Tentazione di Siracusa 8857554376, 9788857554372


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Tentazione di Siracusa
 8857554376, 9788857554372

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JACQUES DERRIDA TENTAZIONE DI SIRACUSA A CURA DI CATERINA RESTA POSTFAZIONI DI ELIO CAPPUCCIO E ROBERTO FAI

"® MIMESIS I ETEROTOPIE

Il 18 gennaio 2001, su proposta del Collegio Siciliano di Filosofia, il Sindaco di Siracusa, Giambattista Bufardeci, conferiva la cittadinanza onoraria a Jacques Derrida. In quella memorabile occasione il filosofo franco-algerino tenne una con­ ferenza dal titolo Tentazione di Siracusa. pertinente metafora che evoca i cattivi rapporti intercorsi tra filosofia e politica che, a partire dai ricorrenti viaggi di Pla­ tone nella città siciliana, hanno scandito il tema della ricerca permanente della fondazione legittima del potere. Nel suo discorso, pronunciato in una città simbolo del Mediterraneo, Derrida indicava lucidamente alcune questioni - la crisi dello Stato-nazione, il tema della cittadinanza, delle frontiere, dell'ospitalità, del diritto d'asilo, dell'immigrazione, fra le altre - che, in torma ancor più drammatica, dopo 1'11 settembre, inquietano la nostra attuale condizione. Jacques Derrida {1930-2004) è uno dei principali protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo. Tra i suoi ultimi resti ricordiamo: Spettri di Marx {1993), Politiche dell'amicizia {1994), 11 mono/in· guismo dell'altro {1996), Cosmopc/iti di tutti i paesi, ancora uno sforzo! {1997), Addio a EmmanueJ Lévinas (1997), Stati canaglia (2003). Nel catalogo di Mimesis: Finnatopcnge (2010), •Il faut bi,m manger» o il calcolo del soaetto (2011), la cartolina. Da Socrate a Freud e al di I� (2017).

Mimesis Edizioni

ISBN 978-@8-S7�! 11d111n••-Ìlliu'-

JACQUES DERRIDA

TENTAZIONE DI SIRACUSA a cura di Caterina Resta postfazioni di Elio Cappuccio e Roberto Fai

� MIMESIS

Volume pubblicato con il contributo di:

MIMESIS EDIZIONI (Milano - Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Eterotopie, n. 525 lsbn:9788857554372 © 2018 - MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19- 20099 Sesto San Giovanni CMI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383

CATERINA RESTA

IL GUSTO DEL POTERE A distanza ormai di quasi vent'anni da quel 18 gennaio 2001 in cui, nella sala gremita del salone del Palazzo del Senato di Siracusa, a Ortigia, avem­ mo l'irripetibile occasione di ascoltare dalla sua viva voce la Lectio pronunciata da Jacques Derri­ da, in occasione del conferimento della cittadinan­ za onoraria, che cosa rimane delle sue parole, al di là del velo di tristezza che accompagna il ricordo di quel memorabile giorno? Dopo solo poco più di tre anni, il 9 ottobre del 2004, Derrida sarebbe pre­ maturamente scomparso, in un momento di grande vitalità del suo pensiero, lasciando un vuoto incol­ mabile. Allora, tuttavia, nessun presentimento poté offuscare la gioia e l'intensità di quel momento, la calorosa cordialità di quell'incontro, che, per me, sarebbe stato l'ultimo, con uno dei più acuti pensa­ tori del Novecento. A rileggerla adesso, mi sorprende soprattutto la straordinaria attualità di questa Lectio, segno evidente di quella eccezionale preveggenza che caratterizza, a mio avviso, tutta l'ultima fase del pensiero di Derrida. Vi sono infatti non dico affrontate, ma certo colte con estrema precisione, le sfide che il mondo glob'ale ci ha lanciato e che siamo ancora ben lontani dall'avere raccolto. Sfide con le quali Derrida si era già da tempo misurato, a partire dalla sorprendente e "inattuale" ri-

lettura "messianica" di Marx1 , in cui si denunciavano le "piaghe" della mondializzazione e si invocava una "Nuova Internazionale" degli "oppressi", al di là della tradizionale lotta di classe. Acutamente Derrida aveva anche saputo mettere in luce il ruolo· svolto, nel pro­ cesso di globalizzazione, dalle tele-tecnologie2 e si era pronunciato sulla necessità di pervenire ad un nuovo assetto mondiale, di rinnovata ispirazione cosmopoli­ tica3 . Ancora, nella seconda metà degli anni Novanta, attraverso un ascolto sempre più profondo, fino alla consonanza, del pensiero di Levinas4, Derrida aveva approfondito e radicalizzato il tema dell 'ospitaJità5,fa­ cendo di questa parola non solo la chiave ermeneutica privilegiata di accesso alla filosofia levinassiana, ma

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J. Derrida, Spectres de Marx. L'État de la dette, le tra­ vail du deuil et la nouvelle Jnternationale, Galilée, Paris 1993; tr. it. di G. Chiurazzi, Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuova Internazionale, Cortina, Milano 1994. J. Derrida-B. Stiegler, Échographies de la télévision. En­ tretiensfilmés, Galilée-INA, Paris 1996; lr. it. di L. Chiesa e G. Piana.Ecografie della televisione,Cortina, Milano 1997. J. Derrida, Cosmopolites de tous les pays, encore un effort!, Galilée, Paris 1997; tr. it. di. B. Moroncini, Co­ smopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo!, Cronopio, Napoli 1997. J. Derrida, Adieu à Emmanuel Uvinas, Galilée, Paris 1997 ; tr. it. di S. Petrosino e M. Odorici, Addio a Em­ manuel Uvin�s, Jaca Book, Milano 1998. J. Derrida-A. Dufounnantelle,De l'lwspitalité, Calmann­ Lévy, Paris 1997; tr. it. di I. Landolfi, Sull'ospitalità. Le riflessioni di uno dei massimi filosofi contemporanei sulle società multietniche, Baldini & Castaldi, Milano 2000.

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anche un nuovo termine del proprio lessico filosofico, capace di decostruire le derive identitarie e di suggeri­ re un'altra politica del confine e dell'accoglienza dello Straniero. Prima di concepire la relazione con l'estra­ neo nella forma oppositiva ed escludente dell'ostilità e del rigetto immunitario, prima che la contrapposizio­ ne delle differenze inneschi guerre identitarie, questa ospitalità esibisce la costitutiva esposizione all'evento dell'altro6 , un'accoglienza cui è impossibile sottrarsi e che depone la presunta sovranità assoluta del Sogget­ to. Aprirsi all'evento dell'altro significa infatti speri­ mentare il non poter più potere. A partire da queste ultime tappe del suo cammino di pensiero Derrida giungeva, all'inizio del 2001, a Siracusa. Anzi, dovremmo piuttosto dire "approda­ va'' sull'isola di Ortigia, provenendo non dal Nord, non da Parigi, ma ancora da più a Sud, dall'altra sponda del Mediterraneo, come tenne a precisare nel suo discorso7 , da quell'Algeria che gli diede i natali, da genitori di origine ebrea sefardita. Questa prove­ nienza mediterranea8 , rievocata e rivendicata anche 6

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Ho approfondito questi temi in C. Resta, L'evento dell'altro. Etica e politica in Jacques Derrida, Bollati Boringhieri, Torino 2003, cui mi permetto di rinviare. "Contrariamente a ciò che alcuni di voi potrebbero pen­ sare, non vengo dal nord. Non vengo da Parigi.ma dal sud della Sicilia. Vengo da Algeri dove sono nato e che non avevo ancora lasciato (lo feci solo sei anni dopo) quando sentii parlare di Siracusa per la prima volta in vita mia" (J. Derrida, Tentazione di Siracusa, infra, p. 21). Ha accuratamente fatto emergere i numerosi fili che le­ gano il p ensiero di Derrida al Mediterraneo S. Geraci, a

in altre occasioni9, così intensarpente avvertita da Derrida a Siracusa, tanto da fargli percepire come uno "stretto" quel braccio di mare che si interpone tra Sicilia e Algeria, non rappresenta soltanto la ri­ scoperta di un'affinità di paesaggi e di orizzonti, ma la' consapevolezza di appartenere ad un pluriverso cosmopolitico caratterizzato dall'innesto e dalla stra­ tificazione storica di retaggi culturali differenti, che pure, attraverso questo mare, culla dell'Europa, han­ no trovato forme possibili di ca-esistenza. Ma la traversata mediterranea di Derrida, il suo viaggio verso Siracusa, non poteva non evocare il fantasma di Platone. Quasi a volerlo immediatamente esorcizzare, Derrida proclama, fin dalle prime battute del suo discorso, la propria innocenza, come premu­ nendosi di fronte a un sospetto, a un'accusa da cui si sente minacciato, dal momento che, da Platone a Hei­ degger, come subito denuncia, essi gravano su tutti i filosofi. Come fosse un imputato chiamato a difendersi da una ingiusta condanna che pende sul suo capo e volesse discolparsi per una colpa che non ha commes­ so, Derrida esclama: "Giuro che sono innocente!" 10• A differenza di Platone e di tanti altri filosofi dopo di lui, si affretta a dichiararsi esente da quella che, a tutti gli 9 10

Jacques Derrida e i bordi del Mediterraneo, "Quaderni di

Inschibboleth", 2, 2013. Cfr. ad es. J. Derrida, Le mo,wlinguisme de l'autre ou la prothèse d'origine, Ga!ilée, Paris 1996; tr. it. e cura di G. Berto, Il monolinguismo dell'altro o la protesi d'origine, Cortina, Milano 2004. J. Derrida, Tentazione di Siracusa, infra, p. 19. 10

effetti, è sempre stata la tentazione per antonomasia del filosofo, la tentazione di "amare il potere e di non confessare il gusto del potere che lo rode in segreto"ii, quella di voler vestire i panni del sovrano o di aspira­ re a diventarne il consigliere e il suggeritore. Non è difficile credere a Denida quando, a scanso di equi­ voci, ci avverte: "Vengo a Siracusa senza una tale tentazione'' 12, perché tutto quanto ha scritto e pensato attesta semmai il contrario, una passione opposta al gusto del potere, quella per l'impossibile, per il non­ potere i3 . Non sono certo più i tempi dei filosofi-re e di sicuro non dovremmo rimpiangerli. La storia di questa tenta­ zione, assecondando la quale Platone mise a repenta­ glio la sua stessa vita e Heidegger la sua reputazione, proponendosi, seppure per un breve periodo, come Fuhrer dell'ideologia nazionalsocialista, nel tentativo fallito di volerle imprimere la propria direzione, può dirsi probabilmente ormai chiusa per sempre. Ma, in realtà, non è tanto la seduzione del potere, di cui Derrida si affretta a dichiararsi esente, il vero oggetto della sua Lectio, la quale, sgomberato il cam­ po da questo legittimo sospetto, intende, certo, parlare ancora del potere, ma sotto un altro aspetto. 11 12 13

lvi, p.22. Ivi,p.25. Ho proposto di rileggere in questa chiave il pensiero di Derrida in C.Resta, La passione dell'impossibile. Saggi su Jacques Derrida, il melangolo, Genova 2016, cui mi permetto di rinviare. Il

Le domande cruciali che essa ci pone, come del re­ sto emerge da tutti gli interventi di Derrida, con sempre maggiore insistenza, almeno a partire da Spettri di Marx e Politiche dell'amicizia14, sono piuttosto: come pensa­ re il Politico nel tempo della mondializzazione? Come �nsare quella alleanz.a tra Stato, territorio e sovranità che lo ha caratterizzato per tutta l'Età moderna? E, in­ fine, come ripensare la cittadinanza, fin dalla Rivolu­ zione francese legata indissolubilmente alle sorti dello Stato-nazione, alla luce dell'attuale crisi della sovranità statale? Sono questi gli interrogativi che Derrida inten­ de rivolgere al suo uditorio, nel giorno in cui riceve la cittadinanza onoraria di una città posta sull'altro bordo del Mediterraneo, nel giorno in cui diventa cittadino di Siracusa, aggiungendo questa città alle altre di cui in passato e al presente, può dirsi cittadino. Che cosa si­ gnifica essere cittadini di più di una città, di più di uno stato, oppure, addirittura, essere cittadini del mondo, al di là del vincolo esclusivo ad uno specifico tenitorio o ad uno stato? Che cosa significa non avere nessuna citta­ dinanza, esserne privi, essere o diventare a-po/idi, senza città o stato cui appartenere e a cui chiedere protezione? Se la mondializzazione -termine che, per il suo rife­ rimento al "mondo", viene preferito da Derrida rispetto a quello di globalizzazione-ha scosso dalle fondamenta la spazialità politica, quella che Derrida altrave ha chiamato

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J. Derrida, Politiques de l'amitié, Galilée, Paris 1994; tr. it. di G. Chiurazzi, Politiche dell'amicizia, Cortina, Mi­ lano 1995. 12

la "topolitica"" moderna, ossia il connubio indissolubile di sovranità e territorio che si realizza nella statualità, ed il politico subisce una radicale deterritoriali.zzaz.ione, è giunto il tempo di "abbandonare l'orbita della filosofia politica di tradizione platonica"16, che si prolunga fino all'età moderna. Né il modello della polis, né quello dello Stato sono più in grado di resistere alla crisi di sovranità scaturita dall'evanescenza dei confini. Travolti dal flus­ so inarrestabile delle informazioni e delle comunicazio­ ni, veicolate dai nuovi dispositivi tele-tecnologici, e dal flusso, altrettanto intenso, del capitale, i confini non rie15

Così Derrida spiega il significato di questo neologismo: "Ciò che si chiama politica non può più essere legato, nella sua concezione stessa - com'è sempre stato finora al presupposto di un luogo, di un territorio e di una dimen­ sione statale.[...] È diventato impossibile pensare come si faceva un tempo la questione del luogo - del luogo politico in particolare, del luogo della politica e dell'aver luogo della politica" (J. Derrida-É. Roudinesco, De quoi demain ... Dialogue, Fayard-Galilée, Paris 2001; tr. it. di G. Brivio, Quale domani?, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 137). E ancora: "il politico non ha più luogo, se posso dire, non ha più topos stabile o essenziale. È senza territorio, sradicato dalla tecnologia, dall'accelerazione e dal) 'estensione inaudite delle distanze telecomunicazio­ nali, dall'irresistibile processo di delocalizzazione.[ ...] Il politico oggi non è più circoscritto dalla stabilità che lega lo Stato alla terra, al territorio, al terreno, alla fr9ntiera terrestre, né all'autoctonia" (J. Derrida, Inconditionnalité

ou souveraineté. L'Université auxfronti�res de l'Europe,

Patakis, Athènes 2002; tr. it. e cura di S. Regazzoni, In·

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condizionalità o sovranità. L'Università alle frontiere dell'Europa, Mimesis, Milano 2006, p. 36). J. Derrida, Tentazione di Siracusa, infra, p. 26. 13

scono più a delimitare lo spazio di una sovranità statale. che viene continuamente "superata" e attraversata da mo­ vimenti trans-nazionali e messa in questione da istanze sovra-nazionali, come i Tribunali penali internazionali o fe organizzazioni non governative. D'altro canto, in as­ soluta antitesi rispetto a questo processo, si moltiplicano reattivamente, e spesso regressivamente, le richieste di trinceramento protezionistico entro le mura domestiche di una sovranità statale da resuscitare e si intensifica, con­ testualmente, l'erezione di argini, barriere, muri difensivi materiali e simbolici per bloccare i flussi migratori. Derrida è stato tra i primi a cogliere la complessità delle spinte e delle controspinte provocate dalla mon­ dializzazione, mostrando quanto sia complicato dare una risposta univoca ai problemi che esse solleva­ no, divenuti oggi più-che mai attuali. Anche in questa Lectio non propone scorciatoie, né facili soluzioni, ma indica tuttavia una prospettiva: la necessità, innanzi­ tutto, di ''un'altra figura di un'alleanza tra la filosofia e la politica"17, che si lasci definitivamente alle spalle la tentazione di Siracusa e l'inconfessabile gusto del po­ tere che in segreto ogni filosofo coltiva in sé. Non si tratterebbe di elaborare una nuova - l'ennesima - filo­ sofia politica, ma di ripensare il nesso profondo che, fin dalla sua origine, nella polis di Atene, coniuga filosofia e politica nell'invenzione della democrazia. Una nuova alleanza tra filosofia e politica non può avvenire - sug­ gerisce Derrida - se non a partire da una decostruzione e da un rilancio iperoolico di ciò che il nome 'democra17

Ivi,p.27.

zia' ha ancora da dirci. Una "promessa" di democrazia che, per Derrida, resta sempre "a venire" 18, ma la cui urgenza, al tempo stesso, è assoluta e improcrastinabi­ le. Questa democrazia a venire fa appello, al di là dello Stato-nazione e al di là del concetto classico di cittadi­ nanza limitato dai suoi confini, ad "una nuova era della cittadinanza cosmopolita" 19 e a "nuove leggi d'ospitali­ tà internazionale: una nuova ospitalità per lo straniero, per lo xenos divenuto philos''20, una cittadinanza che, travalicando i confini degli stati, non più legata ai miti dell'autoctonia, del sangue e/o del suolo, né ad alcun fantasma biologistico di nascita e di nazione, si sottrag­ ga alla logica dell'inclusione/esclusione. "È un'espe­ rienza inedita, inaudita dell'ospitalità, del diritto d'asilo e delle frontiere che si prepara"21, preannuncia Derrida, concludendo il suo discorso. Non senza amarezza e preoccupazione occorre os­ servare che, a quasi vent'anni di distanza, siamo ri­ masti sordi rispetto a questo annuncio, che assume il 18

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Sulla democrazia a venire si veda in particolare J. Derri da, Voyous. Dew: essais sur la raison, Galilée, Paris 2003; tr. it. e cura di L. Odello, Stati caTUJglia. Due saggi sulla ragione, Cortina, Milano 2003. Per un'analisi del plesso di questioni e delle implicazioni politiche che-ruotano in­ torno a questa espressione si vedano gli interventi raccolti in AA.VV., La démocratie à venir. Autour de Jd.cques Derrida, sous la direction de M.-L. Mallet, Galilée, Paris 2004 e S. Regazzoni, Derrida. Biopolitica e democrazia, il melangolo, Genova 2012. J. Derrida, Tentazione di Siracusa, infra, p. 27.

Ibidem.

lvi, p. 28.

tono quasi profetico di un auspicio e di una promessa rimasti finora inascoltati. Oggi più che mai in Italia, come in Europa o in America. Forse anche per que­ sto è necessario farlo risuonare ancora una volta, nella �peranza che ci sia qualcuno disposto ad accoglierlo. Perché senza ospitalità non vi può essere a venire.

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JACQUES DERRIDA

TENTAZIONE DI SIRACUSA

Signor Sindaco, Signor Presidente della Provincia, Signor Assessore, Cari amici. Perché sono venuto a Siracusa? Senz'altro, per ri­ spondere ad un invito che mi onora e mi emoziona pro­ fondamente, anche se non sono sicuro di esserne degno. Ma sono venuto a Siracusa per dirvi, sotto giura­ mento, e in segno di riconoscenza: "Giuro che sono innocente!". Innocente di cosa? Si noti che dico proprio innocente e non dico nudo, benché si asso­ ci spesso l'innocenza alla nudità, cioè alla verginità, ali' età del!' oro del paradiso terrestre. Sono innocen­ te, ma lo confesso non sono nudo, e ve ne dirò man mano le ragioni. Evito innanzitutto di parlare di nudità affinché non mi si accusi di esibizionismo. Evito soprattutto di pre­ tendenni nudo affinché non si sospetti neanche lonta­ namente che io imiti il vostro Archimede. Lo vedo sempre nudo il vostro Archimede. È come un'allucinazione. Cammino dietro di lui, lo seguo per strada, lo rivedo nudo nell'episodio della corona d'oro o d'argento di Gerone, re di Siracusa. Uscendo dal suo bagno, dopo aver scoperto il principio che porta il suo nome, vale a dire che il corpo immerso nel!' acqua era più leggero che sulla terra, esclamò, il vostro immen­ so antenato, correndo svestito per la strada: "Ei>pTJKa! EupTJKa!". Ma senza identificanni in lui, purtroppo,

provo nondimeno, nel cuore della mia allucinazio­ ne, questa vergogna di cui Freud ci ha molto parlato nella Traumdeutung, a proposito dei sogni di nudità. Sogniamo di essere nudi, e il più delle volte, sottoli­ nea Freud con molta insistenza, è da parte di estranei [Fremde] che siamo osservati. Che siano estranei e che sembrino spesso indifferenti a questa situazione imba­ razzante "dà da pensare" (Das gibt zu denken], dice Freud. Forse all'ospitalità e alla politica. Dal momento che è sulla sovranità, sulla cittadinan­ za, sulla civiltà e sulla cosa politica che vorrei breve­ mente, e in segno di gratitudine, intrattenervi, attiro la vostra attenzione su un solo indizio. È sulla base di questi sogni di ;vergogna o di confusione a causa del­ la nudità [Der Verlegenheitstraum der Nachteit] che Freud evoca Gli abiti nuovi dell'Imperatore. Questa favola di Andersen mette in scena, come sappiamo, degli impostori che tessono per l'Imperatore un ve­ stito prezioso, vedono il vestito che resta invisibile e lascia il Re nudo per gli altri, per i cattivi sudditi che simulano di non accorgersi che il re è nudo. Vi è più di una lezione politica da trarre da questa favola. Non vuole solamente dire che i buoni cittadini si illudono sul sovrano, di cui non vedono la nudità, e che bisogna essere un cattivo cittadino, un suddito indocile per ve­ dere la nudità del sovrano, la sua impotente nudità- o per fingere di non vederla. Ora, nelle vesti della mia professione di innocenza, innocente ma vestito, mi devo spiegare e invocare al­ meno le circostanze attenuanti, anche a costo di mette­ re alla prova la vostra pazienza. 20

Molto tempo prima di me, qualcuno ha detto quanto segue, che voglio citare in lingua originale: "OTe yò.p KQ.'t' àPXò.ç &iç !:upa.Koucra.ç tycò Ò.