Terrence Malick. Mitografie della modernità 8846714806, 9788846714800

Terrence Malick è un regista misterioso per quanto riguarda la sua esistenza privata e professionale: leggendario per la

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Italian Pages 247 [260] Year 2006

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Terrence Malick. Mitografie della modernità
 8846714806, 9788846714800

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Malick 1errence Francesco Cattaneo

Mitografie della modernità

Ip

Francesco Cattaneo

Terrence Malick Mitografie della modernità

Edizioni di Cinefonim Edizioni E I S

Galleria Collana diretta da Bruno Fornara e Adriano Piccardi

Volumi pubblicati 1 - Chiara Poli, Ammazza vampiri 2 - Giorgio Cremonini, Viaggio attraverso l'impossibile 3 - Antonio Termenini, Gas Van Sant 4 - Sergio Arecco, Anche il tempo sogna

5 - Autori vari. Carta pellicola

Per le immagini pubblicare in questo libro gli Editori sono a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire.

In copertina: E. Hopper, Tramonto sulla ferrovia (1929. particolare). New York (NY), Collection of Whitney Museum of .American Art.

Edizioni di Cinefonim - 24020 - TORRE BOI .DONE Via Ci. Reich. 49 - (Bergamo) Tel. 035 361361 - Fax. 035 341255 http://wwAv.ala.sca.il/ciiieforuin c- mail : cd izion idici neforu [email protected]

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Indice Introduzione

pag.

9

Lo spazio assurdo delle Badlands

33

Lo spazio tragico della prateria

93

Lo spazio polifonico di Guadalcanal

145

Filmografìa

220

Riferimenti bibliografici

232

Indice dei nomi e dei film

240

Ringraziameli li I compagni di viaggio e i complici, come lan parte della vita, così costellano anche la stesura di un libro. Tale costellazione diverrebbe un pulviscolo se alcuni punti non rifulgessero più

d'altri. Il mio pensiero va in primo luogo agli amici di Cineforum (a partire da Sandro Zamhetti), di cui sono largamente debitore, anche per l'impagabile esperienza di un lavoro che è sempre stato innanzitutto dnùcìzia al lavoro. Una menzione particolare meritano Bruno Eornara e Adriano Piccardi. i curatori della presente collana, che non mi hanno mai fatto man­ care il loro saldo sostegno e il loro prezioso consiglio, prestandosi a varie rilelture del mate­ riale. Questo libro è decisamente debitore della loro premurosa pazienza. Ci sono poi gli amici che. generosamente, si sono messi al lavoro per me, fornendo un non piccolo contributo al miglioramento di questo libro. Devo in particolare a Giuseppe

*Imperatore una costante vicinanza e una preziosa revisione delle bozze, e a Jonny Costantino la consueta alchimia di garbo e incisività con cui ha esposto le sue osservazioni su alcuni snodi cruciali del testo. Un pensiero di riconoscenza spetta poi a Carlo Gentili per lo sprone del suo modello e per il

dono più prezioso: quello del tempo dello studio e della scrittura. Un grazie particolare all'impegno profuso da mio padre in una serie estenuante di controlli e di verifiche. Ma la mia gratitudine si estende a tutta la mia famiglia e a Elisa, per la vicinanza e l'appoggio che non mi hanno mai fatto mancare.

Ai miei genitori

Ma troppo tardi, amico! giungiamo; vivono, e vero, gli Dei Ma sopra di noi in un mondo diverso. Nel loro agire incessante, al nostro vivere paiono

Poco badare, a tal punto ci risparmiano i Celesti. Giacché non sempre un debole vaso li può contenere, Solo a momenti l'uomo sostiene la pienezza divina. Sogno di loro si fa allora la vita. Ma ferrare Giova, come il sonno, e rendono forti il bisogno e la notte. Finche eroi vi saranno, cresciuti in culle di bronzo.

E cuori simili, nella forza, ai Celesti, come un tempo. Tuonando giungono allora. Eppure spesso mi sembra

Meglio dormire, che senza compagni

Continuare l’attesa, c che fare intanto e che dire Non so, e a che scopo i poeti in miseri tempi? Ma essi sono, tu dici, come i sacri sacerdoti del Dio del vino

Che andavano di paese in paese, nella sacra notte. Friedrich Hòlderlin, Pane e vino

Introduzione Impara nella vita l'arte, nell'opera d'arte la vita, Se distingui Cuna, vedi anche l'altra Friedrich Holdcrlin1

Un silenzio gravido Parlare di Terrence Malick significa esibire un'assenza. Le uniche tracce tangi­ bili e consistenti di Malick sono, indicativamente, i suoi tre lungometraggi disse’ Il lavoro di analisi dei film è staro condono sui seguenti DVD: Lt rabbia giovane, Warner

Home V’ideo. 2003; / giorni elei cielo. Paramount. 2001; la sottile linea rossa. Twentieth Century Fox Entertainment. 2000. La suddivisione in sequenze cui si fa riferimento nel testo è quella riportata nella filmografìa. Le date di realizzazione dei film sono desunte principalmente dall'Internct Movie Database [consultabile all’indirizzo: www.imdb.com ] c confrontate, ove possibile, con alcune fonti ita­ liane, tra cui \'Enciclopedia del cinema (Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni

Treccani, Roma 2003-2004), la Storia del cinema mondiale (Einaudi, Torino 1999-2001) c i principali dizionari dei film. Per quanto concerne le traduzioni da libri in lingua straniera faccio uso del seguente criterio: qualora non compaia diversa indicazione, la traduzione fornita è mia. ' E Holdcrlin, Hpoci rctVTOV (A se stesso), in Tutte le liriche, edizione tradotta c commenta­ ta e revisione del testo critico tedesco a cura di !.. Rei (ani, con uno scritto di .A. Zanzotto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, p. 70.3.

9

Francesco Cattaneo

minati in un quarto di secolo: La rabbia giovane (Badlands, 1973), I giorni del cielo (Days ofHeaven, 1978) e infine La sottile linea rossa (The Thin Red Line, 1998).

Ritornare dopo due decenni con un film quale la sottile linea rossa equivale per

certi versi a esordire di nuovo. Tale dilazione ha fatto sì che la figura di cineasta di Malick non acquistasse consistenza per sé, ma fosse delegata alle opere. Si applica bene per il regista texano una sequenza di Andrej Rublev (id., 1966) di Andrej Arscn'cvic Tarkovskij. Nel terzo degli «episodi-novelle»',

intitolato «Teofane il Greco - 1405», il monaco Kirill entra nel “laborato­ rio” del famoso pittore di icone Teofane. A un tratto s’avvede di un uomo sdraiato su una panca e lo osserva attentamente, avvicinandosi e girandogli intorno. Dopo qualche battuta capisce che si tratta del Maestro e, tradendo la sua sorpresa e ammirazione, esclama: «Allora sci tu! Sci proprio tu!

ìeofane il Greco!». Teofane risponde dapprima con uno sbrigativo: «Sì, sono io»; poi esorta il visitatore con tono secco, quasi infastidito: «Ma perché guardi me? Guarda là, invece», ingiunge facendo cenno verso le sue ultime creazioni. Malick si confonde con Teofane nella misura in cui anch’egli si eclissa dietro la sua opera. «L'unica presenza autentica dei grandi Maestri del

passato si ha infatti nella loro opera. Quanto più un Maestro è grande, tanto più la sua personalità si fonde completamente con l’opera»'. In questo senso l’opera cinematografica di Malick s’inscrive quasi senza residuo nella sem­

plicità del factum est, deH'esser stato fatto *. ■ liilc * è l'espressione us.ua dallo stesso Tarkovskij in Scolpire il tempo, a cura di V. Nudai.

L'bulibri. Milano 2002. p. 36. ' M. Heidegger, {.‘abbandono, introduzione di C. Angelino, tr. it c note di A. I*abris,

il melan­

golo, Genova 1998. pp. 27-28. ' L'estraneità di Malick ai ritmi e alla routine dello show bufine» ha dato adito a molte inter­ pretazioni. La sua prima moglie. Jill Jakes, ha spiegalo che «a Hollywood fare il tuo lavoro implica un grande danno per la tua anima, per qualsiasi spiritualità che possiedi. ìérry l'ha sopportato per due film, ma poi deve aver sentito che stava pagando un prezzo troppo alto dal

punto di vista del suo essere una buona persona o una persona pura- (cit. in J. Young. Hollywood's Prodigal Son. in -Daily Telegraph-, 11 luglio 1998 [consultabile su internet all’in­ dirizzo: http://www.eskimo.com/-toates/malick/art4.htmll ). Tuttavia il {rateilo di Malick ha smentito tale motivazione, osservando: -Non c’è alcun mistero circa la sua decisione di non dirigere per un po’, ha solo scelto di fare altre cose» {ibidem). Occorre ricordare a riguardo la semplice e incisiva osservazione di Nick Nolte: -Ebbene. Terry è il perfetto esempio di una persona che coltiva seriamente la propria vocazione, conte qualcosa di prezioso. E assoluta­ mente ovvio che non si guadagna da vivere coi film: ne ha fatti tre in venticinque anni... Dal suo punto di vista, il motivo è che. se si guadagnasse da vivere coi film, la sua creatività subi­ rebbe delle pressioni che la rovinerebbero. È lo stesso motivo per cui non si espone con i media- (in A. Crespi [a cura di]. Lavorare eon Malick. Conversazione ron quattro interpreti, in -Cineforum-, n°382. marzo 1999. p. 12).

IO

TERRENCE MALICK

Il defilarsi di Malick va inteso e sfruttato metodologicamente come una

ricchezza, come un surplus di forza manifestativa della sua arte. Il cinema del regista texano richiede una prospettiva capace di restituire alfautorialità la pienezza della sua sfida. Che è la sfida dello stile,, inteso come modo per­ sonale di essere rivolti alle cose. Lo stile, infatti, è una sorta di experimentum mundi, una virtù fondativa atta a generare un mondo - il mondo del­

l’opera - dotato di una sua verità interna, non arbitraria, ma ermeneutica­ mente connessa con la “realtà” che viene ri-plasmata. Più ancora, per Malick vale la lezione di Michel Chion, con il suo tenta­ tivo di operare una revisione della «politica dell'autore» dialettizzandola per mezzo di una «politica dell’opera». La fertilità di questo approccio, adottato da

Chion per Kubrick’ e Lynch", sta nel fatto che l’unità non è più rinvenuta nella presunta intenzionalità dell’autore, ma va ricercata nel fatto concreto del sin­ golo film come punto di annodo di una pluralità di influssi e di processi che solo nel corpo del film stesso pervengono a un’espressione superiore alla somma delle parti. Si potrebbero riferire a Malick le parole che Chion usa per Lynch. Anche il regista texano «continua a lasciare ai suoi film |...| la possi­

bilità di liberarsi di lui»’, al punto che - con un’intensità rara - i suoi sono dei «capolavori anonimi» * o dei «film-autori» ’, cioè dei film che creano il loro auto­ re piuttosto che confermarlo. Non stupisce che quella di Malick sia un’autorialità sfuggente. I suoi film sono difficili da definire e incasellare. Il suo cinema non appartiene a una corrente o a una moda e non corrisponde a un’ideologia. Malick è atopico sia sul versante stilistico - impegnato com’è in un classicismo sospeso e franto, e congiuntamente in una pratica mitologica - sia sul

versante tematico e “contenutistico". Sfugge per il suo corpus una conce­ zione generale, un punto di vista definito, una visione del mondo deci­ frabile ed esaustiva. Non solo le coordinate sono latitanti, ma difetta una bussola affidabile. Al punto che in La sottile linea rossa il cineasta texano si sofferma scopertamente sull’impossibilità di adottare prospettive e schemi univoci c risolti, perché la realtà si dà in innumerevoli e irridu' M. Chion. l >nodi$sea del cinema. il •2001" di Kubrick, Undau, Torino 2000 (in particolare p. 21). ' IcL. David Lynch, tr. ir. di D. Giuffrida, l.indau, Torino 1995. Ivi, p. 13. Chion prosegue evidenziando la dialettica opcra/autorc. Infatti ossers-a che i film

possono liberarsi del l’autore solo se lui «si afferma ancor di più» {ibidem). ' M. Chion., Unodbsea del cinema. Il *2001 • di Kubrick, cit., p. 8. ‘ !d. David Lynch, cit.. p. 13. Il

Francesco Cattaneo

cibili fogge c sopporta la contraddizione. Di qui la scelta di scardinare la narrazione monologica, di disciogliere il narratore in una pluralità di

personaggi, in modo da costituire una struttura polifonica, polivoca c dialogica. Vale per Malick ciò che vale per Eraclito: «La natura delle cose ama celarsi»1" - e non si tratta dell’unica eco eraclitea riverberantesi nel

suo cinema.

♦*»

Al silenzio di Malick non dovrebbe corrispondere il nostro silenzio? Il raccoglimento dell’opera in se stessa e il suo «urto» non dovrebbero consigliarci di tacere? Sì, a patto di non intendere tale silenzio come una mera assenza di parole. La giusta indicazione ci viene nuovamente da Heidegger, impegnato questa volta come esegeta della poesia pensante di Holderlin. Nella «Prefazione alla seconda edizione» della sua raccolta di saggi La poesia di Holderlin, Heidegger riflette proprio sul rapporto tra

l’opera e il commento, e scrive: «Le poesie appaiono come uno scrigno senza tempio in cui è conservato il poetato. Le poesie sono, nel rumore dei “linguaggi impoetici”, come una campana che sta appesa all'aria aperta: basta una leggera nevicata che le cada sopra a renderla stonata»”. Più oltre il filosofo si sofferma sul suo stesso tentativo esegetico e, rifa­

cendosi all’immagine hólderliniana appena evocata, riconosce: «Forse ogni delucidazione di queste poesie è come una leggera nevicata che cade

sulla campana. Per quanto possa o non possa fare una delucidazione, per essa vale sempre una cosa: affinché quanto viene puramente poetato nella poesia si presenti in qualche misura più chiaramente, il discorso di delucidazione deve ogni volta distruggere se stesso e ciò che ha tentato. Per amore del poetato, la delucidazione della poesia deve cercare di rcn1 Frammento 22 B 1 23 DK (tr. it. di G. Giannantoni). Con questa formula si cita dalla classica raccolta Die Fralmente der Vorsokratiker (1903) di Hermann Diels. riveduta e cor­

retta da Walther Kranz - da cui D (-Diels) e K (-Kranz). Il primo numero rimanda al capitolo dedicato a un singolo aurore (il ventiduesimo e il capitolo di Eraclito), l a lettera seguente rimanda alla sezione relativa alle testimonianze bio(biblio)grafiche o dossografiche (A) oppure alla sezione relativa ai frammenti s’eri e propri (B). I.'ultimo numero è quel­

lo associato al frammento specifico. Le traduzioni italiane sono state tratte da AA.W.. / presocratici. Testimonianze e frammenti, introduzione di G. Giannantoni. 2 voli.. Laterza. Bari 1981. M. Heidegger, hi poesia rii Holderlin. a cura di E-Wl von Herrmann, ed. ir. a cura di !..

Amoroso. Adelphi. Milano 1988, p. 5.

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TERRENCE MALICK

dersi superflua. L’ultimo passo, ma anche il più difficile, di ogni inter­

pretazione consiste nel dileguarsi, insieme alle sue delucidazioni, di fron­ te alla pura presenza della poesia. La poesia stessa, stando allora nella propria legge, farà direttamente luce sulle altre poesie. È proprio per

questo che, rileggendo, crediamo di aver già da sempre inteso le poesie a quel modo. È bene che lo crediamo»1*.

La rinuncia alle parole viene sopravanzata da una corresponsione che, rivolta all’opera, sappia alla fine rifluire in essa, sappia riconse­ gnarsi a essa con accresciuta intensità. In questo ritorno sta il senso di ciò che tenteremo: delucidare i film di Malick per poi restituire a essi, e al lettore/spettatore, il centro della scena. Non si tratta di un per­ corso che, giunto all'ultima mossa, devia e si smentisce; ma di un per­ corso che si svolge tutto — questo c l'auspicio — nella consapevolezza della sua fine. Che riesca, cioè, a preparare nel migliore dei modi la sua eclissi.

Gli anni di formazione e la filosofia Quel poco che si sa di Malick è comunque utile per una prima intro­ duzione e, al contempo, per delineare alcune linee-guida del presente

lavoro. Malick nasce il 30 novembre 1943 a Waco, città dello Stato del Texas situata lungo le sponde del fiume Brazos. Ciò lascia evidentemente qual­ che segno ncll'immaginario del ragazzo. Il fiume, infatti, ricorre in modo significativo in tutti e tre i suoi film, costituendo un topos del suo

cinema. Nella sua adolescenza Malick si trafcriscc prima ad Austin (dove oggi vive) e poi in Oklahoma11. Pur provenendo da una famiglia agiata (il padre, di origine libanese, è un dirigente di una compagnia petrolife­ ra), da giovane egli si dedica durante l’estate a lavori manuali: fa il brac­ ciante in un’azienda agricola e l’operaio presso alcuni pozzi petroliferi. Queste esperienze contribuiscono forse a cristallizzare in lui l'interesse

per la natura e per il modo in cui l'uomo la abita. i ; hi. p. 6 ' ' Una preziosa ionie d'in formazioni di prima mano è rinrervista a Malick realizzata da Michel Cimcnt (Entmien aree Tcnrnce

in “Posiiif», n°l70, giugno 1975, pp. 30-34).

Tram rx< a Cattaneo

Iniziata l’università nel 1961 a Harvard» Malick si laurea in filosofìa nel 1966, sotto la supervisione di Stanley Cavell1*, con una tesi incen­

trata sulle riflessioni dedicate all'episiemologia in Essere e tempo di

Heidegger. Il tema prescelto è senz’altro coraggioso in un periodo di dif­ fusi pregiudizi «analitici» contro la filosofìa «continentale». A tesi ulti­

mata Malick ottiene una borsa di studio come «Rhodes Scholar» per il Magdalen College di Oxford, dove svolge gli studi di dottorato. Il futu­

ro regista pensa di dedicare la sua tesi al concetto di mondo in Kierkegaard, Heidegger e Wittgenstein, ma il professor Gilbert Ryle, che

segue i suoi studi, gli suggerisce di occuparsi di qualche tema più “filo­ sofico”. Malick decide così di abbandonare il dottorato.

Tornato negli Stati Uniti, Malick comincia a lavorare come giornalista free-lance, firmando articoli per «Life», «Newsweek» e «The New Yorkcr»

(per quest’ultimo periodico Malick scrive i necrologi di Martin Luther

King e Robert Kennedy). Tra l’altro, viene mandato come inviato in Bolivia

per seguire il processo a Régis Debray, lo scrittore c giornalista francese che nel 1967 soggiorna nello stato sudamericano per un reportage sui guerri­

glieri di Ernesto “Che” Guevara, oppositori del regime militare di

Barrientos. Debray rimane al loro seguito per quaranta giorni, ma poi viene arrestato dalla polizia governativa boliviana a Muyupampa e accusato di complicità con i ribelli. 11 giornalista subisce una condanna a trent’anni di

reclusione (sarà liberato nel 1970 dal governo del generale Torres). Malick sbarca in Bolivia domenica 8 ottobre 1967, un giorno prima dell’assassinio

di “Che” Guevara, catturato e giustiziato dalle forze anriguerrigliere boliviane,s. Il giovane inviato rimane sul posto per quattro mesi, ma poi non

pubblica nulla sull'argomento. Di lì a poco Malick inizia l’attività di insegnamento della filosofìa pres­

so il Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove nel 1968 tiene un corso su Heidegger per conto del professor Hubert Lederer Dreyfus, desti-

” Cavell ha dedicato alcune opere al cinema, tra cui The World Viewed: Reflections on the

Ontology of Film, ed. ampliata, Harvard University Press, Harvard 1979, e Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana de! rimatrimonio, tr. it. di E. Morreale, Einaudi, Torino

1999. Nella prima opera citata Cavell fa diretto riferimento ai film di Malick. ‘ Giova ricordare a questo proposito che Malick ha preparato una sceneggiatura sul periodo

boliviano di Ernesto “Che” Guevara. Egli avrebbe dovuto dirigere in prima persona il relati­ vo film, intitolato Che, ma la sua scelta di dare la precedenza a un altro progetto ( The New World} ha indotto il produttore di Che, Steven Soderbergh, ad assumerne anche la regia.

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TERRENCE MALICK

nato a divenire un eminente esegeta heideggeriano. Dallo studio c dall’approfondimento di Heidegger (che pare il giovane studioso sia riuscito a

incontrare di persona durante il suo soggiorno europeo) nasce la traduzio­ ne del celebre saggio Vani Wesen des Grundes"-, comparso per la prima volta nel 1929 sullo «Jahrbuch fiir Philosophic und phànomenologische

Forschung» (Annuario di filosofia e di ricerca fenomenologica) di

Edmund Husserl. La traduzione di Malick, intitolata The Essence of Reason, viene pubblicata con testo tedesco a fronte nel 1969 presso la Northwestern University Press. Essa rimane a tutt’oggi l’edizione di riferi­

mento in lingua inglese. Il libro si apre con una suggestiva e pregnante introduzione scritta dal

curatore. Malick, riflettendo sui concetti di «mondo» (W47r) e di «esser-ci»

{Dasein), rivendica innanzitutto l’importanza e la fertilità dell’opacità di Heidegger, che non va affrontata in senso riduzionistico o svalutativo.

L’incidenza di questa riconsiderazione acquisisce il suo pieno spessore attra­ verso una mossa assai heideggeriana di inversione della prospettiva. La «confusione {confusion)» dei testi di Heidegger emerge come una possibilità

costruttiva dotata «di una disciplina {discipline} sua propria», tale che «solo

se sappiamo come ci rapportiamo a {stand related to) Heidegger, sapremo anche cosa fare della nostra confusione (make of our confusion)»' ’. I.a «con­ fusione» diviene il terreno di un confronto, di un agone che, attraverso

Heidegger, concerne noi stessi. Non si tratta di risolverla, ma di assumerla su di sé. Giovarsi di un approccio anche estetico-filosofico nell’attraversamento del cinema di Malick è una scelta singolarmente avvalorata dal percorso del

regista, oltre che - c primariamente - dal suo cinema. Con ciò è posta urgentemente l’esigenza di precisare in che senso ci si avvarrà del discorso

filosofico e in che modo sarà possibile valorizzare i trascorsi di Malick. Non

si tratta di identificare dei temi o dei problemi posti extra-artisticamente per poi valutare come vengano rappresentati c recuperati neH’esprcssionc artistica. Una tale procedura sarebbe estrinseca e riduttiva, incapace di con­

frontarsi con la forma artistica nella sua singolarità. Occorre invece farsi " Cfr. M. Heidegger, Dell'essenza del fondamento, in Segnavia, a cura di E-W. von Hermann,

cd. it. a cura di E Volpi. Adelphi, Milano 1987. pp. 79-131.

T. Malick, Introduzione a M. Heidegger. The Essence of Reason, tr. ing. di T. Malick,

Northwestern University Press, Evanston 1969, p. XVI,

15

/•>< incesto Cti Itanco

indirizzare dalla materia viva dell’arte, dalla «cosa stessa» del cinema in

generale e dei tre film di Malick in particolare. Riferendosi sempre impli­ citamente a quello sfondo imprescindibile che è il dialogo tra filosofia e

arte, tra filosofìa e poesia così come è stato pensato da Martin Heidegger, la riflessione deve attcstarsi sul punto in cui il pensiero si articola con l’o­

pera, evitando da una parte l’evocazione di problemi filosofici in nome di una presunta completezza d’analisi (quasi fosse un supplemento di mestie­ re da parte del critico) e dall’altra uno studio concettualizzante che tenti di estrapolare dai film una “morale” o, simmetricamente, di calargliela dall’al­

to. L’eredità heideggeriana si scorge prevalentemente rispetto al concet­

to di mondo, argomento centrale del saggio tradotto da Malick e tema portante della sua progettata tesi di dottorato. Il modo in cui ciò con­ fluisce nella sua pratica artistica è accennato dal regista in un’intervista del 1975, successiva all’uscita di La rabbia giovane *.

«Non stavo cercan­

do di far capire un qualche messaggio con il fìlm. Non è solo questione

di raccontare una storia. Si spera — anche se non ti proponi espressamente di fare questo - ma si spera che il film riesca a trasmettere allo spettatore un senso delle cose (a sense of things'). Una sensazione {feet)

per il modo in cui va il mondo. Quando un fìlm che mi piace finisce, mi lascia un senso delle cose. È come se ogni cosa andasse al suo posto per un attimo. Non c come se ti venisse detto qualcosa che non sapevi

*. già»"

Se nel film non si tratta di veicolare un messaggio, non si tratta

neppure solo di raccontare una storia: si tratta del dischiudersi di un

mondo coeso, riposto sulla propria legge. Il modo in cui Malick usa la

parola «sense» dimostra il suo consapevole riferimento all’ambito esteti­ co (da aisthesis, “sensazione”) come luogo di intensificazione della dupli­

cità del «senso». «“Senso” in effetti è quella mirabile parola che si usa in due significati opposti. Una volta indica gli organi dell’apprensione immediata; un’altra volta chiamo senso il significato, il pensiero, l’uni­ versale della cosa»1'. La considerazione di Malick contiene un’altra H M. L. Linden, Directed by Terrence Malick, cit. in J. Morrison, T. Schur, The Filmi of Terrence

Malick, Praeger, Westport (CT) & London 2003, p. 89. L'ambiguità dell'ultima frase - gio­

cata su una doppia negazione - è tipicamente heideggeriana (si consideri, per esempio, il con­ cetto di non-latenza. che non dice semplicemente presenza). G. W. E. Hegel. Estetica, edizione italiana a cura di N. Mcrker, tr. it. di N. Merker c N. Vaccaro. Einaudi, Torino 1997, tomo 1, p. 148.

16

TERRENCE MALICK

importante allusione, nella misura in cui non pone la riflessione come scopo esplicito e primario del cineasta: il senso delle cose viene offerto

«though you really don’t set out to do this», «anche se non ci si propo­ ne intenzionalmente di perseguirlo». L’inciso del regista si riallaccia alla

riflessione suW inconsapevolezza dell’artista promossa da un’influente tra­ dizione che ha preso le mosse dal Platone dello Ione per arrivare, sche­

maticamente, allo Shaftesbury della Lettera sull entusiasmo, al Baudelaire dei Saggi sull'arte e allo Heidegger di Corpo e spazio. Osservazioni su arte

- scultura - spazio20. Accomunate dal loro essere lettura interpretativa del mondo, arte e filosofia si distinguono in quanto la prima è un libe­ ro scaturire mentre la seconda tenta di portare allo scoperto la propria coerenza interna, proponendosi un compito di chiarificazione21. In que­

sto senso non stupisce che nel corso della stessa intervista Malick abbia dichiarato: «I don’t feel one can film philosophy», «Non credo che si

possa filmare la filosofia»22.

Per semplificare il percorso svolto di seguito, possiamo concepire il

cinema di Malick come un incessante farsi mondo, che di volta in volta si rifrange in un mondo assurdo (La rabbia giovane), in un mondo tragico (Igiorni del cielo), e infine in un mondo polifonico (La sottile linea rossa).

Alla base di questa meditazione in tre atti sta il neologismo heideggeria­ no «welten» (da “Welt”, mondo), che si può tradurre con mondeggiare'. esso implica che il mondo non faccia capo a un fondamento predetermi­

nato, ma si manifesti per mezzo dell'istituire dei poeti. E quanto esprime Holderlin in una sua famosa sentenza lungamente meditata da

Heidegger: «Colmo di meriti, ma poeticamente, l’uomo dimora su queHeidegger scrive: r0-porre a se stessa T“in-vista-di”»* 5. Se così non fosse, la libertà sarebbe di nuovo la libertà di un soggetto che sceglie tra varie opzioni

precostituite. La libertà radicata nel trascendere è più originaria. «In questo trascendente autoproporsi l’“in-vista-di”, Tesserci accade nel­ l’uomo, cosicché questi, nell’essenza della sua esistenza, può essere

obbligato a sé, cioè essere un se stesso libero. [...] Solo la libertà può

lasciare che aU'esserci un mondo si imponga (walten) e si faccia mondo

(wclten). Il mondo, infatti, non è mai, ma si fa mondo» . *

Proprio per­

ché Tesserci, nel suo trascendere, è libertà, Tesserci può gettare davan­ ti a sé un mondo e farlo essere.

Nella riflessione sul fondamento, appare ora chiaro che la libertà è «lo­ rigine delfondamento ingenerale. La libertà è libertà difondamento» * 7. Il fon­

damento (Ur-grund) viene così s-fondato, viene rovesciato in abisso (Abgrand), viene portato al cospetto del nulla. Non c’è un fondamento già deciso sulla cui base si dà un mondo; ma tale fondamento è progettato dalla

libertà, e dunque è la libertà. Un ultimo passo va compiuto. Se Tesserci progetta un mondo a par­

tire dal fondo abissale della sua libertà, ciò non significa che Tesserci sia un soggetto che racchiude in sé idealisticamente il mondo, e che lo river­

sa fuori di sé. Al contrario, il fondare proprio delia libertà dell’csscrci è

i.dc che Tesserci si sente già da sempre nel mezzo dell’ente. Ciò accade

perché, essendo Tesserci un trascendere, non può costituire un terminus a

" Ivi. |>p. 114-115.

' Ivi. |>. 120. ■ Ibidem. Heidegger conia all’occorrcnza il neologismo ttvltcn. che in italiano equivale a

iHi. 121.

69

Francesco Cattaneo

quo, un punto di partenza» un fondamento (come il soggetto idealistico

che pone il mondo). Il progettare Pente nella sua totalità accade come stare nel mezzo delTcnte (il che significa anche: in una tradizione, in una

storia, in una società, in una situazione; significa avere un passato e stare

in una certa condizione, questa è la finitezza dell’uomo). «Vesserei fonda (cioè istituisce) un mondo solo fondandosi in mezzo alTente»’*. È uno

star dentro che sta fuori, o uno star fuori che sta dentro: due vettori diver­

genti di un unico, paradossale, movimento. Il gettare-davanti-a-sé del

progetto accade a partire da possibilità sottratte allesserei per via del suo essere in mezzo all’ente. I-a trascendenza «è ad un tempo uno slancio in avanti e una sottrazione» *'.

Lesserei, nel suo essere situato in mezzo all’en­

te, è un progetto gettato, cioè progetta a partire dal condizionamento del­ l’essere in situazione (Befindlichkeit). Appare cosi nel modo più nitido «l’essenza finita della libertà»' *'.

La libertà dell’esserci non dispone di se,

non è trasparente a se stessa, ma accade nell’esserci. «Benché si senta situa­

to in mezzo all’ente e sia da esso impregnato nel suo stato d’animo, l’csserci è come libero poter-essere che è gettato tra l’ente. Il fatto che Tesserci sia in potenza un se stesso, c che effettivamente di volta in volta lo sia in

corrispondenza della sua libertà, il fatto che la trascendenza si maturi

come accadere originario, tutto ciò non è in potere di questa libertà. Ma tale impotenza (Tessere-gettato) non è soltanto il risultato della pressione

dell’ente sullcsserci, ma determina Tessere deH’csserci come tale. Ogni

progetto è dunque un progetto gettato»".

Come si tenterà di far emergere a contatto con i fìlm, l’intendimento heideggeriano del mondeggiare e la sua connessione con l’essenza dell’uo­ mo (esserci) paiono dei motivi fondamentali del cinema di Malick.

Partiamo proprio dalla gettatezza (Geworfenheit) e ritorniamo al

primo dialogo di Kit con Holly, quando viene affrontato l’argomento del cognome. “ /w. p. 123*' ìbidem. ivi. p. 124.

" Ivi. pp. 130-131.

70

TERRENCE MALICK

Kit: «Oh, incidentally, my last name is Carruthers. Sounds too much like “druthers”, huh?» Holly: «It’s okay.» Kit: «Yeah, well, nobody asked me what I thought. They just

hung it on me.»

[Kit: «Oh, tra l’altro, il mio cognome è Carruthers. Suona un po’ troppo come “preferenze”, huh?»

Holly: «Va bene.»

Kit: «Sì, beh, nessuno mi ha chiesto cosa ne pensassi. Me l’hanno solo appiccicato addosso.»)

Il fatto che il cognome non si scelga, che uno se lo trovi addosso, è una delle forme più immediate di gettatezza: ci troviamo in mezzo all’ente, cata­

pultati in una realtà che ci preesiste. Al contempo, questo cognome fa rima

con «preferenze», cioè con scelta, desiderio, e implica dunque la dimensio­ ne dell’arbitrio. Kit è preso nel mezzo del paradosso tra il condizionamen­

to e la libertà che abbiamo visto all’opera nell'essere-nel-mondo di

I leidegger. I.a parola kit, poi, significa letteralmente “borsa”, e anche “uten­ sili”, “attrezzi”, “equipaggiamento” {tool kit è la “borsa dei ferri”). Kit è un

progetto già nel nome, un progetto che tenta di pervenire a se stesso collo­

candosi in un mondo. Abbiamo già visto che Kit e Holly sono due perso­ naggi in cerca d’identità. Con ciò, possiamo aggiungere, sono anche in

cerea di un mondo, vivono e soffrono il problema del mondo. Ciò, si badi bene, non come esigenza consapevole, ma come «trascendentale» ontologi­

co, come “cornice” di ogni esistenza umana. Anche chi non lo fa esplicita­ mente (è il caso di Kit e Holly) decide del mondo intorno a sé. Qual è, allo­

ra. il modo di «esscrc-al-mondo» di Kit e Holly? Per capirlo occorre valutare il loro mondo di Fort Dupree, perché

quello che seguirà ne sarà un’emanazione, non già un sovvertimento. Malick descrive la loro vita nella cittadina come un barcamenarsi tra la

noia, le incombenze quotidiane c qualche esangue incontro. Il regista liinzionalizza a tal proposito la pittura di Edward Hopper, di cui recu­

pera la resa sospesa e immobile della provincia americana, irrigidita in

mi attesa che rimane in surplace (“sul posto”), sull’orlo di una rivelazio­ ne < hc tarda a sopraggiungere. Emblematici in questo senso sono i due 71

Francesco Cattaneo

uomini inerti e quasi catatonici inquadrati nell’ufficio di collocamento, Malick compone un quadro, anzi un plan-tableau''", li riprende a mezzo

busto, con la parete sullo sfondo colorata di giallo canarino nella parte alta e di grigio nella parte bassa. L’uomo sulla sinistra» al pari di tanti personaggi di Hopper, ha la testa appena sollevata e guarda fìsso verso

una qualche apertura da cui entra della luce. L’uomo sulla destra, quasi a bilanciare il compagno, ha la testa leggermente reclinata e guarda

davanti a sé, verso il basso. I due sguardi formano un incrocio implosi­ vo, che non fa altro che ridurre l’altrove ai minimi termini, rendendo­

lo come un rapporto cristallizzato tra interno ed esterno. Ma Malick fa ancora di più. Nell’inquadratura successiva allarga la visuale e mostra un piano medio dell’ambiente. Lo sfondo è sempre la parete di prima,

che questa volta taglia violentemente l’inquadratura e produce una pro­

spettiva squilibrata. Sullo sfondo si vede distintamente una finestra da cui penetra della luce. A ridosso del muro ci sono ora due gruppi sim­ metrici: vicino alla finestra si trova la coppia catatonica di prima; sulla

sinistra invece siedono Kit e il responsabile dell’ufficio. Tra le due cop­ pie si instaura una “rima” sia a livello delle gambe (tutti le accavallano

nello stesso modo) sia, ben più significativamente, sul piano degli

sguardi. In questo caso è Kit a rivolgersi insistentemente verso la fine­ stra mentre il suo compagno (sulla sinistra) guarda i fogli che tiene in mano. Malick realizza così una struttura a chiasmo, che rovescia la prima coppia nella seconda e ingenera una moltiplicazione del senso di

inanità e noia rassegnata. 11 comportamento di Kit e Holly consiste in una partecipazione mime­ tica. 11 distacco da Fort Dupree non deve ingannare: esso accade invero in

modo assai casuale e solo posteriormente al tentativo di ottenere il consen­

so del padre. «Qui Kit e Holly non consumano alcuna rivolta, non opera­ no alcuna rottura rispetto alla civiltà in cui sono vissuti. Malick ce li mostra, sin dal prologo, assenti dal mondo, ma senza rivolta contro una

società di cui adottano, come si vedrà più avanti, la maggior parte dei cano­ ni, a cominciare dal suo linguaggio»9'. *? P. Bonitzcr, Peinture et cinema. Décadrages. Cahiers du Cinéma, Paris 1985. pp. 29-41. Il

plan-tableau è un paradosso nel suo accorpare un'idea di flusso (inquadratura) con un'idea di fissità (il quadro). ” M. Sineux. Un cauchemar de douceur (Badlands), cit., p. 27.

72

TERRENCE MAUCK

Dopo essersi spinti fuori dai confini angusti della cittadina paterna» Holly e Kit si trovano più immediatamente a contatto con il vuoto, con il nulla, con la propria libertà, il loro modo di essere-al-mondo e di fare-mondo emerge

con ulteriore nitore. Mentre prima poteva sembrare che i due ragazzi fossero condizionati dalla coercizione e dallobbligazione, ciò che fanno ora appare una loro “scelta": la posta in gioco diviene esplicitamente il farsi mondo e

l’appropriazione di sé. Ma se è vero che la questione del mondo diventa più

urgente e trasparente, essa non cambia di segno. Il progetto di Kit e Holly

rimane lo stesso: è questo il dato più spiazzante, più enigmatico e fuorviarne del film. L'adattamento di Kit e della sua compagna non si verifica soltanto

rispetto alle convenzioni, ma anche rispetto all'immaginario ribellistico. Il modo di essere-nel-mondo di Kit e Holly comporta un riempimento com­

pensatorio e “idolatrico” del vuoto. I due compiono una sorta di fuga “simu-

lacrale” dall’Zwnw vacui. Per dirla con Heidegger, aderiscono a ciò che è «innanzitutto e per lo più» (i luoghi comuni) e partecipano alla «chiacchie­ ra». Kit si sente fortunato perché «ha tante cose da dire»; eppure per tutto il

film non dice nulla di particolare, si limita alla comunicazione fatica, «a tene­

re aperto il canale comunicativo»' * 4. Quando incide il disco, non riesce a tro­ vare parole sufficienti per colmare sessanta secondi di tempo. Si limita ad affermare apoditticamente che «le ragioni sono evidenti» ed evita di darci

qualsiasi prova della loro effettiva sussistenza.

Invece di farsi carico del loro passato. Kit e Holly si limitano a distrug­ gerlo e a portarsi appresso qualche rimasuglio, qualche residuo (la lampada, lo stereoscopio, il quadro, la radio, la gabbia, il tostapane...). Il passato rima­ ne incollato addosso a loro; torna nei modi di una circolarità ** .viziosa' È un progetta imploso * in riflusso. Anche la ricerca di un’identità si risolve in questa

maniera, soprattutto per Kit, che va a pescare negli stereotipi del proprio immaginario (James Dean in primis) e li mette in scena, li recita goffamente,

portandoli a una resurrezione anemica e devitalizzata. Kit può allora essere

solo un James Dean senza coscienza, senza rovelli: è un’emanazione isterilita

dcll icona, una copia sbiadita per usura e omologazione. Holly da parte sua si rifa ai logori cliché dei romanzi rosa e dei racconti d’avventura, e a stereo" B. Henderson, Exploring Badlands, cit., p. 40.

< ìr. N. Campbell, The Highway Kind: Badlands, Youth. Space and the Road, cit., p. 38. < '.impbcll argomenta a partire da D. Lowenthal, The Past is a Foreign Country, Cambridge University Press. Cambridge 1985.

73

Francesco Cattaneo

tipi ideologici (per due volte fa cenno ai *«comunisti»' ’). Attraverso una voce over naif (o faux-naif, come è stato detto' ), compone uno «sciocchezzaio» nel senso di Flaubert, una raccolta sistematica di luoghi comuni. iMalick fa un preciso lavoro sul linguaggio e lo rende un’accozzaglia di frammenti, di casca­

mi ipostatizzati che vengono giustapposti gli uni agli altri non senza una spic­

cata vena surreale e ironica. II trasferimento nella foresta obbedisce a questa logica: lo confermano

inequivocabilmente il resoconto “favolistico” di Holly e la presenza della stampa di Parrish. Quest’ultima rimarca una continuità negli ideali e nelle

aspirazioni di Kit e Holly: il loro orizzonte continua a essere quello che con­ cepisce la natura come un rifugio, come un paesaggio arcadico o romantico, foresta è data culturalmente, al di là di qualsiasi mistica o estatica fusione;

essa si presenta non di per sé, ma come elemento di un mondo umano. Nella sequenza in casa dell’uomo facoltoso l’atteggiamento di Kit c di Holly è in qualche misura smascherato. Quello che prima era un conformi­

smo d’immaginario, diventa un esplicito conformismo sociale: Kit si rispec­ chia nella società patriarcale, identificandosi a un tempo con il genitore di

Holly e con Mr. Scarborough. L’adeguamento ai canoni e ai modelli vigenti

non è tanto una questione di cosciente conservatorismo o di opportunismo; esso fa parte di una strategia mirata alla compensazione dell’angoscia. Kit e

Holly non si trovano a confronto con il vacuum: è la logica del loro essere-almondo a far dilagare il vuoto intorno a loro, a renderli sempre più sradicati

proprio mentre li lascia del tutto inconsapevoli di ciò. Per quanto evanescen­ te e vitreo possa sembrare, si tratta del loro mondo e loro vi si trovano a pro­ prio agio, non sono schiacciati o atterriti. Questo paradosso si propone con la stessa evidenza forse solo nell’enigmatico Eraserhead - la mente che cancel'

la {Eraserhead 1978) di David Lynch. Henry Spencer, il protagonista di Eraserhead vive in una realtà impossibile e insostenibile per noi: ma ai suoi

occhi pare “normale”, non ha nulla di abnorme o di eccezionale'”’. In La rab*' In entrambi i casi il doppiaggio italiano compie un'anacronistica operazione di censura. I

comunisti divengono dapprima -marziani» e poi sono sostituiti da un «qualcuno» generico. 1 J. Orr, Terrence Malick and Arthur Penn: The Western Re-Myth, cit., p. 66.

” Cfr. su questo punto A. Boschi e A. di I.tizio. Lynch: la ricerca deladdirne nell'imperfezione, in «Garage. Cinema - Autori - Visioni», n°l7 (= David Lynch), Paravia. Torino 2000, pp. 23-

24. Come Kit, anche Henry (il protagonista di Eraserhead) si dimostra imperturbabile e

impassibile rispetto all'orrore che vive, lui conseguenza è - secondo le parole degli autori - una

«discrepanza “emotiva” tra personaggio e spettatore» (ivi, p. 23).

74

TERRENCE MALICK

bia giovane c’è all’opera lo stesso doppio spiazzamento, che lo spettatore per reazione è portato a interpretare in senso morale. Ma ciò che pare tanto estra­

neo è in realtà ciò che è più nostro, più “quotidiano".

Lo spostamento nel deserto delle Badlands non produce alcuna svolta. Kit continua a ripetere le sue modalità di “abitazione", che si spingono

esplicitamente Ano alla contraddizione (ormai) sostenibile di abitare il vuoto. E ciò per mezzo di strategie sempre più maldestre. Per esempio. Kit sotterra un contenitore ricolmo di oggetti personali suoi e di Holly: una lente, un trofeo, un pupazzo, delle foto, un pacchetto di sigarette - segni

qualsiasi, ("osi facendo, egli non esorcizza solo il potenziale annichilente dello spazio, ma anche quello del tempo: «Disse che se fossimo ritornati

sul posto un giorno, avremmo trovato le cose come le avevamo lasciate, mentre noi saremmo stati differenti. E se non fossimo mai più tornati,

beh, qualcuno forse li avrebbe trovati tra qualche migliaio di anni. Te l’im­ magini la sorpresa!».

L’estraneità del paesaggio è accresciuta dalle riprese degli animali, della vegetazione e dell’ambiente, che non suggeriscono più quella fusione e par­

tecipazione delle macrofotografìc poste all’inizio della sequenza della fore­ sta. La flora e la fauna testimoniano ora una vita non-umana, anzi dis-

umana\ si fanno portatrici di uno sguardo straniero, non armonizzato con

quello dell’uomo; al punto che, per certi versi, non sono più i personaggi a

guardare le cose, ma le cose a guardare loro. Le grandi distese uniformi non proteggono come la foresta; divengo­ no anzi il luogo elettivo della morte, perché su di esse si è allo scoperto, nudi e indifesi. Quando Cato tenta di fuggire non può trovare riparo. «Gli spazi aperti neH’immagine significano dunque rovina»’9. Se tali luo­

ghi in La rabbia giovane sono intesi in senso assurdo (pur non conoscen­ do lo scopo di Cato, Kit spara senza esitazioni: ha il “grilletto facile”),

assurda è anche la morte a essi correlata. Kit e Holly assistono totalmen­ te indifferenti all’agonia dell’amico. Il mondo di La rabbia giovane sop­

porta l’ulteriore paradosso di essere pervaso dalla morte ma di escludere

qualunque sensazione e com-passione a essa correiabile. Nei termini di lissere e tempo, Kit è incapace di es$ere-per-la-morte, di angosciarsi al suo

cospetto. La morte non solo è insensata ma è anche anestetizzata. Siamo |. Orr. Terrence Malick and Arthur Penn: The Western Re-Myth, cit., p. 71.

75

Francesco Cananeo

agli antipodi della sua densità tragica in 1 giorni del cielo e del suo spes­ sore esistenziale in La sottile linea rossa, opera in cui dilagano il pensiero

e il dramma della mortalità. Ad accentuare il senso di vuoto dell'altopiano è la scelta tipica di Malick di sfruttare in taluni casi la luce del tramonto, della magic hour, quella ven­

tina di minuti in cui non ce più il sole ma c'è ancora luce. In questo modo la luce di La rabbia giovane, soprattutto nella parte ambientata sulle

Badlands, si diffonde con la stessa piattezza e omogeneità del paesaggio e

rimane senza un'origine determinata, senza un astro “di riferimento": il cielo del film è vuoto anch'esso, doppio diafano e rarefatto del marrone

scuro del terreno. Quella di Malick è la luce indifferente di cui parla Sandro Bernardi sulla scorta di Fabrice Revault D’AJIonnes100. Tale luce, col suo

senso ottuso'0', è tipica del cinema moderno e si differenzia dal senso ovvio della luce espressiva del cinema classico, la cui funzione consiste nel raffor­

zare la leggibilità deH’immagine. la luce ottusa è di spirito «documentario»,

nota Bernardi, anche se ottenerla richiede spesso un sovrappiù di artifi­

cio102. Essa è una luce diffusa, senza sottolineature, una luce dacquario, «let­ terale, non drammatizzata, non psicologizzata, non metaforica ed egualita­

ria (..J una luce che segue il non-senso del mondo»'0’. A testimoniare che nel mezzo del tavolato di nulla delle Badlands il mondo di Kit rimane inalterato è anche la sua gestione dei legami inter­

personali: l’unico rapporto con gli altri è quello instaurato dalla violenza,

l'unica mediazione quella di una pallottola conficcata nel corpo. Tra i vari oggetti del film, tutti in grado di veicolare aggressività, la pistola è l'utensi­

le più sfruttato della “borsa dei ferri”-Kit10*. In un mirabile saggio su S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, l c lettere, Firenze 1998, pp. 128-131. 01 La distinzione tra senso ovvio e senso ottuso è mutuata da R. Barthes, Il terza senso. Note di ricer­ ca su alcuni fotogrammi di Ejzenitejn, tr. it. di G. Rottiteli, in l'ovvio e l'ottuso. Saggi critici III, Einaudi, Torino 2001, pp. 42-61. Sul punto rimando al mio saggio Unimmagine giusta. Per un pensiero delia fotografia e del cinema: la Camera chiara di Roland Barthes. in N. Novello (a cura di), L'aurora immortale. Le arti e il cinema, Gedit, Bologna 2004 (in particolare le pp. 82-90).

11 discorso si attaglia naturalmente a un regista la cui luce indifferente è talmente sofistica­

ta da dover essere spesso cercata in un ristretto lasso di tempo della giornata. ,w E R. D'Allonnes, Ut lumière au cinema, Cahiers du Cinéma, Paris 1991, p. 8. °* I lolly definisce Kit «trigger-happy», che letteralmente significa “felice con il grilletto”. Come ha spiegato Martin Sheen nel documentario Absence ofMalick, durante le riprese il regista gji aveva

suggerito di considerare la pistola come una specie di «bacchetta magica» capace di rimuovere istantaneamente gli ostacoli comparsi lungo la via. Con questa metafora Malick suggerisce di

nuovo la dimensione fiabesca.

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TERRENCE MALICK

Immagine e violenza, Jean-Luc Nancy ha definito a minima la violenza come «la messa in opera di una forza che rimane estranea al sistema dina­

mico o energetico nel quale interviene»,u\ La violenza è puramente distrut­

tiva: mira a irrompere nel gioco di forze che costituisce Lordine presente per scombinarlo e farlo deflagrare, La violenza non ha di mira una trasfor­

mazione (dunque, un’altra firma), ma il mero annichilimento, la piatta distruzione dell’esistente e dei suoi equilibri. Nel gesto violento c’è un mero

sprigionamento di intensità che non vuole sapere niente, che vuole essere

«ignoranza», «accecamento deliberato», «volontà ottusa». Questa violenza, scrive Nancy con espressione icastica, è coglioneria. Essa è centripeta e invo­ lutiva: «Una massa si chiude su di se e si fonde nella massa in cui diventa

colpo: inerzia ammassata e scagliata per rompere, dislocare, far crollare»1"6.

La verità della violenza è dunque dell’ordine della perentorietà e dell’im­ plosione. «Il colpo è subito il proprio fondo»107, aggiunge Nancy. Anche per Kit si tratta di schiacciare il fondo contro la superfìcie, di produrre un

appiattimento dell'abisso: si tratta, insomma, di sprigionare il colpo.

Secondo la formula di Nancy, egli è un coglione", nella sua scialba assunzio­ ne del luogo comune-James Dean, mira a non pensare, a distruggere108.

La struttura profonda del film, intesa in questo senso, trova una sua precoce esposizione nella scena in cui Kit va a parlare con il padre di

Holly. L’uomo sta lavorando a un grande cartellone pubblicitario, che svetta dal terreno giallo e si staglia contro il ciclo blu, in un vivido con­ trasto di colori ambientali che emula le tinte accese dell’immagine. 11 car­

tellone contiene scritte roboanti c slogan, c insiste su elementi tipizzati e standardizzati (la scena di benessere rurale). Lo scambio tra i due uomini

inizia sotto il segno della legge («What’d you come out here for?», «I

wasn't aware there was any law against it»109) c della consumazione di una mela dal sapore biblico (come accadrà in 1 giorni del cielo)', poi prosegue con una serie di battute tautologiche c retoriche, che spaziano da «You "•' J.-L Nancy, Tre saggi sull’immagine, tr. it. di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2002, p. 10. 1 " Ivi. p. 12.

" Ivi. p. 26. Cade a proposito la felice formula coniata da Vincent Canby, secondo cui La rabbia giova­

ne sarebbe «gelido, a tratti brillante, sempre ferocemente americano» {Malicks Impressive " Badlands" Screened at Festival, in «The New York Times», 15 ottobre 1973).

Padre: «Cosa sei venuto a fare fino a qui?-. Kit: «Non sapevo ci fosse una legge che lo proibisse» (traduzione mia].»Any law against [it)?> è urta battuta ricorrente di Caleb Trxsk in La valle deU'Eden.

77

Francesco Cattaneo

know Holly?»110 a «Prima di conoscerla, nessuno mi chiedeva notizie della

mia ragazza, soprattutto perché non ce l’avevo», da «Io faccio sul serio con sua figlia. Altrimenti non sarei venuto a parlargliene» a «You

something» e «Takes all kinds, sir». Quando Kit si allontana, respinto dal­ l’antagonista, Malick allarga il campo e, con un’inquadratura dall’illumi­

nazione e dalla simmetria hopperiane, mostra un dettaglio spiazzante: il cartellone si erge nel mezzo di una distesa desertica. E un annuncio pub­

blicitario rivolto a nessuno. La rabbia giovane è tutto polarizzato intorno

a questi due estremi: il deserto e gli elementi (enti) decontestualizzati che

vi fluttuano sopra. La scena ricostruita ha, a livello visivo, un’impronta pop e surreale, che concorre a “esteriorizzare” gli oggetti e a ridurli a

superfìci riproducibili c serializzate. Non è casuale che, al di là della sua natura pubblicitaria, il cartellone sembri alludere al maxi-schermo di un

drive-in. I dialoghi funzionano in modo speculare, in quanto sono costi­

tuiti da aggregati ridondanti di parole che rimbalzano da una parte all’al­ tra senza un effettivo apporto comunicativo. Questa scena apparentemente secondaria e di passaggio offre uno spacca­

to pregnante e incisivo del film e dei tratti che più lo caratterizzano, a comin­ ciare dal modo in cui vengono oggetrualizzate le cose del mondo, considerate

alla stregua di etichette, di simulacri c idoli caoticamente disseminati intorno. Ciò emerge con evidenza nella “sfilata” di oggetti messa in scena dal film, che

raggiunge il culmine con la danza delle suppellettili eseguita da Kit e Holly nella casa dell’uomo ricco, ove i due latitanti spostano senza ragione i lussuo­

si e pacchiani soprammobili della villa e trafficano con l’arredo. In modo con­ cettualmente affine, l’operazione condotta suH immaginario desunto dalla figura di James Dean richiama le serigrafie di Andy Warhol111 dedicate a

Marilyn Monroe, Elvis Presley, Jacqueline Kennedy e Mao Tse-tung. La stes­ sa rappresentazione degli oggetti implica quella dimensione di “ripetizione”

propria delle scatole di minestra Campbell’s o delle bottiglie di Coca Cola.

Una sorta di pop art in nuce c anche il lavoro del padre di Holly. In quest’ot­

tica risulta assai calzante l’uso del brano Gassenhauer1'- tratto dallo Schulwerk10 *

10 Kit: «Hai presente Holly?» [traduzione mia]. 1,1 Giova ricordare a questo proposito che Warhol ha cominciato lavorando come grafico pub­ blicitario, al pari di Maxfield Parrish ed Idward Hopper, ritenuto da alcuni il padre putativo della pop art.

Gasrenhauer significa “canzonetta in voga".

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TERRENCE MALICK

di Carl Orff e Gunild Keetman, che viene valorizzato nella sua componente

iterativa. L’ironia implicita in ciò viene “raddoppiata” quando Holly, nella casa

di Mr. Scarborough» strofinando un bicchiere di cristallo» emula involontaria­ mente i primi accordi della partitura. Quella di Malick è una riflessione sulla povertà linguistica di un mondo collassato, costituito da segni svuotati, disarticolati, dunque pronti a essere

raccolti, riprodotti e manipolati. L’esstre-nel-mondo di Kit e Holly consi­ ste nell’assonigliare il mondo, nel renderlo spettrale. Ma così si trovano praticamente senza mondo. È come se fossero in una prigione: «He feels

crapped», «Si sente intrappolato»11’, dice Holly di Kit alla coetanea incon­ trata presso il capanno di Caro. La rabbia giovane esibisce l'antinomia di un

vastità sconfinata che non dà alternative né prospettive. l.a gettatezza divie­ ne assurdità. «Questo divorzio tra l’uomo e la sua vita, fra l’attore e la scena è propriamente il senso dell’assurdo»11*, scrive Albert Camus. Con parole

sue» Holly spiega: «Il mondo mi sembrava come un pianeta lontano sul

quale non sarei mai più tornata». In definitiva, il lavoro di Malick sul linguaggio c sull’immaginario non

ha nulla di citazionistico, anche se la logica della citazione è una delle prin­

cipali dinamiche che vengono dispiegate1,5. Il discorso sul film fin qui svolto trova una significativa correlazione con la crisi te\\'immagine-azione così come è stata descrina da Gilles Deleuze nell’ultimo capitolo di L'immagine-movimento. Molto schematicamente, per

Deleuze l’immagine-azione è il modello di immagine-movimento messo a punto dal cinema classico statunitense. L'immagine-azione, che è alla base del «realismo», è caratterizzata da stretti legami senso-motori e «ispira un

cinema di comportamento (behaviorismo), poiché il comportamento è

un'azione che passa da una situazione a un’altra, che risponde a una situa­

zione per cercare di modificarla o di instaurare un’altra situazione»"6. "11 doppiaggio italiano traduce mal amen re con «disperato». ‘ ' A. (Lamus, Il mito di Sisifo * tr. it. di A. Borelli, Bompiani, Milano 1994, pp. 9-10. ' Qui occorre discoscarsi da quanto suggerito (svaJutacivamenre) da Paolo Vecchi {Terrence Maliek. H rabbia giovane, cit.. pp. 701-702) c confermato poi nell’intervento su /giorni del ciclo

< Terrence MaLek. 1 giorni del ciclo, cit., p. 548). Secondo Vecchi Malick nella sua seconda opera riesce ad amalgamare e funzionalizzare meglio i vari elementi c i vari referenti (pi notici, cinema­ tografici, letterari, ecc.), dimostrando uno stile più saldo. A mio parere, invece, il carattere com­

posito di Li rabbia giovane dciiv» dalla fondamentale "disarticolazione linguistica” del suo mondo. '■ G. Deleuze, Cinema I. L'immagine-movimento * ir. it. di J.-P. Manganato, (Jbulibri, Milano 2000. p. 182.

79

Francesco Cattaneo

L’immagine-azione (cui Deleuze fa corrispondere il piano medio) è dunque

governata dal meccanismo della causa-effetto, della successione lineare. Essa

fìinzionalizza a sé anche l’immagine-percezionc (cui corrisponde il piano

d’insieme) e l’immagine-affczione (cui corrisponde il primo piano): infatti l’azione fa riferimento alla percezione di una situazione ed è connessa alle affezioni dei personaggi. La crisi dell’immagine-azione porta a un allenta­

mento e poi a una disarticolazione dei nessi: «Dovunque, ciò che è anzitut­

to compromesso sono i concatenamenti, situazione-azione, azione-reazione, eccitazione-risposta, insomma i legami sensorio-motori che facevano l’im-

maginc-azione»1 \ Questa crisi, che apre al cinema della modernità, si mani­

festa «nel cinema americano del dopoguerra, fuori Hollywood»11*. I cinque aspetti di questa crisi identificati da Deleuze si attagliano sug­

gestivamente alla struttura di La rabbia giovane e del cinema di Malick tout court. In primo luogo, «l’immagine non rinvia più a una situazione globa-

lizzante o sintetica, ma dispersiva. I personaggi sono molteplici, dalle inter­ ferenze deboli, e diventano principali o ridiventano secondari»11

La sottile

linea rossa porterà al culmine questa tendenza, che è comunque presente

anche in La rabbia giovane, ove alcune figure decisive, come quella del padre, scompaiono in breve, attraversando il racconto come meteore. In secondo luogo, «ciò che si è spezzato è la linea o la fibra di universo che

prolungava gli avvenimenti gli uni negli altri, o assicurava il raccordo delle

porzioni di spazio»™. Da ciò consegue che la realtà rappresentata è «tanto

lacunare quanto dispersiva» e che «il caso diventa il solo filo conduttore»1*’. In La rabbia giovane manca uno sviluppo causale stringente dell’azione. In

terzo luogo, «ciò che ha sostituito l’azione o la situazione sensorio-motrice, è la passeggiata, l’andare a zonzo, l’andirivieni continuo. (...] È diventato un andare a zonzo urbano e si è staccato dalla struttura attiva e affettiva che

lo dirigeva, gl’imprimeva delle direzioni anche vaghe»'”. L’unica precisa­ zione qui necessaria è che in La rabbia giovane il girovagare è rurale, non

cittadino. In quarto luogo, a mantenere insieme questo mondo senza tota­ lità né concatenamento sono «i cliché, e nient’akro. Nient’akro che cliché, 1 * /w, p. 235. ibidem,

ibidem. ivi, p. 236. ibidem.

ibidem. 80

TERRENCE MALICK

dappertutto cliché... »lìl. Infatti, pur incrinandosi, le cornici esplicative c i modelli di riferimento non possono scomparire. Ormai svuotati, essi per­

mangono sotto forma di luoghi comuni pronti all'uso. Kit c Holly in La rabbia giovane non hanno altro mezzo di orientamento. In quinto luogo,

«come non credere a una potente organizzazione concertata, a un grande e

potente complotto che ha trovato il mezzo di far circolare i cliché dal di

fuori al di dentro, dal di dentro al di fuori? Il complotto criminale, in quan­ to organizzazione del Potere, assumerà nel mondo moderno un andamen­ to nuovo, che il cinema si sforzerà di seguire e mostrare»124. Quest’ultimo

aspetto, certo marginale nel cinema di Malick, affiora però nei riferimenti al comuniSmo (À4 rabbia giovane)1' e soprattutto nelle riflessioni di Welsh

sull'esercito (La sottile linea rossa). Ai nostri fini è interessante ricordare che secondo Deleuze il cinema

americano subisce la crisi dell’immagine-azione senza potersi spingere oltre. Esso si accartoccia su se stesso nel dispiegamento dell’istanza critica. E ciò

perché gli manca un «progetto positivo di creazione»126. «Allora, o questa critica s’interrompe e si limita alla denuncia di un cattivo uso degli appa­

recchi e delle istituzioni, sforzandosi di salvare i resti del sogno americano,

come in Lumet; oppure si prolunga, ma gira a vuoto e diventa stridente, come in Altman, accontentandosi di parodiare il cliché invece di far nasce­ re una nuova immagine. lawrence diceva già, a proposito della pittura: il

furore contro i cliché non conduce a nulla finché si accontenta di farne una parodia; malmenato, mutilato, distrutto, un cliché non tarda a rinascere

dalle proprie ceneri. Di fatto, ciò che ha costituito il vantaggio del cinema

americano, l’essere nato cioè senza tradizione preliminare che lo strango­ lasse, si rivolta adesso contro di lui. Poiché questo cinema deH’immagineazione ha generato una tradizione di cui, nella maggior parte dei casi, non

può liberarsi se non negativamente»1*' 7. Sebbene l’immagine-azione riman­ ga il modello dominante dei film di successo, le autentiche forze creative, ‘ fri. p. 237. ' fui. p. 238. Malick spiega: «Ciò era tipico degli anni Cinquanta nel Middle-West, questa paura del-

limmincnza di un’invasione sovietica. Noi eravamo alle prese con esercizi di difesa passiva i ontro un attacco nucleare. A scuola ci si metteva sotto i banchi. La gente costruiva rifugi» (in M. Cimcnt, Entretien aree Terrence Malick, cit., p. 33). ■ G. Deleuze, Cinema i. Limmagine-movimento, cit.. p, 239.



hn, pp. 239-240.

81

Francesco Cattaneo

secondo Deleuze, fuoriescono dai confini statunitensi; trasmigrano prima

in Italia (Neorealismo), poi in Francia (Nouvelle Vague), poi in Germania

(Nuovo Cinema Tedesco).

Tuttavia Malick è uno di quei registi che mostrano come anche Hollywood, ai suoi margini, continui ad avere un suo specifico «progetto

positivo di creazione». Lo si intende bene rispetto alla questione dei cli­ ché. Sebbene La rabbia giovane ne sia pervaso, la sua struttura non si risol­

ve nel circolo vizioso della parodia. Il cinema di Malick mantiene una sua vitalità ermeneutica. Eutilizzo dei luoghi comuni e 1“irrigidimento” dei

referenti in La rabbia giovane dipende dalla specifica interpretazione del mondo condotta nel film. E si tratta di un’interpretazione estraniata,

capace di alludere e contrario alle dinamiche profonde del “mondeggiare”. in modo molto heideggeriano, Malick fa risaltare lo sfondo del nulla con­ tro cui si staglia la reificazione del film. Le cose sono entifìcate al punto

da essere un “tutto assurdo” e perciò senza ragione, s-fondato. Questa assurdità, sulla cui soglia il film si attesta, potrebbe così divenire una pos­ sibilità'23.

In Malick le gesta di Kit e Holly, deprivate di qualsiasi aura di ribel­

lismo romantico, non si inscrivono, almeno alla scaturigine, ne in un’alternativa etica129 (moralità/immoralità) né in un’alternativa lato

sensu politica (conservatorismo/progressismo) né in un'alternativa psii;' Lino Aulenti, sulla scorta di presunti echi schellinghiani, si limita a dire clic i protagonisti

sono degli animali privi di coscienza, ri misti fermi a uno stadio inferiore di sviluppo dello spi­

rito. In questo modo si perde del tutto la dimensione dell'inautenticità nella sua originaria connessione con l'autenticità (si perde cioè, per dirla con Heidegger, l'unità di esterna e di

maiaestenza}. Da ciò consegue anche la mancata riflessione sul mondo specifico di tale inau­

tenticità, che rimane un mondo umano e non animale, visto che c ricolmo di segni e indici,

sebbene svuotati. Cfr. L. Aulenti, // cinema di Terrence Malick> Edizioni Ealsopiano, Alessandria 2(X)4. pp. 29-48. " Malick collega sia Kit sia Holly alla sfera della freddezza. Kit afferma che «forse il freddo gli

piace». Per quanto concerne Holly, il nesso è sottolineato a più riprese: nelle sue parole iniziali parla di polmonite, frigorifero e morte; quando va alla scuola di musica, sorto la finestra da cui guarda si legge «Frigidaire»; dopo l'uccisione del padre sta ricca accanto al frigorifero. Tale

freddezza non va intesa esclusivamente come giudizio morale. In riferimento a Holly, Malick stesso ha precisato: «Il fatto che si tratta di una donna del Sud è essenziale per capire Holly.

Non è indifferente alla morte del padre. Magari ha pianto per lui, ma non viene di certo a dirlo a te. Non sarebbe decoroso. Dovresti avvertire che ci sono delle intere zone della sua

esperienza di cui non parla perché ha un forte senso del decoro, anche se deviato. Uno potreb­ be chiedersi come sia possibile che una persona che sta attraversando quello che sta attraver­ sando lei possa preoccuparsi delle apparenze. Ma lei lo è. Il suo clichè non è iniziato con le rivi­ ste pulp, come hanno suggerito alcuni critici. Esiste in Nancy Drew e lòm Sawyer. Intendo

82

TERRENCE MALICK

chiatrica (normalirà/psicosi)1X1 né in un’alternativa sociologica (integrazionc/con «.stazione); rientrano invece in una riflessione radicale sull’a­

bitare e sul farsi mondo, che emergono nel loro lato gettato e assurdo.

Lo stesso accenno di Malick alla fama di Kit va inteso nel contesto

di tale problematica. Nell’impatto pubblico del comportamento del protagonista, sottolineato con lo spezzone in bianco e nero sulle con­

tromisure poliziesche (V sequenza) c poi rimarcato nel finale, giunge al culmine la parabola del film. 1 surrogati cercati da Kit si sublimano nel “rumore”1*’ e nello strepito prodotti nel mondo. All’adeguazione d’im­ maginario subentra ora una produzione d’immaginario, resa possibile

dalla congruenza fra il mondo del protagonista e quello altrui. Kit è

bensì riuscito a lasciare un segno, ma trasformandosi in uno spettro, in un ectoplasma, in una copia illanguidita, capace di integrarsi senza

attrito nei meccanismi sensazionalistici e pubblicitari. L’ingresso in que­ sta dimensione è “spontaneo”. Se è vero che Kit conquista la notorietà (tutt’altro è la fama), è anche vero che egli non mira esplicitamente a

essa, né essa è il suo unico orizzonte. In La rabbia giovane la questione

della popolarità di Kit non si avvita su se stessa, magari parodistica­ mente; ma scaturisce da altro. Malick, infatti, non realizza un pam­

phlet contro la contemporanca invasione dei mass media, ma si sposta a monte di essa, ne ricostruisce la cornice “ontologica”. Ciò si può intendere comparativamente accostando La rabbia giovane ad Assassini dire che non è il segno di una mente debole, infarcita di pulp, ma di un "innocente fuori di casa"» (B. Walker, Malick on Badlands, cit.). Nella sua ambiguità, Holly è colpevole e inno *

cente, secondo il paradosso die vedremo all'opera in Igiorni del cielo. Sulla questione va infine rammentata un'altra riflessione di Malick: «lo temevo, se avessi fatto partecipare troppo gli spettatori, che non sarebbero stari condiscendenti nei confronti dei per­

sonaggi. Se voi aveste avuto l'impressione di capirli perfettamente, di condividere le loro prove, alla fine avreste perso il rispetto verso di loro, li avreste rifiutati. Ciò die volevo era che

la loro vita non si arrestasse alla fine del film, che loro avessero l’autonomia delle persone che

si incontrano in giro e delle quali non si conosce mai l’interiorità. E ciò è più vero di lui che

di lei» (M. Cimcnt, Entretien aver Terrence Malick, cit., p. 54). La freddezza e il distacco di Kit e I lolly non consentirebbero quindi allo spettatore di “esaurire'’ i personaggi. ' “ Anche gli stati d'animo — come la noia di rabbia giovane o l'rfngojràr di

sottile linea

rossa - sono intesi da Malick a livello “ontologico" (cioè come rapporto originario con il mondo) e non in senso psicologico. ' Malick richiama “letteralmente" la dimensione del rumore quando Holly legge la sua rivi­

sta su I lollywood (Star Magazine) e riferisce alcuni gossip su star come Frank Sinatra, Rita

I layworth e Pat Boone. Peraltro, sulla copertina della rivista si legge a caratteri cubitali "James I >ean». 83

Francesco Cattaneo

fiati — Natural Born Killers {Natural Born Killers., 1994) di Oliver Stone.

Quest’ultimo è la registrazione di un’orgia mediatica patogena; risolve il suo discorso all’interno dei media come espressione della società che

li ha prodotti. Natural Born Killers è una glossa frenetica e postmoder­ na a Gangster Story, e in particolare al passaggio in cui i due criminali intimano a un testimone di ricordare che loro sono la banda Barrow. Se nel film di Penn ciò è il risultato di uno sviluppo, nel film di Stone il

testimone viene indottrinato già nell’incipit («Quando ti chiederanno chi è stato a fare questo, tu gli dirai: Mickey c Mallory Knox. Sono stata

chiara? Ripeti»). Coerentemente, il finale ruota intorno all’occhio vigi­ le di una telecamera ormai assurta a unica forma postmoderna di testi­

monianza. Se Assassini nati è un film sul fenomeno mediatico c se Gangster Story è un film sul processo di mitizzazione, La rabbia giovane, più radicalmente ancora, è un film sul senso dell’abitare.

Con La rabbia giovane lo stile di Malick perviene subito a piena

maturazione, subendo nei film successivi delle riinodulazioni, non già dei sostanziali mutamenti. La sua cifra più propria è quell’andamento mitologico di cui abbiamo detto più sopra. Nel far interagire i due ver­

santi co-originari di mythos e logos, Malick compie un’operazione com­ plessa, attestata su una sorta di permanente liminarità. A confrontarsi

senza soluzioni di continuità su questa soglia sono l’affabulazione e la

riflessione, la poiesi e la critica. L’espediente della voce over è impor­ tante proprio per impostare questo tono. Essa, infatti, produce con­

temporaneamente una ricostruzione tavoleggiante e fuori dal tempo, una rammemorazione sentimentale e una riflessione distaccata. «È come se si stesse guardando un film con qualcuno che bisbiglia nel­ l’orecchio»»112. Scorrendo su un binario parallelo alle immagini ed

essendo retrospettiva, la voce over di Holly, proprio mentre atfabula e

mitizza, introduce uno slittamento, una divaricazione, una pausa penIV S. Critchley. Calm. On Terrence Malicks •The Thin Reel Une», in «l;ilm-Philosophy", vol. 6,

*38, n

dicembre 2002 [consultabile su internet all'indirizzo: www.film-philosophy.com/vol6-

2OO2/n 4 8c ri tch Icy ].

84

TERRENCE MALICK

sosa155. Il corpo del testo subisce una serie di sdoppiamenti conflittua­

li: non solo c’è una sfasatura temporale tra il ricordo, volto all’indietro, e l’azione, che ha luogo nel presente; non solo il resoconto e le

immagini non di rado divergono; ma la stessa voce over si auto-dele-

gittima nella sua romanzesca naìveté e tradisce l’orizzonte d’attesa degli spettatori'54. Come si vedrà, qualcosa di simile accade anche con

la voce over di Linda in Z giorni del cielo', per certi versi essa favorisce il coinvolgimento degli spettatori, ma per altri versi lo nega, facendo

ricorso a ingenui cliché dell’immaginario religioso ed esibendo un lin­ guaggio tutt’altro che impeccabile dal punto di vista grammaticale.

Anche Linda dovrebbe chiedere scusa per la grammatica. Ma lei, a dif­

ferenza di Kit, non lo fa — e non è una differenza da poco. «Volevo costruire il film come una favola, fuori dal tempo, come L’isola del

tesoro. Speravo che avrebbe, tra le altre cose, sottratto un po’ di asprezza alla

violenza, mantenendo un tono sognante. 1 libri per bambini sono pieni di violenza. Long John Silver taglia le gole della sua fedele ciurma»155. La diade

“favola e violenza” è un’altra figura della duplicità del cinema di Malick.Il 14 * Il doppio registro visivo e sonoro della narrazione cinematografica consente di creare «un

contrappunto o z/ZorZorgedi rappresentazione spazio-temporale e quindi, evidentemente, anche

di punto di vista» (G. Cariuccio, Cinema e racconto. Lo spazio e il tempo, Ixxscher, Torino 1988. p. 112). Malick sfrutta l'intero ventaglio di possibilità offerte dall'interazione di audio e video. 14 Malick ha affermato in proposito: «Credo che ci sia dello humour nel film. Non battute. Esso sta nella concezione errata che Holly ha dei suoi ascoltatori, di ciò che a loro interesse­ rebbe c di ciò che sarebbero disposti a credere. [...] Quando stanno attraversando le Badlands,

invece di dirci cosa stia accadendo tra lei e Kit, o qualcosa che ci interesserebbe o che dovrem­ mo sapere, descrive ciò che hanno mangiato e il sapore che aveva, come se noi ci apprestxssi-

mo a organizzare un viaggio analogo c potessimo apprezzare la sua esperienza, in questo modo» (B. Walker, Malick on Badlands, cit.). Nell’intervista a Ciment Malick sottolinea più volte che

Holly «non sa veramente a che uditorio si stia rivolgendo» (Entretìen uvee Terrence Malick, cit., p. 34). Ibidem. Nell'intervista a Ciment Malick spiega che nel film si e disinteressato della ricostru­

zione d'epoca. Le tracce degli anni Cinquanta sono esigue perche il regista ha preferito accan­ tonare la precisione realista a favore di «una certa atmosfera fiabesca» (Entretien avec Terrence

Malick, cit., p. 33).

Per qualche nota illuminante sulla letteratura d'infanzia nella sua connessione con la violenza

conviene tornare sulle pagine di André Bazin, secondo cui la letteratura infantile «non ha nien­ te di puerile. È la pedagogia ad aver inventato per i bambini i colori senza pericolo, ma basta vedere l'uso che ne fanno per ficcarsi nel loro verde paradiso popolato di mostri. Gli autori della

vera letteratura infantile non sono dunque che accessoriamente c raramente educativi [...]. Sono poeti la cui immaginazione ha il privilegio di essere restata sulla lunghezza d’onda oniri­

ca dell'infànzia» (A. Bazin, Montaggio proibito, in Che cose il cinema?, presentazione, scelta dei testi e tr. it. di A. Aprà, Garzanti, Milano 1999, p. 64).

85

Francesco Cattaneo

Lo scile del regista si concreta in anestetica atopica» insolitamente sospesa tra partecipazione ed estraneità, tra identificazione e distanza criti­ ca, tra godimento del racconto e sua re-visione. Il film dà vira a una sorta

di oscillazione tra i due poli, instaurando un «movimento di andirivieni» '6. Per dirla con le parole di Julio Cabrera1' , il cinema di Malick è eminente­ mente logopatia): congiunge il logos al pathos.

In questo senso si può distinguere il metodo di Malick da quello adottato da Kubrick per Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971). 1 debiti di Malick nei confronti di Kubrick sono molteplici e spaziano dall uso della voce ouer al distacco narrativo, dal procedimen­ to delfinformazione anticipata allo scambio tra cinema (finzione) e

realtà, dal tema della violenza giovanile a quelli dell'immaginario pop e della colonizzazione della coscienza (Alex si rifà ai film biblici, catastro­ fici e horror), passando per la questione del riassorbimento istituziona­ le della devianza1-'”. Tuttavia, se Kubrick dispiega una serie di strategie

di coinvolgimene c di distanziamento11'1, ciò accade nel senso di uno sguardo chirurgico, che produce perlopiù una visione critico-cognitiva,

non mito/logica o estatico'™-cogniti va. Degno di nota è poi l’uso del plan-tableau da parte di Malick. La

sua costruzione dell’immagine dà rilievo al paradosso specificamente cinematografico di un'inquadratura (il flusso del pian) che acquisisce

la fissità del quadro (tableau). L’analisi dei plan-tableau - cui abbiamo

fatto cenno ma che verrà ripresa nei prossimi capitoli — consente anche di individuare la particolare sensibilità e ispirazione pittorica di v’ M. Cintene, Ennetien avec Terrence Malick, cit.. p. 34. " J. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film, a cura di M. di Sa rio, Bruno Mondadori, Milano 2000 (in particolare le pp. 5-29).

** Se Kit desidera entrare nella polizia a cavallo canadese e mostra di apprezzare il cappello del­

l'agente, gli amici droogs di Alex in Arancia Meccanica da teppisti violenti divengono poliziotti, impiego in cui possono canalizzare legalmente * la loro aggressività. Se nella prima parte del film

di Kubrick la violenza è una questione d'inconscio, nella seconda parte - in un tipico rovescia­

mento speculare kubriddano - diviene una questione istituzionale. Sul confronto tra i due regi­ sti si veda F. Bonn. Spicchi d'arance e ruvide scorze kubrickiane: «La rabbia giovane» («Badlands»)

di lèrrence Malick, in E Gregori (a cura di). Singin in the Brain. Il mondo distopico di «A

Clockwork Orange». Lindau, Torino 2004, pp. 149-166. Sulla questione del contristo tra Natura e Cultura cfr. G. Crentonini, Stanley Kubrick. Larancia meccanica, Lindau, Torino 1996. Cfr. G. Crcmonini, Stanley Kubrick. Larancia meccanica, cit., pp. 41-70. Per Heidegger l'estasi è letteralmente ek-stasis (derivato di eksistemi, “esco fuori di me”) e

instaura dunque un parallelismo con esistenza (da ex-, “fuori, da” e sistere, “stare” ). Per Essere e tempo l'estasi ha a che fare soprattutto con la struttura temporale dell’esserci. 86

TERRENCE MAIJCK

Malick. Egli ricorre soprattutto alle opere degli habitué del paesaggio

americano: i pittori naturalisti, gli artisti dcir«Amcrican Scene» (tra cui Grant Wood, con il suo celebre Gotico americano [1930, Chicago,

Art Institute]’11) e Edward Hopper. Probabilmente La rabbia giovane è

il film più “hopperiano" di Malick. Il rapporto con il celebre pittore, con la sua metafìsica svuotata, con il suo immanentismo trascenden­

te, è assai profondo e sfaccettato. Al di là dell’eco già evidenziato,

Hopper è il termine di riferimento per la ricostruzione degli interni

domestici e dello scenario di provincia (si veda in particolare la tela intitolata Domenica mattina presto [1930, New York, Whitney Museum of American Art]H;) e ha un ruolo non secondario nella rap­

presentazione delle Badlands. La rabbia giovane mutua da Hopper il senso dello svuotamento, dello spopolamento e dell’immobilità, non­ ché l’uso di una luce algida c geometrica, che ipostatizza e decontc-

stualizza le cose. / giorni del cielo — in cui le citazioni hopperianc, come vedremo, si fanno “filologiche” — recupera quella “conflittualità"

tra modernità e tradizione, tra natura e cultura, che attraversa la pit­ tura dell’artista di New York. In La rabbia giovane Malick usa il plan-tableau per accentuare la sua

visione orizzontale, attraverso la quale la trascendenza si dà solo nel­

l’immanenza, è tutta “schiacciata al suolo” (l’essere è solo l’essere del­ l’ente, direbbe Heidegger). Nel fìlm si ha, più precisamente, una visio­

ne orizzontale svuotata (la trascendenza coincide col nulla), che si dif­

ferenzia, per esempio, dalla visione orizzontale piena (panteistica) di I giorni del cielo. Tale orizzontalità è una delle marche più proprie del

regista del Texas. Per Malick il divino c tutto “spalmato" al suolo. Ciò non significa che non ci sia una dinamicità interna: infatti quella di Malick non è un’orizzontalità autoconclusa, ma raccolta nel paradosso

del trascendere in senso heideggeriano. Ciò si vedrà in particolare con

La sottile linea rossa, in cui si instaura una precisa polarità tra alto e

basso, tra ciclo e terra.

41 11 quadro di Wcnk! sembra riecheggiare nell'inquadratura di un uomo con la falce inclusa

nello spezzone in bianco e nero.

,c II motivo del quadro (una strada spopolata con una lunga teoria orizzontale di case e nego­ zi) viene ripreso nel movimento di macchina (una rotazione sull'asse) che dà inizio allo spez­ zone in bianco e nero.

87

Francesco Cattaneo

IM Holly in un certo senso è il personaggio più importante; almeno cogli un barlume ai come veramente. E io preferisco i caratteri delle donne rispetto a quelli degli uomini; sono più aperti alle cose intorno a loro, più espansivi.

Terrence Malick14' Il passo conclusivo va mosso di nuovo con il film. Finora abbiano dato

quasi sempre per scontato che Kit e Holly formino una sorta di endiadi (Kit-

e-Holly), un’unità compatta e uniforme. Ma il trattamento che Malick riser­ va alla coppia è ben più sfumato. Per cominciare, occorre tener presente che

nel road movie la coppia «serve solitamente al narratore [...] per fornire un

ritratto sfaccettato e profondo dei personaggi attraverso il loro dialettico inte­ ragire, in modo che essi formino due personalità molto differenti, suscettibi­ li di completarsi dall’unione che ne scaturisce. In base ai dialoghi, ai diversi

atteggiamenti, alle antitetiche reazioni di fronte ad eventi improvvisi e in rela­ zione al vario modo di intendere pensieri, esistenza e situazioni, il narratore ha sempre l’intenzione di offrire uno spaccato di personalità pronte ad inte­

grarsi, compenetrarsi ed anche a trasformarsi strutturalmente per una ric­

chezza maggiore della variegata matassa narrativa»144. Per quanto riguarda l’interazione tra Kit e Holly, si può notare che il primo è il più attivo mentre la seconda si limita a seguirlo («È lui che comanda», con­ fessa145), assimilando appieno il suo ruolo di donna del ceto medio. Durante il

film Kit le affibbia anche dei soprannomi («Red», «Tcx»), plasmandola a suo piacimento, quasi fosse una «tela bianca su cui egli può cominciare a tratteg­ giare la propria identità»146. A Kit non interessa avere quella ragazza, ma una B. Walker, Malick on Badlands, cit. G. Frasca. Road Movie, immaginario, genesi, struttura e forma del cinema americano on the road,

cit., p. 17. L'espressione originale è ben più colorita e brillante: «He says frog. I jump», «Lui dice rana,

io salto». *' H. Patterson, Tuns Characters in Search ofa Direction: Motivation and the Construction ofIdentity in Badlands, cit., p. 29. Durante il vagabondaggio sulle Badlands, Kit suggerisce a Holly di usare la parola «solitudine * invece di «isolamento». Al di là della diversa connotazione (c’è unimpronta più “esistenziale * in solitudine), la rettifica ribadisce il ruolo predominante di Kit. Al riguardo c’è un curioso aneddoto. Nel semestre invernale del 1929/1930 Heidegger tenne all'Univcrsità di Friburgo un corso di lezioni sui «Concetti fondamentali della metafìsica» che nell’annuncio

manoscritto affìsso all'albo aveva il sottotitolo «Mondo — finitezza - isolamento». Nel manoscrit­

to pubblicato, invece, il sottotitolo divenne «Mondo - finitezza - solitudine». 88

TERRENCE MAUCK ragazza, perché «lo terrorizzava l’idea di una morte solitaria, senza una donna

presente a urlare il suo nome». Kit, in cerca di una qualche riconoscibilità,

usa Holly come specchio; c non ne avrebbe potuto trovare uno migliore, visto che la ragazza non tarda molto ad associarlo a James Dean. In lei trova una sorta di «cassa di risonanza»1*7 che produce un raddoppiamento - e dun­ que una conferma - della sua identificazione immaginaria. Dal momento che Kit ritiene di avere una nutrita scorta di cose da dire, ci si potrebbe chie­

dere perché opti per una ragazza laconica e quasi muta («Anche se non avevo molto da dire, beh, gli andava bene lo stesso», spiega Holly). E come se egli trovasse in lei il ricettacolo delle sue parole e della sua carenza di idee. Holly

non costringe Kit a spiegarsi ed è acquiescente con lui — dopo aver fatto l’a­ more, anche se è palesemente delusa, dice poco o nulla. È come se, insieme al cognome di Kit («Carruthers»), lei accettasse simbolicamente anche le sue

preferenze («druthers»). Holly da parte sua rimane discosta, è sì in cerca d’identità, ma all’ombra di Kit, quasi avesse sostituito suo padre con lui e avesse tro­ vato qualcun altro cui obbedire. Ma le cose non sono così pacifiche. Se

sin dall’inizio Holly mostra una certa resistenza (non vuole che Kit la chiami «Red»), cammin facendo la sua insoddisfazione comincia a mutarsi nella coscienza precisa di non voler mai più stare con uno

«sciagurato» come Kit. L’andamento del loro rapporto è in qualche

modo incorniciato da due canzoni. La prima è Love Is Strange, cantata da Mickey and Sylvia, e posta a coronamento dello strano amore della coppia. La seconda è A Blossom Fell, cantata da Nat “King” Cole duran­ te una struggente scena in cui Kit e Holly ballano nell’abisso dell’o­

scurità delle Badlands. Le parole di questa canzone del 1955 sono un epitaffio che anticipa (’incalzare degli eventi: «The dream has ended for true love died/ the night a blossom fell and touched two lips that

lied»1** . Al divergere delle loro strade, Kit, dopo aver pronunciato una sentenza à la John Wayne («Me lo sentivo che oggi era la giornata buona»), va incon­ tro al proprio destino c trova definitivamente un’aidentità” («Mi taglio la

testa se non si atteggia a James Dean», afferma perentoriamente l’assisten*• ’ M. Ci mene, F.ntreiien avec Terrence Malick, eie., p. 34. IU *11 sogno è finito perché il vero amore è morto/ la notte che un petalo è caduto e ha tocca­ to due labbra mendaci».

89

Alcuni momenti dell inseguimento di Kit (Z.rt rabbia riovane)

TER HENCE MAUCK

te dello sceriffo, sostituendosi a Holly'Compiuta la sua ricerca, a Kit

non resta che portarla fino al culmine di un degno show conclusivo: si ras­ setta i capelli come il morituro Buzz di Gioventù bruciatai indossa il cap­ pello di paglia; spara alla ruota della macchina; si controlla il battito car­

diaco; costruisce la pila commemorativa; aiuta lo sceriffo e il suo assistente a mettergli le manette e li elogia per il loro coraggio; distribuisce i suoi

effetti personali come una celebrità da jet set c infine si addormenta duran­ te la lettura della sentenza che lo condanna alla sedia elettrica. Si tratta di un copione dèjà-vtt, che Kit (coadiuvato dai poliziotti1") si ingegna a met­

tere in scena, sforzandosi di colmare la lacuna tra reale e immaginario. La funzione spettatoriale di Holly è sostituita da ausilii spettacolari (lo spec­

chietto retrovisore1’ in cui Kit si rimira; e metaforicamente la cinepresa),

che potenziano la spcttatorialità stessa, ampliandone la platea e svincolan­ dola da ogni rapporto personale diretto Hollv invece sembra rifluire nel suo ruolo iniziale e, come ci si sarebbe attesi da lei, sposa il figlio dell'avvocato che la difende, realizzando a suo

modo il desiderio di Kit di unirsi alla legge. Il conformismo trionfa? Sì c no. Nella scena finale la ragazza rimane appartata, «enigmatica ed elusi­

va»|S*, come il suo sorriso leonardesco dell’epilogo sull’aereo. Malick com­

pone con Holly il suo primo ritratto di donna anomala, di dark lady' l'espressione originale. più colorita. suona: ’•I'll kiss your ass il he don't look like James Dean».

'

•J i lucerò il culo se non somiglia a James I Jean». Li circolarità di questa chiusura è ribadita attra­

verso la ripetizione della medesima espressione rivolta da Kit al padre di Holly durante il loro col­

loquio: -It takes all kinds, though-, tradotta ora con «Al mondo c'è di tutto-. Questa espressione (che concettualmente fa il paio con «Provo tutto almeno una volta») sottolinea anche l'ammasso

caotico di oggetti irrelati e giustapposti che costituisce il mondo del film. Non a caso tutto il fina­ le e caratterizzato da una sottolineatura surre.de della dimensione oggettuale (la bella macchina lasciata al sole, il giublsetto di pelle. gli riletti |x.rsonali, il capitello, vcc.).

" Mentre stanno accompagnando Kit alla macchina, tino di loro (l'assistente Tom) spara un colpo e poi fi la mossa di mettersi in guardia, come se volesse rappresentare quella sparatoria cruenta che è mancata. Anche James Pean (alias Jim Stark) all'inizio di Gioventù bruchivi.

mentre si trova in una stazione di polizia per una sbronza, imita i rumori di un inseguimento e di un confronto a fuoco. '

1-0 specchietto e -lungo c sottile come un'immagine in scope» (E Borin. Spicchi d'arance e

ruvide scorze kubrickiane: ’■La rabbia giovane * (•• badlands»} di Terrence Malick, cit.. p. 151 ). Sul finale del film come realizzazione di uno spettacolo si vedano le puntuali osservazioni di Fabrizio Fioriti (ivi, pp. 151-154).

'll. Patterson.

Tiro Characters in Search of a l)irectioa: Motivation and the Construction of

Identity in Radfands, cit.. p. 35. ''A questo sembra perlatm alludere una sua battuta a Mr. Scarborough: -They claim I've got him wrapped around my little fìnger-, -Dicono che io lo tengo legato al mignolo», anche se poi la ragazza smentisce l'insinuazione. Rimane però immutata l'ambiguità del suo ruolo.

9/

Francesco Cattaneo

stramba e sui generis. Piuttosto che chiusa, la sua partita sull’identità pare ancora aperta, tanto che a lei sembra essere assegnata, in soggettiva, l’ulti­ ma fluttuante inquadratura. Per il regista texano è la donna a raccogliere il

testimone, a non risolversi - lo si vedrà bene anche in Igiorni del cielo. Prima della partenza dell’aereo verso il Sud Dakota si vede un postino che, ignaro della vicenda che accade accanto a lui, trasporta un sacco di let­

tere1”. La breve inquadratura di quest’estraneo introduce uno slittamento, sdoppia la narrazione: da una parte c’è la conclusione della vicenda dram­ matica di Kit e Holly; dall’altra si percepisce il continuo scorrere della vita,

che nella sua ampiezza eccede ogni singola storia. La sfrangiatura narrativa prodotta dal postino è già una traccia della dilatazione reticolare che, più riposta in /giorni del cielo, troverà piena espressione in La sottile linea rossa. Dopo il decollo, la cinepresa ci porta dove siamo sempre stati: tra le

nuvole, a guardare il mondo come «un pianeta lontano».

>"$u questo punto si vedano le riflessioni di William Weber in Absence ofMalick.

92

Lo spazio tragico della prateria La natura, la cultura, il Texas

In viaggio per gli Stati partiamo (traverso il mondo, spinti da questi canti facendo vela da qui per ogni terra, per ogni mare) noi che vogliamo essere allievi di tutti, maestri di tutti, e di tutti amanti. Wait Whitman1 A cinque anni di distanza dal suo precedente fìlm» Malick fa un balzo

indietro nel tempo e» dagli anni Cinquanta di la rabbia giovane, si sposta al 1916 di Igiorni del cielo. Almeno cronologicamente, dunque, il secondo film è un “antefatto” del primo. Malick si sofferma sulla generazione dei padri, di

coloro che hanno portato a compimento l’occupazione e lo sviluppo delTOvest. Non si tratta più di pionieri guidati da un Manifest Destiny1: già il

12 luglio del 1893, infatti, Frederick Jackson Turner, durante il suo famoso intervento alla World’s Columbian Exposition di Chicago (dal titolo

L’importanza dellafrontiera nella storia americana), annunciava la fine delle terre 1 W. Whitman, In viaggio per gli Stati (w. 1-5). in Foglie d’erba, scelta, tr. it. e introduzio­ ne di G. Conte, con un saggio di H. Bloom e una nota di H. D. Thoreau, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1991, p. 25■ Si tratta dello slogan coniato da John O'Sullivan, direttore di «The United States

Democratic Review». Esso costituì il vero perno ideologico dell'avanzata verso l’Ovcst. L’idea del “destino manifesto”, infatti, giustificava l'espansionismo pionieristico in base

alla superiorità americana. 93

Francesco Cattaneo

libere presenti nell’Ovest. Si tratta invece di coloro che hanno consolidato le conquiste dei predecessori e che ancora si potevano rivolgere all’Ovest come a

una Terra Promessa, a un Eden incontaminato in cui riporre la propria aspet­ tativa di una vita migliore. Tornando indietro nel tempo è come se Malick facesse prendere ai prota­

gonisti quel treno che Kit e Holly, sperduti nelle Badlands, vedono solo in lon­ tananza c che Holly associa a una carovana del Milione di Marco Polo, quasi

esso costituisse ormai solo una chimera, non già una possibilità concreta’. Il Texas, abbandonato da Holly e dal padre, diviene ora la meta di un convoglio che trasporta una fiumana di gente. Se La rabbia giovane operava uno spopo­

lamento del territorio, /giorni del cielo conduce un suo ripopolamento. In /giorni del cielo i treni sono accessibili per tutta la durata del film.

Ma essi, rispetto al mito dclFOvest, segnano anche un deciso scarto. Infatti il loro sostituirsi al cavallo non è indolore: ora essi divengono il veicolo

degli spostamenti delle masse di braccianti che vanno a lavorare tempora­ neamente nei possedimenti dei latifondisti delle Grandi Pianure. I nuovi

avventurieri non sono i cowboy e i coloni, ma gli hobo., i lavoratori della sea­ sonal industry che vanno a rompersi la schiena su una terra non loro. Per un verso, essi continuano a nutrire speranza c a essere spronati da una Wanderlust irrefrenabile: sono pronti «a scroccare un passaggio ferroviario sul primo vagone merci di passaggio per puro desiderio di libertà e di espe­ rienza, per vedere posti nuovi e per provare nuove sensazioni»»4. Ne è una

conferma l'incipit di /giorni del cielo., in cui Linda spiega: «Di fatto tutti e

tre andavamo in giro per posti, cercando cose... lanciandoci in avventure»5. 1 la scena ricalca quella di Il fiume rosso, in cui i cowboy celebrano il passaggio del treno come prima traccia di vita civilizzata dopo due settimane di isolamento. In Hawks esso preannuncia il ricongiungimento con la civiltà, mentre in La rabbia giovane rimane uno spettro distante, tremolante nella canicola come un'allucinazione. In seguito, quando i

due protagonisti si avvicinano ai binari, osservano il treno sfrecciare via come un'astrona­ ve impenetrabile. ’ a sequenza, soprattutto nei suoi momenti di combattimento, è polverizzata e spezzettata. È come se il mon­

taggio di Malick - assecondando le bombe che esplodono copiose sul ter­

reno - assumesse una partitura dcllagratoria. I brandelli di immagine e i frammenti di movimento si addensano formando un grumo indistinto e magmatico. L’attacco al villaggio giapponese porta all’estremo questa ten­ denza attraverso la comparsa (anche simbolica) della nebbia, che avvolge gli

uomini e che impedisce loro di vedere oltre il proprio naso. La mise en scène di Malick dimostra di ereditare consapevolmente la lezione di Lull Metal

jacket, in cui lo sdoppiamento speculare tipicamente kubrickiano tra la prima e la seconda parte del film determina una transizione dall’ordinatis­ sima e geometrica scuola dei marines di Parris Island all’intrico labirintico del campo di battaglia post-industriale della città di Hue, rappresentato

mediante l’impiego della steadycanV0. Malick insiste sullo smarrimento fisico e morale dei combattenti, che si

trovano a correre scompostamente sui fianchi della collina, zigzagando tra le esplosioni e inoltrandosi nella selva dei proiettili. Quasi fossero degli ani­

mali, i soldati strisciano sul terreno o se ne stanno acquattati in mezzo all’erba, scrutando intorno atterriti e paralizzati. La fisicità stordente e scor­

ticante del combattimento riduce le loro reazioni alle pulsioni primarie: la sopravvivenza, l’uccisione del nemico, la ricerca di sicurezza. Gli uomini di Malick sembrano tutti avere il cervello fuori dalla testa e i nervi fuori dalla pelle. È forse in questa prospettiva che il regista texano recupera il John

Savage di II cacciatore. Malick sfrutta il personaggio proprio nel senso inau­ gurato da Cimino: mostra attraverso di lui Io shock viscerale della battaglia.

Se lo Steven di // cacciatore era una maschera di tensione e paura, il McCron di La sottile linea rossa è frastornato e stravolto per la perdita dei suoi uomi­

ni. «Siamo polvere. Siamo solo polvere», sentenzia lugubremente. Egli incarna l’esacerbata consapevolezza dell’assurdità senza riscatto della guer­ ra, soprattutto della guerra moderna, in cui il soldato non vive la dimenl’er quanto concerne l’uso della macchina a mano nel tirar film, esso rìsale al 1930, anno dell'uscita di All'Ovest niente di nuove (AU Quiet on the Western Front) di Lewis Milestone, l’ale opzione è divenuta poi caratteristica di molto cinema di guerra, anche se con diversi intendi­ menti e finalità espressive.

175

Francesco Cattaneo

sione “nobile” del duello, ma subisce una morte casuale e spersonalizzata.

Una notte, nell’oscurità, McCron si alza dalla sua tana di volpe e urla la sua disperazione: «Chi decide chi vive? Chi decide chi muore? È tutto inutile. Guardatemi! Me ne sto qui in piedi e non mi becco neanche un proiettile.

Non un solo colpo. Perché? Perché loro sono morti tutti? Perché io posso starmene qui? Perché posso stare qui in piedi e non mi succede niente?». La silhouette nera del soldato si staglia contro un cielo blu scuro. La sua iden­

tità viene annullata: è un uomo qualunque, un soldato a caso che per caso non viene colpito, mentre altri giacciono altrettanto casualmente morti.

Il drammatico disordine del combattimento viene poi accresciuto e con­

trario per mezzo del contrasto con la serenità imperturbabile e con la quie­ te sommessa della natura. La spaccatura più vertiginosa e violenta si collo­

ca tra il preludio sulle Isole Salomone e l’arrivo della nave vedetta a ripren­ dere i soldati. Il prologo, infatti, si svolge tutto alla luce dei sole, e si giova

di inquadrature ariose e di un ritmo disteso. Il passaggio alla sezione suc­ cessiva è segnato da un incupimento visivo e da un assottigliamento degli

spazi, pervasi dalla tensione di un interrogatorio, la prima inquadratura

della seconda sequenza è quella emblematica della sagoma spettrale di un brigantino che solca il mare al crepuscolo. Il cielo malinconico della sera è

ferito dalla lama di fumo che esce dal camino dell’imbarcazione; la super­ ficie uniforme del mare è lacerata dalla prua. la scissione che attraversa l’i­ nizio del film riecheggia a livello strutturale l’incipit dell’Infanzia di Ivan (Ivanovo detstvo., 1962) di Tarkovskij, con la sua profonda frattura tra la

radiosità e l’intimità del sogno da una parte e la tetraggine e l’oppressività del pantano bellico dall’altra. È interessante rilevare come anche Salvate il

soldato Ryan di Spielberg sia basato sulla medesima divaricazione tra il

primo brano di film e il prosieguo. Tuttavia lo “sfondo ideologico” appare marcatamente diverso. Se Malick e Tarkovskij lavorano su una lacerazione non rimarginabile, Spielberg, «volendo schematizzare, [...] parte dalla fol­

lia della violenza per costruire passo passo una logica della guerra (recupe­

rando [...] l’iconografìa anni quaranta del tedesco-belva), in nome della “giusta scelta” statunitense |...]»>M'.

La contrapposizione preliminare che connota il terreno di battaglia viene più volte riproposta durante la sequenza dell’attacco alla collina. Per ■4' R. Mcnarini, Non è più tempo d'eroi, è ancora tempo d'eroi. Il cinema della Seconda Guerra Mondiale, cit., p, 77.

176

TERRENCE MALICK

rappresentare il primo bombardamento, per esempio, il regista ricorre all'inquadratura fissa - lunga diciassette secondi - di una gobba del terre­

no. Per i primi otto secondi l’ondulazione si staglia immobile contro il cielo. Accarezzata da una leggera brezza, essa è come sospesa fuori dal

tempo. Poi d’improvviso un forte sibilo fende l’aria e la sommità del dosso

viene martellata da una scarica di obici che provoca fragorose esplosioni e che fa schizzare colonne di terra verso il cielo, sfigurando il paesaggio.

L'estraneità della natura è ulteriormente sottolineata attraverso il ricorso a inserti visivi che mostrano un paesaggio alieno, raccolto nelle sue cadenze e indifferente al tumulto degli uomini. Come già rilevato per La rabbia gio­ vane e per I giorni del cielo., Malick interpola al racconto numerose inqua­

drature della flora, della fauna e dello scenario naturale. In più occasioni egli ricorre a un escamotage semplice ma dall’intenso effetto: attraverso la

registrazione apparentemente casuale delle variazioni luministiche delle

colline enfatizza l’autonomia dei ritmi della natura, il cui tempo viene inscritto nell’immagine per mezzo degli effetti cromatici. Ciò accade, per

esempio, nell’inquadratura che segue l'uccisione brutale dei primi due sol­ dati (V sequenza). Ai colpi di fucile che perforano gli uomini seguono i

reaction shot del tenente Whyte e di Staros. Poi Malick stacca su una ripre­ sa più ravvicinata della porzione di territorio percorsa dai due militari e si

sofferma sul bagno di luce che, spostandosi da destra verso sinistra, inonda la distesa d’erba increspata dal soffio del vento. I corpi sono scomparsi, rias­

sorbiti dal terreno, quasi fossero stati una flebile e accidentale interferenza.

Una funzione “straniarne” del tutto analoga a quella della natura è rivesti­ rà dai ricordi della patria e dei cari, che sovvengono a Witt e in misura mag­

giore a Bell. Tali ricordi sono introdotti da stacchi netti e improvvisi, che pro­ ducono disarticolazione e contrasto invece che congiunzione e integrazione. I a cifra estetica adottata da Malick per questi intermezzi affettivi è costante: egli ricorre a immagini pacate, pervase da una luce intima e soffusa che avvol­

ge persone e cose. Il regista mette in scena un luogo della memoria, uno spa­ zio “altro” di serenità, di quiete emotiva o di deliquio amoroso. Le sequenze

concernenti Bell sono paradigmatiche, perché si incastonano nel mezzo di momenti di tensione, introducendo una tripla spaccatura: ritmica, visiva e

spaziale. 1 ricordi ingenerano una dissonanza, stridono fragorosamente con il contesto in cui compaiono, accentuandone lo squallore e l’iniquità. Questa

loro specifica funzione si discosta dalla “retorica” consolidata del warfilm, in 177

Francesco Cattaneo

cui lo spazio domestico e la patria sono la stella polare dello scontro» l’estrema risorsa ideale, il vero tesoro che ognuno difende e custodisce dentro di sé. Si

può vedere questa istanza ancora operativa in Salvate il soldato Ryan, in cui il capitano Miller (Tom Hanks), in un momento di sconforto e di scoramento dei suoi uomini, rivela loro la sua identità civile e la sua provenienza, tenute fino ad allora celate. Così facendo egli li sprona in nome dello spazio inalie­

nabile della patria e della vita domestica, a cui tutti sono attaccati come all’ul­ timo barlume di speranza. È in nome di quello spazio distante e remoto che

questo spazio (quello del conflitto) viene sopportato e assume senso. «Il luogo della morte e dello sterminio - commenta Claudio Bisoni - è inconciliabile con quello degli affetti domestici e della storia familiare, (...! Uccidere è ciò che fa sentire il soggetto lontano da casa. L'azione bellica è quanto di più estra­

neo possa esserci rispetto al paesaggio di pace da cui si viene e verso cui si è idealmente protesi. Per questo motivo c‘è bisogno di investire di valori sim­ bolici gratificanti l’azione sul campo»"'. Il rapporto tra i due spazi in Spielberg è lo stesso che c’è tra la prima tranche del film e lo sviluppo successivo. Se,

come abbiamo visto, l’esibizione preventiva della crudezza avvia poi una pro­

cedura di ricucitura, analogamente lo spazio domestico, se in un primo tempo

è dato come inconciliabile con la battaglia, diviene poi un “valore simbolico

trainante”. In Malick questa costruzione viene di nuovo sovvertita. Infatti lo spazio altro non dona senso, non rafforza il coraggio e la risolutezza, ma piuttosto entra in conflitto con il degrado della guerra. Tale spazio non è quasi più loca­

lizzabile. Non è la patria o il paese natale; è un puro altrove, una dimensione

mentale e spirituale che va a costituire una sorta di contraltare assoluto.

Nel film di Malick la morte riceve un trattamento patetico-, essa viene

esposta in primo piano, in totale evidenza. Ciò costituisce un punto speci­ ficamente interdetto dal Manuale di propaganda-, «Le vittime, in guerra,

" R. Menarmi. C. Bisoni. Stanley Kubrick. Full Meta! Jacket. Lindau, Torino 2002, p. 34. Ancora diverso rispetto a Malick e Spielberg è il rapporto tra campo di battaglia c patria in Fui! Meta! Jacket di Kubrick. Quest’ultimo suggerisce che la guerra (tncdiatica c propagandi­

stica) si svolge innanzitutto in patria e che e la patria il terreno su cui proliferano le idiosincrxsie e le nevrosi poi “slogate" dal (apparato bellico. 178

TERRENCE MsXUCK sono inevitabili. Aiutate a preparare il pubblico alle liste dei decessi essen­

do realistici. In scene di massa mostrate senza ostentazione qualche ferito. Non shockate il pubblico o danneggiate il morale esagerando scene di orro­ re» r’*. Il war film introietta questa esortazione approntando delle strutture

narrative in cui predominano l’intangibilità dell’eroe, fonte primaria di

identificazione, e l'interscambiabilità dei personaggi secondari, sostituiti senza gran clamore. «La morte fa parte del gioco: non è tragica, perché è raro che sia l’eroe a perdere la vita, ma avviene in fasi di attività frenetica,

per cui il suo porsi come “cessazione" non è quasi credibile»''. Anche verso

la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando si fa largo qualche imma­ gine più cruda, i caduti sono sovente persone che non lasciano un vuoto (non hanno parenti o famiglia a casa) e la loro sofferenza è alleviata dal

conforto dei compagni: «Non si muore da soli, in questi film»rera parafrxsi di Eraclito. '■ A. Piccardi, L..o sguardo disumano, in «Cinefonim-'. n°482. marzo 1999. p. 3.

L94

TERRENCE MAUCK

l’i, p. 86.

198

TERRENCE MAUCK

Sviluppando le sue riflessioni sull’articolazione di tempo ed essere (col­ legati al di là della disgiunziune metafìsica), Heidegger rileva all’interno

dell’opera d’arte una polarità conflittuale tra due principi opposti ma

profondamente interrelati: la «terra» (Erde) e il «mondo» (UfcZt). La terra, che Heidegger concepisce nel senso materno di Holderlin, è un principio

auto-chiudente, che si involge e si ripiega su se stesso. Il mondo, inteso in senso «antropologico neotcstamentario»"' come mondo dell’uomo, è un principio aprente, che dischiude e manifesta. L’opera per Heidegger è il

risultato del contrasto tra questi due poli, che trovano una stabilità dina­ mica nel contorno (Umriss) della figura (Gestalt). Questa duplicità dell’o­

pera determina, insieme alla sua temporalità, la sua stessa irriducibilità. Se l’opera istituisce mondi storici, essa non si risolve all’interno del loro oriz­

zonte, perché in essa all'illatenza si accompagna una latenza, all’espressione una sottrazione, alla voce il silenzio. Pur fondando la storia, l’opera non si

riduce a essa: è dentro e fuori, temporale ed eterna. L’opera d’arte appare,

secondo una pregnante espressione di George Steiner, una forma di «atem­ poralità radicata nel tempo»118. Se non fosse radicata nel tempo, essa si ipo­ statizzerebbe nel pieno disvelamento di una verità monolitica. Se non fosse stabile nella sua forma, si “scioglierebbe” storicisticamente all’interno della realtà che l’ha prodotta.

Il modo in cui l’arte mette in opera la verità diviene per Heidegger la via preferenziale attraverso cui riflettere sull’essere. Quest’ultimo non si

limita a temporalizzarsi nell’esistenza, nell’esser-ci, ma si eventua. Il tema

centrale dell’evento (Ereignis) può essere inteso solo dopo aver effettuato la rotazione dall’esserci all’essere: nell’evento è l'essere a darsi in modo con­

traddittorio e inesauribile. La verità che ne scaturisce è «non-verità»11', afferma Heidegger, alludendo non tanto a un’astratta parentela degli oppo­

sti quanto alla concretezza «eventuale» del farsi opera. La verità, in un’in­ terpretazione del greco (xX^Ocia, viene nominata Unverborgenheit («non­

nascondimento»), espressione che recupera la dinamica interna della

variante greca. Come akfjfìEia è un composto di alfa privativo e di

X.1]8t|

(oblio), così Unverborgenheit congiunge il prefìsso negativo un- con verbor1 lui. p. 87. " G. Steiner, Heidegger, tr. it. di D. Zazzi, Garzanti, Milano 2002, p. 166.

M. Heidegger, l'origine dell'opera d'arte, in Sentieri interrotti, presentazione c tr. ic. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1996, p. 45.

799

Francesco Cattaneo

genheit (nascondimento): in entrambi i casi si ha un doppio ‘non”, piutto­ sto che una mera affermazione (come è il caso della traduzione latina veri­ tà;}. La verità non precsiste immutabile e fìssa in un remoto iperuranio, pretendendo un’adeguazione; non cala rigidamente sulle cose, ma piuttosto

si manifesta in esse, anzi le manifesta, conferendo loro di volta in volta la misura della loro finitezza e della loro temporalità. «La verità è-presente come tale nel contrasto di illuminazione e duplice

nascondimento. I.a verità è la lotta originaria in cui, sempre in un partico­ lare modo, viene conquistato l’Aperto in cui sta dentro ogni cosa e da cui

emerge, ritirandovisi, ciò che si manifesta e si costituisce come ente. Comunque questa lotta erompa c si storicizzi, sempre, attraverso di essa, si

costituiscono, separandosi, i lottanti: l’illuminazione e il nascondimen­ to»1-0. In Heidegger prevale una prospettiva sfondante. L’essere non si mani­

festa semplicemente nella sua pienezza; è attraversato da un diniego. L’essere - per usare le parole di un saggio posteriore - «si sottrae in se stes­ so mentre si scopre nellemo»1’1. Sottraendosi, l’essere si de-entifìca, sfugge alla determinazione e quindi, in un certo senso, si identifica col nulla.

L’essere è il nulla dell ente: è il nulla.

Tale conflitto, tale dinamica tensionale, è potentemente all’opera in La

sottile linea rossa. Nel film di Malick la manifestazione dell’essere è con­

traddittoria e plurale. Se ne ha un’evidenza innanzitutto fotografica e lumi­ nistica. Radicalizzando alcune soluzioni adottate marginalmente in Igiorni

del cielo, Malick immerge il suo film in una luce contrastata, fortemente

chiaroscurale. La metafisica hopperiana della luce sottesa a La rabbia gio­ vane e in parte a / giorni del cielo viene ora rideclinata in senso caravagge­

sco. Luce e oscurità convivono fianco a fianco: anzi, l’una sembra scaturire

dall’altra. Ne deriva - per usare la già citata espressione di Holderlin - una «luce oscura», internamente dilacerata, che disegna spaccature sui volti

degli uomini e irrompe drammaticamente nella fitta vegetazione delia fore­ sta. Il suo rischiaramento è pervaso da un “non”, da un oscuramento che non può essere tolto. , ‘f Ibidem. ' M. Heidegger. // detto di Anassimandro, in Sentieri interrotti, eie., p. 314.

200

TERRENCE MAUCK

Anche fuso consueto e irrinunciabile della luce crepuscolare è ride­

clinato da Malick in questi termini. Nel solco di Igiorni del cielo, in La

sottile linea rossa l’alba e il tramonto sono rappresentati in modo vibran­ te e patetico, con grande evidenza plastica e coloristica. La golden light"2 (o magic light) del crepuscolo viene amplificata nella sua ambiguità di

luce doppia, di luce a metà tra giorno e notte. La sua importanza viene rimarcata per mezzo della citazione in greco dall’Iliade «Eos rododakty* 1'-’, «l’alba dalle dita rosee», pronunciata da Tali la mattina delfavanlos

zata. Questa luce duplice è sorella di quella dei tramonti delle tele di

Caspar David Friedrich. Egli «sapeva che nell’uomo esiste il principio del bene e del male, il principio della luce e del buio, e che quindi que­ sta duplicità si sarebbe distesa sulla natura indifferente trasformandola in

una terra umbratile, in un luogo in cui luci e ombre si mescolano trac­

ciando le cifre di un linguaggio misterioso ma leggibile. 11 suo gesto è stato definito, fin dall’ottocento, “la tragedia del paesaggio”. La luce che

illumina la natura, i monti, il mare, sembra inscrivere nel mondo cifre

di buio. Percorrere questo paesaggio significa affrontare un viaggio che ci porterà continuamente a sporgerci verso l’ignoto»1^. Il crepuscolo è un momento di transizione, di passaggio, così come zone di transizione sono i punti d’incontro tra mare e terra, tra terra e

cielo. Si tratta di soglie nel senso precisato da Benjamin: «La soglia deve

essere distinta molto nettamente dal confine. La soglia è uno spazio.

Nella parola sono compresi mutamento, passaggio, maree, significa­

ti...»1’5. La soglia è luogo di indugio e di fragilità. La partitura della contraddizione viene ulteriormente confermata dalla comparsa inopinata di elementi “dissonanti” all’interno di singole

inquadrature, sulla falsariga dell’incursione del lama in La rabbia giova­

ne. Ciò accade nel modo più suggestivo quando, durante lo stordimen-

1

Stando alla testimonianza di Nick Nolte, è questa l'espressione utilizzata da Malick durante la

lavorazione. Come nota Nolte, girare in fasce orarie limitate significa dilatare a dismisura i tempi delle riprese, cosa che pochissimi registi hollywoodiani hanno il potere contrattuale di fare (A.

Crespi (a atra di). !.attirare con Malick. Conversazione con quattro interpreti, cit., p. 12). Nella versione inglese l’espressione greca è pronunciata correttamente. L’edizione italiana la

rende in modo alterato - il che ha latto storcere il naso ad alcuni, pronti a screditare il regista. F. Rclla, Confini. La visibilità del mondo e benigna delTautorappresentazione. Pendragon, Bologna

1996, p. 25. W. Beniamin, Parigi capitale delXXsecolo, a cura di G. Agamben, Einaudi, Torino 1985, pp. 640-641.

201

Francesco Cattaneo

co di McCron (V sequenza), si vede una splendida farfalla blu che attra­

versa fulmineamente un’inquadratura pervasa dall’incandescenza delle esplosioni e dal caos della frenetica corsa dei militari. Lo stesso effetto è conseguito in altre tre circostanze: nella seconda sequenza, con la com­

parsa di un soldato che suona il violino mentre gli altri preparano i fuci­

li; nella quinta sequenza, con la comparsa di un giapponese che pratica

la meditazione zazen (il massimo del pacifismo e del distacco) mentre l’e­ sercito americano penetra nel bivacco nemico e lo distrugge; infine, nella

sesta sequenza, con la comparsa prima di un fiore e poi di una statua del Buddha mentre le fiamme avvolgono l’accampamento giapponese. In

tutti i casi si tratta di vere e proprie apparizioni di clementi incongrui e stranianti, che mettono l’inquadratura in uno stato di tensione. Nei ter­

mini di Barthes, tali immagini portano in se * un punctum':t\ capace di sfrangiarne e ferirne la comprensibilità culturale e romanzesca (lo stu­ diami, Se per mezzo delle schegge di visione che Malick inocula nel film

(per esempio, gli stacchi sulla natura) viene compiuto un preciso lavoro

suH'immagine cinematografica come universale singolare'17, cioè come flusso di senso composto di parti indipendenti e potenzialmente eversi­

ve, questa stessa dialettica è trasferita all’interno del singolo fotogramma per mezzo delle suddette sporgenze puntute. I.a molteplicità contrastiva

informa di sé anche la voce over, e non solo per la sua interna polifonia, ma in ugual modo per la sua “sfasatura” rispetto alfimmaginc, con la quale stabilisce una sorta di antagonismo, portando a frizione i due regi­

stri dell’audio-visionc cinematografica. La discrepanza dilatante che ne

consegue produce un’ulteriore modalità di apertura e di intensificazione

di quell'oscillazione tra presenza e assenza che attraversa tutto il film. In definitiva Malick fa deflagrare la contraddizione lavorando sulle dupli­

cità strutturali del cinema: il flusso e il fotogramma; l’inquadratura c i suoi costituenti; l’immagine e la voce.

II fatto che il regista sia un «mitografo dei quattro elementi»1-1’ trova

singolare conferma in un breve raccordo di montaggio. La notte prima

'* R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografìa, cit.. § 10.

S. Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, cit., p. 191 segg. Ij singolarità dell’immagine fotografica assegna un ruolo anche all'accidentale (e accidentali sembrano le variazio­

ni della luce solare sull'erba e il transito della farfalla).

•" S. Arocco. // paesaggio del cinema. Dieci studi da Ford a Almodóvar, cit., p. 63. 202

TERRENCE MAUCK

della battaglia Staros prega dinanzi a una candela1'* ’. Malick inquadra

in primissimo piano la fiamma immersa nell’oscurità e mossa dal vento. Improvvisamente, attraverso una dissolvenza incrociata di qual­

che secondo, fa emergere un paesaggio all’interno del profilo della fiamma stessa. Il paesaggio prende gradualmente il sopravvento e la

lingua ardente, dopo aver aleggiato sull’immagine come un fantasma,

si illanguidisce e scompare. La fiamma, combinandosi con l’acqua di un fiume, con la foresta che gli cresce intorno e con il cielo mattutino che sovrasta entrambi, sembra raccogliere'Ml gli altri elementi, quasi tosse la rappresentazione di quel logos mobile e irrequieto che Eraclito

identificava con il fuoco111. Stagliandosi su di un fondale buio, il lumi­ cino rinnova la contesa tra luce e ombra e anzi fa scaturire da questo contrasto la molteplicità delle cose del mondo, che fuoriescono lette­ ralmente dal nulla.

Tuttavia per conseguire una visione più comprensiva, in grado di rendere conto del ruolo dell’uomo, è necessario considerare la capacità di Malick di rimodulare cinematograficamente l’immagine della «Quadratura» {Das GeviertW che Heidegger ha mutuato dalla lettura

di Holderlin. La Quadratura consiste nell’insieme di quattro termini che costituiscono una doppia polarità (mortali/divini, cielo/terra) e che interagiscono circolarmente tra loro, raffigurando - per il “secondo” Heidegger — la struttura tensionale profonda dell’abitare e del «mon-

deggiare». La Quadratura è all’opera in La sottile linea rossa in entram­ be le sue diadi. Da una parte, i soldati {mortali quant’altri mai) spesso

cercano Dio e si interrogano intorno al principio delle cose. Dall’altra Malick — come già rilevato - insiste sul dialogo tra terra e cielo, lavo­ rando sulla loro compresenza nell’inquadratura, oppure, in modo

ancor più raffinato, giocando con i movimenti di macchina verso fall'immagine di Staros di fronte alla candela è una situazione tipica delle tele di La Tour, intri­

se di una spiritualità seicentesca c di una meditazione malinconica. Cfr. Maddalena allo specchio (1638 ca., Washington, National Gallery of Art), L'estasi di San Francesco (copia di un origina­

le perduto. 1640 ca., Le Mans, Musèc de Tessè). La Maddalena penitente (1642-44, Parigi,

Museo du Louvre). ' ■ Logos, fa notare Heidegger, deriva da legein, “raccogliere", “riunire". Attraverso tale riunione ( Versantndttngì il logos porta a essere, manifesta.

" SuH'idencifìcazione tra logos e fuoco in Eraclito cfr. i frammenti 22 B 30.64.66. 76.90. DK.

M. Heidegger. Costruire Abitare Pensare, in Saggi e discorsi, cit., pp. 96-108; Id., La cosa, cit..

pp. 109-124. 203

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to. Curiosamente, il film è punteggiato di moti ascendenti che si com­

binano con una rotazione. Per suo mezzo Malick rende visibile la cir­ colarità della Quadratura e più ancora la circolarità di qucH’inesausto

interrogare che costituisce, secondo l’espressione di Heidegger, «la pietà del pensiero»”3.

La circolarità — come rilevato per La rabbia giovane e soprattutto per / giorni del cielo - è ulteriormente ribadita dalla ricorsività degli stessi elementi. Malick procede per moltiplicazione e geminazione:

dopo la loro prima comparsa, le cose (quasi tutte le cose) si ripresenta­ no. Così accade per il coccodrillo, per i pappagalli, per la gabbia, per il

tetto scoperchiato, per la scintilla, per gli incontri tra Witt c Welsh, per le farfalle, ecc. Questa circuitazione è il risultato di un’incessante interpellazione che dice le cose sempre diversamente e va al fondo della dif­ ferenza che le abita. È il vertiginoso domandare umano a scatenare questo vortice, che altrimenti rimarrebbe muto. Per parafrasare le

Elegie duinesi di

Rilke,

siamo

noi,

«i

più

effimeri»133

(die

Schunndendsten), che abbiamo il compito di dire la fragilità e di “sal­ varla” dandole forma'”.

Il cuore agonistico di La sottile linea rossa non va inteso come un’at­

testazione dolente e rassegnata di una pretesa necessità del male. Le parole pronunciate dal colonnello Tali per esonerare Staros ci mettono

sull’avviso: «Guardi questa giungla! Guardi quelle piante rampicanti

come si attorcigliano intorno agli alberi ingoiando tutto! La natura è crudele, Staros!». Ciò non ha nulla a che fare con i quesiti ontologici di

Id,. Li questione della tecnica, in Saggi e discorsi, cit., p. 27. La composizione di Charles Ives ( 1874-1954) presente nella colonna sonora porta il titolo emblematico The Unanswered Question (letteralmente, “la domanda senza risposta" [1906]). Essa viene citata da Zimmer nella quinta

sequenza, quando Dale, impegnato a estrarre i denti d'oro dei nemici, dialoga con il giappone­ se morente. Occorre ricordare che il lavoro pianistico fondamentale di Ives, la Concord Sonata

( 1909-1915), e dedicato a Emerson, Nathaniel Hawthorne, Thoreau e ad Amos Bronson Alcott

c Luisa May Alcott. Concord è un piccolo paese non lontano da Boston. Fu la residenza di

Emerson (dal 1833 fino alla morte, nel 1882), nonché la sede del Trascendental Club. Per quanto concerne la circolarità, a essa alludono anche due animali che compaiono nel film:

il serpente (con le sue spire) e l'aquila (con i suoi volteggi). Non a caso si tratta degli animali del maestro dell'eterno ritorno dell'ugualc: lo Zarathustra di Nietzsche. “ R. M. Rilke, Elegie duinesi [lot nona elegia, v. 12), tr. it. di A. L. Giavotto Kùnkler, in Poesie, a cura di G. Baioni, commento di A. l-avagetto, 2 voli., Einaudi-Gallimard, Torino 1995, voi. Il (n 1908-1926}, p. 95.

* lui (w. 32-66). pp. 97-99.

204

TERRENCE MAUCK

La sottile linea rossa, in quanto il film procede in direzione di uno sfondamento, mentre il discorso di Tali è fondativo e apologetico: pone un principio — per quanto luciferino - alla base delle cose. Per Malick, invece, il conflitto deriva dalVamo? dell’essere, sgorga da quell’infini­

tà pienezza «che non si saprebbe dire altrimenti che negando qualsiasi

determinazione particolare»1 *.

O Signore concedi a ciascuno la stai morte:

frutto di quella vita in cui trovò amore, senso e pena.

Rainer Maria Rilke1 v Poste queste premesse, non stupisce che nel film di Malick la morte

divenga uno snodo cruciale, un momento decisivo. La presenza della morte trascende la critica al war movie e si dà come dimensione esi­

stenziale costitutiva, come orizzonte dell’autentica finitudine umana.

«Per lui [l’uomo] - scrive Gadamer - non ne va della morte solo come sporgenza che restringe lo spazio libero, poiché egli stesso è [...] il pre-

corrimento della morte. Non si tratta di due cose distinte, ma di una cosa sola: ci si cura del proprio cammino, si occupa lo spazio libero pre­ vedendo, pianificando, “parlando il linguaggio”; eppure si urtano con­

tinuamente gli angoli della fine, della morte. Sono i due aspetti della finitezza umana»1*. Le morti del film non rimandano d'emblée all’in­

sensatezza come quelle del romanzo di Jones, ma instaurano un’inter­ rogazione rilanciata di volta in volta da ciascun mortale — l’unico a

potersi far carico della propria morte. In Essere e tempo 1’essere-per-la-

1 w S. Givone, {'rima lezione di estetica, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 48. Scrive ancora Givone: »lai verità dell'essere ha il suo fondamento nel nulla e perciò sopporta la contraddizione» (S. Givone, Introduzione a Id. [a cura di|, Estetica. Storia, categorie, bibliografia, La Nuova Italia,

Scandirci |Firenzc| 2000, p. XXI). ' '' R. M. Rilke, Il libro d'ore - Libro terzo. Il libro della povertà e della morte, tr. ir. di C. Lievi,

in Poesie, cit., vol. I (= 1895-1908). p. 243. ” H.-G. Gadamer. Poesia e dialogo, in Scritti di estetica, presentazione di P. Montani, tr. it. e

note di G. Bonanni, Aesthetica Edizioni. Palermo 2002. pp. 124-125.

205

Francesco Cananeo

morte [Sein-zum-Tode) è un’assunzione della finitezza umana: solo deci­ dendosi per essa, progettando l’incalcolabile, ci si pone nella possibilità

di essere se stessi. Tuttavia, nel film sono nuovamente avvertibili gli echi del "secondo” Heidegger, nel quale la tematica della «decisione» passa

in secondo piano, sostituita dall'accentuazione di una finitudine che è autenticamente tale solo nella sua disponibilità all’essere. «La morte è lo

scrigno del nulla, ossia di ciò che, sotto tutti i rispetti, non è mai qual­ cosa di semplicemente essente, e che tuttavia è, e addirittura si dispiega

con il segreto dell’essere stesso. La morte, in quanto scrigno del nulla, alberga in sé ciò che è essenziale dell'essere. In quanto scrigno del nulla la morte è il riparo dell’essere. I mortali ora li chiamiamo mortali non

perché la loro vita terrena finisce, ma perché essi sono capaci della morte in quanto morte. 1 mortali sono quello che sono come mortali avendo la loro essenza nel riparo dell’essere. Essi sono il dispiegantesi

rapporto all’essere come essere»1'’. La morte in La sottile linea rossa assume spesso i tratti di uno sguardo

attonito sull’abisso, di un’invocazione, di un'implicita e inevasa domanda di senso. Esemplare da questo punto di vista è la morte del giovane Bead

(V sequenza). Quando compare, il corpo del soldato è già nelle braccia del

sergente Storm. 11 gruppo formato dai due uomini, quasi una Pietà, è lam­ bito da fasci di luce che provengono da dietro. Malick intervalla la scena con due inserti “naturali”: nel primo, una soggettiva di Bead, si vedono dei raggi luminosi affilati come lame che scendono attraverso le fronde degli

alberi; nella seconda inquadratura, priva di soggetto e indefinita, compare

in controluce una foglia bucherellata. La sofferenza amplificata del soldato

si sporge sul contrasto e sulla distruzione interni alle cose, le quali, di rimando, espongono la propria ferita e stabiliscono una sintonia, una com­ passione. In La sottile linea rossa si ha una natura non indifferente, che sof­

fre la stessa contraddizione dell’uomo. Ne dà ulteriore evidenza il fatto che

durante la presa della collina gli spasmi dei colpiti siano riecheggiati dai contorcimenti dell’uccellino ferito. L’estraneità tra uomo e natura, qualora venga troppo enfatizzata, diviene piii che altro uno stereotipo della critica

e dell’esegesi. Per capire la complessità di tale rapporto conviene considera­ re un aspetto apparentemente marginale. Nel film alcuni animali si fanno "" M. Heidegger, La ana, cit., p. 119.

206

TERRENCE MAUCK carico di esprimere un certo sadismo della natura: un serpente importuna i soldati già messi a dura prova dal fuoco nemico; due cani randagi straziano i cadaveri rimasti sul campo; numerosi uccelli attendono di avventarsi sui

corpi esanimi (V sequenza)1'0. Questi animali sembrano essere una sorta di reincarnazione del coccodrillo minaccioso dell’incipit. Proprio il “prototi­ po1’» tuttavia, viene catturato dai militari (VI sequenza). Vale quanto osser­

vato per l’incendio finale di Igiorni delcielox l’immobilizzazione dell’alliga­ tore significa che ben più devastante delle fauci dell’animale è la tecnica dell’uomo, ben più smisurato e terribile della natura è l’enigma del suo

cuore'41. La rappresentazione della morte di Witt, assente in Jones, ritorna sui medesimi elementi c ne aggiunge di nuovi. Innanzitutto occorre ricorda­ re che l’inesorabile fine del soldato era stata già preannunciata poco prima dell’attacco al villaggio (V sequenza), quando un giapponese

sprofondato nel terreno, con il solo volto ancora affiorante, sembrava

rivolgersi a lui come un messaggero riemerso dal grembo della Madre ’ferra: «Sei retto, gentile? La tua fiducia si basa su questo? Sei amato da tutti? Lo sai che lo sono stato anch’io? Credi che le tue sofferenze saran­

no minori perché amavi il bene, la verità?». La bontà di Witt non gli evi­

terà il dolore e la morte; anzi, lo indurrà a farsene carico. Quando il soldato, nel finale, si trova accerchiato, uno dei giappo­ nesi avanza con il fucile spianato, gridando delle parole incomprensi­ bili che non vengono tradotte neppure per lo spettatore. Malick orche­

stra la scena intorno a questa indecifrabilità dell’idioma. Witt, impos­ sibilitato a comunicare, rimane sospeso in un limbo di incertezza, in attesa del colpo di grazia. Accentuando “l’imprevcdibilità” e l’angoscia

della fine incombente, il regista insiste sulla morte come punto cieco, come orizzonte oscuro del film. La situazione che ne consegue ha vena­ ture paradossali. Pur con il suo tono aspro, il giapponese sta accorata-

mente invitando Witt ad arrendersi: «Sei tu che hai ucciso il mio amico

in guerra. Ma io non voglio ammazzarti, sei già circondato. Arrenditi». Come scrive Omero, l'ira di Achille «gettò in preda all'Ade molte vite gagliarde/ d'eroi, ne

fece il bottino dei cani./ di tutti gli uccelli» [Iliade (I. vv. 3-5], cit., p. 3). lui presenza degli avvoltoi può anche essere una reminiscenza di L'arpa birmana di Ichikawa - ma il nesso con­ cerne gli uccelli in generale, visto il ruolo che in entrambi i Aim è assegnato ai pappagalli. 1,1 l:. Holderlin. A Hitler (v. 62). in Tutte le liriche, cit., p. 565.

207

I momenti salienti della morte di Witt (Li sottile linea rossa)

Francesco Cattaneo

L’equivoco è ulteriormente accresciuto da un’anomalia: il giapponese si

rivolge a Witt come se quest’ultimo dovesse intenderlo senza problemi; gli parla apertamente, come se fossero «fratelli nel linguaggio»1"’’. Il lin­

guaggio - questa sostanza del nostro pensiero - non produce solo unio­ ne, ma anche divisione, solitudine e separazione, perché ciò che viene pronunciato non tocca mai direttamente “il cuore”. Dopo il “sacrificio" del soldato Malick fa erompere come d’abitudine il

segno del contrasto inquadrando in contre-plongée e con movimento circo­ lare le cime degli alberi attraversate da strie di luce. In seguito, rifacendosi a una scena del prologo, il regista texano mostra in leggero ralenti Witt

mentre nuota spensieratamente con i bambini polinesiani. Il recupero di

queste immagini non ripristina una logica dell’opposizione (paradiso vs.

inferno), bensì instaura una logica àe\\' ibridazione. Infatti un lampo di luce, accompagnato dal rumore di un colpo d’arma da fuoco, fende l’im­

magine, provocando uno stacco. L’idillio è attraversato da una lacerazione, da uno squarcio che per un attimo lo incrina. Tutto sembra ricomporsi, ma niente è più come prima. La morte di Witt retroagisce sulle immagini della vita nel villaggio, facendo emergere un rimosso che esse portavano con sé

sin dall’inizio. Per ribadirlo Malick fa seguire a un altro improvviso baglio­

re - questa volta senza sonoro - l’inquadratura di una complessa struttura arborea che ricorda quelle dell’incipit. Per portare a compimento la riflessione sulla mise en scène della morte di Witt occorre tornare alla fase dell’inseguimento nella foresta.

A un tratto Witt sbuca dalla vegetazione e si trova in uno spazio aper­

to, dove viene circondato. La situazione è tipica di Malick e l’abbiamo vista ricorrere sia in La rabbia giovane sia in 1 giorni del cielo. Qui essa

assume una nuova sfumatura. Infatti la “dialettica" tra foresta e slargo rispecchia fedelmente la nozione heideggeriana di l.ichtung, “radura”. Come scrive Leonardo Amoroso, «Lichtung è sinonimo, nella lingua

tedesca, di Waldblofìe, “radura boschiva”; ein Holz lichten significa dira­ dare un bosco, cioè abbattere alberi, aprendo così una Lichtung. E evi­

dente l’affìnità, almeno morfologica, se non anche semantica ed eti­ mologica, fra Lichtung e Licht (“luce"). [...] La Lichtung come luogo

aperto alla luce sarebbe allora non semplicemente un luogo luminoso, M. Chion. The Thin Red Line, cit.. p. 60. Devo a Chion anche la traduzione delle battute

in giapponese. 210

TERRENCE MAUCK

ma un luogo che è stato aperto alla luce, appunto con un’operazione di

diradamento. Una caratteristica essenziale della Lichtung, accanto a quella della luminosità, sarebbe allora quella, complementare, dell’o­ scurità precedente il diradamento. Quest opposizione congiunta di lumi­

nosità e di oscurità si rivela, del resto, anche per il fatto che la Lichtung, come radura luminosa, è definita dai suoi confini, cioè dalfessere cir­ condata e come nascosta da un bosco più fìtto e quindi anche più oscu­ * ro^' ’. Nella radura di La sottile linea rossa non accade né una morte

assurda (La rabbia giovane} né una morte propriamente “tragica” (/

giorni del cielo}. Witt non sfugge al fato, non riceve la pallottola di spal­ le, ma la attende e la guarda in faccia mentre trapassa il suo corpo. Così

facendo egli risponde alla chiamata del suo destino.

L’importanza della morte nel film deriva anche dal fatto che essa è stata

considerata1*4 - e con buona ragione - una “situazione limite” rispetto a cui operare una conversione e un ribaltamento. La guerra moderna può essere

intesa come l’espressione della parabola degenerativa dell’occidente, come l’occasione in cui la tecnica occidentale dispiega compiutamente la sua

volontà di potenza. La guerra si spinge fino al tentativo di programmare la

morte-, si impegna ad annullarla in sé e nella sua “umana” drammaticità, reclamando una s-pensierata obbedienza al meccanismo. Tuttavia, in La sot­ tile linea rossa si verifica una sorta di aporia. Per le condizioni che crea, la guerra suscita ancor più urgentemente l’interrogazione dei soldati. Si ha un

rovesciamento paradossale tipicamente heideggeriano: la situazione più desolata si fa punto di svolta per la maturazione di una nuova possibilità. Nel cuore della devastazione i soldati cominciano a riflettere su di sé, su ciò che stanno vivendo; hanno dunque l’opportunità di rendersi consapevoli del loro stato di derelizione e di abbandono e di cercare una via d’uscita.

«L’inumanità della guerra consente di vedere attraverso le finzioni di un

L Amoroso. La Lichtung di Heidegger come lucus a (non) lucendo, in G. Vattimo, P A. Rovatti (a cura di), Hpensiero debole. Feltrinelli, Milano 1997. pp. 139-140. Cfr. in proposito M. Furstenau, L. MacAvoy, Terrence Malick's Heideggerian Cinema: War and the Question of Being in The Thin Red Line, in H. Pàtterson (a cura di). The Cinema of

Terrence Malick. Poetic Visions ofAmerica, cit., p. 181 segg.

211

Francesco Cattaneo

popolo, di una tribù o di una nazione per scorgere un’umanità comune. La domanda imponderabile è perche * il conseguimento di tale consapevolezza richieda così tanta sofferenza»1^. Tale interpretazione compie però l’azzardo di considerare il confronto con la morte durante il combattimento come il viatico di una presa di

coscienza, lo strumento di una palingenesi. La sottile linea rossa è molto più

equivoco in proposito. Se pure un rovesciamento prende piede nel film, esso non avviene in modo schematico. Per far luce sulla questione è neces­ sario seguire le varie fasi della riflessione 'ontologica” di Malick. Essa passa

prevalentemente per l’asse Witt/Welsh, che si incrocia con quello antimili­ tarista Staros/fall. La ricostruzione del confronto tra i due personaggi aiuta altresì ad accertare come la tipizzazione operante nel film non si limiti a

una banale e dossografìca rassegna filosofica.

Incominciamo col dire che una caratterizzazione troppo univoca e riduttiva di Welsh è impossibile, dal momento che egli - in modo abba­

stanza spiazzante - rivela sin dalle prime battute una vicinanza e una pre­ dilezione per Witt, fino al punto di affermare che potrebbe essere il suo

«migliore amico» (Il sequenza). Ciò sembrerebbe non aver senso. I due dovrebbero rifuggirsi e contrapporsi secondo l’alternativa Rousseau/Sade.

Invece nel corso del film si cercano di continuo, quasi fossero attratti magneticamente l’uno verso l’altro. 1 loro intensi dialoghi (ben quattro)

costituiscono il fil rouge di La sottile linea rossa. Ma perché accade ciò?’ H‘ L’interazione tra i due uomini ruota intorno all’immagine della scintilla, la cui costellazione simbolica spazia dalla luce, alla speranza, al logos"'.

L’interrogatorio all’inizio della seconda sequenza si conclude con Witt che, con

gesto insistito c ripetuto, accende tre fiammiferi uno di seguito all’altro. Il secondo colloquio tra Witt e Welsh (V sequenza) si chiude con l’immagine (una soggettiva di Witt) del cielo notturno: il disco della luna risplende nitido

sullo sfondo mentre il profilo nero di una palma incombe in primo piano14*.

S. Critchley, Calm. On Terrence Malick's -The Thin Red Line», cit.

Questa conclusione è nata da una meditazione “agonistica" dell'importante saggio di Mario IVzzella. Immagini di guerra. Considerazioni su “La sottile linea rossa” di Terrence Malick, cit.. pp. 163-173. È interessante notare la variazione figurale intorno alla scintilla condotta in Holy Smoke Fuoco sacro (Holy Smoke, 1999) di Jane Campion, che ha esplicitamente riconosciuto di esser­

si ispirata al modello di Malick.

Si tratta, per inciso, di un prelievo da Tabù, nella cui parte finale ricorre per tre volte un'in­

quadratura del tutto identica.

212

TERRENCE MAUCK

Fino a questo punto i ruoli rimangono nettamente distinti: Witt è il custode del 'sacro fuoco”; Welsh ne è lo scettico c disincantato contestatore. Ma a par­

tire dal terzo colloquio (VII sequenza) qualcosa cambia. «Lei ci tiene a me, vero sergente? Ho sempre avuto questa sensazione. - afferma Witt - Perché vuole

dare l'impressione di essere una roccia? Un giorno posso venire a parlare con lei e il giorno dopo è come se non ci fossimo mai conosciuti»». Welsh sposta di

nuovo il discorso sulla «bellissima luce» di Witt e ne prende le distanze: «Come fai a crederci? Sei un mago per me’». Ma Witt, di rimando, opera una sorta di “passaggio di testimone”, consegnando la luce all’interlocutore: «Vedo ancora

una scintilla in lei», afferma. La scena immediatamente successiva mostra Welsh che cammina nella notte, fumando una sigaretta di cui si intravede la

punta incandescente. Il sergente, dopo averla abbassata e indebolita, porta con

sé la scintilla di Witt, se ne fa carico a modo suo. La scena finisce con lo spe­ gnimento di un fuoco: i soldati ne calpestano la fiamma, facendole sprigiona­ re alcune faville che rimangono sospese nell’aria mentre ha luogo una dissol­

venza incrociata densa di prcsagil■'',. Il quarto “colloquio” (VII sequenza) è costimito da una sola battuta pronunciata da Welsh di fronte alla tomba di Witt. Welsh pone al cadavere dell’amico una domanda apparentemente retorica: «Dov’è la tua scintilla adesso?». In realtà è come se egli rivolgesse la domanda a

se stesso: morto l’amico, è lui a dover prendere in consegna la scintilla. Quando, nella sesta sequenza, Storm ammette di non provare più niente verso il dolore altrui, Welsh gli confessa di non essere ancora pervaso da quel

«torpore» {Numbness) simile a un’equivoca «beatitudine» (Bliss), di non essere ancora preda di quella sorda insensibilità indotta dall’abuso di alcolici c dallo shock del campo di battaglia. «Forse perché sapevo cosa mi aspettava... forse

perché ero già un pezzo di ghiaccio», soggiunge dubitativamente.

Cos’è dunque la durezza di Welsh? In essa si può scorgere un’istanza

critica nel senso della Dialettica cleiniluminismo di Max Horkheimer c Theodor Wiesengrund Adorno. Nella loro famosa opera del 1947 i due

filosofi tedeschi distinguevano tra gli scrittori chiari e gli scrittori oscuri della borghesia. I primi, tra cui Kant, pensavano di poter temperare la cri­ tica illuministica alla morale: intendevano dare a quest’ultima un fonda­ mento autonomo mediante il ricorso a dottrine armonicistiche. I seconUn'analoga soluzione è adottata in I giorni del cielo durante i festeggiamenti per la fine del raccolto. In quel momento Abby accetta Toftcrta del proprietario di restare a lavorare, e di

latto innesca lo sviluppo tragico.

213

Francesco Cananeo

di, distinti nei «foschi scrittori della prima borghesia»,w (Machiavelli, Hobbes, Mandeville) e negli «scrittori “neri” della borghesia»"1

(Nietzsche, De Sade), erano coloro che invece non si peritavano di por­ tare all’estremo limite l’affondo critico dell’illuminismo, senza arrestarsi neppure di fronte a quel minimo di fede tolta la quale il mondo borghe­ se non poteva esistere. La critica radicale di Horkheimer e Adorno si rivolge contro la ragione

positivista, contro la sua pretesa di individuare le leggi eterne che consen­ tono di asservire la natura. Tali leggi, nella loro presunta necessità c incon­

trovertibilità, assumono la stessa perentorietà destinale della natura mitica: «Nella pregnanza dell’immagine mitica, come nella chiarezza della formula

scientifica, è confermata l’eternità di ciò che è di fatto»"2. «L’illuminismo è totalitario»"’, scrivono Adorno e Horkheimer. Da qui deriva la celebre tesi

portante della Dialettica dcU'illuminismo, secondo cui sussitc una reversibi­ lità tra mito e illuminismo: «Il mito è già illuminismo, e l’illuminismo

torna a rovesciarsi in mitologia»'M. Rispetto a ciò, la morale e la religione sono una sorta di puntello ideologico, di argine che tutela l’equilibrio socia­

le borghese e impedisce alla furia annichilente della ragione di sprigionar­ si, proclamando l’anarchia e la realtà della forza che costringe all’obbedien­ za. Nietzsche e De Sade hanno il merito, secondo Adorno e Horkheimer,

di esibire l’autodistruzione della ragione, facendo emergere infine quel nesso tra borghesia e dominio che un illuminismo inconseguente non aveva osato evidenziare. L’appello all’autorità, alla gerarchia e alla durezza apre la

strada a questo smascheramento più di tutte quelle posizioni filantropiche

e sentimentali che «sono ancora la conferma, interiorizzata, della differen­

za tra ricchi e poveri»"5. Ecco che, avversando e calunniando la compassio­ ne, dimostrandosi brutali e spregiudicati nello svelamento della realtà ine­ ludibile e costitutiva del dominio, Nietzsche e De Sade liberano «dal boz­

zolo l’utopia che è racchiusa, come nel concetto kantiano di ragione, in

M M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’Hluminismo, tr. ir. di R. Solmi, introduzione di C. Galli, Einaudi, Torino 1997, p. 96 (per le presenti argomentazioni si consideri l'intero

Excursus li). ''' Ivi, p. 123.

Ivi, p. 35. ,M Ivi, p. 14. M Ivi, p. 8. •" Ivi, p. 109.

214

TERRENCE MAUCK

ogni grande filosofìa: quella di un’umanità che, non essendo più deforma­ ta essa stessa, non ha più bisogno di deformazioni. Proclamando l’identità

di ragione e dominio, le dottrine spietate sono più pietose di quelle dei lac­

chè della borghesia. “Dove sono i tuoi massimi pericoli? — si è chiesto una volta Nietzsche: - nella compassione”. Egli ha salvato, nella sua negazione, la fiducia incrollabile neiruomo, che è tradita giorno per giorno da ogni

assicurazione consolante»l%. Non ultimo merito degli «scrittori “neri”» è, secondo Horkheimer e Adorno, quello di aver preparato le basi per una cri­ tica all’illuminismo condotta dall’illuminismo stesso e non delegata alla

reazione romantica e alla sua denuncia di un caos nichilistico. La durezza di Welsh corrisponde alla mancanza di compassione rivendica­

ta da Nietzsche e De Sade. Egli non a caso svela l’inganno della “razionalità” della macchina bellica e mette a nudo la finzione “sentimentale” della pre­

sunta organizzazione familiare dell’esercito. «Proprietà! Si tratta solo di fot­ tuta proprietà», proclama Welsh. In lui l’illuminismo non si fa apologia dello status quo, della presunta funzionalità ed efficienza del grande apparato, ma si ritorce contro «il sistema, da cui si deduce tutto e ogni cosa»1'. Welsh è

capace di confrontarsi senza infingimenti con il “non”, con il residuo, con il caput mortuum. Rispetto a tale inflessibilità le opzioni di Staros (la compas­

sione) c di Bell (l’amore) sono “deboli” e votate al fallimento. Staros viene

esonerato. Bell viene lasciato dalla moglie, la cui “scomparsa” rende ancor più ineluttabilmente e irreparabilmente maschile La sottile linea rossa. La violen­

za dilaga ormai senza freni. Per preparare le condizioni di un oltrepassamento occorre spostarsi senza illusioni nel suo cuore di tenebra.

Anche l’opzione di Witt è inadeguata, perché egli invoca una Gloria che ha ormai abbandonato la scena, o che, peggio ancora, riaffiora nelle stru­ mentalizzazioni della retorica militare impiegata da Tali e Bosche. Essa è

capace di produrre solo un pallido e ideologico riflesso della gloria omeri­ ca conseguita attraverso la «pugna»1'*. La Gloria di Witt si è ormai ritirata, è assente, e l’unico modo per con­

servarne la memoria è la critica radicale dell’esistente. Se la visione di un

uccellino morente fa ancora percepire a Witt «la Gloria»1’9, quello stesso uccellino suscita in Welsh la sensazione di un «inspiegabile dolore». In suo h'i. pp- 124-125■" Ivi, p. 15. Omero, Iliade (IV, v. 225). cit.. p. 129.

2/5

Francesco Cattaneo

nome Welsh destruttura la vuota eloquenza di Bosche: «Tutte bugie. Ti vogliono morto. O parte della loro bugia». I vincitori pretendono che i vinti indossino la loro maschera - la maschera della loro impostura. I-a logi­

ca del dominio viene esibita in modo geometrico e ridotta alla sua alterna­ tiva elementare: o la morte o l'identificazione. L’eventuale terza opzione è estranea a quella logica: è la testimonianza del negativo160.

Per Heidegger la questione è ancora più ambigua, perché ambigua è innan­ zitutto la storia delfessere (Seinsgeschichte) che egli racconta. L’epoca della tecni­ ca planetaria sarebbe il risultato di una parabola millenaria di erosione decessere. Questa vicenda essenzialmente occidentale non è direttamente riferibile a

una negligenza umana, ma fa capo all’essere stessoc al modo della sua eventua-

zione (l’espressione “erosione (hitessere” va quindi intesa come genitivo insieme oggettivo e soggettivo: l’Esscrc non solo viene eroso ma produce l’erosione di sé;

come la natura di Malick, esso è all’origine del conflitto che lo attraversa e che lo nega). Al culmine indefinito di questa parabola sta la contemporaneità, come epoca dell’oblio e dello smarrimento dell’essere. Nell’elegia Pane e vino'M, che già nel titolo porta il segno della confluenza di motivi cristiani e greci (dionisia­

ci), Holderlin prende atto che ormai gli Dei sono (uggiti (v. 148). «E che fare intanto e che dire/ Non so, e a che scopo i poeti in miseri tempi?» (w. 121-122).

Non si può far altro che attendere, e cioè serbare la memoria attraverso le tracCiò ci aiuta a capire che cosa intenda Witt per Gloria. Essa «è l’esperienza simultanea della caducità del mondo c del suo splendore, ed anzi la percezione della bellezza nell'atti­

mo paradossale in cui si compie perfettamente e anche comincia a turbarsi e dissolversi» (M. Pezzclla, Immagini di guerra. Considerazioni su “La sottile linea rossa" di Terrence Malick, cit,, p. 171). La gloria di Witt è creaturale, nel senso dato alla parola da Erich

Auerbach (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, tr. it. di A. Romagnoli e H.

Hintcrhàuser, Einaudi, Torino 2000, pp. 269-271). Per quanto concerne la concezione greca della gloria, bisogna ricordare con Heidegger che «la gloria non è per i greci qualco­ sa di semplicemente accessorio, ma costituisce la modalità dell'essere più eccelso» (Introduzione alla metafisica, cit., p. 112). Ciò accade perche? la gloria conferisce una visi­

bilità eminente a qualcosa, e quindi lo pone nella stabilità, nell'essere. I!4‘ Welsh si muove sul filo deH'“impossibile” dialogo tra Adorno e Heidegger, cosi come è stato impostato da Sergio Givone (Fra la critica dell'ideologia e l'ermeneutica, in «Estetica», n" 1/2003, pp. 95-102). La critica al dominio della tecnica, scrive Givone, viene mossa dai due pensatori a partire da un'irriducibile alterità che è precipuamente \'arte a farsi carico di esprimere.

E Holdcrlin, Pane e vino, in Tutte le liriche, cit., p. 934-959.

2/6

TERRENCE MAUCK

ce che permangono nella «sacra notte» (v. 48). Alia notte Holderlin si rivolge:

«iMa perché nel tempo del dubbio,/ Nelle tenebre qualche sostegno ci resti,/ Ci conceda l’oblio e l’ebbrezza che è sacra,/ La parola fluente conceda, che, come

gli amanti,/ Sia priva di sonno, e una coppa ricolma e una vita più audace,/ E la sacra memoria, per vegliare di notte» (w. 31-36). L’assenza che si determina non è un vuoto, ma una pienezza tramonta­

ta e sottratta, che - per non vanire del tutto - può permanere nella rime-

morazione (dei poeti, dice Holderlin; anche dei pensatori, aggiunge

Heidegger, e persino dei cineasti, suggerisce il cinema di Malick). La criti­ ca di Welsh si svolge al cospetto di questa rimemorazione hòlderliniana, allusa nelle sue ultime (e Hricheggianti) parole: «Un uomo può fare una sola cosa. Trovare una situazione che sia sua, crearsi un’isola attorno. Se non ti

incontrerò mai in questa vita, almeno che io senta la tua mancanza (let me feel the lack). Uno sguardo dei tuoi occhi, e la mia vita sarà tua».

Se l’attesa sarà un giorno colmata, non si può sapere. E se lo sarà, suggeri­ sce il poeta, lo sarà da un Dio inevitabilmente paradossale, imparentato col nulla della sacra notte. Nella celebre intervista rilasciata a «Der Spiegel», Heidegger spiega: «Solo un Dio, ormai, può aiutarci a trovare una via di scam­

po. Vedo, come unica possibilità di via di scampo, questo: preparare, nel pen­ siero e nella poesia, una disponibilità e una prontezza per l’apparizione del Dio,

oppure per l’assenza, il dis-tanziarsi, del Dio nel tramonto; in modo che il nostro destino non sia quello, per dirla brutalmente, di “crepare”, ma che sia, se dob­

biamo tramontare, quello di tramontare al cospetto del Dio assente»16'’. Mentre

Welsh pronuncia le sue ultime parole, i soldati marciano accanto a un cimitero militare, con la sua distesa uniforme di croci, di uomini crepati serialmente.

Heidegger non impone la presenza di un Dio o il suo ritorno. Si affac­

cia sulla sua assenza per tenere aperta la possibilità. E lo stesso fa Malick con le parole di Edward B. Train, che, come Witt, compare simmetrica­ mente all’inizio e alla fine, incorniciando in qualche misura il film. Alla sua M. Heidegger, Scritti politici (I.933-1966). postfazione, prefazione e note di F. Fédier, ed. i(. a cura di G. Zaccaria, Pienone, Casale Monferrato (Al.) 199#. p. 284. L'intervista fu regi­

strata il 23 settembre 1966 e poi presentata sul numero di «Der Spiegel» del 31 maggio 1976 con il titolo Ormai solo un dio ci può Mirare. Fu Heidegger a esigere che l’intervista fosse pub­ blicata solo dopo la sua morte. Per una ricostruzione della vicenda accidentata dell'intervista cfr. ivi, pp. 365-368. Fédier riporta una versione dell'intervista rettificata da Hermann Heidegger, il figlio del filosofi). Il testo apparso sulle pagine di «Der Spiegel» è disponibile in

M. Heidegger, Ormai solo un cito ci può salvare, a cura di A. Marini. Guanda, Parma 1987.

217

Francesco Cattaneo

prima apparizione nel ventre del brigantino (IV sequenza) Edward pro­

nuncia una sentenza che vale in generale come uno dei commenti più pre­

gnanti a La sottile linea rossa: «Le uniche cose permanenti sono la morte e il tuo Dio. Tutto qui. Sono le uniche cose di cui bisogna preoccuparsi». Sul ponte di coperta della nave, alla fine del film, egli riflette sul futuro: «Qualcosa a cui tornare. Una specie di grande casa. [...] Sai, mio padre

diceva sempre che si deve toccare il fondo prima di poter risalire. [. ..| Beh,

penso che dopo questo il fondo l’ho già toccato e allora potrò solo comin­ ciare a risalire. Ed è questo che voglio. Ed è così che andrà». Quello che può

sembrare un discorso conciliante e consolatorio o che può essere liquidato come uno smascheramento della retorica del war movie (il progetto della

mitica fattoria da comprare per vivere tranquilli...), è invece l'applicazione

della dialettica anti-hegeliana che Heidegger rinviene in Holderlin, adot­ tandola al culmine del celebre saggio su La questione della tecnica: «Ma là dove è il pericolo, cresce l Anche ciò che dà salvezza»16'. Tale dialettica non ha la necessità logica di Hegel, ma si dà come pura possibilità (come peri­

colo). Per rappresentare questa nuova possibilità, Malick dà spazio un’ultima volta agli aborigeni. Così facendo egli non intende suggerire che la via d’u­ scita consista nel mero ripristino di una condizione primitiva. Il primo ini­ zio va rideclinato. Il germoglio finale, infatti, cresce non sulla terraferma,

ma in acqua, nel cuore fluido dell’instabilità. Diviene così un simbolo del

possibile che ha ancora da essere164.

F. Holderlin, Parma? (w. 3-4), in Tutte le liriche, cit.» p. 315.

■■ L'acqua soprattutto è elemento costante che lascia disegnare una compiuta circolarità Guadalcanal, più che spazio di una guerra appare quasi in tutta la sua fisicità di set che si ali­

menta di successive ù-generazioni e t\-creazioni. La Morte è soltanto tappa necessaria per suc­ cessive metempsicosi. Non è un caso che proprio nella nascita, nel parco, l'acqua sia elemen­ to fondativo» (S. Emiliani, Sguardi (infiniti in ipazi finiti, in «Filmcritica», n"494, aprile

1999. p-187). Possiamo scorgere qui un’eco del finale di Solari? {Soljari?, 1972) di Tarkovskij. Sul bordo di un oblò compare una piantina che mette simbolicamente radici nello spazio. Analogamente il ricongiungimento con il padre e con la tradizione avviene ormai solo su quell'elemento liqui­ do e mutevole che è il magma pensante del pianeta Solaris.

218

Francesco Cattaneo

Filmografia

Oltre alle quattro opere dirette in prima persona da Malick (il cortome­

traggio Lanton Mills, realizzato come saggio per l’AFI, e a seguire i tre lun­

gometraggi), la filmografìa del regista texano comprende anche quei film cui egli nel corso degli anni ha partecipato a vario titolo (soprattutto come sceneggiatore o come produttore). Di questi progetti si dà notizia nell’introduzione al presente lavoro. Qui invece ci si limiterà a fornire il

cast&credits e le sinossi dei fìlm in cui Malick ha ricoperto il ruolo di regista.

Lanton Mills Regia, soggetto e sceneggiatura: Terrence Malick. Interpreti’. Harry Dean

Stanton, Warren Oates. Origine: Usa. Anno: 1969. Durata: 12’, b/n

La rabbia giovane Titolo originale: Badlands. Regia, soggetto, sceneggiatura e produzione:

Terrence xMalick. Fotografia: Brian Probyn, Tak Fujimoto, Stevan Larner. Montaggio: Robert Estrin. Collaborazione al montaggio: William Weber. Musica originale: George Aliceson Tipton [come George Tipton], James

Taylor. Musica non originale: Cari Orfì, Gunild Keetman, Erik Satie, James Taylor, Nat “King” Cole, Mickey and Sylvia. Direzione artistica: Jack Fisk. Costumi: Ken Hilton. Casting; Dianne Crittenden [come Diane Derfner]. interpreti: Martin Sheen (Kit Carruthers), Sissy Spacek (Holly Sargis),

Warren Oates (il padre di Holly), Ramon Bieri (Cato), John Carter (Mr.

Scarborough), Alan Vint (l’assistente), Gary Littlejohn (lo sceriffo), Bryan Montgomery (il ragazzo), Gail Threlkeld (la ragazza), Charles Fitzpatrick

(l’impiegato d’ufficio), Howard Ragsdale (il capo), John Womack Jr. (l’a­

gente di polizia), Dona Baldwin (la domestica), Ben Bravo (il benzinaio). Produttore esecutivo: Edward R. Pressman. Distribuzione'. Warner Bros. Origine: Usa. Anno: 1973. Durata: 95’, col. 220

TERRENCE MAUCK

Sinossi1

I sequenza1, rincontro (1- 107; 0*0 ”-14’33”):

Dopo il logo della Warner, la voce over di Holly racconta restrospettivamente la sua storia. La morte della madre ha indotto il padre a trasferirsi dal Texas

a Fort Dupree, un paese di provincia del Sud Dakota, ove cominciare una nuova vita. Un giorno, all’età di quindici anni, la ragazza incontra il venti­

cinquenne Kit, addetto alla nettezza urbana, e inizia a frequentarlo all’insa­

puta del padre. Siamo verso la fine degli anni Cinquanta. Kit viene licenzia­

to e trova lavoro in un allevamento. Il suo rapporto con Holly, pur limitato a pochi momenti di furtiva intimità, procede con serenità. 11 sequenza, l'uccisione del padre e la foga (108-257; 14’34”- 29’52”):

11 padre di Holly scopre la relazione segreta della figlia e si arrabbia al punto che le ammazza il cane e le impedisce di frequentare Kit. Kit va a parlare

all'uomo, ma viene brutalmente respinto. Vista la situazione, Kit si intro­ duce in casa di Holly e prepara una valigia per portare la ragazza via con sé.

Il ritorno del padre fa precipitare gli eventi: dopo una discussione. Kit spara

per due volte all’uomo e lo ammazza. Holly, dapprima sconvolta, decide poi di seguire il suo compagno. Per depistare la polizia, Kit simula un sui­ cidio: incide un disco con una confessione fasulla e brucia la casa.

Ili sequenza, Il rifogio nella foresta (258-354; 29’53’-39’17”): Kit c Holly si ritirano a vivere nella foresta: costruiscono una casa sugli alberi,

pescano pesce c allevano animali da cortile. AU’occorrenza rubano qualcosa nelle coltivazioni vicine. Nonostante qualche dissidio, la vita dei due ragazzi scorre

tranquilla e armoniosa. Un giorno Kit, irritato dal fatto di non riuscire a prende­ re del pesce, estrae la pistola e spara nell’acqua. Un uomo sull’altra riva del fiume

lo vede. Ben presto fanno la loro comparsa tre cacciatori di taglie. Kit, sfruttando i sistemi di difesa accuratamente predisposti, riesce a ucciderli tutti e tre. I due

ricercati sono però obbligati a rimettersi on the road per sfuggire alla giustizia. IV sequenza, A casa di Cato (355-429; 39T8”-50’25”):

Kit e Holly vanno a rifugiarsi a casa di Cato, il compagno di lavoro di Kit

ai tempi della raccolta dei rifiuti. Cato racconta ai due ospiti che in un campo lì vicino un suo amico ha trovato delle monete d’oro. Dopo cena i 221

Francesco Cananeo

tre vanno sul posto. Cato si allontana con una scusa c incomincia a corre­ re. Kit lo vede c gli spara. Mentre Cato all’interno della casa muore dissan­ guato, arriva in macchina una coppia di ragazzi che chiedono del mori­ bondo. Appena manifestano la loro intenzione di entrare in casa, Kit estrae

la pistola e li rinchiude in un rifugio contro i cicloni, sparando poi due colpi a caso da una fessura. La coppia risale in macchina e riprende la fuga. V sequenza, Nella villa dell'uomo ricco (430-510; 50’26”-lh00’23”):

Dopo un interludio in cui Holly racconta della caccia all’uomo che si è

scatenata, i due fuggiaschi raggiungono una villa isolata. La cameriera apre loro la porta e subito Kit entra con la pistola puntata. Il proprietario (Mr. Scarborough) acconsente a dar loro asilo. La coppia passa qualche

ora tra svaghi e attività varie. A un tratto si presenta alla porta un cono­ scente del proprietario e chiede di parlare con lui. Kit trova una scusa e lo

fa allontanare. Ma si rende conto che è ora di rimettersi sulla strada. VI sequenza, Vagando nelle Badlands (511-619; lh00’24”-lhl4 27 *

”):

Kit c Holly viaggiano attraverso l’immane e desolata distesa delle Badlands. Si riforniscono con la benzina che fuoriesce dalle valvole degli oleodotti. Mangiano carne di vacca. Holly avverte una crescente estraniazione dalla situa­

zione e s’accorge di non provare più niente per Kit, che considera ormai uno sventurato vagabondo. Nell’isolamento delle pianure l’unico segno di “civiltà”

è un treno che passa in lontananza. Dopo che Kit ha sotterrato in una scatola alcuni effetti personali, i due vanno a vedere il passaggio del convoglio. Poi riprendono il loro viaggio verso il Canada, fermandosi una notte per ballare

sulle note di A Blossom Fell di Nat “King” Cole. Kit dispera di varcare il confi­ ne e sente approssimarsi la fine. Fermatosi a un pozzo petrolifero per ottenere del carburante, costringe l'operaio a scappare. Nel frattempo sopraggiunge un elicottero. Kit invita Holly a salire in macchina per riprendere la Riga, ma la

ragazza rifiuta. Facendosi scudo con una lamiera, il giovane uccide un poli­ ziotto e riesce a raggiungere la sua vettura. Mentre Holly si consegna alle forze

dell'ordine, il suo ex-compagno si allontana in macchina. VII sequenza, La fuga solitaria di Kit (620-751 ; 1 h 14’28”-1 h29’53”):

Kit prosegue ormai da solo. Si ferma a una stazione di servizio per rime­ diare del carburante e intanto getta con rabbia i vestiti di Holly, contenu­

TERRENCE MAUCK

ti in una valigia. D’improvviso una macchina della polizia passa davanti al benzinaio. Kit risale in tutta fretta sulla sua automobile. Ha inizio l’insc-

guimento attraverso le praterie. A una curva la macchina della polizia si

rovescia. Kit acquisisce un certo vantaggio ma d’un tratto si ferma, spara un colpo alla ruota anteriore sinistra e costruisce una pila di sassi per com­ memorare l’evento: ha deciso di consegnarsi alla legge. Dopo averlo amma­ nettato, i due agenti lo riconducono nella loro vettura e durante il tragitto

chiacchierano con lui, notando una somiglianza con James Dean. Kit viene condotto a un aeroporto, dove un aeroplano è pronto per trasferirlo. Lì

dialoga con tutti i poliziotti e offre loro alcuni oggetti che ha ancora con sé, comportandosi come una star. Kit incrocia di nuovo Holly c parla bre­

vemente con lei, assicurandole che si addosserà ogni responsabilità. Mentre

l’aereo con i due prigionieri decolla, veniamo a sapere che Kit verrà giusti­ ziato sulla sedia elettrica e che Holly sposerà il figlio dell’avvocato che l’ha difesa. Seguono i titoli di coda.

I giorni del cielo Titolo originale. Days of Heaven. Regia» soggetto e sceneggiatura'. Terrence Malick Fotografia: Nestor Almendros, Haskell Wexler. Montaggio: William Weber

[come Billy Weber]. Musica originale Ennio Morricone. Musica non origina­ le Camille Saint-Saens, Doug Kershaw, Leo Kottke. Direzione artistica: Jack Fisk. Costumi: Patricia Norris. Casting. Dianne Crittenden. Interpreti: Richard Gere (Bill), Brooke Adams (Abby), Sam Shepard (il proprietario), Linda Manz (Linda), Robert J. Wilke [come Robert Wilkel (il fattore), Jakie

Shultis (l’amica di Linda), Doug Kershaw (il violinista). Produzione Bert Schneider, Harold Schneider. Produttore esecutivo: Jacob Brackman.

Distribuzione Paramount. Origine Usa. Anno: 1978. Durata: 95’, col.

Sinossi5 I sequenza, La fuga dalla città (1-89; 0’00”-9 *20

”):

Dopo il logo della Paramount, una serie di fotografìe d’inizio

Novecento accompagna i titoli di testa. L’ultima di esse raffigura il

volto di Linda, la narratrice. La ragazza, insieme al fratello Bill e alla 223

Francesco Cattaneo

sua compagna Abby, vive a Chicago. Bill lavora come operaio in una fonderia. Abby raccoglie oggetti di metallo. Linda intreccia fiori artifi­ ciali. Un giorno Bill ha un alterco con il capofabbrica e, dopo averlo colpito con un attrezzo, lo lascia esanime al suolo. Privi di progetti pre­

cisi, i tre prendono un treno verso le pianure del centro degli Stati

Uniti e si fermano a lavorare come braccianti. Bill spaccia Abby per una seconda sorella.

II sequenza, Il lavoro nei campi (90-262; 9’2l”-31’23”):

Bill, Abby e Linda incominciano il duro lavoro nei campi, che li tiene occupati dall'alba al tramonto. l.a vita scorre uniforme, se non fosse per

due aspetti: da una parte un uomo fa insinuazioni sul rapporto non pro­ prio fraterno tra Bill e Abby, scatenando la reazione di Bill; dall’altra il proprietario della tenuta matura un crescente interesse per la donna. Nei tentativo di prendere una crema per la compagna, Bill ha modo di sentire

una conversazione tra il padrone e il suo medico: l'uomo, gravemente

malato, avrebbe ancora un anno di vita, non di più. Alla fine del raccolto

il proprietario invita Abby a restare e a continuare a lavorare per lui. Bill sprona Abby a cogliere l’occasione, facendole notare che il proprietario, oltre a essere malato, è anche sprovvisto di parenti. Pur perplessa, durante

il falò delfultima notte Abby comunica al proprietario la sua decisione di restare, a patto che rimanga con lei la sua "famiglia”. Mentre gli altri brac­ cianti riprendono il treno per andarsene, i tre protagonisti si dedicano alle

loro nuove mansioni nella tenuta. Ili sequenza, // matrimonio e i giorni spensierati (263-337; 31’24”42’42”):

Il proprietario continua a corteggiare Abby, finché non le dichiara di esse­ re innamorato di lei. Abby ne parla con Bill, il quale la incoraggia ad accondiscendere alle avances dell’uomo. In breve tempo viene celebrato il matrimonio e i due consorti partono per il viaggio di nozze. Prima del commiato, il proprietario invita Bill e Linda a trasferirsi anche loro nella

grande casa. Al ritorno della coppia, tutti e quattro passano il tempo gio­ cando, riposando e godendosi la vita. Ma il padrone inizia a insospettirsi

e a inquietarsi per alcuni atteggiamenti troppo "amichevoli” di Bill e Abby. 224

TERRENCE MAUCK

IV sequenza. La crescente irrequietezza di Bill e la sua partenza (338-506;

42’43”-59’27”): Una notte Bill va a svegliare Abby. I due passeggiano nel letto del fiume e

bevono del vino. Un bicchiere cade nell’acqua. I giorni di spensieratezza, comunque, continuano. Il proprietario affronta il suo sospettoso fattore e,

venendo a sapere della pessima opinione che l’uomo nutre nei confronti dei nuovi arrivati, lo manda verso Nord, in un’altra parte della tenuta.

Andandosene, il fattore incrocia Bill c gli dice di aver capito il gioco suo e

della sua complice. Una sera il presidente Thomas Woodrow Wilson passa per il Panhandle e i quattro protagonisti si dispongono lungo i binari a salu­ tarlo. Durante una battuta di caccia Bill ha la tentazione di colpire il pro­

prietario, ma spara a terra. Proprio mentre i due uomini stanno per parlarsi a viso aperto, in cielo sfrecciano due aerei: è una compagnia teatrale itine­ rante che atterra nella tenuta. Viene cosi guadagnato qualche altro giorno di

buonumore. Con la partenza della compagnia se ne va anche Bill, che, dopo

un dialogo con Abby, ha capito che la donna si è innamorata di suo marito.

Il proprietario e Abby hanno modo di passare qualche tempo in una felice solitudine. Intanto le coltivazioni germogliano e sopraggiunge il tempo della nuova mietitura.

V sequenza, Il ritorno di Bill e la distruzione della fattoria (507-717;

59’28”-lhl5’29”): Arrivano i braccianti e quasi in contemporanea ritorna Bill. La situazione con il padrone si fa di nuovo tesa. Un giorno Bill aspetta Abby in una stalla

e, parlandole, capisce che ormai la ragazza vuole definitivamente stare con il proprietario. Quest’ultimo, però, appostato sul tetto della casa, vede “fratel­ lo e sorella” uscire scambiandosi effusioni e rimane sconvolto. Nel frattempo

sulla coltivazione piomba un nugolo di locuste che incomincia a divorare il grano. I braccianti, diretti dal proprietario e dal fattore, tentano dapprima di

scacciare le locuste e poi di raccoglierle e bruciarle. Durante l’operazione, il

proprietario incrocia Bill e, dopo averlo spintonato, tenta di colpirlo con una lampada. Al secondo tentativo lo manca c incendia il campo. Il fuoco rag­ giunge anche un carretto il cui cavallo, impaurito, si lancia in una folle corsa,

estendendo l’incendio enormemente. Il proprietario ingiunge di «lasciar bru­ ciare tutto». Gli sforzi profusi dai braccianti e dal fattore risultano vani: non

viene salvato niente. Al risveglio, rimane solo la terra bruciata. Il proprieta­ 225

Francesco Cattaneo

rio, fuori di sé, prende una pistola e si appresta a uscire di casa. Abby prova

a fermarlo, ma viene legata e immobilizzata. 11 padrone si aggira sulla tenu­ ta a cavallo; a un tratto individua Bill, scende dalla bestia e gli punta addos­ so la pistola. Bill, con gesto rapido, conficca un cacciavite nel cuore del pro­

prietario. Bill, Abby e Linda decidono di scappare in macchina. VI sequenza, La fuga sulfiume e la conclusione della caccia alTuomo (718861; lhl5’30”-lh29’53”):

Bill baratta la macchina rubata e un gioiello di Abby con una barca. 1 tre fug­

gitivi cominciano a discendere il corso del fiume. Durante il viaggio fanno

tappa in mezzo al bosco, dove allestiscono una capanna di fortuna. Al risve­ glio Bill si allontana per guardarsi intorno e lungo il fiume vede una squadra di poliziotti che ha individuato e sequestrato l’imbarcazione. L’uomo viene avvistato e inizia l’inseguimento nella foresta. Alla fine Bill tenta di guadare

il fiume, ma viene raggiunto dagli uomini a cavallo e ucciso. Abby piange sul

suo corpo. La donna decide di lasciare Linda presso un collegio e prende un treno insieme ai soldati in partenza per la guerra. Linda, che intanto ha rin­

contrato una ragazza conosciuta sui campi, scappa dal collegio. Le due cominciano a camminare senza meta lungo i binari del treno. Seguono i tito­ li di coda.

La sottile linea rossa Tìtolo originale: The Thin Red Line. Regia e sceneggiatura: Terrence Malick. Stfggrrttf: basato sul romanzo La sottile linea rossa di James Jones. Fotografia:

John Toll. Montaggio: William Weber [come Billy Weber], Leslie Jones, Saar Klein. Musica originale: Hans Zimmer. Musica non originale: Gabriel Fauré, Arvo Part, Arsenije Jovanovic, Francesco Lupica, Charles Ives. Scenografia:

Jack Fisk. Direzione artistica: Ian Gracie. Costumi: Margot Wilson. Casting.

Dianne Crittenden. Interpreti: Sean Penn (Sergente maggiore Edward

Welsh), James Caviezel [come Jim Caviezel) (Soldato Witt), Nick Nolte (Tenente colonnello Gordon Tali), Ben Chaplin (Soldato Jack Bell), Adrien

Brody (Caporale Fife), John Cusack (Capitano John Gaff), Woody Harrelson (Sergente Keck), Elias Koreas (Capitano James “Bugger” Staros),

Dash Mihok (Soldato scelto Doli), John Travolta (Generale Quintard), John C. Reilly (Sergente Storm), George Clooney (Capitano Charles Bosche), 226

TERRENCE MAUCK

Jared Leto (Tenente Whyte), John Savage (Sergente McCron), Arie Verveen (Soldato Charlie Dale), Kirk Acevedo (Soldato Telia), Paul Gleeson (Capitano George Band), Miranda Otto (Marty Bell), John Dee Smith

(Soldato Edward B. Train), Will Wallace (Soldato Hoke), Tim Blake Nelson (Soldato Tills), Penelope Allen (madre di Witt), Matt Doran (Soldato

Coombs), David Harrod (Caporale Queen), Nick Stahl (Soldato scelto Edward Bead), Robert Roy Hofmo (Soldato Sico). Produzione. Robert

Michael Geisler, John Roberdeau, Grant Hill. Produttore esecutivo: George Stevens, Jr. Distribuzione. 20th Century Fox. Origine. Usa. Anno: 1998. Durata: 170’, col. Sinossi4 1 sequenza, Il paradiso polinesiano (1-65; 0’0”-1 OTO’*):

Dopo i titoli di testa e dopo una serie di inquadrature della foresta, vengono mostrati alcuni momenti della vita di una tribù di aborigeni polinesiani: il

gioco dei bambini, il lavoro, i riti collcttivi. Sul posto sono presenti anche due soldati (Witt e Hoke), che alternano un’estraneità contemplativa all’at­ tiva partecipazione alla vita del villaggio. A un tratto irrompe una nave vedet­

ta americana. Witt c Hoke tentano di nascondersi.

II sequenza, Il confronto tra Welsh e Witt (66-98: 10 *11

”-15’03”):

1 due disertori vengono ritrovati e imprigionati. Il sergente maggiore Welsh

sostiene una dura conversazione con Witt, in cui lo rimprovera per la sua mancanza di disciplina, inaccettabile dopo sei anni di servizio. Welsh dice di aver accomodato le cose in modo che Witt non sia sottoposto al giudizio

della corte marziale. Per punizione lo spedisce in un’unità disciplinare, a fare il barelliere. La dialettica si sposta poi su un piano più generale: mentre Welsh nega l’esistenza di un altro mondo, Witt dice di averlo visto. Dopo l’u­ scita di Welsh, Witt parla con Hoke, accendendo dei fiammiferi e ricordan­

do un episodio della sua infanzia. Ili sequenza, // confronto tra Quintard e Tali (99-119; 15’04 -19 **

’17”):

Sul ponte di coperta si svolge una breve riunione tattica tra il generale Quintard e alcuni sottoposti, tra cui il colonnello Tali. Quintard spiega l’im­

portanza strategica della campagna di Guadalcanal: la conquista dcll’avam­ 227

Francesco Cananeo

posto nemico potrebbe essere decisiva per le sorti del confronto nel Sud Pacifico. Poi il generale dialoga con Tali, elogiando la sua anzianità di servi­

zio e la sua costanza c raccomandandogli di adottare ogni mezzo per arriva­

re alla meta. Intanto il colonnello riflette dentro di sé sulle sue aspettative di carriera frustrate e su tutte le umiliazioni c delusioni patite negli anni.

IV sequenza, Lo sbarco e il cammino verso la postazione (120-222; 19’18”36’15”): In coperta, in mezzo a mille angosce e dubbi, i soldati si stanno preparando

per lo sbarco. Uno di loro (Doli) tenta di guadagnarsi qualche armamento supplementare e ruba la pistola di un commilitone. Arrivato il momento

dello sbarco, tutti salgono sul ponte di coperta e si calano di lato, con delle reti, montando sulle scialuppe. Arrivati sulla spiaggia, sì rifugiano nella fore­ sta: hanno scampato il temuto attacco aereo. Poi incomincia la marcia verso

la zona che è stara loro assegnata. Il percorso si inoltra nella foresta tropica­ le, tra canneti e piantagioni di mais. In mezzo alla vegetazione gli uomini tro­

vano due soldati morti, barbaramente trucidati. Arrivano poi a un campo di soccorso brulicante di feriti e di sofferenza. V sequenza, La presa della collina (223-928; 36’16”-lh50 26 *

”):

[Si tratta di una corposa macro-sequenza che costituisce praticamente un film nel film. Per semplicità, la considereremo unitariamente, anche se è articolabile in svariate sotto-sequenze, corrispondenti ai vari momenti topici che

la compongono.] Il capitano Staros spiega ai suoi uomini che la collina va presa frontalmente, non c’è modo di aggirarla. Dopo il sopralluogo tutti tornano all’accampa­

mento in attesa dell’attacco dell’indomani. Staros prega. All’alba parte l’of­

fensiva. I giapponesi sono arroccati sulla cima della collina e contrastano l’a­

vanzata americana con un imponente fuoco di sbarramento. Su un campo di

battaglia che è più simile a un girone infernale, i morti non si contano, il plo­ tone del sergente Keck trova rifugio dietro un dosso e respinge la discesa di

un manipolo di giapponesi. Incanto, però, il sergente innesca involontaria­

mente una granata che tiene nel cinturone: si getta a lato per non danneg­ giare i compagni, ma per lui non c’è più niente da fare. McCron rimane

impietrito e stordito in mezzo al terreno di scontro: solo dopo un po’ riesce a rialzarsi e a rifugiarsi dietro un avvallamento. Staros intanto sta fronteg228

TERRENCE MAUCK

giando un altro problema: un soldato (Telia) è rimasto ferito allo scoperto e lancia delle urla disperate che atterriscono tutti. Un medico tenta di andare a iniettargli della morfina, ma viene colpito e ucciso. Allora, all’improvviso, interviene Welsh, che raggiunge Telia e gli lascia morfina sufficiente a ucci­

dersi. Al suo ritorno neH'awallamento rifiuta violentemente qualsiasi propo­ sta di decorazione. Staros ha poi un duro scontro verbale con Tali: il colon­ nello gli ordina di proseguire in forze l'avanzata, ma il capitano gli fa presente

che ciò è impossibile e che sarebbe una mossa suicida. Tali, viste le resisten­ ze di Staros, decide di andare a verificare di persona la situazione. Prima del suo arrivo viene colpito e ucciso il giovane soldato Bead. Quando Tali giun­ ge alla postazione, il fuoco nemico è diminuito: ribadisce l’ordine di avanza­

re in forze e questa volta Staros è costretto ad assecondarlo. Un gruppo di sei uomini comandato da Bell viene mandato in ricognizione per valutare l’en­

tità delle difese giapponesi. Bell, che intanto pensa a sua moglie Marty, rie­ sce a individuare il bunker e a contare cinque mitragliatrici. Tali parla alle

truppe e, scusandosi per la cronica assenza di acqua, incoraggia tutti a farsi

coraggio e a dare il massimo. Il colonnello è deciso a sfruttare una falla difen­ siva dei giapponesi: predispone un gruppo di sette uomini che aggiri il

bunker e sgomini le sue difese. Tali, infine, parla a tu per tu con Staros: mostrandosi scontento del suo operato, gli prospetta delle perdite nella sua

compagnia e gli chiede se è in grado di sopportare l’idea. Staros risponde affermativamente, ma con poca convinzione. Witt e Welsh discutono tra loro durante un turno di guardia. Nel corso della notte alcuni cani randagi straziano i corpi esanimi rimasti sul campo e un soldato (McCron), sconvol­

to, si alza urlando dalla sua tana di volpe c chiede il senso di tutto ciò. Bell

pensa di nuovo a sua moglie. Al risveglio la squadra capitanata da Gaff parte verso il bunker e, seppur con una perdita, riesce a mettere in fuga i giappo­ nesi. Gli americani assumono vari atteggiamenti nei confronti dei prigionie­ ri: il soldato Queen ne uccide due; Witt li guarda pieno di compassione (a uno di loro offre ingenuamente un chewing-gum). In breve tempo il resto della compagnia raggiunge la posizione conquistata. Tall è molto soddisfat­ to: ringrazia Gaff e gli promette di proporlo per una medaglia. Gaff fa pre­

sente il problema dell’acqua e Tali, dopo qualche resistenza, manda una staf­ fetta di tre uomini a prelevarla dalle retrovie. Infine, in mezzo alla nebbia, inizia l’attacco all'accampamento giapponese. Gli americani hanno facil­

mente la meglio: hanno di fronte uomini disorganizzati, stravolti dalla fatica 229

Francesco Cattaneo

e dalla fame. Di nuovo gli atteggiamenti dei soldati verso i prigionieri sono assai diversificati. Uno di loro, Dale, preleva addirittura i denti d’oro dei

nemici con delle tenaglie. Sui volti dei giapponesi si stampa un’immensa e incontenibile disperazione.

VI sequenza *

La pausa dal com battimento (929-1042; lh50’27”-

2h09’06”): Dopo lo scontro, gli uomini si lavano e si abbeverano. Fatto ritorno all’ac­ campamento, ìall esonera Staros, ritenendolo un cuore tenero, un uomo di fibra non sufficientemente robusta. Il suo successore sarà il tenente Band. Il colonnello promette all’ormai ex-capitano delle decorazioni affinché si allon­ tani in silenzio, senza sollevare un polverone. Welsh legge una comunicazio­

ne di Tali: i soldati saranno liberi per una settimana. Dopo aver bruciato le capanne con dei lanciafiamme, la compagnia C lascia la prima linea e si gode

il riposo. I soldati comprano alcolici a volontà. Staros va a salutare i suoi uomini, che lo ringraziano per il suo operato e si mostrano indignati e dispia­ ciuti per il trattamento che ha ricevuto. Vorrebbero inoltrare una protesta ufficiale, ma Staros si oppone. Poi prende un aereo insieme a un gruppo di feriti e se ne va. La vita procede regolarmente, tra bagni nel mare, scazzotta­

te e ubriacature. Il soldato Dale, un giorno, mentre piove, ha una crisi di coscienza di fronte al sacchetto contenente i denti d’oro, frutto delle sue spo­

liazioni. Sopraffatto dalla nausea, lo getta a lato e piange. Nella tenda dei feri­

ti Storm confessa a Welsh di essere ormai indifferente alla morte altrui. Welsh ribatte di non essere ancora così fortunato. I soldati catturano e lega­

no un coccodrillo. Arriva una tornata di lettere e ce n’è una anche per Bell. La moglie Marty gli confessa di essersi innamorata di un aviatore e gli chie­ de un divorzio consensuale in nome di quello che c’è stato tra loro.

VII sequenza, // ritorno in prima linea e la morte di Witt (1043-1237;

2h09’07”-2h43>35”): La compagnia C viene spostata verso il nuovo teatro delle operazioni. Witt, rimasto attardato, si mette in cammino per riaggregarsi ai compagni. Intanto

passa attraverso un villaggio indigeno e tenta invano di entrare in rapporto con i locali: i bambini, in particolare, lo rifuggono. Nel villaggio non sembra regna­ re un buon clima. Witt raggiunge un commilitone rimasto ferito a un ginoc­

chio; poi procede oltre e raggiunge la compagnia. Qui sostiene un nuovo dialo230

TERRENCE MAUCK

go con il sergente Welsh: afferma di vedere ancora una scintilla in lui. Welsh,

pieno di pensieri, là un sopralluogo notturno. Il giorno dopo ricominciano le operazioni. La compagnia, comandata da Band, si sposta lungo un fiume. Band,

un po’ sperduto e impacciato, decide di mandare un gruppo in ricognizione per valutare a che distanza siano i giapponesi e per individuare il punto in cui è stata tagliata la linea delle comunicazioni. Vengono scelti Fife e Coombs; Witt si offre

come volontario. Quando i tre incrociano un battaglione di rinforzo giappone­ se, Coombs rimane ferito. Per salvare i suoi due amici, Witt decide di attirare

dietro di sé i giapponesi. 11 soldato si lancia nella foresta e i nemici lo braccano. L’inseguimento ha termine quando si apre una radura: Witt rimane allo sco­ perto e viene accerchiato. Decide di puntare il fucile e di farsi sparare. I compa­

gni lo seppelliscono. Dopo che gli altri se ne sono andati, Welsh si sofferma sulla

sua tomba, chiedendogli disperato dove sia ora la sua scintilla. Il nuovo capita­ no, Charles Bosche, fà un discorso di presentanone ricolmo di retorica milita­

re. Intanto Welsh dentro di sé pensa alla falsità di ciò che viene propinato ai sol­ dati. La compagnia C viene imbarcata e riparte verso un altro fronte. Il soldato Train esprime una sua convinzione: avendo toccato il fondo, ora non può che

cominciare la risalita. Alcuni aborigeni vengono inquadrati mentre si spostano

in canoa. Il film si chiude suH’immagine di un germoglio che spunta dall'acqua. Seguono i titoli di coda.

* Per la versione completa del cast&crcdits si rimanda all’Internet Movie Database 1 Dopo il numero della sequenza e il titolo arbitrariamente assegnato ho riportato, tra parente­

si, dapprima il conteggio delle inquadrature e poi il punto d'inizio e di fine della sequenza mede­

sima. 1 tempi sono stati calcolati sulla base del DVD. Come si sa, il DVD funziona secondo gli standard televisivi e prevede quindi il passaggio di 25 fotogrammi al secondo (e non 24 come al cinema). Ciò determina un accorciamento della durata del film in DVD rispetto alla versione

in sala. Un film di novanta minuti circa in DVD (come Li rabbia giovane) ha 3’45” in meno rispetto alla versione proiettata al cinema. Da ciò deriva, tra l’altro, la discordanza tra i dati riportati nella sinossi e quelli del cast&credits. Una simile distorsione concerne anche i punti

d'inizio c di fine delle sequenze, che hanno dunque un valore puramente indicativo.

Sia qui che per le altre sinossi (àccio uso del termine sequenza in senso ampio, onde evitare un appesantimento del testo che, almeno rispetto alle esigenze di questo lavoro, sarebbe inutile.

Nella quasi rotalià dei casi si tratta di capitoli o - per usare un termine tecnico - di macro-

sequenze articolabili in alcune sotto-sequenze. 'Per i motivi spiegati in precedenza, la versione su DVD è più breve di circa 3’45” rispetto a

quella su pellicola. ’ Per i motivi spiegati in precedenza, la versione su DVD è più breve di circa 6'45” rispetto a quella su pellicola.

231

Francesco Cattaneo

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68, 69 c n, 71, 73, 86n, 87, 88n, 181 e n, 185, I86n, 195 e n, 198, 199 e n, 200 e n, 203 e n, 204, 206 e n, 216 e n, 217 e n,

218 Hell in the Pacific, vedi Duello nel Pacifico

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Kranzfelder, 1„ 102n, 105n, 106 en, 127 c

Horkheimer, M., 213, 214 e n, 215

178n

Hough, J., 34n Hudson, R., 20 Husserl, E., 15 Huston, J., 101

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Kael. P., 5In, lOOn Kant, I.. 68, 214 Kauffmann. S„ lOOn Kazan, E., 49 Kcctman, G„ 32,79 Kellogg, R., 162 Kennedy, J., 78 Kennedy, R., 14 Kershaw, D„ 32 Kershner, L, 21

n, I28n Kubrick, S„ 11. 29, 86 e n, lOOn. 120,

136n, 146, 161 n, 162-163, 168, 171-172,

Ling, E, 34n La Polla, E, 22 e n, 152n, 161n, 174n Larner, S., 31 Last Detail, The, vedi L’ultima corvée

La Tour. G. de. 119, 120n, 137, 203n latto, A.. 52n, 142 e n Laughton, C., 136-137 Laurenti, R„ 193n Lavageno, A., 204n

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Mailer, N„ 174 e n, 193n Mandeville, J., 214

Kertész, A., 96 Kierkegaard, S„ 14 Killers, The, vedi I gangsters

Manganato, J.-R, 79n Man ofAran, vedi L’uomo di Aran

King, H„ 167 King, M. L, 14 Kipling, R., 27 e n Korinc, H., 25n Koreas, E„ 27 Kottke, L. 32 Kranz, W„ 12n

Mantovani, V., 151n Manz, L., 25 Mao Tse-tung, 78 Marini, A., 217n Marton, A., 27. 161-162 Marx, L„ lOln Masi, G., 18n

244

TERRENCE MAUCK Matthau, W., I69n Mazursky, R, 33 Mozzanti, N., 165n MazzareJli, C., 155n McBride, J., 26 McCabe and Mrs Miller, vedi I compari McCoy, J. G., 105 McGettigan, J., 99n, 108 e n, 109n, 112 e n Mcdavoy, M., 21 c n Melville, I I-, I93n Menarini, R., 160n, 162n, 176n, 178n Mcrkcr, N., 16n Merrick, J., 26 Milani, R., 59n Milestone, L„ 164n, 175n Missione segreta ( Thirty Seconds Over Tokyo,

M. LeRoy, 1944), I64n Mitchum, R„ 137n Mizoguchi, K., 26 Moana, vedi L'ultimo Eden Moland, H. R, 28 Molière, 26 Monroe, M., 78 Montani, R, 205n Montesano, G., 145n, 191n

Montinari, M., 150n Moretti, F„ 46n Moretti, M., 160n Moreno, G., 198n Morreale, E., 14n Morricone, E„ 32, 133, 142n, 143 Morrison, J., 16n, 17n, 20 e n, 24n, 32n, 34n, 98n, 107n Morte corre sulfiume, La ( The Night oftire Hunter, C. l^ughton, 1955), 136

Mortensen, V., 28n Moscati, A., 29n, 77n Mottram, R., 49n, 121 e n Mugnai, M., 186n Murnau, E W, 31. 101, 130, 183 Muscio, G., 161 n, 162n, 165n, 167, 168n, 170n, 171 cn, 179n Musso, O., 139n Mussolini, B., 171 My Darling Clementine, vedi Sfida infernale

Nadai, V.» lOn Nancy, J.-L, 77 c n Nanook ofthe North, vedi Nanuk Teschimese Nanuk ['eschimese (Nanook ofthe North, R. J. Flaherty, 1922), 183n Natural Bom Killers, vedi Assassini nati Natural Bom Killers

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Oliver, M., 58 Ombre rosse (Stagecoach, J. Ford, 1939), 108 Omero, 146, 154n, 207n, 215n Orff, C„ 32, 35n, 57. 79 Orizzonti di gloria (Paths of Glory, S. Kubrick. 1957). 168-169 Orr, 23n, 49n, 51 e n, 55n, 64n, 74n, 75n O’Sullivan, 93n Our Daily Bread, vedi II nostro pane quoti­

diano Out ofthe Post, vedi Le catene della colpa Paduano, G., I26n Pakula, A. J., 104n

Panaccione, A., l02n Pani chi, G., 53n Papetti, V., 27n Parrish, M., 56, 61 e n, 62, 74, 78n

Part, A., 32, 190n Pasini, E„ 186n Paths of Glory, vedi Orizzonti di gloria

Patric, J., 28n Patterson, H., 23n, 32n. 49n, 52n, 54n, 88n, 91n, 99n, 108n, 142n, 163n, 191n, 21 In Paz, O., 144 e n Peckinpah, S., 24, 33. 51, 160 PeduJIà, G., 20n Peebles Power, S., 191 n Penn, A., 33 c n, 34 c n, 47 c n, 50-51 < 54n. 64, 84

Penn, S., 28 Percy, W., 26 Per una manciata di soldi (Pocket Money, S. Rosenberg, 1972), 21

245

Francesco Cananeo Pezzetta, M.. 150n, 212n, 216n

Pezzetta, A., 64n, 163. I93n Piccardi, A.» 194 e n, 195 Platone, 17, 49, I57n Platoon («£, O. Stone, 1986), 162 Pocket Money, vedi Per una manciata di soldi Polo, M., 57. 94 Pontiggia, E., I29n Portrait ofa Lady, The, vedi Ritratto di

signora Poussin, N., 196-197 Powell, J„ 32n

Power, R., 32n Poynter, N„ 164 Presley, E., 43n, 78 Presley, P., 43n Pressman, E-, 23 Pretty Poison (N. Black, 1968), 34n Pride ofthe Marines, vedi Ce sempre un domani Prigionieri di Satana ( The Purple Heart, L

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Milestone, 1944), 164n Prime Cut, vedi Arma da taglio

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Probyn, B„ 31 Promontorio della paura, il (Cape Fear, J. L

178,I81n Sands ofIwo Jima, vedi Iwo Jima deserto di

Thompson, 1962), 137n Ptycho, vedi Psyco Psyco (Psycho, A. Hitchcock, 1960), 103

fuoco Sanguinaria, lot (Gun Crazy, J. H. Lewis,

Pullman, B., 28n Purple Heart, The, vedi Prigionieri di Satana

Raboni, G., 145n Rafelson, B„ 20n, 33 e n Ragazzo selvaggio, Il (L'enfant sauvage, E Truffàut, 1970), 3ln

Raimo, C., 20n Raimondi, E., 19In Rampollo, L, I86n Ray, N„ 34n, 41

Ray, R., 108 e n Reale, G„ 157n Rebel Without a Cause, vedi Gioventù bru­ ciata Red River, vedi IIfiume rosso

Reeves, T., 48n Reilly, J. C.. 28 Rcitani, L, 9n Reità, E, 20In Revault D'Allonnes, E, 76 e n Rilke, R. M„ 204 e n. 205 e n

1949), 34n Sanshó Dayò, vedi L'intendente Sanshó Sarris, A., 22n Satie, E., 32, 35n Savage, J., 28, 175 Saving Private Ryan, vedi Salvate il soldato Ryan Schelling, E W. J., 58 Schneider, B„ 24 Schrader, P, 20 e n, 33, 64 c n Schur, T., I6n, 17n, 20 e n, 24n, 32n, 34n,

98n. 107n Scorsese, M., 33, 64 e n, 137n

Scott, T-, 35n Seguin, L., l90n Serri, C., 143n Seurat, G., 140 Sfida infernale (My Darling Clementine, J. Ford, 1946), 108 Shackleton, E., 28 Shaftesbury, A. A. C., Ili conte di, 17 Shane, vedi II cavaliere della valle solitaria

Sheen, M., 24, 28n, 53n, 76n

Ritchie, M„ 24 Ritratto di signora ( The Portrait ofa Lady, J.

Shepard, S., 113n Shining (id., S. Kubrick, 1980), 136n

Campion, 1996), 142n

Shyamalan, M. N., 31

246

TERRENCE MAUCK Sunrise - A Song of Two Humans, vedi

Siegel, D., 21 Signorelli» A., !90n Silberman. R., 163n

Aurora Sunset Boulevard, vedi Viale del tramonto

Sinatra, E, 83n Sineux. M, 60n, 72n, 137 e n Siodmak, R., 101

Tabu, vedi Tabu

Sjòstròm, V,, 31 Sklar, R., 34n Smith, G., I48n

Smith, J.. 18n Smith, J. D., 28 Snyder, A., 134n Soderbergh, S., 14n Sofocle, 126 e n Solaris (Soljaris, A. Tarkovskij, 1972), 218n Soljaris, vedi Solaris Solmi, R., 214n Sono innocente ( tt>u Only Live Once, F. Lang, 1937), 34n Sottile linea rossa, La {The Thin Red Line, A.

Marton, 1964), 27, 161 Spacek, S., 20, 24, 43 Spagnolo, M., l20n Spielberg, S., 24, 29n, 33, 34n, 160, 176, 178 en Spreafico, A, 17n Squalo, Lo {Jaws, S. Spielberg, 1975), 24

Stagecoach, vedi Ombre rosse Sunton, H. D., 20n, 21 Surfweather, C., 23

Surrett, J., 21 Stay Hungry, vedi Un autentico campione Steinbeck, J„ 29, 44. 45 e n. 56, 95, 110. II In, 147 en Steiner, G., 199 e n Stevens, G., 20, 29, 48, 104 e n, 108 Stevens, G. Jr., 20 e n Stone, O., 84, 162 Storia vera, Una ( The Straight Story, D. Lynch, 1999) 20n, 43n Story ofG.L Joe, The, vedi l forzati della gforia Straight Story, The, vedi Una storia vera

Tabù (Tabu, E W. Murnau, 1931), 183.

212n Tarkovskij. A. A., 10 e n, 176. 189 e n.

190n. 218n Taxi Driver (id, M. Scorsese, 1976), 64 e n Taylor, E., 20 Terra, La (Zemlja, A. R Dovzcnko, 1930), 113 They Uve by Night, vedi La donna del bandito They Were Expendable, vedi / sacrificati di

Bataan Thieves Like Us, vedi Gang Thin Red Line, The, vedi La sottile linea rossa Thirty Seconds Over Tokyo, vedi Missione seg­ reta Thompson, J. L., I37n Thoreau, H. D., 18, 59,93n, 204n Thornton, B. B., 28n Tipton, G., 32 Tojo Hideki, 171 Toll, J.. 20n, 31, 187 Torres,]. J., 14

Tourneur,)., 101 Tranquillo week-end di paura, Un (Deliverance, J. Boorman, 1972), 60 Travolta. J., 25. 28, 159

True Romance, vedi Una vita al massimo Truffaut, E, 31 e n, 33n Turner, E J„ 93 Turioni, G., lOOn Twain, M., 29, 56 Twelve O’clock High, vedi Cielo di fiasco 2001: A Space Odissey, vedi 2001: Odissea nello spazio Ultima corvée, L‘ ( The Last Detail, H. Ashby, 1973), 34n Ultimo Eden, L’(Moana, R. J. Flaherty,

Sturges, J., 25 Sugarland Express ( The Sugarland Express, S. Spielberg, 1974), 34n Sugarland Express, The, vedi Sugarland

1926), 182 Ultimo metrò, L'(Ledemier mètro, E Truffaut, 1980), 31 n Undertow (D. G. Green, 2004), 28

Express

Ungaretti, G., 129 e n

247

1

I referenti del cinema di Malick sono i racconti fondativi come l'Iliade c la Bibbia; sono le icone (James Dean) e i mitologemi americani

(filosofici» letterari, pittorici, cinematografici); sono gli spiriti della filosofia occidentale (Eraclito e i “fisiologi’ greci, Heidegger) c. in misura

minore, del pensiero orientale (il Tao Teh-ching, le Upanipd, il Mahàb-

hàrata). Si tratta delle grandi narrazioni, degli archetipi che hanno fondato il nostro modo di essere al mondo, die hanno letto e interpretato j| HI * « - * . «• • • » ì Ù-L.__ ' ■ . ■ | VO

Francesco Cattaneo è nato a Bergamo nel 1978. Attualmente frequenta il Dottorato di Ricerca in Filosofia (Estetica) presso f Università di Bologna. I la

partecipato a numerosi volumi miscellanei con scritti su Martin Heidegger, il dibattito filosofico post i 1 settembre, Roland Barthes, André Bazin, Andrei Tarkovskij e Hou Hsiaohsien. Ha tradotto saggi di I lans-Gcorg Gadamer e

Fried rich-Wilhelm von Herrmann. Collabora con ‘'Estetica ", “Studi di estetica’ e “Cinefonim. I redattore di “Carte di cinema".

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