanno organizzato i CDO secondo un modello a cascata: in caso di fallimento delle obbligazioni, le tranche senior vengono pagate per prime, fino a quando vi sono soldi in cassa, mentre le tranche mezzanine vengono pagate solo se rimane qualcosa. Per questo il mezzanino è più rischioso e offre i tassi di interesse più alti, mentre i livelli senior sono più sicuri e offrono tassi di interesse più bassi. L'idea di Giorgio sembra solida, piace e si diffonde. J.P. Morgan, la più grande banca statunitense, la fa sua ed emette CDO per 128 miliardi di dollari. Citigroup, l'altra grande banca a stelle e strisce, ne emette altri per 110 miliardi di dollari. Abacus 2005-3, Class V Funding, Jupiter High Grade: sono alcuni dei nomi di giganteschi CDO che vengono immessi sul mercato. Un CDO, infatti, in media ha dimensione pari a circa 800 milioni di dollari ed 'e diviso in circa sette tranche del valore di poco più 100 milioni di dollari. Di norma tre di queste tranche sono classificate AAA e 7
almeno una BBB. Questi nuovi prodotti sono poi sottoposti alla valutazione di Matteo e della sua agenzia di rating, che approva. Voto: AAA. Certo, molte di queste tranche contengono mutui subprime classificati BBB, ma questi mutui sono stati tagliati in tante parti a loro volta inserite in contesti che ne fanno diminuire il livello medio di rischio. Anche Matteo ha fatto suo il mantra dei CDO: «è alquanto difficile che l'eventuale fallimento di un mutuo abbia a che fare con l'eventuale fallimento di un altro mutuo. I due eventi non sembrano correlati. Se è vero che uno o alcuni mutui possono fallire, ossia non venir ripagati, è improbabile che tutti falliscano, per di più contemporaneamente. Ed è improbabile che il fallimento di pochi affondi l'intero pacchetto di mutui». Conclusione: si può investire con fiducia. Anche i quants, gli analisti quantitativi - fisici e matematici prestati alla finanza che usano tutte le loro tecniche per modellare i prodotti finanziari - contribuiscono a diffondere fiducia. Sostengono infatti di aver trovato il modo di calcolare accuratamente il rischio dei prodotti finanziari con una formula, passata alla storia come Copula Gaussiana. Rachele compra casa con un mutuo ventennale. Il mutuo finisce dentro un'obbligazione ipotecaria insieme ad altre centinaia di mutui ipotecari. L'obbligazione ipotecaria finisce dentro un CDO. Il CDO viene valutato AAA e offre alti rendimenti. Come fare a resistergli? Compagnie assicurative, fondi pensione, sindacati degli agricoltori, fondi universitari, grandi banche e qualsiasi istituzione con soldi da investire comprano ciò che sembra quanto di più sicuro e redditizio il mercato finanziario possa offrire. Tutti contenti allora, giusto? Non proprio, o meglio, non tutti. Enrica, ora a capo di un piccolo fondo d'investimento, vede tutti correre all'acquisto di CDO. Anche lei è allettata dalla prospettiva di facile guadagno che offrono, ma ha un dubbio. È abituata a pensare due volte prima di fare una mossa. Think twice: è questo il suo motto. Ma più di una volta questa sua abitudine le ha fatto perdere occasioni che andavano prese al volo. Più di una volta si è ritrovata la sera, davanti allo specchio, a maledirsi per questo. E questa sembra proprio l'occasione giusta per dimostrare di essere audace, di saper cogliere quell'attimo che fugge sempre in finanza. Il tempo è denaro e bisogna essere veloci, non dubitare. Dubitare significa aspettare. E aspettare significa arrivare troppo tardi, quando i migliori CDO sono stati tutti presi o, i prezzi non sono più vantaggiosi. Enrica sente il mantra di Paolo risuonare nella sua testa. «Metti insieme 8
prodotti diversi, e il loro livello medio di rischio diminuisce. Già. E poi pensa: davvero credi di sapere calcolare il rischio meglio dei quants e delle loro formule? Si guarda allo specchio, di nuovo.. «Metti insieme prodotti diversi, e il loro livello medio di rischio diminuisce.» Già. Ma questo non significa che alla fine dell'operazione di assemblaggio tale livello di rischio sia basso. Se metto insieme i peggiori giocatori della NBA, probabilmente il loro livello medio complessivo aumenta, ma questo non significa che il livello medio della squadra così formata sia alto-. Inoltre, che cosa sappiamo della bontà delle fondamenta di questa costruzione finanziaria? Un CDO è uno strumento costruito dal flusso di pagamenti di obbligazioni ipotecarie, cioè dei mutui concessi per acquistare una casa. Posso essere sicura che siano stati erogati seguendo: prassi rigorose? C'è un dato che proprio stona in tutto questo: come mai i prezzi delle case continuano a salire, ma gli stipendi no? E come fanno tutte queste persone a comprare case a prezzi sempre più alti quando i loro stipendi rimangono pressoché invariati? E così, ancora una volta, non si fida. Dubita. Aspetta. E inizia a indagare. Manda alcuni dei suoi collaboratori in giro per verificare come siano concessi questi mutui. E aspetta. Dopo qualche settimana la verità inizia a farsi strada. E la strada conduce dritta lì, al predatory lending, il prestito predatorio. Enrica e i suoi collaboratori scoprono che, pur di avere le commissioni spettanti per la stipula di un mutuo, molti agenti non solo hanno concesso moltissimi mutui subprime, ossia a persone non affidabili finanziariamente, ma anche che molti di questi mutui hanno tariffe cosiddette teaser. In altre parole, sono mutui che offrono tassi ragionevoli, tra i 4 e il 6,5 % all'anno, per i primi due anni, e poi passano a valori tra 10 e il 15%. E mutui cosiffatti sono stati dati anche a persone come Anita, una raccoglitrice di fragole messicana: con un salario di 14.000 dollari all'anno, e nessuna conoscenza dell'inglese, ha ricevuto un prestito totale di 724.000 dollari per comprarsi una casa. Una casa per tutti: è il sogno americano. Ma Enrica ora sa. Sa che i CDO non sono investimenti così affidabili, checché ne dica l'agenzia di Matteo. Sa che hanno fondamenta debolissime, o comunque non abbastanza solide da sostenere una costruzione finanziaria di queste dimensioni. Una costruzione che diventa sempre più pesante. Così Erica passa all'azione e piazza la sua scommessa: inizia a comprare i CDS, i credit default swap. 9
Un CDS è una sorta di contratto assicurativo. Se Rachele vuole tutelare la sua casa da allagamenti, va da un assicuratore, stipula una polizza, paga regolarmente premi all'assicuratore e così, quando la sua casa si allaga, sarà lui a coprire i costi di riparazione. È una sorta di scommessa: se la casa si allaga, i costi per riparala, di norma, superano i premi versati nel tempo e quindi Rachele ci avrà guadagnato. Se la casa non si allaga, sarà l'assicuratore ad aver guadagnato avendo incassato il versamento dei premi assicurativi. Analogamente, se credo che un CDO sia un titolo a rischio, ossia che possa fallire (andare in default) perché chi ha contratto un mutuo non sarà in grado di ripagarlo, posso comprare un CDS. Nota bene: posso comprarlo anche senza possedere un CDO; Vado dalla compagnia assicurativa di Riccardo, che vende queste polizze assicurative sul rischio di default di un'obbligazione ipotecaria o di un CDO, e le compro. Effettuo pagamenti regolari a Riccardo e così, in caso di insolvenza del CDO, Riccardo mi ripaga l'intero valore del CDO. Riccardo è ben contento di vendere CDS: la possibilità che qualche CDO fallisca, pensa, è inesistente. Viste tutte le valutazioni positive che ha ricevuto, sarà come rubare caramelle a un bambino ed è proprio per questo motivo che ha creato questi contratti. Ne è così sicuro, che non si cura neanche di verificare che la massa di CDS che mette su mercato sia proporzionata al capitale di riserva della sua compagnia assicurativa, in caso di fallimenti dei CDO assicurati. Ricapitoliamo: Enrica acquista un credit default swap da Riccardo su un CDO e paga ogni anno alla sua compagnia qualcosa come 120 punti base (ossia l'1,2% del valore dell'intero CDO) per proteggersi dai 100 milioni di dollari di obbligazioni a 10 anni. In altre parole, paga 1,2 milioni di dollari all'anno a Riccardo per dieci anni e fa una scommessa: se il CDO non fallisce (ovvero se molte persone pagheranno le rate dei propri mutui immobiliari), alla fine avrà perso 12 milioni di dollari in pagamenti. Ma se il CDO fallisce, Riccardo dovrà darle l'intero valore del CDO: 100 milioni di dollari. In altre parole, se Enrica vince, avrà un ritorno che va dalle 9 alle 90 volte l'investimento iniziale. Ma non finisce qui. L'idea di Riccardo di vendere CDS piace, e anche altre compagnie assicurative mettono sul mercato queste polizze: AIG Financial Products, Zurich Re, Credit Suisse Financial Products, tanto per far qualche nome, prendono in carico alcune obbligazioni e CDO e, certe che non possano fallire, le assicurano. Ed Enrica compra anche i loro prodotti. Cesare e il suo staff, ora a capo di una enorme banca, guardano questo 10
spettacolo e intravedono una nuova possibilità di guadagno: un CDO è uno strumento costruito dal flusso di pagamenti di obbligazioni ipotecarie, ossia dal pagamento delle rate dei mutui contratti per l'acquisto di una casa con relativi interessi. Cesare osserva però che, in linea di principio, un CDO può essere costruito da un qualsiasi flusso di pagamenti regolari: il rimborso di prestiti universitari, quote associative o crediti su carte di credito o anche premi assicurativi. E che cos'è un CDS se non una forma di assicurazione, e quindi un flusso di pagamenti regolari? Ecco l'idea di Cesare: emettere un CDO in base al flusso di cassa derivanti dall'acquisto di credit default swap di coloro che hanno acquistato CDO. Ecco a voi il cosiddetto CDO sintetico. Come ogni CDO che si rispetti, anche quello sintetico affetta i CDS in tranche e le assembla in base ai vari livelli di rischio. Quale vantaggio offre un CDO sintetico? Per creare un CDO ho bisogno di raccogliere un numero sufficiente di mutui, ma per creare un CDO sintetico non devo soddisfare tale vincolo. Anzi, non devo possedere alcun mutuo. Semplicemente, più credit default swap vengo…no creati, più CDO sintetici posso creare. A questo punto Enrica, abituata a pensare due volte, si chiede: che cosa contiene un CDO sintetico? I pagamenti regolari dei premi che derivano da credit default swap, che a loro volta sono assicurazioni sul possibile fallimento dei flussi di cassa dei CDO, che altro non sono che pagamenti delle rate dei muti per l'acquisto della casa. Di fatto è un CDO che gira su sé stesso e si moltiplica. Quando qualcuna compra un CDO sintetico, compra la promessa di pagamento di interessi su una assicurazione contro il possibile fallimento di una promessa di pagamento di interessi derivanti dal pagamento di rate di mutuo per l'acquisto di una casa. In altre parole, se compro un CDO sintetico da Cesare, sto scommettendo sul fatto che Cesare mi pagherà periodicamente lauti interessi che derivano dal pagamento dei premi assicurativi a Riccardo da parte di Enrica, la quale scommette che Giorgio non sarà in grado di pagare gli interessi che derivano dalle obbligazioni ipotecarie ideate da Paolo, il quale ha scommesso che Rachele e Pietro pagheranno gli interessi dei mutui concessi loro per l'acquisto della casa dalla banca di Giulia. CDS e CDO sintetici sono dunque strumenti che si alimentano a vicenda: diventano sempre più grandi e mettono a rischio banche, fondi d'investimento e compagnie assicurative. Ogni nuovo CDS emesso introduce 11
un maggior rischio per la controparte. In effetti, la solidità e la tenuta di questa enorme costruzione finanziaria, in ultima analisi, dipendono da un semplice evento: se Rachele e Pietro saranno in grado di pagare le rate dei propri mutui. Ce la faranno? Scenario 1: Rachele e Pietro li ripagano. Cesare potrà dunque pagare ai suoi investitori gli interessi promessi, Riccardo continuerà a ricevere i pagamenti dei CDS da parte di Enrica, la quale perderà la sua scommessa, perché Giorgio sarà in grado di pagare gli interessi che derivano dai pagamenti a Paolo, il quale aveva scommesso che Rachele e Pietro avrebbero pagato le rate dei mutui concessi dalla banca di Giulia. Risultato: Enrica perde, chiude bottega per sempre, e tutti gli altri vincono. Scenario 2: Rachele o Pietro non li ripagano. Allora Paolo, che aveva scommesso che ce l'avrebbero fatta, non potrà pagare Giorgio, il quale non sarà in grado di pagare agli investitori gli interessi promessi e attiverà i CDS di Enrica. Le compagnie assicurative inizieranno a versarle cifre folli, mentre Giorgio non sarà più in grado di pagare Cesare, il quale non potrà più pagare i suoi investitori. Risultato: Enrica è ricca sfondata, tutti gli altri perdono. Il punto è: quanto perdono? Enrica sa che molti mutui sono stati concessi in modo assolutamente predatorio. Molti. Ma quanti? La risposta non tarda ad arrivare. Alla fine del 2007, il mercato dei CDO ammonta a 1,3 miliardi di miliari di dollari. Il mercato dei CDS ammonta a oltre 61 miliari di miliardi di dollari. In altre parole, tutti hanno comprato CDO e CDO sintetici, e solo alcuni hanno comprato CDS su CDO. Ricordate Anita, la raccoglitrice messicana? Quando, dopo due anni di mutuo, si rende conto che i tassi dei teaser di colpo raddoppiano o triplicano, o quando Pietro scopre di non farcela, o quando molti proprietari di case non sono più in grado di rimborsare i mutui, il flusso di pagamenti delle obbligazioni ipotecarie si interrompe e lo scenario 2 viene attivato. La neve si stacca, inizia a scendere, e diventa una valanga che travolge tutto e tutti. O quasi tutti. Il resto è storia. I pagamenti dei mutui scendono, e di conseguenza anche le tranche delle obbligazioni ipotecarie calano. A loro 12
volta i CDO, che contengono tranche con le obbligazioni ipotecarie più rischiose, falliscono. Il loro collasso attiva i contratti CDS e i pochi fondi d'investimento che li hanno comprati ricevono i premi. Le compagnie assicurative devono pagare loro premi miliardari. I CDO sintetici collassano a loro volta. Banche come Lehman Brothers e Bear Stearns falliscono. Compagnie assicuratrici come AIG dichiarano bancarotta. Merrill Lynch viene venduta alla Bank of America. La gente cade nel panico e i mercati del credito si bloccano. Ogni singolo mattone delle case di Rachele e Pietro conteneva scommesse finanziarie provenienti da ogni parte del mondo e sosteneva il peso di enormi costruzioni finanziarie. Così accendere un mutuo per l'acquisto di una casa, il momento di coronamento di progetti e sogni privati, è diventato uno degli atti finanziari più globali e speculativi immaginabili. La finanza ci circonda: è dentro casa nostra, pervade tutto, si diffonde ovunque e non possiamo ignorarla. Può avverare sogni e costruire incubi. Offre opportunità e ci espone a rischi. La finanziarizzazione del mondo solleva questioni filosofiche profonde: il sistema finanziario è uno strumento opportuno o giusto? Contribuisce al progresso dell'umanità? È possibile prevederne il comportamento? Esistono metodi e modelli affidabili per farlo? Come andrebbe regolamentato? Quali regole etiche dovrebbe adottare? È una minaccia per la democrazia? Che tipo di potere alimenta? Come usa la tecnologia? In questo volume indagheremo tali questioni.
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1 Il motore del progresso delle civiltà Finanza e Filosofia
L'ascesa della finanza La finanza e la sua ascesa suscitano reazioni forti e contrastanti. Da una parte c'è chi afferma che «il guadagno che proviene dal denaro stesso e non da ciò per cui il denaro è stato inventato [...] è tra le forme di guadagno più contrarie alla natura» (Aristotele, Politica). «La ricorrente ostilità verso la finanza è radicata nell'idea che coloro che si guadagnano da vivere prestando denaro sono parassiti delle attività economiche "reali"agricoltura e industria» . La finanza è davvero solo un parassita, la radice dei mali della società contemporanea? 01
Dall'altra parte, è pur vero che «l'ascesa del denaro è stata essenziale per l'ascesa dell'essere umano», in quanto «l'innovazione finanziaria è stata un fattore indispensabile per l'avanzamento dell'uomo da una miserabile sussistenza alle vertiginose vette di prosperità materiale che oggi così tante persone conoscono. L'evoluzione del credito e del debito e stata importante quanto poche altre innovazioni tecnologiche nell'ascesa delle civiltà, dall'antica Babilonia all'odierna Hong Kong» Atene, Roma, Londra, New York: senza la finanza, la loro ascesa e il loro potere non sarebbero stati possibili. La finanza è davvero una delle più grandi invenzioni tecnologiche, l'iniziatore e il motore del progresso delle nostre civiltà? 02
Sterco del diavolo o grande innovazione umana: comunque la si voglia guardare, la finanza è una delle più grandi forze della società contemporanea, l'elemento propulsore di trasformazioni che plasmano e guidano la società globale, con tutti i suoi rischi e le sue possibilità. E se da una parte la diffidenza e la mancanza di fiducia verso essa sembrano essere motivate, soprattutto per via delle ricorrenti crisi finanziarie,dall'altra non possiamo dimenticare come il complesso sistema di pesi e contrappesi, e di fiducia reciproca, su cui il Sistema finanziario e costruito, rendano possibili benefici sempre più grandi. Per rendersi conto di ciò, basta pensare a quello che succede quando usiamo 14
uno dei prodotti finanziari più comuni: la carta di credito. Ogni volta che facciamo un gesto apparentemente semplice come strisciare una carta, pagare con il telefono cellulare o immettere i dati della carta su internet, un sistema di reciproco controllo e di mutua fiducia, si attiva e produce un piccolo beneficio per tutti. Vediamo come. Una carta di credito non è altro che un conto finanziario, un prestito. In particolare, è quello che si chiama prestito rotativo (revolving credit): una somma di denaro messa a disposizione e reintegrata periodicamente. Quando uso una carta di credito, impiego il denaro della banca invece del mio per pagare oggi prodotti o servizi e rimborso la banca in seguito. Se la possiedo, significa che la banca che la concede ha fiducia in me: sulla base della mia storia finanziaria mi ritiene un pagatore affidabile. Ora sono davanti allo schermo e sto per acquistare un prodotto su Amazon. Immetto il mio numero di carta di credito, il negoziante invia il numero via internet alla banca e attende la sua risposta per completare la transazione. La risposta arriva, il pagamento viene autorizzato e io ho il prodotto che cercavo. Molte controparti sono coinvolte e il denaro passa di mano tra queste parti OGM volta che Viene utilizzata la carta. Io pago il commerciante. Il commerciante paga Amazon e anche una commissione alla banca per poter accettare transazioni mediante carte di credito. La banca paga il dipartimento che gestisce le carte, e può comunque iscrivere parte dei proventi derivanti da queste commissioni alla voce entrate. Una volta al mese, la banca somma gli acquisti che ho effettuato con la carta di credito e mi invia il conto. Se non pago l'importo dovuto, iniziano problemi seri. Ricordate: la carta di credito è un prestito. E un prestito si basa innanzitutto sulla fiducia. Questa fiducia viene alimentata da un sistema bilanciato, basato su incentivi e disincentivi: se non pago la somma dovuta alla scadenza prefissata, tradisco questa fiducia. La banca, in fondo, ha anticipato i soldi per mio conto. Per questo motivo, se non ricambio la fiducia, dovrò pagare in più un certo importo, determinato dalla banca, per evitare costi aggiuntivi. Inoltre, anche se evito questi costi aggiuntivi, il mese successivo mi verrà aggiunta una quota di interessi a quello che devo. Morale: meglio pagare sempre in tempo. È meglio per tutti. O no? La banca, nel suo ruolo di emittente di carte di credito, si aspetta che sia io sia tutti suoi clienti siano buoni pagatori. Ma mira anche a fare profitti. E quali clienti sono quelli più profittevoli? Quelli che non riescono a pagare tutta la somma dovuta alla scadenza, ma che difficilmente pagano in ritardo. 15
In questo caso il pagamento di interessi, quote minime per evitare sanzioni e accessori, può far lievitare le somme dovute, e di conseguenza i profitti della banca. Se invece pago sempre l'intero importo e in tempo, la banca mi considera un buon cliente e segnala periodicamente questo mio comportamento virtuoso ad altre aziende, che sono interessate a sapere se sono un buon pagatore. E naturalmente è mio interesse che queste aziende mi considerino un buon pagatore, perché ciò potrebbe avere conseguenze finanziarie in futuro, per esempio quando vorrò accedere a un mutuo. Ora, se una carta di credito mi espone a questi rischi, perché averla? Perché offre anche certi vantaggi. Uno immediato è quello che contraddistingue ogni prestito: spostare il tempo (time-shifting) dei pagamenti. Utilizzare il denaro di altri, anche a breve termine, può spesso essere preferibile perché consente di mantenere i propri soldi disponibili per altri scopi - è il principio base della leva finanziaria. Ci sono almeno altri tre vantaggi specifici nel disporre di una carta di credito piuttosto che del denaro contante. Il primo è quello del filtro. Una carta di credito crea una barriera tra il venditore e i miei soldi. Quanto meno, infatti, le società di carte di credito sono brave a gestire le frodi, e creano una difesa tra i truffatori e il mio denaro. In quasi tutti i casi, infatti, i contratti che regolano il rilascio di una carta di credito sono tali per cui non sono ritenuto responsabile in caso di un uso non autorizzato della mia carta di credito. E a differenza di una carta di debito, l'uso non autorizzato non influisce sul mio conto bancario, e quindi avrò ancora i miei soldi se mi capita di averne bisogno per qualcos'altro nello stesso giorno in cui qualcuno usa senza autorizzazione il conto della mia carta di credito. Se pago con una carta di credito e in seguito ho un problema con il venditore, sono più tutelato. Se il venditore si rifiuta di fornire un rimborso quando sarebbe tenuto, si può chiedere alla società della carta di credito di annullare l'addebito. In tal caso il venditore è incentivato a cercare una soluzione con noi alla questione perché se tali richieste di annullamento si ripetono, possono nascere problemi per la sua impresa. Il secondo principale vantaggio è dato dalle garanzie e dalle protezioni estese offerte da una carta di credito. Nella maggior parte dei casi, infatti, comprare un prodotto o un servizio mediante carta di credito mi fornisce automaticamente più scelte se ho problemi con l'acquisto. Molte carte di credito estendono la garanzia del produttore. Alcune offrono la protezione dell'acquisto. In certi casi, le carte di credito offrono la protezione del prezzo 16
di acquisto: se un venditore abbassa il prezzo di un prodotto entro un certo periodo di tempo dopo averlo acquistato, la banca mi rimborserà alcune o tutte le differenze di prezzo. Il terzo vantaggio è quello dei premi della carta di credito. Al fine di avere più utenti e più transazioni con carta di credito, le banche offrono una varietà di incentivi per incoraggiare i nuovi clienti ad avere e usare frequentemente una carta di credito (bonus di iscrizione, premi cash, voucher). Rischi e benefici, manipolazione del tempo, ricerca costante del profitto, e anche protezione dalle truffe, mutua fiducia: la finanza è tutto questo e altro. Ma che cos'è la finanza? Da dove viene? E soprattutto: che cosa sta diventando e dove ci sta portando?
Perché la finanza. Perché la filosofia La finanza e una delle più grandi forze trasformatrici della realtà socioeconomica del nostro tempo. Ma, di nuovo, che cos'è la finanza? Nel corso di questo libro cercheremo di fornire una risposta articolata, ma in prima battuta possiamo darne una piuttosto semplice: la finanza e un'innovazione tecnologica. È uno strumento che apre nuove possibilità per la vita e la prosperità di imprese, Stati e individui. Per alcuni, non solo è una grande innovazione tecnologica, ma è a sua volta il propulsore di altre cruciali innovazioni tecnologiche. Secondo questa visione della finanza, la storia dell'umanità e anche e soprattutto una storia finanziaria, perché «dietro ogni grande fenomeno storico c'è un segreto finanziario» : senza le possibilità aperte dal sistema finanziario e la sua evoluzione, sarebbe stato impossibile raggiungere certi traguardi per la civiltà umana. Per esempio, l'evoluzione del credito e del debito «è stata importante quanto altre innovazioni tecnologiche nell'ascesa della civiltà, dall'antica Babilonia all'odierna Hong Kong. Le banche e il mercato obbligazionario hanno fornito la base materiale per gli splendori del Rinascimento italiano. La finanza aziendale è il fondamento indispensabile sia dell'impero olandese sia di quello britannico, proprio come il trionfo degli Stati Uniti nel ventesimo secolo è inseparabile dai progressi in materia di assicurazioni, finanza ipotecaria e credito al consumo. E forse sarà proprio una crisi finanziaria a segnalare il crepuscolo del primato mondiale americano» . 03
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Come molte innovazione e strumenti tecnologici ideati dall'uomo, anche la finanza ha costi e benefici, e porta con sé rischi insieme a opportunità. Per questo una riflessione su che cosa essa sia, come stia cambiando e dove ci stia portando è quanto mai opportuna, se non necessaria. Ma che cosa c'entra la filosofia con la finanza? La risposta, anche in questo caso, è piuttosto semplice: una indagine filosofica infatti è probabilmente una delle poche cose davvero sensate che si possa fare sulla finanza, oggi più che mai. E c'è un motivo preciso e profondo: non solo mai come ora le teorie sulle dinamiche finanziarie proliferano (lo vedremo nel Capitolo 3), ma soprattutto in nessun'altra disciplina, teoria e pratica sono così interconnesse come in finanza (ne parleremo nel Capitolo 6). Inoltre, queste teorie finanziarie affondano le proprie radici in riflessioni filosofiche, che forniscono loro la base concettuale su cui costruiscono, implicitamente o esplicitamente, ipotesi, modelli e strumenti. Per questo, capire la filosofia della finanza può aprirci la strada verso una comprensione profonda di un'epoca segnata dal ruolo dominante della finanza, delle sue trasformazioni e degli strumenti che utilizza. Questo richiede di andare oltre la semplice analisi di filosofie d'investimento (se ne parlerà nel Capitolo 8), ossia le strategie per tentare di fare profitti, e che sono il risultato dell'implementazione di modi di interpretare i mercati. Anche se esse possono giocare un ruolo di rilievo nella comprensione dei mercati finanziari, l'obiettivo di questo libro è quello di comprendere come e quanto la filosofia abbia plasmato l'economia e la finanza, e come queste a loro volta influenzino profondamente e sempre più la vita collettiva e individuale di tutti noi. Soprattutto, accanto a un'indagine su come la finanza storicamente sia sorta, si sia evoluta e quale sia stato il suo ruolo per la civiltà umana, e sempre più attuale una riflessione su che cosa essa potrebbe o dovrebbe essere, come potrebbe o dovrebbe evolversi, e quale potrebbe o dovrebbe essere il suo ruolo per la civiltà umana. Poiché questo libro intende fornire una introduzione e una guida alla finanza che si concentri su questi aspetti più filosofici, alcuni argomenti tecnici saranno affrontati più velocemente, nella misura in cui il loro richiamo è propedeutico a una trattazione teorico-critica del sistema finanziario.
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La guerra dei mondi? Chi pensa che finanza e filosofia siano due mondi separati, la prima pragmatica e dedita al profitto, la seconda volta alla speculazione pura e disinteressata, rimarrà forse sorpreso nello scoprire che le cose non stanno proprio così e che uno dei primi filosofi occidentali fu anche uno dei primi operatori e innovatori finanziari in senso stretto (un option trader diremmo oggi). Talete di Mileto, uno dei «sette saggi menzionati da Platone, filosofo greco che è alle radici del pensiero occidentale, riunì infatti filosofia e finanza con successo, come risulta dal famoso aneddoto dei frantoi di Talete, tramandatoci da Aristotele nella Politica. Secondo questo racconto, Talete era oggetto di critica e scherno da parte dei suoi concittadini per lo stato di povertà e disattenzione in cui viveva, le quali, a loro detta, erano una conseguenza della pratica delle sue idee filosofiche. Talete, secondo i denigratori, era l'esempio vivente dell'inutilità della ricerca teoretica e della filosofia. Egli decise allora di dare una prova del contrario. Quando era ancora inverno, grazie alle conoscenze astronomiche e scientifiche frutto della sua indagine filosofica, arrivò a ipotizzare un abbondante raccolto di olive. A quel punto, dopo aver raccolto una modesta somma di denaro, la impiegò per affittare tutti i frantoi di Mileto e della vicina isola di Chio a un prezzo basso, in un momento in cui non vi era molta richiesta, distribuendo dei piccoli anticipi sui guadagni futuri, che si sarebbero verificati se la sua previsione si fosse rivelata corretta. Se tale previsione era esatta, infatti, la piccola somma di denaro si sarebbe trasformata in un grande profitto durante la stagione della raccolta delle olive, poiché avrebbe potuto affittare i frantoi in regime di monopolio, al prezzo per lui più conveniente. Non rimaneva altro da fare che aspettare l'estate e vedere se la sua previsione fosse corretta. L'estate arriva, i raccolti si rivelano molto abbondanti e il filosofo, come da previsione, si arricchisce. In sostanza, Talete ha fatto ricorso a quello che oggi definiamo uno strumento «derivato»: mediante la distribuzione di piccoli anticipi su futuri guadagni, infatti, si è garantito un'«opzione», il cui «sottostante» era l'utilizzo dei frantoi, al verificarsi di certe condizioni. L'episodio, per quanto aneddotico, ci fornisce l'occasione per riflettere sulla connessione tra filosofia, economia e finanza. Il caso di Talete non è infatti isolato. Come ci ricorda la filosofa statunitense Martha Nussbaum, la storia del pensiero occidentale è ricca di esempi di insigni economisti che sono stati 19
o sono anche filosofi: senza scomodare Aristotele, basti pensare a Adam Smith, Jeremy Bentham, John Stuart Mill, Henry Sidgwick, John Maynard Keynes, o, più recentemente, Amartya Sen. Inoltre, «l'economia è nata dalla filosofia» e proprio il progressivo allontanamento della filosofia dall'economia, fino ad arrivare in alcuni casi a una totale assenza della filosofia, è uno dei principali motivi per cui, in molti casi, non si sono fatti reali progressi intellettuali in economia. Per esempio, 05
trattazioni di questioni come il benessere e lo sviluppo prodotte senza la partecipazione attiva e continua della filosofia, lasciano molto a desiderare. Intraprendere un lavoro serio su queste questioni fondamentali non è come bere un bicchier d'acqua, perché appunto sono fondamentali, e una volta che un economista si è davvero scontrato con esse, potrebbe venir fuori che qualche risultato che sembrava buono dovrà essere rivisto. Inoltre, poiché diversi dibattiti filosofici non sono risolti, affrontarli può portare a un pluralismo metodologico in economia molto più ampio di quanto molti economisti, se non la maggior parte, considererebbero desiderabile . 06
La filosofia offre le basi e la cornice entro le quali costruire teorie economiche e finanziarie, ponendo questioni come che cosa sia una scelta razionale o che cosa sia un attore finanziario. Nonostante questo, «oggi viviamo in un mondo in cui l'economia ha un prestigio enorme, mentre la filosofia (insieme a tutte le discipline umanistiche) gode di un prestigio relativamente basso» . 07
Ovviamente questa è una faccia della medaglia, ossia che cosa la filosofia può fare per la finanza. Esiste anche l'altra faccia, ossia che cosa la finanza può offrire alla filosofia. In effetti, come avremo modo di vedere, le caratteristiche dei fenomeni finanziari sono tali da contribuire al dibattito filosofico su più argomenti. Giusto per fare due esempi, la finanza solleva questioni interessanti sulla relazione tra dati e ipotesi, oppure sulla relazione fra le tre classiche nozioni quali spiegazione, predizione e controllo. Che cos'è dunque la finanza? Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto esaminare da un punto di vista concettuale il presupposto sul quale essa si basa: il denaro. Il sistema finanziario è infatti considerato come una estensione del sistema monetario e dei vantaggi che esso offre. Il principale di questi vantaggi è il superamento del baratto (il mero scambio di merce con merce) e dei suoi 20
limiti. Che cos'è dunque il denaro? A questa domanda di natura ontologica sono state date varie risposte mediante la costruzione di teorie alternative, per esempio la teoria quantitativa o quella dei cambi commerciali . Due di queste teorie sono particolarmente accreditate ancora oggi: 08
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il denaro come merce, ossia un oggetto fisico; il denaro come credito/debito, ossia un oggetto astratto e socialmente costruito. La prima teoria risale almeno al filosofo greco Aristotele, il quale nella Politica sostiene che il denaro è una forma di merce che accelera e ottimizza le possibilità di scambio, quello scambio che è essenziale per la vita delle persone perché permette loro di perseguire l'autosufficienza: «di tutto si può fare scambio: esso trae la prima origine da un fatto naturale, ossia che gli uomini hanno di alcune cose più del necessario, di altre meno». Infatti, egli afferma che «ogni oggetto di proprietà ha due usi: entrambi appartengono all'oggetto per sé, ma non allo stesso modo: l'uno è proprio, l'altro non è proprio dell'oggetto». Per esempio, «la scarpa può essere usata sia come calzatura sia come mezzo di scambio. Entrambi sono modi di usare la scarpa: così chi baratta un paio di scarpe con chi ne ha bisogno in cambio di denaro o di cibo, usa la scarpa in quanto scarpa, ma non secondo l'uso proprio, perché la scarpa non è fatta per lo scambio. Lo stesso vale per gli altri oggetti di proprietà». In particolare, nel baratto gli esseri umani «scambiano oggetti utili contro oggetti utili ma non vanno al di là di questo, per esempio dando o prendendo vino contro grano, e così via per ogni altro genere di tali prodotti», e questo scambio è naturale giacché tende «a completare l'autosufficienza voluta da natura». Il baratto però funziona sotto precise condizioni, ossia quando vi è una mutua coincidenza di desideri, per la precisione quando A vuole ciò che B ha a disposizione e, a sua volta, B vuole ciò che A ha a disposizione. Ma poiché tali coincidenze sono rare, un'economia fondata sul baratto risulta essere ingolfata e inefficiente . Quindi, continua Aristotele, «quando l'aiuto cominciò a venire da terre più lontane, mediante l'importazione di ciò di cui si aveva bisogno e l'esportazione di ciò che si aveva in abbondanza, s'introdusse di necessità l'uso della moneta». In effetti, «non si può 11
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trasportare facilmente tutto ciò che serve alle necessità naturali e quindi per effettuare il baratto ci si accordò nel dare e prendere qualcosa che, essendo di per sé utile, fosse facile da usare nei bisogni della vita, come il ferro, l'argento e altri metalli del genere, definito dapprima alla buona mediante grandezza e peso, mentre più tardi ci impressero anche uno stampo per evitare di misurarlo -e lo stampo fu impresso come segno della quantità». Gli esseri umani, a un certo punto, si rendono dunque conto che è molto più facile commerciare ricorrendo a un bene intermedio, il denaro appunto. Secondo la teoria classica del denaro si passa dunque, anche storicamente, da un'economia basata sul baratto a una basata su un mezzo di scambio intermedio, che migliora la precedente. Senza il denaro, infatti, le possibilità di fare scambi sarebbero drasticamente ridotte, con danni per tutti. Il bene intermedio, però, deve avere certe caratteristiche che lo rendano adatto a svolgere tale funzione: quindi «il denaro deve essere disponibile, conveniente, durevole, fungibile, portatile e affidabile. Poiché soddisfano la maggior parte di questi criteri, i metalli come l'oro, l'argento e il bronzo sono stati considerati per millenni come la materia prima monetaria ideale» . Riassumendo, secondo la teoria classica il denaro deve essere: 12
facile da maneggiare, immagazzinare e trasportare; facile da misurare e dividere al fine di facilitare i calcoli; difficile da distruggere, in modo che duri nel tempo. In altre parole, come già anticipato da Aristotele, il denaro è un mezzo di scambio, un'unità di conto e una riserva di valore. Inoltre, il valore del denaro, per esempio di una moneta, è legato a quello del materiale (il metallo) di cui è composto. L'evoluzione e la storia del denaro possono essere viste come un processo di progressivo miglioramento e ottimizzazione di tali funzioni. Per esempio, mentre alcune società primitive usavano certi beni di consumo di base come forma di denaro, quali il bestiame o il grano, altre società impiegarono materie prime che erano più facili da gestire e conteggiare, ma con un valore più indiretto, come conchiglie o metalli preziosi. Altre ancora si sono poi concentrate su quello che è l'archetipo del denaro, vale a dire le monete d'oro o d'argento e per questo motivo tale teoria è talvolta definita metallismo , a cui si contrappone, come avremo modo di accennare, la teoria nota come cartalismo. La moneta, dunque, rappresenta un 13
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miglioramento del lingotto in quanto la quantità e la purezza sono garantite da terze parti, tipicamente uno Stato. Infine, la carta moneta può essere vista come una semplificazione del commercio di monete. Per esempio, una nota bancaria emessa dalla Banca d'Inghilterra nel 1700 era una promessa di pagare al portatore un certo peso (pound) di argento (sterling), da qui l'origine del nome della valuta britannica, pound appunto. Questa concezione del denaro, per quanto possa apparire naturale, è stata oggetto di critiche sotto il profilo sia concettuale sia storico. Dal punto di vista concettuale, un difetto contestato è che essa non riesce a render conto in modo adeguato di fenomeni monetari come l'inflazione, oppure del valore decrescente del denaro nel tempo . Per esempio, come fa il metallismo a spiegare la grande inflazione elisabettiana, ossia l'aumento costante dei livelli dei prezzi in Europa tra gli anni 1480 e 1650, e la conseguente diminuzione del potere d'acquisto della moneta? 14
Una risposta, fornita da Ricardo, è che la grande inflazione elisabettiana sorse a seguito di un cambiamento tecnico nella produzione e acquisizione dell'oro in quel periodo. Questo genere di cambiamenti di norma è prodotto dalla scoperta improvvisa di tecniche più economiche per produrre un bene o di sue nuove fonti a buon mercato. Nel caso dell'oro, il cambiamento tecnico fu innescato da due eventi: la scoperta di nuove abbondanti miniere in America e l'azione dei pirati inglesi sui carichi della Tierra Firme dell'impero spagnolo (l'entroterra costiero attorno al Mar dei Caraibi e nel Golfo del Messico). Questi eventi fecero sì che grandi quantitativi di oro e argento arrivassero in Europa e in Inghilterra in particolare. Non era più indispensabile costruire grandi e costose miniere nelle profonde montagne tedesche, in quanto si poteva ottenere la stessa quantità di oro e argento con navi a buon mercato e ben armate. La conseguente drastica diminuzione del costo dell'oro generò una decisa riduzione del suo costo di produzione. Poiché a questo punto il prezzo del denaro (l'oro) è maggiore del suo costo di produzione, il settore dell'oro generò profitti in eccesso. Gli alti profitti, continua Ricardo, indussero maggiori introiti nel settore della produzione dell'oro (vale a dire, maggiori conquiste in America, sfruttamento più intensivo delle miniere andine ecc.) e tutto ciò, a sua volta, portò altri grandi quantitativi d'oro, con conseguente erosione del potere d'acquisto della moneta e innalzamento dei livelli dei prezzi. Dal punto di vista storico, studi critici recenti avanzano l'ipotesi che, diversamente da quanto sostenuto dalla teoria classica, non sarebbe vero 23
che sia venuto prima il baratto e poi il denaro, ma piuttosto che il denaro sia sorto per tenere traccia di rapporti di credito preesistenti . 15
Aristotele, sempre nella Politica, ci ricorda che «taluni considerano la moneta un non senso, una semplice convenzione legale, senza alcun fondamento in natura, perché, cambiato l'accordo tra quelli che se ne servono, non ha più valore alcuno e non è più utile per alcuna delle necessità della vita, e un uomo ricco di denari può spesso mancare del cibo necessario: certo, strana davvero sarebbe tale ricchezza, che, pur se posseduta in abbondanza, lascia morire di fame, come appunto tramanda il mito di quel famoso Mida, il quale, per il voto suggerito dalla sua insaziabilità, trasformava in oro tutto quanto gli si presentava». Tale osservazione, secondo cui il denaro non sarebbe altro che una costruzione sociale, ci porta all'altra principale teoria sulla natura del denaro, quella del denaro come debito/credito. Questa teoria sostiene che il denaro è una entità, o meglio un simbolo (token), che esprime semplicemente una relazione creditizia/debitoria. Nella fattispecie, simboleggia una promessa da parte di qualcuno di concedere (o rimborsare) un favore (un prodotto o servizio) al detentore del simbolo . Per funzionare come moneta, questo simbolo deve possedere almeno due caratteristiche, credibilità e trasferibilità, ossia: 16
la promessa è sufficientemente credibile, ossia l'emittente del simbolo è affidabile; il credito e trasferibile, ossia anche altri lo accetteranno come pagamento in uno scambio. L'emittente di denaro storicamente ritenuto più affidabile è lo Stato, e la teoria che sostiene che solo gli Stati possano emettere denaro è chiamata cartalismo, o teoria statale del denaro . 17
Questa teoria ha il pregio di fornire una spiegazione del cosiddetto fiat soldi , ossia del fatto che il denaro possa essere sottoscritto dallo Stato, anche se non è interamente riscattabile sotto forma di una merce, quale oro o argento. 18
La teoria del denaro come credito/debito, a sua volta, è stata oggetto di critiche. Le principali mettono in evidenza come essa possa di fatto finire per alimentare il rischio di una espansione eccessiva del denaro, ossia che coloro 24
che emettono denaro (Stati o banche) possano abusare delle loro capacità di stampare moneta, generando livelli di indebitamento insostenibili, inflazione eccessiva, instabilità finanziaria e crisi economiche. Questo spinge qualcuno a invocare un ritorno al gold standard, ma altri sostengono che la teoria del denaro come oggetto costruito socialmente è il miglior punto di partenza per lo sviluppo di un regime monetario più sostenibile ed equo. In questo filone si inserisce la novità teorica e tecnologica della moneta elettronica, il cui prototipo più famoso è la criptovaluta nota come Bitcoin. Una moneta elettronica è una forma di denaro non fisica, ma digitale, ossia è un insieme di bit conservati in una memoria digitale e che può essere usata solo grazie a un dispositivo elettronico connesso a internet. Ovviamente una gran parte dell'economia è regolata da operazioni mediante moneta non fisica. Carte di credito o sistemi come PayPal, per esempio, consentono di effettuare transazioni senza soldi fisici garantite dalle banche. I Bitcoin (BTC) sono un modo decentralizzato di originare moneta, che non ha bisogno di Stati o banche: la gestione delle transazioni e l'emissione di Bitcoin viene effettuata collettivamente dalla rete. Bitcoin infatti è open-source, la sua progettazione è pubblica, e nessuno possiede o controlla Bitcoin. Per creare o guadagnare Bitcoin, ossia denaro, bisogna «minarli». I Bitcoin vengono generati in automatico all'interno di una rete che gestisce tale moneta, distribuita online in modo del tutto casuale. Dunque, minare BTC vuole dire ottenere Bitcoin generati dalla rete e distribuiti online. I BTC vengono estratti da blocchi di transazioni detti «miniere», ossia potenti centri di calcolo che rendono valide le transazioni che generano un nuovo ammontare di BTC. Per fare ciò occorrono computer potenti e con una grande capacità di calcolo: i miner sono coloro i quali li mettono a disposizione e che vengono poi pagati in criptovaluta. I Bitcoin hanno vari vantaggi: oltre a essere decentralizzati, non essendoci intermediari non ci sono commissioni per le operazioni e gli scambi sono anonimi poiché nei portafogli degli utenti compare solo un codice identificativo di 33 cifre per ogni operazione. L'architettura dei Bitcoin ha tuttavia una debolezza. Il numero totale dei Bitcoin è limitato a 21 milioni (non sono ancora stati immessi tutti sul mercato). Raggiunto il limite dei 21 milioni non ne saranno immessi altri per mettere al riparo dal rischio di inflazione. Tuttavia, proprio perché c'è un limite superiore e perché per poter minare servono grandi attrezzature, nel lungo termine c'è il rischio che i Bitcoin si concentrino nelle mani di pochi e 25
ricchi gruppi, quelli che appunto hanno le risorse finanziarie per fare mining. Dopo questa breve rassegna sulle varie concezioni del denaro, inteso quale presupposto del sistema finanziario, possiamo riproporre la domanda da cui siamo partiti, ossia che, cosa sia, e a che cosa serva, l'innovazione tecnologica chiamata finanza, e dare una risposta più articolata.
Fenomenologia della finanza La finanza è una emanazione dell'economia di mercato. Per questo la filosofia dell'economia è un presupposto dell'indagine filosofica della finanza. Per rispondere alla domanda su che cosa sia la finanza bisogna innanzitutto chiarire che cosa sia il mercato. L'economia (economy) è lo stato di un paese o di una regione in termini di produzione e consumo di beni, servizi e di fornitura di denaro. L'economia, intesa quale teoria (economia), è la scienza sociale che studia i fattori che determinano la produzione, la distribuzione e il consumo di beni e servizi. Una delle funzioni centrali della teoria economica è quella di dare ragione dell'apparente caos del comportamento umano, cercando di rispondere a domande come: perché, nello Specifico, le persone fanno certe scelte? Perché le persone fanno scelte diverse?- Perché la stessa persona fa scelte diverse in momenti diversi? In che modo tutte queste scelte individuali si conciliano in contesti sociali? Un modo di rispondere a questa domanda è quello della teoria neoclassica, che analizza fondamentalmente come gli individui, soggetti a vincoli, facciano delle scelte cercando di massimizzare qualcosa. La teoria presuppone inoltre la scarsità di risorse. Un mercato è un sistema di coordinamento sociale e viene tipicamente definito come un luogo, anche virtuale, dove si incontrano domanda e offerta, ossia dove acquirenti e venditori interagiscono in via diretta oppure tramite intermediari al fine di scambiare beni, servizi, contratti o strumenti, mediante denaro o baratto . In particolare, i mercati includono meccanismi o mezzi per assolvere quattro principali funzioni: 19
determinare il prezzo dell'oggetto negoziato; comunicare le informazioni sui prezzi; agevolare gli scambi e le transazioni;
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effettuare la distribuzione. Inoltre, il mercato di un particolare bene è costituito dai clienti, reali e potenziali, che ne hanno bisogno e hanno la capacità e la volontà di pagare per averlo. Uno dei presupposti per l'esistenza di un mercato è il fatto che i diversi investitori di norma hanno valutazioni diverse dei beni oggetto di scambio. La finanza è un modo di fare mercato. Più in dettaglio, il sistema finanziario è uno strumento per portare risorse economiche e denaro dove è più necessario: questa è l'essenza della finanza. Allocare il risparmio, spostarlo da dove ha origine a dove è impiegato per consumi, investimenti o spese pubbliche implica la ridistribuzione delle risorse tra individui, raggruppamenti sociali, imprese, settori di attività, località. La distribuzione è particolarmente importante in quanto riguarda la dimensione temporale, e quindi il rapporto tra presente e futuro, e la valutazione di rischi e potenzialità. Se i finanziamenti non esistessero, le risorse resterebbero dove sono state create e non sarebbero utilizzate, rimanendo a persone che attualmente non ne hanno bisogno e privando chi invece ne ha esigenza. E infatti dove la finanza è sottosviluppata, di norma i consumi e gli investimenti duraturi sono monopolizzati da chi detiene il potere e la ricchezza per accedervi e dalle fasce più anziane della popolazione. La finanza svolge quindi un ruolo redistributivo, di cui spesso beneficiano startup, piccole aziende o giovani coppie. Gli aspetti legati al rischio sono particolarmente rilevanti nell'allocazione delle risorse finanziarie. In tutti i contratti finanziari vi è un elemento di valutazione e protezione del rischio. Un mercato finanziario ben funzionante consente la condivisione, il trasferimento e il commercio del rischio. In questo senso la finanza garantisce la massimizzazione delle opportunità presenti e future. Ogni volta che c'è un rischio, c'è infatti anche un'opportunità. Fidarsi della capacità di innovare di persone, imprese e istituzioni, creare ricchezza e generare flussi di reddito futuro è una formidabile leva di dinamismo e imprenditorialità in un'economia o una società. Valutare la capacità di idee e progetti di produrre frutti in futuro e promuovere il ruolo del merito nella concorrenza, nell'interscambio sociale e nelle transazioni: questi sono alcuni dei compiti più impegnativi e gratificanti per chi opera nella finanza. Dare alle persone opportunità e incoraggiare il talento e l'impegno è un'altra caratteristica importante del fine della finanza. Nella misura in cui la finanza assolve il suo ruolo nel fornire protezione e 27
opportunità, nell'assegnare risorse in modo efficace e nell'incoraggiare lungimiranza e precauzione, introduce nel mondo dell'impresa un elemento di bene pubblico, o quasi-pubblico: un sistema finanziario ben funzionante e sviluppato fa parte dell'infrastruttura pubblica essenziale di una nazione e del suo capitale sociale. La finanza è nello specifico un modo di accelerare e ottimizzare le quattro funzioni base di un mercato. Per far ciò, essa analizza innanzitutto il futuro e i rischi (i possibili danni) che esso comporta. Già, ma quale futuro? E quali rischi? Un futuro potenziale, che la finanza, «sconta» oggi, ossia che rende attuale. In altre parole, la finanza studia i possibili scenari economici futuri e sulla base di questi stabilisce oggi il valore di un bene o capitale posto nel futuro. I rischi possono essere vari ed è per questo che la concettualizzazione di tale nozione occupa un posto centrale non solo nella scienza finanziaria, ma in tutte le scienze sociali. La finanza ha contribuito non poco a questa concettualizzazione e al suo raffinamento (si vedano i Capitoli 4 e 9). La finanza, come ho già accennato, è declinabile più in dettaglio come una estensione del sistema monetario. La sua funzione primaria infatti è quella di incanalare fondi verso individui, aziende, o Stati, al fine di consentire loro di utilizzarli nei modi più produttivi per progetti meritevoli, generando profitti e benefici. Sotto questo aspetto, il sistema finanziario ha almeno due funzioni principali: mantenere un sistema di pagamenti efficace e agevolare un uso efficiente del denaro. Questa seconda funzione richiede la costruzione di almeno due tipi di architetture finanziarie. La prima mette in relazione coloro che hanno denaro in eccesso (ossia risparmiatori e investitori) con coloro che ne hanno bisogno (mutuatari, imprese). Il compito di norma viene espletato dall'intermediazione finanziaria (le banche) o dai mercati finanziari (come i mercati azionari o obbligazionari). La seconda architettura crea e ottimizza opportunità per i partecipanti al mercato di acquistare e vendere denaro. Il compito di norma viene espletato mediante l'invenzione di prodotti finanziari, o attività (asset), che sono costruiti in modo tale da avere caratteristiche diverse in base a diversi livelli di rischio, ritorno e maturazione. Infatti, destinare e incanalare fondi comporta un rischio: non è facile individuare quali soggetti o quali progetti 28
siano più meritevoli di essere finanziati e abbiano più possibilità di successo. L'investimento, inoltre, potrebbe andar male per motivi indipendenti dalle capacità sia di chi fornisce sia di chi utilizza i fondi. Il sistema finanziario è dunque uno strumento per affrontare, o minimizzare, i rischi derivanti da queste attività. Per questo motivo l'intermediazione finanziaria mira continuamente a costruire e raffinare modi di distribuire il denaro degli investitori su più attività con diversi profili di rischio. Il sistema finanziario moderno può quindi essere visto come un'infrastruttura costruita per agevolare le transazioni di denaro e altre attività finanziarie, e nel far questo mette insieme sia enti privati (banche commerciali, compagnie assicurative, fondi di investimento) sia enti pubblici (banche centrali e autorità di regolamentazione). Accanto a questa funzione primaria, che di norma è a medio-lungo termine, il sistema finanziario offre la possibilità di speculazioni nel senso più stretto, ossia di scommesse ad alto rischio e a breve termine. Tale aspetto è spesso criticato e viene indicato come il dark side della finanza e il motivo è facilmente immaginabile: la speculazione produce infatti fluttuazioni sensibili dei prezzi di beni e titoli che possono arrecare danni ai mercati, soprattutto alle loro parti più deboli. Inoltre, introduce una cultura basata sul pensiero a breve termine che può avere effetti socioeconomici distruttivi. Vi è tuttavia chi fa notare che la speculazione può avere anche un ruolo positivo, in quanto: può essere utilizzata per coprire o compensare i rischi di investimenti a più lungo termine, e contribuisce a sostenere la liquidità del mercato, ossia, è uno strumento che mette le controparti di un mercato nelle condizioni di poter fare scambi (comprare o vendere) in qualsiasi momento. Questo aspetto, a sua volta, è importante per la determinazione di prezzi efficienti, ossia di prezzi che siano davvero in linea con la credibilità, utilità e bontà dei titoli o beni scambiati . 20
Uno dei primi requisiti necessari affinché un mercato possa esistere, e le negoziazioni avere luogo, è che i diversi attori abbiano valutazioni diverse delle attività finanziarie e del loro prezzo. Come afferma lo scrittore statunitense William Feather, «una delle cose divertenti dei mercati finanziari è che ogni volta che una persona compra, un'altra vende, ed 29
entrambe pensano di essere astute». Il sistema finanziario contribuisce dunque in modo essenziale alla «scoperta del prezzo» di un titolo o bene, ossia alla determinazione del prezzo più appropriato. Questa è una delle funzioni e dei vantaggi principali che offre: gli investitori valutano titoli o beni sulla base delle informazioni a loro disposizione e quindi fanno offerte per acquistarli o venderli, determinando così il loro prezzo sul mercato. In questo senso il fine ideale dei mercati finanziari è quello di formare («scoprire») prezzi che riflettano tutte le informazioni disponibili su un'attività, offrendone così la migliore valutazione possibile. Anche tale aspetto ha un rovescio della medaglia: scoprire il prezzo giusto è così importante che alcuni operatori finanziari si spingono fino all'insider trading per cercare di conoscerlo e trarne vantaggio prima degli altri (si veda nel Capitolo 9 il paragrafo dedicato). Le attività finanziarie, come abbiamo visto nel Prologo, essenzialmente sono promesse di futuri pagamenti in denaro. Oggi questo sistema di promesse è diventato così pervasivo da rendere il sistema finanziario l'infrastruttura centrale delle moderne economie e società e di conseguenza il sistema economico è segnato dal crescente dominio del capitale finanziario e dai sistemi di intermediazione finanziaria. Non è una affermazione esagerata, o lo e sempre meno, asserire che la società post-moderna è caratterizzata da un processo di crescente, se non totale, «finanziarizzazione» di ogni suo aspetto (si veda il Capitolo 2). Non a caso, il sistema finanziario è uno dei sistemi di interazione sociale più globalizzati attualmente esistenti. Questo fatto solleva delle questioni filosofiche profonde. La prima è se il sistema finanziario debba rispondere a criteri di giustizia sociale e, in caso di risposta affermativa, se adempia davvero a un tale dovere, ossia se contribuisca a rendere il mondo più giusto, oppure se tenda a spingerlo nella direzione Opposta o sia neutrale. Se la finanza deve rispondere a doveri di giustizia, allora un'analisi della relazione che essa ha con l'etica (ne parleremo nel Capitolo 9), la politica (lo vedremo nel Capitolo 10) e l'esercizio del potere (ne tratteremo nel Capitolo 11) diventa essenziale per definire e costruire meglio il suo ruolo all'interno della società e far sì che possa contribuire in modo produttivo al benessere e al progresso degli esseri umani.
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Un'altra questione, che segue da questa, è l'effetto di certe pratiche finanziarie sui soggetti più deboli. Come abbiamo già sottolineato, i diversi investitori hanno valutazioni diverse delle varie attività finanziarie e questo è il presupposto per l'esistenza di un mercato. Tuttavia, nella misura in cui gli attori finanziari acquistano e vendono azioni sul mercato azionario, non si impegnano (solo) con le società sottostanti titoli o beni, ma piuttosto con altri attori finanziari (investitori). Il fenomeno, tipico dei mercati finanziari, fa si che il processo di scoperta del prezzo non dipenda solo dalla credibilità o dalla forza della promessa sottostante i titoli (ossia dai flussi finanziari generati dall'attività), ma anche, e in alcuni casi soprattutto, dalla trasferibilità o popolarità di un titolo all'interno del mercato, ovvero da quanti altri investitori sono interessati all'acquisto del bene. In altre parole, i fondamentali - redditività, ricavi, attività, passività e potenziale di crescita di una società - possono essere influenzati dalle percezioni che gli investitori hanno di essi, un fenomeno noto come «riflessività» . Questa relazione può generare dinamiche prettamente speculative, le quali, a loro volta, possono produrre fluttuazioni dei prezzi nei mercati che non hanno a che fare con i fondamentali dell'entità che emette i titoli. Fluttuazioni di tale natura possono danneggiare in modo sproporzionato i paesi o gli attori finanziari più deboli, che sono più vulnerabili ai movimenti di capitali o ai rapidi cambiamenti dei prezzi delle materie prime. 21
L'ontologia dinamica della finanza Il mondo della finanza è popolato da diverse entità finanziarie, dove per entità finanziaria si intende un ente che effettua operazioni di intermediazione finanziaria: concessione di crediti e prestiti, investimenti di capitale, assicurazioni. I servizi di intermediazione si basano principalmente sulla raccolta di fondi (passività) e sul loro successivo collocamento (attività), guadagnando un profitto dallo spread tra le due, ossia dalla differenza trai tassi d'interesse applicati ai soldi prestati e a quelli depositati. Con l'attuale crisi finanziaria, i margini dei servizi interbancari sono notevolmente aumentati (rischio di credito), il che ha limitato l'uso di queste operazioni. D'altra parte, le entità finanziarie ottengono profitti anche accogliendo commissioni da altri servizi (operazioni neutrali): le principali commissioni tassano il mezzo di pagamento offerto dalle entità finanziarie - carte, assegni, trasferimenti ecc. I principali enti finanziari sono le banche (di intermediazione, di 31
investimento, di risparmio), le compagnie di assicurazione, le banche centrali, i fondi (pensione, di investimento). Questi enti sono anche noti come istituzioni finanziarie e hanno diverse funzioni, ruoli e ambiti, volti a creare un sistema di pesi e contrappesi che garantisca il buon funzionamento del sistema finanziario. La distinzione tra questi enti tuttavia si va attenuando, fatto che può destare preoccupazione e innescare interessenze le cui conseguenze sono difficili da prevedere. Per esempio, alcune banche centrali (tra cui quella giapponese e svizzera) sono diventate player, ossia investono sui mercati, assomigliando sempre più a una banca di investimento. Non solo acquistano oro, ma anche azioni di società come Google, Apple, Facebook, Microsoft. Il fatto che una banca centrale detenga azioni di società sul mercato può comportare varie complicazioni: l'idea che un'impresa privata sia anche parzialmente diretta da una banca centrale è piena di potenziali conflitti di interesse ed è in contrasto con il modo in cui la maggior parte delle nazioni sviluppate hanno concepito negli ultimi decenni il rapporto tra mercati e istituzioni statali. Per esempio, i mercati azionari possono vivere drammatici movimenti al ribasso e la vendita dei titoli da parte di una banca centrale in preda al panico potrebbe spingere altri a seguirla e accelerare la flessione del mercato azionario: durante eventi del genere per equilibrare la situazione le banche centrali di solito cercano di aggiungere liquidità al mercato, non di rimuoverla. In altri casi, le banche centrali potrebbero influenzare i prezzi delle azioni se decidono di ridurre le loro partecipazioni. Inoltre, dato che le banche centrali possono effettivamente creare valuta, l'idea della conversione immediata del denaro in azioni societarie potrebbe innescare processi d'inflazione. Il fatto che la distinzione tra questi enti si vada attenuando, che i loro ruoli, relazioni e confini siano sfumati, crea un problema perché se abbiamo una ontologia così dinamica e liquida diventa difficile identificare e raggiungere forme di equilibrio. L'ontologia, in sostanza, è lo studio della natura e delle relazioni degli enti di un certo dominio e mira dunque a fornire una risposta a domande come: che cos'è un ente (sociale o finanziario)? Esiste di per sé o no? Quali proprietà ha, quali relazioni intrattiene con altri enti? Ovviamene rispondere a tali questioni richiede di affrontarne altre, per esempio che cosa sia un fatto socioeconomico, quale sia il rapporto tra finanza, economia e sociologia, che cosa sia un agente economico-finanziario e a quale livello studiare questi oggetti (individui, enti, società). 32
Oltre questi enti finanziari, l'ontologia finanziaria è caratterizzata da altri oggetti e relazioni che caratterizzano la finanza attuale e che vanno al di là del semplice denaro: si tratta di attività finanziarie (asset), che sono molteplici e svolgono funzioni tra loro diverse. Un modo unitario di concettualizzare tali attività è quello di fare ricorso alla loro diversità rispetto ai beni reali, quali computer o case. Rispetto a questi, infatti, i beni finanziari non sono altrettanto tangibili e concreti e hanno una natura più indiretta. Ovviamente le attività finanziarie sono connesse a tali beni: sono derivate da, o quanto meno implicano, attività reali sottostanti, sulle quali costruiscono i loro contratti. Tuttavia, una importante differenza tra i due tipi di attività risiede nella velocità di scambio: le attività' finanziarie cambiano di mano molto più frequentemente rispetto ai beni sottostanti. Per esempio, come abbiamo visto nel Prologo, mentre un'abitazione - il bene sottostante - di norma passa di mano molto raramente, le attività finanziare che insistono su di essa possono passare di mano anche più volte nel corso di un solo anno. Pertanto, il mercato finanziario può essere caratterizzato come il meta-livello dell'economia, in quanto implica lo scambio indiretto o la speculazione sull'andamento di altre parti dell'economia . Più propriamente, il sistema finanziario oggi può essere visto come una successione di livelli (o metalivelli), in quanto mediante la ideazione di nuove attività finanziarie è possibile aggiungere livelli finanziari su livelli finanziari, ossia tali da speculare sull'andamento di altre parti del sistema finanziario (e non direttamente sull'economia reale). Questa struttura a multi-livelli (multilayers) non cambia ovviamente la natura delle attività finanziarie, le quali, in ultima istanza, sono promesse di futuri pagamenti di denaro. Anche queste attività possono essere viste come oggetti costruiti socialmente e se la teoria creditizia del denaro è corretta, possono essere considerate come metapromesse, ossia promesse su promesse. 22
Esempi di attività finanziarie tipiche sono i contratti di credito (come i conti bancari o le obbligazioni), il patrimonio netto (come le azioni o titoli azionari), i derivati (futures, opzioni, ABS, swaps,CDO) e i fondi (trust). La struttura a multilivelli che caratterizza la finanza attuale è tale da produrre entità finanziarie (asset) molto sofisticate e indirette, la cui connessione con il bene economico reale sottostante può essere così diluita da risultare difficile da capire anche per esperti. Basti pensare a prodotti finanziari derivati che erano piuttosto in voga prima della crisi finanziaria del 2008, 33
come i MES o i CDO sintetici descritti nel Prologo. Questi strumenti possono avere fini diversi tra loro, ma la funzione principale di un'attività finanziaria è quella di mitigare il più possibile il rischio massimizzando il profitto, per esempio, nel caso di un CDO sintetico, questo viene perseguito distribuendo i rischi finanziari tra il maggior numero possibile di investitori. Un elemento essenziale di ogni attività finanziaria è il suo prezzo, che ne determina il valore. Tale prezzo può variare sensibilmente sulla base degli atteggiamenti degli investitori. Due fattori fondamentali influenzano il prezzo di un'attività finanziaria: a) la credibilità o la forza della promessa sottostante, che dipende dai flussi di cassa futuri generati dall'attività, ossia la differenza tra tutte le entrate e tutte le uscite generate in un certo periodo; b) la sua trasferibilità o popolarità all'interno del mercato, cioè quanti altri investitori sono interessati ad acquistare l'attività. Nel processo di scoperta del prezzo, gli investitori valutano questi fattori in base alle informazioni a loro disposizione, e poi fanno offerte per comprare o vendere il bene, determinando il suo prezzo sul mercato. Ciò solleva una questione filosoficamente e ontologicamente interessante, ossia se esista qualcosa come un valore intrinseco di una attività finanziaria. Questa idea è infatti il presupposto dell'idea di bolla e del suo ruolo nelle crisi finanziarie. Una definizione comune di bolla finanziaria è quella di una situazione di mercato nella quale certe attività finanziarie vengono scambiate a un prezzo ben superiore il loro valore intrinseco. Questo livello dei prezzi sarebbe rischioso e pericoloso poiché, in gergo, la bolla può «scoppiare» e causare uno shock economico . In altre parole, gli investitori a un certo punto si accorgerebbero che il livello dei prezzi di determinate attività non rispecchia il suo valore intrinseco, e inizierebbero dunque a venderle, facendone crollare il valore. 23
Ma che cos'è esattamente, e in caso qual è, il valore intrinseco di un bene finanziario? Apparentemente la risposta a questa domanda sembra essere semplice: esso è funzione del valore scontato del futuro flusso di cassa sottostante, in altre parole di a. e non di b. Tuttavia, qualcuno deve valutare questi fattori per 34
calcolare il prezzo (visto che si tratta in parte di eventi futuri), e questa valutazione inevitabilmente include elementi soggettivi che possono essere discordanti. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, infatti, uno dei presupposti per l'esistenza di un mercato è che diversi investitori abbiano valutazioni diverse di una stessa attività finanziaria. Ma il problema più grande in questo caso è che a. e b. non sono variabili indipendenti, ma a. può essere influenzata da b. In altre parole, i fondamentali di una attività finanziaria - redditività, ricavi, attività, passività e potenziale di crescita di una società - possono essere influenzati dalla percezione che ne ha un investitore. Il fenomeno, noto come riflessività dei mercati finanziari, fa sì che il valore intrinseco di un bene cambi al variare dell'opinione prevalente su di esso. La riflessività innesca una circolarità tra opinioni degli investitori e flussi di cassa sottostanti a un'attività finanziaria. Infatti, se un numero sufficiente di investitori si convince che le azioni di una società siano buone, le acquistano, il prezzo delle sue azioni sale, la società reperirà più facilmente finanziamenti e quindi potrà espandere il proprio flusso di cassa. Questo rinsalderà l'opinione positiva che gli investitori hanno della società, spingendoli ad acquistare le azioni, e così via. Similmente, se un numero sufficiente di investitori si convince che le azioni di una società non siano affatto buone, le vendono, il prezzo delle azioni scende, i profitti della società caleranno, rendendole più difficile reperire finanziamenti. Questo rinsalderà l'opinione negativa che gli investitori hanno della società, spingendoli a venderne le azioni, e così via. Questi due movimenti possono determinare le bolle finanziarie. Esse sono fenomeni che da un punto di vista filosofico, o meglio ontologico, sollevano un grande problema. Infatti, con l'espressione bolla finanziaria si designa normalmente un ciclo economico caratterizzato dalla rapida salita dei prezzi di un asset finanziario, seguita da una altrettanto accentuata discesa: è un aumento dei prezzi di una attività finanziaria che è ingiustificato sulla base dei fondamentali dell'attività in questione ed è spinto da un comportamento euforico del mercato. Quando gli investitori non sono più disposti a comprare a un prezzo così elevato, si verifica una massiccia vendita dell'attività, causando lo «sgonfiamento» della bolla . 24
Tuttavia, alcuni economisti, come il premio Nobel per l'Economia 2013 Eugene Fama, mettono in dubbio che esista qualcosa come una bolla finanziaria e che si possa predire quando scoppierà. In particolare, la teoria dei mercati efficienti (EMH, si veda il Capitolo 3) afferma che le bolle non 35
esistono in quanto il prezzo di un'attività finanziaria riflette tutte le informazioni disponibili sul mercato e dunque non è possibile che i prezzi si discostino dai valori fondamentali. Questa tesi è stata ovviamente contestata. In ogni caso questa circolarità non solo può innescare e amplificare i rischi derivanti dalle bolle finanziarie, ma solleva una questione filosofica profonda: la relazione, o meglio il cortocircuito, che avviene tra spiegazione, predizione e controllo in finanza . Queste tre nozioni possono infatti collassare fino a caratterizzare quel fenomeno che oggi si definisce la performatività dei mercati finanziari (Capitolo 6) e che pone problemi di manipolazione del mercato. 25
Da quanto detto appare chiaro che una questione filosofica ma che ha profonde implicazioni pratiche per il sistema finanziario' e il problema del rischio e della sua gestione. Come concettualizzarlo? È possibile come, trattarlo matematicamente? Come implementare pratiche che mitighino gli effetti dei rischi finanziari? Rispondere a tali interrogativi richiede di affrontare questioni filosofiche di grande rilevanza teorica e pratica per la finanza, quali: è possibile prevedere il comportamento dei mercati finanziari (affronteremo la questione nel Capitolo 4)? Qual è il ruolo della matematica e dei suoi modelli (ne parleremo nel Capitolo 5)? Note 01 N. Ferguson, The Ascent of Money: A Financial History of the World, New York, Penguin, 2008, p. 2. 02 Ivi, pp. 2-3. 03 Ferguson, T be Ascent ofMoney, cit., p. 3. 04 Ibidem. 05 M. Nussbaum, «Economics still needs philosophy», Review of Social Economy, 74 (3), 2016, pp. 229-247, p. 229. 06 Ivi, pp. 243-244.
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07 Ivi, p. 229. 08 B. De Bruin, L. Herzog, M. O'Neill, ]. Sandberg, «Philosophy of Money and Fmance», in E.N. Zalta (ed.), The Stanford Enciclopedia of Philosophy, Stanford, 2018. 09 D. Hume, Of Money (1752), in E. Rotwein (ed.), David Hume: Writings on economia, Edinburgh, Nelson, 1955. 10 A. Smith, The Wealth of Nations, London, Strahan & Cadell, 1776. 11 Ibidem. 12 Ferguson, The ascent of money, cit., pp. 22-23. 13 D. Riccardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, London, Jhon Murray, 1817; G. Knapp, The State Theory Of Money, London, Macmillan, 1924 ;J. Schumpeter, History of Economic Analysis, London, Allen & Unwin, 1954. 14 M. Innes, «What is Money?», The Economic journal, 24 (95), 1913, pp. 419-421; J.M. Keynes, Tbe General Theory of Employment, Interest and Money, New York, Harcourt Brace and Co., 1936. 15 D. Graeber, Debt: The First 5000 Years, New York, Melville House_, 2011; 16 H. Macleod, The Theory of Credit, London, Longmans, Green, and Go., 1889; M. Innes, «The Credit Theory of Money», Banking Law journal, "31 (2), 1914, pp. 151-168; G. Ingham, The Nature of Money, Cambridge, Polity Press, 2004. 17 G. Knapp, T be State 7Zeary of Mamy, London, Macmillan, 1924. 18 Fiat soldi è la concezione del denaro dominante a livello globale dal 1971, quando gli Stati Uniti hanno decretato la fine degli accordi di Bretton Woods e quindi della convertibilità di dollari in oro. 19 P. Samuelson, Economics, New York, McGraw-Hill, 1948. . 20 J. Angel, D. McCabe, «The Ethics of Speculation», journal of Business Ethics, 90 (suppl. 3), 2009, pp. 277-286.
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21 K. Popper, The Poverty of Historicism, London, ARK Paperbacks, 1944; OJ. Flanagan, «Psychology, progress, and the problem of reflexivity: a study in the epistemological foundations of psychology», journal of the History of the Behavioral Sciences, 17, 1981, pp. 375-386; G. Soros, The Alchemy of Finance, New York, Wiley & Sons, 1987. 23 H. Minsky, Stabilizing an Unstable Economy, New York, McGraw-Hill Professional, 1986; C. Reinhart, K. Rogoff, This Time is Different. Eight Centuries of Financial Fall , Princeton, Princeton University Press, 2009. 24 Due famosi esempi sono la bolla dei tulipani del 1637 o la bolla delle dot.com nel 1997-2000. 25 Flanagan, «Psychology, progress, and the problem of reflexivity: a study in the epistemological foundations of psychology», cit.
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2 Tutto può essere un «collaterale» La finanziarizzazione del mondo
Passo #1: la mercificazione Uno dei principali effetti dell'introduzione dell'economia di mercato è l'attribuzione di un valore economico a «cose» che precedentemente non erano considerate in termini economici, per esempio le risorse naturali, il cibo, il lavoro o la terra. Con l'affermazione e l'accelerazione del capitalismo moderno, questo processo si è notevolmente esteso e ha avuto un'accelerazione, così oggi assistiamo al tentativo di attribuire un valore economico a quante più cose possibili, se non a qualsiasi cosa, in modo da renderle merce da poter scambiare al fine di generare un profitto. Il passaggio essenziale da compiere al fine di trattare o trasformare qualsiasi cosa in un bene di consumo è, come osserva Marx , poter annettere loro un diritto di proprietà (anche intellettuale). Questo significa dare un primato ontologico a ciò che è noto come «privatizzazione». 01
Il processo di attribuzione di valore economico è comunemente identificato dal termine commodification, che può essere reso con mercificazione o commercializzazione. La mercificazione di molti aspetti della società ha reso possibile trasformare il mercato in una istituzione che progressivamente ha sostituito altre istituzioni e modelli organizzativi della vita sociale e individuale. Per capire la pervasività e la portata del processo di mercificazione basti pensare al recente tentativo di alcuni economisti di teorizzare l'equiparazione di un organo umano a un bene e quindi renderlo oggetto di scambio, ossia creare un legittimo mercato di organi umani dove questi possano essere usati anche come un collaterale, ossia una garanzia finanziaria . 02
Le principali caratteristiche della mercificazione sono: il prezzo di mercato, ossia il fatto che un certo bene viene prezzato mediante l'equilibrio della domanda e dell'offerta;
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la produzione di massa, ossia la produzione di un bene in grandi quantità; l'omogeneità, ossia l'indifferenziazione e l'intercambiabilità del bene; l'economicità, ossia il basso costo del bene. Il processo di mercificazione progredisce con il progredire della tecnologia perché essa, oltre a migliorare le condizioni di vita di un numero crescente di persone, permette di estendere la classe degli aspetti o degli oggetti da cui estrarre valore (generare profitto). Non a caso, una delle forme più recenti di mercificazione si avvale proprio di una importante innovazione tecnologica, quale la rivoluzione digitale. La mercificazione digitale (digital commodification) si basa infatti sull'uso, da parte di società o imprese, di informazioni che riguardano gli utenti online a fini di realizzare profitti, senza che essi lo sappiano o abbiano liberamente acconsentito al loro uso. Una delle forme più note di digital commodification è la mercificazione dei dati. Ovviamente la creazione e l'integrazione delle informazioni è essenziale in un sistema di transazioni economiche, quindi di per sé non costituisce un problema. Il problema nasce quando le informazioni riguardano coloro che la generano e che poi vengano usate, senza che essi ne siano informati, per fini puramente commerciali. La mercificazione offre vantaggi e svantaggi individuali e collettivi. Il primo vantaggio è di natura tecnica: trasformando il mercato in un insieme di prodotti indifferenziati, e attraverso una maggiore concorrenza, la mercificazione porta a un calo dei prezzi del bene o del servizio in questione, fino al punto in cui l'acquirente non farà alcuna differenza tra i marchi. Il secondo vantaggio deriva dal primo ed è di natura sociale, in quanto la mercificazione permette di estendere o rendere accessibili beni e servizi a un numero sempre più ampio di persone. La mercificazione introduce anche diversi svantaggi, che la letteratura ha puntualmente rilevato e contestato . La prima critica sollevata è di natura filosofica, in quanto la mercificazione sembra mettere in discussione alla radice la possibilità che esista un diritto di cui la società possa fare uso senza dover pagare un prezzo. I critici sostengono che il diritto (o almeno certi diritti) sia qualcosa con il quale nasciamo e per ottenere il quale non dovremmo lottare. Per questo una conseguenza indesiderabile della mercificazione è quella di diffondere e possibilmente incrementare le disuguaglianze tra le persone. L'esempio più comune è quello dell'assistenza 03
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sanitaria: quando non è fornita dallo Stato ma è equiparata a un bene di consumo, viene distribuita in base a chi può pagare e non in base a chi ne ha bisogno. Un altro effetto negativo nasce dalla massificazione e indifferenziazione dei beni di consumo immessi sul mercato, che possono aumentare i rischi etici commerciali (prodotti avariati o difettosi). L'esempio tipico è fornito la mercificazione dell'agricoltura o dall'allevamento industriale. Quest'ultimo mira a una estrema concentrazione degli animali per generare il massimo profitto possibile. In questo caso emerge sia un problema etico - le condizioni nelle quali gli animali sono costretti a vivere - sia un rischio commerciale - l'aumento del rischio di epidemie o la scarsa qualità del prodotto finale. Se da una parte la mercificazione apporta vantaggi imprenditoriali e offre opportunità per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi per soddisfare esigenze e desideri di cittadini e utenti, dall'altra richiede una costante attenzione all'equilibrio tra la società e l'etica del mercato al fine di garantire uno scambio di valori dilunga durata. Polanyi osserva come la mercificazione, a partire da quella del lavoro, è un processo culturale oltre che economico che ha progressivamente attuato una «naturalizzazione» dell'avidità, ha cioè reso naturali l'avidità e la conseguente rappresentazione dell'essere umano e della società. La società e l'individuo vengono interpretati con un modello istituzionale la cui forza basilare è rappresentata dall'avidità, alimentata dallo stimolo della fame . La scienza economica, secondo Polanyi, ha partecipato attivamente a imporre il carattere naturale e inevitabile di questa visione e della conseguente mentalità di mercato (market mentality), di cui la finanziarizzazione è l'ultima espressione. Tale mentalità si basa su due credenze: la prima riguarda la motivazione primaria dell'umanità (in un contesto naturale di scarsità l'essere umano è governato esclusivamente da una razionalità basata sul mezzo-fine); la seconda riguarda le leggi generali dell'economia. 04
Queste credenze hanno trasformato l'immagine della società fino a renderla un semplice correlato del mercato. Secondo Polanyi, in questo modo gli oggetti sociali sono stati gradualmente considerati come beni di consumo. L'introduzione e la diffusione delle macchine hanno poi reso possibile la produzione di massa e la nuova struttura industriale ha sostituito la sussistenza con il profitto, anzi profitto e sussistenza sono diventati sinonimi.
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Una volta che qualcosa, grazie al processo di mercificazione, diventa bene di consumo e può quindi generare profitti e flussi di cassa, viene usato per fornire garanzie finanziarie, ossia è impiegato come collaterale. Questo ci porta al successivo passo dello sviluppo del capitalismo finanziario.
Passo #2: la finanziarizzazione L'invenzione del denaro, come abbiamo accennato, è una delle innovazioni tecnologiche che più ha cambiato la società e ridefinito l'umanità: ha eliminato i difetti del baratto, ha facilitato la valutazione e la contabilità, e ha permesso scambi su lunghi periodi e grandi distanze geografiche. L'ascesa del denaro e soprattutto della finanza hanno accelerato questo cambiamento: ha esteso l'accesso al credito, migliorato la possibilità di programmare e razionalizzare le proprie attività (asset) e guadagni, e consentito di distribuire (e quindi mitigare) i rischi finanziari (ossia possibili danni) su una platea di soggetti sempre più ampia. Tale accelerazione, e le possibilità che offre, ha progressivamente raggiunto velocità ed estensione tali da innescare ciò che oggi viene definito la finanziarizzazione non solo dell'economia, ma della società. Per finanziarizzazione si intende quel processo attraverso il quale i mercati finanziari, le istituzioni finanziarie e le élite finanziarie acquisiscono una sempre maggiore influenza sulla politica economica e sui risultati economici a livello sia nazionale sia internazionale . 05
Il processo può assumere due forme, che si definiscono rispettivamente debole e forte. Quella appena descritta è la versione debole della finanziarizzazione. La versione forte è invece emersa nel periodo compreso tra il 1980 e il 2010, grazie all'ideazione e proliferazione di strumenti finanziari sempre più sofisticati, come i CDS o CDO. In questo periodo, la finanziarizzazione è stata caratterizzata dalla crescente dimensione e redditività del settore finanziario a scapito del resto dell'economia. Si assiste infatti a una ascesa del settore finanziario così marcata da produrre, anche grazie alla riduzione della sua regolamentazione, destabilizzazioni economiche. Essa «è andata di pari passo con le instabilità globali (sia reali, attese o immaginarie)» e il successo o il fallimento del settore finanziario hanno avuto grandi ripercussioni sul resto dell'economia. Una, in particolare, è una distribuzione di tipo paretiano della ricchezza, ossia la canalizzazione della maggior parte dei profitti verso la (piccola) parte della società già ricca: le élite. 06
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Il grado di finanziarizzazione di comunità o Stati varia da paese a paese: negli USA, per esempio, è molto più accentuato che in Italia. Complessivamente però, il livello di finanziarizzazione nel mondo e del mondo - gli aspetti da cui la finanza estrae valore, ossia genera profitto - è aumentato: sempre più Stati e sempre più aspetti della nostra vita individuale e collettiva dipendono dal sistema finanziario e diventano leve sulle quali esso genera utili. Senza carte di credito o debito, mutui, prestiti o banche, sarebbe quasi impossibile far parte della vita civile e commerciale delle avanzate società industrializzate. Per dare un'idea dell'imponenza del processo di finanziarizzazione del mondo basti pensare che tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso il numero di paesi che si sono dotati di una propria Borsa valori è più che duplicato: nel 1990 la Cina ha riaperto la Borsa dopo quarantun anni - e alla fine del 2006 era già tra le più grandi al mondo -, mentre altri paesi hanno aperto le loro Borse per la prima volta, come Islanda (1985), Barbados (1987), Guatemala (1989), Mongolia (1992), Lettonia (1993), Libano (1996), Tanzania (1998), Nuova Guinea (2000). Un altro dato esprime in maniera ancora più significativa l'imponenza del processo di finanziarizzazione: se nel 1950 le industrie finanziarie e assicurative rappresentavano il 2,8% del PIL statunitense, nel 1970 erano già al 4,2% e nel 2012 hanno raggiunto il 6,6%. La storia dei profitti è simile: se nel 1970 i profitti delle industrie finanziarie e assicurative erano pari al 24% dei profitti di tutti gli altri settori combinati, nel 2013 tale numero era cresciuto al 37%, nonostante la crisi finanziaria del 2008. Inoltre, la finanza è letteralmente entrata dentro il mondo economico: molte aziende hanno creato al loro interno unità finanziarie le cui attività sono aumentate bruscamente all'inizio degli anni Ottanta e hanno raggiunto nel 2000 dimensioni uguali o superiori alle attività non finanziarie. Per esempio, la Ford all'inizio degli anni Duemila ha ricavato di più vendendo prestiti che automobili. Un altro indizio del peso del settore finanziario è costituito dalle retribuzioni offerte. Prima della Grande Depressione (1929), chi lavorava in finanza guadagnava ben più di chi era impiegato in altri campi, indipendentemente dal livello di istruzione. Con l'introduzione della legge Glass-Steagall (1933), la differenza si è rapidamente ridotta fino a scomparire nel 1979. Dopo la deregolamentazione partita negli anni Ottanta, la tendenza si è poi invertita, e nel 2006 gli stipendi erano tornati al livello precedente il 1929: il lavoro 43
dipendente nel settore finanziario offriva, in media, il 50% in più rispetto a dipendenti altrettanto istruiti di altri settori dell'economia. Per i dirigenti finanziari la differenza arrivava a un 250% in più rispetto ai loro omologhi non finanziari. Peri dirigenti di Wall Street, la differenza ha toccato l'incredibile soglia del 300% in più. La caratteristica principale della finanziarizzazione, specialmente negli Stati Uniti, è un aumento del volume del debito: il debito totale del mercato del credito tra 1973 e 2005 è salito dal 140% al 328,6% del PIL. Inoltre, il debito del settore finanziario è cresciuto molto più velocemente del debito del settore non finanziario, passando dal 9,7% al 31,5% del debito totale. In particolare, il debito derivante da credito revolving (quello delle carte di credito) del settore non finanziario è cresciuto significativamente più rapidamente del PIL, passando dal 136,3% al 189,5% del PIL. Anche la parte ipotecaria di questi debiti (ossia derivante da mutui) è aumentata in modo piuttosto rapido, passando dal 48,7% al 97,5% del PIL. Tale aumento del debito ipotecario è stato decisamente acuto tra il 2000 e il 2005, il periodo della bolla immobiliare. All'interno del debito mutuatario, la caratteristica sorprendente è la straordinaria crescita del debito del settore domestico (le famiglie): sia il debito societario sia quello domestico non finanziario sono aumentati nettamente rispetto al PIL, ma il debito del settore domestico è aumentato molto più rapidamente, soprattutto dopo il 1989. La finanziarizzazione opera principalmente attraverso tre diversi canali: cambiamenti nella struttura e nella gestione dei mercati finanziari; cambiamenti nel comportamento delle società non finanziarie; cambiamenti nella politica economica. Uno dei modi attraverso cui la finanza riesce a istanziare questi processi è il crescente livello di sofisticazione dei dispositivi che ingegnerizza e della loro astrazione (la distanza dal bene reale sottostante, e quindi dall'economia reale). Pensiamo ancora una volta alla struttura di un CDS (credit default swap), un prodotto finanziario derivato in voga prima della crisi finanziaria del 2008 e ideato da Blythe Masters per la J.P. Morgan nel 1994. Un CDS è un contratto nel quale A (chi vende il CDS) promette di pagare, o meglio rifondere, E (chi acquista il CDS) per un certo importo x nel caso in cui C, che ha promesso con un contratto di pagare D, non riesca a mantenere la sua promessa alla scadenza pattuita. A tal fine E versa regolarmente ad A somme 44
di denaro ): che sono una frazione di x. Se C fallisce, ossia non mantiene la sua promessa di pagamento a D, allora A rimborsa a B l'intera somma x, che normalmente ammonta a molto di più delle somme y versate da B nel corso del tempo. A sua volta, la promessa di pagamento fatta da C a D tipicamente dipende da flussi di cassa e dall'andamento commerciale di un'impresa (anche C stesso). L'obiettivo principale di un CDS è dunque di natura assicurativa, ossia quello di proteggersi da rischi (possibili danni) derivanti dal default, il fallimento, di C. Questo è effettivamente un beneficio portato da tale innovazione tecnica. Ma come per ogni prodotto, anche per i CDS non solo vale il principio base della determinazione di un prezzo, per cui esso è il risultato dall'equilibrio fra l'offerta (coloro che sono disposti ad assumere quel rischio) e la domanda (coloro che cercano protezione da quel rischio), ma soprattutto bisogna trovare acquirenti. Questo non è affatto scontato, perché bisogna offrire qualcosa che motivi il suo acquisto in mezzo a una moltitudine di prodotti finanziari presenti sul mercato. Ed è qui che entra in gioco la sofisticazione finanziaria. La novità teorica di un CDS è che E e C, ossia chi compra una assicurazione CDS e chi detiene il titolo o bene oggetto di assicurazione, possono anche non essere la stessa entità. Quindi, un CDS è una forma di assicurazione, ma «supera» quella classica perché un CDS è un dispositivo che dà la possibilità di assicurarsi contro un rischio a cui non si è esposti direttamente. Per mantenere l'analogia con una assicurazione, è come se chiunque potesse assicurarsi contro il rischio di incidente di un qualsiasi autoveicolo. La conseguenza più immediata sarebbe quella di avere una moltiplicazione di polizze (un numero di polizze auto superiore al numero dei veicoli in circolazione) con il conseguente aumento dei premi assicurativi e quindi compagnie assicurative molto meno solvibili, ossia in grado di coprire tutti i rischi assunti e di liquidare gli eventuali sinistri. L'effetto sarebbe quello di favorire e aumentare scommesse su titoli e beni i più disparati, e quindi di introdurre modalità di possibili distorsioni del mercato, se non di manipolazioni. Da una parte, infatti, la proliferazione di entità in grado di emettere e vendere CDS aumenta il numero di soggetti disposti ad assumere un certo rischio e quindi abbassa artificialmente il prezzo dello stesso. Dall'altra, la possibilità di assicurarsi contro un rischio a cui non si è esposti aumenta la domanda di soggetti che chiedono protezione da un rischio e quindi aumenta artificialmente il costo della protezione.
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Ovviamente tutte le architetture finanziare hanno bisogno di un bene sottostante sul quale girare. Questo bene deve essere in grado di generare flussi di cassa e profitti costanti e quanto più affidabili possibili. Nella misura in cui questo bene, e i relativi flussi di cassa, è affidabile, rappresenta un investimento di alta qualità e diventa ciò che si definisce un collaterale, ovvero una garanzia per un prodotto finanziario. I flussi di cassa generati da tale collaterale, infatti, servono per pagare gli interessi a chi acquista i prodotti finanziari, sono cioè strumenti per attirare investitori: un flusso globale di denaro è infatti alla ricerca continua di collaterali di alta qualità (hqc). La ricerca di un bene da porre a garanzia di operazioni finanziarie, il collaterale appunto, è pertanto il primo e cruciale passo di ogni processo di finanziarizzazione. Naturalmente quanto più sarà solido e solvibile il collaterale, tanto più affidabile sarà il prodotto finanziario che lo impiega. Questo ci offre una prima spiegazione del motivo per cui i confini tra economia e finanza siano sempre più sfumati: in molte circostanze beni «reali» e derivazioni finanziarie sono così intrecciati da non poter essere più scissi. La finanziarizzazione dell'acquisto della casa che abbiamo raccontato nel Prologo, e che è stato uno dei motori della crisi finanziaria del 2008, ne è un esempio paradigmatico. La casa infatti è uno dei beni (un collaterale) più solidi che ci sia: possedere una casa è una delle priorità di milioni di famiglie, che vedono in essa un bene rifugio e quindi molto difficilmente arrivano a non onorare il pagamento delle relative rate di mutuo, specialmente se riguarda la prima casa. Pertanto, il flusso di cassa prodotto da questi mutui sembra essere uno di quelli più affidabili e costanti e ha reso la casa un collaterale quasi senza eguali. Così, se da una parte la finanziarizzazione della casa ha aperto possibilità insperate consentendo l'acquisto di un immobile a persone che prima non potevano sperare di farlo, dall'altra ha fatto in modo che i rischi abitativi siano diventati sempre più rischi finanziari, rendendo le abitazioni il centro dell'economia politica capitalista contemporanea . 07
La trasformazione dell'abitazione in un collaterale esprime dunque in modo paradigmatico la questione di fondo che caratterizza a livello macroeconomico la versione forte della finanziarizzazione: se da una parte infatti essa sembra favorire una crescita economica, dall'altra può alimentare la fragilità del sistema economico. Questa fragilità si manifesta nelle ricorrenti crisi finanziarie e sarebbe responsabile di fenomeni come la deflazione del debito e una recessione prolungata. La tensione tra crescita da una parte e fragilità e instabilità dall'altra è segnalata dal fatto che nel 46
momento della sua massima espansione (i due decenni che vanno dagli anni Ottanta a primi anni Duemila), la finanziarizzazione è stata caratterizzata da un rapido aumento del rapporto debito-reddito delle famiglie e del rapporto debito-capitale. La spiegazione sta nel fatto che il motore della finanziarizzazione è l'accesso al prestito (credito) da parte di famiglie e imprese, e una delle principali caratteristiche della finanziarizzazione è l'allentamento dei criteri con i quali si concede un credito, un allentamento che fa sì che un numero sempre maggiore di persone accedano al prestito e contribuiscano a far impennare, almeno temporaneamente, la crescita economica. D'altra parte, però, le possibilità di ripagare il debito mediamente diminuiscono non appena il ciclo economico rallenta, come notato da Hyman Minsky (si veda il Capitolo 3). Questo non solo è uno dei principali mezzi mediante cui il settore finanziario accresce la propria influenza su quello non finanziario, ma è anche uno dei principali motivi che fa dubitare della sostenibilità del processo di finanziarizzazione.
Una breve fenomenologia della finanziarizzazione La finanziarizzazione ha prodotto una nuova configurazione economica che è il risultato dalla crescente egemonia degli interessi del settore finanziario e i cui principali effetti osservabili, oltre all'aumento complessivo del debito, sono la stagnazione dei salari, il cambiamento nella distribuzione del reddito personale (aumento della disuguaglianza di reddito). Più precisamente, questi cambiamenti riguardano i meccanismi e quindi la struttura dell'economia, la politica economica e il comportamento delle corporazioni. L' influenza degli interessi del settore finanziario avviene, come detto, attraverso tre canali distinti: la struttura e il funzionamento dei mercati finanziari; il comportamento delle società non finanziarie; la politica economica. Molti studi teorici sulla finanziarizzazione esaminano come questi cambiamenti (in particolare la diffusa e facile disponibilità di credito) influiscano sui risultati macroeconomici e sul ciclo economico. Questi lavori si sono concentrati sugli effetti della modifica dell'agenda delle attività finanziarie, le conseguenze macroeconomiche dell'innovazione finanziaria e 47
della deregolamentazione, l'impatto della ricchezza e del razionamento del credito sui consumi domestici, l'influenza del mercato azionario sulla spesa per investimenti aziendali, la crescita dell'aumento dell'indebitamento, degli aumenti della quota di profitto, dei cambiamenti di reddito da parte dei lavoratori e dei minori profitti trattenuti delle società08. Tale letteratura, sotto certe ipotesi, è concorde nel concludere che la finanziarizzazione ha cambiato la struttura e il funzionamento dei mercati finanziari in un modo che sembra ridurre la crescita a lungo termine. Inoltre, la finanziarizzazione ha modificato il comportamento aziendale i(ossia delle imprese non finanziarie) in modo da allinearlo agli interessi del mercato (azionisti e investitori). L'allineamento è stato reso possibile anche grazie all'interpretazione del governo aziendale come un problema di agenzia, una rappresentazione che ha mercificato il controllo societario, rendendolo di fatto un bene di consumo, e in base alla quale chi gestisce un'impresa è destinato a essere acquisito, o cacciato, se non riesce a massimizzare i profitti. Gli azionisti, cioè il mercato, sono i proprietari, e quindi il compito fondamentale dei manager di una società è quello soddisfare i loro interessi, anche se questo significa cavalcare innovazioni finanziarie rischiose come la leva finanziaria o gli investimenti in azioni private finanziate da obbligazioni poco affidabili. Inoltre, questo approccio al governo societario ha favorito anche la crescita della retribuzione sotto forma di stock option (opzioni sulle azioni della società stessa), perché in questo modo è più facile allineare gli interessi della dirigenza a quelli degli azionisti. Questa forma retributiva ha spinto infatti i manager ad avere un interesse personale nel massimizzare il prezzo delle azioni a breve termine, che è proprio ciò che vogliono i gestori dei mercati finanziari . Inoltre, le aziende sono state incoraggiate a ricorrere al debito (ossia alle banche) per finanziarsi. Per esempio, negli Stati Uniti questo è stato incentivato mediante alcune riforme del codice tributario, che tratta i pagamenti di interessi in modo più favorevole rispetto ai profitti. Inoltre, ricorrere al debito può essere vantaggioso perché è un modo per drenare, e quindi ridurre, il flusso di cassa dalle imprese, cosa che permette di mettere sotto pressione i lavoratori o altri soggetti che possono avanzare richieste sui flussi reddituali delle imprese . Infine, il finanziamento mediante debito aumenta la leva finanziaria, che potenzialmente può amplificare il tasso di rendimento del capitale proprio di impresa, in quanto permetterebbe di usare il capitale di cui dispone per più progetti. Tale architettura e ingegneria finanziaria coincide con quanto scritto nell'agenda di Wall Street (agenda power, si veda il Capitolo 11) che infatti preferisce: 09
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società che utilizzino il debito per finanziare le loro attività a causa dei suoi vantaggi fiscali e dei tassi più elevati di rendimento sul patrimonio netto che la leva consente; società che pagano i manager con stock option, in quanto ciò richiede l'acquisto delle azioni della società; l'aumento dell'emissione di debiti, che trasforma i flussi di profitto in flussi di pagamento degli interessi, riducendo il reddito delle imprese disponibili per altri richiedenti non finanziari. Dunque, non solo il comportamento aziendale è sempre più vincolato ai mercati finanziari, ma i gestori aziendali hanno anche importato i comportamenti dei mercati finanziari nell'azienda, influenzandone dall'interno investimenti e decisioni. Gli interessi del settore finanziario, sostenuti da altri interessi commerciali, hanno inoltre promosso una politica economica volta a realizzare un quadro strategico che favorisca la loro agenda. La versione più avanzata ed estrema di questa politica economica, sdoganando i mercati finanziari e facilitando la loro espansione, ha spinto o aiutato le società a spostare i redditi dal lavoro al capitale, a tutto vantaggio degli interessi del settore finanziario. Questo quadro strategico è nato negli anni Settanta fondamentalmente per invertire il calo dei tassi di rendimento del capitale - i tassi di interesse a breve termine (tre mesi) erano negativi. Negli anni Ottanta, in seguito all'implementazione di queste politiche, sono arrivati a circa il 2,5%. Il quadro politico è caratterizzato da quattro fenomeni: globalizzazione; piccolo governo; flessibilità del mercato del lavoro; abbandono della piena occupazione. La globalizzazione indica quelle politiche volte ad accelerare il libero scambio, la mobilità dei capitali, le imprese multinazionali e l'approvvigionamento globale, e quindi a dare una dimensione internazionale alla finanziarizzazione mediante l'eliminazione dei controlli di capitale e incoraggiando tutti i paesi a deregolamentare i loro mercati 49
finanziari interni. Il piccolo governo (o piccola agenda governativa) designa l'attacco alla legittimità dell'attività governativa, o meglio è la legittimazione della privatizzazione, dei tagli fiscali che riducono la base delle entrate pubbliche e, di nuovo, della deregolamentazione, compresa quella del settore finanziario. La piccola agenda governativa riguarda anche le politiche in materia di riforma pensionistica e risparmio ed è responsabile della finanziarizzazione del settore pubblico attraverso tagli fiscali che hanno abbassato le imposte sul reddito e sul reddito del capitale e hanno creato grandi deficit nei bilanci pubblici. La flessibilità del mercato del lavoro designa l'indebolimento dei sindacati, l'erosione dei supporti del mercato del lavoro come il salario minimo, le indennità di disoccupazione, le protezioni per l'occupazione e i diritti dei lavoratori. Questa agenda ha dominato la politica del mercato del lavoro statunitense ed è anche la fonte di un acceso dibattito politico in Europa. L'abbandono della piena occupazione si riferisce alle mutate priorità in materia di politica macroeconomica, che ha elevato l'importanza della bassa inflazione e ridotto l'importanza della piena occupazione. Lo spostamento dell'attenzione verso la bassa inflazione è stato attuato attraverso politiche di inflazione e di indipendenza delle banche centrali, entrambe sostenute da interessi finanziari . 11
Tale configurazione politica (che plasma la teoria neoliberista) sfida tutti i tipi di lavoratori su ogni fronte e crea una continua pressione al ribasso sui salari. Chiesto aiuta a spiegare perché i salari si siano staccati dalla crescita della produttività e perché la disuguaglianza di reddito è aumentata: i lavoratori del settore privato sono sfidati dalla globalizzazione, quelli del settore pubblico sono sfidati dalla piccola agenda governativa, e tutti i lavoratori sono sfidati dal programma di flessibilità del mercato del lavoro e dall'abbandono della piena occupazione come obiettivo primario della politica macroeconomica.
Finanziarizzazione e nuovo ciclo economico A partire dal 1980 la combinazione di un maggiore accesso al credito e il nuovo quadro politico appena descritto ha generato negli USA un nuovo 50
ciclo economico . Tale ciclo non solo unisce le politiche economiche dei presidenti Ronald Reagan, George H.W. Bush (padre), Bill Clinton e George W Bush (figlio), che hanno forti somiglianze, ma è molto diverso dai cicli economici prima del 1980. Le somiglianze riguardano un dollaro sopravvalutato, il deficit commerciale, l'assenza di inflazione o bassa inflazione, la perdita di posti di lavoro, gli alti prezzi delle attività (azioni e abitazioni), la crescente disuguaglianza di reddito, il distacco dei salari dei lavoratori dalla crescita della produttività, l'aumento dell'indebitamento domestico e societario. Inoltre, gli standard per accedere al credito sono stati allentati negli anni di massima espansione della finanziarizzazione, il che ha reso il credito (e quindi l'indebitamento) ancora più facilmente disponibile per famiglie, imprese e investitori finanziari. 12
Questa struttura contrasta con il ciclo economico precedente il 1980, caratterizzato invece dalla crescita salariale, frutto della crescita della produttività e della ricerca della piena occupazione. Tale ciclo era infatti guidato dall'idea che la crescita salariale, piuttosto che il prestito, sia lo strumento per alimentare il consumo e la crescita della domanda, la quale incoraggia la spesa per gli investimenti, che a sua volta spinge la produttività e la crescita della produzione. Infine, il nuovo ciclo economico incorpora tacitamente una nuova politica monetaria che sostituisce la preoccupazione per i salari reali con quella per il valore e i prezzi delle attività. La politica economica pre-1980 si era concentrata sulla messa a punto di mercati del lavoro per preservare l'occupazione, e la disoccupazione era vista come un fallimento della politica macroeconomia . Il nuovo ciclo dà invece priorità alla salvaguardia del valore delle attività, un atteggiamento politico che si è manifestato chiaramente in occasione della crisi dei mutui subprime statunitensi nel 2008 quando, non a caso, sono stati salvati gli investitori. 13
Il ruolo e gli effetti della finanziarizzazione sono stati al centro di varie analisi e dibattuti teorici che hanno evidenziato sia i benefici sia i pericoli che essa, come altre innovazioni, comporta.
I benefici della finanziarizzazione Uno dei principali benefici solitamente attribuito alla finanziarizzazione e all'espansione dei mercati finanziari è quello di accrescere l'efficienza economica. Come sostengono Arrow e Debreu , ampliare l'ambito dei 14
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mercati finanziari e la gamma delle attività finanziarie consente ai mercati di conseguire tre importanti risultati: migliorare il prezzo dei futuri risultati economici; migliorare l'allocazione ex ante delle risorse per le future condizioni economiche; aiutare gli agenti a costruire portafogli in grado di fornire migliori rendimenti e migliori coperture dei rischi. Inoltre, Friedman sostiene che la speculazione finanziaria produca benefici in quanto è un fattore stabilizzante . Secondo Friedman, infatti, i prezzi di mercato in ultima istanza sono fissati sulla base dei cosiddetti fondamentali economici. Quando i prezzi divergono da questi fondamentali, si genera un'opportunità di profitto. Gli speculatori entrano in gioco, comprano o vendono il titolo, e in questo modo spingono di nuovo i prezzi al livello giusto, quello giustificato dai fondamentali. Aumentare il numero degli attori finanziari e il volume di negoziazione migliora sensibilmente i risultati dei mercati finanziari: se il numero di coloro che partecipano ai mercati finanziari aumenta, e aumenta il volume degli scambi, aumenterà anche la liquidità del mercato facendo in modo che i prezzi siano più stabili e affidabili, ossia meno suscettibili a variazioni casuali o a manipolazioni da parte di pochi operatori. 15
La teoria economica ortodossa ha giocato un ruolo importante nel promuovere e sostenere la finanziarizzazione, in particolare sviluppando un'analisi del rapporto tra imprese e mercati finanziari in termini di agenzia , per la quale il compito di chi gestisce un'azienda è massimizzare i profitti per conto degli azionisti. Questa rappresentazione ha avuto almeno due importanti conseguenze. 16
La prima è che la soluzione al problema del governo societario consiste nell'allineare gli interessi dei dirigenti a quelli degli azionisti, un principio utilizzato per giustificare l'esplosione dei compensi dei top manager e l'ascesa del movimento di fusioni e acquisizioni. La seconda è che questa visione giuridica, per cui il solo scopo delle imprese è quello di massimizzare i rendimenti degli azionisti entro i confini della legge, ha limitato la discussione politica sui modi mediante cui dare agli azionisti un maggiore controllo sui gestori delle imprese, eliminando questioni più ampie riguardanti lo scopo delle imprese e l'interesse di altre parti coinvolte.
I pericoli della finanziarizzazione 52
Accanto ai benefici generati, alla finanziarizzazione sono attribuiti pericoli e alcune distorsioni nell'uso e nel ruolo del denaro e del credito, le quali possono andare a detrimento del funzionamento del sistema economico e sociale a ogni livello. I principali macro effetti negativi attribuiti alla finanziarizzazione sono: elevare l'importanza del settore finanziario rispetto al settore reale; trasferire i redditi dal settore reale al settore finanziario; aumentare la disparità di reddito e contribuire alla stagnazione dei salari. Se l'era della finanziarizzazione è stata associata a una crescita economica reale, la crescita sembra mostrare anche un chiaro rallentamento. Come evidenziano le recenti crisi internazionali, con l'aumentare della finanziarizzazione è aumentata anche la fragilità del sistema finanziario, il che fa dubitare della sostenibilità del processo di finanziarizzazione. Altri effetti potenzialmente negativi riguardano il funzionamento interno del mercato o delle aziende stesse. Infatti, la finanziarizzazione ha accentuato e diffuso comportamenti ispirati dal pensiero a breve termine (shorttermism)17. Inoltre, non è chiaro se l'allineamento degli interessi dei manager di una azienda a quello dei mercati finanziari attraverso la retribuzione sotto forma di stock option sia stato vantaggioso per gli azionisti stessi, dal momento che le retribuzioni del top management sono diventate faraoniche. In aggiunta, la redditività a lungo termine delle imprese potrebbe essere stata pregiudicata dall'attenzione per il prezzo delle azioni a breve termine. Ancora, il fatto che la macroeconomia adesso sia vulnerabile ai cali dei prezzi delle attività e che la Federal Reserve sia obbligata a intervenire per evitare che tali cali provochino un ampio danno macroeconomico ha una conseguenza pericolosa, perché crea un incentivo al «azzardo morale», ossia incoraggia gli investitori ad assumere comportamenti rischiosi perché sanno che c'è una buona probabilità di essere salvati dalla Fed se le cose vanno male (si veda il Capitolo 9). Rimediare a queste carenze richiede un cambiamento radicale del paradigma politico in modo da ricalibrare lo squilibrio tra potere finanziario e potere 53
economico. Oggi l'unico strumento efficace delle autorità monetarie è il tasso di interesse a breve termine, ma i tentativi di limitare la speculazione finanziaria aumentando i tassi di interesse possono infliggere gravi danni anche all'economia reale.
Finanziarizzazione e forme di capitalismo La finanza si è sempre più svincolata dal controllo degli Stati poiché il flusso di fondi, grazie soprattutto a nuove regolamentazioni e ai mezzi tecnologici, si muove secondo quella che spesso viene definita una nuova forma di aspazialità, ossia la capacità di spostare somme ingenti di denaro da un posto all'altro del mondo anche a velocità luminari (turbo). Uno dei principali effetti di questo cambiamento è stato mettere in discussione le principali varietà di capitalismo che si sono affermate nella storia, caratterizzate dalla presenza di Stati che presiedono economie «porose» ma dai confini ben delimitati. Le imprese sono state a lungo strategiche per il finanziamento degli Stati, ma la novità è che la nazionalità delle stesse ha smesso di essere rilevante. La possibilità di far quotare azioni a New York piuttosto che a Londra o a Hong Kong, ha attirato aziende da tutto il mondo. Per rendersi conto dell'entità di questo cambiamento basti pensare che alla fine degli anni Novanta del secolo scorso si contavano più società straniere (non statunitensi) quotate sui mercati statunitensi che imprese tedesche quotate sulla Borsa tedesca. Risultato: è diventato possibile per una azienda non far più parte del proprio sistema finanziario nazionale. Questo sviluppo ha innescato una dinamica che è entrata in collisione con le caratteristiche delle varie tipologie di capitalismo esistenti: infatti, se interi settori istituzionali possono essere bypassati, la complementarità sulla quale queste forme di capitalismo si sono rette per decenni viene minata. In letteratura esistono vari tentativi di classificare i sistemi economici nazionali in «varietà» di capitalismi più o meno coerenti. Una prima, essenziale distinzione, individua due forme principali di capitalismo tra le economie avanzate : 18
economie di mercato liberali (LME), per esempio gli Stati Uniti; economie di mercato coordinate (CME), per esempio la Germania.
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Questa distinzione tiene conto di diversi fattori. Il primo è che le imprese e le loro strategie sono gli elementi principali dell'economia, e diverse varietà di capitalismo facilitano diversi tipi di imprese e strategie. In particolare, le configurazioni a livello nazionale determinano quali siano le strategie più fruttuose a livello di impresa: nei mercati LME, le imprese interagiscono per lo più attraverso relazioni basate sul mercato, mentre nel modello CME le reti di imprese hanno relazioni più collaborative e molto meno basate sul mercato. Normalmente i CME sono caratterizzati da protezioni più forti per i dipendenti, mentre i LME da un maggiore sviluppo dei mercati finanziari. Ne segue che nel modello CME, come osservano Hall e Soskice , le imprese e i lavoratori sono più disposti a investire in attività specializzate, mentre nel modello LME il focus è spostato sulle attività commutabili, ossia attività che preservano un valore anche se adattate a scopi diversi, come le competenze generali o le tecnologie multiuso. 19
Questo si riflette sulle caratteristiche delle industrie leader in un'economia nazionale: negli Stati Uniti, le tecnologie dell'informazione, l'ingegneria medica e le biotecnologie (tipicamente finanziate tramite il mercato azionario) sono tra le industrie leader, mentre in Germania sono l'ingegneria, l'ingegneria nucleare e l'industria meccanica (che richiedono una forza lavoro altamente qualificata e specializzata). Questa classificazione tuttavia si scontra con i dati dei paesi dell'OCSE . Per ovviare a questa difficoltà, sono state proposte altre classificazioni. Una in particolare delinea cinque tipologie di capitalismo dove ogni tipologia è distinta in base alla capacità del sistema sociale di fornire un ambiente più favorevole ad alcuni tipi di attività economiche e meno per altre . Queste cinque tipologie sono: 20
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economie basate sul mercato (modello anglosassone), specializzate in attività in cui un adattamento veloce e un buon collegamento industria/università contano, ossia biotecnologie, informatica ed elettronica. economie socialdemocratiche (modello scandinavo), che puntano sulle attività legate alla salute e le industrie legate alle loro ricche risorse naturali (per esempio la produzione della carta. capitalismo asiatico (quello della Corea e del Giappone), che eccelle 55
in computer, elettronica e macchine; capitalismo sud-europeo (o mediterraneo), specializzato in industrie leggere e attività a bassa tecnologia; capitalismo europeo continentale (quello della Germania), l'unico a non essere specializzato in pochi settori. Questa analisi si basa su cinque aree istituzionali fondamentali che coinvolgono le aziende: i mercati dei prodotti, il mercato del lavoro, l'intermediazione finanziaria, la protezione e la previdenza sociale, l'istruzione. Ancora una volta, queste aree istituzionali mostrano notevoli complementarietà. Per esempio, le tutele dell'occupazione e le garanzie di assistenza sociale incoraggiano a investire nella formazione dei lavoratori. D'altra parte, la forte concorrenza sul mercato dei prodotti incoraggia pratiche occupazionali flessibili (meno protette), che scoraggiano gli investimenti su lavoratori dotati di competenze specifiche e promuovono la concorrenza nel settore dell'istruzione. Tutti questi modelli sono stati messi in discussione dalla finanziarizzazione, specialmente quella che ha raggiunto il suo picco alla fine degli anni Novanta. Questi anni, infatti, possono essere legittimamente guardati oggi come il momento di maggior successo del ruolo della finanza come fattore essenziale di crescita economica. I fautori di questa idea hanno sostenuto che l'introduzione di un mercato finanziario fosse l'equivalente economico di fornire vaccinazioni, acqua pulita e alfabetizzazione universale, ovvero un servizio base e che questo fosse un passo inequivocabilmente positivo verso la strada della crescita economica e dello sviluppo . Il decennio successivo, quello dei primi anni Duemila, ha mostrato quale disastro si possa generare quando si fa dipendere troppo il benessere della società dai mercati finanziari. 22
La crescente portata e l'influenza dei mercati finanziari hanno messo in discussione la coerenza interna anche di quelle tipologie di capitalismo in cui la finanza aveva un ruolo meno pronunciato. Tanto per citare due casi esemplari, in Germania molte imprese pubbliche negli anni Novanta hanno iniziato a proclamare il loro impegno a favore del valore per gli azionisti per migliorare la loro attrattività agli occhi degli investitori stranieri, e per lo stesso motivo le aziende giapponesi hanno cominciato ad abbandonare il modello tradizionale basato sulla sicurezza (il posto di lavoro a vita). In sostanza, il potere contrattuale dei singoli Stati è stato indebolito, in alcuni 56
casi quasi azzerato, dalla presenza di un capitale sempre più mobile, grande e volubile, i cui interessi sono quelli di una compagnia transazionale che non sono quelli del paese da cui proviene o dei lavoratori che impiega. Questa forma di capitalismo basato sulla finanziarizzazione ha dunque indebolito, e in alcuni casi rotto, gli storici patti nazionali tra lavoratori e imprese (o la sua classe dirigente) in quanto le società e gli investitori non sono più legati alla nazione o al luogo da cui provengono. Così, i singoli Stati si sono progressivamente trovati a dover tenere sempre più in considerazione le esigenze degli investitori, i quali godevano anche del sostegno di una teoria e di una narrazione forte e apparentemente coerente della crescita economica e del ruolo essenziale della finanza. Il cambiamento, e per certi versi l'impoverimento, delle forme di capitalismo a vantaggio della finanziarizzazione ha avuto anche conseguenze politiche (si veda il Capitolo 10). Contrastare la finanziarizzazione richiede pertanto un programma sfaccettato che: ripristini il controllo delle politiche sui mercati finanziari; sfidi il paradigma della politica economica incoraggiato dalla finanziarizzazione; renda le aziende sensibili agli interessi di tutte le parti coinvolte e non solo dei mercati finanziari; riformi il processo politico in modo da diminuire l'influenza delle corporazioni e delle élite facoltose. Note 01 K. Marx, Das Kapital, Hamburg, Meissner, 1867. 02 N. Brisset, Top of Form Economics and Performativity : Exploring Limits, Theories and Cases, New York, Routledge, 2018. 03 I.G. Coiben, «The Price of Everything, The Value of Nothing: Reframing the Commodication Debate», Harvard Law Review, 117 (2), 2003,'pp. 689-710. 04 K. Polanyi, The Great Transformation, New York, Fattar & Rifle-hart, 1944.
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05 G.A. Epistèin, Financialization and the World Economy, Cheltenhaìn, Edward Elgar Pf1b, 2005. 06 I. Boldyev, «The Ontology_ of Uncertainty in Finance: The Normative Legacy of General Equilibrium»; Topoi, 1-9, 2019, p. 1. 07 MB. Aalbers, The Financialization of Housing. A Political Economy Approach, New York, Routledge, 2016. 08 Si vedano J. Tobin, «Capital Requirements for Economic Growth», California Management Review, 4(1), 1961; pp. 4-13; F. Modigliani, R.H. Brumberg, «Utility Analysis and the Consumption Function: An Interpretation of Cross-Section Data», in K.K Kurihara, (ed.), Post-Keynesian Economics, New Brunswick, Rutgers University Press, 1954, pp. 388-436; A. Ando, F. Modigliani, «The "Life-Cycle" Hypothesis of Saving: Aggregate Implications and Tests», American Economic Review, 53, 1963, pp. 55-84. 09 L'allineamento degli interessi dei manager a quelli dei mercati finanziari è stato facilitato dall'indebolimento o dalla distruzione del potere sindacale, il quale ha rimosso una forza di compensazione che in precedenza impediva ai gestori di assecondare eccessivamente gli interessi finanziari. 10 S. Bronars, D. Deere, «The Threat of Unionization, the Use of Debt, and the Preservation of Shareholder Wealth», the Quarterly journal of Economics, 106 (1), 1991, pp. 231-254. 11 T.I. Palley, «The Institutionalization of Deflationary Policy Bies», Monnaie et Production, vol. X of Economies et Societes, 1996, pp. 247-268Î 12 T.I. Palley, «The Causes of High Unemployment: Labor Market Sclerosis versus Macroeconomic Policy», in Hein, Héise, Truger (eds), Wages, Employment, Distribution and Growth, London, Palgrave Macmillan, 2005. 13 T.I. Palley, «Restoring Prosperity: Why the U.S. Model is Not the Right Answer for the U.S. or Bumper», journal ofPost Keynesian Economics, 20, 1998, pp. 337-354. 14 K.J. Arrow, G. Debreu, «Existence of an equilibrium for a competitive economy», Econometrica, 22 (3), 1954, pp. 265-290. 15 M. Friedman, Essays m Positive Economics, Chicago, University of Chicago Press, 1953. 58
16 M.J. Jensen, WH. Meckling. «Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure», journal of Financial Èconomics, 3, 1976, pp. 305-360. 17 T.I. Palley, «Managerial Turnover and the Theory of Short-termism», journal of Econornic Behavior and Organization, 32, 1997, ppi 547-557. 18 P.A. Hall, D. Soskice, Varietfes of Capitalism: The Institutional Foundations of Comparative Advantage, Oxford, Oxford University Press, 2001. 19 Ivi, p. 17. 20 Gli stessi Hall e Soskice classificano sei paesi come LME (Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Irlanda), dieci come CME (Germania, Giappone, Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia e Austria) e sei come misti (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Turchia e Grecia). 21 B. Amable, The Diversity ofModern Capitalism, Oxford, Oxford University Press, 2003. 22 Si veda T.L. Friedman, The Lexus and the Olive Tree: Understanding Globalization, New York, Farrar Straus & Giroux, 1999.
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3 Il caleidoscopio della finanza Uno sguardo attraverso le teorie sui mercati finanziari
Le molteplici teorie finanziarie Ogni teoria, e quindi anche quella sul sistema finanziario, normalmente deve costruire una ontologia, una epistemologia, una metodologia. In altre parole, una teoria sarà costituita da: un insieme di credenze sul mondo di cui si occupa, ossia di asserzioni sulla natura degli enti finanziari e delle loro relazioni (un'ontologia), che avrà al suo interno anche certe assunzioni metafisiche, ossia asserzioni sull'oggetto di studio non direttamente osservabili empiricamente o che non ammettono falsificatori (almeno allo stato presente della ricerca); un insieme di asserzioni su ciò che possiamo conoscere e su come possiamo arrivare a conoscerlo, che determina tanto la natura delle affermazioni di conoscenza sul mondo - per esempio il realismo o meno circa gli enti finanziari, ossia il fatto che tali enti esistano indipendentemente dalla mente di chi fa le affermazioni teoriche - quanto la fiducia che assegniamo a queste affermazioni (un'epistemologia) ; un insieme di asserzioni su come determinare ciò che conta come conoscenza giustificata, stabilendo una serie di regole o condizioni che devono essere soddisfatte affinché qualcosa sia considerato scientifico. Questo richiede di specificare quale sia il metodo appropriato da impiegare per studiare il fenomeno (una metodologia). Da tali insiemi possiamo sperare di ottenere una legge o un insieme di leggi, ossia una descrizione di un fenomeno anche sotto forma matematica. Il sistema finanziario è caratterizzato dalla presenza di una varietà di teorie che tentano di rendere conto della complessità del comportamento dei mercati finanziari, e che sono delineate da diverse ontologie, epistemologie e metodologie. Queste diverse teorie affrontano i due principali problemi dei sistemi finanziari: 60
il problema quantitativo, render conto e in caso prevedere le traiettorie dei prezzi delle attività finanziarie (TP) ; il problema qualitativo, descrivere e spiegare i processi che danno origine a tali traiettorie. Le risposte a questi due problemi possono anche essere separate, nel senso che possiamo rispondere all'uno senza necessariamente dover rispondere all'altro. Possiamo infatti trovare modelli che approssimano i dati delle TP, ma non avere una spiegazione per il loro andamento, Le diverse teorie non sono necessariamente, o sempre, in conflitto: alcune possono rivelarsi complementari, oppure puntare ad aspetti diversi della stessa situazione, e formano quindi una sorta di caleidoscopio teorico che ci offre più punti di vista su differenti configurazioni degli stessi «oggetti» finanziari (Figura 1). Possiamo contare almeno cinque principali teorie sul sistema finanziario . Esse sono: 01
l'ipotesi dei mercati efficienti (EMH); l'ipotesi dei mercati riflessivi (RMH); l'ipotesi dell'instabilità finanziaria (FIH); l'ipotesi econofisica (EPH). l'ipotesi comportamentista (BH).
L'investitore neoclassico: l'ideale dei mercati efficienti L'ipotesi dei mercati efficienti sviluppa una teoria dei mercati finanziari attraverso l'impianto filosofico neoclassico . Quest'ultimo è caratterizzato da una serie di ipotesi ontologiche, epistemologiche e metodologiche ben definite, che può essere utile qui richiamare brevemente. 02
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1. Primato ontologico dell'individuo. Tutti i fenomeni economici possono essere descritti e spiegati facendo riferimento alle azioni dei singoli individui, e i processi sistemici (il livello macro) sono riducibili alle azioni degli individui (livello micro). Quindi il neoclassicismo ritiene che non esistano fenomeni e strutture economiche che non possono essere attribuiti all'individuo, al contrario dell'emergentismo. Inoltre, ciò implica che solo l'individuo può essere la fonte dei valori morali: nessuno tranne l'individuo sa cosa sia meglio per sé stesso. Ne consegue che l'influenza o l'imposizione di valori da parte di istituzioni esterne, anche da parte della religione, non sono ammessi. Più in dettaglio, il neoclassicismo muove dall'idea che il problema centrale dell'economia è la scarsità delle risorse e che il compito di una teoria economica è quello di studiare l'organizzazione di un sistema economico che consenta di stabilire il benessere mediante l'allocazione ottimale di tali risorse. Il comportamento degli attori economici è il risultato di preferenze fisse e la soddisfazione di tali preferenze genera utilità. Gli individui si sforzano continuamente di massimizzare questa utilità, ma sono limitati, per esempio a causa dei vincoli di budget. L'economia è quindi intesa come un'attività di scambio in cui attori razionali e dotati di diverse allocazioni di risorse interagiscono mediante i mercati: questi attori commerciano tra loro poiché l'interazione genera utilità reciproca.
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È possibile scegliere tra diverse alternative e lo scopo delle decisioni è quello di massimizzare l'utilità personale. Per far ciò gli individui: agiscono seguendo il principio di razionalità in base al quale un output viene massimizzato per un determinato input o un input è ridotto al minimo per un determinato output; fondano le loro decisioni su un confronto tra costi e benefici in base al quale le unità marginali hanno un peso rilevante. L'utilità marginale si riferisce all'aumento dovuto a un'unità supplementare di un bene, mentre i costi marginali descrivono i costi aggiuntivi di tale unità. Una scelta razionale è tale solo se l'utilità marginale dell'azione è maggiore dei costi marginali. Per riassumere queste caratteristiche si usa spesso il concetto astratto di homo aeconomicus: un individuo ideale che agisce razionalmente, cioè massimizza l'utilità concentrandosi sulla sua utilità personale. La produttività, in tale quadro è vista come la fonte per il funzionamento dell'economia e il motore della ricchezza di una nazione. 2. Equilibrio. L'insieme delle decisioni e azioni a livello individuale (micro) portano a un equilibrio generale a livello sistemico (macro). Il mercato tende normalmente verso uno stato di equilibrio, motivo per cui è considerato generalmente stabile. Ciò non significa che il mercato rimanga permanentemente in equilibrio, ma che tende a uno stato stabile nel lungo periodo. Una implicazione importante di ciò è che ci sono leggi economiche generali che esistono indipendentemente dal tempo e dallo spazio. Inoltre, mediante l'aggregazione di tutte le singole funzioni di utilità, è possibile derivare la domanda aggregata. Attraverso il meccanismo dei prezzi, l'offerta e la domanda convergono verso un equilibrio in cui l'offerta è uguale alla domanda, una proprietà che rende il meccanismo del prezzo uno strumento ottimale di allocazione delle risorse. Questa affermazione tuttavia richiede l'assunzione della sostituzione lorda, ossia che tutti i beni e servizi siano generalmente scambiabili. Solo attraverso questo assioma si può garantire che il meccanismo dei prezzi funzioni come strumento di allocazione e che gli equilibri di mercato possano esistere. Se non intervengono fattori di disturbo esterni - un cataclisma, una innovazione tecnologica, la creazione di monopoli - il meccanismo di mercato conduce quindi all'ottima allocazione mediante una sorta auto-organizzazione, uno stato nel quale nessun attore può migliorare la propria situazione senza peggiorare quella degli altri (è Pareto-efficiente). 63
3. Matematizzazione del mondo sociale. Il neoclassicismoè caratterizzato da una forma di realismo epistemologico, ossia sostiene che esista un mondo economico esterno e osservabile, e che abbiamo strumenti appropriati per la sua analisi. In particolare, gli economisti sono degli scienziati, ossia osservatori neutrali, e la loro ricerca è priva di valori . Essi possono pertanto organizzare la loro ricerca come la fisica teorica, in particolare utilizzando il metodo assiomatico-deduttivo. 03
La descrizione neoclassica dell'economia di fatto si basa sul presupposto che i fenomeni economici, e le interazioni e reazioni degli attori, producano regolarità osservabili. Inoltre, presume che gli agenti siano «atomi» che possono essere isolati casualmente e non sono fondamentalmente interdipendenti . Da ciò segue che le interdipendenze e le causalità della realtà economica possono essere modellate mediante descrizioni matematiche. Per far ciò si stabiliscono e formalizzano degli assiomi e da questi si deducono conseguenze che danno contenuto alla teoria. Questo consente agli economisti neoclassici di costruire modelli matematici e testarli. Tuttavia, tali modelli si basano su assiomi altamente idealizzati e astratti, irrealistici, che non sembrano descrivere davvero la realtà economica, una debolezza notoriamente superata con un argomento «strumentalista»: il fattore decisivo non è il realismo degli assiomi, ma il potere predittivo di un modello e di conseguenza l'adeguatezza empirica della conclusione che traiamo dal modello. 04
Un modello economico è validato in due passaggi: si verifica la sua coerenza logica, ovvero si traggono deduttivamente conclusioni e si verifica se un contraddice un'altra; si verifica la sua adeguatezza empirica, ossia si traggono deduttivamente conclusioni e si verifica se si accordano con le osservazioni empiriche. La possibilità di produrre una descrizione, e in alcuni casi una spiegazione, matematica viene esibita come un punto di forza dalla teoria neoclassica, in quanto i risultati dei modelli formali sembrano essere più affidabili delle analisi verbali: diversamente dalle argomentazioni verbali, le formulazioni matematiche sono definite in modo inequivocabile e non possono essere interpretate arbitrariamente . 05
In virtù di questo impianto matematico, l'esercizio tipico dell'economia 64
neoclassica è quello di produrre analisi e risolvere problemi di «ottimizzazione sotto vincoli», ossia problemi in cui la massimizzazione dell'utilità degli individui, che è soggetta a vincoli, può essere modellata. Un esempio tipico è un problema di selezione di un portafoglio , ossia selezionare la combinazione ottimale di attività finanziarie (azioni, obbligazioni, futures) in modo da massimizzare il tasso di rendimento e minimizzare i rischi, dati certi vincoli di budget (ossia la quantità di soldi da investire). Trovare una soluzione numerica a questo problema permette di capire se e quando investire: poiché all'aumentare del rischio aumenterà anche il rendimento atteso, solo quando il rendimento atteso aumenta abbastanza da compensare il rischio aggiuntivo, gli investitori razionali scelgono di investire. La teoria della selezione del portafoglio ci dice che gli investitori dovrebbero aumentare il numero di azioni e diversificarle opportunamente al fine di ridurre il rischio. 06
L'impianto neoclassico ha delle ricadute immediate in termini politici. Le principali sono il laissez-faire e la deregulation. La prima afferma che il semplice lasciar fare i singoli, perseguire il proprio benessere e interesse, sarà sufficiente a produrre la prosperità della collettività; la seconda che i mercati non vanno regolamentari o lo devono essere in minima parte. La motivazione di questi due principi è naturale: se la concezione neoclassica del mercato come una forza che spontaneamente conduce all'equilibrio e all'efficienza è corretta, bisogna lasciar agire il mercato ed evitare di imbrigliare questa forza. Tuttavia, se tale capacità dei mercati sia sopravvalutata o meno, o se i loro limiti siano sottovalutati da un' economia deregolamentata,è un tema che ha motivato varie teorie alterative del sistema finanziario.
L'investitore efficiente L'ipotesi dei mercati efficienti (EMH) deriva gran parte del suo contenuto da questo impianto teorico e filosofico. In estrema sintesi, essa afferma che i prezzi di una attività finanziaria riflettono, ossia incorporano, tutta l'informazione disponibile, e in questo senso il mercato sarebbe efficiente. Ne consegue che: e1. un mercato efficiente è tale per cui il prezzo di una attività è uguale al suo «valore fondamentale»: gli investitori elaborano 65
correttamente tutte le informazioni disponibili su una attività finanziaria, creando aspettative del tutto razionali sui futuri flussi di cassa che determinano e il prezzo. Inoltre, «il prezzo è giusto»: non è né gonfiato ne' sottovalutato rispetto al valore reale della attività che sta dietro un titolo; e2. in un mercato efficiente non vi è alcun «pasto gratis»: nessuna strategia d'investimento consente di ottenere rendimenti superiori a quelli medi. Non è possibile battere il mercato nel suo complesso. Da e1. ed e2. segue che l'insieme degli investitori produce un'attività speculativa razionale che elimina opportunità di arbitraggio senza rischio e arresta una bolla non appena accenni a insorgere. Nel primo caso, quello dell'arbitraggio, la dinamica è la seguente. Supponiamo che un barile di petrolio sia venduto a 35 dollari sulla piazza di Boston e a 40 su quella di New York. L'imprenditore razionale userebbe la tecnica dell'arbitraggio per trarne un profitto: acquisterebbe il petrolio a Boston e lo spedirebbe a New York per venderlo lì, intascando il profitto che deriva dalla sola differenza di prezzo, sottratte le spese di spedizione. Un profitto senza rischi, sicuro. Un pasto gratis. Invece, secondo EMH il mercato (l'insieme degli investitori) sarebbe così veloce nell'individuare un'opportunità del genere, che in un batter d'occhio il prezzo del barile di New York salirebbe e quello di Boston scenderebbe fino ad annullare questa discrepanza, assumendo lo stesso prezzo. I mercati, nel loro complesso, sarebbero dunque così efficienti nell'individuare opportunità di arbitraggio, e così veloci a trovare il modo di realizzare un profitto economico, che è quasi impossibile che un singolo investitore si imbatta in un pasto gratis. Se ne deduce che maggiore è il rendimento atteso, maggiore sarà il rischio da correre. Nel secondo caso, quello di una bolla speculativa, un esempio tipico è il seguente: supponiamo che il valore fondamentale delle azioni di Yahoo! sia 30 euro. Immaginiamo che un gruppo di investitori (irrazionali) diventi eccessivamente ottimista sulle prospettive future di Yahoo! e inizi a comprarne le azioni, spingendo in su il prezzo, a 40 dollari. In base all'EMH, i trader razionali, vedendo un'opportunità nella discrepanza tra il valore fondamentale (30 dollari) e quello attuale di mercato (40 dollari), venderanno le azioni in loro possesso al prezzo attuale e, allo stesso tempo, copriranno la loro scommessa comprando un titolo sostitutivo, come per esempio Google, che ha flussi di cassa simili a Yahoo! La pressione di vendita 66
sulle azioni Yahoo! riporterà quindi il loro prezzo al valore fondamentale di 30 dollari. Un'altra caratteristica di EMH è che gli investitori prendono decisioni volte a massimizzare la loro utilità sulla base dei rendimenti attesi e del rischio, e i prezzi saranno fissati dal punto di equilibrio tra domanda e offerta. La volatilità del mercato azionario, ossia le variazioni dei prezzi, è il risultato dell'arrivo casuale e dall'esterno di nuove informazioni che influiscono sull'equilibrio raggiunto dal valore delle azioni: se dall'esterno del mercato non arrivano nuove informazioni, non vi sarà alcuna reazione da parte degli investitori, e quindi nessuna variazione dei prezzi. Inoltre, quando arrivano nuove informazioni, l'EMH afferma che gli investitori determinano il valore delle attività in modo del tutto razionale: considerano in modo oggettivo le informazioni sulle opportunità di investimento offerte dalle diverse società e i dati sulle prospettive economiche. Inoltre, poiché le informazioni che influiscono sulle prospettive future degli investimenti arrivano in modo casuale, generano movimenti casuali dei prezzi delle azioni: le variazioni di prezzo di un titolo descrivono quindi un percorso casuale (random walk). Pertanto, le tendenze dei prezzi di ieri sono irrilevanti per capire quelle di domani: i valori passati non sono utili per la previsione di valori futuri. Più intelligente e serio è lavoro degli investitori, più attivo ed efficiente sarà il mercato e, di conseguenza, più casuale sarà la sequenza delle variazioni di prezzo generate da tale mercato. In altre parole, quanto più un mercato è efficiente, tanto più le variazioni di prezzo saranno completamente casuali e imprevedibili. Ne deriva un'altra importante proprietà che riguarda la strategia d'investimento: secondo EMH infatti, a causa di questa intrinseca casualità del mercato, gli investitori dovrebbero investire in un portafoglio passivo e a basso costo. L'ipotesi dei mercati efficienti offre una serie di vantaggi che hanno contribuito a rendere questa teoria l'impostazione ortodossa e standard nel mondo della finanza. In primo luogo, EMH offre una spiegazione basata sulle decisioni e azioni degli investitori. Le traiettorie di prezzo casuali si ottengono attraverso la partecipazione attiva di molti investitori alla ricerca di una maggiore utilità: questa massa di investitori analizza costantemente e attivamente tutte le informazioni disponibili e prende decisioni di investimento basate su di esse. 67
Di conseguenza, come hanno sottolineato Bachelier e Samuelson, qualsiasi informazione vantaggiosa che possa portare a un'opportunità di profitto viene rapidamente eliminata dall'azione di questa massa sul prezzo. Così, le variazioni di prezzo nel tempo non sono indipendenti dalle azioni dei trader, ma derivano da loro. Se tale azione di feedback si verifica istantaneamente, in un mondo di mercati ideali (senza frizioni e trading senza costi), i prezzi devono sempre riflettere pienamente tutte le informazioni disponibili e nessun profitto può essere raccolto dal trading basato sulle informazioni, perché tali profitti sono già stati realizzati. In secondo luogo, EMH è supportata da vari dati che sembrano renderla plausibile e affidabile. Per esempio: le distribuzioni dei rendimenti giornalieri (il DJIA e l'indice Nasdaq per il periodo dal 2 gennaio 1990 al 29 settembre 2000) mostrano che i rendimenti positivi e negativi sono quasi identici: vi è quasi la stessa probabilità che un prezzo aumenti o diminuisca. I rendimenti sembrano casuali e descrivono una traiettoria casuale, frutto del lancio di un dado; la funzione di correlazione dei rendimenti alla scala temporale di minuti (per esempio i futures Standard & Poors 500 per un giorno come il 20 giugno 1995) mostra che i rendimenti sono essenzialmente non correlati oltre la soglia di pochi minuti nei mercati attivi e ben organizzati e di conseguenza, rendimenti oltre quella soglia temporale non possono essere previsti da estrapolazioni lineari del passato. Inoltre, EMH è sostenuta dall'osservazione che in media e nel lungo periodo anche gli investitori più intelligenti hanno difficoltà a fare meglio delle medie azionarie ordinarie complete, come Standard & Poors 500, o addirittura di far meglio anche solo di una selezione casuale tra titoli finanziari di variabilità comparabile. Tuttavia, le buone notizie per EMH sostanzialmente terminano qui. Infatti, per ottenere questa caratterizzazione dei mercati finanziari (equilibrio, nessun pasto gratuito, mercati casuali, assenza di bolle) EMH deve far ricorso a ipotesi problematiche come la possibilità di arbitraggio illimitato, o il fatto che gli investitori abbiano sia aspettative identiche e accurate sul futuro sia pari accesso a crediti illimitati sia la capacità di aggiornare correttamente le loro convinzioni quando ricevono nuove informazioni.
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I limiti dell'efficienza La teoria dell'efficienza dei mercati finanziari presenta limiti sia ontologici sia metodologici che minano fortemente la sua plausibilità. Una ontologia non così efficiente Gli indizi che i mercati non siano poi così efficienti, che anzi siano inefficienti, sono molteplici . Questi limiti colpiscono tutte le principali ipotesi della teoria, a livello sia ontologico sia metodologico. 07
In primo luogo, vari casi storici mostrano come sia possibile battere continuamente il mercato. Un esempio classico sono le prestazioni del Quantum Fund di George Soros, che ha ottenuto una media del 32% di rendimento annuo dal 1969 al 2000: se avessi investito 1.000 euro nel 1969, reinvestendo l'intero importo capitalizzato, avrei raccolto 4 milioni di euro (!) nel 2000. Ma Vi sono alcune assunzioni di EMI-1 che la rendono ancor più problematica. Ne evidenzio qui tre in particolare. 1. Un'idea ristretta del processo decisionale e dei comportamenti degli investitori, che si riflette nell'assunto che tutti gli investitori concordano sulle valutazioni che fanno dei titoli delle varie aziende. Questa ipotesi è fondamentale: è questa convergenza di aspettative e valutazioni che produce l'equilibrio. Inoltre, essa esclude l'effetto di un potenziale feedback tra valutazioni e percezioni, o meglio EMH presuppone che vi sia un processo unidirezionale che va dalle prime alle seconde, e di fatto afferma che gli investitori possono anche disinteressarsi del comportamento degli altri investitori (poiché un investitore sa ciò che l'altro pensa). Al contrario, se ammettiamo che gli investitori possano non essere d'accordo sulle prospettive future delle imprese, il futuro non sarà sempre come gli investitori si aspettano. Questa divergenza tra aspettative e risultati genererà squilibrio nel mercato azionario. Inoltre, se gli investitori influenzano reciprocamente le proprie aspettative, allora il mercato può essere dominato da uno stato d'animo pessimista o ottimista e vivrà cicli alimentati dall'alternanza di questi stati d'animo. Una difesa tipica dell'EMH è quella che sostiene che i trend che si osservano nei mercati finanziari sono solo aberrazioni temporanee, che saranno eliminate a lungo termine dalle forze fondamentali dell'offerta e della domanda. Tuttavia, questo argomento richiede la controversa 69
assunzione che le aspettative e le forze fondamentali degli investitori siano indipendenti. 2. La realizzazione di mercati efficienti può essere ostacolata dalle regole di negoziazione o trading, poiché se sono inadeguate portano a una convergenza lenta e inefficiente del prezzo al punto di equilibrio o addirittura allontanarlo da esso. 3. Non è affatto scontato, come assume EMH, che un annuncio pubblico produrrà aspettative comuni tra gli attori finanziari: ognuno di essi può ancora essere incerto sul modo in cui gli altri useranno queste informazioni. Inoltre, il fenomeno noto come segui-la-folla (o effetto gregge, berding), per cui molti attori finanziari semplicemente imitano ciò che fanno gli altri, può anche essere considerato un esempio di fallimento del mercato, in quanto porta a importanti deviazioni dai prezzi fondamentali o dal punto di equilibrio. Per superare queste obiezioni, EMH è stata raffinata mediante la formulazione di tre diverse versioni: debole, semi-forte e forte. Le tre versioni dell'EMH differiscono sugli effetti dell'informazione sui mercati finanziari. La versione debole afferma che poiché informazioni pubbliche aggiornate non si diffondono facilmente, liberamente e rapidamente, le persone che le conoscono per prime possono trarre profitto da esse battendo chi ancora non ne è in possesso. Di conseguenza, alcuni tipi di analisi dei fondamentali possono essere utili e fornire rendimenti poiché aiutano a prevedere i cambiamenti dei prezzi. Ma l'analisi tecnica, che in estrema sintesi afferma che i prezzi futuri possono essere previsti analizzando i prezzi del passato, non può essere utile ed efficace, poiché i cambiamenti passati dei prezzi sono di dominio pubblico. Pertanto, per questa versione dell'EMH i prezzi futuri non possono essere previsti analizzando i prezzi del passato in quanto non possiamo ottenere rendimenti nel lungo periodo utilizzando strategie di investimento basate sulle serie storiche di prezzi delle azioni: il prezzo futuro è determinato da informazioni non contenute nella serie storiche. Quindi, anche se i prezzi seguono un andamento casuale, ciò non implica che i prezzi siano o rimangano in equilibrio: semplicemente gli investitori non saranno in grado di trarre sistematicamente profitto dalle inefficienze del mercato. La versione semi-forte afferma invece che le informazioni scorrono così rapidamente che le informazioni pubbliche sono inutili e solo le informazioni 70
privilegiate possono far ottenere un profitto. Di conseguenza, l'efficienza semi-forte implica che né l'analisi dei fondamentali né quella tecnica saranno in grado di generare rendimenti in eccesso, poiché esse si basano su informazioni pubbliche. La forma forte, infine, come abbiamo visto, afferma che l'informazione fluisce liberamente e istantaneamente in modo tale che i prezzi riflettano e incorporano tutte le informazioni pertinenti, pubbliche e private, e quindi nessuno può ottenere rendimenti che eccedano quelli medi del mercato. Ciò significa che le informazioni in generale sono inutili: le informazioni privilegiate, l'analisi dei fondamentali o l'analisi tecnica non sono un mezzo per prevedere i prezzi futuri. Non c'è modo di battere il mercato, che è completamente casuale. Anche il fatto che alcuni gestori o investitori battano regolarmente il mercato non sarebbe in conflitto con la versione forte di efficienza: ciò che conta è la distribuzione normale dei rendimenti, per cui l'esistenza di pochi grandi profitti di per sé non rappresenta una refutazione della teoria. Tuttavia, anche dopo questi miglioramenti, l'EMH mostra forti lacune, in particolare la mancanza di una spiegazione dell'emergere, e della frequenza, dei fallimenti del mercato (come crisi e bolle) o di sue inefficienze. Tra le più note inefficienze ricordo quella nota come l'effetto calendario, tra cui l'effetto del fine settimana, l'effetto cambio del mese, l'effetto di fine anno e l'effetto di gennaio. L'effetto fine settimana descrive la tendenza dei prezzi delle azioni a diminuire il lunedì, il che significa che i prezzi di chiusura il lunedì sono inferiori ai prezzi di chiusura del venerdì precedente, e i ritorni di lunedì sono costantemente inferiori a quelli di tutti gli altri giorni della settimana. L'effetto cambio del mese si riferisce alla tendenza dei prezzi delle azioni ad aumentare l'ultimo giorno di negoziazione del mese e i primi tre giorni di negoziazione del mese successivo. L'effetto fine anno descrive l'aumento del volume degli scambi e di aumento dei prezzi delle azioni nell'ultima settimana di dicembre e nelle prime due settimane di gennaio. L'effetto di gennaio descrive il fatto che le azioni delle piccole imprese hanno rendimenti superiori durante le prime due o tre settimane di gennaio. Queste anomalie non solo non trovano una collocazione, ma neanche una spiegazione in EMH. Per esempio, l'effetto di gennaio viene spiegato per ragioni che non hanno nulla a vedere con l'efficienza, in quanto dipenderebbe dal cambio del calendario fiscale: gli investitori vendono le 71
azioni alla fine dell'anno per incassare i guadagni ai fini fiscali. Una volta che il nuovo anno inizia, c'è di nuovo una corsa agli investimenti sul mercato, in particolare su azioni di piccole imprese. Inoltre, alla luce dell'EMH, gli attacchi speculativi non sarebbero altro che la rivelazione dell'instabilità del mercato e il mezzo con cui i mercati sono costretti a tornare a uno stato più stabile. Infine, secondo l'EMH, le grandi variazioni di prezzo - bolle e crash - dovrebbero verificarsi solo come reazione a notizie ad alto impatto, ossia per effetto dell'azione di forze esterne (esogene) al sistema finanziario - una guerra o un'innovazione tecnologica (internet) - là dove esse si verificano anche in assenza di tali notizie. Una metodologia non così efficiente Non solo le ipotesi ontologiche, ma anche l'impianto metodologico dell'EMH mostra molte crepe. Due sono particolarmente importanti. 1. La nozione di equilibrio. A prima vista il concetto di equilibrio sembra molto utile in quanto permette di concentrarsi sul risultato finale piuttosto che sul processo che lo produce. Inoltre, i punti di equilibrio possono essere ottenuti da semplici principi (assiomi) riguardanti poche nozioni, come la razionalità, l'utilità, la domanda e l'offerta. Tuttavia, l'equilibrio è il prodotto di un sistema assiomatico e quindi assomiglia più un a postulato che a un fatto empirico. Come in un mondo in cui gli angoli di un triangolo non arrivano a 180 gradi, la geometria euclidea costituirebbe un modello fuorviante, così se nella realtà finanziaria l'equilibrio non venisse mai raggiunto, vivremmo in un mondo in cui EMH è un modello fuorviante. 2. La selezione dei dati. I dati che EMH usa per sostenere le proprie tesi sono opportunamente selezionati, se non parziali. Essa infatti usa la serie storica dei dati che vanno 1950 al 1964. Allargando la base dei dati, variano le descrizioni e le previsioni dell'EMH non tengono ed emergono varie incongruenze. Inoltre, il passaggio cruciale nella costruzione di EMH è l'analogia fra le traiettorie dei prezzi e il moto browniano (MB). Le variazioni dei prezzi sembrano mostrare il comportamento casuale tipico del moto browniano, e questo ha suggerito che fosse ragionevole assimilare i due fenomeni. Ma le somiglianze impiegate per proporre MB come candidato legittimo 72
per approssimare le traiettorie dei prezzi sono davvero scarse e deboli. Più in generale, sia la generazione sia la validazione di EMH si basa su una mossa ad hoc, vale a dire l'aggiustamento di alcune caratteristiche dei dati per renderli compatibili con la visione neoclassica. Infatti, i dati sono sacrificati alle ipotesi, nel senso che una parte dei dati (le grandi variazioni di prezzo e la loro frequenza) viene deliberatamente ignorata e trattata come «rumore» al fine di mantenere il resto dei dati compatibile con il quadro neoclassico. Il processo di generazione e corroborazione dell'ipotesi EMH è dunque tutto top-down, ossia effettuato in modo da cercare la migliore matematica disponibile che si avvicina alle ipotesi centrali di EMH, non la migliore ipotesi per render conto del maggior numero possibile di dati e delle loro caratteristiche. I dati, in sostanza, sono selezionati sulla base della loro compatibilità con l'ipotesi neoclassica. Pertanto, EMH non produce davvero una soluzione al problema dell'andamento dei prezzi: i dati vengono continuamente tagliati per essere trattabili dalla soluzione nota e conveniente fornita da EMH. L'incessante lotta di EMH con i dati e i continui adeguamenti apportati per mantenerla compatibile con loro suggeriscono che la teoria sembra commettere l'errore della evidenza soppressa, piuttosto che fornire un'interpretazione cogente dei dati e delle loro relazioni.
Il momento Minsky: l'ipotesi dell'instabilità finanziaria La necessità di superare alcune delle principali difficoltà dell'EMH, in particolare render conto in modo empiricamente e teoricamente adeguato di crash, bolle e fallimenti dei mercati, è uno dei principali obiettivi di un'altra importante teoria sul funzionamento dei mercati finanziari nota come l'ipotesi dell'instabilità finanziaria (FIH). L'instabilità, ossia la nozione opposta a quella che caratterizza EMH, è infatti il cardine teorico di questa teoria proposta dall'economista statunitense Hyman Minsky . Questa teoria, in estrema sintesi, afferma che la stabilità è destabilizzante, ossia che crisi, crash o fallimenti del mercato non sono dovuti, come afferma EMH, allo shock prodotto da forze esterne al mercato (per esempio guerre o innovazioni tecnologiche come internet), ma possono essere prodotti internamente dal mercato, ovvero sono endogeni. Minsky sostiene che i mercati finanziari siano caratterizzati da una «dinamica circolare» per effetto della quale proprio nei periodi di prosperità e stabilità 08
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economica vengano gettati i semi della prossima crisi e un ruolo centrale in questo processo è svolto dalla finanza. Più in dettaglio, durante i periodi di stabilità economica, le banche, le imprese e altri agenti economico-finanziari diventano «compiacenti»: presumono che il momento di prosperità continuerà ad andare avanti e confortati da ciò cominciano a correre rischi sempre maggiori nella ricerca di un sempre maggiore profitto. Così allentano i criteri di concessione del credito per estenderlo a una platea sempre più ampia. È in questo momento che la finanza agisce sul sistema economico come un fattore interno responsabile dell'innesco della futura crisi, che culmina nel «momento Minksy». Minsky evidenzia infatti che le banche e il sistema finanziario, diversamente da quanto sostenuto dall'EMH, non sarebbero semplici intermediari che spostano il denaro attraverso il sistema (dai risparmiatori ai mutuatari), ma sono istituzioni volte al profitto, con un incentivo ad aumentare i prestiti. Per usare una metafora idraulica, «non sono semplicemente tubi, ma una pompa». In questo senso la finanza è parte del meccanismo che rende le economie instabili. Il ciclo che porta dalla stabilità e prosperità finanziaria alla crisi è il seguente. Subito dopo una crisi, banche e mutuatari sono molto prudenti. I prestiti sono concessi con oculatezza e il mutuatario è scelto in modo accurato ed è normalmente in grado di rimborsare sia il capitale iniziale sia gli interessi. Quando la situazione migliora e la fiducia aumenta, le banche iniziano a fare prestiti in cui il mutuatario può solo permettersi (offre garanzie) di pagare gli interessi. Di solito questo prestito è concesso perché è destinato a un'attività che sta aumentando di valore e l'idea è che tale crescita non si arresterà. Infine, quando la crisi precedente è un lontano ricordo, si raggiunge la fase finale, che Minksy definisce «finanza Ponzi». A questo punto, sotto la spinta dell'euforia, le banche fanno prestiti a imprese e famiglie che non possono permettersi di pagare né gli interessi né il capitale: tale scelta è motivata dal fatto che tutti sono convinti che il momento di prosperità economica proseguirà - i prezzi e il valore delle attività aumenteranno - consentendo di ripagare i debiti contratti. È come ottenere un mutuo per una casa e non effettuare i pagamenti di tutte le rate per alcuni anni nella convinzione che il valore della casa sia aumentato abbastanza da poter coprire il prestito iniziale e tutti i pagamenti mancati mediante la sua vendita. Al culmine di questa fase arriva il momento Minsky - espressione coniata dai successivi economisti -, quando l'intero castello di carte implode. La finanza Ponzi è infatti alimentata e giustificata dall'aumento dei prezzi delle attività. Quando i prezzi delle attività iniziano a scendere, i mutuatari e le banche si rendono conto che c'è un debito nel sistema che non potrà mai essere ripagato. Nel 74
momento in cui questa presa di coscienza diventa collettiva, le persone si precipitano a vendere beni causando un calo ancora maggiore dei prezzi. Ciò causa un collasso del sistema economico-finanziario, con conseguenze come fallimenti, disoccupazione, povertà, ridefinizione delle modalità di concessione del credito, e così si ritorna al punto di partenza. Il processo circolare viene scandito da Minsky in quattro fasi principali: finanza di copertura; finanza speculativa; finanza Ponzi; momento Minsky e crisi. Dunque, il mondo economico è caratterizzato dal seguente ciclo endogeno, che viene spontaneamente generato dalla logica del capitalismo finanziario (Figura 2): crisi -> finanza di copertura -> stabilità economica -> finanza speculativa -> euforia -> finanza Ponzi -> momento Minsky -> crisi.
Da un punto di vista politico, la teoria di Minksy offre la base per giustificare almeno le seguenti tre tesi. Tesi #1. I responsabili politici dovrebbero essere scettici nei confronti dell'euforia che accompagna il ciclo economico: tale euforia è un esito inevitabile alla luce della logica dell'ipotesi dell'instabilità finanziaria.
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Tesi #2. Le economie capitalistiche dovrebbero regolamentare in modo significativo la speculazione finanziaria e l'eccesso finanziario, perché questa concorre all'instabilità economica. Tesi #3. La discrezionalità è più importante delle regole politiche. Modelli, numeri e regole sono insufficienti per la creazione di politiche adeguate a contrastare l'instabilità finanziaria e quindi abbiamo bisogno di una metodologia diversa da quella formale-matematica di EMH. In effetti, poiché l'economia ha un'intrinseca tendenza all'instabilità alimentata dalla finanza, i criteri basati su regole meccaniche non sono in grado di riconoscere e rispondere a questo processo. Al contrario, c'è bisogno di discrezionalità combinata alla presenza di istituzioni di contrasto, ossia che ostacolino la tendenza all'instabilità. La politica ha quindi un ruolo chiave nel contrastare l'instabilità. La sfida per i responsabili politici consiste sia nell'identificare le fonti di instabilità sia nel tenere alla larga gli operatori di mercato i cui interessi economici privati li portano a sostenere l'abolizione delle istituzioni che ostacolano l'instabilità, arrivando a un controllo diretto degli organi regolatori, di responsabili politici nonché a un controllo indiretto attuato attraverso una opportuna narrazione economica. In particolare, le banche centrali e i governi possono ridurre l'instabilità. Una metodologia instabile? Ovviamente questo resoconto del funzionamento e del ruolo dei mercati finanziari è per lo più verbale e qualitativo, e volutamente non impiega modelli matematici: pur essendosi formato come matematico, Minsky ha preferito adottare un approccio narrativo. Questa sembra essere una caratteristica della IFH che la differenzia profondamente dall'EMH, anche se vi sono tentativi di modellizzare alcune parti della teoria di Minsky , la quale è invece basata sui modelli formali e sulla matematizzazione. Uno dei rischi del eccessivo ricorso alla modellizzazione matematica tuttavia, come abbiamo visto, è che la comprensione profonda del fenomeno può essere sacrificata sull'altare della ricerca di modelli matematici che impiegano tuttavia ipotesi sempre più irrealistiche. 09
I prezzi sono sempre sbagliati: l'ipotesi dei mercati riflessivi (RMH) 76
Il tentativo di superare i difetti dell'EMH, e di render conto dell'instabilità finanziaria, sono alla base anche di un'altra importante teoria sui mercati finanziari, ossia l'ipotesi dei mercati riflessivi (RMH). Questa teoria, resa popolare dal noto investitore George Soros, si basa su due concetti : 10
una critica diretta all'ipotesi EMH, che si rifà all'approccio di Sraffa ; 11
l'idea che i prezzi possono essere influenzati da forze endogene, ossia dai movimenti dei prezzi precedenti. L'idea fondamentale della RMH è che i mercati esibiscono dinamiche riflessive, ossia un meccanismo di influenza reciproca (retroazione) tra le aspettative degli investitori e il comportamento dei prezzi. In particolare, la RMH si basa su un'analisi qualitativa del ruolo delle aspettative degli investitori nella formazione e nel comportamento del prezzo delle attività finanziarie. Questa analisi muove dall'osservazione che gli attori finanziari osservano le proprie azioni e reagiscono di conseguenza. Inoltre, la RMH ritiene che l'essenza del mercato finanziario non sia capire quali titoli valgano di per sé, ma di capire quali titoli la maggior parte degli altri attori ritiene che il mercato riterrà validi. La situazione dunque, come osservato da Keynes , e simile a quella di un concorso di bellezza nel quale i concorrenti devono scegliere i volti più belli tra un centinaio di fotografie e il premio viene assegnato al concorrente la cui scelta corrisponde alle preferenze medie di tutti concorrenti (si veda nel Capitolo 4, il paragrafo «Criticità tecniche»). In questo caso, per vincere, un concorrente deve scegliere non le facce che trova più belle, ma quelle che ritiene lo siano per gli altri concorrenti. Keynes afferma che in modo analogo in finanza, invece di elaborare razionalmente le prospettive di investimento e le condizioni economiche mondiali, gli investitori guardano l'un all'altro per capire se la maggioranza di loro apprezzerà determinate società nell'immediato futuro, ossia se venderà o acquisterà certi titoli, quando e a quanto. Certo, gli investitori prendono in considerazione anche le condizioni economiche mondiali, ma i principali investitori analizzano ed elaborano informazioni sulla comunità dell'investimento all'interno e non all'esterno di essa. 12
Questa osservazione di Keynes è una delle idee centrali di RMH, sulla base della quale essa respinge la tesi dell'EMH secondo cui le tendenze (trend) che possiamo osservare sui mercati finanziari sono solo aberrazioni temporanee che saranno eliminate a medio-lungo termine dalle forze 77
fondamentali dell'offerta e della domanda, ripristinando l'andamento casuale (random walk). Tale affermazione è semplicemente insostenibile poiché ignora la possibilità delle dinamiche riflessive: non vi può essere garanzia che le forze fondamentali correggeranno gli eccessi speculativi ed è altrettanto possibile che la speculazione alteri riflessivamente le condizioni dell'offerta e della domanda. La riflessività La riflessività legge i mercati finanziari alla luce dell'ipotesi che un'aspettativa, e quindi anche una previsione, è in grado di influenzare e modificare il sistema per cui è stata formulata. Soros fornisce un'interessante analisi di questo concetto e del suo modo di operare nei mercati azionari attraverso l'esame del rapporto tra: 13
1. il pregiudizio prevalente, ossia la visione sui mercati finanziari da parte della maggioranza degli attori finanziari, per esempio l'idea che un certo titolo è meritevole d'investimento; 2. le tendenze (trend) sottostanti, ossia una tendenza che influenza il movimento dei prezzi delle azioni indipendentemente dal fatto che sia riconosciuto o meno dagli investitori; 3. i prezzi. L'EMH afferma che (1)=(2)=(3), ossia i prezzi rifletteranno il pregiudizio prevalente che è aderente al trend sottostante. Per RMH le cose stanno un po' diversamente. Vediamo come. La nozione di pregiudizio prevalente esprime l'idea che i mercati hanno molti partecipanti le cui opinioni differiscono. Molti dei singoli pregiudizi o opinioni si annullano a vicenda, lasciando emergere il pregiudizio prevalente che può essere di due tipi: positivo o negativo. Un pregiudizio prevalente è un'entità osservabile. Infatti, quello positivo spinge i prezzi ad aumentare, quello negativo a calare (a parità di altre cose). Inoltre, un trend influenza i prezzi, e lo farà anche in base alla visione che i singoli partecipanti hanno del mercato. Questo genera le seguenti quattro possibilità di evoluzione dei mercati finanziari:
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una tendenza auto-rafforzante, quando i prezzi delle azioni rafforzano la tendenza sottostante; una tendenza autocorrettiva, quando i prezzi delle azioni non rafforzano la tendenza sottostante; un pregiudizio prevalente auto-rafforzante, quando i prezzi delle azioni rafforzano il pregiudizio prevalente; un pregiudizio prevalente autocorrettivo, quando i prezzi delle azioni non rafforzano il pregiudizio prevalente. Ciò significa che quando una tendenza viene rafforzata, essa accelera, ossia il movimento dei prezzi diventa più marcato nella direzione che già seguiva. Quando a rafforzarsi è invece un pregiudizio, aumenta la divergenza tra le aspettative dei partecipanti e il corso effettivo dei futuri prezzi delle azioni. Al contrario, quando un pregiudizio si auto-corregge, tale divergenza diminuisce. L'andamento dei prezzi delle azioni può quindi essere immaginato come composto dalla tendenza sottostante e dal pregiudizio prevalente, che generano l'andamento dei prezzi dei mercati azionari. E qui entra in gioco la riflessività: i prezzi delle azioni, la tendenza e il pregiudizio prevalente si influenzano reciprocamente con i prezzi (Figura 3).
L'interazione tra i prezzi delle azioni e gli altri due fattori non ha alcuna costante: quella che dovrebbe essere la variabile indipendente in una funzione è la variabile dipendente nell'altra. Senza una costante, sottolinea Soros, non vi può essere una tendenza verso l'equilibrio. Quindi avremo una sequenza di eventi in cui nessuna delle variabili (prezzi delle azioni, tendenza sottostante e pregiudizio prevalente) rimane inalterata. Nella sequenza tipica le tre variabili si rafforzano l'una l'altra prima in una direzione e poi 79
nell'altra in un modello che è noto, nella sua forma più semplice, come «espansione e contrazione (boom and bust). È anche possibile esprimere la riflessività in modo più formale. Per esempio, se denotiamo con P = prezzo, B = pregiudizio, U = tendenza sottostante, ↓ = diminuire, ↑ =aumentare, abbiamo: P =f(U) and P =f(B), B =f(P), U =f(P). All'interno di questa formalizzazione è possibile esprimere relazioni qualitative, per esempio: (B↑ + U↑) → ↑P, (B↓ + U↓) → ↑P. Il primo è la formalizzazione qualitativa di un'espansione: esso afferma che se il pregiudizio prevalente è positivo, B↑ , e la tendenza sottostante è in aumento, U↑, allora anche i prezzi aumenteranno, ↑P. Il secondo è la formalizzazione qualitativa di una contrazione: esso afferma che se il pregiudizio prevalente e negativo, B↓, e la tendenza sottostante è in diminuzione, U↓, allora anche i prezzi diminuiranno, ↓P. Da ciò segue che il comportamento degli investitori è radicalmente diverso da quello descritto dall'EMH. Soros sottolinea infatti che se l'EMH sostiene che i mercati abbiano sempre ragione, cioè i prezzi di mercato tendono a scontare con precisione gli sviluppi futuri anche quando non è chiaro quali siano questi sviluppi, la RMH mostra che è molto più plausibile accettare il punto di vista opposto, ossia che i prezzi sono sempre sbagliati, nel senso che presentano e incorporano una visione di parte o distorta del futuro, un pregiudizio (bias). Pertanto, non solo gli attori finanziari operano in base a un pregiudizio, ma il loro pregiudizio può anche influenzare il corso degli eventi. Quindi spesso l'impressione che i mercati prevedano con precisione gli sviluppi futuri è ingannevole: in realtà non sono le aspettative attuali che corrispondono agli eventi futuri, ma gli eventi futuri che sono modellati dalle attuali aspettative. Le percezioni dei partecipanti sono intrinsecamente imperfette e c'è una circolarità tra le percezioni imperfette e il corso 80
effettivo degli eventi. In sostanza, la RMH sostiene che i prezzi dei titoli finanziari siano intrinsecamente instabili, dal momento che gli operatori di mercato «stanno cercando di scontare un futuro che è a sua volta modellato dalle aspettative del mercato» . 14
La RMH ci fornisce quindi una ontologia della finanza molto diversa da quella neoclassica, e incorpora due ipotesi di base: i mercati sono sempre faziosi, in un modo o nell'altro; i mercati possono influenzare gli eventi che prevedono. Le due ipotesi implicano che rispetto al modo in cui fenomeni finanziari si articolano - la loro fenomenologia - nozioni come equilibrio, investitore razionale, indipendenza tra domanda e offerta sono sostanzialmente inadeguati. Circa il concetto di equilibrio, RMH nota che ci sono occasioni in cui la riflessività colpisce non solo i prezzi di mercato, ma anche i fondamentali: redditività, ricavi, attività, passività e potenziale di crescita di una società. In questo caso la riflessività diventa importante perché i prezzi di mercato seguono un comportamento diverso e svolgono anche un ruolo differente: non riflettono semplicemente i fondamentali, ma diventano essi stessi uno dei fondamentali che modellano l'evoluzione dei prezzi. Questa relazione ricorsiva rende irrilevante il prezzo di equilibrio. Per quanto riguarda la nozione di razionalità, RMH sostiene che il vero investitore, quello «reale» (e non quello ideale concettualizzato dell'EMH), nella maggior parte dei casi si trova in uno stato di comprensione incompleta e asimmetria informativa, cosicché le sue decisioni non possono essere razionali nel senso neoclassico. Per quello che concerne le nozioni di domanda e offerta, la RMH sottolinea che esse non possono essere considerate indipendenti, perché entrambe incorporano le aspettative dei partecipanti sugli eventi e sono dunque modellate dalle loro aspettative. Inoltre, in nessun luogo il ruolo delle aspettative è più chiaramente visibile che nei mercati finanziari. Le decisioni di acquisto e vendita si basano sulle aspettative sui prezzi futuri e i prezzi futuri, a loro volta, sono influenzati dalle attuali decisioni di acquisto e vendita. Parlare di offerta e domanda come se fossero determinate da forze indipendenti dalle aspettative degli Operatori di Mercato è abbastanza 81
fuorviante. Di conseguenza, è del tutto possibile che gli eventi sul mercato possano influenzare la forma delle curve della domanda e dell'offerta, un fatto incompatibile con la visione neoclassica. In effetti, le curve della domanda e dell'offerta dovrebbero determinare il prezzo di mercato per EMH, ma se esse stesse sono soggette a influenze di mercato, i prezzi cessano di essere determinati in modo univoco. Invece dell'equilibrio, avremmo prezzi fluttuanti e gran parte delle conclusioni della teoria neoclassica perderebbero la loro rilevanza per il mondo reale. In sostanza la RMH sostiene che l'andamento dei prezzi dei mercati azionari è in gran parte endogeno, originato da forze interne al sistema e guidato da meccanismi di feedback positivi che coinvolgono le anticipazioni degli investitori che portano a profezie che si auto-avverano. Di conseguenza, la tesi neoclassica, ossia che i valori monetari sono un riflesso passivo dello stato delle cose nel mondo reale, risulta fuorviante: i valori monetari non rispecchiano semplicemente lo stato delle cose nel mondo reale e la valutazione è un atto che ha un impatto sul corso degli eventi. Due debolezze Anche se l'analisi della RMH è interamente verbale, essa, diversamente da EMH, permette di identificare, spiegare e giustificare certi fenomeni come bolle o crolli. Inoltre, tali fenomeni vengono spiegati mediante processi endogeni, alimentati dalla riflessività tra le entità di mercati azionari, cioè gli investitori, le loro aspettative e decisioni, e i prezzi. Per esempio, alla luce della RMH, in una sequenza boom-and-bust ci aspettiamo di trovare almeno un tratto in cui l'aumento dei prezzi è rafforzato da un pregiudizio positivo e un altro in cui il calo dei prezzi è rafforzato da un pregiudizio negativo. Inoltre, e questo è l'aspetto cruciale, ci deve essere anche un punto, una svolta (tiping-point), in cui la tendenza di fondo e il giudizio prevalente si combinano per invertire l'andamento dei prezzi delle azioni. Tuttavia, RMH non fornisce un modo quantitativo per rilevarlo. In altre parole, la teoria non è in grado di indicarci quando prendere la decisione cruciale di investire/disinvestire una somma di denaro in prossimità del tiping-point. Inoltre, a livello ancor più generale, non è chiaro se la riflessività sia sempre in opera, oppure no. Soros, per esempio, ritiene che in effetti sia possibile distinguere tra due condizioni o comportamenti dei mercati 82
finanziari: a) condizione di quasi equilibrio, dove alcuni meccanismi correttivi impediscono che percezioni e realtà divergano troppo. b) condizione lontana dall'equilibrio, dove è in atto un meccanismo riflessivo di doppio feedback e non vi è alcuna tendenza per cui percezioni e realtà si avvicinino. Quindi la teoria neoclassica si applicherebbe solo al caso (a), perché la divergenza tra percezioni e realtà può essere ignorata, mentre nel caso (b) la teoria dell'equilibrio diventa irrilevante e ci troviamo di fronte a un processo in cui la reciproca influenza tra percezioni e realtà è irreversibile. Soros sottolinea come sia importante distinguere tra questi due diversi stati di cose perché ciò che è normale in uno non lo è nell'altro. Ma come possiamo distinguere tra condizioni vicine all'equilibrio e quelle lontane dall'equilibrio? Qual è il criterio di demarcazione? Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto l'ipotesi econofisica (EPH), che ci offre una nuova immagine del caleidoscopio finanziario.
Terremoti finanziari: l'ipotesi econofisica La EPH costruisce una ontologia finanziaria mediante una analogia tra i prezzi dei mercati azionari e i punti critici studiati nella fisica statistica , e in particolare usa la nozione di singolarità per la comprensione dei comportamenti lontani dall'equilibrio. L'analogia avviene in particolare con la Sismologia, dove pochi grandi terremoti sono responsabili di gran parte della deformazione tettonica . In entrambi i casi della finanza e della Sismologia, poiché non possiamo avere accesso e osservare direttamente una variabile fondamentale (le forze di pressione in profondità in Sismologia, le transazioni individuali nella finanza), dobbiamo affidarci a un apparato teorico che misura e trae inferenze indirettamente, statisticamente e collettivamente. L'ontologia dell'EPH è dunque plasmata da un impianto emergentista: il primato ontologico non è più attributo agli individui, ma al sistema nel suo complesso, il quale esibisce comportamenti emergenti che forniscono informazioni importanti su eventi critici del sistema. Inoltre, anche che se miglioriamo la comprensione del livello individuale del sistema, non segue che sarà così anche per la nostra comprensione del livello collettivo e sistemico. I due piani sono e rimangono separati, non riducibili. 15
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Un comportamento emergente influisce profondamente sui sistemi, creando biforcazioni e fasi che possono essere previste e anche se queste biforcazioni sono poche, forniscono informazioni molto utili perché riguardano eventi che plasmano a lungo termine il corso di un sistema. Come osserva Didier Sornette, uno dei maggiori esponenti di questa teoria, siamo molto più interessati a prevedere le principali svolte che coinvolgono le poche cose importanti (salute, amore, lavoro) e che contano per la nostra felicità e benessere, piuttosto che tutti i singoli eventi della nostra vita. In particolare, come i terremoti sono singolarità (cioè punti critici) preceduti da scosse di avvertimento e seguiti da scosse di assestamento, così le singolarità finanziarie, come i crolli, sono precedute da caratteristici movimenti finanziari (scosse) di avvertimento. Questi eventi critici sono gli snodi fondamentali del sistema che ne indirizzano i comportamenti a lungo termine e che sono quelli essenziali da comprendere e, se possibile, prevedere. Per EPH quindi non è importante prevedere il comportamento dettagliato del sistema, ma i suoi pochi eventi critici. Il fatto che sia fuori dalla nostra portata una comprensione o previsione dettagliata e a livello microscopico di un sistema complesso (ossia quello dei suoi costituenti, gli individui) non esclude la possibilità di prevedere le fasi che contano davvero, come gli eventi estremi, per esempio crolli o bolle. Come sottolinea Sornette, la maggior parte dei sistemi complessi nelle scienze naturali e sociali presentano transizioni di fase rare e improvvise, che si verificano in intervalli di tempo che sono brevi rispetto alle scale temporali della evoluzione complessiva del sistema. Tali eventi estremi esprimono più di ogni altra cosa le forze sottostanti del sistema, solitamente nascoste da un equilibrio apparente. Pertanto, la EPH ci fornisce una nuova lente per comprendere e anche prevedere gli eventi critici dei sistemi finanziari. A tal fine, produce una fenomenologia nuova, in quanto il loro comportamento a lungo termine sarebbe modellato da rari eventi catastrofici in modo quasi istantaneo. Questo significa che lo stato psicologico degli investitori sarà modellato a medio-lungo termine, per esempio, da un crollo finanziario che manda in fumo miliardi di euro in modo quasi istantaneo. Ma se da una parte questo evento produce effetti e cambiamenti drastici in poco tempo, la sua preparazione e le sue cause vanno ricercate nelle forze sottostanti che operano in profondità e a lungo termine, proprio come un terremoto, che rilascia in pochissimo tempo una enorme quantità di energia che si è 84
accumulata nel corso di molto tempo. Una tipica forza finanziaria che sottostà agli eventi critici finanziari, secondo l'EPH, può essere il processo che conduce all'effetto gregge, ossia quel processo che porta molte persone a prendere la stessa decisione per effetti della reciproca imitazione. In finanza questo è un comportamento cooperativo tra un numero crescente di trader che si imitano a vicenda (per esempio, comprando lo stesso pacchetto di azioni) e che prende il sopravvento sul mercato e lo deforma fino a generare un crash, un crollo. Tale effetto è il risultato delle peculiari dinamiche di fiducia, contagio e processo decisionale in condizioni di informazioni imperfette. Queste dinamiche fanno luce su questioni critiche come i meccanismi alla base dei crolli, la loro previsione e la fondamentale instabilità dei sistemi finanziari. Alla luce di questo impianto teorico, infatti, l'instabilità è prodotta da forze interne sottostanti che operano su scale temporali lunghe, mentre il crash può essere innescato da qualsiasi fenomeno accidentale esterno. La situazione è simile a quella di un oggetto in una posizione instabile, per esempio una massa di neve prima di staccarsi e diventare valanga o una matita tenuta verticalmente sul palmo della mano, che si trova in una posizione molto instabile che prima o poi porterà alla sua caduta. È la sua posizione instabile che porta alla caduta, e non un piccolo movimento della mano, che è una causa accidentale: basta qualsiasi movimento per farla cadere, ma questo movimento non può essere considerato come la vera causa dell'evento, la quale va ricercata piuttosto in ciò che ha prodotto la posizione instabile. Anche in finanza l'episodio che scatena un crollo dei prezzi non è cruciale, poiché proprio in virtù del concetto di punto critico, qualsiasi piccolo disturbo o evento può innescare il crollo quando si è in una situazione instabile. Questo spiegherebbe perché i tentativi di svelare l'origine locale di un crollo sia spesso così difficile e venga attribuito ora a un evento specifico ora a un altro: una volta che il sistema raggiunge una posizione instabile, essenzialmente tutto può scatenare un crollo. L'aspetto più rilevate della descrizione dei terremoti finanziari data dall'EPH è il fatto che un crollo ha un'origine endogena e gli shock esterni, esogeni, servono solo come fattori accidentali scatenanti. L'origine del crollo è molto più sottile e profonda ed è generata progressivamente da tutto il mercato. La EPH sostiene, sulla base delle suddette analogie, che i crolli del mercato azionario sono causati dal lento accumulo di correlazioni a lungo raggio che 85
conduce a un comportamento cooperativo globale del mercato e, alla fine, a un collasso in un breve intervallo di tempo critico. Un incidente può essere dunque innescato dall'imitazione locale auto-rafforzante tra i trader: se questa tendenza dei trader a imitare i loro pari aumenta fino a un certo punto, il punto critico, molti trader possono effettuare lo stesso ordine allo stesso tempo (per esempio vendere), causando così un crollo. Se questo resoconto dei mercati finanziari è vero, la EPH offre una nuova interpretazione di crolli e bolle: mentre i modelli classici sostengono che i meccanismi responsabili di tali eventi operano su scale temporali molto brevi, la EPH sostiene che questi operano su scale temporali lunghe, e che il progressivo aumento dei prezzi di mercato e prodotto da un crescente accumulo della cooperazione nel mercato. Inoltre, se questa ipotesi è vera, ne segue che è possibile studiare anche i processi premonitori dei crolli nel mercato azionario. Il mercato anticiperebbe infatti alcuni eventi critici, come un crollo, rilasciando segnali precursori osservabili nei prezzi di Borsa. In altre parole, i prezzi conterrebbero informazioni sui crash imminenti. Tali segnali, frutto del comportamento cooperativo fra i trader che si imitano a vicenda, sarebbero espressi mediante un andamento log-periodico dell'evoluzione temporale dei prezzi (si veda il Capitolo 5) e quindi sarebbero anticipabili. Curiosamente, la EPH sostiene una forma più debole della versione debole dell'EMH, che può essere riassunta nel modo seguente: i prezzi di mercato contengono, oltre alle informazioni generalmente disponibili a tutti, informazioni sottili su eventi critici imminenti, formate dal mercato nel suo complesso e che la maggior parte o tutti i singoli attori finanziari non hanno ancora imparato a decifrare e utilizzare. Queste informazioni sono rilasciate su diverse scale temporali e possono essere utilizzate per cercare precursori endogeni di crolli che si verificano anche in intervalli di tempo molto piccoli, come i flash crash o i mini flash crash. Va precisato tuttavia che la EPH non afferma che un crollo sia un risultato deterministico di una bolla, e Sornette rimarca infatti che può essere razionale per gli investitori rimanere sul mercato durante una bolla. Esiste infatti la possibilità che la bolla non scoppi, e quindi non vi sia alcun crollo: la condizione, per gli attori finanziari, per rimanere sul mercato e correre i rischi di un crollo è di essere compensati da un più alto tasso di crescita.
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L'ipotesi della finanza comportamentista Le due ipotesi oncologiche fondamentali che caratterizzano EMI-I, scarsità delle risorse e primato ontologico dell'individuo, sono anche i due cardini dell'ipotesi comportamentista, che fornisce tuttavia una diversa caratterizzazione dei mercati finanziari e una revisione profonda dell'ontologia neoclassica. Essa infatti intende spiegare le inefficienze del mercato, e quindi, diversamente da EMH, parte da una ontologia che le assume come esistenti. La finanza comportamentale, in estrema sintesi, afferma che le attitudini psicologiche e i pregiudizi influenzano i comportamenti degli operatori finanziari, e ci permettono di spiegare le anomalie di mercato. Queste influenze, inoltre, sono tali da render il modello neoclassico, l'homo aeconomicus, uno strumento inadeguato per render conto del comportamento dei mercati finanziari. Un investitore non tanto razionale La finanza comportamentale ribadisce il primato ontologico dell'individuo, che rimane quindi l'unità d'analisi centrale della teoria, ma ne fornisce una caratterizzazione ben più articolata e complessa di quella elaborata dall'EMH. Quest'ultima infatti si avvale di un modello ideale e riduzionista di individuo: l'homo aeconomicus opera infatti in modo razionale, ossia segue la teoria dell'utilità attesa, ed è dotato di un insieme stabile di preferenze su un insieme di beni in regime di scarsità di risorse. Essa afferma che, quando dobbiamo scegliere fra alternative che presentano dei rischi, la strategia da seguire è quella di confrontare i valori di utilità attesa di ciascuna alternativa, vale a dire, le somme ponderate ottenute sommando i valori di utilità di ciascun risultato moltiplicati per le loro rispettive probabilità. Per esempio, supponiamo di fare una scommessa con un'amica usando un dado. Se faccio 6, mi paga 600 euro. Se non lo faccio, pago 100 euro. Possiamo anche rinunciare alla scommessa e la nostra amica ci dà 20 euro. Qual è la scelta migliore? La teoria utilità attesa ci fornisce la seguente risposta. L'utilità attesa di questa scommessa è calcolata così: (1/6) x 600 - (5/6) x 100 = 100/6 il cui risultato è dunque circa 16,67 euro. Il valore atteso è perciò inferiore a 20 dollari e dunque, in base a questa teoria, dovremmo scegliere i 20 euro. 87
L'ipotesi comportamentista, fermo restando la scarsità di risorse, afferma invece che nel determinare il proprio comportamento un individuo si avvale di regole pratiche, euristiche, desideri, stati d'animo, emozioni: per usare un'espressione nota, gli agenti (finanziari) sono entità a razionalità limitata. Non affronterò qui la questione dell'origine delle preferenze degli attori finanziari, ossia se esse siano endogene (interne all'individuo) o esogene (influenzate o indotte da fattori esterni all'individuo), e mi limito a evidenziare come l'individuo comportamentista sia un attore che segue processi decisionali basati su procedure difettose. Più precisamente, egli segue modelli di comportamento non standard, dove il modello standard ovviamente è l'homo aeconomicus. La teoria comportamentista afferma invece che i soggetti seguono processi di decisione che deviano sostanzialmente da questa rappresentazione, ossia sono non standard. L'espressione non standard designa fondamentalmente tre forme di deviazione dal modello neoclassico: preferenze non standard, credenze non standard e decisioni non standard. Le preferenze non standard si riferiscono a elementi che fanno parte della funzione di utilità di un individuo, per esempio preferenze sociali o temporali. La finanza comportamentale sottolinea come le preferenze sociali sono altruismo e reciprocità, per cui gli esseri umani non si occupano solo del proprio interesse, ma anche della distribuzione delle risorse. Le preferenze temporali mostrano come gli esseri umani non pianificano sempre pensando al futuro, ma spesso hanno una preferenza per il presente. Di conseguenza, le decisioni relative a futuri investimenti e risparmi deviano dalle previsioni neoclassiche. Le credenze non standard riguardano la parte del processo decisionale in cui le probabilità devono essere prese in considerazione, e mostrano come gli esseri umani non siano razionali nel senso neoclassico e commettano varie fallacie, come generalizzare in fretta a proprio favore, oppure sopravvalutare le proprie capacità, per esempio il 93% di tutti i conducenti negli Stati Uniti ritiene di guidare meglio del conducente medio. Le decisioni non standard coinvolgono la linea guida delle decisioni, dove per EMH la massimizzazione è il canone standard. La finanza comportamentale mostra invece come questo non avvenga in modo continuo per via dell'interferenza di fattori emotivi o cognitivi. Per esempio, le decisioni non dipendono solo dai risultati attesi, ma anche dal modo in cui viene 88
presentato il risultato (effetto framing). Un investitore tende a comprare un titolo se viene promosso usando una frase del tipo «il titolo è salito 90 volte su 100 nel corso dell'anno» piuttosto che «è crollato 10 su 100 nel corso dell'anno». Inoltre, tali decisioni vengono prese basandosi su euristiche, ossia regole pratiche. A tal riguardo, vi sono almeno due tradizioni euristiche a cui la finanza comportamentale si richiama. La prima, nota come Hueristics & Biases (H&B)17, studia processi inferenziali e decisionali che si basano su deviazioni dalla razionalità ottimizzante. Le euristiche sarebbero processi che ci fanno allontanare dalla scelta razionale ottima e sarebbero quindi semplicemente errori che commettiamo quando non applichiamo le regole della teoria dell'utilità per effetto di fattori di disturbo, come l'avversione al rischio o il timore di subire una perdita. Quando applichiamo queste euristiche calcoliamo in modo scorretto la probabilità delle conseguenze delle nostre scelte e valutiamo in modo erroneo ciascuno degli stati finali che potrebbero verificarsi. Un caso tipico è l'euristica nota come ancoraggio (anchoring), la quale mostra che durante il processo decisionale un individuo dipende da un'informazione iniziale (l'ancora appunto) per esprimere giudizi successivi. In particolare, gli oggetti vicini all'àncora tendono a essere assimilati a essa, mentre quelli più lontani tendono a essere spostati nella direzione opposta. Una volta impostato il valore di questa àncora, tutti i futuri negoziati, argomenti, stime ecc. vengono discussi in relazione a essa. La distorsione si verifica quando si valutano informazioni future utilizzando tale ancoraggio. Per esempio, il prezzo iniziale offerto per un'auto usata, fissato prima o all'inizio dei negoziati, stabilisce un'àncora per tutte le discussioni successive. I prezzi che sono inferiori all'àncora possono sembrare ragionevoli, forse anche a buon mercato per l'acquirente, anche se sono relativamente superiori al valore di mercato dell'auto. La seconda tradizione, nota come Fast & Frugal (F&F)18, intende invece rispondere a una domanda diversa e altrettanto importante in finanza: come possiamo produrre buone decisioni avendo a disposizione poco tempo e scarse informazioni? F&F afferma che vi sono euristiche che ci consentono di fare proprio questo e non considera dunque le euristiche semplicemente come errori o deviazioni dalla razionalità, ma mostra come esse siano forme d'inferenza che possono produrre scelte anche migliori della razionalità ottimizzante. Esistono dunque regole euristiche veloci (fast) e frugali (ossia che hanno 89
bisogno di poche informazioni) che possono essere applicate con successo. Gli agenti hanno difficoltà ad applicarle quando vengono esposti a un sovraccarico informativo (ossia sono esposti a troppe informazioni e non sanno scegliere quella rilevante), e quindi anche a un sovraccarico computazionale: passano troppo tempo a calcolare tutte le opzioni, a pesarle e poi scegliere quella migliore. Queste euristiche sono specializzate e dominio-specifiche, frutto dell'evoluzione e dell'adattamento in un certo ambito. Anche se tali regole possono sembrare fallaci e in contraddizione con il processo di scelta della teoria dell'utilità attesa, esse si rivelano in realtà adeguate a quei contesti perché sono state sviluppate proprio per risolvere problemi che presentano la struttura tipica di quell'ambiente. Poiché incorporano conoscenza di un certo dominio, tali regole sono efficienti in questi contesti e quindi è razionale usarle. Pertanto, F&F caratterizza in termini ecologici la razionalità umana. Un esempio tipico anche in finanza è l'euristica nota come segui-lafolla, che in certi contesti finanziari dirige la scelta verso un'opzione migliore rispetto a quella indicata dalla teoria dell'utilità attesa. Questa euristica afferma che quando si è chiamati a prendere una decisione (per esempio comprare o meno un titolo), bisogna guardare la maggioranza delle persone nel proprio gruppo di pari e imitare il loro comportamento, ossia scegliere la stessa opzione adottata dalla maggioranza. È un'euristica veloce e frugale (richiede poche informazioni e può essere applicata velocemente) ed è molto efficace quando l'ambiente di riferimento non cambia o lo fa molto lentamente e la ricerca di informazioni è costosa (o richiede tempo, che altro non è che un tipo di costo). La scelta indicata da segui-la-folla può essere migliore di quella della teoria dell'utilità attesa perché se scelgo, per esempio, di comprare un titolo che tutti i miei pari stanno comprando, il prezzo del titolo aumenterà per il semplice fatto che molti lo stanno comprando anche se non è il titolo migliore in termini di fondamentali (il titolo che ci farebbe scegliere la teoria dell'utilità attesa). Inoltre, le euristiche F&F sono importanti perché considerano esplicitamente une fattore cruciale in finanza, ossia il tempo. Se non si opera una scelta entro una certa finestra temporale l'opportunità di investimento potrebbe svanire. Le due scuole hanno inoltre diverse implicazioni politiche ed economiche . La H&B sostiene che gli agenti devono essere protetti dal commettere errori, per esempio affidando il potere decisionale a esperti, forse meno soggetti a commettere gli errori tipici indotti da fattori emotivi e cognitivi, e quindi sostiene un paternalismo debole. La tradizione F&F ritiene invece che gli 19
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agenti saranno in gradi di scegliere da soli l'opzione giusta se viene loro fornita la quantità d'informazione corretta, e quindi sostiene il liberalismo. Le due scuole spiegano inoltre in modo diverso il fallimento dei mercati. La tradizione H&B ci fornisce un nuovo tipo di fallimento del mercato. Se da una parte le teorie convenzionali come l'EMH e la stessa F&F suggeriscono che il fallimento dei mercati abbia origini esogene, esterne al soggetto, ossia da situazioni in cui gli agenti che fanno le scelte hanno informazioni inadeguate sulle caratteristiche delle opzioni disponibili, dall'altra parte la tradizione H&B suggerisce che il fallimento sia da ascrivere a fattori interni, ossia all'incapacità interna dei soggetti di usare correttamente le informazioni di cui dispongono per effetto di distrattori emotivi e cognitivi. Quindi anche fornendo tutte le informazioni giuste, gli attori finanziari potrebbero processarle scorrettamente e generare le inefficienze e i fallimenti dei mercati. Note 01 Possiamo annoverarne anche altre due: l'ipotesi dei mercati adattivi (A. Lo, «The Adaptive Markets Hypothesis: Market Efficiency from an Evolutionary Perspective» journal of Porgfolio Management, 5 (30), 2004, pp. 15-29) e l'ipotesi delle bolle sociali (M. Gisler, D. Sornette, «Bubbles Everywhere in Human Affairs», Swiss Finance Institute Research Paper, n. 1016, 2010). 02 P. Samuelson, Foundations of Economie Analysis, Boston, Harvard University Press, 1947. 03 M. Friedman, Essays in Positive Economics, Chicago, University of Chicago Press, 1953. 04 T. Lowson, «What is this 'school' called neoclassical economics?», Cambridge journal of Economics, 37 (5), 2013, pp. 947-983. 05 D. Rodrik, Economics Rules: Why Economics Works, When It Fails, and How to Tell The Difference, Oxford, Oxford University Press, 2015. 06 H. Markowitz, «Portfolio Selection. Portfolio Selection», The Joumal of Finance, 7 (1), 1952, pp. 77-91 . 07 R. Haugen, T be Inefficient Stock Market, London, Pearson, 2001. 91
08 H. Minsky, john Maynard Keynes, New York, McGraw-Hill Professional, 1975; Id., Can "It" Happen Again ?, Armonk, Sharpe, 1982; Id., Stabilizing an Unstable Economy, New York, McGraw-Hill Professional, 1986. 09 S. Keen, «A monetary Minsky model of the Great Moderation and the Great Recession», journal of Economic Behavior & Organization, 86, 2013, pp. 221-235. 10 G. Soros, The Alchemy of Finance, New York, Wiley & Sons, 1987. 11 P. Sraffa, The Production of Commodities by Means of Commodities: Prelude to il Critique of Economic Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1960. 12 J.M. Keynes, The General Theory of Employment Interest and Money, New York, Harcourt Brace and Go., 1936. 13 Soros, The Alchemy of Finance, cit. 14 Ivi, pp. 314-315. 15 D. Sornette, Why Stack Markets Crash, Princeton, Princeton University Press, 2003. 16 Per esempio, i grandi terremoti che si verificano in California circa ogni due secoli, rappresentano una parte significativa della deformazione tettonica totale. 17 A. Tversky, D. Kahneman, «Rational Choice and the Framing of Decisions», The joumal of Business, 59 (4), 1986, 8251-8278. 18 G. Gigerenzer, D.G. Goldstein, «Reasoning the fast and frugal way: models of bounded rationality», Psychol. Re, 104, 1996, pp. 650-669. 19 M. Kelman, The Heuristic Debate, Oxford, Oxford University Press, 2011.
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4 «Perché nessuno se n'è accorto?» Il problema della previsione
La domanda regina Perché nessuno se n'è accorto? È con questa domanda che la regina Elisabetta II d'Inghilterra, intervenuta alla London School of Economics nel novembre 2008, si è rivolta a Luis Garicano, il direttore del dipartimento di Management della LSE che in quell'occasione presiedeva il convegno volto a discutere la grande crisi finanziaria dello stesso anno (la Grande Recessione), quella del credit crunch e dei mutui subprime. Se la domanda della regina è semplice, una risposta non lo è affatto, tanto che questa è la questione che ricorre più frequentemente nello studio dei mercati finanziari: la domanda della regina è la domanda «regina» della scienza finanziaria (financial economia). La teoria finanziaria è una disciplina relativamente giovane che ha come obiettivo quello di comprendere, spiegare e possibilmente predire il comportamento dei mercati finanziari. La crisi del 2008 ha minato fortemente la fiducia, e non solo quella della regina, che questa disciplina sia anche solo vicina a raggiungere questi obiettivi. Se le cose erano così grandi ed evidenti - ha evidenziato Elisabetta II - come è possibile che nessuno le abbia viste arrivare? In effetti, la crisi del 2008 non solo non è stata predetta, ma tempistica, estensione e gravità non state neanche solo ipotizzate da parte di molte istituzioni economiche come l'OCSE oil PMI. La domanda della Regina aveva anche solide ragioni pratiche e personali: stime piuttosto affidabili ci dicono che il patrimonio della casa reale britannica si è ridotto di 25 milioni di sterline a seguito di quella crisi. Naturalmente non è proprio esatto dire che nessuno si sia accorto dell'arrivo dell'imminente crisi finanziaria del 2008, tant'è vero che qualcuno si è arricchito proprio anticipandola. Tuttavia, le teorie finanziarie, anche quelle più accreditate, vantano un record così negativo in tale senso, in termini sia di falsi positivi (aver previsto crisi che non ci sono state) sia di falsi negativi 93
(crisi accadute che non erano state espressamente previste), da rendere la domanda circa la possibilità di prevedere il comportamento dei mercati finanziari legittima e attuale non solo da un punto di vista pratico, ma anche teorico. Per dirla con le parole del premio Nobel Paul Krugman, la crisi del 2008 «è stato come uno shock non solo per me, ma per quasi tutti» e le poche persone che l'avevano predetta avevano «anticipato anche cinque crisi che non si sono verificate, e quindi non contano... Ci sarà sempre qualcosa là fuori che ti manca». Come nella favola di Esopo, a forza di dire «al lupo, al lupo», prima o poi il lupo potrebbe arrivare davvero, ma questo non significa averne predetto l'arrivo. Tutto ciò, ovviamente, pone un serio problema: se una teoria non è in grado di prevedere con una certa affidabilità il comportamento del sistema che studia fa ovviamente fatica ad accreditarsi come una disciplina scientifica. Non a caso, alla domanda della regina hanno tentato di fornire risposte svariati economisti e rappresentati delle istituzioni economiche mondiali. Ovviamente sono tutte risposte e spiegazioni ex post, e non ex ante, l'evento. Per esempio, Luis Garicano ha risposto subito alla regina in modo altrettanto semplice e diretto: «a ogni fase, qualcuno si affidava a qualcun altro e tutti pensavano di star facendo la cosa giusta». Commento della regina: «terribile» (awful). Pochi mesi dopo, nel 2009, un gruppo di insigni economisti britannici si è sentito in dovere di fornire una spiegazione più articolata, condensata in una lettera di tre pagine inviata alla regina. La lettera spiega che, mentre prolungati bassi tassi d'interesse permettevano di accedere al credito (indebitarsi) a buon mercato, una ventata di ottimismo mascherava il fatto che l'economia mondiale stesse andando fuori giri. In particolare, gli USA stavano accumulando montagne di debiti chiedendo prestiti a chi aveva cumuli di denaro contante, come la Cina o gli Stati del Medio Oriente ricchi di petrolio. Nonostante questi grandi squilibri, i maghi della finanza sono riusciti a convincere tutti che avevano trovato modi intelligenti per diluire (mitigare) il rischio spargendolo su tutti i mercati finanziari. È difficile, continua la lettera, ricordare un esempio più grande di combinazione letale di pia illusione e presunzione: «tutti sembravano fare il proprio lavoro correttamente. E secondo gli standard di successo, lo facevano per lo più bene». Pertanto «il fallimento è stato quello di non vedere come tutto questo si sia sommato a una serie di squilibri interconnessi su cui nessuna 94
singola autorità aveva giurisdizione». E quindi, «in sintesi, vostra maestà, l'incapacità di prevedere i tempi, l'ampiezza e la gravità della crisi, e di scongiurarla... è stato principalmente il fallimento dell'immaginazione collettiva di molte persone brillanti, sia in questo paese sia a livello internazionale, nel comprendere i rischi per il sistema nel suo complesso». In poche parole: non l'abbiamo vista arrivare. Commento della regina: non pervenuto. L'elenco delle spiegazioni per la mancata previsione della crisi del 2008 naturalmente è lungo e vario, così come l'atteggiamento verso la possibilità di prevedere tali eventi. L'allora presidente della Federal Reverse (la banca centrale statunitense), Alan Greenspan, ha dichiarato che il fallimento nel prevedere la crisi è dipeso dal fatto che «i dati immessi nei modelli di gestione del rischio generalmente contemplavano solo gli ultimi due decenni, che è stato un periodo di euforia». In altre parole, poiché i modelli utilizzati per prevedere il comportamento e i rischi si basavano su dati storici relativi a un periodo nel quale era andato tutto bene, non erano in grado di prevedere l'arrivo di una crisi. Similmente, il premio Nobel Robert Lucas, ha dichiarato che «le simulazioni non erano una garanzia del fatto che non si sarebbe verificata alcuna crisi, ma fornivano previsioni di ciò che ci si poteva aspettare sotto la condizione che una crisi non si potesse verificare». In altre parole, i modelli erano stati costruiti partendo dall'ipotesi che una crisi non si potesse verificare. Il noto economista Ben Bernanke nel 2009 ha fatto osservare che: «come i meteorologi, gli economisti devono occuparsi di un sistema straordinariamente complesso, soggetto a shock casuali, e di cui i nostri dati e la nostra comprensione saranno sempre imperfetti… I matematici hanno discusso il cosiddetto effetto farfalla». L'imperfezione delle nostre previsioni economico-finanziarie sarebbe dunque costitutiva, una tempesta che può essere causata da uno shock casuale, o da una farfalla. Ancora, l'economista John Cochrane nel 2011 ha affermato che: «fatico dire che non abbiamo visto arrivare la crisi, ma la previsione empirica centrale dell'ipotesi dei mercati efficienti è proprio che nessuno può dire dove stiano andando i mercati». Qui saliamo di livello: predire l'andamento dei mercati è impossibile secondo la teoria mainstream, e quindi, a maggior ragione, è impossibile prevedere una crisi. Poiché è impossibile, bisogna smettere di chiedere agli economisti di fornire previsione precise: infatti «non cerchiamo 95
- hanno affermato nel 2017 sei eminenti economisti inglesi - di prevedere la data della prossima crisi finanziaria, o qualsiasi altro evento di questo tipo. Non siamo astrologi, né sacerdoti degli dei del mercato». Da questo potrebbe tranquillamente seguire l'affermazione che ancora Paul Krugman, nel 2018, ha usato per rispondere direttamente alla domanda della regina: «morale della favola, il fallimento di quasi tutti i macroeconomisti nel predire la crisi 2008 era simile al tipo di fallimento del Centro Meteorologico inglese nel 1987, un fallimento di osservazione piuttosto che un fallimento concettuale. Né la crisi finanziaria né la grande recessione che seguirono richiedono un ripensamento delle idee di base». Di fronte a tale varietà di possibili spiegazioni e atteggiamenti rispetto alla previsione dei fenomeni finanziari, la domanda regina rimane quanto mai aperta. È dunque possibile prevedere il comportamento del sistema finanziario? Come vedremo più avanti in questo capitolo, l'autorevole risposta data dall'economista tedesco Oskar Morgenstern è no. Egli sostiene infatti che ciò sarebbe impossibile anche solo da un punto di vista teorico, e a sostegno di questa tesi offre un argomento noto come il paradosso di Morgenstern . L'impossibilità di fornire previsioni non deriverebbe da limitazioni pratiche (come l'assenza di dati) ma dalla natura stessa dei fenomeni che tale disciplina studia. Prima di analizzare questa risposta bisogna chiarire un aspetto chiave della previsione in finanza, ossia la nozione di rischio. 01
Previsione e rischio La previsione finanziaria è caratterizzata dall'esigenza di trattare finanziariamente e concettualmente una nozione fondamentale quale quella di rischio (e incertezza), e di farlo nel modo più razionale possibile. Da un punto di visto storico, tale esigenza risale almeno al mondo greco antico, che aveva sviluppato un modo articolato di far fronte a questo problema nel tentativo di modellizzare finanziariamente il rischio in mare (il commercio marittimo). In altre parole, la civiltà greca aveva messo a punto una serie di strumenti per normare i prestiti marittimi, ossia quanto e come finanziare i viaggi commerciali via nave. Una fonte importante per capire questo impianto teorico è Demostene, il grande oratore ateniese del IV secolo a.C. In un documento risalente all'incirca al 352 a.C. si può infatti leggere un'arringa che Demostene scrisse per il querelante, il quale citava in giudizio 96
Lacrito, fratello maggiore di due giovani mercanti (Artemone e Apollodoro), che avevano contratto un prestito di tremila dracme per finanziare una spedizione da Atene al Mar Nero e verso nord fino al Dnepr presumibilmente per scambiare vino con cereali da riportare nella capitale. Il prestito non andò a buon fine e ne derivò un contenzioso. L'orazione illustra dettagliatamente il funzionamento dei prestiti marittimi ateniesi, quali fossero i rischi delle spedizioni via mare e in che modo i contratti specificavano le condizioni imposte ai debitori. Nel documento si legge che «Androcle di Sfetto e Nausicrate di Caristo hanno prestato ad Artemone e Apollodoro di Faselide tremila dracme d'argento per un viaggio da Atene a Mende o Scione, e di là al Bosforo, e, se vorranno, lungo la costa sinistra sino al Boristene, e di ritorno ad Atene». A fronte di questo prestito, i due si impegnano a rimborsare interessi «in ragione di duecento venticinque per mille [22,5%]; ma se salperanno dal Ponto per Ierone dopo l'inizio dell'autunno, in ragione di trecento per mille [30%]» e danno come garanza «tremila anfore di vino di Mende da imbarcare a Mende o a Scione sulla nave a venti remi comandata da Iblesio». Quindi il tasso d'interesse sarebbe stato più elevato se i due fratelli avessero intrapreso il viaggio di ritorno attraverso il Bosforo dopo l'equinozio d'autunno, quando il clima era più burrascoso: la differenza tra il 22,5 e il 30% serviva a compensare il rischio di una calamità. Inoltre, il contratto regolamenta vari dettagli: per esempio «nel caso in cui i debitori non si spingano sino alla destinazione finale, ma facciano sosta per dieci giorni, durante la canicola, nell'Ellesponto, e scarichino in un luogo dove gli ateniesi non abbiano diritto di rappresaglia e di qui facciano il viaggio di ritorno ad Atene, essi pagheranno gli interessi fissati nel contratto l'anno precedente». Invece, «nel caso in cui la nave sulla quale viaggia la mercanzia subisca un danno irreparabile, ma si salvino le merci oggetto della garanzia, le merci superstiti apparterranno pro-indiviso ai creditori». Una caratteristica essenziale di questo contratto (detto «a cambio marittimo») è che il contraente del prestito non ha l'obbligo di ripagarlo in caso di affondamento della nave: i creditori, e non i contraenti, assumevano il rischio di un naufragio. In caso di disastro, quindi, Artemone e Apollodoro sarebbero stati sollevati dal debito: l'imbarcazione e il suo carico erano ipotecati al creditore, ma il rimborso era dovuto solo se la nave sopravviveva alla spedizione. Il fatto che tale rischio fosse assunto dall'investitore e non dall'imprenditore era sensato perché colui che concedeva prestiti a cambio 97
marittimo (l'investitore) poteva diversificare i rischi di un fallimento prestando piccole quantità di denaro a un numero elevato di viaggi. Il commercio dei cereali con la regione del Mar Nero infatti era così sviluppato al tempo che i viaggi erano davvero numerosi: pertanto la perdita dovuta al naufragio di una singola nave poteva essere assorbita. Al contrario, i mercanti (gli imprenditori) non potevano diversificare il rischio attraverso molteplici spedizioni se non entrando in società con altri imprenditori. Quindi quando i singoli mercanti (gli imprenditori) si avventuravano in mare scommettevano quasi tutto su un solo cavallo. E pur avendo tutti gli incentivi per comprare cereali a basso costo nel Ponto, venderli a un prezzo elevato al Pireo e guadagnare abbastanza per rimborsare il prestito, tuttavia essi non potevano proteggersi dalle circostanze che andavano oltre il loro controllo, come le condizioni climatiche avverse o l'intervento dei pirati. Questo contratto presenta già una teoria del rischio finanziario, in quanto fornisce una cornice concettuale per modellare come imprenditori e investitori si espongono a certi pericoli che comportano occasioni di ritorno o perdita economica. Gli interessi sono infatti stabiliti sulla base di una mappatura piuttosto dettagliata dei possibili eventi, del loro corso e dei rischi annessi. Questa mappatura nasceva dalla conoscenza delle varie rotte marittime, della loro pericolosità e di come questa cambiasse nel corso dell'anno, quanto tempo ci volesse a percorrerle, quali erano le soste più convenienti ecc. Ognuno di questi possibili scenari comportava interessi diversi in base alla possibilità che si verificassero certe circostanze piuttosto che altre. Più alto era il rischio, più alto era il tasso di interesse. Tale impianto teorico contiene già principi che plasmano una teoria del rischio in senso moderno.
Varietà di rischi La nozione di rischio è stata caratterizzata in modi diversi e in letteratura è possibile distinguere almeno cinque diverse versioni del concetto di rischio : 02
rischio inteso come un evento indesiderato che può verificarsi o meno (esempio: il cancro ai polmoni è uno dei principali rischi che colpiscono i fumatori); rischio inteso come causa di un evento indesiderato che può o non può verificarsi (esempio: il fumo causa anche altre malattie ed è di 98
gran lunga il rischio per la salute più importante nei paesi industrializzati); rischio come la probabilità di un evento indesiderato che può o non può verificarsi (esempio: ci sono prove che il rischio di avere la propria vita accorciata dal fumo arrivi fino al 50%); rischio come valore statistico atteso di eventi indesiderati che possono o non possono verificarsi (esempio: il rischio totale di fumare e superiore a quello di qualsiasi altra causa analizzata dagli analisti); rischio come decisione presa in condizioni di probabilità note (decisione sotto rischio) (esempio: le probabilità di varie malattie legate al fumo sono così note che la decisione se fumare o meno può essere classificata come una decisione a rischio). Queste concezioni evidenziano come il rischio si basi sulla combinazione di conoscenza e mancanza di conoscenza. Quando c'è rischio, ci deve essere qualcosa che sia sconosciuto o che abbia un esito sconosciuto. Affinché questa mancanza di conoscenza costituisca per noi un rischio, di una situazione bisogna anche conoscere qualcosa, non può essere totalmente ignota. Questa mancanza di conoscenza viene usualmente trattata mediante due categorie fondamentali, quella di rischio e quella di incertezza. Quando operiamo sotto rischio, sappiamo quali sono i possibili risultati e quali sono le loro probabilità: operiamo in condizioni di probabilità note. Quando operiamo sotto incertezza, invece, le probabilità non sono note o sono note solo con scarsa precisione. Purtroppo, solo in casi molto rari le probabilità sono note. Pertanto, in senso stretto, gli unici veri casi di rischio (probabilità note) sono casi ideali, quelli che si riferiscono a eventi come lanci di dadi o monete che sono noti con certezza se non sono truccati. I casi ordinari sono invece caratterizzati da un'incertezza epistemica che non è dotata di probabilità esatte. Quindi, quasi tutte le decisioni sono decisioni sotto incertezza e per lo più quando si parla di decisioni sotto rischio non ci si riferisce a decisioni prese in condizioni di probabilità completamente note, ma alla scelta di semplificare la descrizione di questi problemi decisionali trattandoli come casi di probabilità note. 99
Una volta che ci si trova a operare in condizioni di rischio o incertezza, nasce il problema di come elaborare una risposta razionale alla mancanza di conoscenza. La strada per risolvere questo problema è quella di cercare il modo di ridurre l'incertezza e quindi il rischio, per esempio individuando a quali rischi esporsi. Un modo per far ciò è trattare tutte le decisioni come decisioni sotto incertezza epistemica. Questa strada tuttavia si scontra con il fatto che siamo agenti a razionalità limitatala, ossia con precisi limiti cognitivi quali tempo e capacità computazionale. Infatti, se dovessimo trattare ogni decisione come sotto incertezza epistemica, non riusciremmo a raggiungere una rappresentazione cognitiva stabile e gestibile del mondo, per via della presenza di una quantità eccessiva di questioni che rimarrebbero irrisolte. Pertanto, quando dobbiamo affrontare situazioni complesse, seguiamo una via pratica: riduciamo l'incertezza epistemica assegnando a certe proposizioni un valore di probabilità (per esempio: c'è una probabilità del 90% che domani sarà soleggiato) oppure trattandole come certe (domani sarà soleggiato). Il processo, per quanto logicamente scorretto, ci aiuta a costruire una rappresentazione provvisoria gestibile (stabile) del mondo, aumentando così la nostra efficienza nel prendere decisioni. Un altro modo di ridurre l'incertezza è quello indicato dalla teoria bayesiana, la quale afferma che è razionale pensare che tutte le proposizioni sul mondo abbiano un valore di probabilità. Escludendo le proposizioni tautologiche, qualsiasi altra proposizione non deve mai essere pienamente creduta (essere ritenuta certa), ma godere al massimo di alta probabilità. Quindi, l'incertezza epistemica è ridotta alla probabilità, ma mai alla piena credenza (certezza). Il sistema di credenze risultante è una complessa rete di proposizioni probabilistiche interconnesse. Come osserva Hansson il grado di riduzione dell'incertezza fornito dal bayesianismo è insufficiente per ottenere un sistema di credenze gestibile: i nostri limiti cognitivi sono tali che le continue riduzioni a certezza di opportune proposizioni (ossia darle per garantite) sono indispensabili se vogliamo essere in grado di giungere a conclusioni e prendere decisioni. Hansson sottolinea che l'inconveniente cruciale del modello bayesiano dunque è che non tiene conto dei limiti cognitivi degli esseri umani reali: naturalmente, potremmo voler riflettere su come un essere razionale con capacità cognitive illimitate dovrebbe comportarsi, ma questa è una speculazione di rilevanza limitata per gli esseri umani reali. 03
Un altro modo interessante di ridurre l'incertezza è quello non probabilistico, 100
che indaghi come un essere razionale con capacità cognitive limitate possa fare un uso razionale di tali capacità. Poiché operiamo di fatto in condizioni di razionalità limitata, questo approccio afferma che per trattare situazioni complesse di fatto riduciamo continuamente l'incertezza epistemica non solo a probabilità, ma anche a certezza. In altre parole, diamo per scontate alcune ipotesi o affermazioni anche se non abbiamo la garanzia di poterlo fare. Tali riduzioni naturalmente sono temporanee e reversibili, in modo da poter tornare dalla piena convinzione alla probabilità o addirittura all'incertezza quando vi siano ragioni per farlo. Le transizioni da atteggiamenti probabilistici a quelli non probabilistici è la modalità pratica che gli agenti reali adottano perché questo modo di ragionare mantiene l'incertezza a un livello gestibile. Bisogna inoltre sottolineare che il processo di riduzione dell'incertezza, provvisorio e rivedibile, non è privo di valori o puramente epistemico, in quanto siamo meno riluttanti a ignorare le alternative remote o improbabili quando la posta in gioco è alta. Per esempio, supponiamo che durante la ricerca di munizioni smarrite, apro e controllo attentamente una pistola, concludendo che sia vuota. Posso allora dire che so che la pistola è scarica. Tuttavia, se qualcuno la punta alla mia testa chiedendo se può premere il grilletto, non sarebbe irragionevole o incoerente da parte mia dire no e usare motivazioni probabilistiche o d'incertezza per spiegare il perché. In questo caso, si passa dalla piena convinzione all'incertezza quando la posta in gioco cambia. Date le nostre limitate capacità cognitive, questo comportamento sembra essere abbastanza razionale. Poiché riduciamo gran parte dell'incertezza a credenze provvisorie, considerazioni di valore pratico influiscono sul processo di riduzione se vogliamo ridurre al minimo le conseguenze negative di tali riduzioni. Una volta che prendiamo in considerazione questioni di rischio e incertezza, l'epistemologia non può essere indipendente dai valori morali o da altri valori pratici. Questa connessione tra epistemologia ed etica è una delle maggiori lezioni filosofiche per la finanza che possiamo trarre dallo studio filosofico del rischio.
Il rischio in finanza La trattazione del rischio in finanza è fondamentale perché mediante esso viene modellato il bilanciamento che ogni investitore, e ogni affare, deve fare tra ricompense che derivano da certe opportunità, e il rischio, ossia il possibile danno, che si corre per sfruttare queste opportunità. Il rischio è 101
dunque una nozione essenziale per scegliere quali investimenti fare ed è centrale anche per sviluppare una filosofia d'investimento (si veda il Capitolo 8): rischio e investimenti sono facce di uno stesso poliedro. Una strategia d'investimento si basa su una qualche misurazione del rischio e non è un caso che molta parte dell'attività teorica e tecnica della finanza è volta a sviluppare tassonomie e modelli per misurare il rischio e a convertire queste misure di rischio in rendimenti attesi. Tali modelli devono tenere conto anche dell'avversione al rischio degli attori finanziari e avanzare modi in cui essi possano misurarla. L'obiettivo dunque è quello di trovare un modello che misuri nel miglior modo possibile il pericolo insito in un investimento e poi cerchi di convertirlo nella opportunità di cui avremmo bisogno per compensare tale pericolo. Quindi, in termini finanziari il pericolo è il rischio, e l'opportunità è il rendimento atteso. Il rischio in finanza esprime l'incertezza sui rendimenti futuri: maggiore è questa incertezza, più rischioso è un investimento. Per trattare questa incertezza il rischio viene scomposto innanzitutto in due categorie: quello che può essere diversificato e quello che non può esserlo. Il rischio diversificabile, noto anche come rischio non sistematico, specifico o residuo, riguarda una specifica azienda o settore e non colpisce altre industrie o settori. Questo significa che può essere mitigato o ridotto investendo in altre imprese o settori industriali. Esso può essere descritto come l'incertezza insita in un investimento aziendale o industriale. Esempi comuni di rischio diversificabile sono: un nuovo concorrente sul mercato in grado di togliere una quota di mercato significativa alla società sulla quale si è investito; un cambiamento normativo che potrebbe ridurre le vendite dei prodotti di una azienda; un cambiamento nella gestione o il richiamo di un prodotto dal mercato. Questa divisione è il risultato dell'applicazione di un principio basilare di filosofia del rischio che riguarda l'allocazione delle risorse e che l'economista statunitense Harry Markowitz (premio Nobel 1990) ha sintetizzato con la celebre espressione «non mettere tutte le uova nello stesso paniere». Quindi, se si vuole ridurre il rischio di subire perdite o fallire, bisogna puntare su più beni il cui prezzo si muove in direzioni opposte. Per esempio, se investo tutti i miei soldi in compagnie aeree, in caso di scioperi o incidenti, le compagnie aeree subirebbero perdite e deprezzamento e con essa anche il mio investimento. Se investo anche in un compagnie ferroviarie, ridurrò le 102
perdite perché probabilmente gli utenti spaventati o insoddisfatti per gli scioperi o gli incidenti preferiranno viaggiare in treno, facendo aumentare i ricavi delle compagnie e con esse quello del mio investimento, che in questo modo risulterebbe molto meno colpito dalla débâcle del comparto aereo. Molti modelli di rischio e rendimento nel settore finanziario mirano però a misurare il rischio non diversificabile, che è quello più pericoloso perché può produrre perdite ingenti o fallimenti in quanto riguarda interi sistemi, e infatti questa forma di rischio è anche nota come rischio sistemico. Ovviamente, anche in questo caso esistono vari modelli che sono stati sviluppati per fornire un modo quanto più obiettivo di misurare il rischio. Per esempio, il CAPM (Capital Asset Pricing Model) misura l'esposizione al rischio sistemico stimando quanto rischio un singolo investimento aggiungerà a un portafoglio che include certe attività. Una analisi dettagliata dei tutti i modelli di rischio va oltre gli scopi di questo testo, pertanto ora possiamo tornare alla domanda regina.
Il problema finale: Sherlock Holmes, Morgenstern e l'impossibilità logica della previsione Morgenstern pone espressamente la questione della possibilità di prevedere i fenomeni sociali in genere, ed economici e finanziari in particolare, sulla base del rapporto tra predizione e sistema oggetto della stessa . La questione emerge dall'osservazione che un limite fondamentale per la previsione di questi fenomeni deriverebbe dalla loro natura riflessiva, ossia dall'effetto feedback (retroazione) tra predizione e sistema. L'effetto non solo sarebbe responsabile della impossibilità della previsione, ma sarebbe anche ineliminabile in quanto genera un regresso al infinito. 04
Morgenstern muove dall'osservazione che la previsione di un evento sociale che viene comunicata agli agenti influisce sul comportamento previsto alterandolo. Basti pensare, per esempio, alla previsione del futuro comportamento non solo dei mercati finanziari, ma di cicli economici, del consumo di energia o di risorse naturali, o a quello delle elezioni. In questi casi, se vogliamo produrre una previsione corretta, dobbiamo anticipare le reazioni conosciute, o attese, degli agenti del sistema. Più in dettaglio, chi fa la previsione deve aggiustare la sua previsione originale P1 a una nuova previsione P2 in modo da tener conto (e anticipare) la reazione nota, o attesa, R1 degli agenti del sistema. Ma la previsione aggiustata P2 di nuovo 103
avrà un effetto sul comportamento del sistema che essa predice e quindi necessita di un nuovo aggiustamento. Di nuovo, la successiva previsione riadattata dovrà essere aggiustata, e così via. Per esempio, se un importante istituto statistico prevede pubblicamente che al referendum per Brexit l'opzione «rimani» vincerà con un 60% dei voti, questo avrò un effetto sui votanti. Molti di coloro che voterebbero «rimani», rincuorati dall'ampio margine di distacco predetto, potrebbero non andare a votare, facendo sì che la previsione non si avveri (o che addirittura vinca l'opzione concorrente «esci»). Nel formulare questa previsione l'istituto dovrebbe quindi considerare questa reazione da parte dei votanti alla sua previsione e dovrebbe aggiustarla considerando questa reazione, dicendo che l'opzione «rimani» vincerà con un 52,5% dei voti. A questo punto, di nuovo, questa previsione avrà un effetto sul sistema sociale dei votanti. Per esempio, molti di coloro che voterebbero «rimani» e che erano indecisi se recarsi alle urne, allarmati dall'esiguo margine di distacco predetto, potrebbe andare a votare, facendo sì che la previsione non si avveri. Nel formulare questa seconda previsione, l'istituto dovrebbe quindi tenere in considerazione questa seconda reazione e formulare una nuova previsione, che avrà ancora un effetto sul sistema. E così via. Da ciò segue che le scienze sociali hanno proprietà profondamente diverse dalle scienze naturali, in quanto queste ultime non esibiscono dinamiche riflessive: il fatto che io predico che un corpo celeste si troverai o meno in una data posizione a un certo tempo non influenzerà posizione e tempo del corpo in questione. La conseguenza di questa riflessività è ovvia: una previsione sociale pubblica deve tenere conto di eventuali effetti di feedback in anticipo se vuole essere accurata. Ma una corretta anticipazione degli effetti di feedback, argomenta Morgenstern, in linea di principio non è mai possibile, anche nel caso in cui gli effetti di retroazione siano perfettamente noti a colui che fa la previsione. Morgenstern infatti sostiene che il processo di riadattamento di una previsione sociale non giunge mai al termine. La ragione è che in ogni fase di riaggiustamento viene prodotto un nuovo effetto di feedback che rende necessario un ulteriore adeguamento, e cosi via all'infinito. Per illustrarlo, Morgenstern usa come esempio Sherlock Holmes, in particolare un momento dell'Ultima avventura (The Final problem) pubblicata da Arthur Conan Doyle nel 1893 . Mentre si trova alla stazione di Londra, Holmes si accorge di essere inseguito dal professor James Moriarty, 05
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l'arcinemico che lo vuole morto. Holmes deve prendere un treno diretto a Dover che prevede una fermata intermedia. A questo punto, decide di scendere a questa fermata perché ipotizza che Moriarty prenderà un treno più veloce per Dover, in modo da anticiparlo e attenderlo a destinazione. Come accade spesso, l'anticipazione di Holmes si rivela corretta e il celebre detective fa la mossa giusta. Ma, si chiede Morgenstern, che cosa sarebbe successo se Moriarty fosse stato ancora più intelligente e avesse previsto l'ipotesi di Holmes? Chiaramente, anche lui avrebbe preso il treno che porta alla fermata intermedia e sarebbe sceso lì. Tuttavia, a sua volta, Holmes avrebbe potuto anticipare questa mossa e, di conseguenza, sarebbe potuto scendere a Dover. Di nuovo, questa mossa avrebbe potuto essere prevista da Moriarty, e così via all'infinito. Secondo Morgerstern, la conseguenza di questa infinita catena (un regresso del tipo «io so che tu stai che io so») di ipotetiche reazioni e reazioni a reazioni è la paralisi: non si può prevederne l'esito finale e quindi agire di conseguenza. Secondo Morgenstern tutte le scienze sociali sono caratterizzate da questo tipo di impossibilità previsionale perché le loro affermazioni teoriche sono riflessive. Il paradosso di Morgenstern per le scienze sociali può essere dunque formulato nel modo seguente: nel momento in cui formulo una previsione sul comportamento di un sistema sociale, devo prendere in considerazione la reazione di questo sistema (la reazione degli agenti) alla previsione, la quale altera il comportamento predetto. Questo mi porta a dover produrre una nuova previsione che tenga conto di questa reazione, che sarà a sua volta presa in considerazione dagli agenti del sistema. E così via al infinito. Poiché questo processo non termina, una qualsiasi previsione è impossibile, oppure è il frutto del caso. La finanza, in particolare la Borsa, risente ancora di più dell'effetto riflessivo, perché in questo caso la previsione prodotta da un attore spesso deve tener conto di ciò che gli altri attori pensano o si aspettano. Questa proprietà della finanza viene espressa da John Maynard Keynes, come abbiamo già accennato, con l'esempio del concorso di bellezza . Immaginiamo che venga indetto un concorso di bellezza (maschile o femminile) e che anche coloro che scelgono colui o colei che avrà il maggior gradimento (ossia che ottiene più voti) possano vincere un premio. La domanda che si pone Keynes è: come dovrebbero scegliere i partecipanti? 06
Una prima strategia piuttosto diretta è quella di scegliere semplicemente 105
colei, nel caso di un concorso femminile, che si considera più bella. Tuttavia, questa strategia ha un vulnus: infatti un partecipante più scaltro, che volesse massimizzare le possibilità di vincere un premio, invece di puntare su colei che ritiene più bella, potrebbe cercare di capire qual è l'idea di bellezza della maggioranza dei votanti e scegliere sulla base di ciò. Naturalmente, come nel caso di Holmes, il ragionamento può essere iterato, ossia potremmo prendere in considerazione il fatto che anche gli altri partecipanti faranno le proprie scelte non in base ai gusti personale, ma tenendo conto della percezione collettiva della bellezza. Ovviamente questo ragionamento può essere nuovamente iterato e così via. In tal caso, osserva Keynes non si tratta «di scegliere quelle che, secondo il proprio miglior giudizio, siano veramente le più belle, nemmeno quelle che l'opinione media pensi che siano le più belle. Abbiamo raggiunto il terzo grado dove impieghiamo la nostra intelligenza per anticipare quella che è l'opinione media rispetto a quale dovrebbe essere l'opinione media. E ci sono alcuni, credo, che praticano il quarto, il quinto e ulteriori passi». Questo processo, secondo Keynes, descrive ciò che avviene all'interno del mercato azionario, dove il valore fondamentale delle azioni quotate nel mercato non dipende tanto dal valore in sé, quanto piuttosto dall'insieme delle percezioni in merito al valore delle azioni quotate, prevedendo una quotazione media delle singole percezioni, che quindi contribuiscono a formare il valore dell'azione. Ciò implica che le scienze sociali, come afferma Karl Popper, e in particolare la finanza, siano dunque caratterizzate da quello che egli chiama l'«effetto edipico» , grazie al quale una previsione può avere un effetto autodistruttivo. Superare questo ostacolo, ossia l'effetto dell'influenza sociale delle affermazioni teoriche, e stato un compito che ha impegnato insigni economisti, i quali hanno così prodotto interessanti avanzamenti per le scienze sociali . 07
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Punti fissi, approcci dinamici e la possibilità della previsione Per risolvere il paradosso di Morgenstern sono state percorse principalmente due strade, ma prima di esaminarle è bene riflettere su una caratteristica saliente del paradosso, o meglio della formulazione che ne dà Morgenstern. L'esempio di Holmes-Moriarty da lui offerto descrive una situazione nella quale ci sono due attori che mirano a falsificare le loro reciproche previsioni: esso descrive quindi quella che è espressamente 106
un'interazione strategica e sotto questo aspetto possiamo notare una differenza sostanziale tra questa e una previsione pubblica. In quest'ultimo caso, infatti, gli attori non mirano necessariamente a falsificare deliberatamente la previsione specificata, ossia non mostrano necessariamente un comportamento strategico. Quindi possiamo individuare già due proprietà costitutive del paradosso, ossia: l'infinità del processo riflessivo e il suo carattere strategico. Possiamo così distinguere due versioni del paradosso: la versione originale, non strategica, e la versione affilata, strategica, che è illustrata dall'esempio Holmes-Moriarty Su questa base possiamo sollevare due questioni cruciali: 09
il paradosso esprime davvero in un ostacolo ineludibile per le previsioni sociali? la situazione Holmes-Moriarty descrive davvero il comportamento degli agenti reali? Per esaminare meglio le soluzioni al paradosso, è inoltre opportuno sottolineare che il paradosso di Morgenstern è un argomento strettamente logico e come tale ha le caratteristiche proprie di molti di questi argomenti, ossia non tiene conto di tempo, risorse e modalità di svolgimento del processo (in questo caso riflessivo).
Soluzione della versione non-strategica La prima soluzione a questa versione del paradosso si basa su un'idea piuttosto semplice: anche se il processo di Morgenstern è infinito (Figura 4), può convergere verso un punto limite (un punto fisso, come vedremo).
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In altre parole, la soluzione mira a mostrare come l'intimità del processo riflessivo non implichi l'assenza di una convergenza. Il punto limite rappresenta una previsione corretta (Figura 5), ossia tale da anticipare tutte le influenze che alterano il comportamento previsto del sistema. Questa è la via seguita da Grunberg e Modigliani , e da Simon , e mira a fornire una risposta strettamente teorica e logica all'argomento negativo di Morgenstern. A tal fine, essi ricorrono alla nozione matematica di punto fisso, che in questo caso esprimerebbe l'esistenza di almeno una previsione pubblica che non porta alla propria distruzione, ma alla sua realizzazione. 10
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I lavori di questi autori sostanzialmente mostrano come la funzione di previsione degli agenti, che si suppone sia nota e che contenga una previsione pubblica, ammetta almeno un punto fisso, un punto in cui la previsione dell'economista non modifica più la reazione dell'agente. Grunberg e Modigliani costruiscono un modello specifico per dimostrare ciò. In questo modello, in un dato mercato i produttori aggiustano la loro produzione al tempo t+1 sulla base della previsione (fatta precedentemente, ossia al tempo t) del prezzo di un bene da loro prodotto. Per esprimere formalmente il processo riflessivo di Morgenstern, che conduce all'impossibilità logica della previsione, Grunberg e Modigliani osservano che possiamo scrivere la funzione di reazione degli agenti (ossia come essi anticipano o prevedono il prezzo futuro del bene) in questo modo: pa=L(pt, P) dove pa indica il prezzo previsto o atteso e che dipende sia da pt, ossia il prezzo p al tempo t, sia da P, la previsione pubblica fatta al tempo t di quale sarà il prezzo al tempo t+1. Dunque, il prezzo dipende riflessivamente dalle attese degli agenti. 108
Attraverso l'uso di tecniche matematiche, che qui ometto, essi dimostrano che esiste una previsione che è corretta, o meglio che rimane tale anche se è integrata all'interno delle aspettative degli agenti. Per ottenere questo risultato è tuttavia necessario utilizzare in particolare tre ipotesi: 1. esiste almeno una previsione corretta, vale a dire gli agenti hanno sempre la possibilità (privatamente) di prevedere i prezzi se non vi è alcuna previsione pubblica; 2. la variabile prevista ha un valore minimo m e un valore massimo M; 3. la funzione di reazione è continua e definita nell'intervallo [m;M]. In queste condizioni, il risultato di Grunberg e Modigliani mostra che c'è dunque almeno un punto in cui il prezzo anticipato dall'agente è uguale al prezzo effettivo: in altre parole, questo punto rappresenta un punto fisso nella funzione di reazione degli agenti. Tuttavia, come per ogni risultato formale, le assunzioni utilizzate per ricavarlo sono essenziali. Ora, se l'assunzione 2 è ragionevole, altrettanto non possiamo dire per la 1 e la 3. Per quanto riguarda l'assunzione 3 (continuità), bisogna osservare che essa esclude: (a) il caso generale di reazioni a molti valori e (b) possibili discontinuità nel processo di reazione alla previsione. Un esempio di discontinuità nel processo di reazione potrebbe essere proprio un comportamento strategico, ossia l'interesse di attori del sistema a falsificare le previsioni pubbliche. Nel caso di (a) possiamo difendere l'assunzione dicendo che, di fatto, è possibile osservare solo una reazione alla volta, ossia che ad ogni previsione corrisponde una reazione alla volta. Nel caso di (b) la questione è un più delicata. In questo caso possiamo sostenere che sia difficile che la discontinuità si verifica in realtà e questo è proprio l'argomento di Grunberg e Modigliani . Essi infatti sostengono che chi fa la tale previsione, anche se conosce le intenzioni degli agenti (volte a falsificare la previsione), deve rendere nota la sua previsione, cioè impegnarsi, mentre gli agenti restano liberi di scegliere le proprie azioni in seguito, conoscendo quale evento sia stato previsto. La situazione qui diventa analoga a quella del gioco del memmy, in cui però un giocatore deve 12
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girare e mostrare una carta prima che il suo avversario decida quale mossa fare (ossia scoprire una carta): una corretta previsione pubblica è qui impossibile. Tuttavia, notano Grunberg e Modigliani, questa non è probabilmente una situazione realistica. Nessun individuo potrebbe perseguire una tale strategia di deliberata falsificazione da solo. Sarebbe necessaria la collusione e concertazione di un gran numero di individui, e tale collusione sarebbe difficile da raggiungere e ancor più difficile da mantenere nel tempo. Inoltre, un agente o un gruppo di agenti potrebbe anche avere un forte incentivo ad astenersi dal falsificare deliberatamente una previsione, per esempio quando la falsificazione ha costi alti. Tuttavia, come osserva Henshel, rimane il fatto che anche se il teorema funziona da un punto di vista logico-matematico, l'assunzione delle continuità è empiricamente implausibile e sembra violare molte dinamiche che caratterizzano i fenomeni sociali . L'esempio tipico addotto da Henshel sono i valori di riferimento (benchmark) per esempio 39,99 invece di 40, o fenomeni simili come l'esistenza di soglie percentuali nelle elezioni che cambiano drasticamente le preferenze. Gli attori non reagiscono in modo uguale a tutti i valori di una variabile (continua) e certi valori di riferimento producono salti o inversioni nel processo decisionale. 13
Poiché un unico punto di discontinuità è sufficiente a distruggere il teorema della possibilità della previsione, la difficoltà segnalata da Henshel è critica e ciò gli permette di concludere che «il teorema della possibilità è, quindi, un'analisi logicamente solida di un insieme virtualmente vuoto, e le sue conclusioni relative alla previsione accurata in condizioni di auto-alterazione possono raramente applicarsi anche come sole prove di possibilità» . 14
Infine, per quanto riguarda l'assunzione 1, ovvero la possibilità di una previsione privata valida, bisogna osservare che non solo è centrale per ricavare il teorema, ma soprattutto mostra quale sia il vero problema, ossia non tanto la previsione pubblica quanto la previsione privata . Il punto critico è se sia davvero possibile una previsione privata valida e se sia sempre possibile distinguere tra una previsione pubblica e una privata. Nel caso di alcune dinamiche dei mercati finanziari queste distinzioni non sono così facilmente tracciabili e quindi il risultato di Grunberg e Modigliani non è di grande utilità. Inoltre, comportamenti strategici volti a falsificare una previsione sono stati, e possono essere, realizzati nei mercati finanziari. 15
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Rimane comunque il fatto che, nel caso in cui la serie converga verso un punto limite, il paradosso di Morgenstern è risolvibile sotto l'insieme di ipotesi 1-3. Per questo motivo, in senso stretto e più tecnico, il paradosso di Morgenstern si riferisce al caso speciale in cui il processo non converga. In questo caso una soluzione logica non è possibile e bisogna ricorrere ad altre strategie.
Soluzione della versione strategica Per risolvere il paradosso nel caso in cui il processo di Morgenstern non converga, una strategia ci è suggerita proprio dalla stona di Arthur C. Doyle menzionata da Morgenstern per illustrare il suo paradosso. Infatti, nella storia l'infinito processo di mutua riflessività che dovrebbe bloccare la previsione e la possibilità di prendere una decisione, non ha luogo. Anzi, ciò che realmente accade è che tale processo si arresta al primo passaggio: Holmes valuta correttamente l'intelligenza e le intenzioni del suo avversario ipotizzando che Moriarty non farà a sua volta alcun passo riflessivo e di conseguenza scendendo alla fermata intermedia prende la decisione che si rivela (per lui) giusta. Ciò suggerisce una via per smontare il paradosso, ossia mostrare che il processo riflessivo non è mai infinito e anzi si arresta dopo pochi passaggi. In questo caso, infatti, una previsione sarebbe possibile, anche se ciò non significa che possiamo affermare che in tutte le circostanze vi sarà almeno un agente in grado di dare una corretta previsione di come il suo avversario si comporterà: l'indeterminatezza rimane fintantoché entrambi gli agenti non sono sicuri del numero di passi riflessi effettivamente eseguiti dall'altro. Potremmo tuttavia concludere che di fatto sia possibile per un giocatore elaborare una previsione corretta nella situazione attuale. Per mostrare che esistono delle limitazioni che impediscono al processo riflessivo di essere iterato all'infinito, si usano due fondamentali acquisizioni sulla razionalità umana: l'ipotesi della razionalità limitata; l'ipotesi delle restrizioni naturali. Come abbiamo visto, l'ipotesi della razionalità limitata in sostanza afferma che i processi inferenziali e decisionali che caratterizzano la razionalità degli 111
esseri umani risentono dell'influenza di fattori emotivi o cognitivi che impediscono di condurre ragionamenti ottimali e ottimizzanti . Fattori distorsivi sono, per esempio, l'avversione al rischio, la pigrizia o fattori molto personali come le idiosincrasie. 16
Questa ipotesi ci consente di dare una soluzione del paradosso di Morgenstern e della sua versione strategica, in quanto sulla base di essa non è difficile immaginare situazioni nelle quali un agente A può anticipare il comportamento, in questo caso il numero di passi riflessivi, di un agente B. In effetti, l'esperienza suggerisce che gli agenti, nella situazione strategica Holmes-Moriarty, eseguono solo pochissimi passi riflessivi, uno o due di norma. Questo è dovuto anche all'effetto delle restrizioni naturali, che limitano ancora di più il numero di passi riflessivi effettuati dagli agenti. Tali restrizioni fondamentalmente derivano dalla limitatezza delle risorse di cui disponiamo per condurre i nostri ragionamenti, per esempio il tempo o le capacità computazionali. Tale scarsità di risorse fa sì che il processo riflessivo non possa o debba durare troppo a lungo. In linea di principio, infatti, l'iterazione all'infinito del processo riflessivo significherebbe non prendere alcuna decisione, quando in realtà siamo di norma chiamati a prenderne una entro un certo tempo. Inoltre, nel prendere una decisione dobbiamo sempre valutare il rapporto costi/benefici: i costi derivanti dal prendere una decisione ottimale, o non prenderla, potrebbero infatti essere superiori ai costi di azzardare una certa decisione. L'impatto delle restrizioni naturali - limitate risorse temporali e computazionali - sul processo inferenziale e decisionale ci permette di sviluppare una ulteriore analisi del paradosso. Quest'ultimo, infatti, è il risultato di un approccio statico, che è implicito nella sua formulazione originaria. Tale formulazione infatti assume che il processo riflessivo venga eseguito simultaneamente nella mente degli agenti e non tiene conto del fattore tempo, ossia del fatto che tale processo sia time-consuming. Più in dettaglio, le reazioni degli agenti e il riaggiustamento della previsione da parte di colui che la fa sono di fatto realizzati in istanti di tempo successivi e, in generale, né la funzione di reazione né la funzione di aggiustamento devono essere invarianti rispetto al tempo. Inoltre, l'argomento dell'impossibilità della previsione richiede che (tutte) le reazioni alle previsioni riaggiustate siano note con certezza a colui che fa la previsione, e questo è difficile da sostenere empiricamente. 112
«Non puoi ingannare tutti per tutto il tempo Un'altra soluzione avanzata per rispondere all'argomento dell'impossibilità della previsione elaborato da Morgenstern è quella delle attese razionali . Questa espressione designa la teoria secondo la quale gli attori economici prendono decisioni basate sulle loro aspettative per il futuro, le quali si fondano su osservazioni ed esperienze passate. L'ipotesi delle attese razionali ha dunque origine dal tentativo di render conto di fenomeni economici in cui il risultato dipende da ciò che le persone si aspettano che accada. Gli esempi, come abbiamo visto, non mancano sia in economia sia in finanza: il prezzo di un prodotto agricolo dipende dalla quantità di terreno che gli agricoltori coltivano, che a sua volta dipende dal prezzo che gli agricoltori si aspettano di realizzare quando raccolgono e vendono le loro colture; il valore di una valuta e il suo tasso di svalutazione dipendono in parte dal tasso di svalutazione che le persone si aspettano, e così via. Ciò è dovuto al fatto che le persone abbandonano (vendono o non comprano affatto) una valuta se si aspettano che perda valore, contribuendo così alla sua perdita di valore (in quanto non vi sono acquirenti). Analogamente, il prezzo di una azione dipende, almeno in parte, da quello che i potenziali acquirenti e venditori ritengono sarà il suo valore futuro. In questo caso tipico della teoria delle aspettative razionali un consumatore ritarda l'acquisto di un certo bene perché, in base alle sue osservazioni ed esperienze, crede che il prezzo calerà, per esempio, nel volgere di un mese. Se abbastanza consumatori credono ciò, la domanda scarseggerà e il bene tenderà a essere davvero meno costoso il mese successivo. Di conseguenza, il consumatore aspetta un mese prima di acquistare il bene. Su questa base la teoria delle aspettative razionali afferma che le aspettative attuali influenzano fortemente le prestazioni future. 17
Questa tesi, e la soluzione che offre del paradosso di Morgenstern, viene spesso riassunta citando una frase attribuita ad Abramo Lincoln, che recita: «potete ingannare tutti per un po' di tempo, e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo». Vediamo perché. Muth introduce l'ipotesi delle aspettative razionali dandone una definizione dettagliata. L'ipotesi infatti si basa su tre affermazioni o principi : 18
p1. le informazioni sono scarse e il sistema economico generalmente 113
non le spreca; p2. il modo in cui si formano le aspettative dipende dalla struttura dello specifico sistema pertinente che si usa per descrivere il funzionamento dell'economia; p3. una previsione pubblica, nel senso di Grunberg e Modigliani, non avrà alcun effetto sostanziale sul funzionamento del sistema economico a meno che non si basi su informazioni privilegiate. Secondo Muth, a partire dalle condizioni p1-p3, l'ipotesi delle attese razionali permette di evitare il problema della previsione pubblica di Morgenstern in quanto le rappresentazioni sia degli agenti sia degli economisti sono connesse a una rappresentazione pertinente dell'economia. Con la nozione di «rappresentazione pertinente» si intende la concordanza tra l'anticipazione comune a tutti gli agenti e quella degli economisti di una determinata variabile. Se vi è tale concordanza, allora non c'è più il problema dell'autodistruzione di una previsione teorica. Più in dettaglio, Thomas Sargent suggerisce che vi sia una coerenza tra le diverse previsioni degli agenti . Le rappresentazioni degli agenti sono coerenti quando ciascuna, cercando di stimare il valore di una variabile - per esempio, la produzione media di altri agenti per determinare il proprio livello di produzione - produce una quantità q, aspettandosi che altri facciano lo stesso, essendo convinto che anche l'agente in questione produrrà q (è qui che entriamo nel regresso «io so che sai che so che sai...»). 19
Se q indica il livello di produzione individuale, Q il livello di produzione medio, e h(Q) è la funzione di produzione che massimizza le entrate dell'agente, da p1-p3 segue che q=h(Q)=Q L'aspettativa razionale della variabile Q è, come nel caso di Grunberg e Modigliani, un punto fisso di rappresentazione: l'agente sceglie di produrre q = Q, pensando che gli altri faranno lo stesso (sulla base di p1). Così Q è di fatto una conoscenza comune e l'agente assume Q come dato (che lui conosce). La concordanza tra la produzione media prevista e la produzione media effettiva si realizza in quanto sia gli agenti sia gli economisti che modellano il sistema prendono come dato il valore Q, che diventa una rappresentazione che si auto-avvera: è vera (non refutata) nella misura in cui 114
tutti le credono. Dunque, il mezzo di coordinamento del mercato è la teoria economica stessa (la rappresentazione degli economisti/costruttori di modelli della variabile Q). Ne segue che esiste una teoria economica, e una previsione giusta che sarebbe quella che non si auto-distrugge. In effetti, essa rimane valida se gli agenti sono consapevoli di essa e la usano per costruire le loro previsioni.
Ma puoi ingannare tutti o qualcuno per quanto basta La risposta fornita dall'ipotesi delle aspettative razionali al paradosso di Morgenstern presenta alcune debolezze che l'hanno esposta a varie critiche, che possiamo riassumere in due linee argomentative. La prima si concentra sulle assunzioni davvero impegnative che questa ipotesi impiega e che sono essenziali per il paradosso di Morgenstern. Quest'ultimo infatti assume che: gli agenti abbiano la capacità di prevedere, con le informazioni che hanno, i risultati, in media, del sistema in cui operano; le aspettative degli agenti sono conformi alle previsioni del modello teorico; l'ipotesi delle aspettative razionali implica una teoria che si autoavvera. Queste ipotesi non sembrano trovare riscontro nel modo in cui gli attori finanziari si comportano. In ogni caso, anche ammettendo che la loro astrattezza non sia un ostacolo per la teoria delle aspettative razionali, questa non sembra poter eludere la seconda critica. Questa critica sostiene che le teorie che possono auto-avverarsi sono sottodeterminate. Anche supponendo che gli agenti abbiano la capacità di prevedere, con le informazioni che hanno e in media i risultati del modello in cui operano, e che le aspettative degli agenti siano conformi alle previsioni del modello teorico, e quindi che l'ipotesi delle aspettative razionali implica una teoria auto-avverantesi, è comunque ancora possibile che esistano diverse teorie che non sono compatibili tra loro, in quanto potrebbero 115
esserci diversi valori possibili per livello di produzione medio Q. Se vi è una molteplicità di equilibri, l'auto-realizzazione come criterio della verità non è sufficiente ed è necessario selezionare un singolo equilibrio corrispondente a una particolare teoria. Quindi si potrebbe sostenere che la verità della teoria rimane condizionata alla sua egemonia: è vera solo nella misura in cui è considerata tale . In questo caso si apre un altro problema di natura convenzionale: se le teorie utilizzate dagli agenti sono parametri di riferimento che consentono loro di coordinarsi, come possiamo spiegare la scelta di una teoria rispetto a un'altra? Di per sé, l'ipotesi delle aspettative razionali risolve il problema considerando la teoria economica del modellatore come un fattore di coordinamento, ma che cosa succede se ci sono diverse teorie rivali? A questa domanda la teoria delle aspettative razionali non fornisce una risposta. 20
Possiamo comunque distinguere due diverse versioni della teoria delle aspettative razionali che di nuovo si basa sulle caratteristiche degli agenti razionali. La versione forte sostiene che gli attori hanno accesso a tutte le informazioni disponibili e prendono decisioni razionali sulla base di questo. Ne consegue che qualsiasi errore di previsione o decisionale è dovuto a eventi imprevisti. La versione «debole» invece sostiene che gli attori non abbiano tempo o risorse per accedere a tutte le informazioni, e quindi fanno scelte razionali sulla base di una conoscenza limitata. Dunque, a volte, può essere più razionale prendere decisioni basate su certe regole pratiche, piuttosto che cercare di ottenere informazioni perfette su ogni decisione. Questo ci riporta alla finanza comportamentale. È vero, si può ingannare tutti per un po' di tempo, e alcuni per tutto il tempo, ma non si può ingannare tutti per tutto il tempo. Tuttavia, la finanza comportamentale ci mostra come sia possibile «ingannare tutti o qualcuno per quanto basta». Come abbiamo visto la teoria comportamentista evidenzia ed esamina i fattori psicologici che influenzano le decisioni dei consumatori mostrando come spesso gli attori finanziari siano irrazionali, soggetti a pregiudizi e distorsioni. Per esempio, essi sono soggetti alla cosiddetta esuberanza irrazionale, o alla saggezza della folla, per effetto delle quali si lasciano trasportare dalla performance passata di un titolo e quindi continuano a comprare. Gli attori sociali in questi casi non imparano necessariamente dagli errori del passato, e confidano nel fatto che «questa volta è diversa», o risentono inoltre della distorsione del valore attuale: possono dare importanza a profitti a breve termine piuttosto che a medio116
lungo termine. La lista delle dinamiche potrebbe ovviamente continuare. Il punto è che se è possibile prevedere il comportamento dei mercati sulla base della conoscenza di queste dinamiche psicologiche, o meglio se è possibile provocare quelle reazioni, e quindi rendere prevedibile il comportamento del mercato. In tal caso, poiché alcune reazione sono indotte almeno temporaneamente sarebbe possibile ingannare tutti o qualcuno quanto basta per fare un profitto.
La minaccia fantasma Da quanto detto finora risulta chiaro che la finanza viva sotto la minaccia costante, quella della impossibilità della previsione, una sorta di minaccia fantasma, dovuta, come abbiamo visto, all'influenza che il discorso e i prodotti teorici hanno sul sistema finanziario, che genera una potenziale autodistruzione delle sue previsioni. Tale minaccia è seria perché mina la scientificità e l'attendibilità della disciplina, in quanto rende molto difficile valutare un'ipotesi finanziaria attraverso un confronto tra le sue previsioni e gli eventi che avvengono nella realtà, visto quanto quest'ultima può essere influenzata o alterata dalla prima. Immaginiamo una previsione rilasciata in un sistema finanziario, per esempio la previsione che un crollo del 15-25% si verifichi entro tre settimane. Essa genererà uno dei seguenti tre scenari a seconda del numero di investitori (la «soglia») che credono alla previsione: s1. non abbastanza (pochi) investitori credono alla previsione e il mercato scende proprio come previsto. Anche se questa sembra una vittoria per l'ipotesi che genera la previsione, la critica che le viene mossa è che è fortuita, ossia non ha alcun significato statistico; s2. un numero sufficiente di investitori ci crede. Quindi essi regolano le loro strategie di conseguenza (iniziano a vendere) e i prezzi scendono, ma solo un po'. Di fatto correggono una bolla, un rialzo dei prezzi. Il crollo non si verifica e la previsione è auto-confutatoria; s3. molti investitori ci credono, causando panico, e il mercato crolla di conseguenza. Infatti, questo significa che una grande quantità di investitori inizierà a vendere in modo massiccio i propri titoli, mandando giù il mercato. Quindi la previsione è auto-avverantesi e il suo successo è dovuto all'effetto panico piuttosto che al potere predittivo dell'ipotesi. Questi scenari sono problematici per la teoria su cui si basa la previsione: s1 117
e s3. non evitano il crollo, mentre in s2. la previsione è autoconfutatoria e di conseguenza la teoria risulta essere inaffidabile. Essi esemplificano una caratteristica che non solo è una proprietà distintiva dei sistemi di apprendimento e riflessivi, ma che solleva anche un problema etico, o meglio di responsabilità scientifica: la responsabilità di pubblicare o rendere noti risultati scientifici e previsioni. Mentre gli scienziati «naturali» hanno questa responsabilità, ossia devono pubblicare e rendere noti i loro risultati, la questione diventa molto più complessa quando una previsione riguarda sistemi, come quello finanziario, che possono essere influenzati dalla previsione e reagire a essa. In questo caso, i ricercatori devono prendere in considerazione l'effetto che rendere nota una previsione può avere sulla società. I mercati azionari esemplificano questo problema e la sua complessità. Il modo di funzionare dei meccanismi auto-avverantesi è stato oggetto di varie riflessioni teoriche. Robert Merton definisce una predizione che si autoavvera come qualcosa che «all'inizio, è una falsa definizione della situazione che produce un nuovo comportamento che rende vera la concezione originariamente falsa» . In questa concezione la previsione originariamente è falsa. Questo modo di intendere tali meccanismi può tuttavia essere fuorviante in finanza, perché presuppone che sia possibile distinguere una rappresentazione vera o falsa, quando nella realtà una rappresentazione teorica può modellare l'economia a sua immagine quando gli agenti la usano come punto di riferimento per scegliere come comportarsi (si veda il Capitolo 6), il che rende la teoria economica almeno in parte vera, nella misura in cui la teoria economica diventa auto-realizzante. 21
Poiché la previsione finanziaria, ammesso che sia possibile, comporta queste responsabilità, gli economisti, oltre a cercare di prevedere esattamente quando il sistema crollerà, dovrebbero puntare di più a sviluppare e affinare modalità in grado di segnalare rischi, incorporare nella progettazione strumenti finanziari e caratteristiche per evitare o limitare danni, sapere come affrontare i problemi quando si verificano conflitti di interesse, violazioni morali e altre forme di negligenza professionale, dovrebbero cioè puntare a coltivare un'etica della previsione. Questa, piuttosto che la mancanza di una particolare previsione, è la vera ragione per cui molti chiedono un paradigma veramente nuovo in finanza, ed è anche la ragione per cui la domanda della regina ha avuto così tante risposte diverse nel corso degli anni. 118
Note 01 O. Morgenstern, Wirtschaftsprognose. Eine Untersuchung ihrer Voraussetzungen und Möglichkeiten, Vienna, Springer, 1928. 02 S. Hansson, «A Philosophical Perspective on Risk», Ambio, 28 (6), 1999, pp. 539-542. 03 Ibidem. 04 O. Morgenstern, Wirtschaftsprognose. Eine Untersuchung ihrer Voraussetzungen und Möglichkeiten, Vienna, Springer, 1928. Id., «Perfect foresight and economic equilibrium», in A. Schotter (ed.), Selected Economic Writings of Oskar Morgenstern, New Y6rk, New York University Press, 1935, pp. 169-183; Id., «Descriptive, predictive and normative theory», Kyklos, 25, 1972, pp. 699-714. 05 Morgenstern, Wirtschaftsprognose. Eine Untersuchung ihrer Voraussetzungen und Möglichkeiten, p. 98 Vienna, Springer, 1928. 06 J.M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, New York, Harcourt Brace and Co., 1936, Capitolo 12. 07 K. Popper, The Poverty oinstoricism, London, ARK Paperbacks, 1944, p. 13. 08 H. Simon, «Bandwagon and underdog effects and the possibility of election prediction», Public Opluiou Quarterly, 18ì3), 1954, pp. 245-253; E. Grunberg, F. Modigliani, «The predictability of social events», journal ofPoliticul Economy, 62 (6), 1954, pp. 465-478 ; M. LehmannWaffenschrnidt, «Predictability of Economic Processes and the Morgenstern Paradox», Swiss journal of Economics and Statistics (SJES), 126 (II), 1990? pp. 147-161. 09 Lehniann-Waffenischmidt, «Predictability of Economic Processes and the Morgenstern Paradox», cit. 10 Grunberg, Modigliani, «The predictability of social events», cit.; E. Grunberg, «Discussion: reflexivc prediction» Philosophy of Science, 32 (2), 1965, pp. 173-174. 11 Simon, «Bandwagon and underdog effects and the possibility of election 119
prediction», cit. 12 Grunberg, Modigliani, «The predictability of social events», cit., p. 475. 13 R. Henshel, «The Gmnberg/ Modigliani and Simon possibility theorem: A social psychological critique», The Joumal Socio-Economics, 24 (3), 1995, pp. 501-520. 14 Ivi, p. 501. 15 E. Grunberg, «Predictability and Reflexivity», The American journal of Economics and Sociology, 45 (4), 1986, pp. 475-488. 16 H. Simon, «Bounded Rationality and Organizational Learning», Organization Science, 2 (1), 1991, pp. 125-134 ; C. Tisdell, Bounded Rationality and Economic Evolution: A Contribution to Decision Making, Economics, and Management, Cheltenham: Brookfield, 1996. 17 J.F. Muth, «Rational Expectations and the Theory of Price Movements», Econometria, 29 (3), 1961, pp. 315-335 ; Lucas 1972. 18 Ivi, p. 316. 19 T.J. _Sargent, Bounded Rationalitjy in Macroeconomics, Oxford, Clarendon Press, 1993. 20 P. Chiappori, «Anticipations rationnelles et conventions», in A. Orléan (ed.), Analyse économique des conventions, Paris, Presses Universitaires de France, 2004, pp. 102-117. 21 R.K. Merton, «The Self-Fulfilling Prophecy», The Antioch Review, 8 (2), 1948, pp. 193-210, p. 195.
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5 La matematica della finanza Una filosofia dell'equilibrio
Matematica ed economia Come abbiamo visto nel Capitolo 3, ogni teoria costruisce una ontologia, una epistemologia, una metodologia. Questa costruzione richiede anche di esprimersi sul rapporto tra la teoria in questione e la possibilità di formalizzare e matematizzare il sistema indagato. L'idea di una descrizione matematica dei processi economici e finanziari, e quindi di una metodologia basata sulla matematizzazione, è relativamente recente, e tradizionalmente si fa risalire ai lavori di Augustin Cournot e Léon Walras . 01
Questa fondazione matematica dell'economia si basa su un'idea semplice: una analogia costitutiva tra fenomeni fisici e fenomeni socioeconomici. Dunque, è attraverso la fisica che la matematica irrompe nell'economia e poi nella finanza, mediante la costruzione di una sorta di «fisica sociale». In sostanza, per matematizzare i fenomeni economici e finanziari si usano teorie fisico-matematiche - sviluppate per render conto di altri fenomeni -, le quali vengono trasferite al dominio socioeconomico sulla base di certe analogie o isomorfismi. Più in dettaglio, questa analogia costitutiva assimila le dinamiche economiche ai processi meccanico-statistici, permettendo la descrizione dei processi economici e finanziari in termini, per esempio, della termodinamica. Dunque, il nucleo filosofico della matematizzazione dell'economia sostiene che anche nel mondo socioeconomico vigono delle leggi simili a quelle fisiche: come i pianeti sono soggetti alla forza di gravità e le sue leggi matematiche, così anche i fenomeni economici sono soggetti a meccanismi che possono essere scoperti ed espressi mediante leggi matematiche. Questa idea era presente più o meno implicitamente già in Adam Smith, che si ispirava alla meccanica celeste elaborata da Isaac Newton nel tentativo di trovare le leggi naturali dell'universo sociale proprio come Newton aveva fatto per l'universo naturale con la sua meccanica celeste . 02
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Tuttavia, mentre un pianeta è una sfera inanimata che segue un'orbita ellittica costante nello spazio, i movimenti economici e le conseguenti leggi emergono da qualcosa che non sembra essere altrettanto costante e prevedibile: i desideri e la psiche degli esseri umani. Come è possibile estrarre meccanismi e leggi da un'entità così complessa, o meglio da una collettività di entità così complesse e variegate? La risposta starebbe appunto nella matematica e in particolare nella meccanica statistica, che non richiede una descrizione dettagliata dei meccanismi interni di un sistema. I comportamenti economici e finanziari sono il risultato delle azioni e decisioni di moltissimi agenti. Prendere in considerazione tutti i fattori che influenzano il comportamento di queste innumerevoli decisioni sembra un compito impossibile. Ed è qui che entra in gioco l'approccio statistico, sviluppato da James Clerk Maxwell e Ludwig Boltzmann per lo studio dei gas. Essi infatti cercarono di capire come certe proprietà dei gas, quali la pressione, la temperatura o il volume, nascano dai movimenti di innumerevoli molecole (particelle) in frenetico movimento, dando origine appunto alla meccanica statistica. La novità teorica della meccanica statistica sta nel fatto che non c'è bisogno di conoscere cosa ogni particella stia facendo e tutte le sue proprietà microscopiche per comprenderne il comportamento macroscopico del gas e prevederlo. Questa idea è stata trasferita all'economia, per esempio da Louis Bachelier (che usò la teoria delle «passeggiate casuali» per capire le fluttuazioni dei mercati azionari) o dallo scienziato americano Josiah Willard Gibbs. Similmente, molte teorie sulla finanza usano un'analogia matematica e fisica come loro atto fondazionale. Un esempio tipico è l'analogia meccanica e la nozione di equilibrio nell'economia neoclassica, che modellano diversi approcci alla finanza tra cui la versione forte dell'ipotesi dei mercati efficienti (EMH). In effetti, come abbiamo visto, EMH utilizza l'ipotesi controversa di un agente ideale che è dotato di perfetta razionalità e del principio di massimizzazione delle utilità come guida per il suo processo decisionale. Uno dei principali vantaggi per usare questo agente ideale è di natura matematica: esso è perfettamente modellizzabile mediante la matematica e, soprattutto, attraverso modelli lineari. Tuttavia, la scelta di un modello matematico non è un atto neutro, ma una scelta «filosofica». Incorpora, e di conseguenza rivela, le ipotesi impiegate per concettualizzare i mercati azionari. L'uso di leggi di distribuzioni di 122
potenza, di correlazioni, di scalabilità e processi casuali come concetti per avvicinarsi ai mercati azionari e ai loro dati, solo per citare alcuni esempi, è molto diverso dall'impiego di distribuzioni normali o random walk. Poiché negli ultimi trent'anni i fisici hanno raggiunto importanti risultati nel campo delle transizioni di fase, della meccanica statistica, delle dinamiche non lineari e dei sistemi disordinati, l'applicazione di questi strumenti quantitativi ai sistemi finanziari è molto aumentato . Questi modelli matematici, utilizzando una metafora popolare, sono mezzi per la ricerca di un «segnale» nel «rumore» generato dai dati, vale a dire per trovare un'equazione (un modello) in grado di approssimare i dati in modo soddisfacente. Il problema, come avremo modo di rimarcare tra poco, è la ben nota sottodeterminazione delle equazioni rispetto ai dati: lo stesso insieme di dati può essere approssimato da diverse (infinite) equazioni. Poiché le equazioni possono fornire solo un'approssimazione dell'insieme di dati, la scelta di un'equazione specifica rispetto a un'altra non può essere effettuata solo mediante la logica o la probabilità, ma comporta criteri pragmatici e un'analisi costi-benefici. Si perde qualcosa e si vince qualcosa adottando ciascuna di queste equazioni e la scelta dipende molto dagli obiettivi che ci si pone. 03
La finanza dei punti di equilibrio La meccanica statistica è una teoria che modella sistemi composti da molte entità quando si trovano in equilibrio, ossia quando si trovano in uno stato stabile, per esempio, molecole in un bicchiere d'acqua a una temperatura uniforme. L'idea di equilibrio, e la filosofia che incorpora (una filosofia del equilibrio ), è centrale in questo caso e la sua trasposizione nei mercati ha effetti profondi. Tale teoria è inoltre caratterizzata da una ipotesi ontologica peculiare in merito alla natura degli enti di cui si occupa e delle loro relazioni: considera queste particelle, gli enti appunto, come punti materiali, e quindi del tutto uguali, e ritiene che almeno rispetto a certe proprietà le piccole differenze individuali tra esse siano ininfluenti e quindi trascurabili ai fini della comprensione del comportamento aggregato. Il paradigma newtoniano e la mano invisibile di Adam Smith avevano incoraggiato l'idea che i mercati si stabilizzino, ossia che tendano per loro natura a uno stato in cui i prezzi saranno un punto di equilibrio tra offerta e domanda. I mercati dovrebbero quindi essere stabili, o quanto meno tendere a un naturale equilibrio che viene alterato solo da eventi esterni - decisioni politiche, cambiamenti tecnologici, disastri naturali - e solo questi possono modificare la condizione naturale di stabilità. Lo stato stabile sarebbe dunque endogeno, mentre 04
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l'instabilità sarebbe esogena e le grandi fluttuazione dei prezzi relativamente rare. In altre parole, la matematizzazione dei mercati è espressione matura della filosofia dell'equilibrio, che è stata recepita da Walras e poi dalla scuola neoclassica, permettendo di originare un vero e proprio paradigma in economia. Questo paradigma è caratterizzato dall'idea che il mercato sia un fenomeno naturale (una forza) come la gravità, o meglio che vi siano forze che lo ordinano e lo spingono verso uno stato naturale, l'equilibrio appunto. In altre parole, esiste un modo naturale di funzionare del mercato, e questo modo produrrà un certo L'introduzione e la diffusione di un paradigma dei fenomeni economici basato su una filosofia dell'equilibrio offrono certi vantaggi teorici e disegnano un rapporto preciso tra matematica, economia e finanza. Il paradigma può essere riassunto nei seguenti quattro punti. In primo luogo, la teoria economica deve allontanarsi dalle scienze sociali e assimilarsi alle scienze naturali, in particolare alla fisica teorica. Il processo permette di introdurre una assiomatizzazione dei fenomeni economici e attribuisce al metodo assiomatico un ruolo centrale nell'indagine e sistematizzazione dei fenomeni economici. Secondo, la teoria economica astrae dalla società e dalla storia e si concentra sulla ricerca di leggi naturali universali. In effetti, la teoria dell'equilibrio generale esclude che la storia e la società abbiano un ruolo significativo: la teoria può essere sviluppata senza considerare questi fattori complicanti e non c'è alcuna necessità di cambiare la teoria a causa dei cambiamenti nella struttura istituzionale dell'economia. Da questo segue che gli economisti possono applicare le loro teorie indipendentemente dal contesto sociale. Terzo, questo paradigma veicola una visione dell'economia come una forma di ordine naturale, il risultato di forze naturali, e individua nell'equilibrio lo stato naturale dei fenomeni economici. Il concetto di equilibrio dimostra non solo l'interdipendenza dei fenomeni economici sul mercato, ma anche la capacità ordinante del mercato. E mediante l'equilibrio che la Natura, attraverso il mercato, genera ordine non solo economico ma anche sociale, l'equilibrio sociale. Bisogna notare tuttavia che l'idea che il mercato risponda a un principio di equilibrio non deriva dall'osservazione dei mercati, ma è un'assunzione che è stata trasferita alla teoria economica attraverso la filosofia del diritto naturale e in questo senso è basata più su una metafisica 124
che su osservazioni empiriche. Infine, la teoria dell'equilibrio mostra l'efficienza del mercato ai fini dell'allocazione delle risorse in regime di concorrenza. L'equilibrio non è semplicemente uno dei possibili stati o risultati, ma è quello ottimale, e quindi occupa un posto speciale. Ne segue che sia giusto favorire il mercato rispetto a soluzioni non di mercato, la concorrenza rispetto alla cooperazione e rispetto a mercati concentrati, e misurare il benessere sociale in termini di valori di mercato. Questo tipo di approccio matematico all'economia e alla finanza si esprime storicamente attraverso due fondamentali teorie, l'econofisica e l'econometria.
Il Sacro Graal dell'econometria L'econometria è semplicemente il risultato dell'applicazione dell'approccio statistico a dati di natura economica e finanziaria al fine di estrarre da essi relazioni che possono essere utilizzate sia per valutare teorie economiche, o fare previsioni, sia per spiegare i fenomeni economici in termini di causaeffetto. È quindi uno strumento che ambisce a soddisfare due funzioni essenziali: la scoperta e la giustificazione di fenomeni socioeconomici. Di seguito analizzo le sue principali caratteristiche e debolezze. L'econometria parte da un insieme di dati economici, normalmente rappresentati sul piano cartesiano, e cerca di determinare le funzioni (curve) che meglio approssimano questi dati (Figura 6). Sulla base di questa funzione, si possono prevedere altri dati, per esempio dati futuri.
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L'econometria finanziaria viene impiegata per una varietà di finì: per testare ipotesi o relazioni tra variabili, determinare i prezzi o i rendimenti delle attività, valutare l'impatto sui mercati finanziari di cambiamenti nelle condizioni economiche, prevedere valori plausibili di specifiche variabili finanziarie. Uno strumento base dell'econometria è l'analisi regressiva lineare, nella sue due forme: quella semplice e quella multipla. Quella semplice esamina un insieme di dati e determina una funzione plausibile per catturare la relazione tra due variabili o fattori, la variabile dipendente e la variabile indipendente; quella multipla esamina il modo i cui più variabili indipendenti siano correlate a una variabile dipendente. L'obiettivo della analisi regressiva lineare è di modellare, ossia determinare quantitativamente, la relazione lineare tra variabile dipendente e indipendente. Per esempio, la variabile dipendente potrebbe essere le vendite di veicoli di FCA, mentre quella indipendente potrebbe essere il PIL dell'Italia. Oppure la variabile dipendente potrebbe essere il valore delle azioni di una società petrolifera, mentre quella indipendente potrebbe essere il valore di un intero mercato, per esempio quello dell'indice S&P. In questo caso mediante l'analisi regressiva semplice si può cercare di capire come il movimento del mercato influisca sulla quotazione del prezzo della società petrolifera. Normalmente esistono diversi fattori che influenzano e determinano il risultato di un evento finanziario. Il movimento dei prezzi delle azioni di una compagnia petrolifera, per esempio, dipende non solo dall'andamento 126
complessivo del mercato, ma da altre variabili quali il prezzo del petrolio, i tassi di interesse, o il movimento dei prezzi dei futures sul petrolio. Per comprendere una relazione in cui sono presenti più di due variabili viene utilizzata l'analisi regressiva lineare multipla. Essa esamina il modo i cui più variabili indipendenti siano correlate a una variabile dipendente. Una volta che ognuno dei fattori indipendenti è stato determinato per stimare la variabile dipendente, le informazioni sulle variabili multiple vengono utilizzate per creare una stima accurata dell'effetto che hanno sulla variabile dipendente. Per esempio, l'analisi regressiva lineare multipla mostra come il prezzo della compagnia petrolifera aumenta, diciamo, del 6,8% se il prezzo del petrolio sui mercati aumenta del 1%, oppure che diminuirà del 1,5% a seguito di un aumento del 1,1% dei tassi di interesse. Al fine di indagare queste variazioni, e costruire modelli, l'econometria, come ogni buona teoria, impiega una sua ontologia, che notoriamente usa assunzioni molto forti quali omogeneità, stabilità, invarianza, indipendenza, additività, linearità e completezza. Nell'econometria, come in ogni teoria, i risultati che otteniamo dipendono dalle ipotesi che poniamo a fondamento di essa. La modifica di tali assunzioni genera cambiamenti significativi nelle conclusioni derivate dalla teoria. Queste assunzioni diventano ancora più importanti nel momento in cui l'econometria non si accontenta di suggerire previsioni, ma aspira a spiegare i fenomeni in termini di causa ed effetto. Tuttavia, queste assunzioni si sono rivelate quanto meno problematiche e l'impianto teorico dell'econometria presenta varie criticità sia filosoficoteoriche sia tecniche sottolineate da molti studiosi, in primis da Keynes . 05
Criticità teoriche Per quanto riguarda la criticità filosofico-teoriche, la prima è molto generale e attiene al fatto che il calcolo delle correlazioni su cui si basa l'econometria non permette naturalmente di inferire una causazione: le variazioni concomitanti tra variabili indipendenti e dipendente non permettono di inferire che le une siano causa dell'altra. Ovviamente questa non è una critica insuperabile, in quanto l'econometria potrebbe essere difesa in chiave euristica, evidenziando cioè che la ricerca di correlazione è la base dell'individuazione di cause, e l'econometria serve proprio alla ricerca di correlazioni. A questa difesa si può tuttavia rispondere osservando che le variabili su cui operare, ossia sulle quali indagare l'eventuale correlazione, sono già date, e non sono state trovate dall'indagine econometrica: l'esistenza della relazione è stata già ipotizzata dal ricercatore sulla base di 127
una teoria. Inoltre, bisogna notare che l'econometria è un processo di curve fitting, di approssimazione di curve (funzioni) a dati, o meglio un processo per trovare la curva che meglio approssimi un certo insieme di punti, i dati appunto. Non solo questo è un problema matematico noto, ma sappiamo anche che non è risolvibile in modo definitivo: in virtù di un teorema elementare dell'aritmetica, vi è un numero infinito di curve che possono approssimare la stessa serie di punti (Figura 7). Inoltre, anche nel caso in cui vengono aggiunti nuovi punti all'insieme dato, che ha l'effetto di escludere un numero infinito di curve, una nuova infinità di curve può approssimare la nuova serie di dati e il problema di scegliere la curva migliore quindi si ripropone. Più in dettaglio, il problema del curve-fitting è duplice in quanto richiede di: determinare quale classe di curve scegliere per approssimare i dati; determinare all'interno della classe scelta la curva migliore che approssima i dati. Una soluzione piuttosto comune del problema è quella ottenuta mediante il metodo dei quadrati minimi (mqm). Questo metodo consiste nello scegliere la curva (una linea, una parabola, un polinomio di un certo grado) che minimizza la somma dei quadrati delle deviazioni sull'insieme dei punti. Tuttavia, questo metodo, come altri che sono stati avanzati, è difettoso perché: mqm produce ancora troppe soluzioni; mqm supporta spesso le soluzioni meno efficaci.
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Infatti, in primo luogo mqm produce un numero infinito di curve possibili che approssimano i punti: in 72 punti di un dato insieme, ci sono infinite curve di grado n+1 tali che mqm = 0. Pertanto, mqm è compatibile con qualsiasi proiezione del valore successivo. Inoltre, mqm impedisce proprio il tipo di scelte economiche e semplici che gli econometristi tendono a prediligere, dato che mqm conduce per lo più a un rifiuto di una relazione lineare, poiché vi è sempre più di una equazione di grado superiore che approssima i dati meglio di qualsiasi linea dritta. Dunque, non è possibile scegliere una funzione solo sulla base di ragioni logiche. Non è possibile tuttavia neanche scegliere una funzione solo sulla base di ragioni probabilistiche o statistiche. Poiché un insieme di punti ammette infinite funzioni che lo approssimano - ossia i fenomeni ammettono molte spiegazioni diverse - molti filosofi e scienziati pensano che la migliore spiegazione possa essere scelta individuando quella più probabile. Ma la probabilità di x non è di per sé un argomento forte per ritenere che x spieghi y . Ciò che rende una spiegazione migliore di un'altra sono fattori come l'individuazione di caratteristiche e meccanismi potenti e profondi, per i quali abbiamo fornito ragioni per credervi. 06
Nella statistica invece, in particolare la versione basata sull'epistemologia bayesiana, questo tipo di considerazioni esplicative non hanno spazio. L'unica cosa che conta è la relazione probabilistica tra dati e ipotesi. Nelle scienze sociali, la regressione viene utilizzata per scoprire le relazioni o per avanzare rapporti causa ed effetto, tuttavia i ricercatori, ossia coloro che impostano il modello econometrico, possono avere solo informazioni 129
incomplete sulle variabili rilevanti e il loro ordine causale su problemi interessanti e alla frontiera della ricerca. Come rimarcano anche alcuni ricercatori come David Freedman, poiché gli statistici e gli econometrici non sono in grado di giustificare in modo convincente le loro ipotesi, ci sono ancora forti motivi per dubitare dell'impianto econometrico. Ci sono profondi problemi epistemologici e ontologici nell'applicare metodi statistici a una realtà sociale fondamentalmente incerta, complessa, instabile, interdipendente e in continua evoluzione. Dunque, poiché non esiste un criterio di scelta definitivo, è impossibile scegliere una funzione non solo sulle basi di ragioni logiche, ma anche solo probabilistiche. Abbiamo dunque bisogno di prendere in considerazione altre ragioni, che sono di natura pratica, contenutistica, che vadano oltre le logica e la probabilità. Tale scelta richiede pertanto un bilanciamento, provvisorio e rivedibile, tra le ragioni pro e contro una certa ipotesi (ovvero funzione) e quindi non possiamo avere certezza della bontà dell'ipotesi scelta. Alla luce di ciò, l'ipotesi della linearità che caratterizza l'econometria davvero appare troppo restrittiva, se non ingiustificata. Essa equivale ad assumere la relazione più semplice tra i dati, e quindi del meccanismo sottostante, quando questa potrebbe essere ben più complessa. Inoltre, i tipi di leggi e di relazioni stabilite dall'econometria riguardano entità per le quali i modelli presuppongono l'esistenza di meccanismi causali di tipo atomistico e additivo. Ma questa ipotesi non può avanzare nessun primato teorico o empirico rispetto a quella concorrente emergentista, ossia che nei fenomeni finanziari i meccanismi operanti siano in continua evoluzione e instabili, in cui il tutto potrebbe essere più di una semplice somma meccanica delle parti.
Criticità tecniche Le altre criticità dell'econometria sono più specifiche e riguardano le ipotesi che plasmano i suoi modelli: completezza, omogeneità, stabilità, misurabilità, indipendenza e linearità. Queste sono assunzioni così forti da far dubitare dell'efficacia dell'econometria. In effetti, come già osservava Keynes , costruire modelli econometrici da questo tipo di ipotesi, semplicistiche e irrealistiche, rischia di produrre nient'altro che correlazioni, e molto spurie. 07
Le dinamiche dei sistemi economici e finanziari reali sono tali che i metodi 130
statistici utilizzati nell'econometria possono risultare quanto meno inadatti, se non inapplicabili. Infatti, modelli probabilistici meccanici hanno poca pertinenza e fruttuosità se applicati a sistemi in evoluzione e non atomici, come quelli economico-finanziari. La creazione di modelli econometrici non può essere un obiettivo in sé: un buon modello econometrico dovrebbe essere un mezzo che consente di inferire proprietà sui sistemi del mondo reale che rappresenta. Se non possiamo dimostrare che i meccanismi che isoliamo nei nostri modelli econometrici sono pertinenti al mondo reale, essi sono di scarso valore per la comprensione, spiegazione o previsione dei sistemi economici reali. Più in dettaglio, la completezza richiede di specificare e quantificare quali diversi fattori influenzano il fenomeno economico che si vuole modellare. Questo significa che bisogna poter produrre un elenco completo di tutti i fattori per evitare errori o affermazioni causali spurie. Pensare di poter soddisfare questo requisito è alquanto ambizioso, se non ingenuo, perché significa avere già una teoria definitiva sul fenomeno. L'omogeneità richiede che siano prelevabili in modo ripetuto campioni da una popolazione fissa ed è cruciale per rendere possibili le inferenze induttive. La maggior parte dei sistemi economici e finanziari difetta sotto questo aspetto: non è sempre possibile prelevare campioni ripetuti da una popolazione fissa quando analizziamo fenomeni del mondo reale. In molti casi, semplicemente non ci sono motivi per presumere che i campioni siano omogenei. La stabilità, che è connessa all'omogeneità, richiede che esista una relazione spazio-temporale stabile tra le variabili analizzate da un modello econometrico. Ma questa ipotesi, ancora, è davvero troppo restrittiva e non realistica, dal momento che, data l'esistenza di fenomeni che esibiscono cambi di regime, è estremamente difficile trovare l'esistenza di variabili econometriche stabili per serie temporali che non siano molto brevi. La misurabilità richiede che tutti i fattori rilevanti siano misurabili. Questo sembra plausibile, ma pone un altro grande problema, ossia se sia possibile quantificare e misurare adeguatamente aspetti come le aspettative e i fattori politici o psicologici e di misurarli mediante assegnazioni probabilistiche. L'indipendenza assume che le variabili dei modelli siano indipendenti ma, ancora una volta, come abbiamo già sottolineato, in un sistema così complesso, organico ed evolutivo come la finanza, l'indipendenza è 131
un'ipotesi irrealistica. Infine, la linearità è un'assunzione drastica, in quanto richiede di supporre che tutte le forze economiche producano nel fenomeno in esame cambiamenti indipendenti che siano direttamente proporzionali ai cambiamenti. In realtà, la costruzione di modelli econometrici non può mai sostituire la riflessione critica e il pensiero. Anche l'attuale enfasi sul machine learning o sui big data mostra che molti scienziati sociali pensano di poter analizzare fenomeni del mondo reale senza alcuna teoria: ciò che serve sono solo i dati. Ma i dati non parlano mai da sé e senza una precedente impostazione teorica e statistica, in realtà non ci sono dati da elaborare e l'uso di un algoritmo di apprendimento automatico non produrrà, circolarmente, nient'altro che ciò che si sta cercando (ossia le ipotesi contenute nell'algoritmo) . 08
La finanza dei punti critici: l'econofisica Un esempio ancora più interessante e rappresentativo del rapporto tra finanza e matematica è fornito dall'econofisica, che cerca di rendere conto anche dei fenomeni non in equilibrio o lontani dall'equilibrio. Essa non è quindi espressione di una filosofia dell'equilibrio. Nel descrivere il comportamento collettivo, la fisica statistica, come abbiamo visto, è caratterizzata da una scelta filosofica ben definita: essa trascura tutte le complessità concettuali e matematiche che deriverebbero da un resoconto dettagliato del funzionamento interno, individuale e a livello microscopico di un sistema e si concentra su quelle proprietà generali dei fenomeni collettivi, nella fattispecie dei mercati azionari, che possono essere rilevati e studiati attraverso lenti matematiche e che non dipendono tanto da fattori contestuali o specifici del dominio. Concetti come le dinamiche stocastiche, l'auto-similarità, le correlazioni (sia a corto sia a lungo raggio) e la scalabilità, sono gli esempi più noti. I sistemi finanziari possono essere studiati e indagati su scale diverse, ed è praticamente impossibile produrre tutte le equazioni che descrivono a livello microscopico tutti gli oggetti del sistema e le loro relazioni. Per questo l'econofisica sceglie di concentrarsi su quelle proprietà che ci permettono di ottenere una comprensione del comportamento dei sistemi a livello globale, 132
senza dover produrre un resoconto concettuale e matematico dettagliato dei meccanismi interni del sistema. Da qui è possibile procedere in due modi. Il primo è quello di adottare una visione emergentista, ossia impiegare quella tesi metafisica, ontologica e metodologica secondo la quale è inutile cercare di scrivere le equazioni per tutti gli oggetti del sistema e le loro relazioni a livello microscopico, dal momento che le proprietà che caratterizzano una scala non sono riducibili a quella della scala sottostante . 09
Il secondo è quello di abbracciare una visione euristica, cioè l'idea che la scelta di concentrarsi su certe proprietà collettive, e che sono trattabili dai modelli matematici esistenti, sia giustificata sulla base della sua capacità di risolvere certi problemi, ma ciò non implica che non sia possibile in futuro spiegare il comportamento globale del sistema sulla base delle dinamiche di microlivello e dei singoli costituenti. Questo richiede una migliore comprensione del comportamento microscopico del sistema, ulteriori dati e, nel caso, nuove teorie matematiche al momento non disponibili. La tesi fondamentale dell'econofisica è che un'indagine che trascuri i dettagli interni di un sistema e si concentri sulle sue macroproprietà fornisce una adeguata, se non migliore, comprensione dei mercati finanziari. A tal fine, essa sostiene una prospettiva funzionale sui mercati finanziari e azionari: l'attenzione alle funzioni piuttosto che alle entità o alle istituzioni sembra offrire infatti oggetti di indagine più stabili e ad ampio raggio, da cui queste ultime possono essere derivate. Per l'econofisica possiamo quindi comprendere le caratteristiche generali dei mercati azionari, o meglio possiamo leggere le dinamiche che ne modellano profondamente le tendenze a lungo termine. Inoltre, possiamo comprendere i mercati azionari grazie alla teoria dei sistemi complessi, e lo studio di questa teoria e quello dei mercati azionari sembra offrire vantaggi reciproci. Da un lato, la teoria dei sistemi complessi offre una chiave per comprendere e decifrare alcune delle proprietà salienti dei mercati azionari. D'altra parte, i mercati azionari sembrano fornire uno stress test della teoria della complessità. Più precisamente: i mercati azionari, in particolare i loro crolli, esibiscono in modo paradigmatico l'emergere di eventi critici in sistemi auto-organizzanti; i mercati azionari hanno un comportamento che sfida la nostra nozione di previsione poiché esibisce spesso transizioni di fase o dinamiche non lineari. 133
L'econofisica ritiene che transizioni di fase, punti critici, eventi estremi siano così pervasivi nei mercati azionari da essere i principali oggetti di studio. La teoria della complessità ci fornisce una fruttuosa chiave di lettura per comprendere le dinamiche di questi eventi, in quanto suggerisce che gli eventi critici o estremi che si verificano su larga scala sono il risultato delle interazioni che si verificano su scale più piccole. Nel caso dei mercati azionari, ciò significa che, a differenza di molti approcci che tentano di render conto dei crolli cercando meccanismi che funzionano su scale temporali molto brevi, la teoria della complessità indica che tali eventi hanno cause che risalgono a mesi o anni prima di essa. Come abbiamo visto, questa lettura suggerisce che è la crescente interazione tra gli agenti all'interno dei mercati a costruire le dinamiche instabili (tipicamente le bolle finanziarie) che alla fine producono un evento critico, il crollo. L'ipotesi che più caratterizza l'econofisica è che non solo questa dinamica sia rilevabile, ma che esibisce anche un modello matematico espresso da funzioni logperiodiche, o meglio una classe speciale di queste funzioni, e che quindi permette previsioni su crash imminenti. Se questo è vero, allora la matematica ci fornirebbe una via d'accesso alle dinamiche più profondi e difficili della finanza.
La matematica come via d'accesso? Questa via d'accesso matematica è molto utile perché secondo l'econofisica: non richiede di sviluppare, almeno in alcuni casi, una teoria dettagliata sul funzionamento interno dei mercati finanziari; supera i vari problemi connessi alla natura dei dati finanziari, in particolare i vari dark spots che essi presentano ; 10
fornisce un modo per anticipare le tendenze future dei mercati azionari. La scelta di quale specifica teoria matematica impiegare a tale fine è cruciale, e infatti una quantità notevole di strumenti matematici noti è stata utilizzata per cercare di dare senso alle principali caratteristiche dei mercati azionari. Il modello econofisico sviluppato da Sornette è un esempio molto forte. Il modello è espresso da un'equazione logaritmica periodica e ha lo scopo di prevedere un evento critico c, per esempio un crollo dei prezzi. È caratterizzato dall'ipotesi che c di solito sia preceduto da oscillazioni la cui 134
frequenza aumenta man mano che ci avviciniamo al tempo [( della occorrenza di c e che questo processo segua una legge di potenza logperiodica (LPPL). Più in dettaglio, il modello formalizza l'idea che durante una bolla speculativa un indice finanziario aumenta, e quindi la curva che lo descrive sale mediante una legge di potenza, seguendo oscillazioni logperiodiche (ossia sinusoidali), e poi termina con un crollo (crash). Tali oscillazioni aumentano quanto più ci si avvicina al crollo, e quindi segnalano l'approssimarsi di tale evento critico. La conseguenza più interessante, quindi, è che sia possibile determinare ragionevolmente bene il momento del crollo, tc, osservando e monitorando tali oscillazioni . 11
Se questo approccio funziona, permette di superare uno dei problemi principali dei dati finanziari, ossia la loro incompletezza e parzialità dovuta all'assenza di informazioni cruciali. La maggior parte dei dati finanziari a nostra disposizione si presenta infatti in una forma molto specifica e deficitaria, dal momento che hanno un'importante informazione mancante - una sorta di punto oscuro (dark spot) - ovvero chi negozia cosa. La maggior parte degli ordini a cui possiamo accedere sono senza gli identificatori dei conti di trading (Tabella 1).
Questo è solo un esempio macroscopico di darle spot nei dati e, in effetti, i mercati azionari sono ricchi di questi dati mancanti. Un altro esempio è il numero di ordini visibili in una certa sede di scambio. «Tali dati mancanti sono una preoccupazione naturale per i ricercatori» e aprono una serie di problemi. 12
Prima di tutto, rende molto difficile, se non impossibile, riconoscere sequenze di azioni da parte dello stesso trader (umano o algoritmico). In secondo luogo, rende i sistemi finanziari un campo molto interessante da indagare. Da un lato, questa caratteristica dei dati sembra mostrare una debolezza teorica invalicabile. Dall'altro, è una sfida. Nel primo caso, l'assenza di tale informazione è considerata critica poiché sembra impedire una comprensione profonda dei fenomeni finanziari e delle loro dinamiche. Senza una conoscenza a grana fine, a livello microscopico, da questi sistemi 135
sembra impossibile produrre risultati, previsioni e descrizioni. Nel secondo caso, l'assenza di questa informazione è considerata non essere così critica, dal momento che i sistemi finanziari possono essere compresi anche con questo pezzo del puzzle mancante . Questo secondo caso è proprio quello sostenuto dall'econofisica: anche in assenza di tali informazioni, possiamo comprendere e prevedere il comportamento del sistema intorno a una singolarità perché le serie temporali dei prezzi ci forniscono informazioni sufficienti a tal fine. Tuttavia, la possibilità di anticipare una singolarità in questo modo appare molto ottimistica in quanto ci sono altri dati che sembrano confutarla . 13
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La ricerca di una nuova matematica? Approccio bottom-up vs top-down in finanza Una teoria matematica è il risultato di una interpretazione di certi fenomeni e quindi il formalismo incorpora ipotesi e ontologie specifiche. Se queste ipotesi e queste ontologie non sono appropriate, ossia non descrivono le caratteristiche salienti del fenomeno che intendono modellizzare, la teoria non funzionerà e sarà di scarso valore in tale senso. Il problema quindi è come fare a costruire una matematica della finanza adeguata ed efficiente. Questa domanda solleva una importante questione metodologica e di filosofia della matematica. I tentativi fin qui descritti di produrre una matematizzazione della finanza sono stati costruiti in un modo che possiamo definire top-down: si parte da una teoria matematica esistente e poi, sulla base di qualche similarità tra i fenomeni finanziari che si intende modellizzare e quelli trattati da una teoria matematica nota, si giunge a fornirne una modellizzazione dei fenomeni finanziari. Non vi è nulla di male in questa strategia. Essa è un modo conservativo di affrontare il compito di costruire una teoria: si usano risultati e conoscenze già note per rendere conto di un fenomeno relativamente nuovo o difficile da comprendere. In sostanza, si tratta di usare soluzioni note per risolvere problemi. La principale difficoltà sta quindi nel capire come connettere il problema alla soluzione nota (la teoria) che si vuole usare in modo che il problema sia trattabile da essa. Se questa strategia ha successo si ottengono ovvi benefici epistemici. Purtroppo, questa strategia presenta anche difetti e costi importanti. Il principale difetto è la selettività: usare le lenti di una teoria matematica 136
esistente per indagare un problema può portare a concentrarsi solo sui certi aspetti del problema o del fenomeno, ossia quelli che si prestano alla modellizzazione permessa dalla matematica nota, quando questi potrebbero non essere quelli essenziali per comprendere o risolvere il problema. In questo caso l'analogia tra la teoria esistente usata e il fenomeno indagato potrebbe essere così debole da risultare fuorviante ai fini della comprensione del fenomeno. Molti approcci matematici alla finanza soffrono di queste limitazioni. L'ipotesi dei mercati efficienti o l'idea di una descrizione frattale dei mercati finanziari di Benoît Mandelbrot si basano su similarità molto deboli e parziali tra gli andamenti dei prezzi dei mercati finanziari e processi come il random walk o i frattali, dai quali è davvero difficile costruire una teoria esplicativa. L'altra strategia è quella bottom-up, per la quale si tenta di comprendere e descrivere i fenomeni per poi cercare di risalire a una loro matematizzazione. Naturalmente questa strada può essere molto più dispendiosa e impervia dell'altra. In primo luogo, il processo non garantisce affatto che l'esito sia una teoria matematica, mentre nell'approccio topdown questo è garantito dall'inizio. Il processo di costruzione della teoria potrebbe infatti arrestarsi a una descrizione verbale e qualitativa della finanza. Inoltre, anche quando questa fase fosse superata, per modellare il fenomeno potrebbe essere necessario dover sviluppare una nuova matematica, e questo può richiedere anche molto tempo. Il vantaggio di questa strada sta ovviamente nel fatto che la priorità è la comprensione profonda del fenomeno in questione e delle sue peculiarità, e quindi delle eventuali differenze con altri fenomeni noti, mentre nell'approccio top-down la priorità è costituita dalle similarità, e questo spinge ad assimilazioni frettolose tra fenomeni che di fatto potrebbero essere sostanzialmente eterogenei. Infine, abbiamo un ulteriore problema dell'uso della matematica nei mercati finanziari che deriva dalla natura performatività di questi ultimi.
Performatività, matematica e finanza La performatività e una caratteristica saliente dei mercati finanziari ed afferma che i modelli matematici utilizzati per descrivere i fenomeni finanziari non sono strumenti neutrali o passivi in quanto sono in grado di modificare il comportamento del mercato stesso e di farlo in due modi 137
possibili: quello performativo e quello contro-performativo. Nel primo caso, il mercato cambia allineandosi alle previsioni del modello matematico. Nel secondo, il mercato cambia allontanandosi dalle previsioni del modello. Ovviamente non ogni modello è in grado di performare il mercato (si veda il Capitolo 6). Tuttavia, se, come sembra, la performatività coglie una caratteristica dei sistemi finanziari, essa complica non solo il rapporto tra finanza e matematica, ma la natura, il ruolo e l'uso delle previsioni nei sistemi finanziari, in particolare nei mercati azionari. Se una previsione basata su un determinato modello può essere performativa o controperformativa, è difficile capire quando un modello e le sue previsioni funzionano. Una risposta a questa difficoltà è quella avanzata proprio dall'econofisica, che sostiene che sia possibile salvare le predizioni perché, come osserva Sornette, il mercato anticiperebbe il crollo in modo sottile e collaborativo, rilasciando segnali precursori osservabili nei prezzi del mercato azionario e se anche i trader imparassero a decifrare e utilizzare queste informazioni, i crolli probabilmente accadrebbero lo stesso . 15
Questo modo di salvare i modelli matematici non appare tuttavia convincente, perché non ci fornisce evidenze e ragioni per cui questo dovrebbe verificarsi. Anzi, il fatto che molte previsioni prodotte dai modelli di Sornette non si avverino potrebbero essere dovuto proprio al fatto che il mercato ha decifrato e utilizzato queste informazioni, disinnescando il crollo. In altre parole, il modello potrebbe aver contro-performato il mercato, allontanandolo dalla sua previsione, il crollo appunto. La performatività pone un altro importante problema nel rapporto tra matematica e finanza: la produzione e diffusione di un modello matematico per rendere conto dei mercati finanziari è un atto che può modificarlo in una certa direzione e quindi l'uso e la diffusione di un modello richiede una responsabilità.
Etica e matematica: lo strano caso della finanza Una matematica della finanza o della società - una fisica sociale tutt'al più dovrebbe essere predittiva, ma non prescrittiva: non può dirci quali azioni e strutture siano giuste o morali. Quindi, se i modelli matematici includono sottili pregiudizi ideologici, anche se involontari, rischiano di diventare solo una teoria usata per sostenere certe preferenze politiche e non direbbero 138
nulla di davvero informativo. Per questo è importante avere ben chiare quali siano le ipotesi fondamentali di una teoria matematica sul funzionamento dei mercati, e capire se queste ipotesi siano plausibili, ossia sostenute per lo meno dai dati in senso ampio, ossia non funzionino solo per piccole porzioni di serie temporali opportunamente scelte. Lo sviluppo di parti di una fisica sociale, ammesso che sia possibile, potrebbe comunque aumentare la nostra lungimiranza, mostrandoci le conseguenze attese, o più probabili, di particolari scelte, aiutandoci così a pianificare meglio strutture e istituzioni sociali, leggi e regole, al fine di adattare il mercato alle esigenze dell'essere umano. Ovviamente una fisica sociale non è una sfera di cristallo: tutt'al più fornisce una descrizione probabilistica di un sistema in cambiamento continuo. In tal senso essa avrebbe anche un ruolo etico, perché ci metterebbe nelle condizioni di scegliere con maggior cognizione di causa che cosa sia bene o male (meglio o peggio). L'utilità di una fisica sociale dipende però essenzialmente dalla bontà delle conclusioni dei suoi modelli, che a loro volta dipende dalla natura delle ipotesi poste a loro fondamento e da cui queste conclusioni sono dedotte. Se queste ipotesi sono irrealistiche, difficilmente potranno dirci qualcosa di utile sul mondo reale e quindi metterci nella condizione di scegliere che cosa sia meglio per noi. Anzi, se sono imprecise o molto lontane dalla realtà potrebbero farci commettere gravi errori. Ipotesi irrealistiche o lontane dallo stato di fatto attuale non implicano però che il modello e le sue conclusioni siano del tutto inutili. Esse potrebbero descrivere un mondo possibile, ovvero che cosa accadrebbe - quali conseguenze deriverebbero - se certe ipotesi si verificassero. Questo apre un ulteriore problema etico fondamentale in finanza. Infatti, una fisica sociale e finanziaria, con i suoi modelli matematici, può essere performativa: essa può modificare attivamente il corso degli eventi di un mercato, spingendoli ad allinearsi alle previsioni del modello matematico. Ovviamente un modello non è costruito nel vuoto pneumatico, in quanto contiene ipotesi che sono scelte per risolvere certi problemi e in funzione di certi obiettivi. Quindi un modello può essere un modo per introdurre certe ipotesi, e quindi certe conseguenze, in un mercato se questo viene performato. In tal caso, il problema etico dell'uso della matematica in finanza può diventare centrale in quanto la performatività ci pone difronte a un nuovo scenario, quello in cui è possibile piegare un mercato a certe conseguenze mediante l'introduzione e diffusione di certi modelli. Il pericolo 139
è tanto più forte quanto più esiste un rischio di «monismo» teorico e metodologico, ossia l'affermazione di un solo modello o teoria. Questo implica che le teorie matematiche vanno costruite e usate con grande responsabilità in finanza. Anche il processo di costruzione di una teoria (e la scelta delle sue ipotesi) è infatti importante, e andrebbe vagliato tanto quanto il modo in cui queste teorie vengono utilizzate. Note 01 A. Cournot, Recherches sur les principes mathématiques de la théorie des richesses, Paris, Hachette, 1838 ; L. Walras, théorie mathématique de la richesse sociale, Laùsannè, Corbaz, 1883; Id., «Cournot et l'économique Inathématique», Gazette de Lausanne, VII, 1905; Id., «Économique et mécanique», Bulletin dela Société Vandoise de Sciences Naturelles, (45), 1909, pp. 313-325. 02 Inoltre, il paradigma newtoniano aveva incoraggiato l'idea che anche i mercati si regolarizzassero in un equilibrio stabile in cui i prezzi trovano un valore naturale nel bilanciamento tra offerta e domanda, la mano invisibile di Adam Smith. I mercati dovrebbero quindi essere stabili. 03 R. Mantegna, E. Stanley, An Introduction to Econopbysics, Cambridge, Cambridge University Press, 1999. 04 C. Clark, «The Philosophy of Equilibrium», Quaderni di storia dell 'economia politica, 7 (2/3), 1989, pp. 49-67. 05 J.M. Keynes, «Professor Tinbergen's Method», Economic journal, 49, 1939, pp. 558-568. 06 E. Ippoliti, C. Cellucci, Logica, Milano, Egea, 2016. 07 Keynes, «Professor Tinbergen's Method», cit. 08 E. Ippoliti, «Dark data. Some Methodological Issues in Finance», in P. Chen, E. Ippoliti (eds), Methods and Finance. A Umfying view on Finance, Mathematics and Philosophy, Berlin, Springer, 2017, pp. 179-194 ; E. Ippoliti, «Models and data in Finance: les Liaison; Dangereuses», in F. À. Nepomuceno, L. Magnani, F.J. Salguero-Lamillar, C. Bare's-Gòmez, M. Fontaine (eds), Model-Based Reasoning in Science and Technology, Berlin, 140
Springer, 2019, pp. 393-306. 09 D. Sornette, Why Stock Markets Crash, Princeton, Princeton University Press, 2003. 10 Ippoliti, «Dark data. Some Methodological Issues in Finance», cit. 11 Sornette offre anche alcuni esempi storici rilevanti di singolarità finanziarie che seguono questo modello. Uno degli esempi è il famoso crollo del 1929 su cui si veda Log Periodic Bubbles, «Mind & Market», 15 aprile 2013, disponibile online su http://mindandmarket.blogspot.com/ 12 M. O'Hara, «What Is a Cluote?», The journal of Trading, S (2), 2010, pp. 10-14, p. 14. 13 E. Ippoliti, «Method and Finance. A view from outside», in P. Chen, E. Ippoliti (cds), Methods and Finance. A Unifling view on Finance, Mathematics and Philosophy, Berlin, Springer, 2017, pp. 3-15; Id., «Method and Finance. A view from inside», ivi, pp. 121-128. 14 Per esempio, i dati dell'indice S&P 500 tra gennaio 2010 e aprile 2013 suggeriscono una singolarità finanziaria - un crollo - per aprile 2013. Purtroppo, nessuna singolarità si è verificata nel mese di aprile 2013 e l'indice ha continuato a salire. Si veda Log Periodic Bubbles, cit. 15 Sornette, Why Stock Markets Crash, cit., p. 279.
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6 «Se non avesse detto niente, lo avrei rotto lo stesso? La svolta performativa
L'oracolo della finanza Oracolo: Ti inviterei a sederti, ma tanto so che non lo farai. E non preoccuparti del vaso. Neo: Quale vaso? [Girandosi per cercare il vaso, Neo lo colpisce e lo fa cadere.] Oracolo: Quel vaso. Neo: Chiedo scusa. Oracolo: Ti ho detto di non preoccupartene. Lo farò riparare da uno dei miei ragazzi. Neo: Come lo sapevi? Oracolo: Oh... E la domanda successiva che ti frullerà nel cervello sarà «lo avrei rotto lo stesso se non avesse detto niente?». Questa breve scena del celebre film Matrix si presta bene a riassumere una delle proprietà che più distingue i sistemi finanziari: la performatività. L'Oracolo, interpretato nel film dall'attrice Gloria Foster, produce infatti un atto linguistico in grado di modificare il mondo che accoglie tale atto. Se non avesse preferito parola, o il mondo non lo avesse accolto, Neo probabilmente non si sarebbe girato e non avrebbe colpito il vaso rompendolo. Quindi l'atto linguistico è parte attiva, performativa (nel senso anglosassone di produrre, eseguire), del mondo a cui si rivolge. Per quanto possa apparire sorprendente, una proprietà del genere vale anche in finanza. In prima approssimazione, la performatività afferma che la teoria economica, nel senso più ampio del termine, esegue, modella e struttura l'economia, piuttosto che semplicemente osservare e descrivere come 142
funziona. Questo principio è il cardine della tesi performativa, che ha ricevuto molta attenzione negli ultimi decenni tanto da configurare una svolta performativa in economia, soprattutto in finanza e nella riflessione filosofica su di essa. La tesi della performatività nei domini socioeconomici deriva in parte dalla nozione di riflessività. L'altra influente fonte della tesi della performatività dei sistemi finanziari è il lavoro di Michel Callon e Bruno Latour e dalla loro Agent-Network Theory (ANT, teoria della rete di agenti) che, a loro volta, attingono dalla teoria della performatività linguistica sviluppata dal filosofo John Austin . Quindi la nozione di performatività nasce dalla riflessione sul linguaggio e mediante la filosofia arriva in finanza. 01
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Dal linguaggio alla finanza: il viaggio filosofico della performatività Nella teoria degli atti linguistici di Austin un'espressione performativa designa un atto linguistico in grado di modificare il mondo che accoglie l'enunciato, per esempio «vi dichiaro moglie e marito» o «ti nomino cavaliere della tavola rotonda» (A). (A) differisce da un enunciato del tipo «il PIL dell'Italia scende (B): (B) afferma qualcosa, (A) esegue un'azione. La peculiarità dell'atto performativo è che esso di per sé non è né vero né falso, non si applica il criterio di verità. In fondo, alla domanda dell'oracolo in Matrix «Se non avesse detto niente, lo avrei rotto lo stesso?» non è possibile rispondere in termini di verità/falsità. Affinché un atto performativo sia tale devono essere rispettate quelle che Austin definisce «condizioni di felicità». Se ciò non avviene, ossia se chi compie l'atto performativo non lo fa nel contesto adatto, non ha le condizioni per farlo, oppure poi non si comporta in modo consequenziale, l'atto performativo è infelice. Per esempio, affermare «ti nomino cavaliere della tavola rotonda» è un atto performativo, ma è infelice se non sono Re Artù, se non ci sono testimoni o se non sono a Camelot. La tesi di Austin è che «dire» è sempre «fare» qualcosa. Pronunciare qualcosa produce sempre un effetto, qualcosa che modifica il mondo verso il quale l'enunciato viene proferito. Secondo la svolta performativa, qualcosa 143
del genere avviene anche in finanza. (bando un prodotto teorico passa dalla teoria alla pratica finanziaria, influenza il sistema che intende descrivere: l'applicazione di teorie e modelli finanziari non solo informa e influenza la pratica professionale, ma modella i mercati creando o aumentando l'allineamento tra il mondo reale (mercato) e il mondo teorico. Tuttavia, il passaggio del concetto di performatività dalla linguistica alla finanza non è semplice e scontato. Innanzitutto, è bene osservare che la teoria della performatività può essere considerata come il risultato dell'unione della filosofia del linguaggio e della ANT, di cui Callon è uno dei principali teorici. Secondo Callon, è così vero che le teorie economiche creano gli oggetti che dovrebbero descrivere, che la realtà economica sia veramente incorporata nella scienza economica, da poter arrivare ad affermare un po' provocatoriamente che «sì, l'homo aeconomicus esiste davvero. Naturalmente, esiste sotto forma di molte specie e il suo lignaggio è multiplo e ramificato. Ma se esiste, ovviamente non si trova in uno stato naturale - questa espressione ha poco significato. È strutturato, incorniciato e dotato di dispositivi che lo aiutano nei suoi calcoli e che sono, per la maggior parte, prodotti dall'economia (economics)» . 04
La ANT ha come punto di partenza fondamentale quello di considerare il mondo come una rete (network) di esseri umani e tecniche (agents): la vita degli attori sociali non può essere dissociata dalle tecnologie sviluppate e impiegate per prendere decisioni. Il software finanziario, le equazioni sui mercati, il diritto della concorrenza, i metodi di determinazione dei prezzi e le architetture di mercato partecipano alle azioni umane. Questi dispositivi costituiscono la forza delle teorie economiche nel plasmare il mondo sociale: un'equazione partecipa alla fissazione dei prezzi che gli agenti di mercato considerano come dati oggettivi e le decisioni quotidiane degli agenti economici sono possibili solo in virtù del supporto e dell'integrazione di questi dispositivi socio-tecnici. L'economista influenza dunque il mondo che dovrebbe descrivere attraverso un controllo sul processo decisionale individuale e collettivo, in quanto la scienza economica è incorporata in questi dispositivi. Alla luce di questo, secondo Callon gli agenti economici sono calcolatori: sono dotati di molti strumenti e in vari casi le loro scelte sono ottenute seguendo algoritmi e sequenze definiti altrove. Questa visione tecno-centrica contrasta con un altro modo di concepire e spigare la performatività, secondo la quale il mondo sociale si allinea all'immagine di una teoria nel momento in cui ognuno adotta la 144
rappresentazione del mondo data dalla teoria. Il principale esempio storico che viene esibito dai sostenitori della tesi performativa in finanza è il celebre modello di prezzo dell'opzione elaborato dai premi Nobel per l'economia Black e Scholes (BESM). Donald MacKenzie sostiene che questo è un esempio paradigmatico di un modello teorico che plasma un mercato (cioè il mercato delle opzioni) dopo che la maggior parte dei praticanti lo accetta e inizia a usarlo: il suo uso, afferma MacKenzie, ha portato a uno stato di cose in cui il modello è una buona descrizione empirica del mercato poiché le pratiche plasmate dal modello hanno alterato i processi economici spingendoli a conformarsi al modello stesso . La ricostruzione di MacKenzie dello sviluppo e dell'utilizzo del BSM, se giusta, dimostra che questo modello determina come i trader di opzioni prendono le loro decisioni: BSM è un dispositivo, un insieme di istruzioni, che gli agenti di mercato seguono in modo quasi meccanico cosi da ottenere lo stesso risultato, il prezzo di un'opzione. In questo caso specifico, il potere performativo del modello sta nel fatto che se la maggior parte dei commercianti calcola il prezzo di un'opzione per un determinato contratto in modo identico, allora il prezzo di mercato diventa quello dato dal modello Black-Scholes. 05
Inoltre, non solo questa equazione viene utilizzata dai trader, ma è stata integrata nei sistemi di quotazione: i prezzi sui mercati finanziari sono calcolati grazie a essa. Il potere performative dell'equazione è quindi duplice: può sia produrre una nuova pratica all'interno di un mercato esistente (gli agenti negoziano le opzioni utilizzando l'equazione BSM) sia creare una nuova arena economica (le equazioni BSM integrano la struttura stessa del mercato). In conclusione, il modello produce e struttura la realtà che descrive, allineandola a sé stesso. In altre parole, un modello determina ciò che accade: si rende vero e l'economia è assorbita dalla teoria economica, almeno in parte e almeno temporaneamente. È bene precisare che la concezione di performatività di MacKenzie e quella di Callon differiscono: la prima ritiene che sia possibile spiegare la performatività mediante l'idea di meccanismo auto-avverantesi, mentre Callon difende chiaramente una definizione generica di performatività, che rifiuta esplicitamente il concetto di profezia che si auto-avvera 06
In ogni caso, se la teoria performativa è sensata, allora abbiamo almeno tre questioni da considerare con molta attenzione. In primo luogo, da una prospettiva più filosofica, emerge il problema filosofico del realismo: la realtà 145
finanziaria non esisterebbe, sarebbe semplicemente costruita. In secondo luogo, i modelli teorici andrebbero giustamente messi al centro del dibattito in merito alle cause delle crisi finanziarie . In terzo luogo, i dati finanziari che leggiamo sui monitor sarebbero determinati dal modello usato in modo prevalente dai professionisti della finanza. Proprio per questi motivi, naturalmente, la tesi performativa è stata molto dibattuta. 07
Il dibattito sulla performatività La fondatezza e adeguatezza della teoria della performatività e una questione molto dibattuta sia in filosofia sia in economia, e non è un problema semplice da affrontare poiché il concetto di performatività è multiforme ed è stato utilizzato in diversi modi. L'efficacia della performatività in finanza, secondo Callon, dipende in particolare dalla sua natura socio-tecnologica, ossia dal fatto che i mercati assommano esseri umani e non umani, o meglio esseri umani e dispositivi/tecniche. Questi dispositivi non solo comprendono anche modelli teorici, ma ne sono il risultato. Dunque, come osserva MacKenzie, la teoria e i modelli economici operano all'interno delle economie «in un modo che è in contrasto con la concezione della scienza come un'attività il cui unico scopo è quello di osservare e studiare, ovvero di conoscere il mondo. In economia, e in finanza ancor di più, la questione non riguarda solo conoscere il mondo con maggiore o minore precisione. Riguarda produrre. Non riguarda (solo) se una teoria economica sia "giusta" o "sbagliata" ma (anche, e forse più importante) sa sia in grado o non in grado di trasformare il mondo» . 08
Mackenzie sviluppa così un'analisi del modo in cui in finanza questa unione di uomini e dispositivi produce tipologie diverse di performatività e distingue tre forme di performatività : 09
generica, che emerge quando i praticanti usano una teoria; efficace, che si verifica quando l'utilizzo di una teoria produce effetti sulla realtà sociale; barnesiana , che si verifica quando gli effetti dell'uso di una teoria allineano la realtà sociale alle previsioni di quella teoria, cioè la teoria diventa vera, si auto-avvera. 10
L'idea che le teorie economiche influenzino il corso dell'economia e del 146
mondo sociale non risale naturalmente solo a Callon e MacKenzie e ha precedenti illustri. Per esempio, già Marx sostiene che le rappresentazioni prodotte dagli economisti sono uno dei principali motori del capitalismo. In particolare, egli sostiene che la teoria economica classica ha modellato attivamente la fenomenologia del mondo in modo che questo assuma la forma delle descrizioni contenute nella teoria. Similmente, Karl Polanyi osserva che l'influenza sociale delle teorie economiche è evidente nella mentalità di mercato (market mentality) . Questa mentalità è necessaria per il corretto funzionamento di un grande mercato che si auto-regolamenta e richiede una specifica credenza relativa alla motivazione primaria dell'umanità, ovvero l'immagine di un essere umano governato da una razionalità del tipo mezzo-fine in un contesto naturale di scarsità di risorse. L'immagine trova espressione nel modello teorico dell'uomo razionale, l'homo aeconomicus, un uomo motivato dall'interesse personale che massimizza la propria utilità, e svolge un ruolo cruciale nello stabilire il capitalismo industriale e quindi nel reificare il modello teorico stesso. Secondo Polanyi, infatti, gli esseri umani reali hanno progressivamente modellato sé stessi in base alle caratteristiche dell'homo aeconomicus, rendendo così il modello in qualche modo vero o sempre più reale. Questo processo di naturalizzazione dell'avidità, ossia volto a far accettare l'avidità, l'interesse personale e la massimizzazione della propria utilità come parte della natura umana, spiegherebbe in gran misura l'evoluzione del capitalismo industriale. 11
I processi descritti da questi predecessori non esauriscono la nozione di performatività e ciò che è realmente in gioco con l'approccio performative è la capacità di influenzare il mondo sociale spingendolo verso una sua maggiore conformità a una teoria o un modello specifico. Il concetto di performatività è un modo per affrontare questa relazione e poiché accentua ulteriormente l'influenza dell'economia sull'economia è stata fortemente criticata. Mi limiterò a discutere tre principali critiche a essa. La prima mette in discussione il concetto e il significato della performatività all'interno dell'economia. La seconda sostiene che la teoria della performatività è difettosa in quanto non riesce a rendere conto dell'inefficienza performativa, cioè non identifica adeguate condizioni di felicità, ossia condizioni per il successo e il fallimento performativo di una teoria o di un modello. La terza lamenta la mancanza di esempi reali e cogenti di performatività economica, poiché il caso del BSM esibito da Mackenzie non sarebbe così probante.
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Salvate il soldato Austin La prima, radicale, critica è avanzata da Uskali Mäki, che mette in discussione la tesi performativa cercando di mostrare come l'uso del concetto di performatività da parte di Donald MacKenzie sia erroneo . In poche parole, Mäki sostiene che: 12
MacKenzie impiega un concetto di performatività che è diverso da quello elaborato da Austin e quindi bisogna «salvare Austin da MacKenzie»; «fare un mercato» non equivale a essere performativa. Dal momento che gli atti linguistici performativi non sono semplicemente veri o falsi, ma seguono una logica autoreferenziale che dipende da condizioni che sono interiorizzate e percepite dagli attori come verità, Mäki osserva che nel passaggio dal linguaggio all'economia dobbiamo mantenere ben separati gli atti che Austin definisce illocutori (quelli davvero performativi) dagli atti perlocutori, in quanto sono due modi diversi, costitutivi e causali, attraverso cui il linguaggio ha un effetto sulla realtà. Il primo, l'illocuzione, per esempio «vi dichiaro moglie e marito», e tale per cui la sua esecuzione deve essere resa nota ad altre persone ed è tale da produrre ciò che Austin chiama «conseguenze convenzionali (diritti, impegni o obblighi). Il secondo, la perlocuzione, per esempio «rimetti a posto la candela!», è costituito dalle conseguenze provocate o dai risultati ottenuti tramite l'atto illocutorio. È un processo incentrato sul destinatario e non è un atto convenzionale (diversamente dall'atto illocutorio). Mäki sostiene che la definizione di Austin di un atto illocutivo produce una relazione costitutiva, mentre quello perlocutorio una relazione causale. Secondo Mäki , in economia non si danno atti illocutori, ma solo perlocutori. In sostanza, le teorie al massimo sono perlocuzioni. Una contro-argomentazione a Mäki è avanzata da Guala, il quale sostiene, basandosi sui lavori di Searle e Millikan, che la distinzione di questi due atti non è così facile da difendere e che i fatti istituzionali di cui gli atti linguistici sono costitutivi «non sono altro che serie di azioni e aspettative sulle azioni» . In questo senso un atto linguistico può essere visto come la creazione o il mantenimento (rinforzo) di un insieme di credenze legate ai 13
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comportamenti attesi a seguito di un'espressione: una promessa conterà come una promessa solo se provoca certi effetti attesi. Una altra via d'uscita da questo problema è quella proposta da Brisset, che sostiene che dovremmo abbandonare la distinzione tra effetti causali e costitutivi a favore di una distinzione tra effetti necessari e contingenti . Brisset osserva che il fatto che l'affermazione «lo voglio implichi che qualcuno mi consideri amministrativamente dipendente da un altro individuo ed è un effetto necessario (illocutorio) dell'atto linguistico. Senza questi effetti, non siamo sposati. Più in dettaglio, tale soluzione mira a dimostrare che il vero dibattito è tra effetti controllati istituzionalmente o convenzionalmente da una parte ed effetti incontrollati dall'altra. Dire «lo voglio» provoca una garanzia della mia aspettativa sui comportamenti degli altri membri della mia comunità. In economia, e soprattutto nella finanza, questo significa che 14
le teorie creano nuove rappresentazioni, nuovi comportamenti, che porteranno a cambiamenti istituzionali. La conseguenza di tale ragionamento è che la frontiera tra effetti illocutori e perlocutori cambia nel tempo: gli effetti perlocutori possono diventare effetti illocutori. Ciò significa che un effetto inaspettato può diventare un effetto che deve seguire un atto linguistico felice. In sostanza, la performatività deve essere intesa, in linea con Callon, come la nozione di fare agire attraverso l'intervento di una convenzione risultante dalla teoria economica . 15
Una volta che il concetto di performatività è stato chiarito e fondato, rimane tuttavia aperta la questione se funzioni in finanza, e questo ci porta alla seconda critica.
La ricerca della felicità Per rispondere alla domanda se la performatività sia un concetto sensatamente applicabile all'economia è necessario affrontare la questione delle condizioni di felicità dei prodotti teorici, e quindi la questione dei fallimenti performativi. In effetti, se da un lato è difficile negare che la performatività non sia all'opera in economia, dall'altra è difficile anche caratterizzare in che misura funzioni. Allo stato attuale vi è in effetti una situazione asimmetrica nelle prove pro e contro la performatività: da una parte, come osservano Svetlova e Dirksen , possiamo annoverare molti casi 16
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di modelli o teorie che non performano, mentre dall'altra abbiamo un solo esempio forte di performatività, vale a dire il modello Black-Scholes (BSM). L'applicazione di modelli nella pratica finanziaria non produce sempre effetti performativi, e questa rarità di casi chiari di performatività barnesiana è sorprendente, tanto che MacKenzie è stato costretto a spiegare l'unicità del BSM. Naturalmente il fatto che un certo modello teorico non performi non inficia l'approccio performativo, ma richiede di produrre una giustificazione dell'inefficacia performativa: c'è qualcosa che resiste o impedisce i processi performativi, e un approccio performativo maturo deve chiarire le circostanze per le quali la performatività può verificarsi o meno, quelle che Austin definisce le condizioni di felicità. Anche se la teoria di Austin e quella di Callon contengono già una risposta più o meno esplicita a questa domanda, una soluzione articolata è fornita da Brisset, il quale elenca alcune fondamentali condizioni di felicità necessarie affinché la performatività abbia luogo e propone una soluzione convenzionalista al problema . 17
Brisset sottolinea come gli approcci a la Callon (la sociologia performativista) non considerano la resistenza sociale alla performatività delle teorie economiche: la spiegazione del processo performativo è affidato al ruolo dei dispositivi tecnici, mentre la componente umana perde gran parte del suo potere esplicativo, nella misura in cui tali approcci non trattano le singole attività umane come immerse in un mondo sociale che si impone sugli esseri umani. Per Callon, infatti, non esiste un mondo comune fatto di norme, istituzioni e convenzioni: ci sono solo gli esseri umani e le tecniche prese nelle loro singolarità. Questa è una debolezza di tale modo di intendere la performatività: se una teoria per performare il mondo sociale non deve essere imposta all'interno di uno spazio di norme e credenze collettive, o deve diventare anche una di queste norme, qualsiasi teoria potrebbe performare: una realtà che non abbia vincoli sociali potrebbe essere performata virtualmente da un qualsiasi prodotto teorico. Ma una teoria della performatività dovrebbe anche rendere conto dei possibili modi di fallire della performatività, dal fallimento totale - la teoria non ha alcun impatto sulla realtà - fino a una situazione che impone alla teoria dei cambiamenti significativi. La risposta di Brisset riabilita l'elemento sociale nella teoria della performatività: non ogni prodotto teorico performa perché esso deve innestarsi su un tessuto sociale e culturale che può resistergli. 150
Brisset identifica pertanto tre condizioni di felicità per la performatività, che ci permettono di rispondere a tre questioni fondamentali: come una teoria guadagna uno stato empirico necessario per essere performata; come la teoria si auto-realizza agli occhi degli attori sociali; come la teoria è resa compatibile con le convenzioni che strutturano l'ambiente sociale. Pertanto, le tre condizioni suggerite sono: L1. un limite empirico, ossia il fatto che un prodotto teorico può essere performato solo nella misura in cui fornisce un punto di riferimento per gli agenti sociali, e la scelta del prodotto teorico può essere spiegata in termini culturali, ossia di una sua corrispondenza con una visione del mondo. L2. un limite di auto-realizzazione del prodotto teorico, ossia bisogna cogliere il modo in cui la teoria diventi un riferimento efficace per gli agenti, oppure che cosa mascheri l'eventuale discrepanza tra credenze sociali degli agenti e fenomeni sociali. L3. un limite contestuale, ossia quello posto dal contesto culturale nel quale il prodotto teorico si inserisce.
La resistenza dei fenomeni finanziari La terza critica alla teoria performativa sostiene che per ottenere una solidità teorica, questa deve essere perfezionata mediante un'analisi di più casi possibilmente migliori di quello esistente. In particolare, questa critica afferma che l'esempio di MacKenzie, cioè BSM, non fornirebbe un caso probante di performatività. In effetti Mackenzie ha contribuito in modo cruciale a imporre il BSM come l'esempio tipico di un modello performativo. La sua ricostruzione, in estrema sintesi, afferma che questo prodotto teorico è stato impiegato negli anni Ottanta dagli attori finanziari non per scoprire regolarità nei prezzi, ma per anticipare i prezzi delle opzioni nelle loro compravendite, facendo si che i prezzi reali 151
corrispondessero ai prezzi teorici derivati dal modello BSM. La tesi che sostiene la performatività di BSM argomenta che il modello diventa realtà poiché gli operatori utilizzano BSM nelle loro valutazioni: tutte le opzioni sullo stesso asset sottostante con la stessa data di scadenza e con prezzi di esercizio diversi hanno la stessa volatilità implicita. Questa relazione, argomenta MacKenzie, cessa di esistere dopo il 1987, e quindi si innesca la contro-performatività: la realtà cessa di conformarsi al modello, l'inversione è caratterizzata dalla comparsa di quello che è stato chiamato il «sorriso» della volatilità: le opzioni corrispondenti a maggiori variazioni vengono scambiate a prezzi più elevati, il che denota una grande paura di variazioni estreme. Tuttavia, la principale obiezione a questa ricostruzione storica è che il modello BSM non è mai diventato davvero auto-avverantesi e la prova di ciò sarebbe il crollo del mercato azionario dell'ottobre 1987 culminato con il 19 ottobre, il lunedì nero, quando l'indice Down Jones crollò del 22,8% e il S&P 500 del 20%. L'evento dimostrerebbe che il sistema finanziario non si è davvero allineato al prodotto teorico BSM. Il ragionamento di MacKenzie, osserva Brisset, presuppone che finché l'insieme delle singole rappresentazioni seguirà la particolare rappresentazione delle variazioni di prezzo data da BSM, i fenomeni finanziari si conformeranno a questa rappresentazione. Ma questo è vero solo se assumiamo l'auto-realizzazione della rappresentazione in questione. Ciò, continua Brisset, è tutt'altro che ovvio è non è sufficiente che l'intera popolazione di trader di opzioni segua una specifica rappresentazione affinché la realtà sociale si conformi a essa. Quindi il crollo del 1987 potrebbe indicare che i fenomeni finanziari resistono alla teoria: la rappresentazione del rischio usata nella BSM non è auto-avverantesi. L'ottobre del 1987 non segnerebbe quindi un passaggio dalla performatività alla contro-performatività, ma è il momento in cui il modello viene contraddetto dalla realtà, o meglio in cui la rappresentazione del rischio del modello BSM è contraddetta dai fenomeni finanziari. Si potrebbe in altre parole argomentare che il modello BSM non fosse mai in linea con le fluttuazioni reali dei prezzi, e che i trader se ne siano resi conto nel 1987. Il modello era semplicemente falso e non performativo: c'era al massimo una polarizzazione sull'uso di BSM, ma non auto-realizzazione, e il modello è stato infatti parzialmente modificato. A questa obiezione si potrebbe rispondere dicendo che proprio il lunedì nero mostra che il modello BESM stava comunque performando, ma che vi sono 152
limiti alla performatività in prossimità dei quali avvengono delle correzioni del mercato. Non mi addentrerò oltre in questa discussione limitandomi a osservare che questa non è sufficiente a farci concludere che la performatività non sia all'opera in questo caso o in generale nella finanza. Il semplice verificarsi del lunedì nero non implica che la BSM non abbia performato, almeno temporaneamente, o che BSM non abbia giocato un ruolo cruciale nel determinare i prezzi delle opzioni prima del crollo per un arco di tempo relativamente lungo. Come osserva Callon, «la distinzione, quindi, non è tra strutture prescrittive e performative; è piuttosto tra processi performativi che riescono a produrre regolarità e ripetizioni, e processi performativi che si trovano costantemente di fronte a eventi inaspettati, che a volte, ma solo a volte, assorbono per un po'. Gli hawaiani hanno fatto di Cook un Dio, ma solo per un po'. Il mercato segue Blaclc-Scholes, ma solo per un po'» . 18
In ogni caso, è difficile negare o trascurare i processi performativi in economia, e soprattutto nella finanza. Come argomenta Fabien Muniesa, in molti domini sociali anche solo testare un prodotto teorico crea l'oggetto che esso teorizza . Per esempio, l'atto di cercare un test di preferenze per i profumi richiede la creazione di un dispositivo che non si limita a registrare le preferenze, ma le crea: prima di applicare questo dispositivo, non c'è un ordine sui vari profumi. 19
Quello che ci insegna questa discussione è che la trattazione della performatività richiede un'analisi più fine, che riesca a distinguere varie tipologie di performatività . 20
Tuttavia, se la difficoltà predittiva generata dalla potenziale autodistruzione delle loro affermazioni, come abbiamo visto, sembra minare la scientificità delle teorie finanziarie, la performatività sembra fornire una parziale soluzione a questo problema. Sotto certe condizioni, sembra infatti possibile predire, in quanto è possibile performare un mercato, ossia allinearlo a certe predizioni tramite opportuni dispositivi (modelli, formule, algoritmi). Se nel film Matrix non possiamo stabilire che cosa sarebbe successo se l'Oracolo non l'avesse detto, ma avendolo detto, il vaso si è rotto, così in finanza non sappiamo che cosa sarebbe successo se certe teorie non sarebbero state prodotte, ma una volta prodotte, almeno in alcuni casi e almeno temporaneamente, alcune conseguenze possono essere prodotte: se non le avessero teorizzate, probabilmente non sarebbe accaduto.
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Note 01 M. Callon, «Introduction: the embeddedness of economic markets in economics»,_in M. Callon (ed.), The laws of the markets, Oxford, Blackwell, 1998. 02 B. Latour, Science in Action: How to Follow Scientists and Engineers through Society, Cambridge, MA, Harvard University Press, 1987. 03 J.L. Austin, Horo to Do Things with Words, Cambridge, Harvard University Press, 1962; Id. «Performative utterances», in J.O. Urmson, G.J. Warnock (eds), Philosophical papers, New York, Oxford University Press, 1979, pp. 233-252. 04 Callon, «Introduction: the embeddedness of economic markets in economics», cit., p. 51. 05 D. MacKenzie, F. Muniesa, L. Siu (eds), Do Economists Make Markets? On the Performativity of Economics, Princeton, Princeton University Press, 2007. 06 M. Gallen, «What does it mean to say that economics is performative?», in MacKenzie, Muniesa, Siu (eds), Do Economier Make Markets? On the Performativity of Economics, cit., pp. 310-357, p. 321. 07 E. Svetlova, «On the performative power of financial models», Economy and Society, 43 (2), 2012, pp. 418-434. 08 MacKenzie, Municsa, Siu (eds), Do Economists Make Markets? On the Performativity of Economics, cit., p. 2. 09 D. MacKenzie, An engine, not a camera. How financial models shape markets, Cambridge, MIT Press, 2006. 10 B. Barnes, «Social life as bootstrapped induction», Sociology, 17(4), 1983, pp. 524-545. 11 K. Polanyi, The Great Transformation, New York, Farrar & Rinehart, 1944. 12 U. Miki, «Performativity: Saving Austin from Mackenzie», in V. Karakostas, D. Dieks (eds), EPSA11 Perspectives and Foundational Problems in Philosophy of Science,Springer, 2013, pp. 443-453.
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13 F. Guala, «Performativity rationalized» in I. Boldyrev, E. Svetlova (eds), Enacting the Dismal Science: New Perspectives on the Perfi;rmativity of Economics, New York, Palgrave Macmillan, 2016, pp. 29-52, p. 48. Per i lavori di Searle e Millikan si vedano]. Searle, The Construction of Social Reality, New York, The Free Press, 1995; R. Millikan, «Deflating socially constructed objects: what thoughts do to the world», in M. Gallotti, J. Michael (eds), Perspectives on social ontology and social cognition, New York, Springer, 2014, pp. 27-39. 14 N. Brisset, Top quorm Economics and Performativity: Exploring Limits, Theories and Cases, New York, Routledge, 2018. 15 Ivi, p. 142. 16 E. Svetlova, V. Dirksen, «Models at work - models in decision making», Sci Context, 27 (4), 2014, pp. 561-567. 17 Brisset, Top of Form Economics and Performativity, cit. 18 Gallen, «Introduction: the embeddedness of economic markets in economics», cit., p. 326. 19 F. Muniesa, The Provoked Economy, London, Routledge, 2014. 20 Brisset sviluppa una tassonomia che, per esempio, distingue tra performatività teorica e performatività sperimentale; psicologica e materiale; distribuita e pianificata: Brisset, Top of form Economics and Performativity, cit.
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7 Il cyborg finanziario Esseri umani, macchine e finanza
Un timelapse finanziario Facciamo scorrere velocemente il tempo in una delle sedi finanziarie più importanti e iconiche al mondo: la Borsa di New York (NYSE). Dal 1930, pochi mesi dopo il crollo del 1929, ad oggi, frame dopo frame vedremmo la Borsa svuotarsi di persone per lasciare posto sempre più a computer e video, e le grida dei broker affievolirsi fino ad essere sovrastate dal ronzio dei server. Sempre meno essere umani e sempre più macchine. Forse nel 2039 il NYSE sarà un semplice data center, senza neanche più monitor perché nessuno avrà la necessità di guardare le informazioni sui video. Se lo scenario descritto vi sembra azzardato o appartenente alla fantafinanza, è bene tenere a mente che l'innovazione tecnologica è sempre stata una delle caratteristiche principali del mondo finanziario. Proprio poiché gestisce e dispone di somme enormi, la finanza ha infatti sempre avuto le risorse per dotarsi di nuove tecnologie prima di tutti gli altri settori, facendo in molti casi da apripista. Per esempio, il primo cavo transatlantico, completato nel 1866, serviva per comunicare i prezzi del cotone tra Liverpool e New York. La finanza è infatti intrecciata indissolubilmente con l'innovazione tecnologica: non solo è alla continua ricerca di imprese innovative sulle quali investire, o di innovazioni tecnologiche che le offrano un vantaggio competitivo, ma è essa stessa una delle principali innovazioni tecnologiche dell'umanità. L'invenzione del denaro ha infatti prodotto un grande cambiamento nella società e grazie a esso l'umanità si è ridefinita, eliminando i difetti del baratto, facilitando valutazione e conteggio, e permettendo scambi su lunghi periodi e distanze geografiche. Con la rivoluzione industriale poi le macchine, da semplice strumento, sono diventate un principio di organizzazione dell'attività e società umana. Che cosa succede quando queste due 156
fondamentali innovazioni tecnologiche, denaro e macchine, si fondono? La finanza è una sorta di laboratorio: macchine e denaro hanno cambiato il nostro mondo e l'effetto di questo cambiamento è oggi particolarmente riscontrabile nei mercati finanziari. In questo capitolo descriverò gli esiti di tale fusione e le sue conseguenze. Le recenti svolte tecnologiche hanno reso la finanza più veloce, globale e interconnessa. Con la rivoluzione informatica, le macchine vengono utilizzate sempre più al posto degli umani per gestire la finanza: un'attività una volta condotta solo dagli esseri umani si è evoluta in un settore in cui i computer svolgono un ruolo sempre più ampio e influente. I principali attori della finanza moderna non sono più interamente umani: sembrano dei cyborg. Una combinazione di umani e macchine, carne e silicio. La finanza moderna si sta trasformando sempre più velocemente nella cyborg-finanza (cy-fi), costruendo una nuova tipologia di investitore e modificando vari aspetti della relazione tra uomini, denaro e macchine. 01
L'uso di macchine e algoritmi nei sistemi finanziari apre infatti nuovi scenari e interrogativi metodologici, normativi ed etici: quali sono le conseguenze? Fino a che punto possiamo affidare alle macchine i nostri soldi? Quali sono i limiti di una gestione meccanizzata della finanza? E quali sono i risvolti etici? Come ogni innovazione tecnologica, la cyborg-finanza può portare benefici ed esporre a pericoli. Al fine di analizzare tali benefici e pericoli, prenderò in esame alcune delle innovazioni introdotte dall'uso massiccio di algoritmi e computer in finanza, come l'algo-trading, il trading ad alta frequenza (HFT) o il sentiment analisys. Passerò poi ad analizzare le microstrutture finanziarie, che le macchine usano proficuamente per ottenere vantaggi competitivi nelle operazioni di compravendita. Esaminerò infine come l'uso di algoritmi e macchine influenzi il rapporto tra dati e modelli in finanza, considerando anche alcuni casi che sembrano delineare una forma di finanza inversa, ossia in cui è possibile, anche grazie all'uso di algoritmi, impostare prima gli obiettivi da raggiungere e poi ingegnerizzare o sintetizzare porzioni di un mercato finanziario (la realtà) in modo che produca quel preciso obiettivo.
Che cosa vogliono le macchine? Per farsi un'idea del ruolo che i computer oggi hanno in finanza basta riflettere su alcuni semplici dati: fondi gestiti da computer che eseguono regole stabilite dall'uomo rappresentano il 35% del mercato azionario 157
americano, il 60% delle attività azionarie istituzionali e il 60% delle attività di trading. Che cosa fanno esattamente le macchine? Hanno cambiato davvero il mercato? E, in caso, come? Per rispondere a queste domande faremo un breve viaggio in tre applicazioni dell'informatica al trading particolarmente significative: l'algo-trading (il trading algoritmico), il trading ad alta frequenza (HFT) e il sentiment analisys. Alga-trading Il trading algoritmico utilizza un computer che esegue un insieme definito di istruzioni, un algoritmo appunto, per effettuare un'operazione (vendita o acquisto) a una velocità e frequenza che sono impossibili per un operatore umano. L'insieme di istruzioni si basa su tempistica, prezzo, quantità o un qualsiasi modello matematico. Per esempio, supponiamo che un trader segua questa semplice strategia: #1. Acquista 100 azioni di un titolo quando la sua media a 35 giorni supera la media a 180 giorni. #2. Vendi azioni del titolo quando la sua media a 35 giorni scende al di sotto della media a 180 giorni. Usando queste due semplici istruzioni, è possibile scrivere un software che monitora automaticamente il prezzo delle azioni, gli indicatori della media, ed effettua gli ordini di acquisto e vendita quando vengono soddisfatte le condizioni definite. Il trader non ha quindi più bisogno di monitorare i prezzi in tempo reale o immettere gli ordini manualmente: il sistema di trading algoritmico fa ciò automaticamente non appena l'opportunità di trading si verifica. Alcuni algoritmi, noti come zero-touch, sono tali da non richiedere alcun intervento umano. Questi programmi sono inseriti nel software di trading e le operazioni vengono eseguite non appena viene osservata un'opportunità: l'intero processo avviene immediatamente, senza alcun intervento o controllo umano. Altri software invece richiedono un livello crescente di intervento umano. Esempi di algoritmi zero-touch sono quelli programmati per eseguire il trading ad altra frequenza (high frequency trading, HFT). A dire il vero, la 158
maggior parte dell'algo-trading attualmente è rappresentato dall'HFT, che tenta di fare profitti mediante l'esecuzione di un gran numero di ordini ad altissima velocità immessi su uno o più mercati. Più veloce della luce: il trading ad altra frequenza (HFT) L'HFT si serve delle macchine (quindi sia hardware sia software) per operare sui mercati al fine di fare profitti su margini estremamente esigui, anche di pochi centesimi, ma relativamente sicuri. La limitatezza dei margini di guadagno non è un problema per l'HFT: pochi centesimi sicuri moltiplicati per migliaia di operazioni al giorno possono infatti dare profitti milionari a fine anno. L'esempio tipico che illustra la potenza dell'HFT è la possibilità di approfittare dell'arbitraggio, ossia un'operazione che consiste nell'acquistare un bene o un'attività finanziaria su un mercato rivendendolo su un altro mercato, sfruttando le differenze di prezzo su questi mercati al fine di ottenere un profitto. Prendiamo il caso di una moneta il cui valore è determinato da domanda e offerta. Poiché alcuni cambi di valuta reagiscono più lentamente rispetto ad altri, le coppie di valute e gli spread hanno Spesso valori differenti, ossia non sono allineati. La mancanza di allineamento può essere sfruttata mediante l'arbitraggio. Tuttavia, la quasi totalità di queste opportunità appare in una finestra temporale molto breve e a margini molto bassi, quindi la velocità e la dimensione della transazione sono essenziali: mediante un arbitraggio alla velocità della luce è possibile sfruttare le differenze nei prezzi delle varie coppie. Consideriamo per esempio tre valute (LT, BT a ET) e i relativi rapporti a coppia: LT/BT: 0.009085 ET/BT: 0.0362 LT/ET: 0.235 Come si può vedere, c'è un disallineamento tra il prezzo BT di ET e il prezzo ET di LT, che è possibile sfruttare eseguendo le seguenti operazioni: #1: Inizia con 1 BT #2: Vendi 1 BT e acquista 27 BT
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#3: Vendi 27 BT e acquista 115 LT #4: Vendi 115 LT e acquista 1.0447 BT Risultato: un profitto di 0.0447 BT senza correre alcun rischio. Naturalmente tutte queste operazioni possono essere facilmente trasformate in codice ed eseguite da un computer. La velocità con cui si eseguono questi passaggi (transazioni) è decisiva. Potrei effettuare i passaggi #2 e #3, ma proprio prima di eseguire il #4 i prezzi potrebbero cambiare annullando la possibilità di arbitraggio esponendomi a una perdita. Per questo motivo, è quasi impossibile per un essere umano individuare tali opportunità e coglierle: ma con computer super-potenti, linee di connessione velocissime e gli algoritmi giusti, è difficile incappare in perdite. Gli algoritmi sono infatti progettati per eseguire in frazioni di secondo queste transazioni ai volumi necessari a ogni passaggio tenendo conto anche dei costi di commissione (che, se non adeguatamente considerati, potrebbero rapidamente trasformare l'intero processo in una perdita). Naturalmente esistono altre opportunità simili, ossia profitto a rischio quasi zero, che gli HFT possono sfruttare. Tuttavia, le possibilità aperte dall'HFT non si fermano qui: il potere tecnologico offre vantaggi ancora più significativi. La possibilità di aver computer ad altissime prestazioni, in grado di processare ingenti moli di informazioni, e inviare e ritirare ordini su linee dedicate alla velocità della luce rende oggi le imprese HFT attori in grado di influenzare il mercato, di piegarlo ai loro obiettivi. Un esempio di questo potere è raccontato nel libro Darker di N3xuZ, dove la capacità di immettere e cancellare ordini alla velocità della luce permette a questi algoritmi di alterare l'andamento del mercato, producendo esiti come il famoso flash crash del 2010 . 02
Una caratteristica saliente dell'HFT è che solo una piccolissima percentuale, circa l'1%, degli ordini immessi, viene eseguita e si conclude con una compravendita. Tutti gli altri ordini o vengono ritirati (cancellati) o rimangono inevasi. Tuttavia, la sola presenza, anche per pochi millesimi, di questi ordini altera il mercato: la domanda e l'offerta risultanti non corrispondono a quelle reali e i prezzi delle attività finanziarie che vengono bombardate da ordini ad alta frequenza possono subire molte oscillazioni (aumento della volatilità) del tutto immotivate, ossia non legate alla reale valutazione del mercato. Su queste oscillazioni - differenze di prezzo - gli 160
algoritmi HFT riescono a generare profitti in modo simile a quello sopra esposto grazie alla loro supremazia tecnologica (velocità, potenza computazionale, linee di connessione velocissime). Spesso il mercato viene inondato di ordini ad altra frequenza solo per questo motivo, probabilmente volontariamente, producendo vere e proprie asimmetrie informative e distorsioni del mercato. Infatti, le transazioni ad alta velocità e frequenza sono tali da mettere in una posizione di vantaggio chi vi ricorre rispetto a chi si serve ancora di strumenti tradizionali. Inoltre, mentre aumentano drasticamente la volatilità del mercato, gli HFT non arrivano quasi a mai a detenere una posizione di investimento sul capitale azionario di una qualche azienda. Anzi, essi continuamente saltano da un mercato all'altro, da un titolo a un altro. Il ricorso massiccio all'HFT pone dunque due questioni: una tecnologica e l'altra (più) filosofica. Nel primo caso, l'HFT innesca una guerra tecnologica, una sorta di corsa agli armamenti, in quanto la presenza continua e massiccia di ordini ad altra frequenza richiede il costante aggiornamento del sistemi informatici, il quale comporta spese ingenti e continue che danneggiano per lo più le imprese che fanno trading in modo più tradizionale. La questione più filosofica nasce dalla seguente domanda: che cosa succede quando algoritmi zero-touch interagiscono e si scontrano tra di loro creando delle nicchie nel mercato totalmente elettronico in cui gli esseri umani non hanno alcun ruolo? Sorprendentemente la risposta sembra essere un mercato tutt'altro che meccanico, ordinato e razionale, ma dominato da paura, euforia, irrazionalità, le pulsioni umane più istintive e primitive. Sempre nel libro di N3xuZ, viene descritto in forma narrativa che cosa può avvenire quando a interagire sono solo algoritmi. La velocità di reazione, il tentativo di sfruttare ogni piccola informazione appena appare, il fatto che a interagire siano algoritmi, ossia insiemi di istruzioni, fa si che continuamente si verifichino veloci, piccoli crolli e poi recuperi. Gli algoritmi hanno quindi cambiato il ritmo dei mercati. Per questo motivo è stata da più parti suggerita l'introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie (TTF): una lieve tassazione delle transazioni finanziarie per frenare l'inondazione dei mercati di ordini ad alta frequenza. Tuttavia, se da una parte questa tassa potrebbe frenare l'HFT, dall'altra per poter essere efficace dovrebbe essere applicata 161
su vastissima scala (in linea teorica su scala mondiale), altrimenti creerebbe delle nicchie privilegiate nei mercati, nelle quali si addenserebbero gli operatori interessati a fare HFT. Inoltre, per poter davvero essere efficace, la TTF dovrebbe colpire tutte le transazioni intermedie e non solo le transazioni al termine di un determinato lasso di tempo - per esempio non solo quelle a fine giornata - e anche in questo caso la sua efficacia potrebbe non essere così significativa perché la maggior parte degli ordini HFT non vanno a buon fine, in quanto sono solo immessi e poi cancellati solo per innescare la reazione a breve termine di altri algoritmi e incidere sulla volatilità al fine di approfittare delle oscillazioni a breve termine. La vita degli altri: sentiment analysis e finanza L'analisi del sentiment (intesa come opinione, stato d'animo o atteggiamento) è il processo di estrazione di informazioni da un testo per identificarne e classificarne le opinioni soggettive. E quindi un modo di elaborare automaticamente il linguaggio naturale al fine di costruire sistemi per identificare ed estrarre opinioni da testo. Si basa sui principali metodi di linguistica computazionale e analisi testuale che vengono utilizzati per determinare se l'atteggiamento verso un particolare argomento o prodotto da parte di chi scrive sia positivo, negativo o neutro. Per effettuare una sentiment analysis bisogna quindi trasformare opinioni scritte in un oggetto digitale e quindi quantificarlo. Uno dei modi più noti di visualizzare un'analisi del sentiment è mediante le mani cloud, le nuvole di parole (Figura 8). I social media sono ovviamente una fonte ricchissima da cui tentare di estrarre un sentiment. Per esempio, Twitter è uno dei social media più soggetto a sentiment analysis anche per via della limitatezza dei testi che si possono immettere. Un modo per quantificare lo stato d'animo di un tweet o di un commento è quello di contare il numero delle parole positive e negative assegnando loro un valore numerico (per esempio +1 e -1): si sottraggono i valori negativi da quelli positivi e viene generato il punteggio complessivo del sentiment. Prendiamo per esempio i seguenti commenti:
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+1 +1 E spettacolare e divertente vedere Messi giocare -1 -1 Non mi piacciono tutti i commenti negativi sulla vita privata di Messi Il primo genera un punteggio di valutazione complessivo pari a +2 (ha due parole positive), quindi il sentiment è positivo. Il secondo genera un punteggio di valutazione complessivo pari a -2 (ha due parole negative), quindi il sentiment è negativo. Il processo mediante cui si riduce un sentiment a un numero presenta inevitabilmente margini di errore e approssimazione: per esempio, l'analisi del sentiment fatica a cogliere il sarcasmo e può generare punteggi molto sballati in questi casi. Tuttavia, l'analisi del sentiment può essere utile per fare luce sullo stato d'animo generale (ossia su una gran massa di commenti) in merito a un argomento. L'idea è stata applicata anche ai mercati finanziari. In particolare, alcune ricerche si sono concentrate sull'analisi del legame tra il sentiment dominante sui social media (Twitter, Facebook) e l'andamento dei mercati finanziari, sulla base dell'idea che i primi possano dare indicazioni sul secondo e quindi permettere di prevederne il comportamento. In altre parole, l'indagine è volta a mostrare come la decisione di comprare o vendere attività finanziarie possa essere anticipata dal sentiment sui social media. Per esempio, Xue Zhang, Hauke Fuehres e Peter Gloor hanno cercato di prevedere gli indicatori del mercato azionario come Down Jones, NASDAQe S&P 500 analizzando i post di Twitter3. In breve, hanno raccolto i feed di Twitter per sei mesi, misurandone speranza e paura collettiva ogni giorno e analizzato la correlazione tra questi indici e gli indicatori del 163
mercato azionario. L'analisi ha consentito loro di scoprire che una percentuale significativa di tweet emotivi è correlata negativamente con Down Jones, NASDAQe S&P 500, ma esiste una correlazione positiva significativa con l'indice VIX. Sulla base di questa indagine hanno quindi concluso che esplosioni emotive di qualsiasi tipo su Twitter indicano come il mercato azionario si comporterà il giorno successivo. Altre ricerche hanno cercato di raffinare questi risultati concentrandosi su particolari porzioni del mercato e dei social media. Un difetto dell'impianto di Zhang, Fuehres e Gloor è infatti di essere troppo generalista: quello che individua è una correlazione di fondo tra un sentiment molto generale e la direzione del mercato nel suo complesso. Compare o vendere qualsiasi azione, o anche puntare su un indice, sulla base di questa indicazione sarebbe davvero troppo azzardato. Per questo motivo altre ricerche hanno analizzato gli effetti dei sentimenti provocati da notizie sul mercato azionario limitando l'ambito della ricerca . Il loro contributo, mendiate lo sviluppo di un dizionario di analisi del sentiment per il settore finanziario, mostra come per il mercato farmaceutico i sentiment delle notizie abbia raggiunto una precisione direzionale del 70,59% nel prevedere le tendenze nel movimento dei prezzi delle azioni a breve termine. 04
Questi risultati sono tuttavia davvero molto vaghi e l'analisi del sentiment può essere al più considerata nella sua fase nascente. Essa sembra comunque affetta da due limiti fondamentali che non è detto sia possibile superare. Il primo è la presenza di troppi dati, ossia la possibilità che questa enorme massa di dati invece di produrre un segnale, restituisca solo rumore di fondo: invece di indicare solide correlazioni, rivelerebbe solo correlazioni spurie non utilizzabili finanziariamente, e anzi, dannose. La seconda è la manipolabilità dei social media. È infatti abbastanza facile per un malintenzionato creare feed di Twitter fasulli su imprese quotate in Borsa e ingannare gli investitori twittando false notizie su una società, per esempio pubblicando la notizia dell'acquisto di una impresa concorrente, o prefigurando il lancio di nuovi prodotti. I truffatori acquistano o vendono azioni del titolo in anticipo e traggono profitto da coloro che, osservando Twitter, credono alle informazioni fasulle e investono di conseguenza. Il processo può essere tanto più efficace quanto più veloci sono i tempi di reazione alle false notizie.
L'era delle macchine? Un primo bilancio 164
Come è facile immaginare, il trading algoritmico offre diversi vantaggi rispetto ai metodi tradizionali di trading incentrati su agenti umani. Il primo è l'aumento della velocità: gli algoritmi hanno la capacità di analizzare una varietà di parametri e indicatori tecnici ed eseguire una transazione in una frazione di secondo. L'aumento della velocità diventa cruciale in quanto eventuali movimenti dei prezzi possono essere catturati non appena si manifestano, là dove un ritardo anche solo di decimi di secondo può produrre perdite. Pertanto, una maggiore velocità di entrata e uscita dal mercato permette di approfittare dei movimenti di prezzo nel punto esatto. Il secondo vantaggio è la maggiore precisione: con la minimizzazione dell'intervento umano, la possibilità di certi errori viene ridotta drasticamente. Gli algoritmi sono sottoposti a controlli periodici e non vengono influenzati dagli errori umani. Un agente umano può commettere un errore materiale (come analizzare dati in modo non corretto), mentre i programmi per computer non commettono tali errori. Le negoziazioni vengono quindi eseguite con la massima precisione. Il terzo vantaggio è la minimizzazione delle emozioni umane. Poiché le strategie sono pre-formulate non v'è granché modo per le emozioni umane di interferire con il processo di negoziazione. Una volta che gli obiettivi richiesti sono soddisfatti, la compravendita viene eseguita automaticamente e l'operatore umano non ha la possibilità di ripensare e mettere in discussione l'operazione: i fattori psicologici sono eliminati o minimizzati e non si può deviare dalle strategie iniziali. Inoltre, gli algoritmi vengono sottoposti al backtest utilizzando serie storiche (ossia vengono testati sui dati di eventi realmente accaduti) e questo aiuta a verificare se la strategia funzionerà o meno. La strategia può così essere messa a punto in modo che tutte le regole siano chiare e non lascino spazio all'interpretazione. Questo aiuta a risolvere un'altra debolezza del trading umano, ossia il problema della disciplina e della coerenza. Uno degli aspetti più difficile del trading è quello di attenersi ai propri piani quando i mercati oscillano molto. Ricorrere ad algoritmi aiuta a rimanere coerenti e disciplinati nonostante gli alti e bassi: la strategia non viene modificata a causa di impulsi come paura o avidità. Un quarto vantaggio è l'aumento dei volumi di mercato: gli algoritmi possono acquistare e vendere grandi volumi in frazioni di secondo. Di conseguenza, il volume complessivo e la liquidità del mercato (ossia quanto 165
velocemente si può acquistare o vendere un bene senza causare un drastico cambiamento del suo prezzo) aumentano e il processo di negoziazione diventa più snello e sistematico. Ancora, gli algoritmi facilitano la diversificazione: gli algoritmi possono lavorare in parallelo ed eseguire più operazioni e più strategie allo stesso tempo. Inoltre, le opportunità di trading possono essere ricercate su diversi mercati, attività e strumenti e gli ordini vengono eseguiti contemporaneamente. Ciò porta a una diversificazione che è molto più difficile da raggiungere in assenza di automazione. In sostanza l'algo-trading aiuterebbe a migliorare la qualità dei mercati: essi diventano più ampi, con più volumi e liquidità e così l'intero processo diventa snello, sistematico e disciplinato. I suoi principali benefici sarebbero quindi tre: permettono di scoprire più velocemente il prezzo di un'attività finanziaria; stabilizzano il mercato; rendono il mercato più efficiente e razionale. Esiste tuttavia anche il dark side delle cy-fi, che si manifesta in una serie di pericoli. Il primo grande pericolo è l'eccessiva dipendenza dalla tecnologia. Questa può mal funzionare o incappare in errori con conseguenze anche gravi per i mercati. Se la connessione a internet viene persa anche per poco, un ordine non verrà inviato o Verrà inviato dopo: l'opportunità in questo caso potrebbe venir meno e gli ordini in ritardo possono innescare catene che generano predite tali da portare anche a crolli del mercato. Questi crolli possono durare anche pochi secondi, ma avere conseguenze serie sul passaggio di denaro e la distribuzione della ricchezza. Il secondo grande pericolo deriva dalla perdita del controllo umano: soprattutto là dove il mercato è dominato da algoritmi zerotouch, agli esseri umani non è lasciato alcuno spazio discrezionale, se non quello di decidere le linee di codice dell'algoritmo e come settare i suoi parametri. Anche se un trader si rende conto che in uno scenario particolare la strategia non funzionerà, potrebbe non avere il potere di abbandonare il programma e 166
fermare la transazione: in questo caso non c'è modo di controllare le perdite. Il terzo pericolo concerne l'attività necessaria prima dell'esecuzione degli algoritmi, ossia il bisogno di monitoraggio costante delle macchine. Il trader deve monitorare costantemente sia l'hardware per cercare potenziali problemi di connettività, perdita di potenza ecc., sia il software, per verificare che gli algoritmi non contengano errori come ordini mancanti, duplicati o errati. Gli algoritmi inoltre, pur essendo stati sottoposti a backtest su dati storici possono facilmente rivelarsi fallimentari non appena vengano applicati. In fondo un algoritmo è semplicemente l'implementazione di una strategia e questa può rivelarsi fallace quando si deve confrontare con un mercato reale. È infatti molto comune che strategie formulate a tavolino su andamenti passati non funzioni: in fondo il passato solo in alcuni casi ci dice qualcosa sul futuro. Circa il 98% degli algoritmi ha infatti una durata molto breve: funzionano per un po' e poi smettono di essere efficaci, visto che il mercato è in rapida evoluzione. Essi vanno quindi aggiustati o creati ex novo. Infine, il trading algoritmico aggiunge anche molte spese: i trader devono essere dotati di risorse tecnologiche, devono avere accesso ai server, sviluppare gli algoritmi, aver accesso ai fornitori di dati che aiutano a formulare le strategie. Ma le preoccupazioni maggiori suscitate dall'automazione del trading sono in particolare due: l'instabilità e la possibilità di manipolazione. Nel primo caso, non è affatto pacifico che la diffusone del trading automatizzato contribuisca in modo significativo alla stabilizzazione dei mercati. Anzi, l'HFT in molti casi sembra dimostrare il contrario e l'aumento di flash crash e mini flash-crash sembra proprio legato all'ascesa del trading automatizzato, specialmente quello ad altra frequenza e bassa latenza (ossia velocissimo). Nel secondo caso, l'interazione tra algoritmi sembra creare dei mercati del tutto virtuali, nel senso che producono fenomeni endogeni, che nascono, si sviluppano e concludono solo per effetto dell'azione degli algoritmi e dei loro ordini e non per effetto di fenomeni socioeconomici sottostanti al mercato. Queste dinamiche endogene producono deformazioni del mercato tali da aprire finestre di manipolabilità specialmente su brevi scale temporali. 167
Il diavolo si annida nei dettagli: le microstrutture finanziarie Molti algoritmi permettono di ottenere profitti ricorrendo alla conoscenza e sfruttamento delle microstrutture finanziarie. Maureen O'Hara, una delle principali studiose in questo campo, definisce la microstruttura dei mercati come «lo studio del processo e degli esiti dello scambio di attività finanziarie in base a regole di trading esplicite. Mentre gran parte dell'economia astrae dalla meccanica del trading, la letteratura della microstruttura analizza come specifici meccanismi di trading influenzano il processo di formazione dei prezzi» . 05
La finanza delle microstrutture esamina quindi come la progettazione del mercato influisca sullo scambio di attività e la formazione dei prezzi. Più in dettaglio, analizza che cosa succede agli ordini di negoziazione quando arrivano presso una specifica Borsa, quali siano le regole della loro esecuzione e di rilascio delle informazioni, e come gli attori finanziari adottino strategie per volgere a loro vantaggio tali regole, cercando le opportunità da sfruttare e usando le informazioni di cui dispongono su altri ordini, senza rivelare le loro intenzioni. In effetti, ci sono sempre più prove che la meccanica di funzionamento di un mercato influenzi e determini fattori cruciali come i costi di transazione, i prezzi, le quotazioni, il volume e il comportamento dei trader. Questa influenza arriva anche a spiegare fenomeni come l'abuso e la manipolazione dei mercati, l'insider trading e il conflitto broker-cliente. Gli algoritmi incorporano e sfruttano la conoscenza delle regole di transazione di specifiche Borse per mettere in atto le loro strategie. Un esempio che può aiutarci a capire come le microstrutture influenzino il mercato è quello dei titoli di Stato (bond) statunitensi, in particolare il flash dash (ossia il picco, in quanto opposto al crollo) del 15 ottobre 2014. La microstruttura del mercato dei bond statunitense, ossia il modo in cui gli ordini vengono ricevuti e le informazioni rese disponibili su questa piazza, è costruita affinché si possano visualizzare ordini fino a dieci livelli sopra o sotto il prezzo attuale. Questo naturalmente non significa che vi siano altri ordini: per scoprirli è necessario che il prezzo cambi, per esempio una repentina ascesa del prezzo dei bond rende visibili altri ordini di acquisto e vendita superiori a quello attuale. Chi conosce queste microstrutture, le regole e le tempistiche degli ordini, può sfruttarle per ottenere un vantaggio sul mercato, per esempio può far scendere e salire un prezzo. 168
Il flash dash del 15 ottobre 2014 può essere spiegato proprio grazie all'interazione di microstrutture e algoritmi . Alle 9.33 il mercato dei bond americani, uno dei più liquidi e stabili al mondo e beni rifugio dell'economia mondiale, improvvisamente si impenna. Dopo un leggero calo, un mercato da 12.400 miliardi di dollari e composto da appena sei titoli, inizia a impennarsi. Sei minuti dopo, alle 9.39, il valore è aumentato del 2,13%. La più alta variazione intra-giornaliera degli ultimi venticinque anni. Senza un motivo apparente. Nessuna notizia economica, nessun dato finanziario rilevante, nessun evento importante sembra aver scatenato l'impennata. Come è possibile? 06
Analizziamo gli ordini e le regole di esecuzione. Alle 9.33 vengono piazzati alcuni ordini di acquisto di obbligazioni pubbliche USA. Subito dopo ne vengono aggiunti degli altri e una parte di essi viene eseguita: qualcuno compra i bond americani. A questo punto, qualcuno vede questo movimento e inizia a sua volta a comprare. E così sempre più titoli vengono acquistati, sempre più velocemente, fino a quando diventa difficile trovare venditori. Ma il ritmo e il volume di acquisto non rallentano e così i prezzi si impennano. A comprare sono algoritmi da altri algoritmi, senza che vi sia uno stimolo reale, senza un evento reale scatenante, che giustifichi la corsa all'acquisto, qualcosa che accenda e faccia divampare l'euforia. E il punto è proprio questo: lo stimolo non solo non esiste, non serve. Anzi, l'intero evento dimostra che lo stimolo può essere indotto internamente. Alle 9.39 il processo raggiunge il suo apice e poi si inverte alla stessa velocità. Il mercato si stabilizza e alle 9.45 il livello del prezzo è quello di partenza. Anche qui senza un motivo preciso. Come è possibile? La risposta è nelle microstrutture: alle 9.39 infatti compaiono quelle che in gergo si chiamano offerte fantasma. Proprio perché i prezzi si muovono freneticamente verso l'alto, diventano visibili via via ordini ai livelli superiori, finché alcuni grandi ordini limite di vendita dei bond statunitensi a trenta e a dieci anni appaiono nel book di negoziazione. Il loro prezzo di vendita è ben superiore al prezzo corrente. A questo punto tutti gli algoritmi che stanno comprando senza sosta i titoli di Stato USA vedono questi ordini di grandi dimensioni, inferiscono che il prezzo è destinato a diminuire perché il mercato verrà inondato da grandi ordini di vendita e quindi invertono la rotta. Cominciano a vendere alla stessa velocità con cui compravano e fanno scendere di nuovo i prezzi al livello da cui erano partiti. Il punto è che gli ordini fantasma non vengono eseguiti: il prezzo dei bond non arriva a quello richiesto per eseguire gli ordini fantasma proprio perché chi sta acquistando smette di 169
comprare e inizia a vendere in virtù della sola presenza dei «fantasmi», quindi senza un motivo economico reale (una notizia economica). Il modo in cui un mercato è progettato e strutturato (market design) - regole di esecuzione degli ordini, disponibilità dell'informazione e sua tempistica, trading automatizzato - influenzano profondamente la formazione del prezzo di una attività finanziaria e il comportamento del mercato e dei trader. Quale risultato otteniamo? Che tipo di mercato emerge? Questa domanda di filosofia della finanza può ricevere una risposta sorprendente: se un mercato ricorre sempre di più alla teoria delle microstrutture, allo studio e applicazione dei meccanismi di esecuzione degli ordini e degli algoritmi, avremo sempre più operatori nel mercato che si avvalgono di questa conoscenza per anticipare le conseguenze di certi ordini. Avremo cioè attori finanziari sempre più reattivi, che finiscono per accelerare quelle stesse conseguenze degli ordini e in cui le emozioni sono amplificate. Attraverso il ricorso a macchine, meccanismi e microstrutture si rafforzerebbe l'influenza delle caratteristiche umane più primitive: paura ed euforia. Se un mercato fa propria l'idea che le microstrutture siano importanti, otterremo probabilmente mercati sempre più plasmati dalle emozioni umane e quindi la teoria contro-performa il mercato . 07
Tuttavia, è bene sottolineare come non si possa dare tutta la colpa agli algoritmi e alla meccanica degli ordini. Algoritmi e regole sono scritti e stabiliti da esseri umani e possono essere modificati e bilanciati alla luce della conoscenza delle conseguenze che possono produrre.
Le relazioni pericolose: dati e modelli in finanza Gli algoritmi e la meccanica degli ordini studiata dalla teoria delle microstrutture incorporano ed eseguono modelli precisi. Tali modelli sono lo strumento che più di ogni altro hanno modificato e guidato il mercato finanziario: il loro uso è aumentato drasticamente negli ultimi decenni, e i modelli e il ruolo che svolgono nella finanza sono stati attentamente esaminati. Il motivo principale di questa attenzione è che ormai «i mercati finanziari sono gestiti dai modelli», e questo cambiamento è stato così drastico che i mercati «sono stati quasi distrutti nel corso di questo sviluppo». I modelli sono considerati un importante fattore che contribuisce alla crisi; 170
presumibilmente, non solo sottovalutano le possibilità che si verifichino turbolenze, ma hanno anche accresciuto le crisi calcolando erroneamente i rischi e prezzando erroneamente le attività finanziaria . Così, mentre i modelli finanziari sono stati introdotti e sviluppati al fine di produrre descrizioni o previsioni di fenomeni finanziari più oggettive e accurate, si è scoperto che «il problema principale sembra essere che gli operatori del mercato finanziario si sono affidati eccessivamente ai modelli e quindi hanno contribuito alla crisi. Quando gli investitori applicano la stessa formula difettosa, possono verificarsi danni» . 08
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Con la nozione di modello si intende semplicemente un modo per classificare certi oggetti, le loro proprietà e relazioni (equivalenza, implicazione ecc.), in maniera da ottenere deduzioni (conclusioni) sul sistema modellato. Specialmente nella finanza, un modello esprime un mondo astratto, o meglio un mondo credibile: caratterizza un mondo matematico che incapsula un insieme di ipotesi sul funzionamento del sistema indagato. Ciò solleva un primo problema: come osserva la filosofa statunitense Nancy Cartwright, un modello incorpora il suo ambiente e i risultati che può ottenere sono contenuti nelle sue ipotesi iniziali . Se questo fatto, sostiene Cartwright, non sembra essere problematico in fisica, dove le ipotesi di base dei modelli (le leggi della fisica) hanno un forte potere nomologico, le cose sono molto diverse nella modellazione economica e finanziaria. In quest'ultimo caso, infatti, l'applicazione della clausola ceteris paribus diventa altamente problematica e un modello può non costituire affatto una «macchina nomologica» attendibile. 10
Per superare questa debolezza è necessario un ulteriore livello di giustificazione, che tipicamente viene affidato a un discorso che sostiene il modello e rende il collegamento tra le ipotesi del modello e realtà il più credibile possibile. Pertanto, la giustificazione esterna e il processo di accettazione di un modello possono diventare molto problematici in finanza: sia la loro fondazione sia il loro corretto funzionamento sono sensibili al discorso, o alla narrazione, che li sostiene e questo discorso impiega non solo argomenti scientifici, ma anche dispositivi retorici al fine di consentire al modello di ottenere consenso e credibilità. Esiste poi un secondo problema nell'uso dei modelli in finanza, che deriva dalla performatività: quando un modello passa dal mero livello teorico alla pratica finanziaria, ossia quando viene applicato, modifica il mondo che pretende di descrivere: come abbiamo visto nel Capitolo 6, «l'applicazione di 171
modelli finanziari non solo informa e influenza le pratiche professionali (performatività generica ed efficace) ma modella anche i mercati creando (o aumentando) un allineamento tra il mondo reale (mercato) e il modello» . 11
Tuttavia, una volta che un modello o una teoria .è messo a punto, per poter performare un mercato deve essere utilizzato da un numero consistente di professionisti. Il modo e la misura in cui viene applicato diventano essenziali: la cultura dell'uso del modello è centrale per la sua capacità performativa. Svetlova fa notare inoltre che la semplicità matematica è un fattore rilevante per la performatività di un modello: la sua struttura matematica, in particolare il numero di parametri liberi, può essere fondamentale per la capacità del modello di influenzare i mercati. Un modello che richiede la determinazione di troppi parametri liberi può vedere il suo potere performativo indebolito, perché è di difficile applicazione e quindi diffusione, mentre un modello più semplice, come quello Black-Scholes che ha un solo parametro libero, può sviluppare il suo potenziale performativo più facilmente. Il discorso che supporta un modello, la flessibilità nell'uso dei suoi prodotti e la sua semplicità matematica contribuiscono a plasmare la cultura dell'uso del modello. A sua volta, questa cultura ci fornisce meccanismi costruttivi che consentono la performatività. Pertanto, affinché un modello possa essere performativo è necessario eseguire almeno due passaggi: la produzione di una narrazione o di un discorso (scientifico e anche non scientifico), che sostenga un modello e la sua accettabilità e credibilità; l'applicazione pratica del modello da parte di un certo numero di professionisti. Quando queste due condizioni si realizzano, il mercato può generare dati che riflettono il contenuto del modello, o meglio, il mercato si comporta in modo da produrre dati che sono carichi di teoria. Quindi, se questo e vero, i dati non sono scatti fotografici del mondo reale, e i modelli non sono semplicemente costruiti a partire da questi dati, ma, al contrario, il contenuto specifico del modello (le sue ipotesi) modella la realtà in modo da produrre quei particolari dati e non altri. Pertanto, in questo caso, i dati non sono il punto di partenza, ovvero la base da cui è possibile 172
derivare un modello, ma il punto finale del modello che agisce in background: in finanza non esistono dati puri, privi di ogni interpretazione. Questa dinamica tra dati, modelli e realtà apre la strada a un'altra interessante caratteristica dei sistemi finanziari, e che possiamo riassumere, usando un'espressione di Boldyrev e Ushakov, con: regolare il modello per regolare il mondo . In altre parole, possiamo regolare e modificare il mondo modificando le caratteristiche di un modello: i meccanismi costruttivi dei modelli finiscono per regolare la realtà in modo che le proposizioni del modello diventino vere. Gli elementi incorporati nel modello e le sue ipotesi possono essere ottenuti attraverso leggi, norme, regole (per esempio regole di esecuzione degli ordini), così come innovazioni tecnologiche. Se questo è vero, allora questo particolare aspetto della relazione tra modello e dati aggiunge una nuova dimensione alla discussione dei modelli in finanza, dal momento che «oltre a essere una rappresentazione, un modello può anche essere considerato come uno strumento di ingegneria sociale» . 12
13
Da questo segue che in finanza possono avere un ruolo anche i modelli non rappresentativi (MNR), ossia quelli che hanno vari presupposti irrealistici o si focalizzano non sul realismo di proprietà o processi ma su effetti possibili. Alla luce di quanto detto, la questione non è se un MNP possa essere informativo, quanto piuttosto se possiamo rendere i suoi presupposti e i conseguenti effetti veri regolando il mondo attraverso norme, regole, leggi, in modo da allineare il mondo al modello. In questo modo, possiamo eseguire sulla realtà diversi meccanismi costruttivi che realizzano i risultati descritti dal modello. Naturalmente, di nuovo, non intendo dire che qualsiasi modello economico possa essere costruito in modo da essere attuato nella realtà, ma che sia possibile performare un modello attraverso tecnologie di auto-attuazione e meccanismi costruttivi, una volta che sia stato accettato e impiegato. Se questo è vero, allora è possibile plasmare temporaneamente i mercati e persino manipolarli entro certi limiti. Tale scenario, per cui mediante un modello si imposta un risultato e poi si cerca di realizzarlo, delinea una forma di finanza inversa. L'esempio nel paragrafo successivo illustrerà che cosa intendo. Microperformatività Un esempio interessante dei modi in cui un modello può determinare i dati 173
finanziari, cioè i prezzi, è di O'Hara, la quale discute un interessante caso del modo in cui la quotazione di un titolo viene plasmata dall'applicazione di dispositivi tecnici specifici, un algoritmo in questo caso . L'algoritmo, così come altri con cui interagisce, incapsula un modello che mira alla ricerca di condizioni per realizzare profitti. 14
Vediamo come funziona . 15
Si parte da una situazione in cui 900 azioni vengono scambiate a 7,50 dollari (la domanda) e l'offerta scende a 7,20 dollari. A questo punto entra in gioco l'algoritmo S che vuole vendere. Tuttavia, invece di inserire un ordine per vendere all'offerta corrente (7,20), invia e quindi annulla immediatamente un ordine di acquisto appena superiore all'ultima offerta, ossia a 7,21. Ora, un altro algoritmo T in attesa di comprare può rispondere migliorando l'offerta, immettendo un ordine di acquisto a 7,22. S ripete quindi il processo, inviando e annullando immediatamente un nuovo ordine di acquisto a 7,23. T reagisce di nuovo: immette un nuovo ordine di acquisto a 7,24 e, di conseguenza, la quotazione sale. Si noti che questo processo aumenta la quotazione del titolo senza che alcuna negoziazione si concretizzi. A un certo punto, questo comportamento può indurre altri algoritmi a aderire al processo, temendo che il mercato si stia allontanando da loro prima di aver eseguito i loro importi predeterminati. T può quindi ora vendere a un prezzo molto più alto di quello di partenza, 7,20 (Tabella 2).
La sequenza descrive una forma di performatività, in quanto S model la temporaneamente un mercato (o una parte di esso) in conformità a esso e al suo obiettivo (spingere la quotazione di un titolo in alto e poi venderlo). Naturalmente, il numero di partecipanti è essenziale per generare la dinamica voluta, proprio come richiede uno dei principi della performatività. 174
Naturalmente, per performare, il modello codificato nell'algoritmo deve soddisfare determinate condizioni. In particolare, come osserva O'Hara, è più probabile che questo modello performi su titoli meno liquidi o in periodi di bassa liquidità (ossia in cui ci sono pochi trader attivi), perché S corre il rischio che qualcuno esegua davvero il suo ordine di acquisto (anche se dura frazioni di secondo) prima della sua cancellazione, costringendolo ad acquistare il titolo. Questo influenza il mercato in un modo che può essere legittimamente considerato come un caso di microperformatività: il semplice atto di immettere un'offerta, e annullarla subito dopo, innesca una sequenza di reazioni che cambiano il prezzo di una quotazione senza che una singola transazione abbia luogo. In altre parole, in base a determinate regole di esecuzione degli ordini, il modello struttura temporaneamente il mercato nel modo previsto dal suo insieme di istruzioni. Di conseguenza, i dati che vediamo (i prezzi) sono il risultato diretto del modello. Naturalmente, la capacità di questo modello di performare il mercato è molto limitata: produce effetti (in condizioni specifiche di felicità) su una scala temporale molto breve. In ogni caso, l'esempio solleva alcune importanti questioni di filosofia della finanza e della pratica finanziaria. In primo luogo, abbiamo una questione ontologica: se accettiamo che quanto esposto sopra delinei una forma di microperformatività, e dato che l'intero processo si svolge senza una singola compravendita, è legittimo chiedersi che cosa sia una quotazione. Infatti, non è più la semplice espressione dell'incontro tra domanda e offerta, e quindi il suo stato ontologico è quantomeno poco chiaro. In secondo luogo, abbiamo un problema di filosofia della pratica finanziaria. Se una quotazione non riflette domanda e offerta e non contribuisce alla scoperta dei prezzi o alla liquidità, allora, come suggerito da O'Hara, bisognerebbe modificare l'architettura dei mercati, rendendo visibili più ordini non visualizzati e far sì che abbiano una durata minima. In terzo luogo, abbiamo anche un problema di manipolazione, o meglio una connessione tra performatività e manipolazione: «se l'obiettivo di immettere ordini della durata di millisecondi è solo quello di sfruttare i programmi di trading computerizzati [. . .] non è questa manipolazione» In effetti, se possiamo impostare modelli in grado di eseguire sé stessi, di allineare temporaneamente il mercato a essi, stiamo creando la base per la manipolazione. Inoltre, l'esempio esibisce altri aspetti rilevanti che sono in grado di performare i mercati oltre a quelli elencati dalla Svetlova sopra. Una 16
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prima caratteristica è la scala temporale delle predizioni dei modelli: più breve è la scala temporale, maggiore è la potenza performativa. Pertanto, minore è il lasso di tempo sul quale opera del modello, più i dati rifletteranno il contenuto del modello. Una seconda, più ovvia, è costituita dal ruolo svolto dagli algoritmi: essi possono innescare corsi di azioni e quindi produrre meccanismi costruttivi. Più un mercato è gestito da algoritmi, maggiore è la possibilità di mettere in atto un meccanismo che esegua catene meccaniche di azioni e influisca sui dati. Poiché i dati diventano ciò su cui gli agenti finanziari agiscono, la comprensione delle regole e dei meccanismi della loro produzione, composizione e aggregazione è essenziale per capire i sistemi finanziari e la loro evoluzione. Questo ci porta a un'altra questione cruciale nella filosofia della finanza e della pratica finanziaria, ossia quella della progettazione del mercato. Verso una finanza inversa? Poiché i meccanismi costruttivi e le dinamiche performative ci forniscono strumenti teorici per modellare le interazioni sociali, coloro che progettano un mercato possono elaborare regole, norme e leggi in modo da spingere gli attori sociali a adattarsi all'immagine contenuta in un modello, piuttosto che viceversa, appunto, regolare il modello per regolare il mondo. Questo, a sua volta, ci porta a una sorta di finanza inversa, per cui è possibile partire dal modello e poi cercare di produrre la corrispondente realtà, o meglio, partiamo dal risultato voluto, quello previsto dal modello, e poi cerchiamo di progettare o ingegnerizzare il più possibile (con norme, regole, tecnologie) nella realtà le ipotesi del modello necessario per produrre quel risultato, in modo che il mercato assomigli al modello. Pertanto, lo studio della finanza inversa può esaminare quali ipotesi sono necessarie per ottenere risultati economici specifici e prefissati, che sono il vero punto di partenza dell'indagine. In altre parole, fissiamo un obiettivo (voluto) e cerchiamo di trovare le ipotesi che, se soddisfatte, lo produrrebbero. Più in dettaglio, poiché lo stesso risultato, diciamo T, può essere ottenuto da diversi insiemi di ipotesi, uno scopo principale della finanza inversa sarebbe quello di trovare l'insieme minimo «naturale» di ipotesi dalle quali è possibile ottenere T. In tal modo, si potrebbe anche dimostrare quale sottoinsieme di ipotesi specifiche sia necessario per ottenere T, mostrando così che alcune ipotesi non sono necessarie e possono essere eliminate o sostituite con altre. Per «naturale» qui intendo le ipotesi, cioè le condizioni iniziali, che meglio si 176
adattano a un certo contesto socioeconomico in un dato momento. Dati e modelli in finanza: alcune osservazioni filosofiche Il ruolo di modelli e algoritmi e il loro legame con i dati sollevano almeno tre importanti questioni filosofiche. In primo luogo, l'applicazione dei modelli mette in discussione i modi in cui la filosofia della scienza tradizionale ha concettualizzato i modelli e la loro relazione con i dati. Da un lato, il funzionamento dei sistemi finanziari solleva una questione ontologica sui modelli, ossia quella del loro potenziale carattere fittizio. La distinzione tra finzione e realtà, tra modelli di un sistema e sistema stesso, può andare in cortocircuito: come abbiamo visto, in determinate circostanze non possiamo dire se un modello sia una finzione o meno, o se ciò che chiamiamo realtà e dati siano semplicemente il risultato di un modello non rappresentativo. Possiamo trovarci in una posizione in cui non possiamo neanche dire se una teoria o un modello siano buoni o no. In secondo luogo, il modo in cui modelli, dati e fenomeni si intrecciano nei sistemi finanziari minano una tassonomia classica come quella che distingue tra modelli di dati, modelli di fenomeni, modelli di teoria . Come abbiamo visto, le dinamiche specifiche dei sistemi finanziari rendono difficile distinguere tra dati, fenomeni e teoria: una successione di dati può essere carica di teorica (modelli), mentre un fenomeno può essere il risultato di un modello non rappresentativo o con ipotesi irrealistiche. 17
In terzo luogo, le relazioni tra modelli e dati - le «relazioni pericolose» aprono la strada a possibili manipolazioni delle dinamiche del mercato azionario mediante un uso appropriato di modelli. In effetti, poiché né i dati né i modelli, almeno in determinate circostanze, sono semplicemente rappresentazioni o descrizioni di un sistema, come abbiamo visto i confini tra performatività e manipolazione possono diventare molto sottili in determinate circostanze, soprattutto a livello micro e nei mercati azionari. 18
Il processo di alterazione del mercato si articolerebbe nel modo seguente. Un discorso convincente, che può impiegare argomenti sia scientifici sia non scientifici, viene costruito per sostenere l'accettazione e quindi l'impiego di un determinato modello (o teoria). Il modello viene quindi utilizzato sempre più dai professionisti e realizza dinamiche specifiche che, a loro volta, modellano i dati del sistema, i quali saranno modificati in modo sottile e per 177
lo più non visibile. I dati, a loro volta, diventano la base per l'azione (o la reazione) di una parte degli attori sociali, che potrebbero non essere a conoscenza del fatto che questi dati sono carichi di modelli, e quindi potrebbero essere fuorviati in diversi modi, per esempio seguendo un corso di azioni che possono finire con un prezzo più alto se vogliono comprare (come nel caso dei due algoritmi di sopra), o un prezzo più basso se vogliono vendere. Una lezione che ne possiamo trarre è che non solo i dati e i modelli, ma in generale la performatività, la manipolazione, la progettazione o l'ingegneria del mercato e ciò che ho etichettato come finanza inversa sono intrecciati in modi sottili che possono far collassare le nozioni di descrizione, previsione e controllo in finanza e che quindi meritano ulteriori indagini al fine di contribuire a una migliore comprensione, funzionamento e servizio dei sistemi finanziari. Note 01 T.C. Lin, «The new investor», 60 UCLA L. Review, 2013, pp. 678-735 . 02 N3xuZ, Darker. Il codice sorgente e il potere della finanza, Roma, I Diavoli, 2020. 03 X. Zhang, H. Fuehres, P. «Gloor, Predicting Stock Market Indicators Through Twitter "I hope it is not as bad as I fear"», Procedia, 26, 2011, pp. 55-62. 04 D. Shah, H. Isah, F. Zulkernine, «Predicting the Effects of News Sentiments on the Stock Market», Big Data 2018, 2018, pp. 4705-4708 . 05 M. O'Hara, Market Microstructure Theory, Cambridge, MA, Blackwell, 1995, p. 1. 06 Per un'analisi dell'evento si veda «Nanex. 15-Oct-2014. Treasury Flash Crash», disponibile online su www.nanex.net. 07 A. Preda, «The sciences of finance, their boundaries, their values», in P. Chen, E. Ippoliti (eds), Methods and Finance. A Unifying view on Finance, Mathematics and Philosophy, Berlin, Springer, 2017, pp. 151-167. 08 E. Svetlova, «On the performative power of financial models», Economy 178
and Society, 43 (2), 2012, pp. 418-434, p. 421. 09 Ibidem. 10 N. Cartwright, «If no capacities then no credible worlds. But can models reveal capacities?», Erkenntnis, 70, 2009, pp. 45-58. 11 Svetlova, «On the performative power of financial models», cit., p. 421. 12 I. Boldyerv, A. Ushakov, «Adjusting the Model to Adjust the World: Constructive Mechanisms in Postwar General Equilibrium Theory», journal of Economia Methodology, 23 (1), 2016, pp. 38-56. 13 Ivi, p. 38. 14 M. O'Hara, «What Is a onte?», The journal of Trading, 5 (2), 2016, pp. 1016. 15 E. Ippoliti, «Models and data in Finance: les Liaisons Dangereuses», in F. A. Nepomuceno; L. Magnani, F.J. Salguero-Lamillar, C. Barcis-Gomez, M. Fontaine (eds), Model-Based Reasoning in Science and Technology, Berlin, Springer, 2019, pp. 393-306. 16 O'Hara, «What Is & Quote?», cit., p. 16. 17 P. Suppes, «Models of data», Stud. Logic Found Math., 44, 1966, pp. 252261. 18 Ippoliti, «Models and data in Finance: les Liaisons Dangereuses», cit.
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8 Filosofie d'investimento Strategie e piani d'azione
Quindici azioni in fase di decollo che ti aiuteranno ad andare in pensione ricco quest'anno Caro lettore, un nuovo rivoluzionario algoritmo ha il potere di identificare azioni in rampa di lancio (rocket stocks) che potrebbero trasformare 250 euro in 100. 000 euro o più in 30 giorni o anche meno. L'algoritmo proprietario ha identificato non meno di 15 rocket stocks che mi aspetto di veder decollare presto. Queste piccole imprese potrebbero fare un grande salto in alcuni dei settori più redditizi dei mercati di oggi, tra cui: Intelligenza artificiale Il miliardario di fama mondiale Mark Cuban di Shark Tank sostiene che il primo trilionario del mondo sarà un imprenditore A I e io ti mostra come approfittare di questa la tendenza in crescita. Cannabis La legalizzazione della marijuana si sta rapidamente diffondendo in tutti gli Stati Uniti e nel resto del mondo. E dal momento che essa ha un enorme valore medico, potrebbe essere più redditizio di alcol e tabacco combinati nel prossimo futuro. Biotecnologie Ci sono 3 titoli biotecnologici in rampa di lancio che stanno stravolgendo il mondo medico con progressi tecnologici rivoluzionari. Coloro che le comprano ora potrebbero vedere il loro investimento moltiplicarsi di 50 volte. Solo questo è sufficiente per trasformare 10.000 euro in mezzo milione di euro! Metalli 180
Oro e argento vivranno un anno di risveglio. E quando l'oro e l'argento vanno in alto, le azioni delle società minerarie d'oro e d'argento vanno in orbita. Siamo fiduciosi che queste 3 promettenti azioni di società di metalli preziosi potrebbero rendere milionari coloro che entrano prima che il valore metalli salga. E altro ancora... Clicca qui ora per tutti i dettagli su queste 15 rocket stocks. Sarà capitato anche a voi di ricevere avvisi di questo tipo. Magari, come me, vi incuriosite, leggete e decidete di andare a vedere le azioni di queste quindici compagnie. Cliccate sul link e si apre una nuova, lunga pagina che spiega come moltiplicare i vostri profitti con un piccolo investimento. Gli esempi non mancano. Eccone uno. Permettimi di mostrati quanti soldi puoi fare grazie alle rocket stocks. Potresti triplicare i tuoi soldi in una notte. In questo modo... Il 15 gennaio 2019 potevi acquistare azioni della Emerald Organic Products Inc. (EMOR) alla misera cifra di 30 centesimi l'una. Il giorno dopo, il prezzo delle azioni è decollato fino a 1.0 euro, una accelerazione incredibile del 233% che triplica la tua puntata in sole 24 ore. Sorprendente! Vado a verificare i dati storici per EMOR e scopro che è tutto vero. Una incredibile occasione è passata, e non l'ho colta. Una società del tutto sottovalutata ha fatto breccia nel mercato e non l'ho degnata neanche di uno sguardo. Guardo ancora i dati storici, e il disappunto è ancora maggiore. L'ascesa delle azioni EMOR infatti non si è arrestata. Il 22 maggio 2019 tocca quota 1,520 euro, il suo valore dal 15 gennaio è più che quintuplicato. Il 18 giugno 2019 addirittura arriva a 6,5 euro, il valore è aumentato venti volte! Dov'è il trucco, vi chiederete? In realtà, non c'è nessun trucco. Prima di tutto, il 6 settembre il valore del titolo è tornato a 2 euro. Se quindi il 18 giugno avessi investito, ora avrei perso una somma immane in termini percentuali. Domanda: in questo caso, mi sarebbe arrivata una e-mail per avvertirmi del fatto che le azioni della EMOR stavano per sprofondare e che era il momento di disinvestire? 181
Inoltre, nessuna e-mail mi è arrivata per propormi questo investimento prima del fatidico 15 gennaio, o ancora tra aprile e maggio, quando le azioni EMOR hanno avuto un altro grande rialzo. Tutto quello che vedo è una descrizione retrospettiva, ex post, di fatti accaduti nel passato. È come nel celebre film Ritorno al futuro II, dove uno dei protagonisti scommette su eventi sportivi odierni con in mano un almanacco di risultati preso durante il suo viaggio nel futuro. Guardo il passato, vedo le azioni che hanno avuto successo, e costruisco una narrazione di successo che posso replicare nel futuro. Il punto, infatti, non è se queste occasioni esistano: i mercati finanziari sono pieni di casi simili. Il punto è vederle in anticipo e decidere di investire, o disinvestire, al momento opportuno. Come navigare in questo oceano di opportunità e rischi finanziari? Come trovare o creare occasioni d'investimento? E poi come agire, e soprattutto quando? L'abilità necessaria è nota come stock-picking ability, la capacità di scegliere la azioni delle imprese giuste al momento giusto. Per rispondere a queste domande tutti gli attori finanziari (gli investitori) ricorrono a una filosofia d'investimento, ossia una visione del funzionamento dei mercati che si traduce in piani d'azione sui mercati stessi. Il termine filosofia è abusato ai nostri giorni: spesso infatti con filosofia si intende semplicemente strategia, per esempio, la maggior parte delle volte che ci si riferisce alla filosofia di gioco, si intende in realtà strategia di gioco. Con filosofia intendo qualcosa di più generale e profondo, che informa e plasma sì una strategia d'investimento, ma che la precede e ne è un presupposto: è la relazione di dipendenza tra una certa concezione, o teoria, sui mercati e le conseguenti azioni (investimento) su di essi. È più esatto dire che tale dipendenza è tra una certa concezione, o teoria sui mercati, e una parte degli stessi. In effetti, è difficile avere un insieme di principi abbastanza specifici che funzionino su ogni porzione dei mercati finanziari, per cui gli investitori si concentrano su alcune aree specifiche e sviluppano filosofie e poi strategie adeguate, quando ce la fanno, per quel dominio, per esempio, il mercato delle valute. In sostanza, sviluppare una filosofia d'investimento richiede di affidarsi a una teoria sui mercati finanziari e poi collegare questa a una specifica porzione e stato di cose del mercato. Naturalmente, adottare una teoria piuttosto che un'altra (per esempio l'ipotesi dei mercati efficienti, 182
EMH, piuttosto che l'ipotesi comportamentista, BH) produrrà modi di interpretare i mercati e scelte d'investimento molto diverse tra loro. Per illustrare meglio che cosa si intende per filosofia d'investimento discuterò brevemente le teorie di tre investitori di rilievo del mondo finanziario che, adottando esplicitamente una precisa filosofia d'investimento, hanno avuto successo ricavando da essa i piani d'azione: George Soros, Warren Buffett e Kyke Bass . 01
Soros: l'investitore filosofo George Soros, uno degli investitori di maggior spicco del panorama mondiale, ci fornisce un esempio paradigmatico di che cosa sia una filosofia d'investimento e come questa possa strutturare una o più strategie per mettere a punto operazioni sui mercati finanziari. La sua strategia e i suoi piani d'azione sui mercati sono infatti la diretta conseguenza della sua filosofia d'investimento, la quale si articola come una vera e propria teoria sui mercati, illustrata dal Soros in L'alchimia della finanza del 1987. Da questo saggio appare evidente che tale filosofia, per stessa ammissione dell'autore, discende per lo più da alcune idee di filosofia delle scienze sociali elaborate dal filosofo austriaco Karl Popper, che Soros ebbe modo di seguire durante la frequentazione della London School of Economics alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Dalla filosofia di Popper infatti Soros mutua i seguenti principi: P1. una conoscenza scientifica perfetta non è raggiungibile; P2. una «esatta e dettagliata predizione scientifica di un fenomeno sociale è impossibile» . 02
Queste sono le principali tesi che Soros dichiara di mutuare da Soros e che applica ai mercati finanziari. Non discuterà qui la questione se queste siano letteralmente le tesi di Popper, e se Popper stesso non le avesse a sua volta mutuate da altri. Quello che mi preme sottolineare infatti è che Soros, a partire da queste idee, produce la sua teoria riflessiva dei mercati finanziari, sulla base della quale ha strutturato tutti i suoi piani d'azione finanziari, alcuni dei quali hanno segnato la recente storia economica e finanziaria del mondo occidentale. In particolare, Soros sostiene che ha avuto «un certo vantaggio sugli altri investitori, perché almeno aveva un'idea [ossia una 183
filosofia] del modo in cui operano i mercati finanziari» anche se precisa: «mentirei, tuttavia, se sostenessi di aver sempre potuto formulare ipotesi utili sulla base del mio quadro teorico» . 03
Il punto di partenza della filosofia d'investimento di Soros è che: ho scoperto che i mercati finanziari operano secondo un principio che è in qualche modo simile al metodo scientifico. Decidere come investire è come formulare un'ipotesi scientifica e sottoporla a un test pratico. [...] In questo senso, è possibile vedere i mercati finanziari come un laboratorio di ipotesi, anche se non strettamente scientifiche. La verità è che investire con successo è una sorta di alchimia. La maggior parte degli operatori di mercato non vede i mercati in questo modo. Questo significa che essi non sanno quali ipotesi vengono testate; ciò significa anche che la maggior parte delle ipotesi che vengono sottoposte a test di mercato sono abbastanza banali. Di solito ammontano a niente di più che l'affermazione che una particolare azione sta per sovra-performare le medie di mercato . 04
Il cuore della filosofia di Soros, come abbiamo visto, combina P1 e P2 e può essere espresso dallo slogan «i mercati sono sempre faziosi». In particolare, Soros afferma che: i mercati, ossia l'insieme degli attori finanziari, si sbagliano sempre, nel senso che essi presentano una visione distorta del futuro; i mercati sono riflessivi, influenzano e modificano gli eventi che essi anticipano. Non solo gli attori finanziari operano in base a dei pregiudizi, ma questi pregiudizi influenzano il corso degli eventi. La filosofia d'investimento di Soros si Oppone dunque alla visione ortodossa dell'economia che ispira altre filosofie d'investimento, che sono modellate da assunti come la nozione di equilibrio, l'idea che i mercati non si sbagliano, o che i prezzi siano giusti. Le caratteristiche della filosofia d'investimento di Soros ci permettono inoltre di anticipare un aspetto centrale della relazione tra filosofia e strategia d'investimento. Soros infatti afferma di non aver agito sui mercati «mediante un particolare insieme di regole» in quanto era sempre «più interessato a comprendere i cambiamenti che avvengono nelle regole del gioco». E quando ha investito «senza un'ipotesi valida», le sue attività «non si sono rivelate differenti da un cammino casuale». Per questo motivo ha sempre 184
«cercato di individuare i processi riflessivi nei mercati finanziari» e i suoi «maggiori successi sono arrivati sfruttando le opportunità che essi presentavano». La ricerca di queste opportunità è stata guidata da un principio filosofico ben chiaro: «il pregiudizio dei partecipanti sono la chiave per comprendere tutti i processi storici in cui operano attori pensanti, proprio come la mutazione genetica è la chiave per dell'evoluzione biologica». In sostanza, Soros investe cercando di capire quale processo riflessivo sia in atto in un certo settore e investe di conseguenza, spesso nella direzione opposta del trend prevalente. Soros non Opera legandosi a una particolare strategia d'investimento, ma usa la sua filosofia d'investimento per plasmare e cambiare, quando necessario, una o più strategie. Questo è ovviamente è un vantaggio: se ci si lega a una particolare strategia, diventa difficile abbandonarla quando le condizioni mutano, finendo per commettere e persistere nello stesso errore. Pertanto, una filosofia d'investimento non è solo opportuna, ma anche necessaria per produrre strategie d'investimento di successo. Anche se la percezione che gli attori finanziari hanno dei mercati spinge i mercati a modificare il proprio andamento in modo riflessivo, Soros nota che «qualche volta non c'è alcun processo riflessivo da trovare; qualche volta non sono riuscito o vederlo; qualche volta - e questo è che mi ha fatto più male - mi sono semplicemente sbagliato» ; infatti, «più un sistema è complesso, maggiore è la possibilità di sbagliare». 05
Inoltre, una filosofia d'investimento può essere difficile da esprimere in un modello preciso, ancor più se in termini quantitativi, e lo stesso Soros ha incontrato questa difficoltà: ho sempre incontrato problemi quando ho cercato di definire ciò che intendo per «comprensione imperfetta» dei partecipanti. Per parlare con precisione di una distorsione dobbiamo sapere quale sarebbe la situazione se non fosse distorta dalle percezioni dei partecipanti. Purtroppo, ciò non sembra possibile perché il pensiero dei partecipanti è parte integrante della situazione su cui essi devono pensare. Non c'è da stupirsi che il concetto di riflessività presenti difficoltà estreme; se fosse un concetto più facile, gli economisti e gli altri scienziati non si sarebbero dati tanto da fare per bandirlo dalle loro indagini . 06
Sulla base di questa filosofia d'investimento Soros ha messo a punto alcune delle operazioni finanziarie più note ed eclatanti della storia recente. La più 185
rinomata è sicuramente l'operazione del 16 settembre 1992, passata alla storia come il mercoledì nero, un'operazione che gli è valsa la fama mondiale e tante critiche. Il 15 settembre del 1992 Soros fece infatti una gigantesca scommessa contro la sterlina e altre valute europee (tra cui la lira italiana), basandosi proprio sulla sua filosofia d'investimento. In altre parole, dopo aver seguito per anni l'andamento delle valute mondiali, identificò ciò che riteneva essere un pregiudizio prevalente dei mercati sul valore di certe valute e vi scommise contro, ossia puntò grandi somme di denaro sull'ipotesi che la valutazione di queste valute fosse distorta (sopravvalutata) e che sarebbe diminuita sensibilmente. Più in dettaglio, Soros vendette «allo scoperto» una quantità gigantesca di sterline, circa 10 miliardi di dollari. Per accumularne una tale quantità, contattò varie banche e broker e fece un accordo: avrebbe venduto loro la sterlina per poi riacquistarla in un secondo tempo, indipendentemente dal suo valore in quel momento. Se il valore della sterlina fosse sceso, l'avrebbe riacquistata per molto meno di quanto aveva venduto, ottenuto per differenza un profitto. Se fosse aumentato, avrebbe dovuto ricomprarlo a un prezzo maggiorato, affrontando perdite senza precedenti. Ora, poiché il valore di una valuta cambia a seconda della sua quantità sul mercato e dalla domanda che c'è sul mercato, la vendita di una grande quantità di sterline ne ha fatto calare il valore. Quando il calo ha raggiunto il suo minimo, Soros ha comprato e la differenza gli è valsa un profitto di circa 1 miliardo di dollari (!). A onore del vero, va detto che Soros non è stato l'unico a fare questa scommessa: quel giorno molti agenti finanziari hanno venduto allo scoperto la sterlina. Tuttavia, la somma di Soros era quella più grande e analisi successive hanno concluso che è stata il fattore chiave nella caduta della sterlina (e poi della Bank of England): se non avesse investito così tanto, la Bank of England sarebbe stata in grado di mantenere costante il valore della sterlina.
Warren Buffett: la forza dei fondamentali Una filosofia quasi opposta a quella di Soros modella i piani d'azione di un altro grande investitore mondiale, ossia Warren Buffett. La sua filosofia, che spesso viene riassunta con lo slogan «compra attività, non azioni» (bay business, not stocks), è infatti volta a comprendere i fondamentali, ossia le prospettive di utili di una impresa, e investire o disinvestire di conseguenza. La sua filosofia è esplicitamente codificata nella sua Lettera agli azionisti 186
della Berkshire Hathaway del 1976, nella quale illustra la sua filosofia di investimento che da allora segue scrupolosamente. In questa lettera Buffett afferma che seleziona investimenti a lungo termine «pesando gli stessi fattori che sarebbero coinvolti nell'acquisto del 100% di un'attività: (1) caratteristiche economiche favorevoli a lungo termine; (2) gestione competente e onesta; (3) prezzo di acquisto interessante se misurato rispetto al metro di valore di un proprietario privato; (4) un settore che conosco e sulle cui caratteristiche commerciali a lungo termine mi sento competente per esprimere un giudizio». Sulla base di questi principi Buffett ha messo a punto operazioni finanziarie che lo hanno reso uno degli uomini più ricchi del mondo. Per esempio, sulla base di (1) Buffett decise negli anni Ottanta di effettuare uno dei suoi più grandi investimenti nella Coca-Cola. Tale scelta era basata su una analisi delle caratteristiche economiche favorevoli a lungo termine, che un suo socio ha così riassunto: «possiamo ragionevolmente ipotizzare che entro il 2034 ci saranno circa otto miliardi di consumatori di bevande nel mondo. [...] Ogni consumatore è composto per lo più di acqua e deve ingerire circa 64 once di acqua al giorno. Si tratta di otto porzioni da otto once. Così, se la nostra nuova bevanda (e altre bevande simili nel nostro mercato) può insaporire e migliorare solo il 25% dell'acqua ingerita in tutto il mondo, e possiamo occupare la metà del nuovo mercato mondiale, possiamo vendere 2,92 trilioni di porzioni nel 2034. E se possiamo mettere al netto quattro centesimi per porzione, guadagneremo 117 miliardi di dollari» . 07
Naturalmente, valutare le caratteristiche a lungo termine di un'azienda non è un compito facile, ma aiuta a non perdere di vista il motivo reale di un investimento e a proteggersi dall'incertezza indotta della volatilità a breve termine.
Kyle Bass: la qualità può essere più importante della quantità Una filosofia ancor differente e quella che ha ispirato l'elusivo Kyle Bass. Educato alla Texas Christian University, Bass è famoso per aver anticipato la crisi dei mutui subprime che ha sconvolto gli USA alla fine del primo decennio degli anni Duemila. A soli 36 anni, ha visto arrivare la crisi all'inizio del 2006, quando il mercato azionario stava raggiungendo il picco e tutto sembrava ancora rose e fiori, e ha piazzato una grande scommessa che lo ha reso ricco. 187
Come ha fatto ad anticipare la crisi in tempi non sospetti? È stato guidato da una filosofia d'investimento che ha sintetizzato in un motto a lui caro: «bisogna comprendere sia l'aspetto quantitativo sia l'aspetto qualitativo delle cose». Se vi suona come una frase ingenua, sappiate che Bass nel 2008 l'ha trasformata in un guadagno di circa 500 milioni di dollari grazie a un una singola operazione finanziaria. Il processo che l'ha condotto a questa decisione è stato spiegato dallo stesso Bass: «l'aspetto quantitativo pre-crisi era visibile a tutti. Tutti avevano i terabyte dei dati sui mutui ipotecari e potevano acquistare il software per processarli e modellarli. Ma l'aspetto qualitativo era diverso: chi erano gli ideatori di questi mutui che letteralmente non avevano alcuno standard? Ciò che abbiamo fatto, quindi, è stato uscire, e cercare i cattivi» . 08
In altre parole, Bass ha smesso di cercare solo tra i numeri e di affidarsi all'analisi quantitativa e ha cercato di capire come il fenomeno si svolgesse da un punto di vista qualitativo, che cosa stessero facendo e che cosa motivava gli agenti che stipulavano questa massa di mutui ipotecari. Infatti, l'aspetto quantitativo era facile da cogliere: i prezzi delle case crescevano costantemente, mentre gli stipendi no. Il dato era sotto gli occhi di tutti. Come potevano decine di migliaia di persone con reddito costante accedere a un mercato immobiliare in continua ascesa? L'aspetto qualitativo richiedeva di capire che cosa generasse questo disallineamento. Grazie a un'indagine accurata, i detective di Bass hanno trovato una risposta precisa: il prestito «predatorio». Gli agenti immobiliari stipulavano in modo seriale mutui a forte rischio di insolvenza, che in alcuni casi venivano accordati sulla base del semplice possesso della tessera sanitaria e di una residenza. Lo facevano per finanziare il loro stile di vita folle con le commissioni derivanti dalla stipula dei mutui. Capito questo, Bass realizza che la crisi del mercato immobiliare si trasformerà in crisi di debito, e che la crisi di debito si trasformerà in crisi finanziaria. Così piazza la sua scommessa: si mette «corto» sul mercato immobiliare subprime e aspetta. Passa poco tempo e i prezzi delle case precipitano, i mutui a tasso variabile vanno alle stelle e chi ha contratto un mutuo non è più in grado di onorare il proprio debito. Nel frattempo, la casa vale molto meno del prezzo d'acquisto e nessuno vuole comprarla perché i prezzi continuano a scendere. La banca che ha concesso il mutuo non incassa più le rate, rescinde il contratto ed esercita il diritto d'ipoteca. Alla fine di questa spirale Bass realizza il suo profitto di 500 milioni di dollari.
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Questi grandi investitori utilizzano filosofie d'investimento molto diverse, che sembrano avere pochi fattori in comuni. Anzi, alcune usano idee molto diverse e, a volte, contrarie, su come funzionano i mercati e su ciò che porta al successo. Eppure, esse coesistono e agiscono sui mercati e uno degli aspetti più affascinanti della filosofia d'investimento è proprio la loro coesistenza basate su visioni opposte dei mercati. La coesistenza di queste scelte contrarie sul mercato può sembrare irrazionale, ma può essere necessaria per mantenere il mercato in equilibrio. Inoltre, è possibile avere investitori con filosofie contraddittorie sul mercato a causa dei loro diversi orizzonti temporali, opinioni sul rischio e regime fiscale. Per esempio, gli investitori esenti da tasse possono ritenere un affare azioni che pagano grandi dividendi, mentre gli investitori tassabili possono rifiutare queste stesse azioni perché i dividendi sono tassati. La coesistenza di queste filosofie d'investimento sul mercato solleva inoltre diverse questioni importanti, come, per esempio, quali caratteristiche siano alla base di ognuna di tali filosofie d'investimento; quali siano le differenze nel modo in cui gli investitori in ciascuna filosofia vedono come funziona il mercato; in che maniera gli investitori mettono in pratica le loro filosofie; quali sono le caratteristiche che più definiscono il successo in ogni filosofia (ricerca o timing, pazienza o velocità, flessibilità o rigore). Tale coesistenza può essere anche tra filosofie d'investimento e una assenza di filosofia. Esistono infatti strategie che non si basano su grandi visioni del mercato, su una filosofia vera e propria, ma sono progettate per sfruttare momentaneamente l'errata fissazione dei prezzi di titoli in un mercato, come l'arbitraggio. Tali sono tutte le strategie opportunistiche, volte a ricavare un profitto veloce da una attività di trading che sfrutta le momentanee dislocazioni di prezzi e mantiene bassi i costi di transazione. L'high frequency trading, per esempio, è una tattica basata su questa impostazione che non richiede una filosofia d'investimento, al massimo una filosofia del microcomportamento dei mercati.
Che cos'è una filosofia d'investimento Che cos'è dunque una filosofia d'investimento? Una risposta condivisa è che sia un modo coerente di concepire i mercati, ossia il modo in cui funzionano e non funziono, e i tipi di errori che si ritiene caratterizzino il comportamento degli investitori . Normalmente questa filosofia può essere descritta da un insieme piuttosto ristretto di convinzioni fondamentali sulla base delle quali 09
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plasmare nuove strategie d'investimento o correggere quelle in uso. Una strategia d'investimento è un piano d'azione specifico che mira a scegliere certe azioni. Ha dunque a che fare anche con gli errori commessi dagli investitori. Il motivo è piuttosto semplice: una strategia d'investimento discende da una specifica filosofia ed è finalizzata a trarre vantaggio dagli errori commessi da altri investitori nello scegliere e dare un prezzo alle azioni di società quotate in Borsa. Questi errori, che non sono necessariamente il frutto di atti irrazionali, per lo più dipendono da certi pregiudizi (bias) e l'impiego di certe euristiche (un esempio su tutti: segui-la-folla) impiegate dagli attori finanziari. Esistono varie teorie che descrivono i tipi di errori e le loro cause, teorie che in ultima istanza fanno assunzioni piuttosto precise sul comportamento cognitivo ed emotivo degli esseri umani in generale, come per esempio, la teoria comportamentista, nelle due articolazioni H&B e F&F. Come abbiamo visto nel Capitolo 3, molte di queste teorie ci forniscono evidenze e guide per comprendere la fragilità umana e le inefficienze dei mercati. Queste conoscenze possono essere utilizzate per strutturare e mettere a punto piani d'azione sui mercati e scelte d'investimento. Vediamo come. Alla base di ogni filosofia d'investimento c'è una visione sul comportamento umano. Anche la teoria ortodossa, la EMH, che pur teorizza la razionalità dei mercati, non sostiene che necessariamente tutti gli investitori siano razionali, ma che l'irrazionalità sia casuale e si annulli complessivamente. Nella fattispecie, essa teorizza che se c'è un investitore che si comporta irrazionalmente, per esempio tende troppo a seguire la folla, vi sarà un investitore che va nella direzione opposta, e che l'equilibrio tra le loro spinte alla fine farà convergere i prezzi al valore razionale. Se questa può essere un'ipotesi plausibile a lungo termine, può non esserlo affatto a breve termine e la finanza comportamentale ci dice infatti che nel breve periodo il comportamento irrazionale potrebbe essere prevalente e questo ci fornisce delle indicazioni che hanno delle conseguenze per le strategie di investimento e le singole scelte d'investimento. Inoltre, un secondo ingrediente di una filosofia d'investimento è la visione dell'efficienza o meno del mercato e della sua durata. Più in dettaglio, tutte le filosofie d'investimento presuppongono che i mercati siano in qualche modo, almeno temporaneamente, inefficienti: se così non fosse, sarebbe impossibile battere il mercato anche solo temporaneamente e una filosofia d'investimento non avrebbe senso. Esse differiscono però su quali parti del 190
mercato le inefficienze sono più propense a presentarsi e per quanto tempo dureranno. Per esempio, alcune filosofie d' investimento presumono che i mercati siano nel giusto per la maggior parte del tempo, ma che reagiscano in modo eccessivo quando vengono rilasciate nuove e importanti informazioni sulle singole imprese, per cui i valori dei prezzi salgono troppo in occasione del rilascio di buone notizie e scendono troppo in occasione di cattive notizie. Altre filosofie di investimento si strutturano sulla convinzione che i mercati possano commettere errori nel loro complesso: l'intero mercato può essere sottovalutato o sopravvalutato e alcuni investitori in particolare (per esempio i gestori di fondi comuni) sono più propensi a commettere questi errori rispetto ad altri. Ancora, altre filosofie di investimento si basano sul presupposto che dove c'è una notevole quantità di informazioni - rendiconti finanziari, rapporti degli analisti e copertura della stampa finanziaria - i mercati siano efficienti e quindi il prezzo è giusto (e di conseguenza le opportunità di investimento e profitto sono rare e difficili), mentre là dove tali informazioni non sono disponibili, i prezzi delle azioni sono sistematicamente scorretti e quindi vi siano occasioni di investimento e profitto. Una volta che una filosofia di investimento è stata messa a punto, è necessario sviluppare strategie e tattiche di investimento che si basano su di essa. Consideriamo, per esempio, le opinioni sull'efficienza dei mercati. Se un investitore, sulla base di quanto detto, ritiene che i mercati reagiscano in modo eccessivo alle notizie, può acquistare titoli dopo la pubblicazione di informazione negative in merito agli utili di un'impresa (ossia dove gli utili annunciati sono al di sotto delle aspettative) oppure può vendere titoli dopo la pubblicazione di informazione positive in merito agli utili di un'impresa. Un altro investitore, che ritiene che i mercati commettano errori complessivamente, può utilizzare indicatori tecnici (come il contante detenuto da fondi comuni di investimento o le vendite allo scoperto da parte degli investitori) per scoprire se il mercato stia comprando troppo o vedendo troppo e prendere la posizione contraria. Un ulteriore investitore, invece, che ritiene che gli errori di mercato siano più probabili quando le informazioni sono assenti, può investire in titoli che non sono seguiti da analisti o non siano detenuti da investitori istituzionali. Una stessa filosofia d'investimento può naturalmente plasmare una pluralità di strategie e tattiche di investimento. Per esempio, la convinzione che gli investitori sovrastimino costantemente il valore della crescita e sottovalutino il valore 191
delle attività esistenti può manifestarsi in una serie di strategie diverse, le quali vanno da una più passiva, come comprare azioni di con un basso rapporto prezzo/utili (P/E), a una più attiva o anche aggressiva, come comprare società a basso costo nel tentativo di liquidarle per ottenere i loro beni. Come già emerge da questi esempi, è possibile identificare diversi elementi sui quali le filosofie di investimento si differenziano o puntano maggiormente, come: investimenti di valore, che comportano la ricerca di azioni che un investitore ritiene siano attualmente sottovalutate dal mercato e i cui prezzi si aspetta che aumenteranno in modo significativo; fondamentali, che si basano sull'identificazione di società con forti prospettive di guadagno mediate un'analisi della loro redditività, ricavi, attività, passività; investimenti socialmente responsabili, che si concentrano sull'investimento in società le cui pratiche tengano conto e si allineino a criteri di rispetto sociale e ambientale; investimenti tecnici, che si basano sull'esame dei dati di mercato passati per scoprire modelli distintivi nell'attività di trading su cui basare le decisioni di acquisto e vendita. Naturalmente possiamo concettualizzare meglio il nucleo delle filosofie d'investimento facendo riferimento ad alcune caratteristiche ancora più generali. Di seguito ne esamino alcune delle più note. Tempistica del mercato vs selezione dei titoli. Un modo generale di concettualizzare le filosofie d'investimento è di dividerle in quelle che si basano sulla tempistica generale dei mercati oppure sulla ricerca di attività quotate male . Le prime su basano sul fattore temporale (timing) degli investimenti, mentre le seconde sulle modalità di selezione dei titoli. 10
Molti investitori tentano di battere i mercati sul tempo, ossia di capire quando entrare in un mercato e quando uscirne (acquistare o vendere titoli) in modo da fare profitti sulla differenza di valore che si creano in questi archi temporali, il famoso buy low sell high. Riuscire costantemente a fare ciò è molto difficile. Il punto infatti è come fare a decidere quali azioni scegliere, 192
ossia in base a quali criteri (grafici, fondamentali o potenziale di crescita). Con i tempi di mercato si scommette quindi sul movimento di interi mercati. Con la selezione degli asset, ci si concentra sulla raccolta di buoni investimenti all'interno di ogni mercato. Investimento attivista vs investimento passivo. Le filosofie d'investimento possono essere anche classificate come attiviste o passive; l'investimento attivista è diverso dell'investimento attivo. In una strategia passiva si investe in un'azione o società e Si attende che l'investimento produca il suo beneficio. Questo avverrà quando il mercato riconosce e correggere una valutazione errata. Pertanto, un gestore di portafoglio che acquista azioni con bassi rapporti prezzo-utili e utili stabili segue una strategia passiva. In una strategia attivista si investe in un'azienda e poi si tenta di cambiare il modo in cui l'azienda viene gestita per aumentarne il valore. Quindi gli investitori sono classificati attivisti quando non solo assumono posizioni in attività promettenti, ma forniscono anche input significativi sul modo in cui queste imprese debbano essere gestite. Negli ultimi anni abbiamo visto gli investitori portare la filosofia attivista nelle società quotate in Borsa, utilizzando grandi posizioni per cambiare il modo in cui le aziende vengono gestite. Invece qualsiasi investitore che cerca di battere il mercato selezionando azioni (per esempio di attività che si ritengono sottovalutate) è un investitore attivo e, perciò, gli investitori attivi possono adottare strategie sia passive sia attiviste. Orizzonte temporale. Diverse filosofie di investimento possono richiedere orizzonti temporali diversi: alcune filosofie richiedono di investire per lunghi periodi di tempo, altre si basano su brevi periodi di detenzione dei titoli. Una filosofia basata sul presupposto che i mercati reagiscono in modo eccessivo alle nuove informazioni generalmente adotta strategie a breve termine. Per esempio, è possibile acquistare azioni subito dopo l'annuncio di utili sotto le attese, tenerle per un paio di settimane, e poi vendere a un prezzo più alto, sulla base dell'ipotesi che il mercato corregga la sua reazione eccessiva. Al contrario, una filosofia di acquisto che mira a società trascurate (che non sono seguite da analisti o detenute da investitori istituzionali) può richiedere un orizzonte temporale molto più lungo. Un fattore che 193
determinerà l'orizzonte temporale di una filosofia di investimento è la natura dell'aggiustamento che deve verificarsi per raccogliere i frutti di una strategia di successo. Gli investitori che acquistano azioni in società che ritengono sottovalutate potrebbero dover attendere anni prima che si verifichi la correzione del mercato. Come abbiamo visto nel caso del trading automatico, è possibile realizzare profitti in orizzonti temporali di pochi secondi o decimi di secondo. Quindi, per costruire una filosofia d'investimento prima di tutto si sviluppa una visione di come gli esseri umani, o le macchine, si comportano, per esempio quando e come sono troppo lenti, o troppo veloci, o tendono a seguire il comportamento altrui. Poi si costruisce una visione di come i mercati si comportano e i loro punti deboli: dove falliscono. Infine, si produce una tattica, ossia si uniscono le opinioni su come gli investitori e i mercati funzionano (o non funzionano) e si elaborano piani di azione che sfruttino queste conoscenze su punti deboli e fallimenti per scegliere un investimento.
Che cosa significa investire Investire significa impiegare certe risorse finanziarie (un capitale) in beni o attività per trarne un profitto. L'operazione richiede pertanto di selezionare una o più attività sulle quali allocare questo capitale, ossia richiede di costruire un portafoglio. Un portafoglio finanziario altro non è un contenitore di un insieme di attività finanziarie. Normalmente la costruzione di tale portafoglio si articola in tre fasi: la prima richiede di valutare il rischio in un investimento e come metterlo in relazione con i rendimenti attesi; la seconda di determinare il valore di un'attività (obbligazione, azione, partecipazione immobiliare ecc.); la terza di effettuare un bilanciamento tra i costi e la velocità di negoziazione. Più in dettaglio: Fase #1: comprensione dell'investitore e del suo profilo di rischio. Il processo parte dall'investitore e dalla comprensione delle sue esigenze e preferenze. Normalmente, gestore di portafoglio e investitore sono due figure diverse. In tal caso, l'investitore è un cliente, e la prima e spesso più significativa parte del processo di investimento è la comprensione delle esigenze del cliente, del suo stato fiscale e, soprattutto, della sua attitudine nei confronti del rischio.
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Fase #2: costruzione del portafoglio. La parte successiva del processo è l'effettiva costruzione del portafoglio, che consta di tre passaggi: una decisione su come allocare il portafoglio tra diverse classi di attività (asset allocation), quali azioni, titoli a reddito fisso e attività reali (immobili, materie prime ecc.) ; una decisione sulla selezione dei titoli, in cui singoli titoli vengono scelti all'interno di ogni classe di attività per la composizione del portafoglio. In termini pratici, questo è il passo in cui vengono selezionate le azioni che costituiscono la componente azionaria del portafoglio, le obbligazioni che costituiscono la componente obbligazionaria e le attività reali che costituiscono la componente di attività reali; l'esecuzione, in cui il portafoglio è effettivamente messo insieme. In questo passaggio gli investitori devono pesare i costi di negoziazione a fronte delle loro esigenze di commerciare in tempi rapidi. Vi sono molti investitori che falliscono in questa fase del processo. Fase #3: valutazione delle prestazioni del portfolio. La parte finale del processo è la valutazione delle prestazioni. Un investimento mira in effetti a un obiettivo: massimizzare i profitti dell'investitore date le particolari preferenze di rischio e quindi costruire un portafoglio che batte il mercato.
Filosofie d'investimento e rischio La prima fase per costruire un portafoglio, come abbiamo visto, è quella di comprendere e valutare il rischio, o meglio come bilanciare il rischio di un investimento in relazione ai ritorni attesi. Il compromesso tra rischio e rendimento richiede di comprendere innanzitutto le preferenze di rischio degli investitori. I rendimenti attesi vanno vagliati sulla base delle caratteristiche dell'investitore, come il suo orizzonte temporale. Alcuni investitori tengono certi investimenti per lunghi periodi di tempo, mentre altri, che necessitano di liquidità, hanno orizzonti temporali più brevi. Quindi l'orizzonte temporale di un investitore avrà un'influenza sia sui tipi di attività che l'investitore deterrà nel suo portafoglio sia sui pesi di tali attività. La maggior parte degli investitori, se non tutti, sono avversi al rischio, o a un 195
rischio eccessivo, ossia alla possibilità di subire danni (perdite) di certe dimensioni. Per correre più rischi, bisogna offrire rendimenti attesi più elevati, e quindi, di converso, se un investitore vuole rendimenti attesi più elevati, deve essere disposto a correre più rischi. Il grado di avversione al rischio varia non solo da un investitore all'altro, ma anche nel caso dello stesso investitore in periodi diversi in funzione della sua età, ricchezza, reddito e salute. La costruzione di un portafoglio di attività finanziarie viene strutturata sulla base di due principi in merito al rischio: R1. più avverso al rischio è un investitore, minori attività volatili (come le azioni) il suo portafoglio dovrebbe contenere; R2. più ampio è l'orizzonte temporale di un investitore, maggiore è la proporzione del portafoglio che dovrebbe contenere attività rischiose. Infine, un elemento che gioca un ruolo importante nella definizione di un portafoglio è la fiscalità (le tasse). Il calcolo degli utili di un investimento avviene infatti al netto delle imposte e di conseguenza, le imposte influiscono sulla scelta dei titoli che compongono il portafoglio. Un portafoglio adeguato a un investitore che non paga tasse potrebbe non esserlo per un investitore che le paga. Inoltre, un investimento che è adeguato a un investitore su una parte del suo portafoglio (per esempio, il suo fondo pensionistico esentasse) potrebbe non esserlo per un'altra parte del suo portafoglio (i suoi risparmi tassabili). L'effetto delle imposte sulla composizione e sui rendimenti del portafoglio è naturalmente reso più complicato dal diverso trattamento tra rendimenti correnti (dividendi, cedole) e plusvalenze, le diverse aliquote d'imposta su varie porzioni di risparmio, nonché dalla modifica delle aliquote fiscali nel corso del tempo. Note 01 V. Veneziani, The Greatest Trades of All Time: Top Traders Making Big Profits from the Crash, Hoboken, John Wiley & Sons, 2011. 02 K. Popper, The Poverty of Historicism, London, ARK Paperbacks, 1944, p. 14. L'impossibilità della predizione scientifica di un fenomeno sociale deriva da ciò che Popper chiama «effetto edipico», che caratterizzerebbe le scienze sociali. Con effetto edipico Popper sostanzialmente intende l'influenza che la predizione di un evento esercita sull'evento predetto, come appunto la profezia che si auto-avvera nel caso di Edipo. 196
03 G. Soros, The Alchemy of Finance, New York, Wiley & Sons, 1987, p. 16 (trad. it. L'alchimia della finanza, Firenze, Ponte alle Grazie, 1998). 04 Ivi, p. 19. 05 Ivi, p. 26. 06 Ivi p. 29. 07 Si veda «Practical Thought About Charlie Munger's "Practical Thought About Practical Thought"», www.nasdaq.com, 7 aprile 2014. 08 Veneziani, The greatest trades of all time, cit. 09 A. Damodoran, Investment Philosophy, Hoboken, New Jersey, John Wiley & Sons, 2003. 10 Damodoran, Investment Philosophy, cit.
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9 L'avidità è un bene? Etica e finanza
«L'avidità è bene? In Wall Street, il celebre film di Oliver Stone, Gordon Gekko, l'iconico personaggio dell'alta finanza interpretato da Michael Douglas, risolve la tensione tra etica e finanza con un discorso che è diventato un cult non solo del cinema, ma del capitalismo contemporaneo. «L'avidità», dichiara Gekko, «in mancanza di una parola migliore, è bene. L'Avidità è giusta, l'avidità funziona, l'avidità chiarifica, penetra e cattura l'essenza dello spirito evolutivo. L'avidità in tutte le sue forme: l'avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha improntato lo slancio in avanti di tutta l'umanità». Se Gordon Gekko non sembra avere dubbi, dopo anni passati in prigione, il suo slogan - greed is good - si arricchisce di un punto interrogativo, tant'è che nel sequel Wall Street. Money Never sleep pubblica un libro intitolato appunto Is greed good? La domanda ovviamente è ancora attuale: è davvero possibile conciliare etica e finanza, bene pubblico da una parte e interesse e profitto personale dall'altra? L'immagine demonologica della finanza, o meglio di una parte della finanza, arriva a contestare l'opportunità dell'esistenza stessa dei mercati finanziari e azionari in particolare: questa rappresentazione infatti sostiene che il denaro e la finanza siano la fonte di ogni male e che non dovrebbero essere permessi. Questi strumenti, infatti, sarebbero responsabili dell'imbarbarimento etico e politico dell'essere umano, e non solo non contribuirebbero, ma sarebbero d'ostacolo alla costruzione di una società giusta. L'inaccettabilità morale ed etica riguarda ovviamente entrambe le parti coinvolte nelle attività finanziarie: prestatori e debitori. Quindi non solo prestare, ma anche contrarre un debito equivale a fare qualcosa di eticamente sbagliato e contrario alla buona gestione delle proprie risorse finanziarie, per esempio, perché sarebbe il frutto del tentativo (vizio) di vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche. Dall'altra parte, la finanza è ormai una infrastruttura centrale dell'economie e delle società 198
contemporanee, e questa centralità riflette il cambiamento d'atteggiamento morale ed etico nei suoi confronti, che ha portato alla sua accettazione . Questi atteggiamenti sono fondamentalmente tre: 01
l'idea della finanza come male - o peccato nella versione religiosa - e quindi da bloccare in quanto moralmente inaccettabile, come sostenuto da Aristotele. L'interesse (fare soldi dai soldi) o peggio l'usura, sono espressione di un bieco tornaconto personale e sono contrarie alla morale che dovrebbe stare a fondamento di una società prospera e compiuta;
l'idea della finanza come male necessario, sostenuta tra gli altri anche da Keynes. Da una parte la finanza è necessaria in quanto il prestito di denaro è utile socialmente ed economicamente poiché offre vantaggi quali, per esempio, affrontare carenze di reddito o ricchezza, investire a lungo termine, sostenere la crescita economica. La finanza è un mezzo per muoversi verso un mondo dove l'accumulazione di ricchezza diventerà molto meno importante, dove il male sul quale essa prospera o incentiva - avidità, comportamenti a breve termine, avventurismo, basso senso di responsabilità, assunzione eccessiva di rischi sarà progressivamente abbandonato e guardato retrospettivamente come primitivo;
l'idea della finanza come propellente essenziale per la crescita economica, quella che Thomas Friedman definisce camicia di forza d'oro. In sostanza il percorso verso la crescita economica è chiaro ma angusto e richiede anche di aderire alle esigenze di investitori globali la cui identità ci è celata. 02
Il passaggio storico e teorico dal primo al terzo atteggiamento è stato reso possibile da una serie di cambiamenti filosofici. Ne richiamo qui due particolarmente rilevanti. Il primo emerge grosso modo tra tardo Medioevo e Rinascimento e riguarda la separazione tra la nozione di interesse e quella di usura, ossia l'idea che una forma di compensazione (l'interesse appunto) spettante a coloro che prestano soldi sia legittima in vista di possibili danni o perdite. Il risarcimento sarebbe legittimo in quanto i prestatori «sono in mezzo» o «partecipano» (inter-esse) a un'impresa con tutti i rischi che essa comporta. In questa ottica, soldi e finanza non sarebbero sterili o maligni, in quanto sono una 199
risorsa essenziale per la creazione di prosperità e benessere . Ovviamente che cosa sia interesse e che cosa sia usura è stato definito e regolato, anche in termini quantitativi, in modo diverso da società ed epoche differenti, ma il nodo teorico cruciale è l'accettabilità, anche morale, di ciò che è permesso (l'interesse) e di ciò che invece non lo è e che quindi è considerato un male. La distinzione servirà come base per distinguere tra debito sostenibile e debito eccessivo. 03
Il secondo passaggio è la nozione di mano invisibile di Adam Smith, che mostrerebbe come la base stessa della finanza, l'interesse personale, possa in realtà essere benefico e utile da un punto di vista sociale . Nell'analisi (economica, e non etico-morale) di Smith, la concorrenza, guidata dall'interesse personale a ottimizzare i processi per avere maggiori profitti, spinge gli attori economici a offrire prodotti migliori a prezzi più bassi, allo scopo di attrarre la domanda dei consumatori, contribuendo così a elevare il benessere sociale nonostante i singoli attori economici non intendano raggiungere questo risultato. 04
Anche se oggi sappiamo che la mano invisibile e il primo teorema della teoria del benessere che lo formalizza non sono molto realistici, questo passaggio storico-concettuale è stato importante non solo per guardare in modo più tollerante a certi aspetti della finanza e del denaro, ma per mostrare come la sua presenza non fosse contraria al bene comune. Se ammettiamo dunque che l'esistenza dei mercati finanziari sia eticamente accettabile, vi sono varie questioni da dibattere. Tali questioni possono essere indagate proficuamente attraverso due prospettive: la prospettiva internalista, ossia le questioni etiche, come l'equità, che sorgono all'interno del sistema finanziario ; la prospettiva esternalista, ossia le questioni etiche che sorgono nella relazione tra il sistema finanziario e la società nel suo complesso. Naturalmente questa divisione non è così netta: i mercati finanziari hanno pervaso così tanti ambiti della vita individuale e collettiva che in alcuni casi rimane difficile stabilire i limiti tra questioni solo interne al funzionamento degli stessi e quelle che hanno un impatto all'esterno, ossia sull'economia e la società più in generale. La divisione può essere comunque utile per ordinare alcune delle principali questioni etiche in finanza. Lo sguardo internalista aiuta a evidenziare condotte eticamente riprovevoli o 200
disoneste - come l'azzardo morale, il conflitto d'interessi e l'insider trading in grado di procurare danni e inefficienze nei mercati finanziari fino ad arrivare all'insolvenza o alla bancarotta. Lo sguardo esternalista aiuta invece a mettere a fuoco il complesso intreccio tra finanza e società, e la sua gestione etica. Proprio perché i mercati finanziari sono così pervasivi, ciò che accade in essi influenza direttamente tutta la società. Il ruolo sociale della finanza è amplificato da due funzioni fondamentali che essa assolve: la creazione di valore e la redistribuzione di risorse. Questo rende la finanza una forza sistemica e solleva la questione di come gestire al meglio fenomeni come le crisi finanziarie, il rapporto tra Stato e finanza (la sostenibilità o meno di un debito, l'eventuale salvataggio statale di attori finanziari), la microfinanza, gli investimenti socialmente responsabili, l'accumulazione di ricchezze estreme.
Etica e finanza: uno sguardo dall'interno La maggior parte delle attività finanziarie non sono altro che una forma di contratto, in cui due parti giungono a un accordo, per esempio i prestiti bancari e le operazioni azionarie sono contratti. Quindi, dal momento che la contrattazione riveste un ruolo cosi predominante nella finanza, la principale questione etica all'interno dei mercati finanziari e azionari è quella della loro equità, soprattutto in caso di asimmetria informativa, ossia quando una parte ha informazioni o potere disuguali rispetto all'altra parte coinvolta nella contrattazione. In particolare, la questioni etiche nel settore dei servizi finanziari coinvolgono principalmente degli agenti, detti fiduciari, che hanno l'obbligo di agire nel miglior interesse di altre parti, i beneficiari. Quando i fiduciari hanno un interesse personale che interferisce con la loro capacità di servire gli altri, emerge ciò che si chiama un conflitto di interessi. Di conseguenza, le due principali questioni etiche affrontate nei sistemi finanziari sono: l'equità nella realizzazione dei contratti; il rispetto degli obblighi contrattuali. Esistono naturalmente molti modi di contravvenire o raggirare le due questioni, che minacciano la possibilità di creare e mantenere una condotta etica nei mercati e generano gli scandali finanziari. I principali fattori che 201
determinano l'equità interna dei sistemi finanziari sono fondamentalmente quattro: l'insolvenza (bancarotta), quindi l'etica del debito; l'onestà, e quindi i problemi di azzardo morale, inganno e frode; la cura per i clienti, e quindi i problemi di conflitti di interesse; il fair play, e quindi i problemi derivanti da insider trading. Una lezione impartita dal plateale fallimento del colosso energetico statunitense Enron nel 2001 è che la presenza di un codice etico non è sufficiente a garantire o incentivare condotte etiche. La Enron - impresa nominata come la più innovativa del pianeta nel 1990- vantava un dettagliato codice etico di 64 pagine, che è stato totalmente disatteso dai comportamenti che la società ha messo in atto nei rapporti sia interni sia esterni: i suoi manager hanno violato tutti i basilari principi etici arrivando a pratiche contabili fraudolente come «spostare»e enormi debiti fuori dal patrimoniale dell'azienda nel tentativo di farla sembrare più redditizia per attirare investitori o arrivando letteralmente a bruciare prove compromettenti. Nel frattempo, hanno assunto rischi enormi che si sono rivelati catastrofici. 05
L'etica del rischio I sistemi finanziari offrono Opportunità che richiedono di esporsi continuamente a rischi. Una questione cruciale contrattuale ed etica soprattutto in finanza è se, quanto e a quali rischi si dovrebbe esporre un attore finanziario. La questione ha ricevuto varie risposte in base a principi etici che possono anche essere molto distanti. L'approccio standard nell'analisi del rischio è regolato del seguente principio: (PA) L'esposizione a un rischio è accettabile se i suoi benefici totali superano i rischi totali, misurati come la disutilità ponderata per le probabilità dei risultati. Questa forma impersonale e utilitaristica è solo uno dei possibili modi di modellare l'esposizione al rischio. Per esempio, un altro principio sensato potrebbe essere il seguente : 06
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(P1) Nessuno dovrebbe essere esposto a un rischio a meno che non sia compensato da un beneficio maggiore. Questo principio a prima vista sembra ragionevole, ma ammette una conseguenza indesiderata: ci permette di esporre una persona a un rischio al fine di ottenere un beneficio per qualcun altro. Soprattutto in finanza, ciò di cui abbiamo bisogno è invece un principio che rispetti il diritto di ogni individuo di non essere sfruttato da altri che lo espongono a rischi, per esempio quando firma un contratto di gestione finanziaria. Dunque, un principio opposto a P1 è: (P2) Nessuno dovrebbe essere esposto a un rischio a meno che non sia compensato da un maggiore beneficio per sé stesso. Questo principio è molto ampio, ma presenta conseguenze altrettanto indesiderabili: preso alla lettera infatti potrebbe rendere impossibile la società umana. Un esempio tipico è il seguente: personalmente non traggo nessun beneficio dalle persone che guidano un'auto a Roma, in quanto esse aumentano il rischio che io sia vittima di un incidente stradale o di malattie legate all'inquinamento atmosferico. D'altra parte, queste persone non traggono alcun beneficio dal fatto che io guidi una macchina. Di conseguenza, P2 potrebbe essere utilizzato per bloccare tutto il traffico automobilistico. Per far funzionare P2, dobbiamo modificarlo, per esempio introducendo la nozione di diritto reciprocamente vantaggioso: se gli altri sono autorizzati a guidare una macchina, esponendomi a determinati rischi, allora anche io ho diritto di guidare una macchina ed esporre gli altri ai rischi corrispondenti. Questo potrebbe essere un beneficio reciproco. Possiamo quindi raffinare P2 ottenendo dunque: (P3) Nessuno dovrebbe essere esposto a un rischio a meno che: (i) vi sia beneficio personale superiore, o (ii) faccia parte di un sistema in cui più persone sono esposte allo stesso rischio e i benefici personali da questo sistema superano il rischio. P3 supera molti dei difetti di P2 in quanto consente molte cose che P2 vieterebbe. Tuttavia, è una regola ancora molto limitante: essa consente 203
accordi tra diverse persone che accettano il solo e medesimo rischio in modo che tutte ottengano vantaggi da tale assunzione di rischio. Ci permette di scambiare oggetti (rischi) dello stesso tipo, ma non rischi diversi. Supponiamo che nel mio quartiere ci sia una fabbrica che produce il prodotto x, che non uso. La fabbrica emette una sostanza chimica che dà luogo a un rischio molto piccolo per la salute. Un'altra fabbrica, lontano da casa mia, emette altre sostanze chimiche nella produzione del prodotto y che uso. Uno dei vicini di questa seconda fabbrica non utilizza il prodotto y, ma utilizza invece il prodotto x. In questo modo, e talvolta in catene molto più complesse, possiamo dire di scambiare rischi e benefici tra di loro. Possiamo quindi perfezionare P3 nel modo seguente: (P4) Nessuno dovrebbe essere esposto a un rischio a meno che non faccia parte di un sistema sociale di assunzione di rischi che funzioni a suo vantaggio. P4 ammette tutto ciò che è consentito da P3 più altre cose. Inoltre, riconosce i diritti individuali di ogni persona e comunque rende possibili adeguamenti reciprocamente vantaggiosi. Anche P4 presenta tuttavia un problema. Supponiamo in una società sia divisa in due classi lavoratrici. I membri della classe superiore conducono una vita protetta, mentre quelli della classe inferiore sono esposti a grandi rischi professionali. Per i membri della classe superiore, questo sistema sociale è altamente vantaggioso. Per quelli della classe inferiore, offre benefici appena marginalmente migliori del vivere al di fuori della società. Poiché P4 non vieterebbe questo scenario, bisogna quindi adeguare la regola includendo una clausola di giustizia distributiva: dobbiamo riconoscere che l'individuo esposto ai rischi abbia il diritto di esigere non solo che il sistema sociale di rischio sia a suo vantaggio, ma anche che riceva una giusta quota di questi vantaggi. Quindi possiamo raffinare P4 nel modo seguente: (P5) Nessuno dovrebbe essere esposto a un rischio a meno che non faccia parte di un sistema sociale equo per l'assunzione di rischi che funziona a suo vantaggio. Questo principio generale di accettazione sociale dei rischi tratta ogni persona esposta al rischio come un individuo sovrano che ha diritto a un trattamento equo, piuttosto che come un semplice vettore di utilità o disutilità che avrebbe lo stesso valore se fossero sostituito da qualcun altro. Quindi, diversamente da PA, P5 richiede che si debbano fornire motivi 204
sufficienti per accettare che un particolare individuo sia esposto a certi rischi. Passiamo ora ad analizzare i principali fattori che determinano l'equità interna dei sistemi finanziari, quali insolvenza, onestà, inganno e frode, conflitto di interesse, insider trading e i rischi annessi. Insolvenza La finanziarizzazione ha reso le identità economico-finanziarie degli agenti così liquide che molto spesso non esiste una separazione chiara tra la figura del prestatore e quella del debitore. Nello stesso agente si assommano infatti entrambe le attività: si può essere contemporaneamente debitori su un versante e prestatori su un altro, e ciò ha reso ancora più importante la solvibilità o meno dell'agente. La possibilità di una bancarotta, e delle sue ripercussioni, in questi casi può avere effetti profondi sulla tenuta del sistema finanziario ed economico. Questo solleva il problema dell'insolvenza (o bancarotta) e della sua gestione etica. L'insolvenza è stata concettualizzata e gestita in modi molto diversi, che sono il risultato di due fondamentali cambiamenti di atteggiamento filosofico. Tali cambiamenti hanno determinato un progressivo processo di spersonalizzazione, ossia di spostamento della responsabilità dell'insuccesso dal livello personale a quello collettivo-sistemico, e da una dimensione morale a una prettamente economica. Il primo cambiamento è dovuto alla finanziarizzazione, che ha coinvolto porzioni sempre più estese della vita collettiva e individuale, rendendo di fatto difficile separare i motivi individuali di un fallimento economicofinanziario da quelli collettivi. Nella misura in cui la possibilità di accedere a opportunità non solo di benessere ma anche di sussistenza o dignità dipende dalla possibilità di accedere al credito e agli strumenti finanziari, l'insolvenza o la bancarotta non possono più essere attribuite solo alla singola persona e alla sua volontà - frode o azzardo morale -, ma anche a cause esterne, per esempio un fallimento innescato da cicli economici che mediante una catena di cause ed effetti distruttivi arriva a investire un individuo contro la sua volontà o diligenza. Il secondo cambiamento è fissato in modo esplicito dalla teoria dell'economista austriaco Joseph Schumpeter sulla distruzione creativa, che riconoscendo la natura anche distruttiva dell'innovazione tecnologica, della 205
concorrenza e dello sviluppo, ha contribuito a un cambiamento fondamentale nella trattazione del fallimento e il debito . Poiché la distruzione e il fallimento di alcune imprese è un risultato endogeno dei processi capitalistici, la conseguente bancarotta va considerata un prodotto sistemico che, in quanto tale, va oltre le responsabilità dei singoli attori e va perciò trattata mediante apposite norme atte a salvaguardare tutti coloro che sono colpiti dal processo distruttivo e dalla conseguente crisi o bancarotta. Una economia di mercato che voglia funzionare in modo adeguato deve quindi prevedere un quadro normativo che gestisca l'insolvenza in modo sistemico ed economico, e non (solo) individuale e morale. L'assenza di tale quadro andrebbe a detrimento dell'innovazione, competizione e sviluppo economico. Pertanto, lo scopo principale della regolamentazione dei regimi di insolvenza è triplice: 07
stabilire condizioni uguali tra i creditori nella esecuzione dei creditori prendere accordi che garantiscano la sopravvivenza di unità produttive vitali in una crisi; trovare compromessi accettabili tra le contrastanti motivazioni e gli obiettivi di creditori e debitori. La legislazione esistente esprime una visione pro-creditore: il codice fallimentare prevalente, anche in Europa, rispecchia infatti la tradizionale etica dell'insolvenza che si concentra principalmente sulle procedure esecutive a tutela dei creditori. Il recente codice fallimentare americano ha modificato questa visione, sviluppandone una attenta anche al debitore con l'istituto della «bancarotta strategica», un dispositivo che introduce incentivi per spingere i debitori a tornare di nuovo sul mercato dopo una forma di bancarotta. Gli incentivi sono concessi sulla base dell'idea che il loro ritorno sui mercati genera effetti positivi sulle entrate fiscali, l'occupazione e le attività locali. Alla bancarotta strategica possono ricorrere imprese in qualche modo ancora liquide e in grado di onorare parte dei loro debiti, ma che hanno bisogno di ristrutturare alcuni di questi debiti per poterlo fare e non fallire. Per esempio, la bancarotta strategica può essere chiesta per sottrarsi da contratti eccessivamente onerosi e è quello della società di grandi magazzini Kmart, che nel 2002 chiese di potersi proteggere dai creditori accedendo alla bancarotta strategica perché la sua liquidità era bloccata da contratti di leasing a lungo termine a tassi molto alti (premium) nel caso di vari negozi 206
che non generavano profitti. Mediante la bancarotta strategica fu in grado di rinegoziare o revocare quei contratti di locazione così onerosi e ricominciare poi a operare sui mercati. Questo ribadisce che il debito è così radicato nel sistema capitalistico attuale da diventare una necessità: la questione dunque non è decidere se indebitarsi o meno, ma quando il livello di debito sia sostenibile oppure eccessivo, ossia quando l'insolvenza diventa davvero possibile. Onestà L'equità nella realizzazione dei contratti e il rispetto degli obblighi contrattuali, le due principali questioni etiche all'interno dei sistemi finanziari, presentano aree opache sulle quali possono innescarsi comportamenti disonesti e conseguenti inganni, frodi e truffe finanziarie. Una delle forme più sottili, dannose e pervasive di comportamenti disonesti è l'azzardo morale, espressione nata in ambito assicurativo, con la quale si intende quel comportamento per cui una delle parti di un contratto intraprende attività rischiose o volte a perseguire i propri interessi, e quindi non si comporta in buona fede, in quanto confida nel fatto che l'altra parte non sia in grado di verificare la presenza di dolo o negligenza, e che sia l'altra parte a sostenere le conseguenze dannose del suo comportamento. Per esempio, un automobilista con una polizza assicurativa che fornisce una copertura completa, il perdono degli incidenti e nessuna franchigia, può esercitare meno attenzione durante la guida rispetto a un automobilista con una polizza meno generosa, perché sa che la società assicurativa, e non lui, pagherebbe il 100% delle spese in caso di incidente, e quindi azzarda comportamenti che altrimenti non metterebbe in atto. Un altro esempio comune di azzardo morale è il salvataggio statale di grandi imprese: queste infatti potrebbero puntare su attività rischiose ma in grado di produrre grandi benefici (profitti) perché in caso di fallimento possono contare sul fatto che i costi di un eventuale esito negativo delle loro azioni verrebbe assorbito dal salvataggio statale, e quindi dai contribuenti. Se non potessero contare su tale salvataggio, le imprese metterebbero in atto comportamenti più prudenti. Un caso storico è rappresentato dai cospicui investimenti di varie banche europee a metà degli anni Novanta nel mercato asiatico, il quale era noto per essere incerto e instabile, - infatti entrò in crisi alla fine degli anni Novanta -, effettuati confidando nell'intervento del FMI in caso di crisi. 207
L'azzardo morale, e la conseguente assunzione di rischi eccessivi, è presente in vari settori dell'economia, ma in finanza è quanto mai accentuato. Strumenti come le assicurazioni sui depositi, o le garanzie governative, creano infatti incentivi bancari per l'assunzione di rischi eccessivi, e alterano la concorrenza. Inoltre, l'azzardo morale in finanza è più accentuato e facile perché i depositi di norma provengono da tanti piccoli risparmiatori, disinformati o con capacità di monitoraggio limitate. Ciò contrasta nettamente con il caso delle società non finanziarie, dove in generale c'è un minor numero di creditori, e uno di loro (una banca) ha un ruolo speciale e forte di monitoraggio. L'azzardo morale si muove dunque sulla linea che separa una eccessiva assunzione di rischi da una tollerabile. Identificare questa linea, e dire quanto viene superata in buona o cattiva fede, può essere difficile anche per casi che sembrano più chiari, come inganno o frode. Inganna e frode La finanza fa spesso notizia per gli scandali etici originati da casi di frode o inganno, come quello della Enron. Gli scandali possono essere generati anche da pratiche di marketing ingannevoli, commissioni o tasse occulte, rischi finanziari non divulgati o travisati, o l'attuazione dello schema Ponzi. Questi esempi sembrano così ovvi da rendere l'identificazione di che cosa sia una frode o un inganno piuttosto chiara. Tuttavia, un esame più fine della questione mostra come non sia così semplice caratterizzare un inganno o una frode finanziaria . 08
Esaminiamo infatti il caso più semplice di inganno, ossia travisare o mentire deliberatamente in merito a fatti finanziari. Ciò presuppone che vi sia qualcosa come un fatto finanziario, vale a dire un modo corretto di rappresentare un valore finanziario o una transazione. Tuttavia, se ammettiamo che gli oggetti finanziari siano socialmente costruiti, questo potrebbe non essere sempre così chiaro. Per esempio, una concezione di frode è quella che la definisce come un processo mediante il quale la parte più debole in una transazione finanziaria non viene messa a conoscenza di informazioni necessarie per prendere una decisione razionale . Molti paesi richiedono infatti che il venditore di un prodotto finanziario produca informazioni rilevanti sul prodotto in modo che si possa decidere in modo razionale come e se farne uso. 09
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Questa caratterizzazione della frode o inganno, che viene definita in base a una decisione razionale, è tuttavia soggetta a forti limitazioni perché non è chiaro che cosa sia una decisione razionale e quali siano le informazioni necessarie per prenderla, tanto più in finanza, i cui prodotti sono spesso astratti, complessi e difficili da valutare. Inoltre, è controverso se l'accesso a informazioni adeguate sia sufficiente a prendere una decisione razionale. Infatti, la parte più debole, per esempio gli investitori comuni, possono avere difficoltà a elaborare le informazioni in modo da identificare i casi di frode. Pertanto, la piena razionalità degli agenti non solo richiede l'accesso a informazioni adeguate, ma anche l'accesso a capacità di elaborazione e risorse per analizzare le informazioni. Conflitto di interesse A causa della complessità dei prodotti finanziari, la maggior parte delle persone si astiene dal gestire da sola le proprie finanze e si affida ai servizi degli intermediari finanziari: banche, fondi di investimento o compagnie di assicurazione. Questo solleva problemi etici dovuti al possibile conflitto di interessi nell'intermediazione finanziaria. In effetti, gli intermediari hanno ampie opportunità, e spesso anche incentivi, ad abusare delle risorse e della fiducia dei loro clienti. Tanto per citare un esempio estremo, durante la crisi delle banche messicane del 1995, è stato appurato che le banche si erano impegnate in prestiti correlati, vale a dire prestiti e aperture di credito a società in mano ai proprietari delle banche stesse. Anche se dare una definizione esatta di conflitto di interessi non è facile, la letteratura è piena di esempi di tale condotta, come la zangolatura o chuming (trading eccessivo per generare commissioni elevate) o il frontrunning (l'acquisto di un bene prima di rivenderlo al proprio cliente a un prezzo più alto). Un istituto giuridico che mira a proteggere i clienti è il dovere fiduciario, che impone obblighi nei confronti dei fiduciari (incaricati di gestire il denaro altrui) di agire nell'unico interesse dei beneficiari (coloro che possiedono il denaro). Tale dovere fondamentalmente è quello di massimizzare i ritorni sugli investimenti. Tuttavia, anche per quanto detto sull'etica dell'esposizione al rischio, alcuni sostengono che ci sono casi in cui gli interessi più ampi di quelli dei beneficiari dovrebbero avere la precedenza , per esempio investire in petrolio genera elevati rendimenti finanziari, ma gravi rischi per il futuro delle persone. In ogni caso, i doveri fiduciari vanno 10
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oltre l'idea di un libero mercato per dare invece protezione alla parte più debole di una relazione fragile. Oltre al dovere fiduciario, alcuni sostengono la necessità di impostare un codice etico da parte dei professionisti della finanza . L'idea può essere difficile da realizzare in quanto l'industria finanziaria è troppo frammentata in ruoli e competenze diverse per poter avere un codice etico uniforme e perché inoltre non è chiaro se la finanza possa essere considerata una professione nel senso tradizionale, che in genere richiede un corpo di conoscenze specializzate, alti gradi di organizzazione e di autoregolamentazione, e un impegno per il servizio pubblico. 11
Il conflitto di interessi può diventare estremamente dannoso quando riguarda le banche, come dimostrato proprio dalla crisi delle banche messicane del 1995. In questo caso, infatti, le banche finiscono per non svolgere più il loro ruolo naturale di controllo dei loro clienti, e quindi alterano le condizioni dell'accesso al credito e ostacolano la buona allocazione delle risorse finanziarie che dovrebbe essere la funzione principale di una banca. Insider trading Probabilmente il problema etico più noto per quanto riguarda l'equità nella finanza, e anche forse quello su cui i filosofi più non sono d'accordo è l'insider trading. È anche per questo motivo che Gordon Gekko viene incriminato nel film Wall Street. L'insider trading si verifica quando un agente utilizza la sua posizione all'interno di una società, o informazioni privilegiate su di essa, per acquistare o vendere le sue azioni (o altre attività finanziarie correlate) in momenti e a prezzi favorevoli. Per esempio, l'amministratore delegato di una società può acquistare azioni della propria società poco prima della comunicazione di un aumento degli utili, che farà crescere il prezzo delle azioni: sebbene non commetta frodi o venga meno al dovere fiduciario, egli sfrutta una palese asimmetria informativa. Anche in questo caso, è difficile dare una definizione esatta di insider trading, e questa tende a variare da una giurisdizione all'altra, ma la maggior parte dei commentatori concorda che sia possibile caratterizzarlo mediante le nozioni di informazione e di asimmetria informativa. 210
Un insider trader non deve essere necessariamente all'interno dell'azienda: colui che abusa dell'accesso alle informazioni potrebbe essere un famigliare o un amico, o perfino un analista o un giornalista se opera su informazioni che ha raccolto ma non ancora messo a disposizione del pubblico . Inoltre, è oggetto di dibattito se l’insider trading richieda che una negoziazione debba avere luogo oppure se sia tale anche quando la si evita basandosi su informazioni privilegiate. 12
Che cosa rende l'insider trading sbagliato? Per rispondere a questa domanda sono state sviluppate almeno tre prospettive. La prima usa il concetto di fair play nessun agente può partire da una posizione ingiustamente avvantaggiata e le transazioni di mercato non sono giuste se una parte ha accesso a informazioni che l'altra non ha, indipendentemente dal suo ruolo occupato all'interno di una società . L'argomento è tuttavia criticato perché impone esigenze di uguaglianza informativa tali da poter bloccare il funzionamento del mercato: in fondo vi sono molte asimmetrie informative sul mercato che non sono problematiche e anzi sono costitutive, per esempio il fatto che una casa d'asta conosca meglio dei suoi clienti le opere d'arte. 13
La seconda prospettiva considera l'insider trading come una violazione del dovere verso la fonte delle informazioni piuttosto che verso la controparte commerciale. Per esempio, la legislazione statunitense considera le informazioni privilegiate una proprietà della società sottostante e, quindi, l'insider trading sarebbe una forma di furto di proprietà aziendale . In questa linea argomentativa si inserisce l'idea di considerare l'insider trading una violazione del dovere fiduciario che gli addetti ai lavori hanno nei confronti dell'azienda per la quale lavorano . Tuttavia, questa impostazione rischia di travisare il rapporto tra aziende e addetti ai lavori: vi sono molte situazioni in cui gli addetti ai lavori devono diffondere informazioni privilegiate a fonti esterne. Inoltre, se ammettiamo che l'informazione sia di proprietà dell'azienda, allora potrebbe essere venduta agli addetti ai lavori come forma di remunerazione . 14
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La terza prospettiva si concentra invece sugli effetti, sia diretti sia indiretti, di consentire l'insider trading. Questa posizione tuttavia osserva anche che non sia affatto scontato che l'insider trading sia dannoso, perché può anche avere effetti positivi. In realtà, poiché uno dei principali scopi dei mercati finanziari è quello di formare (scoprire) prezzi che riflettano tutte le informazioni disponibili su una società, e poiché l'insider trading contribuisce 211
in modo importante a formare il prezzo mediante l'uso di informazioni sensibili, si potrebbe argomentare che questo sia il migliore modo di scoprire i prezzi . Tuttavia, tale beneficio non sembra essere sufficiente a compensare gli effetti negativi derivanti dal consentire l'insider trading : questi potrebbero erodere le norme morali degli operatori di mercato favorendo l'opportunismo rispetto al fair play, e molte persone potrebbero non partecipare al mercato poiché lo avvertirebbero come truccato a loro sfavore. 17
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Etica e finanza: uno sguardo dell'esterno La finanziarizzazione ha fatto sì che i mercati finanziari e azionari abbiano assunto una dimensione sistemica e sociale senza precedenti: le dinamiche finanziarie non riguardano più solo processi interni, ossia le responsabilità degli agenti in quanto partecipanti ai mercati finanziari o economici, ma hanno un impatto sulla vita degli Stati e della società in generale. Questa responsabilità pone nuovi problemi circa la condotta che il sistema finanziario può o dovrebbe seguire, sui confini entro i quali la finanza dovrebbe operare, e quali relazioni e limitazioni debbano intercorrere tra i mercati finanziari da una parte, e Stati e società civile dall'altra. Tali problemi investono vari aspetti della vita sociale, tra cui, l'accumulo di ricchezza estreme, l'etica del bail-out (il salvataggio statale di grandi attori finanziari), i problemi di redistribuzione della ricchezza, il deficit pubblico e la sua sostenibilità, e più in generale il ruolo sociale della finanza. Analizziamo innanzitutto le due funzioni basilari del sistema finanziario, creazione di valore e redistribuzione, e le loro conseguenze etiche. Per quanto riguarda la funzione redistributiva, le decisioni degli attori e dei regolatori dei mercati finanziari hanno un impatto significativo sulla distribuzione del reddito personale e collettivo. Il sistema finanziario ha una enorme capacità di orientare la distribuzione della ricchezza, e di farlo anche sulla base al merito. Ovviamente questo non è molto sorprendente, dal momento che la principale funzione della finanza è quella di portare risorse economiche e denaro là dove è più necessario: raccoglie il risparmio e lo sposta dove può essere impiegato per consumi, investimenti o spese pubbliche e così facendo ha l'effetto di ridistribuire le risorse tra individui, raggruppamenti sociali, imprese, settori di attività, località. Pertanto, decisioni economiche prese da autorità indipendenti e private incidono sulla distribuzione del reddito e della ricchezza pubblica. 212
Se questo crea preoccupazioni, tuttavia va ricordato che senza il sistema finanziario, le risorse rimarrebbero non utilizzate là dove sono state generate, in mano alle persone che attualmente non ne hanno bisogno (per lo più ricchi, potenti, e anziani) e privando le persone che ne hanno bisogno. La finanza, se correttamente praticata, svolge quindi un ruolo redistributivo importante e positivo. Per quanto riguarda la funzione di creazione di valore, naturalmente il sistema finanziario nel suo complesso continuamente crea soldi e valore. Questo è uno dei compiti che tradizionalmente viene attribuito alle banche centrali, che sono gli istituti attraverso i quali si regola la politica monetaria e il rapporto tra economia reale e sistema bancario e finanziario. La visione standard sulla creazione di moneta afferma che le banche centrali fissano i tassi di interesse e le riserve, e gli attori finanziari, come le banche commerciali, seguono queste direttive nell'erogazione dei prestiti. Questa visione tuttavia è difettosa: esistono ulteriori meccanismi attraverso i quali altri attori finanziari, come le comuni banche commerciali, creano valore aggiunto e ricchezza, meccanismi che hanno sempre suscitato reazioni contrastanti. Nell'intermediazione tra mutuatari e prestatori, prestiti e depositi, le banche infatti non si limitano a trasferire o distribuire risorse, ma le creano. L'esempio paradigmatico è il moltiplicatore di credito o deposito moltiplicatore. La capacità delle banche di creare moneta partendo da una somma inizialmente depositata può essere illustrata attraverso un semplice esempio numerico. Supponiamo che la banca centrale aumenti di 100 euro la base monetaria (per esempio stampando banconote) e che i cittadini depositino questa somma in una banca. La banca, ora, potrà creare ulteriore liquidità bancaria partendo dal deposito iniziale. Infatti, dopo aver accantonato una certa quota a titolo di riserva obbligatoria (poniamo il 20%) potrà prestare i restanti 80 euro a coloro che hanno bisogno di credito. Se questo denaro ritorna di nuovo nel circuito bancario, la banca che lo riceve in deposito potrà riutilizzarlo dopo aver nuovamente dedotto la quota di riserva obbligatoria, ovvero potrà concedere crediti per 64 euro. Chiaramente la somma disponibile sarà sempre minore e il processo si arresterà quando la somma delle riserve accumulate dalle banche sarà uguale al deposito iniziale. Grazie a questo processo da una base monetaria iniziale di 100 euro il sistema creditizio avrà generato moneta bancaria per un ammontare pari a 500 euro. Pertanto, in tempi normali, la banca centrale non fissa la 213
quantità di denaro in circolazione, né il denaro della banca centrale è «moltiplicato» in più prestiti e depositi: sono le banche commerciali a creare denaro sotto forma di depositi bancari quando fanno nuovi prestiti. Quando una banca fa un prestito, per esempio a qualcuno che prende un mutuo per comprare una casa, in genere non lo fa dandogli migliaia di banconote. Al contrario, accredita sul suo conto bancario un deposito bancario pari all'ipoteca sulla casa. In quel preciso momento si crea nuovo denaro. In altri termini, i nuovi depositi creano nuovo denaro, e nuovi depositi vengono creati quando le banche prestano. Infatti, quando vengono pagati più prestiti di quanti ne vengono creati, il denaro in circolazione diminuisce . 19
Il processo è possibile perché le risorse finanziarie possiedono almeno in parte la proprietà di non-rivalità, per la quale il loro uso per prestiti a un mutuatario non ne impedisce l'uso per altri mutuatari. La leva finanziaria è un altro potente meccanismo di creazione di valore, in quanto in grado di aumentare i ricavi da investimenti, e le perdite. La leva finanziaria è l'utilizzo di fondi presi in prestito (capitale di terzi) per investire. I beni immobili, per esempio, sono spesso acquistati con capitale prestato, in modo che i mutuatari possano ripagarlo mentre lo utilizzano. Ovviamente come ogni strumento ha sia pro sia contro. Da una parte infatti senza leva finanziaria, un investimento a lungo termine sarebbe quasi impossibile. Dall'altra, la leva aumenta la volatilità dei rendimenti e i rischi di insolvenza. Alla luce di questo grande potere e della responsabilità delle banche nella creazione di ricchezza, non sorprende che esse siano state sottoposte a controlli da parte degli enti pubblici. Uno dei compiti principali delle autorità monetarie è infatti quello di fissare e regolare l'offerta di moneta, come strumento di gestione macroeconomica nel perseguimento degli obiettivi di inflazione e di crescita economica. Ma la finanziarizzazione, la crescita delle operazioni transfrontaliere, l'innovazione tecnologica e il ricorso a strumenti non convenzionali hanno cambiato radicalmente anche i meccanismi di trasmissione monetaria. Le banche e i mercati finanziari hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nei canali di trasmissione delle politiche monetarie e le banche centrali non possono controllare automaticamente tutto il fenomeno monetario, perché esistono strumenti monetari non riservati, come i fondi comuni di investimento, che imitano i conti correnti. Inoltre, le banche non sono solo creatori di depositi, ma reagiscono ai segnali monetari attraverso una risposta di prestito e i mercati dei capitali forniscono una varietà di canali di 214
finanziamento complementari ai prestiti bancari. Quindi si è imposta recentemente una visione banco-centrica della trasmissione monetaria che conferisce alle banche una funzione chiave. Pertanto, non solo le banche partecipano attivamente alla creazione di moneta, ma svolgono un importante ruolo di politica pubblica nella misura in cui influenzano la politica monetaria e, quindi, anche la gestione macroeconomica. Questo apre un importante problema di filosofia della finanza, ossia la relazione tra banche commerciali e banche centrali nella creazione del denaro. Se la situazione attuale è caratterizzata da un modello misto, nel quale pubblico e privato coesistono, vari ricercatori hanno argomentato a favore di un cambio di questo modello in una delle due direzioni (totalmente pubblico o privato). Nell'attuale modello ibrido, le banche commerciali private creano denaro, ma lo fanno comunque in modo tale da essere regolamentate e soggette all'autorità della banca centrale all'interno di ciascuna giurisdizione monetaria, e la banca centrale agisce da prestatore ultimo. I sostenitori dell'alterativa totalmente pubblica pensano invece a un modello in cui alle banche private viene tolta la facoltà di creare denaro e l'offerta di moneta è direttamente controllata dal governo o da qualche altra agenzia statale, per esempio la banca centrale presta direttamente alle imprese e alle famiglie. Tale posizione viene difesa in vari modi: affermando che un'opzione pubblica consentirebbe una maggiore stabilità finanziaria o che un sistema pienamente pubblico di creazione di moneta consentirebbe una trasmissione più agevole delle decisioni democratiche in materia economica. I sostenitori dell'alternativa totalmente privata sostengono invece un modello di libero mercato bancario (free banking) per cui la banca centrale non dovrebbe avere alcun ruolo nella creazione di moneta: l'offerta di moneta dovrebbe essere in mano a fornitori privati e i consumatori di denaro potrebbero liberamente scegliere tra essi. Tale modello ha ricevuto un recente sostegno con l'ideazione e la diffusione dei Bitcoin e di altre criptovalute, che vengono difese, in quanto sistemi non centralizzati e non pubblici, proprio con argomenti liberali simili.
Impatto sociale e sistemico della finanza Le recenti crisi finanziarie e le loro drammatiche conseguenza hanno mostrato chiaramente quanto sistemico e sociale sia ormai il ruolo della 215
finanza. Queste crisi hanno portato all'attenzione generale almeno due punti cruciali: il livello di intreccio e interdipendenza tra sistema finanziario ed economia reale; il fatto che gli istituti finanziari non abbiano internalizzato i costi di tali eventi negativi, ossia che non fossero in grado di far fronte alle crisi con le risorse interne al sistema. L'osmosi tra sistema finanziario ed economia reale è diventate così profondo che ormai può bastare che anche una sola banca fallisca per aprire un problema di solvibilità e tenuta dell'intero sistema finanziario o di sue ampie parti: come in un domino, ciò può scatenare un ritiro massivo di fondi dal mercato, che può indurre una forte contrazione monetaria, particolarmente dannosa per le PMI, e indurre una recessione. Alla luce di ciò, si può sostenere che il sistema finanziario e quello bancario in particolare non può essere considerato come qualsiasi altro settore dell'economia : in quanto più strettamente e sistematicamente interconnesso con le professioni e le comunità, svolge una funzione quasipubblica, come fornire liquidità, creare moneta, proteggere dal rischio e trasmettere la politica monetaria; ha un ruolo significativo sotto il profilo allocativo e quello distributivo, essenziali per le economie di mercato avanzate e le democrazie; è più esposto a rischi morali e conflitti di interesse. 20
Questo pone il problema di come gestire il complesso rapporto tra finanza, economia e società soprattutto nei momenti di crisi finanziaria.
Le crisi finanziarie Dal momento che la finanza ha un impatto così diffuso e profondo sull'economia e la società, diventa essenziale capire le cause di eventi cruciali come le crisi finanziarie e, in caso, poterle gestire al meglio. Tali crisi, infatti, possono facilmente travalicare i confini del sistema finanziario e trasformarsi in crisi economiche sistemiche e poi sociali. Questo richiede di sviluppare strumenti per predirle, quando possibile, e, in caso, mitigarle se non è possibile evitarle. L'esigenza di comprendere le crisi finanziarie e le loro conseguenze sistemiche e sociali è tanto più marcata quanto più la storia economica dell'umanità è stata segnata in modo crescente da crisi 216
finanziarie e dalla sindrome «questa volta è diversa» . Da una parte, episodi di inadempimento e crisi finanziaria si sono verificati praticamente in tutti i paesi, in particolare quando le economie dei mercati emergenti provano a entrare in una fase di sviluppo avanzata. Dall'altra, creditori, investitori e governi mostrano la pericolosa tendenza a non imparare dagli errori e a indulgere appunto nell'illusione, che ogni caso e tempo siano diversi l'uno dall'altro, e quindi che ogni crisi, o pre-crisi, dovrebbe essere trattata in modo diverso. 21
Per crisi finanziaria si intende una situazione nella quale un asset finanziario perde, in un breve lasso di tempo, gran parte del suo valore nominale. Esempi di crisi finanziaria sono il panico bancario, i crash azionari, le crisi valutarie o lo scoppio delle bolle. Una delle cause principali delle crisi finanziarie, a partire dal quella del 2008, è l'altissimo livello di assunzione di rischio da parte di banche di porre rimedio a questo disastro è il bail-out, ossia il salvataggio da parte dello Stato, messo in atto nel 2008 negli USA. Questo apre un problema etico, ossia il rapporto Stato-sistema finanziario: quando i governi intervengono per salvare le banche, sottraggono infatti parte della spesa pubblica per aiutare privati che lavorano a Wall Street. Questo, a sua volta, ci conduce a un problema di fondo, vale a dire se, e in quale misura, gli agenti finanziari abbiano un obbligo morale nel limitare il proprio contributo al rischio sistemico. Se da una parte si può sostenere che le transazioni finanziarie comportino sempre dei rischi e che questo faccia parte del gioco, dall'altra è altrettanto evidente che le crisi finanziarie abbiano effetti negativi su terze parti (le esternalità) e ciò impone un dovere di precauzione da parte degli agenti finanziari, basato sulla responsabilità sociale, di evitare danni inutili. Nei casi in cui tale precauzione sia impossibile, c'è chi sostiene che le vittime dovrebbero essere risarcite dei danni, in quanto questo contribuirebbe a diminuire l'assunzione di rischi da parte degli agenti finanziari e avrebbe quanto meno l'effetto di non accrescere l'assunzione di rischi inutili e evitabili. Due fattori determinano quanto l'attività di un agente contribuisca al rischio sistemico: il rischio finanziario dell'attività dell'agente, cioè la probabilità e le dimensioni delle potenziali perdite per un particolare agente. In questo 217
caso il dovere di precauzione può essere espresso mediante l'introduzione di requisiti più severi in materia di capitale e riserve di liquidità, ossia di denaro che gli agenti devono conservare nelle loro casse per fronteggiare situazioni di crisi ; 22
il posto e il ruolo del agente nel settore finanziario, e quindi il potenziale effetto a cascata di un suo fallimento sugli altri agenti. In questo caso l'obbligo di precauzione cadrebbe sugli agenti finanziari che sono di rilevanza sistemica o too big to fail. Tuttavia, questo richiede di comprendere meglio il livello del rischio sistemico e a tal fine sono stati sviluppati due indicatori: la dimensione dell'impresa; l'interconnessione (complessità) dell'impresa. Nel primo caso, le dimensioni delle imprese sono in genere considerate come un fattore primario di rischio sistemico, e le grandi banche sono generalmente considerate di rilevanza sistemica. Tuttavia, ci sono sempre più evidenze che la dimensione potrebbe non essere determinante per il rischio sistemico, né essere un importante fattore di contagio tra le banche. Il caso della banca inglese Northern Rock è spesso citato come un esempio del fatto che una banca relativamente piccola può avere un alto potenziale di contagio. Tuttavia, abbiamo qui un problema di soglia, ossia di strumenti analitici in grado di determinare quando una entità finanziaria diventi too big to fail e a tal fine sono stati sviluppati anche altri indicatori oltre alla dimensione per determinare il rischio sistemico. Tre indicatori particolarmente importanti sono: una leva più elevata; un capitale di primo livello (Tier 1) basso; l'interconnessione. In altre parole, per determinare il potenziale rischio sistemico non solo vale il principio «troppo grande per fallire», ma anche «troppo complesso e troppo interconnesso per fallire». L'interconnessione è una caratteristica fondamentale del settore finanziario in quanto è esso capillarmente integrato nella struttura economica reale: i sistemi e le funzioni di pagamento che operano attraverso banche e altri intermediari finanziari 218
influenzano ogni transazione economica e una crisi finanziaria si trasforma quindi facilmente e velocemente in una crisi commerciale ed economica. Ma è possibile, e in caso come, scongiurare una crisi? È possibile una revisione normativa che permette di avere un sistema finanziario che sia quanto più sicuro possibile e al contempo in grado di contribuire alla prosperità collettiva? Queste domande aprono un grande dibattito, ossia quello del rapporto tra regolamentazione, mercati ed etica e di seguito tratteggio i due principali filoni, quello contro e quello a favore di un eccesso di regolamentazione.
I danni della regolamentazione La regolamentazione rappresenta una minaccia per i mercati, in quanto può inibire il libero mercato, che è considerato il modo più efficiente per prezzare un bene, e un prezzo ottimale migliora l'efficienza di una azienda e riduce i costi per i consumatori. La regolamentazione può infatti deformare un mercato fino a renderlo inefficiente introducendo varie conseguenze negative. Una di queste è la possibilità di stagflazione, ossia quella particolare condizione economica in cui i prezzi tendono ad aumentare, mentre la crescita economica rallenta o va in recessione (di norma, la recessione è accompagnata da un contenimento dei prezzi e viceversa). Un esempio è la norma del 2013 con cui la Federal Reserve ha richiesto alle grandi banche di avere attività più liquide. Questa norma ha costretto le banche a comprare titoli del Tesoro statunitensi in modo che potessero rapidamente venderli nel caso in cui un'altra crisi finanziaria si fosse materializzata. Di conseguenza, le venticinque maggiori banche hanno aumentato le loro partecipazioni in obbligazioni del 88% tra febbraio 2013 e febbraio 2015. L'aumento della domanda ha spinto i rendimenti dei Treasury a lungo termine verso il basso. I tassi d'interesse più bassi hanno stimolato i prestiti, ma ridotto la domanda di azioni. Il requisito della Fed ha inoltre ridotto la liquidità del mercato obbligazionario stesso: molte banche si sono tenute le obbligazioni invece di acquistarle e venderle, rendendo non solo più difficile trovare acquirenti, ma anche i rendimenti obbligazionari a lungo termine artificialmente bassi. Inoltre, la regolamentazione può smorzare la crescita economica in quanto le aziende devono utilizzare il loro capitale per rispettare vincoli di riserva e molte regole invece di investirlo in impianti, attrezzature e persone e, in più, 219
le normative non sono efficaci contro nuovi tipi di prodotti finanziari, come i credit default swap. Le aziende finanziarie creano infatti prodotti redditizi in aree impreviste e le autorità di regolamentazione faticano a tenere il passo con i pericoli che questi prodotti innovativi spesso introducono. Inoltre, alcune aziende leader del settore diventano troppo interconnesse con i loro regolatori e i loro valutatori (le agenzie di rating) e li influenzano per creare regole che le favoriscono o soffochino la concorrenza. Ma soprattutto, la regolamentazione, in quanto strumento attraverso cui introdurre modelli finanziari, può plasmare o creare un mercato. Infatti, gli attori finanziari, come tutte le persone, si adeguano alla regolamentazione sulla base dei loro incentivi, e coloro che progettano interventi normativi dovrebbero tenere conto di questo aspetto riflessivo nel momento in cui strutturano norme volte a regolare un sistema sociale come un mercato. Infatti, i mercati finanziari continuano a evolversi plasmati anche da norme e regolamentazioni e gli esempi non mancano. Per esempio, la cartolarizzazione delle attività finanziarie è decollata negli anni Novanta grazie a Basilea I, che ha introdotto pesi di rischio differenziali e un approccio sempre più quantitativo alla gestione del rischio. Il risultato è stato che le banche hanno eliminato attività con pesi di rischio più elevati per risparmiare sul loro capitale, e fin qui tutto bene. Tuttavia, poiché Basilea I assegnava pesi di rischio pari a zero ai debiti di tutti i paesi dell'OCSE, molti attori finanziari hanno investito nel debito sovrano di questi paesi senza valutarli bene fino in fondo (come la Grecia). In altre parole, la regolamentazione aumenta artificialmente la domanda di attività etichettate come a basso rischio, il che a sua volta crea incentivi per aumentare l'offerta di tali attività. Ciò non implica però che queste attività diventino più sicure o solvibili. 23
Più in generale, i vari accordi di Basilea spingono tutte le entità finanziarie a valutare il rischio nello stesso modo, premiandole quando aumentano la percentuale delle attività a basso rischio nel loro portafoglio. Questo in realtà può aumentare la fragilità del settore finanziario e di quello bancario in particolare: premiare le banche che detengono i titoli valutati bene dalle agenzie di rating è una norma che contribuisce a creare immensi premi per la produzione e l'acquisto di questi titoli. In pratica crea una visione monistica del rischio e il fatto che tutti valutino nello stesso modo il rischio può essere letale durante una crisi perché incoraggia una corsa simultanea all'uscita, ossia a una vendita massiccia (dumping) e concomitante di certe attività finanziarie che prosciuga il mercato lasciando solo venditori. La crisi russa del 220
1998 è un esempio di come l'adozione di processi di questo tipo possa condurre alla creazione o al rinforzo di una crisi.
I benefici della regolamentazione La regolamentazione rappresenta una valvola di sicurezza essenziale per i mercati in quanto essa spinge e incanala comportamenti eticamente responsabili necessari per impedire o frenare una eccessiva assunzione di rischi e i conseguenti eventi critici come la Grande Recessione del 2008, che viene infatti descritta come il tipico esempio di crisi causata in gran parte da una mancanza o un allentamento degli standard etici. Un fallimento finanziario è infatti anche un fallimento etico, che in quanto tale può essere almeno in parte corretto da nuove regole: spesso un'eccessiva assunzione di rischio è più pronunciata là dove tale assunzione è meno regolamentata (lassismo normativo). Non a caso lacune normative (o un fallimento della regolamentazione vigente), sulle quali si sono innestati comportamenti etici irresponsabili, sono state identificate come le cause primarie della Grande Recessione. Le principali sono: l'allentamento della separazione tra le banche commerciali e le banche d'investimento, che ha sia permesso l'utilizzo di depositi per investimenti ad alto rischio sia spinto investitori in cerca di reddito a depositare i loro risparmi in conti che utilizzavano tali investimenti ad alto rischio; l'assenza di requisiti di trasparenza nella costruzione dei prodotti derivati; l'assenza di regolamentazione, o il mancato rispetto dell'applicazione della regolamentazione vigente, sulle pratiche di concessione di credito a tassi di interesse molto elevati a quelle famiglie o individui che erano ad alto rischio di insolvenza l'esistenza di incentivi per coloro che producono titoli finanziari dalle chiare conseguenze negative; l'esistenza di un'attività di trading proprietario da parte di istituzioni finanziarie, come le banche, ossia l'attività di compravendita realizzata con le risorse della clientela al fine di generare profitti per sé e non per conto del cliente; 221
l'assenza di requisiti di comunicazione su hedge fund e fondi azionari; la mancanza di restrizioni, o norme di divulgazione adeguate, sui compensi dei dirigenti degli istituti finanziari; l'eccessiva presenza di prestiti incrociati tra banche, ossia il fatto che troppe banche ricevano prestiti da altri istituti bancari. A queste lacune va aggiunta l'incapacità da parte delle autorità di regolamentazione di utilizzare i poteri di cui disponevano durante la crisi. I paesi in crisi sono stati infatti caratterizzati dall'incapacità delle autorità di vigilanza di far valere i loro poteri, nonostante l'enorme assunzione di rischi che si stava verificando sotto i loro occhi. Basti pensare all'espansione delle banche islandesi, i cui asset crebbero fino a diventare superiori alle dimensioni dell'economia nazionale. La lezione etica che se ne può trarre è che un intervento normativo sugli aspetti sopra citati è il punto di partenza per contrastare una crisi finanziaria. Torniamo dunque alla domanda di partenza: è possibile, e in caso come, adottare comportamenti responsabili che prevengano o mitighino gli effetti di una crisi finanziaria? La strategia più comune sulla base delle quale viene formulata una risposta positiva a questa domanda fa leva su un principio piuttosto semplice e di buon senso: mettere da parte riserve da utilizzare in tempo di crisi. In altre parole, far sì che le imprese finanziarie, come le banche, aumentino le proprie riserve di capitale per far fronte in modo più consistente a una eventuale crisi ed essere così in grado di contrastarla assorbendo le perdite senza collassare. Maggiore è il capitale di riserva dell'entità finanziaria, maggiore sarà infatti la probabilità che essa rimanga stabile in caso di grave crisi economica . 24
Questo accorgimento offre un naturale beneficio sia individuale sia sistemico: aumentare la possibilità di superare eventi critici o di non risentirne eccessivamente e, conseguentemente, di non diffonderne o trasferirne le conseguenze negative più severe sul sistema economico. Tuttavia, questa strategia non è gratuita: il costo da pagare infatti è che l'accantonamento di maggiori risorse incide sull'attività dell'impresa, per 222
esempio limitandone la possibilità di investire o di erogare mutui. In questo secondo caso, ciò può avere effetti sistemici negativi, in quanto meno persone o imprese potranno avere accesso a finanziamenti o prestiti, rallentando o impedendo la crescita economica collettiva. Ovviamente la questione centrale di questa strategia è il «quanto», ossia la quantità di riserve di cui una impresa dovrebbe sensatamente disporre. Per rispondere a questa domanda, bisogna determinare quali siano i rischi che un'impresa assume e quali effetti potrebbero avere se si concretizzassero. Non sorprende dunque che questa strategia sia stata messa in pratica cercando di quantificare e di normare quanto più possibile il rischio finanziario nelle sue varie articolazioni (creditizio, operativo e di mercato), e il modo in cui una impresa finanziaria si dovrebbe assume tali rischi e quante riserve minime dovrebbe accantonare a tal fine. Le varie soluzioni storiche proposte - Basilea I (1998), Basilea II (2004) e Basilea III (2010) - cercano quindi di fissare un livello minimo di capitale da portare a riserva e norme su come farne rispettare l'osservanza (la vigilanza). Ovviamente il calcolo di questa soglia può essere piuttosto articolato. Per esempio, l'accordo di Basilea II introduce il «coefficiente di solvibilità» delle banche, fissato in misura del 8% rispetto al complesso delle attività possedute da una banca. Più in dettaglio, tale coefficiente esprime l'ammontare minimo di capitale che le banche devono possedere in rapporto al complesso delle attività ponderate in base al loro rischio creditizio. In altri termini, il coefficiente fornisce una misura della capacità di un istituto finanziario di continuare a funzionare in caso di crisi economica, il suo grado di resilienza, basandosi sulle risultanze contabili iscritte nel suo bilancio. L'idea fondamentale è che maggiore è il capitale dell'ente finanziario, maggiore è il suo coefficiente patrimoniale, e maggiore dovrebbe essere la probabilità che tale entità rimanga stabile in caso di grave crisi economica. Il rapporto presenta al numeratore l'ammontare del patrimonio di cui dispone una banca, mentre al denominatore l'ammontare delle attività ponderate per classi di rischio, e va quindi aggiustato in base al rischio insito nelle varie attività che la banca possiede. Anche qui l'idea di fondo è semplice e progressiva: più un'attività posseduta è rischiosa, maggiore è il capitale che una banca è tenuta a detenere. Il valore di ogni attività va dunque calcolato e ponderato in base al rischio dandoci un numero che indica in quale percentuale l'attività manterrà il suo valore. Per esempio, il contante e le obbligazioni del Tesoro statunitense vengono di norma valutati 223
con un valore pari al 100% di possibilità di rimanere solventi, i mutui ricevono una valutazione con un profilo di rischio intermedio, mentre ai prodotti derivati viene assegnato un coefficiente di rischio più elevato. Se questa strategia sembra naturale e scontata, esiste una letteratura che presenta prove empiriche e teoriche per sostenere che questa non è necessariamente una strada sicura e fruttuosa. Alcuni ricercatori evidenziano infatti come sia discutibile che l'aumento dei coefficienti patrimoniali basati solo sul capitale metta al riparo l'economia dalle crisi bancarie . Anche se è vero che un'analisi ex post mostra che le banche con più capitale avrebbero resistito meglio alla crisi, non è del tutto pacifico che requisiti minimi di capitale ponderati per il rischio più elevati le avrebbero lasciate con più capitale o con meno rischio. Anzi, Laeven e Levine hanno dimostrato che l'impatto della regolamentazione, compresi i requisiti patrimoniali, varia a seconda della struttura proprietaria: le banche con una proprietà più concentrata tendono ad assumere rischi maggiori all'aumentare dei requisiti patrimoniali . 25
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Per questo motivo alcuni commentatori propongono di sostituire la regolamentazione del capitale ponderata con il rischio con una semplice regolazione del rapporto di indebitamento integrato da obbligazioni bancarie garantite, note anche come i CoCo bond (COntingent COnvertible bond) . Queste in pratica sono obbligazioni ibride convertibili che, in determinate condizioni, si trasformano in azioni e quindi in capitale della banca che li ha emessi, alleggerendone sostanzialmente l'esposizione debitoria e generando liquidità che può essere impiegata per far fronte a una crisi. I CoCo bond sono dunque dei debiti che diventano capitale all'occorrenza, quando la solidità patrimoniale delle banche scivola sotto una soglia prefissata, per esempio il 5%. Ovviamente colui che compra in CoCoS dalla banca affronta un maggior rischio, in quanto in caso di conversione subirebbe gravi perdite, e in cambio di questo maggiore rischio i CoCos offrono dei rendimenti più elevati. Per esempio, una grossa banca può emettere titoli con una scadenza a dieci anni e attribuire alla cedola un premio del circa il 10%. Nel caso in cui la solidità patrimoniale scendesse sotto il 5% delle attività, scatterebbe la conversione dei CoCo bond, che si trasformerebbero in azioni della banca e quindi in capitale rafforzando l'istituto. 27
Naturalmente l'immissione automatica di titoli sul mercato può diluire il valore delle azioni del titolo, che con ogni probabilità subirà dei ribassi in un momento in cui la stessa banca si trova sotto stress, ma dal punto di vista 224
patrimoniale l'istituto si troverà rafforzato. Per chi ha investito in CoCos invece questo comporta una perdita. L'introduzione dei CoCo avrebbe anche un effetto etico sui manager di un istituto finanziario, che avrebbero tutto l'interesse a tenere ben sotto controllo la situazione patrimoniale in modo da scongiurare le conversioni automatiche dei titoli, che sicuramente genererebbero delle proteste da parte di soci e azionisti. Dall'altra parte, coloro che detengono CoCos vogliono avere le migliori informazioni possibili sullo stato di salute dell'ente finanziario sul quale hanno investito, e questo spingerebbe il sistema finanziario a una maggior trasparenza. Sostituire il modello basato sulla ponderazione e valutazione del rischio con quello dei CoCoS produrrebbe una nuova architettura. Questa tuttavia richiede l'aggiunta di una vigilanza finanziaria e» bancaria per controllare che gli attori finanziari facciano tutto ciò con diligenza, spingendoli non solo a intraprendere, ma soprattutto a mantenere comportamenti eticamente sempre più responsabili e prudenti. In questo senso l'organizzazione della vigilanza delle istituzioni finanziarie (il Comitato di Basilea) si è concentrata per lo più sulle informazioni a disposizione del supervisore (vigilante) ed equipara il supervisore a una sorta di gestore del rischio delle banche che sovrintende. Tuttavia, Barth, Caprio e Levine non hanno riscontrato alcuna prova che la vigilanza contribuisca positivamente allo sviluppo del sistema o alla sua resilienza alle crisi. Le autorità di regolamentazione e quelle di vigilanza si trovano dunque di fonte al difficile compito di risultare responsabili e credibili . 28
L'approccio dinamico alla regolamentazione La finanza è dinamica e tale deve essere anche la sua regolamentazione: molte norme possono essere eluse e ciò implica che le autorità di regolamentazione devono godere di una certa discrezionalità per intervenire. Tuttavia, la discrezionalità implica una maggiore responsabilità, e questa a sua volta richiede un monitoraggio efficace. Un modo per aumentare la responsabilità e le credibilità degli organi di regolamentazione e vigilanza è quella di istituire una sentinella . Una sentinella è un gruppo di controllo che ha accesso a tutte le informazioni che le stesse agenzie di regolamentazione raccolgono e che ha il compito di redigere e pubblicare regolarmente una relazione sui principali rischi 29
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sistemici nel settore finanziario e su ciò che le autorità di regolamentazione stanno facendo a riguardo. L'obiettivo è infondere una maggiore responsabilità normativa. La sentinella non avrebbe alcun potere normativo, solo quello di interpretare e rivelare informazioni non proprietarie, e dovrebbe ricevere un indennizzo sufficiente a renderla quanto più neutrale possibile. Rivelando le principali questioni sistemiche nel settore bancario e ciò che le autorità di regolamentazione stanno o non stanno facendo in merito, la sentinella è uno strumento per coadiuvare e spingere un arbitro a essere preciso e imparziale, una sorta di VAR finanziario. Per esempio, una sentinella avrebbe potuto segnalare che le autorità di regolamentazione irlandesi non stavano intervenendo adeguatamente sul tasso di crescita del 40% della Anglo Irish Bank, oppure che la Fed non abbia agito nonostante le informazioni disponibili sulle frodi ipotecarie. Una sentinella non garantisce che le autorità di regolamentazione agiranno al meglio, ma ne aumenta le probabilità: spingendo le autorità di regolamentazione a essere ancora più responsabili e accurate, contribuirebbe alla qualità sia della regolamentazione sia delle informazioni disponibili sul mercato. La fine del dominio del modello di valutazione ponderato del rischio sarebbe quindi utile anche per porre fine all'obbligo di detenere strumenti altamente valutati in altre parti del settore finanziario (per esempio, per i fondi pensione o le compagnie di assicurazione) e porre fine all'eccessiva influenza delle organizzazioni di valutazione statistica (NRSTO), come le agenzie di rating. Prima di questi cambiamenti normativi, non a caso le agenzie di rating erano piccole, perché aggiungevano poco valore al sistema finanziario: senza questi rating, gli enti finanziari esiterebbero prima di acquistare titoli complessi, che è esattamente ciò che le autorità di regolamentazione che si preoccupano di proteggere i loro cittadini dovrebbero desiderare.
La trattativa Stato-Finanza Poiché la gestione di una crisi finanziaria può risolversi in un salvataggio statale, si apre la questione etica del rapporto tra Stato e finanza. È giusto che lo Stato, con i soldi dei contribuenti, intervenga per salvare enti finanziari privati che hanno fini di lucro? E quando? A quali condizioni? E che cosa dovrebbe avere in cambio?
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Le riposte normative a queste domande sostanzialmente sono due: quella del bail-in e quella del bail-out. La prima, quella della nazionalizzazione o del bail-out, sostiene che lo Stato può intervenire in momenti di grave crisi sistemica, ma deve avere come contropartita il controllo o una partecipazione nell'ente salvato. Secondo questa posizione quindi è ammissibile il ricorso a risorse esterne per risanare un istituto finanziario, in quanto è essenziale garantire la sopravvivenza di grandi istituti finanziari il cui crollo avrebbe conseguenze sistemiche ancora più dannose per la collettività rispetto al denaro preso dalla collettività (lo Stato) per salvarlo. L'esempio recente più eclatante è quello statunitense del 2008, quando il governo americano è intervento a seguito della Grande Recessione salvando istituti finanziaria per miliardi di dollari. Nazionalizzazione o bail-out sono rimedi che tuttavia presentano delle criticità. La più rilevante, come abbiamo visto, è che essa può spingere i top manager di un istituto finanziario all'azzardo morale: in caso di esito negativo delle loro scelte, infatti, le conseguenze (le perdite) sarebbero a carico dello Stato, mentre in caso di esito positivo, le conseguenze (i profitti) rimarrebbero a beneficio dell'ente finanziario. Un'altra criticità e rappresentata dalla difficoltà di distinguere quando una banca in difficoltà è insolvente oppure semplicemente illiquida. La liquidità esprime una situazione di bilancio in cui le poste sono prontamente vendibili sul mercato e la mancanza di liquidità (o illiquidità) può essere dunque definita quella in cui le risorse ci sono, ma non sono disponibili a breve termine: sono immobilizzate in qualche forma, oppure saranno disponibili in futuro (per esempio entrate o redditi futuri). Quindi uno Stato può presentare un bilancio fortemente illiquido, ma il flusso di cassa proveniente dalle tasse può essere più che sufficiente a onorare tutti gli impegni presi così da non renderlo insolvente. L'insolvenza infatti è la situazione in cui non ci sono risorse per onorare un contratto con terze parti. In questo caso, un prestito non risolve il problema, ma semplicemente lo pospone, spesso aggravandolo a causa dei suoi stessi costi. Anche se molti casi di insolvenza sono preceduti dall'illiquidità, non si può concludere che la seconda implichi la prima e quindi bisogna trovare un modo di tenerle separate. L'economista britannico Walter Bagehot già nel 1873 aveva introdotto l'idea ancora oggi popolare che per prevenire le crisi sistemiche le banche centrali dovrebbero poter concedere prestiti a un tasso di penalità alle banche illiquide ma solvibili, a fronte di buone garanzie. Tuttavia, non è facile sapere 227
quando una banca in difficoltà sia insolvente o semplicemente illiquida e per questo le autorità di regolamentazione sono spesso riluttanti a chiudere le banche insolventi: è più facile arginare il rischio di contagio salvando una banca in difficoltà piuttosto che liquidarle. Il vulnus di questa soluzione è di condurre a un circolo vizioso tra sistema finanziario e Stati sovrani, o più precisamente tra crisi finanziarie e crisi dei debiti sovrani, rendendo le due sistemicamente interdipendenti. Questo circolo vizioso ha dimostrato tutta la sua dannosità e la sua pervasività in occasione della crisi del 2008. Tale esperienza ha mostrato che una crisi del debito sovrano ha effetti immediati sul sistema finanziario, mettendo sotto pressione la solvibilità delle banche e, viceversa, che le crisi bancarie incidono sulla situazione fiscale dei paesi interessati minandone le finanze pubbliche. Il tentativo di disinnescare questo circolo vizioso rendendo i due comparti il più indipendenti possibile motiva invece la seconda soluzione: il bail-in. Questa sostiene che lo Stato e la finanza devono essere separati, anche e soprattutto nei momenti di crisi, e che non deve essere lo Stato, ma azionisti, obbligazionisti e correntisti di una entità finanziaria a salvarla in momenti di crisi. Due delle principali controversie teoriche e storiche del rapporto Statofinanza, quella del bail-out e quella dell'austerità, nascono proprio da questo circolo vizioso: sono le due facce, quella pubblica e quella privata, della stessa medaglia. Gli scandali finanziari legati all'eccessiva assunzione di rischi delle entità finanziarie che confidano in un eventuale salvataggio esterno (statale) da una parte, e la controversia in merito all'austerità sugli eccessivi debiti sovrani che confidano nel rifinanziamento dall'altra, sono espressione dello stesso problema: la pericolosità del legame Stato-finanza che può arrivare a diventare perverso quando si tratta di eccessiva assunzione di rischio o eccessivo indebitamento, confidando, in entrambi i casi, nel fattore too-big-to-fail e nell'azzardo morale che ne segue. Il regime di bail-in intende corregge questa distorsione, definendo un insieme di norme che danno maggiore responsabilità alle istituzioni finanziarie e ai mercati al fine di porre limiti all'azzardo morale. La separazione tra Stato e finanza, volta a minimizzare le possibilità di reciproco contagio e instabilità, tuttavia richiede non solo il rispetto di regolamentazioni e norme etiche stringenti da parte delle entità finanziarie, ma anche che lo Stato nazionale accetti limiti di azione che storicamente 228
prima non aveva. Per esempio, l'Unione bancaria europea è il risultato di un processo volto a separare i due ambiti creando un unico supervisore del sistema bancario a livello europeo indipendente dai singoli governi nazionali, un supervisore che implementa un regime tale per cui in caso di difficoltà le banche non sono sostenute o salvate dai governi locali, ma da un meccanismo europeo che fornisce un fondo d'assicurazione unico per assistere i correntisti. L'etica del bail-in risponde dunque a un principio filosofico inverso a quello che sorregge il bail-out: la priorità dell'ordine pubblico non è infatti quello della tutela del risparmio, ma dei contribuenti ed è il risultato di un diverso approccio al debito e alla sua etica, in quanto non solo limita l'azzardo morale, ma implementa anche un principio di salvaguardia della stabilità finanziaria (e bancaria) concentrandosi su eventuali interventi pubblici a tutela del risparmio solo nel caso di depositi senza rischi e di importo contenuto.
L'approccio «niente di speciale»: lo Stato non è diverso L'etica del bail-in introduce implicitamente un principio fondamentale che ha un impatto profondo sulla visione filosofica del rapporto Stato-finanza, che possiamo definire la visione «niente di speciale», ossia quella per cui uno Stato nazionale non è niente di speciale finanziariamente e va trattato come qualsiasi altra entità socioeconomica. Tale etica sostiene che i governi nazionali non dovrebbero interferire con gli enti finanziari e le loro crisi e, dunque, anche gli aspetti pubblici positivi del settore finanziario dovrebbero essere affrontati indipendentemente dai governi. Ciò richiede l'implementazione di un insieme di regole che si ergono al di sopra dei governi nazionali. Per simmetria, così come gli attori finanziari devono essere in grado superare le crisi da soli, senza poter fare affidamento su interventi esterni, anche gli Stati sono chiamati a rispondere in proprio dei debiti contratti. Anche uno Stato non solo è soggetto, come qualsiasi altra organizzazione e qualsiasi cittadino comune, a precisi principi etici (sussidiarietà) e si impegna a sostenerli, ma va trattato come qualsiasi altra organizzazione, cittadino o debito. Quindi neanche i governi nazionali e i loro debiti dovrebbero essere considerati too-big-fail. Questo limiterebbe l'azzardo morale che motiva certe politiche nazionali che incrinano non solo i rapporti tra Stati, o tra mercati e Stati, ma anche e soprattutto tra diverse generazioni di una nazione. 229
Il principio dei bail-in ha dunque implicazioni profonde non solo sul sistema finanziario, ma anche sugli Stati nazionali. Esso infatti sostiene la definizione di regole, come quelle del patto europeo di stabilità per la ristrutturazione di un debito sovrano (come nel caso della Grecia). Inoltre, motiva l'introduzione di limiti alla detenzione di debito sovrano da parte di intermediari finanziari. Questo, a sua volta, solleva la questione fondamentale del debito, ossia quando sia sostenibile o meno, e la questione del debito pone un problema etico fondamentale in quanto si contrappone alla tassazione. La tassazione infatti fa ricadere sui contribuenti presenti il peso delle spese correnti, mentre il debito lo trasla nel tempo, mettendolo a carico dei futuri contribuenti. Ammesso dunque che un debito sia sostenibile, rimane da chiarire da chi debba essere sostenuto, in quale arco temporale, quanto le nuove generazioni possano essere messe sotto pressione per debiti contratti dalla generazione precedente. Vi è dunque un problema di equità intergenerazionale. Naturalmente non ogni debito è frutto dell'azzardo morale, tuttavia il rispetto del patto tra generazioni richiede che si adottino principi prudenziali quando si contrae un debito e questo vale anche, e soprattutto, per gli Stati nazionali. Per esempio, il finanziamento del debito pubblico va anche contro il principio costituzionale americano di «nessuna tassazione senza rappresentanza», in quanto le generazioni future non votano. Naturalmente la questione del debito è filosoficamente controversa. Delineo qui solo due posizioni che hanno contribuito a ritagliare il quadro entro il quale essa viene dibattuta: la posizione keynesiana e quella di Buchanan. Keynes sostiene che contrarre debito in una fase anticiclica (ossia di recessione o depressione economica) è il modo migliore per rilanciare l'economia e uscire dalla crisi. Durante una recessione le rigidità strutturali e alcune caratteristiche delle economie di mercato aggravano la debolezza economica e contribuisco a far crollare ulteriormente la domanda aggregata, ossia la domanda totale di beni e servizi finali in un'economia in un dato momento. La soluzione, secondo Keynes, starebbe proprio nel debito: mediante l'aumento della spesa pubblica e la riduzione delle tasse si stimolerebbe la domanda, spingendo l'economia globale fuori dalla depressione. La ripresa dell'economia permettere poi di ripianare il debito. Buchanan sostiene invece che allentare l'etica della disciplina fiscale porta a un aumento di debiti e disavanzi . Il debito è un modo di intaccare il 30
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capitale: ha un effetto negativo sull'accumulo di capitale e sulla ricchezza netta della società. La rivoluzione keynesiana, a suo parere, mina l'etica della politica responsabile e crea una crepa nel capitale sociale di una nazione, con la conseguente perdita permanente di potenziale produttivo. La soluzione sta nell'introdurre norme costituzionali, piuttosto che norme sociali. Tali norme svolgerebbero un ruolo etico, vincolando i liberi meccanismi della politica democratica. Il dibattito si lega a quello della sostenibilità o meno di un debito, in particolare la possibilità di stabilire una base analitica e oggettiva per definire la sostenibilità del debito, e di conseguenza di limitare la capacità di un ente finanziario o un governo nazionale di gestire la propria politica economica. Nel complesso, l'opinione prevalente su questo punto è che il debito sostenibile, il «buon debito», va chiarito in base alla natura dell'entità finanziaria, ossia pubblica o privata. Nel caso di entità private, naturalmente, il giudice ultimo è il mercato, che analizza i vari parametri che influiscono sulla redditività di una impresa sia internamente (flusso di cassa, ROI ecc.) sia esternamente e quindi prova a quantificare quanto una impresa sia in grado di ripagare il proprio debito. Nel caso di entità pubbliche, che cosa sia un buon debito viene deciso in ultima analisi dalla politica, dall'accordo della comunità internazionale attraverso le risorse disponibili per sostenere i paesi in difficoltà. I mercati finanziari, che investono in debiti pubblici, includono la dimensione politica della sostenibilità del debito nelle loro valutazioni e sono molto attenti agli accordi e ai disaccordi tra paesi e agli scenari di rischio politico che possono minacciarla. Per concludere, gli aspetti normativi o la sostenibilità del debito sono per lo più decisi al di fuori del dominio dell'etica e della sfera normativa. Considerazioni etiche, in ogni caso, riemergono quando la democrazia, l'opinione pubblica e gli stati d'animo dell'elettore arrivano a influenzare la narrazione politica, l'analisi economica, i dibattiti sul debito e le finanze pubbliche.
L'investimento socialmente responsabile L'obiettivo di incorporare esplicitamente una dimensione etica nella finanza e nella filosofia d'investimento è la principale motivazione dell'investimento socialmente responsabile. Per investimento socialmente responsabile si 231
intende quella pratica per cui gli agenti finanziari danno peso a considerazioni etiche, sociali o ambientali nelle loro decisioni di investimento, ossia quali obbligazioni o azioni acquistare o vendere, o come interagire, in caso anche in modo attivista, con le imprese incluse nel proprio portafoglio. Sebbene la scelta di investire in modo socialmente responsabile a volte possa far parte di una filosofia d'investimento speculativa, ossia strettamente orientata al profitto, sulla base dell'idea che le aziende con prestazioni sociali superiori abbiano anche prestazioni finanziarie superiori", l'investimento socialmente responsabile nasce dalla constatazione di una sostanziale inefficienza sociale della finanza: la logica che muove i prezzi nei mercati finanziari non sembra essere in grado di promuovere livelli sufficienti di responsabilità sociale e ambientale nelle imprese. Vari investitori tradizionali finanziano infatti imprese che ricorrono a pratiche socialmente dannose e quindi è necessario promuovere un nuovo tipo di investitore con un più forte senso di responsabilità. In questo senso l'investimento socialmente responsabile è pensato come un'alternativa agli investimenti tradizionali. Il modo tipico di investire in modo socialmente responsabile è evitando investimenti in aziende che si rivelano eticamente opache, motivato dal fatto che è eticamente sbagliato investire in un ente finanziario che commette illeciti. Sono almeno tre i modi di intendere eticamente sbagliato : 32
è sbagliato trarre profitto dalle malefatte altrui, o beneficiare della sofferenza altrui; è sbagliato nuocere agli altri, o anche solo facilitare un danno ad altri; è sbagliato anche a livello simbolico sostenere o anche solo accettare attività illecite. Tuttavia, se da una parte sembra difficile trovare un'opportunità di investimento completamente esente da ogni possibile macchia etico-morale, d'altra parte il rapporto tra investitori e imprese non è così diretto come si potrebbe pensare. Nella misura in cui gli investitori acquistano azioni sul mercato azionario, spesso non sono impegnati con le società sottostanti, ma piuttosto con altri investitori e si può sostenere che in fondo la ragion d'essere della finanza, è quella di creare mercati che siano sufficientemente liquidi da mantenere prezzi stabili. 232
In risposta a questo, si può avanzare una prospettiva progressista sugli investimenti, ossia che vi sia un dovere degli investitori nei confronti della collettività e che essa consiste nell'utilizzare le loro risorse per promuovere beni sociali positivi, come la giustizia sociale o la sostenibilità ambientale. Questa prospettiva è in genere adottata per preferire pratiche di investimenti più attiviste, come spingere i manager a adottare politiche sociali migliori o puntare su aziende con tecnologie ecocompatibili. Naturalmente, il rovescio della medaglia di tali pratiche è che esse attualmente presentano maggiori rischi finanziari (con annesse perdite) e questo solleva una ulteriore questione, ossia se assumere maggiori rischi finanziari sia socialmente responsabile . Questo spiega anche perché tali aziende sono meno comuni sul mercato. 33
Finanza e povertà: la microfinanza Anche in tempi normali, senza crisi o recessioni, le persone con un reddito o una ricchezza molto bassi non hanno quasi alcun accesso ai servizi finanziari di base. Le banche commerciali hanno poco da guadagnare dall'offerta di tali servizi a questi soggetti: c'è un elevato rischio che i prestiti non vengano onorati (poiché le persone più povere non offrono molte garanzie) ed è costoso amministrare grandi quantità di piccoli prestiti. Un'iniziativa che cerca di porre rimedio a questi problemi è la microfinanza (o microcredito), cioè l'estensione dei servizi finanziari, come il prestito e il risparmio, alle persone povere che altrimenti rimarrebbero non bancarie. L'iniziativa è stata ideata e inizialmente diffusa da Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese, che è stato per questo insignito del premio Nobel per la pace nel 2006. La microfinanza è un tipo di servizio bancario rivolto a disoccupati o individui a basso reddito che altrimenti non avrebbero accesso ai servizi finanziari. Mentre gli istituti di microfinanza forniscono per lo più prestiti - da 100 a 25.000 euro - molte banche offrono servizi aggiuntivi come conti di risparmio o microassicurazioni. L'obiettivo è quello di dare a queste persone l'opportunità di diventare autosufficienti fornendo loro servizi finanziari di base, come un conto bancario, un libretto di risparmio, il capitale di avvio di piccole imprese o programmi d'alfabetizzazione finanziaria che insegnano i principi dell'investimento e competenze come la contabilità o la gestione del flusso di cassa. A differenza delle tipiche situazioni di finanziamento, in cui il prestatore si occupa principalmente del fatto che il mutuatario abbia abbastanza garanzie per coprire il prestito, molte organizzazioni di microfinanza si concentrano quindi 233
sull'aiutare gli imprenditori ad avere successo. In ritorno, però, anche le imprese di microfinanza applicano tassi d'interesse, anche se più bassi di quelli delle normali banche. L'iniziativa è partita in paesi che si trovavano in condizione di maggiore povertà, come Bangladesh e India. Ci sono numerose e commoventi storie di successo della microfinanza, per esempio quella di Nadya Felah, passata da inserviente a donna d'affari di successo in Giordania. Grazie a un prestito della Microfund For Women, che l'ha aiutata a comprare due auto per effettuare le consegne, Nadya ha avviato un'attività di vendita di bombole di gas e dopo due anni aveva otto dipendenti a tempo pieno e contratti governativi redditizi. Una giustificazione teorica della microfinanza si basa sull'idea di assistenza, ossia sul principio che le persone più abbienti abbiano il dovere di assistere i poveri, e la microfinanza è considerata un modo particolarmente efficace per alleviare, o anche superare, la povertà . Un'altra giustificazione sostiene che l'accesso al risparmio e al credito è un diritto umano fondamentale di sussistenza . 34
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I critici tuttavia rispondono che i diritti umani non sono una buona misura per i servizi finanziari, che comportano benefici e sfide. Inoltre, numerosi studi empirici evidenziano che la microfinanza può essere inefficace o avere effetti collaterali negativi, come evidenziato da diversi scandali etici nell'industria della microfinanza, per esempio, casi di tassi di interesse sui microprestiti del 20-30% annuo, o addirittura superiori al 100%. Ma anche nei casi di tassi di interesse inferiori a quelli convenzionali, i critici fanno osservare che la microfinanza specula sui poveri e che alcune imprese di microfinanza hanno adottato una logica di profitto invece di una no profit. In effetti, mentre un ente finanziario distribuisce gli utili agli azionisti, le istituzioni senza scopo di lucro li utilizzano, più filantropicamente, per espandere il numero di persone da aiutare, o per creare nuovi programmi di assistenza. Vi sono però vari casi di imprese di microfinanza che sono nate come no profit e poi si sono trasformate in vere e proprie istituzioni dedite al profitto, in gran parte grazie agli utili provenienti degli interessi sui microcrediti concessi. I casi eclatanti non mancano, per esempio BancoSol in Bolivia o Banco Compartamos in Messico. Questo ultimo è uno dei più noti. La banca messicana è stata infatti fondata nel 1990 come organizzazione no profit e 234
dieci anni dopo ha deciso di trasformarsi in una società tradizionale a scopo di lucro, distribuendo dunque agli azionisti gli utili derivanti degli interessi applicati ai poveri. Sette anni dopo, nel 2007, è stata quotata presso la Borsa messicana, e la sua offerta pubblica iniziale (IPO) ha raccolto più di 400 milioni di dollari. Così, sulla base di tale successo finanziario, anche altre grandi aziende e istituzioni finanziarie del mondo hanno lanciato i loro programmi di microfinanza a scopo di lucro, tra cui CitiGroup, Barclays e General Electric. Altre società hanno creato fondi comuni che investono principalmente in imprese di microfinanza. La più grande preoccupazione etica in questo caso è che i grandi istituti di microfinanza, spinti dal desiderio di fare profitto, applichino tassi di interesse più elevati di quelli che potrebbero davvero praticare, innescando la trappola del debito per i mutuatari a basso reddito, ossia quella spirale per effetto della quale il beneficiario del credito non riesce più a ripagare il debito originario e finisce per contrarne un altro al fine di ripagarlo. Anche quando non si arriva a tale scenario, i critici evidenziano che rimane comunque aperto un problema radicale della microfinanza, ossia il fatto che molti microprestiti spesso non sono abbastanza per fornire autosufficienza e mantengono i destinatari a un livello di sussistenza o coprono solo i bisogni primari: cibo e riparo. In merito al dibattito profit/no profit, lo stesso Yunus solleva una questione etica di fondo: l'obiettivo del microcredito dovrebbe essere l'alleviamento della povertà, non il profitto, ma le imprese quotate in Borsa, per loro stessa natura - e per obbligo nei confronti degli azionisti - operano contro la missione originaria della microfinanza. In risposta, Compartamos e altri istituti di microfinanza a scopo di lucro affermano che diventare imprese profit, e richiamare investitori in cerca di profitto, consente loro di Operare in modo più efficiente e che, attirando più capitali, è possibile estendere il microcredito a una maggiore platea di richiedenti a basso reddito. L'esito di questo dibattito è un modello misto, ossia la compresenza di istituti di microfinanza a scopro di lucro accanto a quelli no profit. La microfinanza apre anche un dibattito politico, quello relativo al fatto se il sostegno alla povertà debba essere statale oppure basato sul mercato. In vari casi la microfinanza si è sostituita, anche efficacemente, allo Stato nazionale e alle sue inefficienze o limitazioni. I suoi fautori sostengono che i 235
tradizionali progetti di sviluppo guidato dallo Stato siano troppo rigidi e corrotti, mentre le iniziative basate sul mercato sono più flessibili e aiutano le persone ad aiutare sé stesse. Secondo i critici, tuttavia, è vero il contrario: i mercati tendono a incentivare avidità e disuguaglianza, mentre lo sviluppo reale è creato da investimenti pubblici su larga scala nell'istruzione e nelle infrastrutture. Vi è invece chi difende la microfinanza come forma di ultima risorsa (second best), quando altre fonti di aiuto o credito più economico non sono disponibili. Gli istituti di microfinanza sono stati anche accusati di utilizzare tecniche di prestito e pratiche di recupero dei prestiti coercitive: questo solleva interrogativi sulla motivazione etica di una politica commerciale rivolta a chi è disperatamente povero, perché i clienti molto poveri potrebbero non avere alcuna alternativa praticabile che non sia l'accettazione di offerte ingiuste e speculative. Per questo motivo una critica radicale alla microfinanza è quella che sostiene che il modo migliore per alleviare o superare la povertà individuale o di gruppi sia quella di creare posti di lavoro costruendo nuove fabbriche e producendo nuovi beni. L'evidenza tipica che viene usata per giustificare questa posizione sono i casi di Cina e India, dove lo sviluppo delle grandi industrie ha portato a un'occupazione stabile e a salari più elevati, che a loro volta ha aiutato milioni di persone a emergere dai livelli più bassi di povertà. Inoltre, il pagamento di interessi, per quanto bassi, rappresenta comunque un onere e vi sono stati vari casi di mutuatari che non hanno potuto rimborsare i prestiti e sono andati incontro a fallimenti personali o commerciali che li ha resi ancora più poveri di quanto non fossero all'inizio del loro percorso nel mondo del microcredito. L'altra faccia della medaglia dello stato di povertà, che motiva l'introduzione della microfinanza, è l'accumulazione di ricchezze estreme e secondo alcuni studi empirici esiste una prova del fatto che la finanza potrebbe favorire l'accumulazione di ricchezze estreme e la creazione di super-ricchi, il che pone un altro serio problema etico e politico.
L'1%: finanza e ricchezza Negli ultimi decenni, vari studi hanno dimostrato che le disuguaglianze economiche stanno aumentando sempre più. Thomas Piketty ha dimostrato 236
che le disparità di ricchezza sono aumentate in molti paesi in virtù del miglioramento della posizione finanziaria dell'1% della popolazione o più specificamente dello 0,1%, un piccolissimo gruppo di cittadini che sono estremamente benestanti rispetto al resto della popolazione . 36
Una delle cause profonde di questo processo è la rivoluzione tecnologica che ha cambiato volto al capitalismo: ha permesso alle aziende di raccogliere e muovere investimenti e profitti molto velocemente nei mercati globali, e quindi di aumentarli, e di ottenere posizioni di alta concentrazione di potere nel mercato. Il rafforzamento della posizione dei più ricchi non è solo un fenomeno nei paesi post-industrializzati, ma anche nei paesi meno sviluppati e in cui molti cittadini vivono in povertà. Ovviamente è legittimo domandarsi se vi sia qualcosa di sbagliato nel fatto che alcune persone possiedano quantità estreme di ricchezza: c'è infatti chi sostiene che in fondo la nostra attenzione dovrebbe essere rivolta alle persone svantaggiate e cercare di garantire loro di sfuggire dalla povertà. Vari studiosi sostengono tuttavia che le due questioni non siano affatto separate, ossia che le conseguenze delle ricchezze estreme incidono sulla possibilità di combattere la povertà, e che in tutto ciò la finanza gioca un ruolo importante . Infatti, il sistema finanziario sembra in grado di influire anche profondamente sulla disparità di ricchezza: ci sono prove empiriche che evidenziano un legame tra la struttura finanziaria di un'economia - cioè il mix di fondi forniti dalle banche e fondi forniti dal mercato - e la disuguaglianza di reddito. Queste evidenze mostrano come la relazione tra sistema finanziario e distribuzione della ricchezza possa essere non lineare. In altre parole, una maggior presenza della finanza riduce la disuguaglianza di reddito fino a un certo punto, ma oltre tale punto la relazione si inverte, e la finanza contribuisce ad aumentare la disuguaglianza, soprattutto se si ricorre a finanziamenti basati sul mercato, mentre non aumenta in modo significativo quando la finanza cresce attraverso i prestiti bancari. 37
Pertanto, sembra che l'effetto dannoso della presenza della finanza ai fini della distribuzione della ricchezza sia dovuto per lo più ai mercati finanziari, ma non alle banche. Naturalmente correlazione non è causazione, e bisogna quindi comprendere meglio il meccanismo sottostante (si veda il Capitolo 11). In ogni caso rimane il problema della legittimità della presenza dei super-ricchi e come al solito, vi sono argomenti pro e contro questa tesi. Da una parte, si può argomentare che non vi sia nulla di sbagliato nella presenza dei super-ricchi nella società, nella misura in cui essi abbiano 237
guadagnato legalmente i loro soldi, ossia senza ricorrere ad attività criminali o evasione fiscale . La difesa dei super-ricchi evidenzia che le persone che si lamentano delle loro immense fortune lo fanno per invidia. In fondo, in un sistema economico capitalista competitivo chiunque è libero di fare impresa e se intercetta la domanda di molte persone, allora grandi profitti sono la sua giusta ricompensa. Allo stesso modo, il sistema economico capitalista premia chi utilizza le sue competenze e il suo talento per contribuire alla realizzazione delle preferenze e dei desideri degli altri, e se si è innovativi, allora un alto profitto, di nuovo, sarà una giusta ricompensa. Più in dettaglio, da un punto di vista filosofico esistono almeno due modi di legittimare i super-ricchi e almeno un modo, il limitarismo, di argomentare contro la sua legittimità. 38
Nel caso della legittimità, c'è chi sostiene una posizione sufficientista e chi una prioritarista. La prima afferma che tutti dovrebbero possedere una quantità minima di beni essenziali e che esiste quindi un limite inferiore, ma non uno superiore, ai beni che si possono possedere. La seconda ritiene che nella scelta delle nostre azioni, e nel modo in cui progettiamo le istituzioni sociali, dovremmo dare priorità a coloro che stanno peggio e dare a tutti pari opportunità. Questo, di nuovo, non esclude disuguaglianze nei risultati e quindi ci possono essere dunque anche super-ricchi a patto, però, che tutti partano da condizioni paritarie e abbiano pari opportunità. Il limitarismo economico invece contesta la legittimità della concentrazione estrema di ricchezza, e pone un limite superiore alla quantità di ricchezza che una singola persona può possedere. Questa posizione afferma che nessuno dovrebbe avere ricchezza in eccesso, al di là di ciò di cui si ha bisogno per condurre una vita pienamente fiorente, ossia oltre la soglia del benessere . Oltre questa soglia, tutto il denaro in più (il denaro in eccesso), dovrebbe andare allo Stato per migliorare la vita individuale e collettiva delle persone meno abbienti. Il limitarismo quindi sostiene che si può porre un limite alla ricchezza e che un mondo in cui nessuno fosse al di sopra di tale limite sarebbe un mondo migliore. 39
Il limitarismo si riferisce al limite superiore del possesso, uso o godimento di qualsiasi tipo di risorsa scarsa o preziosa, come quelle naturali, e non solo finanziarie. Tuttavia, non è necessariamente contro i ricchi di per sé, ma contro gli effetti della concentrazione di estrema ricchezza nella società. Il suo obiettivo non è quello di punire il superricco in quanto tale (non c'è nulla di moralmente sbagliato nell'essere super-ricco). Tale posizione è tornata di 238
recente al centro della discussione politica ed economica e può essere difesa sulla base di diverse nozioni, in particolare quella di democrazia e quella di «bisogno urgente non soddisfatto». 40
Nella difesa basata sulla democrazia, la preoccupazione è che grandi disuguaglianze di reddito e di ricchezza compromettano il valore della democrazia e l'ideale dell'uguaglianza politica . I super-ricchi, infatti, possono trasformare il loro potere finanziario in potere politico attraverso vari modi, in virtù del fatto che possono più facilmente impiegare denaro per attivare i meccanismi che conferiscono potere politico. È una conseguenza della utilità marginale decrescente del denaro: mentre per i poveri spendere denaro al fine di acquisire influenza politica può avvenire solo a fronte di una grave perdita di utilità, i ricchi non hanno praticamente nulla da perdere. Spendere il loro denaro in eccesso a tal fine ha un effetto quasi nullo sulla loro qualità di vita, al massimo può produrre una perdita di benessere psicologico (come la perdita di status) o una perdita puramente soggettiva (non si ama assistere a un declino della propria fortuna finanziaria). 41
La difesa basata sui bisogni urgenti non soddisfatti afferma che esistono bisogni che hanno esigenze morali più elevate rispetto ai desideri che possono essere soddisfatti dal reddito e dalla ricchezza dei ricchi. Poiché il denaro in eccesso - il denaro che i ricchi detengono oltre la soglia del benessere - non contribuisce alla prosperità delle persone, dovremmo usare quei soldi per soddisfare queste urgenti esigenze non soddisfatte. I bisogni urgenti non soddisfatti vengono definiti sulla base della presenza di almeno una di queste tre condizioni : 42
estrema povertà globale: nel mondo molte persone versano in condizioni di estrema povertà e la loro vita può migliorare significativamente con azioni guidate dal governo che richiedono risorse finanziarie; svantaggi locali o globali: nel mondo molte persone non prosperano e sono significativamente private di possibilità in alcune dimensioni cruciali e la loro vita potrebbe essere notevolmente migliorata da azioni guidate dal governo che richiedono risorse finanziarie; problemi urgenti di azione collettiva: il mondo si trova ad affrontare problemi di azione collettiva urgenti (globali) che, almeno in parte, possono essere affrontati da azioni guidate dal governo che richiedono risorse finanziarie. 239
Ovviamente il limitarismo solleva molte reazioni critiche. Una delle principali obiezioni è quella basata sull'incentivo negativo, secondo cui il limitarismo economico ha l'effetto di ridurre il tenore di vita di grandi gruppi di persone, dal momento che spinge i processi economici verso una produttività non massimale o li rende non produttivi oltre un certo livello in quanto non vi sono incentivi economici in tal senso. Questo avrebbe un impatto negativo sulla produzione aggregata, facendo sì che vi siano meno profitti e quindi meno soldi in eccesso da destinare ai bisognosi. Per questo motivo, i critici sostengono che sarebbe meglio una tassazione progressiva, e non del 100%, sui soldi in eccesso dei super-ricchi. Naturalmente, come per altri interventi, il limitarismo dovrebbe essere applicato su ampia scala, possibilmente mondiale, per non trasformarsi in un provvedimento boomerang per chi lo adottasse.
Etica e finanza: convergenza? Vista la rilevanza e la quantità di questioni etiche che la finanza solleva, ci si chiede spesso se la tensione tra questi due ambiti possa essere risolta o armonizzata. In altre parole, etica e finanza divergono, oppure esiste un modo per farle convergere? Per esempio, Garonna afferma che è proprio in virtù del fatto che abbia un ruolo sociale sempre più forte rispetto ad altri settori, che il sistema finanziario richieda una fondazione etica più forte . Egli sostiene che l'etica aziendale dovrebbe essere un fondamento di qualsiasi attività economica, in quanto fa parte del capitale sociale di una nazione ed è un'infrastruttura essenziale di un'economia di mercato ben funzionante. Garonna osserva che gli standard etici in finanza sono elevati e lo sono anche le aspettative di conformità a tali standard, anche se spesso questo non viene percepito dal pubblico. Gli investitori perseguono il loro interesse personale e sono alla ricerca di profitto, ma devono farlo in un modo che sia altamente sensibile agli interessi dei loro clienti e all'interesse generale e a banchieri e finanzieri è richiesta una maggiore motivazione etica e deontologica. Il problema è che nelle moderne società democratiche nessuna certificazione formale può garantire tali standard ex ante e la credibilità del mondo finanziario è stata minata, e con essa il sentiment nei confronti della finanza. Ciò ha recato un danno alle stesse attività finanziarie rendendole molto più complesse e meno redditizie in quanto attraggono meno persone di quanto potrebbero. 43
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Tuttavia, l'idea di una convergenza tra etica e finanza, e addirittura di una fondazione della seconda mediante la prima, non è facile anche per via dei diversi orizzonti temporali delle due discipline. La prospettiva etica è di medio-lungo termine, mentre quella finanziaria spesso non lo è e potrebbe essere resa tale solo introducendo un insieme di vincoli sulla natura delle possibili operazioni finanziarie che sembra difficile da realizzare senza modificare radicalmente l'attuale funzionamento dei mercati finanziari. Note 01 Y. Brook, «The Morality of Money Lending: a Short History», in D. Ghate, R.E. Ralston (eds), Why Businessman Need Philosopby, New York, Penguin, 2011, pp. 98-109. 02 T.L. Friedman, The Lexus and the Olive Tree: Understanding Globalization, New York, Farrar Straus & Giroux, 1999. 03 Questa distinzione è stata avvalorata ancor di più dalla scuola liberale classica (Ricardo, Stuart Mill) e poi da quella austriaca (Bòhm-Bawerk, Menger e von Mises). 04 A. Smith, The Theory of Moral Sentiments, Edinburgh, Bell, 1759. 05 B. McLean, P. Elkind, The smartest guys in the room: the amazing rise and scandalous fall of Enron, New York, Portfolio, 2003. 06 S. Hansson, «A Philosophical Perspective on Risk», Ambio, 28 (6), 1999, pp. 539-542. 07 J. Schumpeter, Capitalism, Socialism, and Democracy, New York, Harper & Brothers, 1942. 08 E. De Bruin, L. Herzog, M. O'Neill, J. Sandberg, «Philosophy of Money and Finance», in EN. Zalta (ed.), The Stanford Encyclopedia of Philosophy, Stanford, 2018. 09 J.R. Boatsight (ed.), Finance Ethics: Critical Issues m Theory and Practice, Hoboken, NJ, John Wiley & Sons, 2010. 10 S. Lydenberg «Reason, Rationality and Fiduciary Duty», in J.P. Hawley, A. Hoepner, K.L. Johnson,J. Sandberg, E.J. Waitzer (eds.), Cambridge Handbook 241
of Institutional Investment and Fiduciary Du{y, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, pp. 287-299. 11 De Bruin, Herzog, O'Neill, Sandberg, «Philosophy of Money and Finance», cit. 12 J. Moore, «What is Really Unethical about Insider Trading?», journal of Business Ethics, 9 (3), 1990, pp. 171-182. 13 RH. Werhane «The Indefensibility of Insider Trading», journal of Business Ethics, 10 (9), 1991, pp. 729-731. 14 G. Lawson, «The Ethics of Insider Trading», Harvard journal of Law & Public Policy, 11 (3), 1988, pp. 727-783. 15 Moore, «What is Really Unethical about Insider Trading?», cit. 16 H.G. Mamme, Insider Trading and the Stock Market, New York, Free Press, 1966. 17 Ibidem. 18 P.H. Werhane, «The Ethics of Insider Trading», journal of Business Ethics, 8 (11), 1989, pp. 841-845; A. Strudler, «Insider Trading: A Moral Problem», Philosophy & Public Policy Quarterly, 29 (3/4), 2009, pp. 12-16. 19 Questo spiega perché il famoso quantitative easing in un ciclo di riduzione dell'indebitamento serva a compensare una creazione inadeguata di credito bancario: le banche commerciali non sono più in grado di creare denaro in quanto concedono meno prestiti e quindi per sostenere l'economia interviene la banca centrale. 20 P. Garonna, F. Spaolonzi (eds), Ethics in finance, finance in ethics, Roma, LUISS University Press, 2016. 21 C. Reinhzirt, K. Rogoff, This Time is Diffirent. Eight Centuries of Financial Fall , Princeton, Princeton University Press, 2009. 22 A. Admati, M. Hellwig, The Bankers' New Clothes, Princeton, Princeton University Press, 2013. 23 La cartolarizzazione è la trasformazione dei crediti di banche, enti pubblici 242
e aziende in titoli negoziabili sul mercato al fine di dare liquidità (ossia disponibilità di denaro) all'ente che emette tali titoli. 24 Per esempio, la liquidità (contante o attività facilmente vendibili) dovrebbe essere tale da consentire all'entità di operare 30 giorni durante la fase acuta di una crisi. 25 Laeyen, Levine 2009. manca in Bibliografia 26 Ibidem. 27 G. Caprio, «Financial Regulation after the Crisis: How Did We Get Here, and How Do We Get Out?», in R. Glick, M.M. Spiege (eds), Prospects Far Asia And The Global Economy, San Francisco, Federal Reserve Bank of San Francisco, 2013, pp. 285-319. 28 J.R. Barth, G. Caprio, R. Levine, Retbinking Bank Regulation: Till Angels Govern, New York, Cambridge University Press, 2006. 29 Ibidem. 30 J.. Buchanan, «The Ethics of Debt Default», in J. Buchanan, C.K. Rowley, R.D. Tollison (eds), Deficits, New York, Blackwell, 1987, pp. 361-373. 31 B. Richardson, W. Cragg, «Being Virtuous and Prosperous: SRI'S Conflicting Goals», journal of Business Ethics, 92 (suppl. l), 2010, pp. 21-39. 32 De Bruin, Herzog, O'Neill, Sandberg, «Philosophy of Money and Finance», cit. 33 J. Sandberg, «Changing the World through Shareholder Activism?», Nordic journal applied Ethics, 5 (1), 2011, pp. 51-78. 34 M. Yunus, Banker to the Poor, Dhaka, The University Press Limited, 1998. 35 M. Meyer, «The Right to Credit», journal of Political Philosophy, 26 (3),2018, pp. 304-326. 36 T. Piketty, Capital in the 215t Century. Cambridge, MA, Harvard University Press, 2014. 37 I. Robeyns, «What, if Anything, is Wrong with Extreme Wealth?», journal 243
of Human Development and Capabilities, XX, 2018, pp. 251-166; M. Brei, G. Ferri, L. Gambacorta, «Financial structure and income inequality», BIS Working Papers 756, Bank for International Settlements, 2018. 38 N.G. Mankiw, «Defending the One Percent», journal of Economic Perspectives, 27 (3), 2013, pp. 21-34. 39 I. Robeyns, «Having Too Much», in J. Knight, M. Schwartzberg (eds), Wealth:i NOMOS LVIII, New York, New York University Press, 2017, pp. 1-44; Id., «What, if Anything, is Wrong with Extreme Wealth?», cit.; D. Zwarthoed, «Autonomy-based Reasons for Limitarianism», Ethical Theory and Moral Practice, 21 (S), 2018, pp. 1181-1204. 40 M. Kramfi, I. Robeyns, Limits to Wealth in the History of Western Philosophy, Utrecht University, Mimeo, 2019. 41 T. Christiano, The Constitution of Equality, Oxford, Oxford University Press, 2008. 42 Robeyns, «What, if Anything, is Wrong with Extreme Wealth?», Cit. 43 Garonna, Spaolonzi (eds), Ethics in finance, finance in ethics, cit.
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10 Tutti gli uomini della finanza Politica e finanza
L'intreccio politica-finanza Politica e finanza oggi sono interconnesse e interdipendenti a un livello tale che in molti casi l'introduzione o l'eliminazione di leggi finanziarie si trasformano in atti di politica economica e la finanza svolge un ruolo cruciale di mediazione tra Stato ed economia. L'interdipendenza tra politica e finanza è innanzitutto il risultato degli eventi politici degli ultimi decenni, in particolare la caduta del muro di Berlino con il conseguente collasso dell'ex URSS e la disintegrazione della ex Jugoslavia. A seguito di questo evento, infatti, sono state create centinaia e centinaia di nuove società pubbliche nell'Europa orientale, milioni di nuovi investitori hanno iniziato ad acquistare e vendere azioni in Cile, Cina o Stati Uniti, e la gamma di asset scambiati sui mercati finanziari si è ampliata grazie all'istituzione di nuovi oggetti finanziari come le azioni e le obbligazioni a titoli garantiti da ipoteca, o contratti di assicurazione sulla vita per i malati terminali. Questo processo ha reso la finanza centrale per le sorti non solo dell'economia, ma anche dell'umanità, agevolando la finanziarizzazione della politica. La relazione tra politica e finanza si presenta in forme piuttosto eterogenee in differenti economie e Stati del mondo e alcune ricerche hanno ipotizzato l'esistenza non solo di una correlazione, ma di una relazione causale tra la struttura della proprietà delle imprese e il grado di democrazia sociale. In particolare, Mark Roe sostiene che sindacati potenti emergono quando ci sono proprietari forti, mentre sindacati deboli rispecchiano proprietari diffusi (non concentrati) e grandi mercati finanziari . Per esempio, là dove la proprietà è a carattere diffuso come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, i sindacati sono relativamente deboli, mentre là dove la proprietà è più concentrata come in Germania e nei paesi del nord Europa, il sindacato è forte. Secondo Roe, questo deriva dal fatto che una proprietà concentrata contrasta le lotte politiche all'interno delle aziende tra manager, proprietari 01
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e lavoro. I grandi azionisti hanno tutto l'interesse e la capacità di governare direttamente l'azienda, e la loro posizione di potere nel sistema di governance rafforza la loro presa sulla forza lavoro. Inoltre, i loro incentivi a una eventuale vendita (ossia a frammentare la proprietà) sono frenati dal fatto che gli investitori esterni sottostimerebbero e deprezzerebbero un'impresa che abbia al suo interno parti (come i sindacati) potenti e legalmente protette. La maggior parte dei paesi industrializzati ha mercati azionari e settori bancari avanzati e in grado di incanalare fondi alle imprese, eppure, anche tra le economie più ricche, vi sono ancora forti differenze nell'organizzazione della finanza. Davis discute infatti la differente articolazione finanziaria di tre grandi economie mondiali: Stati Uniti, Germania e Giappone . Gli USA sono caratterizzati tradizionalmente da: 02
grandi mercati di capitali; scambio pubblico della maggior parte delle azioni delle imprese; azionariato diffuso delle imprese, ossia il più grande azionista possiede meno di 10% delle azioni dell'impresa. La Germania, invece, è caratterizzata da: un ridotto numero di imprese quotate; grandi banche con notevoli partecipazioni anche nelle più grandi imprese pubbliche. Il Giappone infine si caratterizza da: molte imprese quotate (un po' come gli Stati Uniti); proprietà delle imprese tipicamente intrecciata con quella di altre imprese mediante partecipazioni incrociate. Più in generale, sembra esistere una correlazione tra sistema politico ed economico di un paese e la struttura finanziaria. Sempre Davis nota che esiste una differenza sostanziale sotto questo profilo tra socialdemocrazia e paesi anglofoni liberal-liberisti. Infatti, le socialdemocrazie sono spesso caratterizzate da: 03
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banche relativamente grandi e concentrate; mercati dei capitali meno importanti; imprese che tendono ad avere strutture di proprietà concentrate in una singola famiglia o un gruppo con una posizione dominante; livelli più bassi di disuguaglianza; industrie leader che includono aziende manifatturiere che richiedono una forza lavoro appositamente addestrata. I paesi di lingua inglese, invece, tendono ad avere: una proprietà societaria maggiormente diffusa; una maggiore dipendenza dai mercati per il finanziamento, piuttosto che dalle banche; industrie d'avanguardia che includono biotecnologie, software e altri settori innovativi che si basano sul capitale di rischio; alti profitti per imprenditori e loro finanziatori, che contribuiscono a disuguaglianze più elevate. La differente configurazione non è dunque casuale e mostra come struttura politica e finanziaria si modellino vicendevolmente. In questo capitolo esaminerò entrambe le direzioni di questa relazione, ossia come la politica influenzi la finanza e come la finanza influenzi la politica.
L'influenza della politica sulla finanza L'organizzazione della finanza dipende dalle decisioni politiche in quanto la contesa politica sempre più spesso ha come esito un intervento sui meccanismi finanziari, per lo più mediante due strumenti: l'introduzione di vincoli (quali limiti di dimensioni, portata e attività delle banche) o l'apertura di nuove possibilità (come l'eliminazione delle limitazioni sugli investimenti esteri).
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In particolare, la politica influenza e plasma la finanza principalmente attraverso la regolamentazione di due fattori chiave: chi è preposto a controllare le decisioni prese da un'impresa e dalla sua dirigenza; come sono distribuiti i proventi delle attività imprenditoriali. A sua volta, l'organizzazione della finanza crea alcune delle regole di base sul modo in cui vengono distribuiti i proventi delle imprese, per esempio i profitti agli azionisti piuttosto che agli investimenti nella formazione dei lavoratori. Ancora, la posizione che gli attori hanno nel sistema economico e finanziario determina chi ne trae beneficio e chi ha una voce nelle scelte economiche, per esempio le imposte sulle plusvalenze determinano reazioni diverse in un paese con azioni di società ad azionariato diffuso rispetto a uno senza. Inoltre, vi è un ulteriore modo in cui la politica influenza la finanza, ossia mediante il sistema legale. Il sistema di diritto di un paese può infatti esercitare un effetto permanente sul suo sistema finanziario, in gran parte attraverso le protezioni giuridiche a disposizione degli azionisti di minoranza. Nella fattispecie, nel diritto civile (civil law), i codici di diritto sono creati da un testo e interpretati dai giudici, con un riferimento relativamente modesto alle precedenti decisioni. Nei sistemi di diritto comune (common law), le pregresse decisioni giudiziarie creano precedenti più o meno vincolanti, e quindi la legge attinge tanto dai precedenti (giurisprudenza) quanto dai codici. I mercati finanziari e i modelli di proprietà differiscono sotto vari aspetti nei paesi di diritto comune o di diritto civile. I paesi di diritto comune tendono ad avere protezioni più avanzate per gli azionisti di minoranza, e tali protezioni costituiscono una condizione preliminare per l'azionariato diffuso: pochi investitori infatti sono disposti a rischiare un investimento in un'impresa in cui un grande azionista può dominare il processo decisionale delle imprese in modi che potrebbero danneggiare i loro interessi. Così la concentrazione di proprietà all'interno di una data impresa tende a essere molto più dispersa nelle società in paesi di diritto comune rispetto a quelle in paesi di diritto civile. Inoltre, i paesi di diritto comune hanno generalmente mercati finanziari significativamente più ampi rispetto alle dimensioni dell'economia e, inoltre, in essi prevale decisamente una finanza basata sul mercato, ossia sul 248
reperimento di fondi attraverso i mercati azionari e non le banche . 04
Infine, vi è un ulteriore modo in cui la politica influenza la finanza, o meglio cerca di usarla in modo strategico. È il caso in cui i politici, soprattutto quelli al governo, cercano di usare la politica monetaria per rilanciare l'economia a ridosso delle elezioni. La strategia tipica è quella di premere affinché le banche centrali aumentino l'offerta di moneta e abbassino i tassi di interesse, in modo da espandere la domanda aggregata. L'operazione aumenta la crescita misurata in base al PIL, abbassa il valore della valuta, diminuendo così il tasso di cambio (e quindi favorendo le esportazioni). L'obiettivo, ovviamente, è quello di ottenere risultati economici migliori a breve termine per guadagnare o consolidare il consenso presso gli elettori per poter essere rieletti.
L'influenza della finanza sulla politica La crescita esponenziale in termini di dimensione e profitti del settore finanziario ha aumentato la sua influenza anche su governi e politica. La grande disponibilità di denaro ha permesso infatti alla finanza di incidere sul sistema politico attivando i quattro meccanismi base mediante cui si può influenzare un sistema politicos il denaro per i voti, il denaro come guardiano, il denaro come mezzo per influenzare l'opinione pubblica, e il denaro come potere politico indipendente. Questi quattro meccanismi di base corrispondono grosso modo ai quattro aspetti fondamentali del processo democratico: il primo è il processo legislativo e politico, il secondo l'impostazione dell'ordine del giorno di questo processo decisionale (agenda power), il terzo la formazione dell'opinione e della preferenza, il quarto i vincoli sociali ed economici indipendenti dall'elaborazione di politiche. Ciascuno di questi meccanismi pone questioni normative e politiche complesse quali, rispettivamente, corruzione, inefficienza, distorsione del processo deliberativo e disuguaglianza politica 05
Per rendersi conto di quanto la finanza abbia cercato di influenzare la politica basti pensare che negli Stati Uniti dal 1998 al 2013 le industrie finanziarie, assicurative e immobiliari hanno speso quasi 6 miliardi di dollari in lobbying e l'unico settore a spendere di più in questa direzione è stato quello dell'industria sanitaria. A seguito della crisi del 2008, il settore finanziario ha addirittura aumentato la sua pressione sul governo: a partire dal 2014, finanza, assicurazioni e societa immobiliari hanno speso circa 485 milioni di dollari in lobbying, più di qualsiasi altro settore, e hanno versato quasi 149 249
milioni di dollari per le campagne elettorali, più o meno il triplo di quanto versato dall'industria sanitaria. Oggetto di lobbying sono ovviamente anche coloro che dovrebbero regolamentare il settore finanziano. La pressione di Wall Street sulla politica ha dato in molti casi esiti positivi. Per esempio, Wall Street ha lavorato per rallentare l'attuazione della regola Volcker, che aveva lo scopo di impedire alle banche di utilizzare depositi assicurati a livello federale per operare in conto proprio. Nei mesi precedenti i lavori di disegno di tale norma da parte delle agenzie di regolamentazione, gli esponenti dell'industria finanziaria che esercitavano pressioni per indebolirla hanno presenziato il 93% delle riunioni di tali agenzie. Ancora, quando la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) tentò di regolare i prodotti derivati, la risposta di Wall Street fu un lobbying serratissimo, che ha prodotto una serie di emendamenti che hanno garantito che le normative della CFTC coprissero meno del 20% del mercato mondiale. Accanto a questa influenza esercitata sulla politica dall'esterno, la finanza è riuscita a metterne in atto anche una interna: i rappresentanti e i lobbisti del settore finanziario sono infatti entrati dentro le istituzioni che dovrebbero regolamentarlo. Un esempio paradigmatico è la connessione diretta tra il settore finanziario e coloro che hanno ricoperto il ruolo di segretario del Tesoro, l'autorità di regolamentazione finanziaria più importante negli USA. Jacob Lew (2013-2017) prima del suo mandato era nella banca Citigroup; Timothy Geithner (2009-2013) dopo il mandato è diventato presidente di Warburg Pincus, una società finanziaria di Wall Street. Prima di lui, Hank Paulson (2005-2009), era amministratore delegato di Goldman Sachs. Il suo predecessore, John Snow (2001-2005), dopo il suo mandato è diventato presidente di Cerberus, una società finanziaria. Altri che hanno ricoperto questa carica hanno avuto una notevole carriera finanziaria prima di entrare nel governo o erano piuttosto benevoli nei confronti degli interessi del settore finanziario e non hanno incontrato difficoltà a trovare una posizione di spicco e ben retribuita in esso una volta lasciato l'incarico governativo. Naturalmente niente di questo è illegale, né si tratta di corruzione. Semplicemente queste persone sono più propense ad ascoltare Wall Street, le grandi istituzioni finanziarie e le persone che le rappresentano. Inoltre, il modo in cui la finanza è strutturata e organizzata ha implicazioni dirette sulla capacità dello Stato di guidare l'economia. L'idea è stata già sostenuta da Lenin , il quale argomenta che in molte economie ricche l'industrializzazione e il suo consolidamento hanno condotto a una situazione 06
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in cui alcune banche, attraverso il loro controllo di oligopoli critici, occupano il posto di comando dell'economia. In particolare, Lenin si riferiva al fatto che la finanza concentrata aveva creato un potere economico raccolto all'interno della Germania e degli Stati Uniti. Pertanto, in questo caso assumere il controllo delle banche più grandi di una nazione equivale a prendere il controllo della sua economia, determinando la possibilità d'intervento di uno Stato sulle questioni economiche. Questa visione è usata per analizzare i legami tra Stati, finanza e affari in diverse economie. In particolare, l'organizzazione del sistema finanziario determina quali strumenti uno Stato abbia a disposizione per intervenire sull'economia, specialmente per rispondere alle crisi industriali. Dunque, la configurazione della finanza modella il repertorio politico a disposizione degli Stati per influenzare l'economia. Possiamo individuare almeno tre scenari storici e tre tipi di risposte, o strumenti, a disposizione dello Stato. Nel primo caso, il sistema finanziario è organizzato intorno ai mercati finanziari con prezzi consolidati in modo competitivo. In questo scenario, le imprese guidano il processo di aggiustamento industriale, mentre lo Stato ha pochissima influenza per orientare la politica industriale attraverso la finanza. Questo è il caso degli USA. Nel secondo scenario abbiamo un sistema finanziario basato sul credito e con prezzi amministrati dal governo. Questo consente l'intervento della politica sull'industria, e quindi lo Stato guida l'aggiustamento industriale. Questo è il caso del Giappone. Nel terzo scenario abbiamo un sistema basato sul credito in cui gli istituti finanziari autonomi hanno un'influenza preponderante sull'industria. Questo crea un assetto industriale che richiede la negoziazione tra le principali parti sociali (governo, banche, aziende e spesso anche lavoratori). Questo è il caso della Germania. I differenti scenari suggeriscono anche l'esistenza di un modello di sviluppo economico nazionale. I paesi che si sono industrializzati relativamente tardi (Germania e Giappone) tendevano ad avere sistemi basati sul credito (banche) piuttosto che sistemi basati sul mercato. Lo sviluppo tardivo inoltre agevola la pianificazione industriale, in quanto il percorso Verso lo sviluppo industriale è già noto e sono già disponibili le migliori tecnologie, e quindi è più facile per i responsabili politici pianificare lo sviluppo delle imprese in 251
settori critici che soddisfano gli standard globali. Uno stato in via sviluppo può quindi guidare l'industria con finanziamenti mirati attraverso le banche, agendo come un surrogato per i mercati finanziari non sviluppati. Per esempio, la Corea, seguendo il Giappone, si è rapidamente industrializzata convogliando i finanziamenti alle aziende delle principali industrie (acciaio, costruzione navale, auto ed elettronica), rafforzando i legami tra lo Stato e l'industria (e guadagnandosi il soprannome di Korea Inc.). Una volta che alla fine degli anni Novanta la Corea è diventata una delle più grandi economie del mondo, partecipando a vari settori industriali d'avanguardia, lo Stato ha poi fatto un passo indietro rispetto al suo ruolo guida dell'economia. Il sistema finanziario e la sua capacità di fornire fondi sollevano dunque una serie di questioni che sono centrali nella politica, quali la democrazia, la giustizia e la legittimità, a livello sia nazionale sia globale. Un'analisi di come la finanza interagisce con la politica richiede quindi di affrontare fondamentalmente almeno tre problemi: il rapporto tra finanza e democrazia; tra finanza e giustizia interna; tra finanza e giustizia globale.
Finanza e democrazia La finanziarizzazione ha aumentato l'influenza del settore finanziario sul potere politico, portando varie minacce ai sistemi democratici. La principale minaccia risiede nell'amplificazione del potere strutturale del capitale, per cui gli investitori sono in grado di limitare la libertà d'azione dei governi democratici paventando la riduzione o il totale ritiro degli investimenti in uno Stato (i cosiddetti scioperi degli investimenti) quando le loro opzioni politiche o le loro agende non sono perseguite. Quando scelte importanti d'investimento dipendono dagli interessi finanziari, è facile che nasca una tensione tra Stati, governi e cittadini da una parte, ed enti finanziari dall'altra in merito alla direzione e allo sviluppo del sistema economico, poiché non è affatto scontato che interessi e bisogni di questi due gruppi si allineino. La tensione è inoltra esasperata dalla mancanza di trasparenza e responsabilità (accountability) che caratterizza alcuni centri nevralgici del sistema finanziario. Non solo, come abbiamo già discusso, le dimensioni di certi istituti finanziari creano un enorme problema di azzardo morale mediante il principio del too big to fail, ma gli attuali sistemi giuridici hanno difficoltà a imporre forme di responsabilità su processi complessi e globali come quelli finanziari, e questo è uno dei motivi per cui sono stati introdotti pochissimi accorgimenti legali dopo la crisi finanziaria del 2008. 252
Una questione profonda che emerge è se la nozione stessa di democrazia sia compatibile con l'esistenza di sistemi finanziari come quelli attuali. Ci si può chiedere se le società altamente finanziarizzate possano essere delle democrazie compiute o se siano piuttosto ciò che Crouch chiama postdemocrazie . Crouch sostiene infatti che la finanziarizzazione ha contribuito al declino delle classi sociali che avevano reso possibile una politica di massa attiva e critica e ha invece permesso l'ascesa di una classe politica autoreferenziale più interessata a stringere legami con gli interessi commerciali dei ricchi piuttosto che a perseguire programmi politici che soddisfino le preoccupazioni della gente comune. La finanza è uno dei motori che hanno creato uno scenario simile a quello di fine Ottocento, quando la politica era una partita giocata per lo più tra élite. 07
La tendenza è evidenziata dalla presenza di alcuni fenomeni caratteristici, come, per esempio, il fatto che gli Stati con elevati livelli di debito sovrano, come USA e Italia, devono considerare la reazione dei mercati finanziari in ogni decisione politica significativa o il fatto che i contratti finanziari diventino sempre più una forma centrale di relazione e coordinamento sociali. La principale reazione a questo scenario è la richiesta di ri-regolamentazione della finanza, specialmente dopo la crisi del 2008, per riportarla a una forma di attenta regolamentazione sotto la quale è stata per quasi tutto il corso della storia dell'umanità. Il principale ostacolo per attuare questo riequilibrio è il fatto che, diversamente dall'inizio del secolo scorso, il sistema finanziario è ormai globale, e quindi interventi normativi da parte di singoli paesi avrebbero come unico effetto la fuga di capitali, ossia un boomerang economico-finanziario per che li mettesse in atto.
Finanza e giustizia interna Il sistema finanziario solleva una questione di giustizia sociale interna, o meglio una questione relativa ai modi in cui la realizzazione della giustizia può essere favorita o ostacolata dal sistema finanziario. Un primo problema è quello dell'accesso ai servizi finanziari, ossia il diritto a determinati servizi finanziari, come un conto bancario o forme di prestito. Secondo alcuni studiosi nelle economie capitalistiche il credito dovrebbe essere visto come un bene primario e questo non è solo un problema per i paesi molto poveri, ma anche per quei paesi ricchi con un'elevata 253
disuguaglianza economica, dove diventa una questione di giustizia interna . Se in alcuni paesi i cittadini hanno il diritto di aprire un conto bancario di base (come in molti paesi dell'UE), in altri Stati non è così. 08
Non avere accesso ai servizi finanziari può essere considerata un'ingiustizia, perché, come abbiamo visto, spinge i più poveri a un'economia di cassa in cui sono più vulnerabili a forme di sfruttamento finanziario ed è più difficile accumulare risparmi. La finanziarizzazione può inoltre anche incidere sulla disuguaglianza socioeconomica non solo a livello pratico, per esempio mediante le retribuzioni, che come abbiamo visto sono in media molto più alte nel settore finanziario, ma anche a livello culturale: la logica e le norme ipermeritocratiche del settore finanziario (chi fa più soldi li fa perché è più bravo e quindi li merita) hanno contribuito ad aumentare la tolleranza sociale per le disuguaglianze nella società in senso più ampio . 09
L'ideale apparentemente democratico del merito, per cui le persone che fanno più soldi conquistano la loro ricchezza grazie al loro merito, fa apparire una disuguaglianza socioeconomica come la conseguenza giusta di una differenza di merito. Tuttavia, tale differenza di merito, anche quando esistesse, non giustifica certe differenze di benessere e infatti l'affermazione che le persone meritano quello che sono pagati sul mercato può essere accettata come vera solo nel senso più banale, ossia che se il mercato le premia significa che c'è una certa quantità di denaro per loro. Ma questa è cosa ben diversa dall'affermare che sia moralmente giusto che le persone meritano ciò che sono pagate. Il principio meritocratico che domina i sistemi finanziari è che gli individui sono ricompensati in proporzione ai loro sforzi e alle loro capacità. Tuttavia, basta una piccola riflessione per rendersi conto che ci sono molti fattori diversi dal merito individuale che svolgono un ruolo essenziale nel determinare i guadagni: eredità finanziaria, connessioni personali, discriminazione a favore o contro qualcuno, fortuna, matrimonio e, forse, più significativamente, la società in cui si è nati o si abita. «Se siamo molto generosi con noi stessi», ha detto una volta Herbert Simon, «penso che potremmo affermare che abbiamo "meritato" fino a un quinto del nostro reddito. Il resto è il patrimonio associato all'essere un membro di un sistema sociale enormemente produttivo». Altrettanto si può dire dei fattori che determinano chi vince e chi perde all'interno dell'economia, chi merita e chi non merita. Questa logica può infatti produrre una trappola meritocratica, ossia un meccanismo per la concentrazione e la trasmissione 254
dinastica di ricchezza e privilegio per intere generazioni . 10
Un aspetto chiave della relazione tra giustizia distributiva e sistema finanziario è il mercato dei mutui, perché per molti individui la casa è il bene più grande per il quale hanno bisogno di prendere un prestito e il mutuo immobiliare è il principale strumento della loro interazione con il sistema finanziario. Quindi regolare chi ha accesso ai mutui ipotecari e a quale prezzo può avere un impatto importante sulla giustizia interna. Queste scelte influenzano la distribuzione complessiva del reddito e della ricchezza e possono determinare il modo in cui i rischi finanziari sono distribuiti nella società. Infatti, le persone fortemente indebitate sono più vulnerabili quando avvengono alti e bassi nella loro vita personale (come malattia, perdita del lavoro, divorzio) o nella economia nel suo complesso (nel caso per esempio dei crolli economici). Il pericolo è che le disuguaglianze esistenti vengano ulteriormente rafforzate. Questo ci porta alla questione politica di fondo dei mercati finanziari, ossia quali obiettivi di giustizia distributiva dovrebbero essere raggiunti all'interno dei mercati e con quali mezzi, per esempio attraverso la tassazione. La risposta standard a questa domanda si basa sull'idea che bisogna «lasciare fare» i mercati, e poi raggiungere i modelli desiderati di distribuzione della ricchezza mediante tassazione e ridistribuzione. Se si adotta questo modello, la principale questione quindi è se il settore finanziario debba essere tassato di più. Un approccio alternativo è quello di intervenire sul sistema prima del processo ridistributivo e quindi progettare le regole del mondo economico in modo che esse conducano al modello distributivo che è ritenuto giusto, per esempio, imponendo norme sui prestatori e sulle banche in modo che gli individui poveri siano protetti dal cadere nella trappola di debito.
Finanza e giustizia globale La finanziarizzazione pone ovviamente anche una serie di questioni relative all'effetto della finanza sulla giustizia globale. Il dibattito sulla giustizia globale è diviso fondamentalmente tra un approccio statista e uno cosmopolita . Il primo affronta questioni di giustizia concentrandosi sullo Stato e considerando al massimo alcuni ulteriori doveri di beneficenza nei confronti dei poveri a livello globale, il secondo le discute su scala globale. 11
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La questione di fondo è se il sistema finanziario abbia doveri di giustizia e, in caso di risposta affermativa, se adempie a questi doveri, cioè se contribuisce a rendere il mondo più giusto o se invece spinga nella direzione opposta, o se invece sia neutro. Per rispondere a questa domanda bisogna considerare se e come l'attuale ordine mondiale sia influenzato dal sistema finanziario. Innanzitutto, ci sono diverse istituzioni, in particolare la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che costituisce contribuisce a rendere il mondo più giusto o se invece spinga nella direzione opposta, o se invece sia neutro. Per rispondere a questa domanda bisogna considerare se e come l'attuale ordine mondiale sia influenzato dal sistema finanziario. Innanzitutto, ci sono diverse istituzioni, in particolare la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che costituiscono un rudimentale ordine finanziario globale e molti paesi, soprattutto quelli più poveri, non sono nelle condizioni di rinunciare alle norme stabilite da queste istituzioni. Anche se a livello politico sembra ragionevole aspettarsi che queste istituzioni siano governate in modo da rappresentare gli interessi di tutti i paesi, tuttavia, poiché gran parte del loro budget proviene da paesi occidentali, e in virtù del loro particolare assetto interno, la loro governance è particolarmente sensibile agli interessi dei paesi ricchi occidentali, non a caso gli Stati Uniti possono mettere il veto su tutte le decisioni importanti del FMI. Un'altra preoccupazione legata alla finanza è l'effetto della volatilità dei mercati finanziari sui paesi più poveri. Nella misura in cui i mercati finanziari globali presentano infatti volatilità (fluttuazioni di prezzi) che deriva da speculazioni, e quindi non determinata da un incontro tra domanda e offerta reale, questa può danneggiare in modo sproporzionato i paesi più poveri, che sono più vulnerabili ai movimenti di capitale o a rapidi cambiamenti dei prezzi delle materie prime. Un modo per arginare questa volatilità è la vecchia proposta della Tobin tax, un'imposta sulle transazioni finanziarie che ridurrebbe la volatilità dei mercati finanziari internazionali. Un altro aspetto dell'attuale ordine globale che è critico dal punto di vista della giustizia è il privilegio del prestito. Come infatti osserva Pogge, i governi dei paesi possono prendere in prestito sui mercati finanziari internazionali 256
indipendentemente dal fatto che abbiano legittimità democratica o no . Ciò significa che i governi canaglia possono accumulare un debito che ricadrà ingiustamente sulle future generazioni. 12
Proprio il debito sovrano solleva ulteriori questioni legate alla giustizia globale. Di solito, i contratti mediante cui i paesi prendono a prestito sono considerati assolutamente vincolanti. Questo può diventare problematico e minacciare la sovranità nazionale in alcuni casi, nella fattispecie quando vengono contratti i cosiddetti debiti odiosi, quelli in cui funzionari governativi firmano contratti di debito (spesso molto onerosi) al solo fine di arricchirsi e i prestatori ne sono consapevoli. Naturalmente, questi generano nuovamente un problema di giustizia intergenerazionale e non a caso proprio questi contratti sono stati oggetto di richieste di un giubileo finanziario. Così quando i paesi entrano in difficoltà finanziarie anche per via di questi contratti, non hanno un modo sistematico di far ascoltare le loro difficoltà e debbono procedere alla ristrutturazione del debito. Ciò avviene quasi sempre accedendo al FMI, che però aiuta i paesi a ristrutturare il debito sotto condizioni che spesso richiedono di riorganizzare anche profondamente la loro struttura economica. Inoltre, il turbo-capitalismo ha reso più difficile la regolamentazione finanziaria: i capitali che si muovono sui mercati odierni infatti non solo hanno raggiunto dimensioni mai viste prima, non solo sono transazionali, ossia mobili oltre i confini nazionali, ma si muovono a una velocità mai esperita prima, creando minacce alla democrazia. Questo fatto rende in effetti difficile per i singoli paesi, soprattutto per quelli più piccoli, dotarsi di quelle norme finanziarie stringenti richieste per ottenere una giustizia finanziaria globale. Tale difficoltà divide paesi anche limitrofi su molte questioni di giustizia globale e la mancanza di coordinamento tra i paesi conduce a una continua corsa al ribasso tra loro per attirare capitali e investimenti. Normalmente ciò che viene abbassato per attirare capitali sono la regolamentazione finanziaria e la tassazione spesso a danno del welfare (come nel caso dell'Olanda). Il primo passo per rendere il sistema finanziario globale più giusto richiede quindi livelli significativi di cooperazione internazionale e forme di unificazione geograficamente ampie in merito a regolamentazione e imposizione fiscale. Il passo è essenziale se si vuole contrastare quello che è ormai il potere globale della finanza e ci porta alla questione finale di questo testo, ossia il potere finanziario e il rapporto tra potere e finanza. 257
Note 01 M. Roe, Political Determinants of Corporate Governance, Oxford, Oxford University Press, 2003. 02 GP. Davis, «Politics and Financial Markets», in K. Cetina, A. Preda (eds), Tire Oxford Handbook of the Sociology of Finance, Oxford, Oxford University Press, 2013. 03 Ibidem. 04 M. Clayton, B. Jorgenson, K. Kavajecz, «On the Presence and Market Strutture of Enchants Around the World», journal of Financial Markets 9 (1), 2006, pp. 27-48. 05 T. Christiano, «Money and Politics», in D. Estlund (ed.), The OxfordHandbook of Political Philosophy, Oxford, Oxford University Press, 2012, pp. 241-257. 06 V. Lenin, Imperialism: The Highest Stage of Capitalism, London, Lawrence and Wishart, 1948. 07 C. Crouch, Post-Democracy, Cambridge, Polity, 2004. 08 M. Meyer, «The Right to Credit», journal of Political Philosophy, 26 (3), 2018, pp. 304-326. 09 T. Piketty, Capital in the 21st Century. Cambridge, MA, Harvard University Press, 2014. 10 D. Markovits, The Meritocracy Pap: How America's Foundational Myth Feeds Inequality, Dismantles the Middle Class, and Devours the Elite, New York, Penguin Press, 2019. 11 B. De Bruin, L. Herzog, M. O'Neill, J. Sandberg, «Philosophy of Money and Finance», in E.N. Zalta (ed.), The Stanford Encyclopedia of Philosophy, Stanford, 2018. 12 T. Pogge, World Poverty and Human Rights. Cosmopolitan Responsibilities and reforms, Cambridge, Polity, 2008.
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11 Un anello per domarli Potere e finanza
L'anello di Sauron? La finanza possiede la capacità di influenzare e plasmare la società contemporanea in ogni suo aspetto ed è per questo che spesso è descritta come la forza, più o meno occulta, che domina la società contemporanea, lo strumento mediante il quale non solo si ottiene potere, ma si controllano gli altri poteri, quello politico, economico e sociale . È l'anello di Sauron, l'oscuro signore del romanzo di Tolkien: il suo anello domina gli altri anelli, il suo potere sovrasta gli altri poteri. 01
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Che cosa si intende in questo caso per potere? In particolare, che tipo di potere la finanza ostacola o promuove, e come, mediante quali meccanismi? Accentra o distribuisce potere? La presenza dei mercati finanziari e un argine o un acceleratore delle forme di potere? Rispondere a queste domande ci pone di fronte ad almeno due difficoltà. La prima riguarda la nozione stessa di potere; la seconda invece ha a che fare con l'opacità di alcuni meccanismi dei mercati finanziari, che rende complesso leggerli e interpretarli e quindi trattarli alla luce delle teorie sul potere, come quella classista, la elitaria, la pluralista e la teoria di genere. Il potere è una nozione complessa e poliedrica oggetto di numerose riflessioni fin dall'antichità. Platone e Aristotele ne hanno dato una trattazione estesa, mentre in tempi moderni si usa far risalire lo studio del potere ai lavori di Machiavelli e Hobbes. La proliferazione di teorie dedicate al potere ha reso complesso darne una definizione che metta d'accordo tutti o che non presenti aspetti controversi o contestati. 03
Una definizione minimale di potere Una definizione minimale di potere è quella che afferma che: A ha potere su B quando A può far fare (o non far fare) a B qualcosa che B non avrebbe fatto (o avrebbe fatto) se non ci fosse stato A, dove A e B possono essere due enti qualsiasi (un individuo o una collettività organizzata o no). 259
Il potere quindi è la capacità di un attore di modificare le decisioni prese o il benessere vissuto da un altro attore rispetto alle scelte che sarebbero state fatte o al benessere che sarebbe stato vissuto se il primo attore non fosse esistito o non avesse agito. La definizione implica la presenza di almeno tre caratteristiche essenziali in un'interazione basata sul potere: chi esercita il potere, ossia colui che è in grado di usare il potere per influenzare un risultato; chi è soggetto al potere, il cui comportamento o benessere viene modificato; l'insieme di scelte o eventi influenzati dal potere. Questa definizione è abbastanza ampia da rendere conto delle varie relazioni di potere anche finanziario (per esempio, è una forma di potere impedire un processo decisionale, ossia escludere alcuni soggetti o partecipanti), inoltre permette di inglobare le definizioni classiche di potere, come quelle di Max Weber o di Robert Dahl. Weber definisce il potere come la probabilità che un attore interno a una relazione sociale sia in grado di imporre la sua volontà nonostante la resistenza a essa. L'attivazione del potere dipende pertanto dalla volontà di una persona, anche in opposizione a quella di un'altra. Per Dahl, il potere è esercitato al fine di indurre coloro che sono soggetti a esso a seguire le preferenze individuali di coloro che lo detengono. Consiste quindi nell'obbedire alle preferenze altrui, ma non esclude la possibilità che in tali preferenze siano comprese quelle delle persone assoggettate. Tuttavia, non appena si tenta di delineare più in dettaglio che cos'è il potere, la situazione si complica. Già le trattazioni dei padri fondatori, Machiavelli e Hobbes, mostrano quanto possano divergere le varie concezioni. Per Machiavelli il potere non è una risorsa ma un mezzo che cerca vantaggi strategici, come quelli militari. A suo parere il potere totale è un fine desiderabile, che raramente si ottiene. Per Hobbes invece il potere è egemonia ed è centralizzato e focalizzato sulla sovranità. Deriva da una comunità politica, la cui incarnazione è uno Stato, una comunità o una società ordinata secondo un principio uniforme, e si caratterizza per continuità di tempo e luogo. Una trattazione delle varie teorie sul potere va oltre gli scopi di questo testo, per cui mi limiterò a fornire una selezione delle principali articolazioni 260
concettuali di quelle teorie che aiutano a far luce sul potere finanziario. La nozione di potere è associata allo stato di conoscenza o ignoranza delle persone che vi sono soggette -, conoscenza o ignoranza di mezzi, regole, e procedure del sistema di cui fanno parte -, e al riconoscimento, da parte delle stesse persone soggette, della condizione subordinata nella quale si trovano. Il potere può essere esercitato in due modi: in maniera diretta, con sanzioni e incentivi per vincere il consenso altrui, e indiretta, modificando il pensiero altrui per ottenerne un consenso spontaneo. Si distinguono almeno tre meccanismi fondamentali attraverso cui opera: l'ignoranza, l'isolamento, la divisione . In uno slogan: «non far sapere le cose. Se non riesci a non farle sapere, isola coloro che le sanno. Se non riesci a isolarli, dividili il più possibile». In particolare, chi non ha potere rimane in questa condizione innanzitutto perché non è a conoscenza dei modi e delle vie del potere (ignoranza): non è a conoscenza delle risorse disponibili, dei protocolli formali e informali, delle regole del gioco, dell'agenda politica ecc. Per questo, quando la conoscenza è distribuita in modo diseguale, la conoscenza è potere. 04
La conoscenza di tali aspetti è un prerequisito necessario ma non sufficiente per non subire un potere. Non è sufficiente perché, pur conoscendoli, si può rimanere in una posizione subalterna in quanto si è isolati: si può resistere o contrastare più efficacemente il potere se si conoscono potenziali alleati (e non solo gli avversari) ai quali unirsi per contrastarlo. Tuttavia, anche uscire dall'isolamento non è sufficiente per vincere un potere, perché per fronteggiarlo spesso bisogna associarsi a un numero sufficiente di persone consapevoli (non ignoranti), superando distanze spaziali e temporali. E il potere può strutturare spazio e tempo in modo da minimizzare la consapevolezza di coloro che sono subordinati e le loro possibilità di comunicazione e coordinamento. Il potere può operare mediante tre dimensioni comportamentali: manifesta, nascosta, latente . La dimensione manifesta deriva dalle relazioni tra le persone, per la precisione da situazioni di conflitto, ed esprime la capacità di ottenere l'adesione e l'obbedienza degli altri imponendo preferenze che ne cambino il comportamento. Questo potere è esercitato mediante decisioni ed è diretto, con espliciti vincitori e vinti. In questo senso, è il potere così come viene definito da Max Weber: all'interno di una relazione sociale un attore realizza la propria volontà nonostante la resistenza, identifica un 05
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problema e ne fornisce una risposta, in sostanza decide, ed è chiaro chi sta prendendo la decisione e perché lo sta facendo. Le decisioni vengono discusse apertamente, con consultazioni e discussioni. Spesso questo potere si esprime mediante la formulazione di leggi che richiedono l'obbedienza da parte di gruppi più ampi. La seconda dimensione, quella nascosta, è più sottile, e riguarda il controllo sulle questioni da prendere in considerazione piuttosto che sulle decisioni. Ogni organizzazione sociale ha un ordine del giorno che stabilisce quali sono le questioni da affrontare e quali quelle che non saranno trattate. In altre parole, il controllo del contesto all'interno del quale vengono prese le decisioni può influenzare tale decisione. In questo caso non è chiaro chi stia prendendo la decisione e perché. Una forma tipica di potere nascosto è il potere dell'agenda (agenda power): uno degli aspetti importanti del potere, oltre alla vittoria in una contesa, è quello di determinare l'agenda della lotta in anticipo, ossia stabilire quali questioni saranno negoziate e in quale ordine. Nel potere governativo, lo si riscontra nelle decisioni prese «a porte chiuse o nei «corridoi del potere», dove raramente è chiaro chi decide e perché. In tali contesti il potere è detenuto non solo dai funzionari eletti, ma anche dai lobbisti e dagli assistenti che organizzano riunioni, modellano ordini del giorno e scrivono verbali. La terza dimensione, quella latente, è ancora più sottile in quanto va oltre il controllo del comportamento altrui e cerca di influenzarne valori, cultura e desideri in modo da determinare i comportamenti (desiderati) piuttosto che limitarli o controllarli. Tale potere opera mediante la manipolazione della sfera psicologica degli individui e dei gruppi ed è simile alla visione marxista del potere ideologico, ossia la capacità di controllare ciò che gli individui pensano sia giusto al fine di condurli all'accettazione di decisioni di parte senza che abbiano luogo dubbi o contestazioni. I suor principali strumenti sono l'inganno e i metodi psicologici volti a cambiare i valori e Ciò che le persone considerano importante. Questo potere si esercita mediante la propaganda, come la creazione di discorsi deliberatamente progettati per far cambiare idea prima che la decisione sia annunciata o posta all'ordine del giorno. Per esempio, se si vuole far accettare una legislazione contro i sindacati, una retorica su come essi causano problemi può essere avviata prima di discutere la legge. Le altre due forme di potere vengono esercitate solo quando quella latente non funziona e si è indebolita. Infine, esistono inoltre almeno altre due rilevanti questioni relative al potere che hanno particolare rilevanza anche in finanza, ossia la distinzione tra potere 262
legittimo e illegittimo e tra potere formale e informale. Le due distinzioni danno origine a una matrice di quattro tipi fondamentali di potere: legittimo formale, legittimo informale, illegittimo formale, illegittimo informale. Potere legittimo formale. È ottenuto mediante autorità, ossia è esercitato da titolari di cariche o autorità decisionali incaricate, che prendono e fanno rispettare le decisioni in linea con il mandato formale. La maggioranza aderisce volontariamente perché riconosce l'autorità come legittima e ha acconsentito alla sua autorità. Potere legittimo informale. Deriva dall'influenza, ovvero da coloro che non rivestono cariche formali ma sono autorizzati da regole di gruppo a esercitare un'influenza sproporzionata, senza alcuna autorità decisionale delegata, mediante la persuasione logica e premi non materiali (come il riconoscimento, l'introduzione in circoli esclusivi ecc.). La maggioranza vi aderisce volentieri, perché è d'accordo (accettazione privata/conversione) oppure ricerca l'approvazione o l'accettazione (riconoscimento sociale). Potere illegittimo formale. È ottenuto mediante coercizione. Viene esercitato da titolari di cariche nominati in modo improprio oppure da coloro che non sono titolari di cariche ma ai quali è stata delegata l'autorità di prendere e far rispettare decisioni. Si basa sull'uso di sanzioni materiali o premi (denaro, posti di lavoro, danni fisici ecc.) senza alcun (o al di fuori di un) mandato formale. La maggioranza aderisce a malincuore solo per ottenere ricompense materiali o evitare sanzioni materiali. Potere illegittimo informale. È ottenuto mediante manipolazione. Viene esercitato da coloro che non sono titolari di cariche e che esercitano un'influenza sproporzionata senza essere stati incaricati dalle norme del gruppo. Si basa sulla manipolazione emotiva o occulta, compresa l'impostazione dell'ordine del giorno, l'uso di sanzioni non materiali (per esempio mettere qualcuno in ridicolo o indurlo a provare vergogna o a sentirsi in colpa). La maggioranza vi aderisce o inconsapevolmente (perché inconsapevole dell'inganno) o a malincuore (perché vuole evitare le sanzioni non materiali). La finanza, come vedremo, usa a vari livelli tutte queste forme di potere.
Potere e teorie economiche La nozione di potere viene trattata in modi diversi nelle differenti teorie 263
economico-finanziarie. La teoria neoclassica nega che il potere abbia un ruolo rilevante nei processi economici e ritiene anzi che economia e potere siano due nozioni che si escludono a vicenda. Milton Friedman sostiene che il potere è coercizione dove la coercizione è definita come l'assenza di un commercio bilaterale e volontario - e caratterizza i mercati come luoghi di scambi bilaterali, volontari. In questo caso il potere e i mercati si escludono a vicenda . Un governo che non utilizza accordi bilaterali e volontari, invece, esercita il potere. Quindi, i mercati rappresentano la libertà, il governo la coercizione. Il mercato non genera potere, ma lo combatte: è una difesa contro il potere. In realtà esiste una minaccia a questa libertà all'interno del mercato: il monopolista, il cui potere però, secondo la teoria neoclassica, non nuoce a nessuno. Infatti, se è pur vero che il monopolista, attraverso la sua capacità di controllare il livello di produzione, può limitare la produzione e forzare un prezzo più in alto di quanto avverrebbe in un mercato competitivo, nessuno è costretto a commerciare con lui: chi lo fa, lo fa liberamente ritenendo che sia meglio commerciare a queste condizioni piuttosto che non commerciare affatto. Il danno prodotto da un monopolista sta dunque nel rifiuto di offrire condizioni migliori. 06
L'economia istituzionalista invece afferma che vi sia potere nelle relazioni economiche che deriva dalla proprietà'. La proprietà in effetti è una forma di potere, non solo di libertà. In particolare, il potere è inevitabile se gli interessi sono in conflitto e se tutti non possono ottenere ciò che desiderano contemporaneamente. In queste circostanze, una persona senza proprietà è una persona senza potere. Nel marxismo, dove il potere è un concetto centrale per comprendere le relazioni economiche tra i diversi attori sociali, la proprietà è una forma di potere che risiede in persone o, ancora più significativamente, in classi. La classe dei capitalisti ha il potere di costringere i lavoratori a un rapporto di schiavitù salariale o di espropriare un surplus dal loro lavoro, anche se questo potrebbe non essere così evidente come la coercizione teorizzata da Friedman. Inoltre, il predominio dei capitalisti, che si manifesta attraverso modi visibili e invisibili, consente loro di determinare la sovrastruttura, ovvero di stabilire i contenuti della cultura, del governo, delle leggi e dei valori sociali in modo che il sistema, e quindi lo stesso potere della classe dominante, ne venga sostenuto. Nei mercati finanziari la principale forma di potere derivare da una 264
particolare proprietà, ossia dal possesso delle informazioni, o almeno di certe informazioni, e dei mezzi per diffonderle.
La conoscenza è potere? Potere e informazione in finanza «Il bene più prezioso che conosco è l'informazione.» L'affermazione di Gordon Gekko, nel film Wall Strett, esprime bene la caratteristica fondamentale dei mercati finanziari e del suo potere: il bene primario, l'oggetto reale delle sue transazioni, sono le informazioni, il cui possesso, conoscenza e distribuzione asimmetrica, struttura le relazioni di potere e le conseguenti possibilità di profitto: «informazioni, non m'importa come, non m'importa dove le ottieni... ottienile! Mi devi stupire». Così Gekko si rivolge al suo protégé Bud Fox, interpretato da Charlie Sheen. Ma la conoscenza da sola non è veramente potere: diventa potere solo quando gli altri non le possiedono o le Ottengono in un secondo momento. Nei moderni mercati finanziari l'informazione è tale per cui la sua acquisizione può essere anche estremamente costosa e l'ipotesi (neoclassica) di informazione perfetta (ossia l'onniscienza degli attori finanziari) si rivela quanto meno descrittivamente inaccurata. I mercati si comportano molto spesso in modo imperfetto dal punto di vista informativo e nei mercati imperfetti c'è spazio per il potere. La recente evoluzione della finanza, come abbiamo visto, è una storia di continua accelerazione dell'innovazione tecnologica, che aumenta anche la quantità di rilevanti informazioni a cui può attingere. Quando la conoscenza di prodotti, processi e ambienti complessi non è uniforme ed è ineguale, la conoscenza è potere e alcuni attori finanziari, se sono egoisti e razionali, saranno in grado di sfruttare la situazione a loro vantaggio. In questo assetto la teoria dei mercati efficienti si rivela difettosa e i mercati non sono più una difesa perfetta contro il potere. Quando l'ipotesi dell'onniscienza viene accantonata o ridimensionata, gli attori non agiscono sulla base di un albero decisionale oggettivo, ma si muovono attraverso ipotesi formulate sulla base delle loro percezioni degli alberi decisionali (propri e altrui), percezioni che a loro volta dipendono dalle informazioni di cui sono in possesso. Se queste sono incomplete o in qualche modo influenzate socialmente, allora lo è anche il loro comportamento successivo e ciò apre la porta al potere, ossia all'influenza e alla 265
manipolazione. Come abbiamo visto nel Capitolo 3, sono almeno due i modi in cui la teoria finanziaria concettualizza stati di informazione incompleta. Il primo, in linea con la tradizione neoclassica, sostiene che gli individui siano in grado di prendere decisioni razionali, ma non di acquisire informazioni senza costi. Gli individui hanno una capacità illimitata di elaborare le informazioni, ma l'atto di acquisirle utilizza scarse risorse: l'onniscienza non è soddisfatta a causa del costo di acquisizione delle informazioni, non per limiti cognitivi del soggetto. Ne segue che massimizzare la strategia impone di agire sotto una qualche forma di ignoranza. Il secondo approccio, a razionalità limitata, sostiene invece che gli individui hanno limiti cognitivi che rendono l'elaborazione dell'informazione difettosa: in questo caso, anche informazioni acquisite senza costi non hanno valore perché oltre certi limiti semplicemente i processi cognitivi degli individui le elaborano in modo erroneo. La tradizione Hueristics & Biases (H&B) e la Fast & Frugal (F&F), come abbiamo visto, sono due modi diversi di esaminare questi sistemi limitati di processare l'informazione. L'informazione imperfetta, o situazioni di asimmetria informativa, creano l'opportunità per l'esercizio di varie forme di potere, di cui quella semplice può essere vantaggiosa per entrambe le parti della relazione (chi esercita e chi subisce potere): è la situazione in cui si influenza l'asimmetria informativa mediante informazioni che forniscono alternative migliori. Per esempio, l'annuncio di un'alternativa superiore o di un prezzo migliore per un prodotto consente a un attore di intraprendere un percorso migliore, come nel caso di pubblicità che enfatizzano particolari caratteristiche o vantaggi di qualità di determinati prodotti che aiutano a prendere decisioni migliori. Controllo dell'informazione ed esercizio del potere possono tuttavia facilmente diventare le facce di una stessa medaglia e produrre situazioni in cui i benefici dell'asimmetria informativa andranno solo a vantaggio di una parte. Infatti, influenzare lo stato informativo di un attore può trasformarsi facilmente in un potere negativo per chi lo subisce mediante il controllo del processo decisionale. Se le informazioni fornite sono inesatte, parziali, selettive o addirittura fraudolente, un attore può esserne danneggiato. Se le informazioni trattenute sono importanti, il potere può essere negativo. Fornire informazioni gratuite, ma false, su un nuovo prodotto finanziario derivato, ritardando o bloccando così altre forme di investimento più efficaci, è chiaramente negativo per il benessere di un agente. Allo stesso modo è dannoso trattenere informazioni sui possibili effetti collaterali di 266
prodotti finanziari tossici. In effetti, un elemento cruciale in una scelta è la percezione di eventi, risultati e probabilità future. Le informazioni su questi aspetti spesso provengono da altre persone e possono creare percezioni imprecise anche di lunga durata. Coloro che sono impegnati in transazioni ripetute a basso costo e senza conseguenze a lungo termine possono ridurre gli effetti negativi di tale asimmetria informativa a un costo piuttosto contenuto tramite l'esperienza e limitare così il potere altrui. Le transazioni non ricorrenti, o quelle in cui l'esperienza è difficile da valutare, creano invece un maggiore potenziale per il potere negativo. Per esempio, quando l'evento da prevedere è in realtà la decisione futura di un altro attore finanziario, il potere di controllo delle decisioni altrui attraverso percezioni alterate dell'albero decisionale aumenta considerevolmente. Man mano che i sistemi economici si evolvono e l'informazione aumenta in quantità e complessità, o è sempre più frammentata, il potere entra in gioco e gli agenti razionali esercitano o sono soggetti al potere. Ogni volta che vi è scarsa conoscenza, vi è anche un potenziale potere conferito ai suoi possessori e i mercati da soli non forniscono una difesa. In questi casi, istituzioni politiche o giuridiche costituiscono un modo per contenere il potere, piuttosto che di introdurre potere nelle relazioni economiche. Coloro che sono soggetti al potenziale potere generato dal mercato possono cercare di sfuggire al suo effetto negativo senza rivolgersi al mercato. Un attore razionale, infatti, temendo i costi di essere soggetto al potere generato dal mercato in questo modo, può ricorrere a canali politici e giuridici per limitare l'esercizio di tale potere. Pertanto, l'intervento esterno nei mercati non equivale sempre, come vorrebbe la teoria neoclassica, all'introduzione di potere. La risposta al potere generato dal mercato non si limita all'attività politica: un attore razionale può scegliere di sostituire le interazioni di mercato con strutture amministrative, creando relazioni istituzionali volte a superare gli effetti peggiori del disuguale accesso a informazioni importanti e al potere che ne consegue. Le strutture amministrative sono dunque una risposta al potere e forniscono soluzioni parziali ad alcuni di questi problemi. Certo, anche esse sono imperfette e a loro volta centri di potere, in quanto concedono forme di predominio ai loro membri, ma questo naturalmente non costituisce un fatto solo negativo. Esse offrono indubbi benefici sociali, tuttavia tra i vantaggi non c'è la capacità di produrre il mondo ideale della 267
teoria del mercato efficiente, puro e privo di potere. L'esistenza delle strutture amministrative ci pone in un mondo complesso e normativamente ambiguo. Senza controlli esterni, nei mercati ci può essere potere. Con i controlli esterni c'è potere sui mercati. Non sembra esserci via di scampo. La scelta dunque non è semplicemente potere o non potere: è quali forme di potere. La società è percorsa da flussi di potere che si muovono in tutte le direzioni. Il potere di certe istituzioni richiede di essere bilanciato con quello di altre istituzioni. I tentativi di annullare gli impatti negativi di una serie di istituzioni richiedono l'esercizio del potere attraverso altre istituzioni. Le condizioni di un mondo dinamico, ma imperfetto, introducono inevitabilmente le possibilità che alcune persone danneggino altre. Quindi il potere ci permette di spiegare anche il motivo per cui l'ontologia finanziaria è così variegata: agenzie di rating, fondi pensioni, fondi speculativi, banche commerciali, banche d'investimento, banche centrali, svolgono funzioni diverse all'interno del sistema finanziario e, idealmente (quando sono opportunamente separate), controbilanciano i reciproci poteri al fine di garantire un migliore funzionamento del sistema. Coloro che sono soggetti ai potenziali danni del potere devono naturalmente agire per tentare di ridurli al minimo e la loro strategia ottimale e quella di controllare il potere con strumenti che non siano solo il mercato stesso. In effetti, senza un'interazione sociale che precede i mercati, e che definisca i diritti e le azioni che li difendono, gli scambi di mercato diventano un debole mezzo di coordinamento sociale. Ammesso che i mercati possano essere davvero guidati da una mano invisibile, bisogna prendere atto, come osserva Bartlett, che la mano è un arto, ossia è attaccata a un braccio e a un corpo composto di culture, leggi, politica, tecnologie e sistemi di diritti . Anche se la fisiologia della mano è ben compresa, i suoi movimenti risulteranno imprevedibili e inspiegabili fino a quando non vi sia una adeguata comprensione e attenzione alla fisiologia del braccio e del corpo da cui essa dipende. In una società di agenti egoisti e volti a massimizzare il proprio interesse, nessuno accetterebbe di osservare passivamente gli altri rimodellare i suoi diritti, la sua cultura, la sua visione del mondo, i valori, le sue possibilità tecnologiche se è economicamente vantaggioso e possibile rispondere a tale azione. 08
Le persone si trovano dunque inserite in un complesso sistema di relazioni di potere e il mercato, di per sé, non è sufficiente a impedire l'emergere di 268
forme di predominio. È quindi razionale per gli individui esercitare influenza sulla cultura, la visione del mondo e i valori degli altri ed è razionale accettare tale potere se è socialmente utile farlo. La società nel suo intero, quindi, è un sistema di potere e il sistema di mercato non è un sistema isolato: ci sono diversi sistemi di mercato integrati e strettamente collegati a culture, leggi, politica, tecnologie e sistemi di diritti. Cambiamenti in una qualsiasi di queste aree influenzano e modificano tutte le altre. Man mano che i prodotti culturali e tecnologici cambiano e diventano più complessi, i sistemi di potere cambiano, per esempio il cambiamento tecnologico e della distribuzione dell'informazione modifica i sistemi di potere.
Attraverso lo specchio: il potere finanziario e l'economia La finanza contemporanea esercita diverse forme di potere: da quello formale legittimo a quello informale illegittimo. Da una parte questo potere è positivo: come abbiamo visto, contribuisce a migliorare le condizioni di vita e il benessere di famiglie, imprese e individui, dando loro accesso a risorse di cui non dispongono e accelerando la loro crescita economica. In questo senso, il sistema finanziario contribuisce a distribuire il potere, nella forma di potere economico, di potere d'acquisto, o anche solo di fiducia in sé stessi. Tuttavia, la necessità di ricorrere al finanziamento e alle risorse rese disponibili dai mercati finanziari ha modificato non solo il modo di operare, ma anche quello di presentarsi al pubblico e di pensarsi degli attori economici. Imprese, individui e Stati si pensano sempre più come oggetti finanziari e si conformano spontaneamente a desideri, aspettative e standard metrici di Wall Street. Il potere finanziario è penetrato così in profondità nel tessuto socioeconomico mondiale da modificare il modo in cui non solo l'economia, ma la società stessa si pensa, che si conforma a come vorrebbe Wall Street, o meglio si modella sulla base di quello che ritiene Wall Street pensi o si aspetti. Ma che cosa pensa Wall Street? Che cosa vuole e cerca? Fondamentalmente gli attuali mercati finanziari sono alla ricerca di opportunità a breve termine, liquide, di attività con bilanci snelli in grado di pagare periodicamente dividendi e interessi agli investitori. Questa è l'immagine che li attira. E questa è l'immagine a cui le società non finanziarie sempre più cercano di 269
conformarsi anche deliberatamente al fine di attirare investimenti, espandersi (o resistere), guadagnare credibilità e fette di mercato. Questo modo di pensare, e di pensarsi, incide profondamente non solo sui bilanci, ma sul funzionamento interno della società, arrivando anche a ripercuotersi negativamente sull'attività reale dell'impresa e sulla qualità dei prodotti. Un esempio recente è quello della Boeing, in particolare il lancio del modello 787, la cui produzione è stata segnata da massicci sforamenti dei costi, ritardi e inconvenienti tecnici (come incendi delle batterie) . Che cosa hanno a che fare questi eventi con Wall Street? Naturalmente qualsiasi prodotto può avere problemi tecnici, ma l'aspetto più significativo del modello 787 è che è stato prodotto seguendo proprio il tipo di decisioni che Wall Street si aspetta che i dirigenti prendano. Nonostante le obiezioni degli ingegneri Boeing di lungo corso, il 787 è stato infatti sviluppato con un livello senza precedenti di outsourcing, in vista di una massimizzazione del ritorno sulle attività nette (ossia l'indice RONA). Il RONA è un parametro utilizzato dagli analisti finanziari per giudicare manager e aziende e l'importanza data a questo tipo di metrica ha influenzato le scelte di Boeing e di molte altre aziende. L'esternalizzazione ha così rimosso vari asset dal bilancio di Boeing, rendendolo più snello e appetibile, ma ha anche reso la catena di assemblaggio del 787 così complessa che l'azienda non è riuscita a mantenere l'alta qualità che un aereo di linea richiede e che era solita produrre. Così, proprio come gli ingegneri avevano previsto, il risultato finale è stato segnato da enormi ritardi, costi lievitati e problemi tecnici. 09
Quello di Wall Street, per lo più, è un pensiero a breve termine e la cui influenza spinge le società non finanziarie a dover fronteggiare una crescente pressione per effettuare rapidi pagamenti agli investitori (principalmente attraverso dividendi o il riacquisto delle azioni) a discapito degli investimenti in attività reali o in ricerca e innovazione. Inoltre, questo pensiero a breve termine porta a cercare profitti ovunque esistano possibilità, spostando capitali da un posto all'altro in lassi di tempo altrettanto brevi. Enormi capitali vengono disinvestiti e reinvestiti altrove, provocando collassi e boom in settori e aree geografiche disparate senza reali motivi economici, ma solo sulla base della convenienza di piani a breve termine di chi detiene questi capitali. La necessità di pensarsi in accordo con il pensiero di Wall Street genera dunque una serie di conseguenze economiche sui vari agenti: il desiderio di massimizzare il prezzo delle azioni a breve termine 270
porta le società a investire molto meno i propri asset; le metriche che Wall Street adotta, ossia gli indici usati per valutare le società, influenzano le scelte di molte di queste aziende; la pressione per ridurre le risorse interne all'azienda ostacola l'innovazione; i dirigenti delle imprese sono sempre più disposti a rinunciare al valore economico - anche ad annullare un progetto con un valore attuale netto positivo -, vale a dire a danneggiare volontariamente le loro aziende, pur di raggiungere gli obiettivi che Wall Street apprezza; l'adozione del pensiero a breve termine conduce a condotte che possono scarificare gli interessi dei dipendenti e dei clienti a beneficio degli azionisti e incoraggiare anche la disonestà da parte dei dirigenti che si sentono spinti a dover soddisfare richieste talora impossibili per risultare appetibili a Wall Street. Gli esempi non mancano. Tanto per farne uno, la pressione a ridurre le risorse interne per risultare appetibili ai desideri di Wall Street ha Spinto l'azienda Sara Lee a passare dall'abbigliamento e dal cibo alla sola gestione del proprio marchio . La scelta è stata spiegata dallo stesso amministratore delegato: «Wall Street può spazzarti via. Ormai sono loro che regolano tutto... e hanno deciso di dare premi alle aziende che presentano il maggior numero di profitti per il minor numero di attività». E così al fine di perseguire rendimenti azionari più elevati, Sara Lee (e molte aziende di elettronica) ha esternalizzato la produzione. Questo tuttavia ha un costo: la stretta integrazione tra il settore di Ricerca e sviluppo e quello della produzione è fondamentale per l'innovazione, e quindi quest'ultima ne soffre quando vengono separate così tanto. 10
Dunque, il motivo per cui sempre più manager fanno scelte che sanno essere sbagliate, contro gli interessi stessi della società per cui lavorano, ha una risposta precisa: il potere finanziario, che in una delle sue forme, quella teorizzata da Friedman, recita: massimizzare i rendimenti degli azionisti. Nel far ciò, il settore finanziario riesce a esercitare tutte e quattro le fondamentali forme di potere: da quello legittimo formale a quello illegittimo informale.
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Uno degli aspetti cruciali per capire la forza del potere dei mercati finanziari e azionari è la loro dimensione. Come abbiamo detto, e come rivelato da varie ricerche (tra cui anche una del FMI ) un sistema finanziario solido e sviluppato è fondamentale per la crescita economica di un paese. Tuttavia, se tale settore diventa troppo grande, ossia quando il credito del settore privato raggiunge l'80%-100% del PIL di uno Stato, può avere l'effetto contrario: inibisce la crescita, aumenta la volatilità ed è più incline ai crolli, come nel caso della crisi del 2008. 11
Nonostante questi inconvenienti siano noti, il settore finanziario continua a esercitare una grande influenza sul resto dell'economia: molti manager sanno che le richieste e i desideri di Wall Street danneggiano le loro aziende, ma continuano ad agire assecondandoli anche contro i propri interessi. Perché? La risposta sembra essere piuttosto chiara: squilibrio di poteri. Un potere diventa tanto più importante, e pericoloso, quanto più il settore o il gruppo di cui è espressione è in grado di plasmare il modo in cui un'intera società pensa a sé stessa. Il potere più forte infatti deriva dal modificare il modo in cui le persone pensano, in maniera che facciano spontaneamente quello che il potere desidera. Questa non è corruzione: per farlo bisogna creare un interesse, l'interesse a aderire al potere. Le convinzioni delle persone si modificano in modo naturale in accordo con gli interessi. Il risultato aggregato, come noto, può essere un'intera società piegata a servire spontaneamente e convintamente gli interessi del gruppo più potente, aumentandone ulteriormente il potere in un circolo vizioso. La dimensione della finanziarizzazione è il risultato di questo circolo vizioso in cui tutto è finanziarizzabile, anche le idee. Per questo vari studiosi sostengono che bisogna frenare e bilanciare l'enorme e sproporzionato potere economico e culturale di Wall Street.
La compagnia dell'anello: il viaggio contro il potere finanziario Il potere finanziario, che ha raggiunto e superato i livelli degli anni Venti del Novecento, prima della Grande Depressione, deve quindi essere riportato in equilibrio, soprattutto nei confronti del settore non finanziario. Se la finanza è l'anello di Sauron, serve una compagnia che lo riporti indietro, al punto in cui è stato forgiato. Poiché il potere e il prestigio del settore finanziario sono l'esito delle sue straordinarie dimensioni e redditività, sono necessari interventi che li riportino a livelli sani senza inibire le funzioni critiche del 272
settore. La chiave naturalmente è scegliere riforme adatte a contrastare le distorsioni create dal potere della finanza. In letteratura sono stati discussi vari di questi interventi, che sono stati contestati proprio perché riducono la redditività e il dominio di alcuni centri di interesse nel settore finanziario. Ma è questo il punto: le riforme non devono impedire al sistema finanziario di funzionare e al contempo devono riportare equilibrio al suo interno e all'esterno. Di seguito discuto alcuni dei principali interventi proposti. Separare le banche commerciali da quelle d'investimento. Questa separazione, introdotta subito dopo la crisi del 1929, è stata in vigore a lungo fino alla deregolamentazione del settore finanziario cominciata negli anni Ottanta. Le ragioni profonde per crearla sono ben riassunte in una metafora di George Soros, il quale compara il sistema finanziario alle petroliere, che sono molto grandi e che nel corso dei loro primi viaggi finivano per capovolgersi. Accadeva perché tutto il petrolio iniziava a sciabordare nel contenitore della nave fino a quando il movimento diventava così accentuato da portare la nave fuori equilibrio e farla capovolgere (bastava un mare anche poco mosso per innescare il movimento). La soluzione è consistita nel dividere in vari compartimenti il contenitore della nave, evitando così che lo sciabordare coinvolgesse tutto il petrolio e il movimento diventasse tale da far capovolgere la nave. Il progetto di una petroliera deve tener conto di questo fatto. Analogamente, l'architettura dei mercati finanziari dovrebbe fare altrettanto: tutto il liquido (denaro) non può circolare liberamente, ma servono delle divisioni nette (i compartimenti) per evitare che ciò che succede da una parte coinvolga tutto il sistema portandolo fuori equilibrio e poi al collasso. Limitare le dimensioni delle banche universali, quelle che combinano sia l'attività commerciale sia quella di investimento. Le maggiori banche statunitensi sono cresciute rapidamente dopo la deregolamentazione finanziaria degli anni Ottanta e sono diventate ancora più grandi dopo la crisi del 2008. Infatti, se nel 1995 le attività delle sei maggiori banche statunitensi erano pari al 17% del PIL del paese, nel 2006 tale numero era cresciuto fino al 55% e nel 2013 ha toccato quota 58% (!). Le grandi banche statunitensi ricevono enormi sovvenzioni indirette dal governo, che per questo ha interesse a garantire la loro sopravvivenza e a non farle fallire. Se invece le banche fossero abbastanza piccole da permettere al governo di lasciarle fallire, ciò ridurrebbe molto il loro potere. Il punto in questo caso è capire quale sia la soglia dimensionale: Simon Johnson e James Kwak propongono che tale soglia sia il 4% del PIL e che per le banche d'investimento sia il 2% . 12
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Queste soglie si applicherebbero a poche aziende ma che esercitano un grande potere. Limitare il ricorso alla leva finanziaria, ossia a capitali prestati, che è uno dei principali modi con cui le banche hanno aumentato il loro potere. Come noto, la leva amplifica i profitti, ma aumenta anche le potenziali perdite, e quindi il rischio che le banche corrono, in quanto più alto è il ricorso alla leva, minore è il margine di errore che si può commettere. Anche in questo caso il punto è capire quale sia la soglia. A tal proposito Anat Admati e Martin Hellwig mostrano che se la leva finanziaria di una banca fosse limitata a 25% le banche sarebbero in grado di operare normalmente, e il sistema finanziario nel suo complesso sarebbe più stabile . 13
Porre il mercato del debito e quello azionario su un piano di parità. Un quarto rimedio proposto in letteratura, più controverso, è quello di porre il mercato del debito e quello azionario su un piano di parità. Il mercato del debito è il mercato in cui vengono negoziati gli strumenti di debito, ossia attività che richiedono un pagamento fisso al titolare, di solito interessi, quali obbligazioni statali o societarie, mutui o ipoteche. Il mercato azionario è invece il luogo della negoziazione di strumenti azionari, titoli che danno un diritto di credito sugli utili e sulle attività di una società, per esempio azioni ordinarie negoziate alla Borsa di New York. Ovviamente i due strumenti sono molto differenti. Il finanziamento azionario consente a una società di acquisire fondi (spesso utilizzati per investire) senza incorrere in debiti. D'altra parte, l'emissione di un'obbligazione aumenta il debito di chi le emette perché gli interessi contrattuali devono essere pagati, (a differenza dei dividendi, non possono essere ridotti o sospesi). Coloro che acquistano strumenti azionari acquisiscono la proprietà dell'attività del titolo che detengono (in altre parole, ottengono il diritto di votare sulle questioni importanti per l'azienda). Inoltre, i detentori di azioni hanno crediti sugli utili futuri dell'azienda. Al contrario, gli obbligazionisti non acquisiscono la proprietà dell'azienda né hanno alcuna pretesa per i profitti futuri: l'unico obbligo del mutuatario è quello di rimborsare il prestito con gli interessi. Da una parte, le obbligazioni sono considerate investimenti meno rischiosi, in quanto il rendimento del mercato obbligazionario è meno volatile del rendimento del mercato azionario e nel caso in cui l'impresa ha problemi, gli obbligazionisti vengono pagati prima di altri, mentre gli azionisti potrebbero non ricevere alcun indennizzo. Dall'altra, i mercati del debito sono molto più grandi dei mercati azionari e sebbene il mercato azionario sia più volatile di 274
quello del debito, il debito crea rischi mentre l'altro no. Quanto più una società è indebitata, tanto più è soggetta ai colpi dei mercati finanziari. Il fisco statunitense, per esempio, rende gli interessi, ma non i dividendi, deducibili dalle imposte, di fatto favorendo il debito rispetto all'azionariato. Se si combina tale preferenza fiscale con l'altissima aliquota fiscale statunitense sulle società, si ottiene un quadro in cui le società hanno un forte incentivo a prendere a prestito. Se si togliesse questo incentivo per il debito, si ridurrebbe il potere del settore finanziario sul resto dell'economia. Tassare le transazioni finanziarie. Un'altra fonte di potere e di profitto per il settore finanziario è l'enorme volume di transazioni finanziarie nei mercati azionari. Il basso costo richiesto per la compravendita di azioni incoraggia gli investitori a considerarle strumenti finanziari a breve termine, non investimenti a lungo termine. Una tassa sulle transazioni finanziarie, inizialmente prevista da Keynes nel 1936 e applicata alle valute nel 1972 da Tobin, se implementata a livello mondiale ridurrebbe la volatilità e incentiverebbe comportamenti a medio-lungo termine degli investitori, indebolendo un'altra fonte di potere del settore finanziario. Quaranta paesi impongono una tale tassa, e gli Stati Uniti ne hanno avuto una dal 1914 al 1966. Trattare i redditi derivanti da investimenti come redditi ordinari. Un altro modo di favorire il settore finanziario infatti è la minore aliquota fiscale sulle plusvalenze. L'accorgimento in teoria serve a favorire gli investimenti e quindi la crescita economica, ma in pratica questo si verifica solo a intermittenza. Burman e Kravitz per esempio mostrano come non vi sia una relazione costante tra crescita economica degli Stati Uniti e aliquote fiscali sulle plusvalenze . Questo differente trattamento fiscale fa sì che le persone il cui reddito deriva da investimenti ricavano più utili dopo le tasse rispetto a coloro che vivono del proprio lavoro. Questo aumenta significativamente il reddito al netto delle imposte di molte imprese finanziarie e dei suoi dirigenti, spesso pagati principalmente attraverso stock option. Il vantaggio aumenta il loro potere e prestigio. La domanda in questo caso è: perché un governo concede tale agevolazione quando non c'è alcun beneficio economico nel farlo? Una pratica basata su una teoria plausibile ma difettosa, che in pratica favorisce un'élite, è un classico esempio del pensiero distorto causato da uno squilibrio di potere e dell'egemonia culturale esercitata dalla finanza. 14
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Il dominio culturale della finanza Pur ammettendo che subito dopo la crisi del 2008 il sistema finanziario fosse troppo fragile per rischiare l'applicazione di riforme come quelle sopra descritte, e che il paragone di quella crisi con la Grande Depressione non sia appropriato e quindi non fosse possibile proporre un New Deal alla Franklin Roosevelt, non può sfuggire che già al 2013 il settore finanziario stesse di nuovo andando bene, tanto che il salario medio a Wall Street era di 164.530 dollari, il più alto dal 2007. A questo recupero del settore finanziario fa da contraltare il persistere della difficoltà del settore non finanziario, che continua ad avere problemi come la disoccupazione cronica, la crescita lenta o assente, redditi medi stagnanti e altri indicatori economici in chiara difficoltà, tra cui l'eccessiva mobilità non solo dei capitali, ma delle persone, con risvolti pesanti per la vita individuale e familiare. Il problema è che questa situazione non solo è diventata normale, ma è vissuta e accettata come tale. Questo è il segnale che il potere di un certo modo di fare finanza è cresciuto fino ad assumere una dimensione sociale e culturale, modificando opinioni e assunzioni diffuse, fino a farle diventare implicite e quasi scontate. Opinioni come: è normale accettare come status quo la mobilità, l'emergenza e la precarietà, ossia la realizzazione nel mondo non finanziario del pensiero a breve termine che caratterizza il modo di agire e di fare profitti della turbo-finanza; le difficoltà dell'economia non finanziaria e le sue conseguenze sociali sono parte di un ciclo naturale; l'economia è strutturalmente incapace di creare i posti di lavoro e i redditi che le persone si aspettano; molti mercati devono essere attentamente regolamentati mentre i mercati finanziari possono essere sotto-regolamentati; i mercati finanziari sono luoghi meritocratici, dove è facile capire chi è migliore. Per dirla citando il celebre film La spaccone, «alla fine del gioco si contano i soldi. È così che scopri chi è il migliore. È l'unico modo». 276
Riuscire a far credere e accettare queste come normali opinioni, mentre la finanza continua a prosperare, è l'espressione del grande potere culturale che la finanza ormai ha raggiunto. Come l'anello di Sauron, che è autonomo dal suo portatore, la finanza (o almeno parti di essa), sembra vivere di volontà propria, in maniera quasi indipendente dall'economia reale che pur dovrebbe servire e che la contiene. Tuttavia, semplicemente le cose non solo non stanno come affermano queste opinioni, ma non sono sempre state così. È possibile riequilibrare la società in modo da creare ricchezza e beneficio diffuso attraverso i mercati. Per questo le imprese non finanziarie devono fare del riequilibrio del potere finanziario una loro priorità: un potere così grande può essere contrastato solo con altro potere, e per quanto forte Wall Street sia ora, le imprese che compongono il resto dell'economia, insieme, sono molto più forti. Contrastare l'eccessivo potere di Wall Street non solo è possibile, ma è già stato fatto. Tanto per citare un esempio di scuola, nonostante J.P. Morgan controllasse circa il 40% dei capitali negli USA di allora, e fosse quindi più potente di qualsiasi finanziere di oggi, non riuscì a impedire al presidente Roosevelt di bloccarlo e di riformare il settore finanziario. In qualche modo le imprese non finanziarie hanno reagito. Per esempio, a partire dal 2010 le principali istituzioni finanziarie avevano utilizzato la loro proprietà di scorte di alluminio per aumentare il prezzo di questo metallo: Goldman & Sachs da sola possedeva il 70% di alluminio nordamericano. Le aziende che utilizzano l'alluminio si sono lamentate, tanto da arrivare al Senato americano, che ha revisionato una sentenza del 2003 che consentiva alle banche di commerciare merci fisiche. Il caso può fare da apripista e spingere le imprese non finanziarie non solo a chiedere interventi a macchia di leopardo su problemi specifici, ma a esigere una riforma del sistema finanziario generale, che andrebbe a loro beneficio. Questo è un modo attraverso cui il mondo economico può riequilibrare lo squilibrio a favore del potere finanziario. Ma non basta: dominio economico e dominio culturale sono strettamente connessi e per riequilibrare un potere così forte come quello finanziario odierno, che opera a livello economico, sociale e culturale, la via economica può non bastare. Serve anche un contrasto culturale, perché la cultura e la conoscenza, come abbiamo visto, forniscono gli strumenti per forgiare il primo dispositivo per contrastare un potere, ossia vincere l'ignoranza e riflettere sulle criticità e i rimedi al potere finanziario. Fatto questo, si può passare al secondo e terzo passaggio, ossia condividere 277
e poi diffondere i risultati di tale riflessione quanto più possibile per modificare la visione del mondo che una parte della finanza ha via via innestato nel tessuto socioeconomico culturale. Questa visione si basa su opinioni, come quelle sopra esposte (supposta meritocrazia, competizione che premia il migliore, mentalità a breve termine) che, ammesso che possano essere plausibili, il potere finanziario in molti casi ha reso trasparenti (invisibili), sottraendole al dibattito pubblico o rendendole valori a cui si aderisce spontaneamente. La conoscenza e la cultura ci aiutano a rimuovere queste opinioni dall'attuale stato di assiomi e a riportarle al loro stato naturale, ossia di semplici opzioni che devono passare sotto il vaglio di una discussione aperta ed esplicita della società che deve farne uso. Se la finanziarizzazione ha preso così tanto piede da impostare un mondo postdemocratico, forse è giunto il momento di iniziare a immaginare a un mondo post-finanziarizzazione, se non postfinanziario, che non rinneghi quanto di utile vi sia nella finanza, ma che la superi nel senso di non metterla al centro del processo di coordinamento sociale. Note 01 R. Bartlett, Economics and Power. An Inquiry info Human Relations and Markets, Cambridgg, Cambridge University Press, 1989. 02 N3xuZ Darker. Il codice sorgente e il potere della finanza,, Roma, I Diavoli 2020 03 B. Russell, Power, London, Allen & Unwin Ltd., 1933. 04 S.R. Clegg, Frameworks of Power, London, SAGE, 1989. 05 S. Lukes (ed.), Power. A radical view, New York, New York University, 1974. 06 M. Friedman, Capitalism and Freedom, Chicago, University of Chicago Press, 1962. 07 A. A. Schmid, Property, Power, and Public Chioce: An Inquiry into Law and Economics, New York, Praeger Publishers, 1978. 08 R. Bartlett, Economics and Power. An Inquzry into Human Relatzons and 278
Markets, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. 09 G. Makunda, «The price of Wall Street's Power», Harvard Business Review, giugno 2014, disponibile online su https://hbr.org/. 10 Ibidem. 11 J.L. Arcand, E. Berkes, U. Panizza, Too Much Finance?, IMF Working Paper 12/ 161, International Monetary Fund 2012, disponibile online su www.imf.org. 12 S. Johnson, J. Kwak, 13 Bankers, New York, Pantheon, 2010. 13 A. Admati, M. Hellwig, The Bankers' New Clothes, Princeton, Princeton University Press, 2013. 14 L. Burman, T. Kravitz, «Capital Gains Tax Rates, Stock Markets, and Growth», Tax Notes, 7 novembre 2005.
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Table of Contents Un filosofo a Wall Street
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Prologo 1 Il motore del progresso delle civiltà L'ascesa della finanza Perché la finanza. Perché la filosofia La guerra dei mondi? Fenomenologia della finanza L'ontologia dinamica della finanza Note 2 Tutto può essere un «collaterale» Passo #1: la mercificazione Passo #2: la finanziarizzazione Una breve fenomenologia della finanziarizzazione Finanziarizzazione e nuovo ciclo economico I benefici della finanziarizzazione I pericoli della finanziarizzazione Finanziarizzazione e forme di capitalismo Note 3 Il caleidoscopio della finanza Le molteplici teorie finanziarie L'investitore neoclassico: l'ideale dei mercati efficienti L'investitore efficiente I limiti dell'efficienza Una ontologia non così efficiente Una metodologia non così efficiente Il momento Minsky: l'ipotesi dell'instabilità finanziaria Una metodologia instabile? I prezzi sono sempre sbagliati: l'ipotesi dei mercati riflessivi (RMH) La riflessività Due debolezze Terremoti finanziari: l'ipotesi econofisica L'ipotesi della finanza comportamentista 280
4 14 14 17 19 26 31 36 39 39 42 47 50 51 52 54 57 60 60 61 65 69 69 72 73 76 76 78 82 83 87
Un investitore non tanto razionale Note 4 «Perché nessuno se n'è accorto?» La domanda regina Previsione e rischio Varietà di rischi Il rischio in finanza Il problema finale: Sherlock Holmes, Morgenstern e l'impossibilità logica della previsione Punti fissi, approcci dinamici e la possibilità della previsione Soluzione della versione non-strategica Soluzione della versione strategica «Non puoi ingannare tutti per tutto il tempo Ma puoi ingannare tutti o qualcuno per quanto basta La minaccia fantasma Note 5 La matematica della finanza Matematica ed economia La finanza dei punti di equilibrio Il Sacro Graal dell'econometria Criticità teoriche Criticità tecniche La finanza dei punti critici: l'econofisica La matematica come via d'accesso? La ricerca di una nuova matematica? Approccio bottom-up vs top-down in finanza Performatività, matematica e finanza Etica e matematica: lo strano caso della finanza Note 6 «Se non avesse detto niente, lo avrei rotto lo stesso? L'oracolo della finanza Dal linguaggio alla finanza: il viaggio filosofico della performatività Il dibattito sulla performatività Salvate il soldato Austin La ricerca della felicità 281
87 91 93 93 96 98 101 103 106 107 111 113 115 117 119 121 121 123 125 127 130 132 134 136 137 138 140 142 142 143 146 148 149
La resistenza dei fenomeni finanziari Note 7 Il cyborg finanziario Un timelapse finanziario Che cosa vogliono le macchine? Alga-trading Più veloce della luce: il trading ad altra frequenza (HFT) La vita degli altri: sentiment analysis e finanza L'era delle macchine? Un primo bilancio Il diavolo si annida nei dettagli: le microstrutture finanziarie Le relazioni pericolose: dati e modelli in finanza Microperformatività Verso una finanza inversa? Dati e modelli in finanza: alcune osservazioni filosofiche Note 8 Filosofie d'investimento Quindici azioni in fase di decollo che ti aiuteranno ad andare in pensione ricco quest'anno Soros: l'investitore filosofo Warren Buffett: la forza dei fondamentali Kyle Bass: la qualità può essere più importante della quantità Che cos'è una filosofia d'investimento Che cosa significa investire Filosofie d'investimento e rischio Note 9 L'avidità è un bene? «L'avidità è bene? Etica e finanza: uno sguardo dall'interno L'etica del rischio Insolvenza Onestà Inganna e frode Conflitto di interesse Insider trading Etica e finanza: uno sguardo dell'esterno Impatto sociale e sistemico della finanza 282
151 154 156 156 157 158 159 162 164 168 170 173 176 177 178 180 180 183 186 187 189 194 195 196 198 198 201 202 205 207 208 209 210 212 215
Le crisi finanziarie I danni della regolamentazione I benefici della regolamentazione L'approccio dinamico alla regolamentazione La trattativa Stato-Finanza L'approccio «niente di speciale»: lo Stato non è diverso L'investimento socialmente responsabile Finanza e povertà: la microfinanza L'1%: finanza e ricchezza Etica e finanza: convergenza? Note 10 Tutti gli uomini della finanza L'intreccio politica-finanza L'influenza della politica sulla finanza L'influenza della finanza sulla politica Finanza e democrazia Finanza e giustizia interna Finanza e giustizia globale Note 11 Un anello per domarli L'anello di Sauron? Una definizione minimale di potere Potere e teorie economiche La conoscenza è potere? Potere e informazione in finanza Attraverso lo specchio: il potere finanziario e l'economia La compagnia dell'anello: il viaggio contro il potere finanziario Il dominio culturale della finanza Note
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