Tradotte da Francesco Capra Sulla dottrina dello Spinoza. Lettere al sig. Mosè Mendelssohn [First ed.]


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Tradotte da Francesco Capra 
Sulla dottrina dello Spinoza. Lettere al sig. Mosè Mendelssohn [First ed.]

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FEDERICO ENRICO JACOBI

SULLA DOTTRINA DELLO SPINOZA LETTER'],; AL

SIGNOR MOSÈ MENDELSSOHN

TRADOTTE llA

FRANCESCO CAPRA

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.I PROPRIB'l'À

LlllTTlllRARIA

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PREFAZIONE Una filosofia mistica comt• quella di lfederico Enrico Jacobi non h,i svolgimento. E infatti dai suoi romanzi filosofici (Allwill, 1775-6: e Wolde1,1a,·, 1777) alla lnti·oduzione a tu.tti i :,;uoi sci·illi filosofici (1815) il Jacobi svolge sempre lo stesso concPtto, sempre più. confermato e chiarito con polemiche e discussioni accC"ssorie, ma rimasto sPmprc• immutato. Siccbè, concludendo 111 eletta Inb-odu~ione, che è poi la ronclosione di tutta la sua carriera speculativa, egli potè dire: • Finisco come cominciai» (Jch ende wie ith bega11n) C). Questa filosofia per altrn culmina in questo libro Sulla dntLrina dello ... 'ipino~a, da noi tradotto: che dal 1785, anno 1ella prima edizione, nnzi da due anni prima quando fu se-ritta la prima lettera al )lcndelssohn, al 1819, qunndo il libro riapparve per la terza e ultima volta (2), dopo essere stato in una edizione anteriore, del 178~l, molto accresciuto con note e appendici, mentrP contiPnc la storia del proprie, processo di formazione, riflettNfil

La critica dello Spinozn. fatta dal Jaeobi è la critica del razionalismo illuministico del sec. xvm, uscito in Germania dalla scuola del Wolff e rappresentato dal Mendelssohn, a cui il Jacobi si rivolse: una critica, che, a differenza di quella del contemporaneo Ilamann, non è l'espressione diretta degli immanenti bisogni spirituali, per cui a volta a volta, in ogni tempo, il misticismo risorge contro le conclusioni negative del razionalismo, ma è la conseguenza della profonda ricostnLZione dello slesso sistema di pensiero a cui si contrappone. Giacchè questa critica di Spinoza, quale che sia l'esattezz;a storica del!' interpetrazione jacobiana, ha. storicamente un'importanza di prim'ordine per due ragioni apparentemente contradittorie: come critica definitiva del razionalismo cartesiano, che nell'Etica ùi Spinoza raggiunse la sua forma più rigorosa e coerente; e come splendida dimostrazione e, pel tempo in cui sorse, vera e propria scoperta dello straordinario valore della filosofia spinozfana, 4uale momento necesim.rio nello svolg·imento ideale del pensiero moderno. Schlciermacher, Ficbte 1 Scbelling, Regel non si spiegherebbero senza lo Spinoza del Jacobi: questo Spiuoza che è il più grande dei filosofi razionalisti e insieme l'autore d'un sistema fondato sul piu grave degli enori di èodesti filosofi: e però appunto la prova più c,ridente della vanità della filosofìa, contro la quale il Jacobi rivendica i più alti diritti della vita dello spirito. La filosofia pa.nteistica e fatalistiGa, che questi combatte, è il naturalismo; il Dio che vuol salvare, non è altro che la libertà dello spirito: quell ..t liberlù ~be allora cominciava con Kant ad apparire nella sua luce, ma c·he non avrebbe potuto trio,nfare senza fare i eonti con lo spinozismo, questa segreta e più potente forza del razionalismo dei l\fondclssobn, ancorché cosi scarsa

vu

PJU!J}'àZlONE

familiarità essi avessero, come qL1csto libro dimostra, con quell'arduo sisLema. Di nessuna delle opere del Jncobi è stata mai pubblicata nessuna traduzione .. Ma in Italia, dove la sua filosofia nella prima metà ael secolo scorso esercitò un notevole influsso (1), non è questa la prima volta che si è pensato a tradurre qualcuno de' suoi scritti. TI piemontese Luigi Ornato (L787-1842), il traduttore dei Ricordi di Marco Aurelio, filosofo rimasto oscuro ma molto versato nella conoscenza della filosofia grec·.11. e della tedesca, del .Jacobi ammi1·.:1,tore,ne volse in italiano e commentò e .le lettel'e sulla rtottrina dello SpfnMa e lo scritto Sulle cose dfrine e tu lOJ·o ,·ioelazione (1811) (2). Ma le sue versioni 110n videro mai la luce; e sono andate disperse. Torino.

aprile 1914. FRANCESCO CAPRA.

(l) \7 • O. GatNTJLEt GiotJo.>1 .Ma,•ia Be·nini e l'influsso Ct"ìtica, 111, 189:;.

(2) G1wrir.~, I. e,, l'· 296.

dd Jacobi bt /lcdia. neUa

PREFAZIONE ALLA

TERZA

EDIZIONE

(.._)

Il processo di quest'opera è affatto storico; esso non è fatto, ma diventato; e presentemente conviene in essa lasciar tutto come allora nacque e come in ... séguito rimase, senza volerne aume11tare i pregi o diminuire i difetti. Iu un tentativo di tale sorta non vi sarebbe limite al togliere e all'aggiungere, al modificare e al migliorare. Perciò, dopo matura riflessione, risolsi di non sussidiare quest 1 edizione neppure con nuove annotazioni (2 ), ma di regolarmi come fossi l'editore di un'opera di uno scrittore già defunto. Perfino alcuni brani del111o conclusione, che mancano nell'edizione del 1789, furono da me restitniti secondo l'edizione del 1785, pofobè a vcvo ma.ggiol' fiducia nell'ispirazione originale che nella fredda l'iflessione 11I te1·iore,la quale spesso non può piu ritl'ovare niente affatto di ciò che lo spirito aveva dapprima mt>sso nel suo discorso. In senso simile Voltaire difese una delle sue opere contro un taJe che desiderava molto che vi facesse delle mutazioni: « Mi lasci il

{l) Questa prefa•lone, di cui li Jacobi aven preparato il disegno e aerilto Jlll· reecbie parti 1ier il quarto volume dello suo Ope•·•CLei1,zig, Fleischer, 1619), quando fn rnpito dalla morte, venne el•bornto. ù1tl ano 11111ico l!'ederico Roppen (Trad.J. (2) Soltanto per le pro1iosizionl che pr,cedono la lettern del 21 lurdio 178b del Mendelssohn, e 111pochi o.Itri luoghi, sl venne meno a questo proposito.

F. E. J,1,.co'IJI,Sulla dottrina dello Spino=a.

2

SULLA DOTTRINA

Dlllt,LO SPINOZA

ragazzo com'è: esso ha una gobba, ma gli sta bene,. Se anche fosse facile in apparenza togliere questi difetti senza offesa delle altre parti, l'assunto diventerebbe difficile, percbè si correrebbe pericolo di offendere la parte che è sede della vita. Secondo questi principii io credetti di dover procedere nelle tnie opere, e perciò parecchie gobbe rimasero al loro posto. Se ora a questo riguardo fosse avviata col gentile lettore un'amichevole intesa, essa sarebbe parimente desiderabile a un altro proposito, cioè per quel che concerne il contenuto comune delle mie opere e la loro forma. Si è già parlato della chiave comune di esse('). La quale però non sempre è stata trovata e adoperata, ma a volte si tentò di aprire con altre chiavi e controchiavi. Poichè questo sopratutto doveva divenir chiaro: che l'autore di esse opere è un filosofo solo di natura o di carattere; solo uno scrittore all'incirca o d'occnsione; per lui la scienza e la V a uno che vede la guida di un cieco, ma anche dimostrabile mediante ragionamenti la necessità di una tale disposizione di cose. Ma chi domina il sillogismo, mentre esso pone le sue premessn? So I o questo spirito colla sua presenza nei fatti della libertà, e con una coscienza inestinguibile. XLII. Come questa coscienza è la persuasione stessa, che l'intelligenza è attiva per sè sola; che è la forzii suprema, anzi l'unica a noi veramente nota: così anche insegna immediatamente la, fede in un'intelligenza prima e suprema, in un a.utore e legislatore intelligente della natura, in un di o, Olll~ È UNO SPrRlTO. XLIII. Ma questa fede conserva tutta la sua forza e diventa religione, solo quando nel cnore dell'uomo si sviluppa la facoltà dell'a.more puro. XLIV. Amore puro? - Vi è un tale amore? - Come si manifesta, e dov'è il suo oggetto? XLV·. Se io rispondo, che il principio dell'amore è quello stesso, della cui esistenza già ci accertammo come principio dell'onore: allora si crederà di aver più ragione di insistere 11 proposito dell'oggetto, che io devo spiegare. XLVI. Io rispondo dunque: l'oggetto dell'amore puro è 1{uello, che un Socrate ebbe presente. Esso è il 0é1ov nell'uomo; e la venerazione di questo divino è ciò che sta a base di ogni vi1·tù, di ogni sentimento dell'onore. (1) l,a ragione tlell'uorno, separai,,l, dall'uomo stes~o, il rnrn sempllce eo81t ,li pensiero, che non può uà agire nè ren~ire, nè pensare nè fare. (Questa nota manna nel111a• cùizlooe).

, 4-2

IHILLA DO'l''l'lllNA

JJ.WLl.O $PINOZA

XLVII. Io non posso costruire nè questo istinto, nè il suo oggetto. l'er poterlo, dovrei sapere come lo sostanze vengono creale, e come è possibile uu css~ro necessario. :M:a la mfa pcr:suasionc deJla loro esistenza sarà forse spiegata ancora un po' meglio da quanto segue. XLVIII. Se l'universo non è u11 Dio, m11una crenzlone; se è l'effetto di uu'inteUigenza lilJern: la tendenza originale di ogui e,;sere dev'essere c~pressionc di un11 volontà divina. Quest'esprei;sionc nella crea.tura ò la sua Legge originale, in cui deve necessariamente cf:lser data la forza di adempierla. Questa legge, la quale è la coudizione dell'esistenza dell'esbere stiano dimostrnLe medbute il fatto e conosciute dalla ragione. Come tutti gli uominj si attribuiscono la. libertà, e solo nol pos· sesso ct•i essa ripongono LL LORO o:-ORE; co::,I pure tutti :si attribuiscono unn !itcoltà dell'amore puro, e un sentimento del1'eue rgia predominante lii essa, in cui consiste la possibilità della libcrtl1. Tutti vogliono essere amanti dt'lla virtù stessa, non dei vantaggi congiunti ad essa; tutti vogliono conoscere un beli o. che non sia semplicemente il p1acevole; una gioia, che non sia il semplice solleLico. LI. Noi chiamiamo divine le azioni, che derivano veramente da questa facoltà; e la loro sorgente,Je disposizioni stesse,

PREFAZIONI0

ALLA

lUtOONUA -EIJlZlONlil

disposizioni divine .• \nche le accompagna una ~ioia, elle non pub esser p11ragonata con nessun'altra: è la gioia, e he Dio stesso hc1 della sun esistenza. LU. Gioi11è ogni godimento dell'esistenza; come, pl'r contra, tutto cib che contrasta coll'esistenza, apporta dolon• e aJTiizione. La sua sorgente è la sorgente della vita e di ogni attività. Ma se il suo affetto si riferisce solo 1t 1111'esist01rna transitoria, esso stesso è transit01·io: è l'anima del bruto. Se il suo oggetto è il uon transitorio ed eterno; esso è la forza della stessa divlnHà, e sua preda O l'immortalità. [Oltre a queste ampie trattazioni, ho ancora dichiarato in note a piè di pagina dei punli non senza importanza. Temo che qualche volt11 in queste note mi sia t1spresso troppo brevemente ed abbia richiesto troppa attenzione del lettore. Pure non s3rà da temere nessuno cq uivoco, se soltanto non si climonlica, che le parti di un libro devono essere considerate come le membra di un corpo organico. Un occhio estirpato uo11 può vedere: una mano mozzata non può ahbrancarf'. Ogni membro particolare adl'mpie al suo u.fliciospeciale soIiunente in connessione col tutto. Nelle nole è stato sempre avvertito, se esse oi trovavano già nl'll'edizione precedente, eccetto in quelle numerate del saggio del 21 aprile. Qui le note aggiunte sono segllllte con un t. In quest'opera ci volevano le osservazioni di l\leudelssohn al mio primo scritto, e il lettore le troverà a loro luogo. Per quel elle riguarda la connessione storica delle lettere, che dànno il nome a questo libro, ora 1'110fatta interamente diplomatica. Dove prima erano solo riassunti, ora sono gli originali stessi, e ne sono aggiunti diversi nuovi, che non stavano ancora nella mia Difesa, tra gli altri la prima lettcr11. che io scrissi su questo argomento. Si tro, 1 eranno anche alcune lettere cli Lessing. l'oichè battei questa via affatto semplice della verità materialo, mi potei risparmiare ogni osservazione ulteriore, e mi procurai il grande vantaggio: che non avrò mai bisogno di ritornare su questa materia.

I

44

SULLA DOTTRINA

DELl,O

SPINOZA

Le altre migliorie le voglio lasciar rilevare dallo stesso lettore. Mi sono ben guardato dal distruggere qualcosa, cbe sia divenuto notevole mediante assalti notevoli. Questi conservano dunque tutta la loro forza e rimangono nel loro valore . .Ho abbreviato della metà la conclusione; specialmente perchè ho tolto diversi passaggi che vi erano inseriti (I). Essa fu disapprovata, non senza motivo, e fraintesa, non seµza colpa per pa1te mia. _PempelforL presso Diisseldoi-f, 18 apl'ile 1789] (ZJ.

(1) In gran parte sono ora stati uuov,imente inseriti.

(2)

f J manan a.1111terza edlzloue. ['l'.]

['1'.1

SULLA DOTTRINA DELLO SPINOZA LRo trovato che il 11ii1,tclle sette hanuo ragione in ~uona parto di quel che pro1u110• vono. ma non tanto in quel cl1e negano. LE!UNrZ.)

(').

Un'amica intima di Lessing (i), che per mezzo di lui di· ventò anche mia amica, mi scrisse nel febbraio dell'anno ottantatrè, che essa aveva intenzione d'intraprendere un viaggio a Berlino, e mi domandò se avevo commissioni per quella città. Da Berlino la mia amica mi scrisse nuovamente. La sua lettera LTattava specialmente di Mendelssohn: « questo schietto ammiratore ed amico del nastrò Lessing •. Essa mi annunziava di aver parlato molto del Defunto, e anche di me, con Mendelssobn, il quale era finalmente per intraprendere La eua opera, da lungo tempo promessa, eul carattere e le opere di Lessing (l). I m,rnca nella 3• edizione. (2) Nella mia dif'esn contro Mendelssolm i& chi11111aiEmiiiA, ed anche io que,11'opera forò uso di questo nome invece del vero. (lo:lisn Reimarus, ligliu ,teU'autore dei 1Vo!fe1,l;iitlle1· Pr11!Jme,,ee. Mori l'anno 180fi). fNot11 tlclla 8• edi•.J ($) Nel gennaio dello siesso n.nno (178~) eompa.n,ero sul llfuseo eedesco, col titolo« l'cnsiori Ji parecchi su 11n'o11eranotevole>► (Ge,l1ml1er1Verschiedener tilJ111· 1•T!lemerlLrtengouo solo a, lui dalle parole scguenU sino alla fine: « Il nostro (1) [

,

SULLA DOTTRINA DELLO St>INOZA

4(i

Diversi ostacoli mi resero impossibile rispondere subito a questa leltera,, e la permanenz:t della mia amica a Berlino era, solo di poche settimane. Quand'essa fu di nuovo a casa, le scrissi e le domandai il molto o poco che l\fondelssohn rosse venuto a conoscere dei sentimenti religiosi cli Lessing, e soggiunsi che Lessi ng fu uno spinoziano ( 1). A me Lessing si era mani restato su q_uest'argomento senza reticenza; e poichè egli generalmente non inclinava a nascondPre le sue opinioni, potevo supporre che quello che io nutore anche passa sopra tutte queste oose assai r11pid11mente». A 11uesti « Pensieri" opposi nel fascicolo cli l'abbroio del 11loun~ « Ossorva1.ioni "• che er:rno appuuto stMo pubblicato, quanrlo h• mln nmlca giunse 1, Berlino. Vogllo orn qui ripnrtare alcune p!lrole di JLdi monte. Abb!omo parlato 1110110 di Leasing e cli Lei. Il b11sto nou dissomiglim1to di Lesslng fu la prim« cosa ~lrn mi di~de nell'occhio entrnntlo. Il J'ratnte, in una lettera del primo giugno 171'!0gli annunziai la mia prossima comparsa, e nello ;itesso tempo la invitai ad accompagnarmi in un viaggio, che avremmo fatto a Berlino. Bigum:do al viaggio, Lessing rispose chi> ue avremmo parlato insieme a WolfenbtiUel (l). Quando giunsi colà, vi ful'ono seri ostacoli. Lessi11g mi voleva indurre ad andare a Berlinl) s~nza. di lui e diventa.va ogni giorno più insistente. Il suo principale motivo era }fondelssohn, che era quello che stiinava di più fra i suoi amici. Egli desidera.va ardentemente, cbe io lo potessi conoscere personalmente. In tale colloquio, a un certo punto gli e8pressi la mia mernviglia, che un uomo di mente cosi chiara e retta come Mendelssohn, avesse potuto sostenere la ~sst\ non ))arMvn por In posta corrente. Per la 1,osto. corrnnt" non 1,01evo surlvcrlo, perchè volevo pnrlnrle di qualcosa nssni irnporrn111c- delle ultime opinioni tlol nostro Lessiug, 1,enhò, ~e Elllu crodosse beuo, ne, inl'ormnsso l\lcuJelssohn. Forsti Ella lo•", ,•, so non Jo su., glielo confido qui fra le rose 1lell'M1icizia, 11ùé Lessing negli ttlllml snoi giorni fu uno spino1.i1tno deciso. Potrebbe cintai che Lossing :1ves~i mttnifestl\to " 11,lrecchi queste opinioni; e nllorn sru-ebbo necessario r.hl'.\1tft!ndclssohnnella memoria che rvnol comporre i•n suo onore, tacesse affatto .su 1:erll Argomenti o almeno no parlus!!o con somma. pruclunu,. l 1'orse il nostro

Losslng sl auuùl'estò al suo ca1·0 Moodclssohn eosl cblnrumcute come a me; forse n.nl!hono, poicliò tfo lungo tempo non g·li U.\.'cvn.pHrla.to, e assai mrtl voleniicri ~crivt,va. lattcrc. JlPsti, mia cs1r:1 1 in suo nr·bHrio far sapere o no -n..Mendelssohn

11un.lc11s,i , ecc. Io non ebbi la minima difficoltà a segllire quest' invito, e iJ quattro novemhre spedii a Mendelssohn la seguente lettera aperta, in un plico indil'izzato alla mia amica (I). A.ffincbè la lettern conservi la sua autenticità, la voglio inserire qui dalla prima riga all'ultima. « «

Pempelforl

presso Di.iss!'ldoi-f, 4 novembre 178/l.

Ella desidern sapere da me con maggior precisione di certe opirùoni che in una lettera a Elisa Reima1·us attrihuisco al defunto Lessing, e il meglio mi pare rivolgermi direttamente a Lei con quelle informazioni che son capace di dare al riguardo. Spetta all'argomento, almeno all'esposizione di esso, che io premetta alcune notizie che mi riguardano. E così mentre mi farò conoscere un po' più da vicino a Lei, acquisterò

(I) Nd trasmettergliela

scrissi ad Emilia la lett~rn segueut1>: 1

novembre J78S .

. . . . . qui acclusa quclln di cui a mio dispetto fui eosi n lungo debitore. Ell11, non avrà che dire, 80 la mia lettera è diretta proprio a Mendelgsohn; o Mendel8sohu non se l'nvril a malo, 88 111111gli ho scritto tutto di mln mnno. LII lascio a scusarnwne presso di lui. J\'li facula s11pere, so F:lla può, colla posta di lunedl. chfl Elll\ hn ricevuto P spedito il plico, e che cos& pen8& del contenuto. M'Informi poi, 1,cr quanto ne posso sapore, di quel che ne dice J\!eucielssohn. Non aspe110 eia lui I mille ringraziamenti J]Cr li mio dlsturho, porchè Il mio modo dJ vedere ~ ulqunuto dltreronto dal suo .... Ma lo sono rasseg,iato, una votia per tutte, 11 eopportnre le eonsegnenze dell'appal'Cnza tlél mio essere, o o. mostrar c1uos10sempre soltanto·oom'è. Fors~ a cic) ~i richiede coraggio e abnegazione, ma In com11cnsosi ba quella pace lnteruu, che non si puì• mal conseguire altritnontl.

fWLr,A

DO'("rRTNA

DmLLO

SPINOZA

51

anche maggior coraggio a dirle tutto liberamente, e forse dimenticherò quello che mi preoccupa e m'intimidisce. Io andavo ancora vestito alla polacca (1), quando già cominciavo ad affannarmi per cose d'un altro mondo. In sugli otto o nove anni la mia profondità puerile di pensiero mi portava a certe siugolari visioni (non so come chiamarle diversamente) cbe mi assediano tuttora (2). La brama di venire a una. certezza riguardo alle speranze migliori dell'uomo crebbe cogli anni e diventò il filo principale a cui si dovevano rannodare le altre mie vicende. Il mio carattere originario e l'educazione ricevuta contribuirono a mantenermi in una giusta diffidenza di me stesso, e per lungo tempo solo in un desiderio tanto maggiore di far ciò che gli altri potevano. Andai a Ginevra, e là trovai uomini eminenti, che s' inte1·essarono di me con amore generoso e con sincerità vera:. mente paterna (3). Altri, che conobbi più tardi, di fama uguale, molti, di fama ancor maggiore, non mi procurarono i vautaggi, che avevo goduto da quelli; e infine dovetti lasciare più di uno di essi con rimpianto e pentimento del tempo perduto e delle forze sprecate. Queste prove, ed altre ancora, a poco a poco mi fecero ripiegare sempre più su me s~esso; imparai a raccogliere le mie forze e a usarne con giudizio. Se in ogni tempo furono solo pochi gli uomini che con intima serietà aspirassero alla verità; in compenso anche la verità a ciascuno di questi pochi si manifestò in qualche modo. Io scoprii questa traccia; la seguii fra i vivi e i morti; e quanto più guardai a lungo tanto pitl vidi adde11tro, che la vera profondità di pensieL·o ba una direzione comune, come nei corpi la gravitazione; ma questa direzione, poichè parte da punti diversi della periferia, non può formare linee panùlele, nè tali che s'incrocino. Non cosi avviene coll'acu-

(J) Cioè, ilti fon: al quale errore nondimeno si sapeva adattare anche la mente chiara e limpida del suo Spinoza. - Io: - Spinoza dovette anche torturarsi non poco, per nascondere il suo fatalismo nell'applicazione di esso all'operare dell'uomo, specialmente nella sua parte quarta e nella quinta, dove potrei dire che qua e là egli degenera sino ill sofista. Ed era già questo che affermavo: che anche la mente più grande, se vuole spiegare assolutamente tutto, conciliare una cosa coll'altra secondo eoncetti chiari, e del resto non ammettere niente, deve finire in cose assurde. - Lessing: - E chi non vuole spiegare? - I o: - Chi non vuole spiegare ciò èhe è incomprensibile, ma vuole sapore il limite dove esso comincia, e conoscere solo cbe vi è: questi io credo che acquisti in sè lo spazio maggiore per la genuina verità umana. - Lessing: - Parole, cai·o Jacobi; parole! Il limite, che Ella vuole porre, non si può determinare. E d'altronde Ella dà libero campo alle fantasticherie, all'assurdo, all'oscurità. - I o: - Io credo, che quel limite si dovrebbe determinare. Io non ne voglio porre, ma trovare solo il già posto, e lasciarlo stare. E riguardo all'assurdo, alle fantasticherie, alla cecità ..... - Lessing: - Esse allignano dovunque dominano idee confuse. - lo: - Più ancora dove dominano idee fittizie. A.nche la fede più cieca, più assurda, se non più sciocca, ba là il suo alto trono. Poichè chi si è affezionato una volta a certe spiegazioni, ammette cecamente ogni conclusione che ne de1ivi secondo un ragionamento clrn egli non può infirmare, fosse pure il dover andare col capo all'ingiù ( 1)

(1)

v.

J'APrENmcc

nL

St'Ll..A

DOTTRfNA

Ollil..LO SPINOZA

... A mio giudizio ò il più gran merito del filosofo scoprire l'esistenza e rivelarla ... La spiegazione gli è mezzo, via allo scopo, - prossimo - non mai ultimo scopo. Il suo 5001 ,o ultimo è quello che non si può spiegare: l'insolubile, J'imroedfato, il semplice . . . . . . La voglia illimitata di spiegare ci fa cercare il comune con tanto ardore, che perciò non teniamo più conto del diverso; vogliamo sempre soltanto connettere, mentre spesso sarebbe incomparabilmente più nWe separare . . . . . . .Anche, mentre soltanto mettiamo insieme e congiungiamo insieme quello che è spiegabile nelle cose, ue risulta, Ltna certa lttce nell'anima, che l'abbaglia più che l'illnmini. Noi allorn sacri.:fìchiamo ciò che Spinoza, profondo r sublime, chiama - la conoscenztt di genere superiore alla conoscenza di genere infe1ioro; noi chiudiamo l'occhio dell'anima, con cni essa vede Dio e se stessa, per guardare con minore distrazione i:;olo cogli occhi del corpo (l). Lessiug: - Bt~ne, molto bene I Io posso anche far uso di tutto ciò; ma non posso farne lo stesso. Sopratutto non mi dispiace il suo salto mortale; e comprendo come un uomo di testa [robnsta] possa buttarsi a testa all'ingiù a questo modo, per muoversi dal luogo. Mi pigli con sè, se è possibile. - lo: - Se Ella viene al posto elastico elle mi fa balzar su, la cosa si fo da sè. - Lessing: - Anche perciò si richiederebbe già un salto che io non posso più pretendere dalle mie gambe vecchie e dalla mia testa pesante.

(H Pro11rto mentre rivedo questo foglio, trovo io llll articolo tnag!strale (ùi Cfo•·r,rn, De,.isclle• Jler1mr, febbraio l78P, p. 127) un brano, che voglio qui inserire n conferma di ciò che ho detto soprn. « Mi pare, chele eose, nlla cognizio1rn delle ~ quali possituoo giungere, dovremmo S(}ll'lpre piuttosto OSSt.-rvurle in ciò che si .. • .Aggiunge, cbe «egli, per parte sua, stima ancor sempre « che sia necessario e utile avvertire lealmente i dilettanti e di studii speculativi e mostrar loro con esempii spiccanti « a quale pericolo si espongono, dandosi a quegli studii senza « una guida. - Che gli estranei possono poi goderno o « dolersene, noi non ce ne curi,imo (2); noi non vogliamo « affatto parteggiare, nè arruolare, nè adescare, e diverremmo • traditori di quella bandiera, per la quale giurammo, quando « ei mettrssimo ad arruolare e volessimo parteggiare ». (1) Emilia aveva comunicato la mia lett.era tt Mendelssohn, prima di spedirla, a s110 fratello, J. A. II. Reimarus, Quosd era d'opinione cho non si do,,esse far noto pubblicamente lo spinozismo di Leasing, e avevu scritto a Mendelssohn a questo proposito. La sua lettera fn acclusa nllo. mia. M • SI riferisce alla lettern di mio fratello", 1ione Emilia In margine.

SULLA DO'l'TRlNA

OlllLLO SPINOZA

7(',

Ella vede, caro Jacobi, questo è un riassunto completo della lettl•ra di Meodélssohn, per quanto si riferisce a Lessing e a Spinoza. Passarono poi sette mesi, senza che avessi la minima notizia di ~lendelssobu (1). Poichè siccome in questo tempo mi capit.arono assai dtue vicende, cosi pensai poco a questa cosa, e il mio carteggio, che non tenui mai molto vivo, cessò affatto. Intanto avvenne, cbo da un giudizio clel mio umico llemisterhuis su Spinoza fui tentato a porre in campo quest'ullimo come avversal'io dell' Ai·i-Slée. Abbozzai questo dialogo nel giugno dell'ottantaquattro; ma da una settimana all'altra indugiai a chiuderlo in una lettera(.) a spedirlo a Uemsterltuis. Proprio io questo tempo giuruw una lettera della mia tunica colla notizia, che Mendelssohu s'era proposto per allora di mettere da parte lo scritto sul carattere di Lcssiog, per tentare prima, nell'estate, se avesse salute e comodità, una polemica cogli spinoziani o tu t t'unisti (!), come egli prrferiYa chiamarli. La mia amica mi desiderava la fortuna di dar occasione col mio saggio a un lavoro cosi utile, poichè era (1) Rigorosamente parla.odo, ciò li lneaa.tto; polcbè al prlncl11io dell'aprile dell'otr.antaquattro Emilia ml scrlHe, che suo fra.teno aveva voluto leJ;"g-erecon suo comodo nncoru. uu& vol11\ li mio saggio e 11veva.11regat.oMenùelssohu di spedir• 1tllelo noU'orlgfonle o In una copia. Mondel~sobn aveva spedito l'originalo e 0011 l'e.veva a.ncom ricevuto indietro, porcM :Relmarus aveva voluto prenderne copia. Ifa niente di m&le, perciò, poichil Mendelssobn era. stAto ammalato. L'originale rltomnvn allora. 11Derlino senza indugio. ~ Mu. che ne dice Lei, continua Emilia, • della ,,;ta dello Spinoza del Dlet? se n'è scandnllzzatl\ 1 nevvero, come noi? Quale • audace il$8!1rditll nella conclnblouel Caro Jacobl, che vuol avvenire di tutto il "1,ensluro o 1ll tutti. la veritù, se tali pnrndossl (In tedoeco, Unsi1111) (•) vengono "più In voga? Giacchè quelli che non sono flloson, che cosa raccolgono piuttosto "oho 1 paradossi o gli errori spiccanti, cs11ostl splccantomente da qualche uomo • grKndo? Lo de,•o confessare olle da questa. 11roduzlono di Dloz mio fratello fu ••assai Indotto a. desiderare, che Mendelssohn taccia al pubblico lo spino•lsmo .. ,11Lcsslng, sempre por quanto lo permetta la St\11tlt1\ della. verità. • Poicbè, qunle risultato de.rebbe per U popolo on esempio come quello di Lafl, "slng 1 Io tremo por le conseguen.zo, Come il gmode, come è piccolo l'uomo nel "' suo pensiero I ,. (2) • A.ll'Elnern "·

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Sl'INf>Z.\

certo .;ommamcnte necessario che i ;;educenti errori del nostro tempo fossero dissi µati una buona volta colla luce invincibile della ragione pura, tenuta dinanzi da una mano cosi salda (1). Pieno di gioia per il proposito di l\lendclssohu, colla posta seguente risposi, e quindi terminai la lettera a Hcnistorhtùs, e mi tolsi interamente il pensiero di tutto quest'affare. Alla fino d'agosto feci un viaggio a Ilofgeismar per ristabilire la mia saluto assai indebolita, rimii1.111a 11olemica cogli sviuozinnl o tu t t • u 11I s t I, eo1110egli uroferlsco chlt\" marli •· Si con~lgliò 1>01con Reimarus sul anodo doll'assnlto: se sarebbe stato meglio • prendere un n1·1'ersisogno dul 1empo e ilei secolo rlcbledc forse il secondo•· Or son 11ochl ~

SUT,LA DOTTRINA

DELLO

SPINOZA



abituati a veder farsi avanti maschere e larve filosofiche, che infine si è in pericolo, come qneU 'etiope di Slrnftesbury, di prendere per una maschera ogni rispettnbile uomo. Ho già letto più ili una volta il Suo saggio, per impratichirmi col processo delle Sue idee. Dopo i cinquant'anni ]a nostra mente può bene non lasciarsi più condurre facilmente per una via nuova. Se m~ii esi:;aa11chesegue per lungo tratto una guida, pure lo è gradita ogni occasione di ritornare nella salila carreggiata, e, senza avvedersene, perde di vista chi gli procede innanzi. Ciò può forse essere la causa per cui mi riescono affatto oscmi molti luoghi della Sua lettera, e in parecchi non trovo la coerenza delle idee nel Suo sistema. Siccome per ora ho abbandonato il proposito di scrivere su Lessing, e prima bo intenzione di abbozzare qualcosa sullo spinozismo; cosi Ella vede come per me dev'esser importante comprender bene il Suo pensiero ed esaminare convenientemente gli argomenti, con cui EUa cerca di difendere il sistema di questo filosofo. Mi prendo adunque 1a libertà di presentarle nel saggio accluso 1~ mie difficoltA ed osservazioni. Ella ba cavallerescamente gettato il guanto di sfida; io lo i:accolgo e ora Ella permetta che decitliamo la nostra questione d'onore metafisica, secondo l'uso cavalleresco, sotto gli occhi della dama che noi due altamente stimiamo. È invidiabile ricevere dalle sue mani il premio della vittoria; ma neanche inglorioso, se vinto, meritare la sua compassione. Emilia rimetterà, dunque, a Lei questo scritto, e La pTegherà di benevola risposta. :MOSÈ MENDELSSOHN.

giorni di posta, mio fratello gll comunicò per Iscritto il suo pensiero su ciò, ed ora possiamo sperare che egli poni.a tosto mano ali' opera. }~d Ella, caro J11.cobi,si ùeve rallegrare di dar océllsione, col Suo saggio, a un'opera cosi utile, quantunque essa propriamente clovrebbo servire, e col tempo servirà, a u11 11ltro fine: - poicùè è certo sommamente necessario, éùe i sedllceull errotl dol nostro tempo siano dissip1; e crede che .. perciò Spinoza abbia rigettato ogni passaggio « dell'infinito nel finito, in genere tutte le ca:u.saetransitoriae, « secundariae o remotae, e in luogo dell' E11soph emanante, ne « abbia posto uno soltanto immanente, una causa del mondo « intrinseca, eternamente immutabile in sè, che presa con < tutte le sue conseguenze fosse una e medesima cosa. » Qui incontro difficoltà che non sono in grado di rimuovere. 1) Se alJo Spinoza non parve impossibile una serie senza cominciamento, l'emanazione delle cose non richiedeva di necessità un divenire dal niente. 2) Se queste cose per lo Spinoza sono alcunchè di finito, il Joro dimorare nell'infinito è tanto poco concepibile, anzi meno ancora, che il loro emanal'e da esso. Se l'infinito non può produTre niente di finito, non può neanche pensa.re niente di finito. In generale, non pare che il sistema dello Spinoza sia capa.ce di rimt10vere tali difficoltà. Esse devono aver luogo tanto a proposito dei pensieri, come dei loro oggetti r e del mule. ~fa quando gJbi, signor mio ! ammette il 1,istema dei deterministi, e anch. Secondo me, questo è un dare immagini per con -

(I) .~?•fallllL~O

SPlNO~,,\

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cetti, e non dir niente cl' intelligibile. Che cosa è una passività, ossia un essere che lm solo la forza di rsser pa'isivo '?e che è J'attivitiL, elle si comu11ica a qtiesta passivitfi, t' in essa diventa una c:rnsa d'azione nssolutamcntc estrat!Cm, e anche contra. Sp. Credete che cerchi di eluderla? Ecco la. mia risposta. Io non agisco che con formo alla mia volontà, sempre che ]e mie uzioni le corrispondono, ma non b la mia volontà, che mi fo agire. L'opinione contraria proviene da ciò: che noi s:1.ppiamo benissimo le nostre volizioni e i nostri desiderii, ma ignoriamo ciò cllC ci fa desiù~rare e volere. Per questa ignoranza credian10 di prodmre le nostre. volizioni colla volontà stessa, e spesso giungiamo sino ad attribuirle i nostri deside1-ii. , Non vi comprendo b. Sp. Vi risponderò dopo di essermi spiegato rjguardo alla vostra chiesa di san Pietl'o e al1e vostre scoperte di Newton. La chiesa di san Pietro a Roma non si costruì da sè; tutto ciò che l'universo contiene di estensione fisica e di movimento vi concorse. Quanto alle scoperte di Newton, esse riguardano solo il pensiero ... « Bene! Ma il pensiero modificato, che voi chiamate anima, non è che l'idea immediata o il concetto del corpo, ossia non è che il corpo stesso considerato dal lato del pensiero. L'anima di Newton è dunque caratterizzata dul corpo di Newton. Perciò il suo corpo, benchè non pensasse, fece le scoperte contemplate, concepite, sentite o pensate dalla sua anima>. Sp. BencJ1è voi guardiate la cosa di sbieco, vi lascerò passare il vostro ragionamento, posto che voi ricordiate che occorre nientemeno che ~utto l'universo per caratterizzare il corpo di Newton in tutti i suoi momenti, e che l'anima non ha l'idea del suo corpo se non per le idee di ci.òche lo caratterizza. Quest.a considerazione importante non impedirà che l' immaginazione si ribelli alla verità che io sostengo. Dite a un nomo, che uon è geometra, che un quadrato finito è uguale a uno spazio infinito. Dopo che gliel'avrete dimostrato, egli rimnt•rà perplesso; nondimeno si viucerà colla riflessione (I). Potrebbe darsi, che :fino a un certo punto l' immnglnazioue si riconciliasse colla mia dottriua, se q nesta fosse trattata bene, facendo vedel'e la progressione insensibile, che da.li' istinto del selvaggio, che ritorna. all'albero o alla caverna che gli hanno (1) Sophyle, p. 69.

SULLA

DOTTRINA.

DELLO

SPINOZA.

99

servito di riparo, va alla costruzione della chiesa di san Pietro. Si rifletta all'organizzazione sì complicata dei corpi politici, si ricerchi ciò cbe ne costitui l'insieme: quanto più vi si riflette profondamente, tanto più si vedono molle cieche, azioni macchinali, ma di una macchina che è simile, in verità, a quello della prima mano, in cui le forze si compongono secondo il bisogno e il grado di energia; d'una macchina iu cui tutte le molle hanno il sentimento tiella loro azione, sentimento che si comunicano, comunicandosi i loro sforzi, in una progressio~e necessariamente infinita. Lo stesso si dica dello lingue, la cui costrnzione compiuta pare un miracolo, e nessuna delle quali tutta~ia fu fatta colla grammatica. Se guardiamo bene, vediamo che in tutte le cose l'azione precede la riflessione., che non è che H progresso dell'azione. Insomma, noi sappiamo ciò elle facciamo: ecco tutto. Ora veniamo al vostro argomento. Voi sostenete, che di causa in causa non si pub andare ali' infinito, ma che è necessario nn momento fisso, un cominciamento d'azione da parte d'una causa prima e pura. Invece io sostengo che di causa in causa non si può andare cbe ali' infinito, cioè non si può supporre un comincJamonto d'azione assoluto, senza suppone che il niente produca qualcbe cosa. Questa verità, che, per esser compresa, non ha bisogno el1e di esser esposta, nello stesso tempo è suscettibile della, dimostrazione più rigorosa. La caus~t prima uon è dunque una causa, alla quale si salga per mezzo delle pretese cause seconde: essa è affatto Jmmanente, ugualmente attiva in tutti i momenti dell'estensione o della durata. Questa cnnsa prima, cl1e noi chiamiamo Dio o la natura, agisce per la stessa ragione per cui essa è; e come à impossibile che vi sia un principio o un fine della sun esistenza, cosi è impossibile che vi sia un principio o un fine delle sue azioni. Lascio Spinoza, impaziente di abbandonarmi a quel genio sublime che ba detto (1): « elle un solo sospiro dell'anima, che

(I) Aridée,

p. 168.

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SULL.A DOTTRINA

DELLO SPINOZA

si manifesti di quando in quando verso il mPglio, il futuro e il perfetto, ò una dimostrazioue più che geometrica della divinità». Da qualche tempo tutta la forza della mia attenzione s'è rivolta a questo lato, che si potrebbe chiamare quello delhi fede. Elhi sa che Platone scrisse agli amici di Dione: Q.uod ad res divinas 'inteLl igenda s facit, nullo pacto vei·bis exprimi potest, quemadmodum ceterae disciplinae: sed ex dlidiirna cfrca id ipsum consuetudine, vitaequ,e ad -ipsum conjunctione, subito tandem quasi ab igne micante lum,en· refulgens in anima se ipsum ,iam alit. È lo stesso cl1e quello che Ella dice nell'Aristée (I): e che la convinzìone del sentimenro, di cu.i ogni altra convinzione può essere solo una derivazione, nasce nell'essenza e non può essere comunic11ta >. l\fa il sentimento, che è la base di questa convinzione, non si deve trovare in tutti gli uomini; e non sarebbe possibile suscitarlo più o meno in qut>lli che sembrano esserne privi, se si procurasse di rimuovere gli ostacoli che si oppongono all'effetto della sua azione? Riflettendo su quest'argomento, mi è p~Hso che la materia delle certezze, che non è stata ancora ablJastanza approfondita, potrebbe esser trattata in uu modo che ci conducesse a nuovi assiomi. Non voglio abusare della Sua pazienza coll'esporle le mie riflessioni su quest'argomento. Ho preso la penna in mano per avere da Lei insegnamento, e non per da1·glicne. Non mi voglia ritenere indegno delle Sue istruzioni. Io oso domandargliene per combattere gli argomenti cli Spin(M!a contro l'intelligenza e la personalità del primo pl'incipio, la lihera volontà e le cause finali, argomenti che non ho mai potuto soggiogare colla metafisica pura. Pure è necessario trovarne il lato debole e saperlo dimostrare; poicltè allrimenti invano scalzeremmo la teoria di Spinoza in quel clrn ha di positivo: i suoi seguaci non continuerebbero meno vivamente la lbtta, ma si trincererebbero sin dietro alle ultime rovine del si-

(1) A,-i,ite, pp. 167, 110.

SULLA. DOTTRINA DRLLO SPINOZA

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sterna abbattuto e ci obietterebbero che noi preferiamo un' assurdità evidente a ciò che è semplicemente incomprensibile, e che non è cosi che si fa della fil.osofia.

La Jettern e l'appendice le spedii dissuggellate alla nostra amica per la trasmissione. Nelle sue osservazioni, Mcndelssohn s'era lagnato che io di quando in quando lo scacciavo dal concetto ch'egli si era fatto dello spinozismo; che molti luoghi della mia lettera gli riuscivano affatto oscuri; che in altri non trovava la coerenza, con cui essi s'accordavano nel mio sistema; che egli si vedeva avvolto in un circolo: - e gli parc>'a di poter dubitare ugualmente, se nel fondo del cuore io sia propenso all'ateismo o al cristianesimo. Dalla prima difficoltà provenivano, secondo me, tutte le altre, e fiocbè non fossimo stati d'accordo in quello che è lo spinozismo, non avremmo potuto combattere pro o contro di esso. Alla detel'minazione di esso non credevo di aver portato per parte mia un cPntributo :i.fratto insignificante colla comunicazionfl della mia lettera a Hemsterhuis. Tuttavia ero fermamente risolto di spiegarmi ancora meglio a Meudelssohn; ma 11nacongerie di ostacoli impedi l'attuazione del mio disegno. Per tutto l'inverno non avevo saputo notizia di Mendelssohn. In febbraio, Emilia mi mandò la copia di una lettera di costui, che, come essa diceva, « veramente era scritta a lei, ma per me>. Ecco la lettera: Berlino, 28 gennaio 1785.

Carissima Emilia! Non so davvero se sia debitore di una risposta il signor Jacobi a me, oppure io a lui. Ultimamente, quand'c•gli, per mezzo di Lei, mi mandò copia della sua lettera a Hemsterhuis, mi promise ancora una speciale risposta alla mia precedente, appena fosse tornato dai bagni e avesse avuto la comodità necessaria. Mi ha egli poi dimenticato? Che io per

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SULLA

OO'l"fltlNA

DBLLO

SPINOZA

mia parte non lo dimentichi e cbcl ne abbia ancor sempre viva memoria, spero di provarglielo, se Dio vuole, con forse un venti e più fogli di fitta scriLtura. Ella vede, carissima amica! a ciò mi ha condotto Lei, contro il mio proposito. Per un pezzo io volevo. seri vere poco o forse niente affatto di metaJisica, ed è a Lei che elevo dar la, colpa, se ora son sprofondnto fin sopra al capo in sottigliezze trascendentali. Lavoro con lentezza di lumaca; percbè la mia debolezza di nervi non mi permette un lavoro assidL10, e gli all'ari di casa mi mbano la mngg-ior parte di tempo e di forze. Essi sono anche eterogenei e in fondo sì alieni da!Ja mia inclinazione, che ml deprimono la mente e mi stringono il cuore o mi rendono incapace anche nelle ore rli ricreazione ad occupazioni più di mio gusto. Dunque, non posso dire quando il mio manoscritto sarà pronto per esser spedito al signor Jacobi. Intautr, io fo quELLO SPINOZA

pere a :Mendclssohn e nello stesso tempo lo assicurasse che orn mi ero messo veramente all'opera. Il 21 aprile finii il mio saggio e glielo spedii per la posta prossima colla lettera seguente: Dilsseldorf,

2ti aprile 1785.

Al signo1· Mosè .Mendelssohn,

Emilia, pet· mia pregl:tiera, Le avrà già fatto sapere quali nuovi ostacoli si frapposero ancora alla mia risposta alle sue osservazioni. Perciò ora sono stato tanto più premuroso a. soddisfarla a questo proposito. Soltanto, riguardo all' introduzione, La devo ancora pregare di non credere eh' io me l'abbia sul serio un po' a m11le con Lei. - Smsera. andrò a Mtinster per alcuni giorni, e perciò sono molto occupato e distratto; altrimenti Le avrei detto volentieri ancora qualche al.Lra cosa dei vantaggi che si potrebbero avere, se il sistema deUo Spinoza Vf'nisse pubblicamente esposto nella sua vera forma e secondo la necessaria connessione delle sue parti. Un'ombra di esso va da lungo tempo errando sotto varie forme per la Germania, ed è guardata con pari riverenza dai superstiziosi e rlai miscredenti. Parlo non solo di teste piccole, ma di uomini di prim'ordine .•. .. . Forse assisteremo ancora, nlla lotta che nascerà sul ca• davere dello Spinoza, simile alla lotta fra l'arcangelo e Satana su quello di Mosè (1). Quelli della parte dell' a1·cangelo sono Tiprovati dal!' Elucidariu,s cabbalistiws, ma spec,ialmente dal libretto di quella dama inglese, sul quale tii ebbe rncentemente una domanda nella Be1·line1· Monatsch1-ift (2). Riguardo a tutto questo dirò di più, quando avrò la Sua risposta e saprò se Ella può convenire con me nel concetto delìa dottrina dello Spinoza: un dubt>io che appena posso chiamare tale. - Mi perdoni quest'affeettata e disordinata lettera; stia bene e mi continui la Su.a benevolenza. (I) 11 perloùo seguente si trova solo nella 3• edizione. (2) Opusc,,ta pi,,ilo•op/r.ica. A.mstelod., 1690; l'editore fu p1·obabihnente 1. M. van

Uelmont.

1'04

SULLA DOTTRINA

DEU:,O SPINOZA

APPENDICE. AL SCGNOR

Mosli: MENDELSSOHN,

SULLE

SUE OSSERVAZIONI

A M.El DffiETTE.

Prima di cercar di colpire, si deve incontrare e fermare l'arma dell'avversario. Ella cercuYa la mia arma e rotava la Sua, senza i ocontrar resistenza, perchè io non ero di fronte. Nello stato di difesa leale e tranquilla, io cui ero, io voglio avanzare verso di Lei e con un colpo soltanto verticale tentar la passata nel Suo cet'Chio. Se il Suo cerchio ferma il mio colpo, allora siamo veramente alle prese (l). Fuori di metafora. A. base delle Sue osservazioni, dal -principio alla fine, vi è un errore che Ella lasciò senza chiarimento. Siccome il Suo concetto della dottrina dello Spinoza non conve.niva col mio, così almeno uno di nui due non dovette comprender bene questa dottrina. Ora, se per sè non valeva neanche la pena. di ricercare, o meglio, se era affatto impossibile la domanda: chi di noi due è in errore? - si dovrebbe pm concedere questa domanda, quando io avessi l'onore di occuparmi con Lei di quest'argomento. Tanto più giusto e naturale sarebbe concedere questa domanda, poichè Elia, leggendo questo s11ggio,osserverà certamente quanto Lo siano cadute dalla memoria. le opere dello Spinoza; di che già allora Ella doveva avere qualche coscienza. Insomma, poichè Ella trascurò di porre a cimento, per mezzo di un riscontro coll'originale, il Suo concetto dello spinozismo col mio, evitò addirittura la controversia. Cosi tutto doveva rimanere indeterminato; da nessun lato Elia poteva attaccar beue, molto meno vincere; mancava l'efficacia, percbè mancava la vera rt>sistenza. E con quante diverse resistenze ad un tf'mpo non ~-enne Lei nella mischia? Colla falsità intrinseca del Suo concetto, o colla falsità

(1)

or,. la

lettera di Emilia del 5 luglio 178'.

SULLA DOTTRINA

Dl!ILLO SPINOZA

105

della cosa stessa secondo h\ Sua rappresentazione di essa; colla falsità intrinseca e con quella estrinseca, supposta, del mio concetto; poi, con ciò cho a Lessing e a me apparteneva in particolare, o poteva esser creduto tale. ()on tante e co:>-ìdiverse cose, cbe si dovevano continuamente confondere l'una coll'altra, la Sua contrnversia filosofica non poteva riuscire cbe assai imbrogliata (t). Perciò, quanto più a lungo e più profondamente io considero, se vogliamo dar principio a qualcosa, e non separarci ma andare almeno l'uno accanto all'altrn, dobbiamo anzitutto metter in chiarn il punto essenziule: la dottrina dello Spinoza. Così pensavo dopo aver letto la prima volta le Sue osservazioni, e credetti che umi copia della mia lettera a Hemsterbuis sarebbe stata per allora la risposta migliore. Cosi penso ancora, e adesso qui tento di nuovo un'esposizione dello stesso sistema, alla quale sono fermamente deciso di applicare tutte le mie forze intellettuali, e di non risparmiare nè fatica nè pazienza (t). Comincio.

I. A ogni divenire deve star a fondamC'oto un essere che non sia divenuto; a ogni derivante, qualcosa di non derivato; a ogni mutabile, un immutabile eterno.

l

,,

(l) Nelln 1irin11,odi•ione manclt tutta l' lntl·odnziono dcli' nppond!ce sino ,. qoesto punto. La tralascinl, perchè alquanto r,spm, e pcrchè non credetti di pubbllcRre nolln mli> 011cm le Oe•erva,lonl di .Mondelssohn. che l'avi·cbbero spie• gala e giusllficnt:i. Con queste Osservazioni io credetti 11roprio di 11vcreuna specie di ostRgglo. Mendclssohn ne pe11sòahrlmenli e le puhhli"ò. Contemporaneamente pubblicò la min. introd111.lone cho si riferisce a questo Osservn1.ioni, In quale poi fu ancora alcune volte llllbblicamonte !l'ffissa. in luoghi onornli, perBLLO SPINOZA

VI. Il finito è dunque nell'infinito, sicchè l'insieme di tutto le cose finite, in quanto in ogni momento comprendo ugualmente in sè tutta l'eternità, il passato o il futuro, è un~t sola e medesima cosa coli' infinito. VII. Qucst' insieme non ò un'assurda composizione di cose finito che costituiscano un infinito; ma ò, uel senso pitt stretto, un tutto di cui le parti possono solo essere eù esser pensate in esso e secondo esso ( 1).

fkr,thu;

prultr

rn.im .swb.slanhant. et modo" ♦lii d-tJhtt", et ,nodi 1,ihil ,unt,

ui11 Di',

atli·i'>utm·u,n n,rrctio,c.es. Al t:i /),io, cel ,1.liq«o eiw, attt·,bulf1, qwtln1.u1 aff~ctum

P.•t

motli/lca.tlone, qu"e oeler,w, t'l iu/i11-ilt1 e~t, :u!q11,i eJiam ,,oJ• potuit. /J1 1buit er_tJfJ1Jt•quì, oel ad, exi~tea-d1rn1., et ttp, 1rauàu.(,i. cl.eterMinad a lJeoj 111~, aliquo ei1ui tctlr,huto, qunte1tus "m~ctum tal rn.odi/l.cationr•, r(W.Jt! /inlla ~,t, ,,, de1t.•1·minaurn1hal>t•l (111..·,stenlium. Q"ud rral p~i1n1.un. .JJeind~ J,,1et:rurau, cnu.sa, JCÌr"I! ldr. rnodu.1 (p,... ttandem t"ulio• nt,n, qua primci,n parter,i huiu• jam de1110,1t.ln.o,iMua) de!Juil Phttw d,-termit1a1·i ob 1 aliu. qu.ae eliam fiuita est, et tle,flnninatrwl habel eJ.·i11t1. ut,u1t1, et ,-ur~ui hacc t,lli'rita. (pe1· 1•t411dem"""tio11cun) af.> alia, t'I, sic :(emper (pe,· ,•,uidem ,·atil~st propri,, dici c,,tna c.,,e t·tu,014 ,·enon 4Ùl!JHla,·ium. ni1i {orlt' ea d.e cauta, ,ut scitice, '"" ab ii~. qtM../1 immedin.tt1 1>rùduxit, 1:1,•l 1,ruius, qual! ex atJs11luta el.u.a ualu1·a St'QtHI-HfH>"L; o 11.39 dt!lla nuovn). • L'infiultil del lempo non significn ,iitro se non cbe ogni ,;rnndcul\ detcrmlnnt,~ del tempo è solo possibile medl1111tounu ll111l1n~lonedel tcInvo unico, che ne è Il fondamento. Perciò h\ rn.pprcsentazione orl,;lnnlc di rem110 dcv'esser tl11ta come Illimitata. U11. siccome le parti uesso o ogni grandezza di un oggetto si 11osso110 solo rappro1on1aro de1ermlnnre 111edin1110 ll1ultt.iioni la Tl\ilflresenta,,loue totnlo non può ossor data 1 coal r!-X

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SULLA DOTTRINA

DELr,O SPlNOZA

VIII. Ciò che in una cosa è primo quanto alla natura, non è per q uosto primo quanto al tempo.

,nedlnnlo concotti (poiobè quostl dello pa.rti), ma. dev'osser loro medialaM. (Critica tk/14 ,•11gio11pHr11, &iouo). A queste rrnrolo voglio fnr seguire

suppongono lo rl'JJJ>resenta.sloni di fondAmunto l'intuizione imp. S:! della vecchia; e 47 dcli& nuoY& edJquesto proposizioni dolio Spinoza.

lnl• 1llecius quaeddm 'P"ir-i c&nclpimu,, cum tamen motu-a 111>n per+ cipia,ur, n.isi J)ercepta quantitate, el ,notum e1,am in inflnilum t:0ttlinu.ure po•• wmu.~. quuct ,11,1'nime poaa-emt,, (ucere, ai nota ILaberem.us ideam in(initae quanliiati11. ld~a• positfo• {intell~ctu.1) p>·lt1a formai, q14am tU!!Jalivaa. Res non tarn a:ub d,uralìn,it, qua1H: •ub quadam spec'4 o.clt--rnitnlis percipit, et n.umN"o infi,nito; -oet putius a.d res p,,rcipiendo.1, tttc act ,uunertun neo ad à,.,·ationem allendit: oi,m aut,m res lmooinatur, eas swb certo nunwro, dete,·miuata duralione, et quanlltate pct·cipil. (lJe iutellet!tu, Emend.. O. P .. pp. ~90 e ~91). Cedo nllot tentazione di rlreriro nncora un brnno dei Cogitala ,netophysieo. di

Splno1.n, che 00111.ribuir,\ non poco nil1• spiegnzionc di q11el che procede, spoulnlmente dello due ultime proposizioni, e gellerà llntho luce soli' intera materia. Cum as1ueti .lfim.,,_,OMnìum.. qu.ae inlelligimw.s, eliam i111n.9ineaaliquas in noatrn phanta•ia d1tpi»f}erf; (lt, ;,t non•etttia positir", instar entium, imogine,1,ur. Nam man.s ;,. 8R 8Qla 1.pecltlla, cum. alt res conitnJ1a.benlideotu,n, qu.oà necenario r;.c;i,tiC, aut l'.rislt:re pMeat. Caus?- autem., ob qrttun hi modi cogilaHdì pro frl-e1~,·ur1,m habentu.r, est, qtc.ia (l(J id,1•ls enliion ,·ealiu.m tam imrrwtliale profici3ctoHur et o,•it,ntu,·. ut (ac.illime cum ipds ab il1, qu.i •non ae~tu·alia.simP atlendunt, co-nfutadotUu.r_. undr ttiam noutina ip,ia impo114-erunt, ta.nqunm act aionifkancturn rntia P;1:1,·omentem noatram existet1t1a, ... Lonr,e tauaen aUu.d 11 8t in.qub-1•,·ein ri-ri,m naturam, aliutl in modos gui b-u.t ,-~3 o nul11'• parcipiu.ntur. H,,ec vero ai co>1(u11dantur, nequt' modo, perc,pit'1'di, neque notura,n ipsam intelligere poterlmus. (Prim. P/111. App., pp. 9.t, 9.; e 00).

SULLA

DOTTRINA

DEILLO SPINOZA

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L'estensione corporea, quanto alla natura, è prima di questo o quel suo modo, benchè non possa mai essere per sè, senz~i qltesto o quel modo determiuato, cioè prima di essi quanto al tempo ossia fuori della mente. ParimenLi il pensiero: il quale, qm~nto alla natura, è prima di questa o quella rappresentazione, eppure non può essere che in un modo determinato, cioè, quanto al tempo, insieme a questa o quella rappresentazione. IX. L'esempio segu~nte può spiegar meglio la cosa e darci un concetto chiaro di essa. Noi ammettiamo elle i cosiddetti quattro elementi: l'acqua, la terra, l'aria e il fuoco, siano tutti modi dell'estensione, che si possano ridurre ad essa e risolversi in essa. Si pensi ora l'estensione fisica nell'acqua, senza che essa sia fuoco; nel fuoco, senza che sia terra; nella terra, senza che sia aria, ecc. Nessuno cli questi modi sarebbe concepibile per sè, senza supporre l'estensione fisica; e questa perciò sarebbe in ciascuno di questi elementi, quanto alla. natura, il primo, il veramente reale, il sostanziale, In. natura naturans. X. Il pl'imo - non solo nelle cose estese o nelle cose pensanti; - ma ciò che è il primo nelle une come nelle altre, e in tutte le co.se nello stesso modo: - l'essere originale, il reale onnipresente ed immutabile, che anche non può essere una pt·oprietà, ma cli cui ogni altra cosa ò solo unu prop1•ietà che esso ha; quest'essenza unica e infinita di tutte le essenze, Spinoza la chiama Dio, o la sostanza.

Riferirò In sé1:nito lo pnrtlcoltirl dimostrazioni dello Spino~a eu ciò: che la aun sostt\Jlza infinita non è com1,osta di parti, ma è aff;llto indivi8lhlle, ed è 111\ll nel JIÌÙ strotto se1.1so. Voglio ,illung~re nneora questa lunga nota con nn brano ee plica ti vo di Leibni~, e tormin>l.re comtl ho eomlnéiato: «M:tlehrnneh.,dlce che Dioò l'essere in generale, e con ciòs'inte11de •un essere v:1go e concettunle, come è il genere nella loglcn; e poco 111u11oa • si nccu.sl Il p. Malohranche c.l'RWismo: ma io credo che questo 111ulre Intenda \CROn un essere vftgo e i1uletermina.to ma.l'essere n.seolutu, che 1 «dllferi~ce dLrliuolari limitati, come lo spazio nssolulo e senza «limiti dlfferlsce da un cerohlo o da un quadrato• (Ree. de J). M., 1, p. 6U).

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SULLA DOTTRINA

DELLO SPINOZA

XI. Questo Dio non appartiene dunque a qualche i;pecie delle cose, e non è una cosa isolata, particolare e diffurente (i). Cosi pure non può convenire ad esso nessuna delle determinazioni che distinguono le cose particolari; nè un pensiero e un.~ coscienza propria e particolare, più che una propria ~ particolare estensione, figura, colore; o qualunque altra determinazione cbe non sia quella di semplice materia prima, materia pura, s0stauza universale. XlI. est juxta esse pe1·tinet (2). Dnnque le cose particolari, in quanto esistono soltanto in un certo modo determinato, sono i non-entia; e l'essenza indeterminata e infinita è l'unico Dele1·minatio

suwn

negatio,

sen

ileterminatio

ad

rem

non

(1) Un iun rUc1Hil sig,1,;ficare . v1)..... Qund, der11os11·ationemtzlli.nel, qu:am ego in Ap7,end,ice Gcr>m.pt~ica,·um it• Oartesii P,•inc;pia D•·mOtWtt1·ali0t~umslobilio, 1w,1ipe De-u.mnou, niBi va.lde imp1·opric 1 un.um, t•el 1.,,1icum. dici posse; -respnn.deo, 7•emsolummodo ea;isienliae, non- -vero es.. senliae respect,, unarn. vel un.icam dici: -1·esenim sub numet--is nisi 1'0stqua,n ad comrnu,ne !Jenus ,·edaclaP- fuerHnt. :non con.cipimu.s. Qui, u. g .• sest.ertium! et impe~ rialetn. manu t.en.el, dc numei o IJìn.ario tt-0►1 c.ogita.bit, nisi hullo seslerliion, ei ìm1>erialem ur,o, eodemque, nempc -1iummUellioo ut om>ie, quod ~X nectuìlatt Ve.i natura~, &ice unluscuiuaqitf Dei attnbutorum aequitur, hoc tlt,

omo.ea Dei altributoruni modoa, quat,•n.us com1itferantur, ut ,·Ps, quat in .Deo sunt. d guae si.ne n,,o ,iec P.-tae, nec c011cip1 possu.ru. Opp. Posth. 1 p. 27. , (S) Eth., P. I, Prop. xu,. Lfltellect1A1 artu, aire it Jì1111tu a11, ait,t in/ìnitw, wt et -rnlu.nta,, cupid.ìta.a, amor ttc. a.d, 11atura,n uatur!ltam, noti. wro ad. 1uuuran~"' rr(.,rri dcbelll. Demonetr. Pt!J' intelipcturn enbn 110>1 intt•Uigfm·us abaolutan, cooito.tionem; &ed certum tantum modum coµila,,di, qui ,nl),ius ob aliia. acilicet cupidilale,

amor~ l'lC.. i.i!ferl, adeoqi,e per ab•olulam coyi111tio>1,-mconcipi d•btl, t1empe per aliquod Dei oUribttt,o;i, quort o.cteniarn et itrfloila,,i cooirn11·0,ii1 csten,ia,n rxpt·imil, iti» concipi d,11beL, ·ut tine ipao nec esse, nec conclpi poss.ilj oo p,·opte,•ea ad notu.ram natu.ralam, uon uero na:lto""antem r~(,'T'Ti debrt, td etiam reliqui modi cogilandi. Q.. E. D. Sebo!. Ratio, C1'r hic loquar cù i11tellect1' acl1', non eai, q1'ia concedo, u/lum dari i,itt!llectum polentla; aect quia omnem oot1.fu..t1ior,e»ioita,~r..eupio, nolui logui, ni.,1 de re nobi1 qu~m cl!iri.,ime p~,cepto de ip1a ,cilicet intellectiolle, q"a nlhll nobi• c/ariu.s p,.,.cipìlur. Nihil eni"' inteUiyere pouu.,.u,, quod ad per(ectiorem ,,.. leUtctio11ù cogn,tionem non conducal. Opp. Po111t., pp. 17 e l!S.

SULLA DOTTRINA

113

DELLO SPJNOZA

XX. Ora come queste cose differenti possano essere le uno nelle altre e insieme; e tuttavia, quanto alla natura, le une prima e le altre dopo, non c'è bisogno di spiegarlo nuo• vamente, dopo quel che se n'è detto innanzi. XXI. .Anche sarà om abbastanza chiaramente dimostrato, che, come è impossibile che oltre del! e cose particolari e ma• tcriali vi siano ancora un particolare movimento o riposo infinito, insieme con una particolare estensione infinita; cosi, secondo i principii dello Spinoza, oltre delle cose pensanti finite non vi possono essere ancora una volontà e un intelletto particolari e infiniti, con insieme un pensiero particolare, infinito e assoluto. XXII. llfa percbè non rimanga rm'ombra di dubbio, nè sia possibile alcuna nuova obiezione, gettiamo ancora uno sguardo sulla dottrina di Spinoza dell'intelletto finito. Dappertutto, ma specialmente qni, presuppongo la mia lettera a Remsterbuis, perchè là, dovendo esporre solamente il contenuto della dottrina, in parecchi punti potei essere più chiaro. XXIII. L'intelletto finito, ossia il modificatiim modifl-catione de1 pensiero infinito e assoluto, deriva dal concetto di una cosa partieolure realmente esistente (1).

(I) Eth., P. 11, Prop. ll e 15. Al ]lroposilo, che quello che S1,11101-a dimostra dell' inrelletro umano, seeonclo 1,. sua dottrina debba ,·al ere anche di o:;nl nitro intelletto finito, ò da vedere lo Scolio por pii, rjspetti importante clella citala proposizione 13• aella Il parte dell' l!tica. Evidentemente hi nàtura di!l'crenle degli oggetti dei concctli non può fa.r aessun cmnùimnento essenziulc riguardo ali' Intelletto stesso; e delle proprietà infinite at1rlb11ite da Spinoza nllii soslanzn in8nilit non ne nppartlene certo nesSUD>l all:i nntur,i pensnuto, fuorchè lo stesso pensiero infinito e i snol Modi. Perciò lutto questo proprietà si devono 1·iferlre olla nntura pensante, come ,·i si rlf~rlsee l'estensione corpor1m 1 cioò, consitlert1to per sè sole, devono rsso1·e rigunrc.lnte come

mera ideala, e le loro coso p•rtlcol1tl'i possono solt,u1to essere gli oggetti dei concetrl-e, se si trlltla di concel1i Immediati, possono solo essere i corpi di essi. Xon ml occuperò più dunque òi quelle nitre proprie!/, di cui non sapJ)iarno n.lfatto niente, se n~n che deve esistere qunleosa di simile, e ml limito semplicemente all'unico oggetto doll'11nirna umann, nl corpo. Questa cosn potrelll>e del l"CSto com.lurrc n. un:\ considerazione

nss1ti importante,

1110.invece io vog-lio soto

osservare, cito 111dottrina di Spinoza delle proprictl\ Infinite di Dio, connessa col Facwm, che noi non conosciamo assoltttuuiente nieut'nltro che U nostro corpo e F. E. J,coar,

Sulla àOllYina dello Spino:11.

8



l14



SULLA DOT'l'Rl:NA

Dl~LLO SPINOZA

XXIV. Como la cosa particolare non può esser la causa del suo concetto, così il concetto non può esser la causa della. cosa particolare; ossia come il pensiero non puo derivare dall'estensione, cosi l'estensione non puO derivare dal pensiero. L'una e l'altro, l'estensione e il pensiero, sono due essenze affatto differenti, ma sono solo in una cosa, ossia sono

ciò che dcrlvn dlii concetto immediato di c~so (v. Ep. LXVI col luoghi citati in ossa), è I' intllcn•ione migliore 11orcogliere Il vero senso del suo sistema. Nota d. l• edlz. T,a mia opinione è questa: Il Dio dello Spinoza non ha altre proprlolil cho l'estensione Infinita o Il pensiero infinito. Se Spinoza attribui a Dio, in un modo lndclcrmlnnto, 11roprlolà infinito nncho rls11ctto alla 1iunnllt>\, ciò l'u perchò egli lo deflui e lii mostrò n priori, e quindi era ltn11ossiblle provaie l'esistenza di certe proprle1à determinato, o la non-esistenza. di nitre; e tutto e duo le cose doveva fare, se non nmmettevR proprleti\ lulinite Anche rispetto a!IR quantità. Ma nel eonoetto mnnno v'ernno soltanto due proprletil dell'osaenza luflnltittua- etia)n tlu,·a,·u dicuntut", earum ideae ,•tiam e.ri,tentia,n pt!r quam dut'a~e tlicuntur, i,n:ofrr.nl. Schol. Si quis ad, 11,be,~i(J,·P.m /1,«iu.s >'l'i e.xpUr;.ation.e,11exemplum dealderet, nuUu,,, ,a,ie dare potero, quod. rem, de qua. hir. iaquor. utpote toiicam, a.daequate r.t'plieeti co,.abm· lame,, ,·e.11,ttl /ie,.i po1,,1, illuatrare .•. .Vempe ci,-cului tali, rsl 1uaho·ae, 111 omnium finita.rum reclt'w,,m, in, eodPm sese invicem s-ecanllum, >·ecta1iytda ""'b segrn.,ntis aint intf',• ae a.eqmdia; qua.-e in circulo infinita. int'1t"Sf# aeqttolia recta.ttgula contùientur: allam11>n,u,l/1on eo-rum potesi dir, cri1lert1, niti quatmua circulus e.r1·• 11Ut, >a.ec,,uam alicuiu.s honon rectrt iàea poleat dici l!J.'Ì8ll!1't!, 1Lisi qu,1tenu11 in circuii ideo co>11prt~h,uditur. Conet'piantu,· jo.m. t:~ infinllis illìa duo tantum, nempe D et E ~-' ilfttt·e. StJnr t-orum etiom ideoe jam non. ta11t11mexittunt, quat~nu.• ,ohurunodo in clrcull i{l1•a comprehtt11du,11tu,·; ,wa etlam.. q«atenMs l"orum t·ec,anqulor11rn Pxi.stentiom i,,cfJfot,nt, quo /il. ut a ,·tli'}ui8 relìquororn rectang1.do,·um idei• tli#i11g11t»1lt1r. Opp. Posi/I., p. 47. (l) Bu,.1 P. 11, Protl, 1x. lùr-a rei !in.g,,tu,·i11, actu exlsic,-..lis 1 Deu,m rwo cou..sa habet, non quatenus 11tfh,ilua ,,,. aed, quate11u11.alia: rei .siHgtdaria aclH exitlcnti, idea offt?cit,s ro11sider11tur, cuiua etiam JJeu1 fl1t r.au.,a, qua,,,,u, alil'l urtia uffecttta rat, et Aie in ù1flnit.um. Demonstr. ),l~a rei ai11gednrn. acta• ,.ristcutis. ,11otltU sinoutaria cogitattdi eal, ,, •"• tantum tlusc!em objec1i ideam ltab,t, Demoost,r. Quicquid ill objecto et,iuac1mq11e ideae co111i11gi1, eiu, dalur ,n Deo idea, noi-i, qualen.u:1 in{l.n,ilus e:-r,,Beà qua.tenua cdia rei s1n.gularis atrechfS cornsi• Ut"a.t.ur; aed, o,·do et con11l'~io idearum idem est, ac orda et con.nea:io renon; e,•it ..-go cognitio eiu.,, quotl in sinaulari aliquo ob}cclo co111ingi1, in Deo. quaten11• tontum oiu,,lem objecli habrt itleam. Q. E. D. f") Y. l 1 B.s·1rattn ria Urnuo, Avpcnd(u

I,

120

SULLA

DO'rTIUNA

DlllLLO SPlNOZ~

X.XXIX. Tutte le cose particolari si suppongono a vicenda, e si riferiscono le une alle altre, sicchè una di esse senza tutte le altre, e tutte le altre senza quest'una, non possono essere nè esser pensate; cioè, esse compongono uu tutto indivisibile, o più esattamente e propriamente: esse esistono insieme in una cosa infinita affatto indivisibile, e in nessun altro modo (1). XL. L'essenza affatto indivisibile, in cui i corpi esistono insieme, è l'estensione infinita e assoluta. XLI. L'essenza affatto indivisibile, in cui tutti i concetti esistono insieme, è il pensiero infinito e assoluto. XLII. Tutti e due ll'estensione e il pensiero] appartengono all'essenza di Dio e sono compresi in essa. Perciò Dio non può esser chiamato, distinctive, nè una cosa estesa e materiale, nè una cosa pensante, ma la stessa sostanza è estesa e nello stesso tempo anche pensante. O ancora in altre parole: nessuna delle proprietà di Dio si fonda su un Reale particolare e differente, sicchè esse potrebbero esser riguardate come cose lo une fuori delle altre, ognuna delle quali avesse per sè un'esistenza propria; ma tutte sono soltanto realtà o manifestazioni sostanziali ed essenziali di una sola e medesima cosa reale; cioè di quell'essere trascendentale, che assolutamente può soltanto essere unico, e in cui tutto si deve necessa.1·iamente compenetTa1·e e diventare af~ fatto una sola cosa. XLIII. Dunque il concetto infinito di Dio, tanto della sua tJssenzit, come di tutto quello che risulta necessariamente dalla sua, essenza, è soltanto un unico e indivisibile concetto (2). (1) Si una pa,·s maieriae a.tinihila1~etur, sim-ul etiar11,tota exten-sio evanesccret. Opp. Posth., Jl. ~01. Su questo punto lmportnnte sono dn vedere nella I parto dcli' Etica le proposizioni 12• e 13•, ma ~pcclalmente lo scolio della prop. 15•. luoltrc, la lottera notevole, De infiHito a L. Mayer (Opp. Posth., p. 465), e quelli!. non meuo notevole a. Oldenbm·g De toto et paste (lvi, p. 430). Così pu.re le lettere 39•, 40• e 41• o. uno che Spinoza non nomina.. (Opp. Posl/1., pp. 519-527). (2) Et/1., P. II, Prop. 3• e ~•, da confrontare colle Prop. 45•, izioni, del concetto comune e perfetto, della certezza., e in generale doll' intelletto umano.

122

!;OLLA

DOTTRINA

Pl!IU,0

SPINOZA

del Leibniz sarebbero semplic('mente effetto del corpo. A quest'osservazione nella mia minuta a vcvo fatto seguire queste parole di Leibniz: • Uua monade i.n se stessa, e sul momento, non potrebbe esser distinta da un'altrn, che per le qualità e azioni interne, le quali non possono essere altro che le sue percezioni (cioè le rappresentazioni del composto, o di ciò che è esterno,·nel semplice), e i suoi appetiti (cioè le sue tendenze da una percezione all'altra), che sono i principi·i della mutazione. Poichè la semplicità della sostanza non impedisce punto la molteplicità delle modilìcazioni, che si devono trovar insieme in questa. stessa sostanza semplice; ed esse devono consiste1·e nella v.irietà delle relazioni colle cose che sono al di fuori>. Piì1 oltre: « Ciascuna monade con un corpo particolarl' forma una sostanza vivente. Cosi non solo vi è dappertutto vita congiunta alle membra o organi, ma vi è un'infinità di gradi nelle monadi, perchè le uue dominano più o meno sulle altre. :Ma quando la monade ha organi si perfetti -che per mezzo di essi vi sia risalto e distinzione nelle impressioni che essi ricevono, e per couseguenza nelle percezioni che le rappresentano (come, per esempio, quando per mezzo della figura degli umori degli occhi, i raggi della luce sono concentrati e agiscono con maggior forza); la vita pub andare fino al sentimento, cioè a uoa percezione accompagnata da memoria, ossia a una percezione di cui rimane a lungo una certa eco per farsi sentire all'occasione, e tale vivente è chiamato animale, come la sua monade è chiamata anima. E quando quest'anima è elevata sino al grado di ragione, essa è qualcosa di più sublime, e la si annovera fra gli Spiriti, come ora sarà spiegato». - (Principes de la natit1·e et de la gmce fondés en Raison, num. 2 e 4) . .A questo avevo ancora aggiunto la Sezione 124• della Teodicea, e la lettera a Wagner, De vi activa corporis, de anima, de anima brut01·um. •• Tutta questa citazione l'espunsi poi come superflua, poicbè considerai che la ·mia asserzione era fondata dappertutto

SULLA

DO'r'f!UNA

DELLO

Sl'lNOZA

123

troppo manifesta.mente su Leibniz, pcrcbè semplicemente la forma incisiva, che lr. nvevo dato, potesse impedire di accorgersene, almeno dopo un po' di riflessione ( 1). Ella continua cosl il discorso: e Lascio nltresi a suo « luogo il leale retrocedere sou,o In bandiera della fede, e che Ella per parte Sua propone. CiO è affatto nello spie rito della Sua religione, la quale Le impone il dovere di • abbattere il ùubbio mediante la fedP. Il filosofo cristiano • si puO prendere il divertimento d'irritare il naturalista, e di proporgli nodi di dubbi, che, come i fuochi fatui, lo e attirino da una parte all'altra e sfuggano sempre ai suoi e colpi più sicuri. La mia religione nou conosce alc1m dovere • cli rimuovere tali dubbii'(llt1·imenti che mediante motivi ra« zionali; non impone nessuna f'cde alle verità eterne. Io bo « du.nque uu motivo di più a cercare la convinzione•. Caro Mendclssobn, tutti nasciamo nella fede e dobbiamo rimanere nella fede, come tutti nasciamo nella società e dobbiamo rimanere nella società. [1'otumparte prius esse necesse est] (2). Come possiamo noi aspirare alla certezza, se la certezza non ci è già nota prima; e come può esserei nota altrimenti che mediante qualcosa che conosciamo già con certezza? Questo porta al concetto di una certezza immediata, che non solo non ha bisogno di prove, ma esclude alfutto ogni prova, ed è solamente la stessa rappresentazione, che si accorda colla cosa 1·appresen tata (dunque, ha il suo fondamento in se stessa). La convinzione mediante prove ò una certezza di seconda mano. Le prove sono soltanto caratteristiche della somiglianza con una cosa cli cui siamo certi (3). Ln, convinzione che esso generano, deriva da comparazione, e non puO mai e,;scre proprio sicura e perfetta. Ora se ogni ades i onc che non derivi da ragionamenti, è tede,

(1) V. Il Dialogo '""' IdeaU,mo " il Ri,ali..,,o, nel eocondo vohune dello Op,,·,·, pp. '19 e egg., 238 o egg. {!) [ ) manca nella a• edizione. (8)

Questo -periodo manca nella sa eatzlone.

124

SULl.A. DOTTlUNA

DELLO

SPINOZA

anche la convinzione per ragionamenti elevo derivare dalla fede e solo da essa ricevere la sua forza ( 1). Mediante la fede noi sappiamo che abbiamo un corpo, e elle fuori di noi esistono altri corpi ecl aHri esseri pensanti. Una rivelazione verace, meravigliosa! Poichè noi sentiamo solo il nostro corpo, in questo o quell'altro stato; e mentre lo sentiamo in questo o quell'altro stato, avvertiamo non solo le sue mutazioni, ma anche qualcosa di affatto diverso, che non è nè semplicemente sensazione nè pensiero, cioè altre coso real i, e invero colla certezza con cui avvertiamo noi stessi; poichè senza il tu è impossibile l'io (2). Noi abbiamo dunque le idee solo per mezzo degli stati che riceviamo, nò Yi è 1ùtra via di conoscenza reale; poichò, se la ragione produce oggetti, questi son soltanto chimere (8). Così dunque abbiamo una rivelazione della natura, la quale non solo comanda, ma costringe tutti gli uomini a credere e ad ammettere mediante la fede verH:\ eterne (4). Un'rutra fede insegna la religione cristiana - essa non la comanda. Una fede che ha per oggetto non verità eterne, ma la natura finita e contingente dell'uomo. Essa insegna all'uomo come possa accettare condizioni, mediante le quali faccia progresso nella sua esistenza, s'innalzi a una vita superiore, - e qtùndi a una sL1periore coscienza, e in essa a una superiore conoscenza. Chi accetta questa promessa e cammina fedele verso la realizzazione, ha la fede che fa beati. Perciò il sublime maestro di questa fede, in cui furono già adempite tutte le sue promesse, potè di.re con verità: Io stesso sono la via., la, verità e la vita: nessuno perviene al Padre se non per me: ma chi accetta la volo11tà che è in me, proverà che la mia dottrina è verace e da Dio. Lo spirito della mia religione è dunque questo: l'uomo, mediante una vita divina, conosce Dio; e vi è una pace dì

(I) Per la semplice autorità dcllA. ragione, con cui essa pooe Il principio. (t) Il periodo che segue manca nella s• edizione. (S) V. vol. 11 delle Ope~,, p. 141 e sgg. (') V. W11.s101u1N, Restilla.te, pp. 173•177.

,

j

I

SULLA

DOTTRINA

JJELJ,O

126

SPINO½A

Dio, che è pm sublime di ogni ragione; in essa risiede il godimento e la conlernplazioue di una vil,L incomprensibile ( 1). Amore ò vita: esso è la stessa, vita; e soltanto la specie dell'amore distingue ogni i:;pecicùi nature viventi. Esso, il vivente, può soltanto manifestarsi nel vi vento, e darsi a couoscerealviventesoltanto-col suscitnre nmore. Cosi 1.mchegrida la voce di uu predicatore nel ve die vcnt,1rc partecipe di una 1wtura divina, o anche la divinità 2). e assumere ca1·ue e siinguo » 1. Questa via pratica, la ragione caduta in miseria, ossia divenuta speculativa (3) - in tri stila, non può lodarla nè lasciar che si lodi da sò. Per scavare essa non ba nò mani nò piedi; anche si vergogna di mendicare. lJerciò essa deve strnscinarsi in qua e in là verso la verit;\, andatasene coli' in telletto contempla11tc, verso la religione e i suoi beni, - come la morale vers~le inclinazioni virtuose scomparse; Ja legge verso lo spirito pubblico scaùnto e ai costumi migliori; la pedagogia ... l't>rnwtta cbc m'interrompa, aflinchò non venga solleva.Lo dal flutto che mi viene incontro. Lo spirito dolfa verità sfa con Lei e con mc. Dilsseldod,

21 o.prile 178ò.

Siccome avevo già fatto aspettar tanto Mendelssolrn, stavolta spedii subito il mio plico a Berlino. La sera stessa mi misi in vfoggio, e cosi 110n fu avvertita ln, mia amica, la quale però mi era ancora debitrice di risposta a due lettere. (I) « Oome Dio ò in tntto, COijl all'incontro tutto è in lui. Polchò il divl110 • muove in noi tutto. Non è lR- rn:.;-iono stee&n il 1,rincipìo ile.Ila. 1"ngìonc, 111n.qunl--

• cosoi di 1•ii1 nito. Ma itch di Buhlc solo l'anno 1709, il voi. ,s della Gesr.h. à. Ph. di Tennemann solo l'anno l81~, Il x il 1817). Prcscnte,nente occorre soltnnto inclicarli por difendere In provosì,iono sntldett& e render supcrfhrn un'csposir.ione più nmpi:i di css,t. Soltnnto delln trnttn,.ionc somnrnmento wiraùilc o sventurntnnrnnto non conilottn a termine del profondo pensatore Krans s 111 p a. n teismo devo qui ancora far particolnrmente

111e111.lo11e 1

perchè in

1~ssa.

si trova espresso nel motlo

più efficace ciò che h"cntnclnque anni pri111n Abho1HU. 110n J. F,·. Herbart. Ofr. App. IV e V. (1) V. KANT, C1•itica lie!/.a,1·agion 11ra1ica, pp. 169·183 e i luoghi della Critica .tle io rim,mdo pure solo in questo senso, e solo in rela~ioue alla rnia pro)losizione. Mi riferisco a. qnosti autori sempllcemeute per Il modo, In clii è contraddetta la mia 1,roposizioue; poiché chi non sarA corJYinto dolio dlmostrrur.ioni si varie addotte nel mio libro, non lo sarà nemmeno da qnaUe di Kant e di .8ehberg. (2) v. l'Appendice vrr . ~

.F. E. ,JAoon1,Sulla dott.-ina dello Spi,w::a.

1;30

S\'LLA

DOTTRINA

OELLO SPINOZA

identiche. Ogni dimostrazione suppone qualcosa di già dimostrato, il cui principio è la rivelazione (i). (1) V. sopru, insieme a quel luoghi del Dialogo ~u Idealismo e Renllsmo, a cui h\ ~•è Timaudato. - A pag. l~ del suo libro Ueb~r das T'e,·hiillniu d~•· .Mrto.i.1h111ik _,,,. Re!lginn il signor 'Rohberg dlce: «'l'utU I sistemi m8• tafisici sono soltanto spiegazioni dei fenomeni che ci fa conoscere l'esperienza». Nella. sua E,·,auteru,,u e111.1ge,· Scnt,,ier-ig"Jctit~-n der tintiirliclien T/11•otogie. che si riferisco alla mln, terzn, proposizione, dall'ordine che oseervlamo nel mondo sensibile egli deduco In supposl>iono di una causa lntelllgontc in un modo cbo sembr& aver qunlttamente, e specialmente spiegherò di pHt i miei principii e li porrò in confronto più vario (1). Conserverò il mio gran tema: quelle parole di Pascal: c. La natura confonde i pirroniani, e la ragione coufonrle i dogmatisti. - Noi abhiamo un'impotenza nel provare, invincibile da tutto il dogmatismo. Noi abbiamo un concetto della verità, invincibile da tutto il pirronismo> (2). E cosl io asserisco e (I) Col dialogo aull' Jd,eo./.i•.,w ~ Reali,.,,,, e coll'ediilon" presente considero eoddl8fat1a questa promessa, più nucora co~II scritti contenuti nel volume ter10 di queua rnoeolta (delle Opere) e coll'introduzione al volume secondo. \2) P1•11!t!e•de Pa•col. Art. xx,.

SULLA

I)

DO1'TliWA

l>EJLLO HPl.NOZA

136

asserirò: Noi uon ci creiamo e istruiamo noi stessi, non siamo in nessun modo a prio1·i, e non possiamo saper o far niente (puramente e completamente) a priori, niente sperimentare senza esperienza (1). Noi ci troviamo posti su questa terra; e qui come si fanno le nostre azioni, così pure si fa la nostra conoscenza; come ha effetto la nostra disposizione morale, cosi pure ba effetto la nostra cognizione di tutte le cosr che vi si 1iieriscono. Come gl' isti\lti, così il senso; e come il senso, così gl' istinti. L'uomo non può farsi nè saggio, nè virtuoso, nè religioso, col ragionamento: a esser tale dev'essere mosso e muoversi, essere organizzato e organ'izzarsi (2). Nessuna filosofia finora è stata capace di mutare questo potente ordinamento. Sarebbe tempo che si cominciasse ad adattarsi di buon animo ad esso; e si cessasse di voler trovare occhiali, di poter vedere sepz'occbi - e meglio! Sperzia e Buli, andando volontariamente da Sparta a Susa, alla morte, vennero a ldarne, il quale era un J>ersiano e prefetto dei popoli asiatici abitanti in riva al mare. Questi offrì loro dei doni, li ospitò e li volle persuadere a diventar amici del suo re, f> grandi e felicì'come lui. e n tuo consiglio, (1) Anche In ma.tematica deve su.pporre le linee rette limitata e prohmgnte a volontà, e il circolo di qualunque grandezaa, prima di procedere alle dimost1·n~loni di essi. La linea, il pimto e li piano sono nstrattl dal coi-po (v. l'Euolide riel Simson, la nota prima), e qui udi la rttppreseotaziono di r1ueslo li suppone e l.noltro si •ut)l>one ancora la rappresentazione del movimento, senza la quale non si (JIIÒ peo8:ire la costru-.,ione di un circolo e in genere di una figura. (Cfr. voi. 11, pp. 178-79, voi. m, pp. 12·1S). Va da sè, che ooo sia poi più necessaria nessuna esperienza per In formadouedi proposizioni semplicemente identiche, porehè l'Identità inscoso !JUro è un concetto affatto soggettivo. All'oggetto fuori dell' ìntellelto non può convenire il predicato aggettivo lo s tosso, ma esso è sosto11tiv11n1011te eolo QllC Il o eh~ è. Ma che proposizioni identiche debbano portar con sè l'universalità e la necessiti,, ciò è àppunto cosi evidente come Iloro locllpendanza dall'esperienza. In questo campo la splendida mi~erl,~ della nostra fa.coltàdi conoscere s'èdimostTMs ottima· mente per mezzo dell'astrazione o del 1 iugu11gglo, e ha fatto nascere molli errori e malintesi, la cui possibiliti, si comprende perfettamente approfondendosi nelle funzioni del linguaggio dg,mrdo ai nostri mgionamentl. Qualcosa di più a questo proposito bo detto nell'Appendice VII e nnche sparsamente qua e là in qnest'opern. M11q11est'n.rgomento richiede unn t.rattaziona speciale e più ampia. (2) V. l'Appendice VIII.

136

SULLA DOTTRINA

Dl!ll.LO

SPTNOZA

dissero quegli uomini, è buono secondo la tua esperienza, ma non secondo la nostra. Se tu avessi provato la felicltà ebe noi godiamo, ci consiglieresti a. dare per essa l'avere e la vita> , 1). Senza dubbio, Jdarne rise di questi fanatici, e quale dei nostri ,éontemporanei non ne riderebbe cou lui? Ma, posto anche che noi e Idame avessimo torto, e che quegli uomini di Sparta non fossero fanatici, non dovevano essi possedere una verità, di cui noi sia.mo privi? E non cesseremmo noi di ridere di loro, quando scorgessimo questa verità? Sperzia e Buli non dissero a Idarne: « Tu sei un pazzo, un uomo di spirito debole»: confessarono anzi che egli era saggio nella su.a misura, intelligente e buono. Essi non tentarono neanche d'insinuargli la loro verità; invece spiegarono come ciò uou si poteva fare. Non si spiegarono molto di più allo stesso Serse, al quale non vollero prostrarsi, e che non li lasciò uccidere, ma li volle anche persuadere a diventa.r suoi. amici e felici come lu..i. < Come poti·emmo noi (dissero quegli uomini) vivere qni; lasciare il nostrn paese, le nostre leggi e tali uomini, che, per morire per loro, abbiamo volontariamente intrapreso un cosi lungo viaggio?> (2). Probabilmente Sperzia e Buli avevano minor facilità a pensare e ragionare, che i persiani. Anche non si rifyrivano al I.or.ointelletto, al loro fì.ne giudizio, ma solo alle cose e alla loro affezione per queste cose. Con ciò non si vantavano nemmeno di alcuna vil'tù; confessavano solo il sentimento del loro cuore, il loro affetto. Non avevan nessuna filosofia, o la loro filosofia era semplicemente storia. E può mai es:;ier altro che storia una ftlosoB,aviva? Come gli oggetti, cosi le rappresentazioni; come le rappresentazioni

(1) EROllO'l'O, vu, C. Jt9.

(2) Com.meni pourdotM nous uiv,•e icy, pn abn11donn.ant 11astrt•pays, t,os loi.11 et dr tels hornmcs, que pour n,oiwi,· pou,· eux nous o:von-~uolonta.frement elll-t-epri• u.n s, loin.lai.H voyage/,,-Ptut,,,·que dans le.$ JJicls notables •,

Bruno,

De·tacau$a, principio

(Edlz. Gentile, p. 209).

APPENDICE I DELLA CAUSA, DEL PRTNC[PIO E DELL'UNO.

ESTRATI'O DA GIORDANO

Dm,r,A

BRUNO

UAUBA, 1N QUANTO ~

!OlllN'l'lTÀ

DI NOLA.

E DIVERSA

DAL

PRlNCIPIO

CJNA CON l!lSS . e

APPENDICE IV A p. 56 di quest'opera: « Non solo. Io credo una causa • intelligente e personale del mondo. - Lessin9. Oh, tanto me• glio ! allora ne devo sentir una proprio nuova • ! Su questo brano Herder a p. 13.3(l) del suo dialogo: ilio dice quello che segue: « Lessing sente dire di una causa in« telligente, personale del mondo, e nello stesso tempo se« condo il suo modo si rallegra di averne a sentir una proprio • nuova. Dell'intelletto di Dio non poteva dubitare l'intelletto e di Lessing; la sua curiosità era dunque rivolta alla causa « personale del mondo, e a questo riguardo naturalmente egli e non poteva sentire niente di nuovo. L'espressione persona, e se anche la usano i teologi che non l'oppongono mai al e mondo, ma l'ammettono solo come differenza nell'essenza « Dio, è, come essi stessi dicono, semplicemente antropopac tica; filosoficamente, dunque, niente potrnbbe esser fissato • su questo punto>. Fra i molti luoghi singolari del dialogo herderiano, qu.esto si distingue per una certa abbondanza del non comune.

(l) Della J• edizione del 1787, a cui si riferiscono anche tutte le indicazioni seguenti. La secondn edizione «abbre\'lata e accl"escinta» di questo dinlogo apparve solo tredloi nnnl Jlii'l tardi, e io non ho t.rovn.to in essa niente cl,e mi potesse obbligare a disdire qualcosa di ciò che avevr.• detto nelle ÀJltlendlci IV e V; o anche mi potesse muovere nd addurre nuovi argomenti. .Ma qui rinvio volentieri ancora una vo)ta nlla trattar.ione sul panteismo, dJ Kraus, e insieme. an1,i qui princlp11hnente, allo scritto ecoellsote da -poco ap1,a.rso snl sistema dello Spinoza, di llerbnrt, col tLlolo; lJialoylti sul male (Gespriicho iiber due Bose). - «In Spi ~no,,. ionontrovo,dicel'autore,nè il b·ene nell 1 1lltezz,t,nè il malo nella •profondità».-Dall'inllmo fondo del mio cuore e del mio spirito io itggiungo al peso di guesto /letto un sl e un amen. (N. d. 3• od.)

184

SULLA DOTTRINA

DlllLT,O Sl'fNOZA

La questione era, se la causa del mondo, cioè l'essere supremo, sia semplicemente una radice eterna e infinita di tutte le cose, una natwra naturans: una prima molla; oppure se essa sia un'intelligenza che agisca mediante la ragione e la libertà, e allora la mia opinione era, che questa causa prima sia un'intelligenza (1). Di un'intelligenza senza personalità io non aveva nessun concetto, e sono persuaso, che neanche Lessing credesse di averne uno, come qaalunque uomo non è in grado di averlo real men te. T,'unità dell'autocoscienza costituisce la personalità, e ogni essere che abbia la coscienza della sua identità, (di un io che permane, è in sè e sa di sè J (2) è una persona. Se io dunque, come Kant asserisce, posso dubitare che la mia coscienza non sia scorrente C), allora è possibile, che io dubiti della mia propria pe1·sonalità oggettiva (cioè dell'identità reale del mio soggetto), ma della personalità di Dio e della sua verità universale io non posso mai dubitare, se a Dio attribuisco la coscienza("-), essere in sè e saper:e per sè, cioè l'io sono( 5). (Agli animali noi neghiamo la personalità, perchè ad essi neghiamo la conoscenza distinta da cui dipende la coscienza dell'identità. Ma il principio della personalità dev'esser attribuito a ogni individuo dotato di coscienza, cioè a ogni essere vivente. Oon ogni grado di più di coscienza che noi attribuiamo a un tale individuo, l'avviciniamo alla persona, flnchè quel grado che lo innalza a intelligenza, gli dà perfettamente

(t) « Uu essere, il quR.IO sia cup..ce di aglre secondo 111rnpprosontaziono di «leggi, è un•intelli genz,i, un essere razionale; e la caus1tlità di 1111 tate • essere, che è secondo questa ra,ppresontazlooe delle leggi, è lavo I o o tà di essa. «Un eàoere, il >. Critica de!/.a ,·a!Jion pralica, pp. 225 e 2l6. Critica della ragion pura, p. 559 della prima edlz., l'· GSl. (2) [ ] aggiunta dell" a• edizione. (3) « fliessend ». (4) Le pa,role ohe seguono in que,to periodo sono aggiunta della S• edizione. (o) Ciò cbo segue fra parentesi qundre mane& nella S• edizione.

APPHINDtOI

186

anche la proprietà di una persona, cioè di un essere che determina se stesso mediante la ragione.] Dunque, se non vogliamo lasciare affatto la regione del pensabile e giudicare senza concetto, dobbiamo anche necessariamente riconoscere all'intelligen7,a suprema il grado piit alto della personalità, cioè la completezza dell'essere in sè e del sapere di sè. Per quel che io sappia, non vi fa nessuno prima di Herder, che pensasse diversamente a questo riguardo, ed è veramente qualcosa di affatto nuovo IC[

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di tutte le forze. L'esistenza è più eccelle.nte di ciascuno dei suoi effetti; essa dà un godimento che non sollanto supera i concetti particolari, ma non ò affatto da paragonare con essi: poicbè l'immaginazione è soltanto una delle sue forze, alla quale obbediscono molte altre forze. Cosi è nell'uomo; in tutti gli esseri limitati dev'essere lo stesso caso: e in Dio?> «Filolao. Nell'esistenza di Dio si -v-erificanel modo più eminente ciò che Lessing congettura di questa forza superiore, che deve superare ogni pensiero. La sua esistenza è il primo fondamento di tutta la realtà, l'insieme di tutte le forze, un goclimento che supera ogni concetto. • «Teofrone. Ma che è anche fuori di ogni concetto? Ella vede ancora una voltti che Lessing non ha strigato bene la matassa delle idee spinoziane. La fo1·za suprema deve conoscere se stessa; altrimenti è una potenza cieca, che sarebbe certamente superata dalla potenza pensante, e quindi uou sarebbe divinità. > In Lessing, del resto, non è abituale rimanere a mezza via, e neppure non strigar bene la matassa, una volta cbe l'ha presa in mano. Ma He1·der in questa stessa opera dice anche di Spinozaquelchesegue (pp. 101-103): «Che cosa gli mancò e dunqull, che non potè connettere le facoltà infinite di pen« sare e di agire, e che in questa connessione non espose più « chiaramente quello cbe doveva trovare necessariamente in « essa, cioè: che la potenza suprema deve anche es« sere necessariamente la -potenza più sapiente, cioè cuna bontà infinita, ordinata secondo intime leggi «eterne?> - - « È ancor sempre quella falsa definizione « cartesiana, cbe anche qui gli tolse la luce ch'egli aveva. « Cioè il pensiero e l'estensione si oppongono in lni come due « cose intangibili; il pensiero non può essere limitato me< diante l'estensione, l'estensione non può essere limitata me< diante il pensiero. Ora poicbè egli le rite11ne tutte e rlue e come proprietà cli Dio, di un'essenza indivisibile, e non osò ._spiegarne una mediante l'altra; dovette supporre un terzo « nel quale tutte e due si connettessero, e che egli chiamò « potenza. Se egli avesse sviluppato il concetto di potenza,

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SULl,A

DO'rTRINA

DIJ:LLO SPINOZA

come il concetto della materia, con questo necessariamente e , anche in conseguenza del suo sistema sat·ebbe dovuto per« venire al concetto di forze cht- agiscano tanto nella materia « quanto negli organi del pensiero; e quindi avrebbe conside< rato in quello anche la potenza e il pensiero come forze, « cioè come una sola cosa . .Anche il pensiero è potenza, e « invero la potenza più perfetta e assolntamcmte infinita, ap« punto perciò che esso è tutto ed ha ciò cbe appartiene alla « potenza Lnfinita, fondata in se stessa. » Dunque, non tanto Lessing riguardo a Spinoza, qmwto Spinoza riguardo a se stesso, sarebbe rimasto a mezza via (1). Ma è poi giusto almeno quer:;to, clw Spinoza riguardo a Spinoza sia rimasto a mezza via e non abbia strigato bene la matassa del suo pensiero? Io spero che Herder stesso mi debba dimostrare il contrario. La proposizione, da cui Spinoza deduce che Dio, ossia la natum naturans, non può avere nè intelletto nè volontà, tanto (e questa è ben da notare) tanto infiniti quanto finiti, è questa. I pensieri reali, la coscienza chiara, l'intelletto, è un certo modo determLnato, una modificazione (modificatione modificat1tm) del pensiero assoluto. Lo stesso pensiero assoluto, non modificato (infinita cogitationis essentia), è prodotto immediatamente dalla sostanza; ma tutti i differenti modi del pensiero, solo medi a tamen te: cioè essi possono derivare tutti immediatnmente solo dal finito, e devono esser attribuiti alla natura creata, ma in nessun modo alla natura increata. «

(1) A p. 94 del dialogo herddriano su Dio ò rlconoschito, che Spinoza pMla ~Aspramente contro ogni fine al Dio nella creazione; che assai chiaramente .. nega a Dio l'intelletto e Il\ vo\0111,\, e cboderivat111to ciò che esiste, so" I amen te dalla sua potenza infinit>L, la quale egli non solo antepone ali' intel« letto e aj fini, ma la n1sT11. La questione: quanto sia in accordo e quanto in disaccordo l'armonia prestabilita di Leibniz con l'asserzione dello Spinoza, che l'estensione e il pensiero non sono convertibili vicendevolmente e insieme formano solo un'essenza - questa questione la toccai già nel Dialogo sull'Idealismo e il Realismo, e nello stesso tempo promisi di svolgere di più quest'argomento in altro luogo, il che deve qui esser fatto. In quel dialogo dissi, che le forme sostanziali, o per usare l'espressione che qui è la più conveniente ed è veramente la propria, il p1'incipium individuationis del nostro Leibniz costituisce un punto decisivo della differenza. E infatti questo punto è cosi importante, che per esso i due sistemi diventano sistemi opposti. Quando Leibniz nel 1695 pubblicò la prima volta il suo «Nuovo SISTEMA», narrò le diverse mutazioni attraverso le quali fin allora il suo pensiero era passato. La stessa narrazione si trova di nuovo esposta più ampiamente nei Nuovi saggi, e qui egli concbiude colle seguenti parole: « Io ero andato un po' troppo olt1·e e avevo cominciato < a piegare dalla parte degli splnoziani, i quali attribuiscono « a Dio soltanto nna potenza infinita e gli ni>gano la sapienza « e altre perfezioni, sdegnano la dottrina delle cause finali « e derivano tutto da una necessità senza sèOpo. Da ciò mi « guarl il sistema dell'armonia, e d'allora in poi talvolta mi « chiamo Teofilo> (1). (l) Nou1Jeaux rts,ais, p. 29. - Noti,.ie assai impoTtanli delle mu.tazlonl ehe ""vennero nel pensiero di Leibniz si trovano nnche nelle su~ lettere al Remond. Voglio qui inserire il brnuo seguente: - «Ricordo, cb,e all'elù w quindici anni

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Tuttavia proprio in questo nuovo sistema che Leibniz oppose allo spinozismo, Bourguet ere.dette di scoprire un incontro o meglio lo spirito dello spinozismo. Leibniz gli 1·ispose: Io • non vedo, come Ella voglia di qui fare uscire lo spinozismo. • Invece lo spinozismo viene abbattuto proprio mediante le • monadi. Poichè in quanto esistono Je monadi, in t;tnto • esistono sostanze reali, ossia specchi indistruttibili, direi < viventi, dell'universo, o mondi concentrati; mentee secondo • Spinoza vi può solo essere un'unica sostanza. Se non • vi fossero monadi, Spinoza avrebbe ragion e, e tutto, • fuorchè Dio, sarebbe transitorio e sparirebbe come dispo• sizione o modificazione accidentale, percllè alle cose man• cherebbe un fondamento proprio della persistenza, la so• stanza, che vien dato mediante le monadi > ( 1). passeggia-vo solo in nn òoschett-o presso T,ipsia, chiamato Il Rosenllial, pensando se a-vessi do-vuto mantenere il 11rfncfpio delle forme sostanziali. Inlino ilmeccanismo prevalse e rn'i11dnsse ad applicarmi ana matematica.-Ve,ro ò che uou m'approfondii in esse. se non dopo aver pa,-\11,tocol signor Huygens a Parigi. 1\fa