Teatro scuola vedere fare. Spazi, pratiche estetiche per una poetica pedagogica 9788820767990, 9788820768811

Nel nome della ricerca pedagogica e artistica, si propone al lettore di entrare e di conoscere il progetto Teatro Scuola

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INDICE
Il buio vuoto re lu primmo passo - Mimmo Borrelli
PREFAZIONE - Maria Grazia Riva
NOTE PER I LETTORI CON RINGRAZIAMENTI
TEATRO SCUOLA VEDERE FARE - Spazi pratiche estetiche per una poetica pedagogica
INTRODUZIONE - Per una poetica delle nuove generazioni
Quale Teatro e quale Scuola. Per una decostruzione del dispositivo educante
I perché del Teatro-Scuola. Per una politica dell’educazione
In action. L’attivismo pedagogico prende corpo tra vedere e fare
L’arte di tras-formare con Teatro Scuola Vedere Fare. Note metodologiche
Frammenti di un discorso con il gruppo degli insegnanti partecipanti a Teatro Scuola Vedere Fare
BIBLIOGRAFIA
VOCI DAL PROGETTO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE
Il ‘vedere’: per una Didattica della Visione. Appunti da una conversazione con Giorgio Testa
Appunti sul ‘fare’: il Teatro-Laboratorio a Scuola e la Scuola-Laboratorio a Teatro - Salvatore Guadagnuolo
Tra teatri e scuole: tessere comunità. Appunti da una conversazione con Morena Pauro
MATERIALI DAL PROGETTO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE
Teatro Scuola Vedere Fare. I partecipanti e i programmi delle attività a cura di Casa del Contemporaneo,le Nuvole, Agita, Casa dello Spettatore, SAT
Teatro Scuola Vedere Fare. Napoli ottobre 2014 – maggio 2015
Teatro Scuola Vedere Fare. Napoli ottobre 2015 – maggio 2016
Teatro Scuola Vedere Fare. Napoli ottobre 2016 – giugno 2017
Teatro Scuola Vedere Fare. Napoli ottobre 2017 – giugno 2018
Il buio vuoto re lu primmo passo di Mimmo Borrelli
Quarta di copertina
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Teatro scuola vedere fare. Spazi, pratiche estetiche per una poetica pedagogica
 9788820767990, 9788820768811

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CARTOPEDAGO GRAFIEGICHE Maria D’Ambrosio Documento acquistato da () il 2023/04/27.

Teatro Scuola Vedere Fare Spazi pratiche estetiche per una poetica pedagogica

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Cartografie pedagogiche Collana diretta da Fabrizio Manuel Sirignano e Pascal Perillo

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fondata da Elisa Frauenfelder e Ornella de Sanctis

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La Collana Cartografie pedagogiche rappresenta lo sviluppo del volume annuale Quaderni F. Cartografie pedagogiche, nato nel 2007 e ideato da Elisa Frauenfelder nel Laboratorio di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, con l’intento di dare voce alla giovane ricerca educativa, nazionale e internazionale.

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Fabrizio Manuel Sirignano e Pascal Perillo, ereditando lo spirito dei Quaderni F, che per la loro Maestra significava Quaderni della Formazione, continuano con questa Collana a perseguire l’obiettivo di documentare la ricchezza e la pluralità degli studi e delle ricerche nel campo dell’educazione e della formazione, con particolare attenzione a quelle proposte che colgono le dimensioni più attuali del nostro tempo complesso e in continuo mutamento. Si accolgono, pertanto, pubblicazioni tese ad aggiornare progressivamente la cartografia degli studi che configurano l’articolato panorama della pedagogia, tanto sul piano teoreticofondativo ed epistemologico-metodologico quanto sul piano empirico. I volumi pubblicati nella collana, dunque, oltre ad alimentare il dibattito della pedagogia contemporanea, si rivolgono a studenti di educazione e formazione, educatori, pedagogisti, insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado e a tutti coloro i quali sono indirizzati e/o interessati ad approfondire questioni di natura educativa e formativa.

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Cartografie pedagogiche

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Maria D’Ambrosio

Teatro Scuola Vedere Fare Spazi pratiche estetiche per una poetica pedagogica

Liguori Editore www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Con il contributo di



Direttori: Fabrizio Manuel Sirignano e Pascal Perillo Comitato scientifico:

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Enricomaria Corbi (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Maryvonne Charmillot (Université de Genève), Maria D’Ambrosio (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Elisa Frauenfelder (†) (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Patricia Delgado Granados (Universidad de Sevilla), Ornella De Sanctis (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Mariarosaria De Simone (Università degli Studi di Napoli Federico II), Maria Grazia Lombardi (Università degli Studi di Salerno), Eloy Lopez Meneses (Universidad Pablo de Olavide – Sevilla), Margherita Musello (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Pascal Perillo (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Francesca Pulvirenti (Università degli Studi di Catania), Fernando Sarracino (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Fabrizio Manuel Sirignano (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Rosabel Roig Vila (Università di Alicante), Maria Teresa Trisciuzzi (Università degli Studi di Bologna). I volumi di questa collana sono sottoposti a un sistema di double blind referee.

Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf). L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=contatta#Politiche Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2019 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Febbraio 2019 D’Ambrosio, Maria : Teatro Scuola Vedere Fare. Spazi pratiche estetiche per una poetica pedagogica/   Maria D’Ambrosio Cartografie pedagogiche Napoli : Liguori, 2019   ISBN 978 – 88 – 207 – 6799 – 0 (a stampa)   eISBN 978 – 88 – 207 – 6881 – 1 (eBook) 1. Estestica pedagogica  2. Embodied Education  I. Titolo  II. Collana  III. Serie Aggiornamenti: ————————————————————————————————––—————— 2024 2023 2022 2021 2020 2019    10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

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INDICE Il buio vuoto re lu primmo passo di Mimmo Borrelli

p. VII

Prefazione di Maria Grazia Riva

p.

Note per i lettori con ringraziamenti

p. XIII

IX

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TEATRO SCUOLA VEDERE FARE Spazi pratiche estetiche per una poetica pedagogica Introduzione Per una poetica delle nuove generazioni

p.

3

Quale Teatro e quale Scuola. Per una decostruzione del dispositivo educante

p.

7

I perché del Teatro-Scuola. Per una politica dell’educazione

p.

37

In action. L’attivismo pedagogico prende corpo tra vedere e fare

p.

55

L’arte di tras-formare con Teatro Scuola Vedere Fare. Note metodologiche

p.

61

Frammenti di un discorso con il gruppo degli insegnanti partecipanti a Teatro Scuola Vedere Fare

p.

71

Bibliografia

p.

75

Il ‘vedere’: per una Didattica della visione Appunti da una conversazione con Giorgio Testa

p.

81

Appunti sul ‘fare’: il Teatro-Laboratorio a Scuola e la Scuola-Laboratorio a Teatro di Salvatore Guadagnuolo

p.

89

Tra teatri e scuole: tessere comunità Appunti da una conversazione con Morena Pauro

p.

93

Teatro Scuola Vedere Fare. I partecipanti e i programmi delle attività a cura di Casa del Contemporaneo, le Nuvole, Agita, Casa dello Spettatore, SAT

p.

99

Il buio vuoto re lu primmo passo di Mimmo Borrelli

p. 139

VOCI DAL PROGETTO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE

MATERIALI DAL PROGETTO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE

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Il buio vuoto re lu primmo passo

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di Mimmo Borrelli Il buio vuoto re lu primmo passo ’ncopp’ ’i tavule ’i ponte r’ ’u triato l’abbisso verso ’u scuro re lu spasso a lu liceo scientifico m’è nato. Dint’ ’a na voce ca se move ancore grazie a chell’arta sana di chi insegna ca nun fuje sulo de nu prufessore ma ’i n’angelo allummato ra ll’impegna preso nei confronti ’i chella fiducia ca isso a mene dette e je a isso, Ernesto, amico, faro ca anco’ abbrucia: ’a respunzabilità ca m’ha fatto aggrisso, autore furibondo e ppo’ scrittore primma po’ d’essere studente e attore. ’A Napule succere, ’u quatto ’i maggio, ca fosse ghiuorno un tempo deputato a lu trasloco, ’u sfratto, po’ l’ingaggio de n’autra “cas’affitto” cu ’a mesata. Nu vuciamiento re ghiastemme e resate de gioia ’i chi nu suonno corre appriesso, ma nun sape chistu suonno addo’ risciate e addo’ ronfa l’applauso ’i nu pruciesso ca ’u pubblico pò ffa’ si nunn’approva si te lamiente senza maje fa asci’ ll’anema r’ ’u cuorpo ca se gnova a la menzogna ca nun se po’ arapi’, a chella verità ca te cummove o face rirere e li viscere move. Chillu maggio r’ ’u nuvantotto fuje l’anniversario de nu cambiamento de chell’arte ca mo’ cchiù nun me sfuje: la scoperta re lu mio talento. VII www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

All’Edenlandia purtajemo n’Inferno no de Dante, ma re guagliunera cu la passione viva de lu scherno e li suonne all’uocchie de chi spera. In platea ’nce stevano li scole ca contro a lloro gariggiate avevemo e ce vulevano lincia’ cu na mazzola e nuje cacate sotte ce futtevemo. Ma la paura move chi ’u curaggio tene ’ncuorpo zumpanno all’arrembaggio.

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Chi è di scena! Buio. Buio, luce. Quando alle luci nun si’ abbituato, chillu ppiccì te blocca e maje cunduce verso ’u proscenio al verso destenato. Staje ’ncopp’a luna e cammin’a vacante. Luce che ti acceca e nun da viste e renne l’attore avero prencepiante; ’a primma ghiastemma fuje senza Ggiesucriste. Ma cu tutt’ ’i Sante ca fratemo Giuseppe ’a cielo scenneva, pecché pe’ la tenzione ’nz’arricuradava li battute a ceppe: ma ’mpruvvisaje, pe’ tanno, n’atu cupione e ce diette corda, spalla e suggerimento e vencietteme ’i rrisa de stu cumbattimento. Lu trufeo apprimma fuje ’u silenzio po’ lu sbattere li mane e ’u nomme mie. Me manca chella gioia de lu cunzenzio libbero ra lu mestiere e ’a frennesie. Me manca chella passione snaturata: quanne li suonne se fanno rialità te n’hia ’nventa’ sempe uno aropp’a n’ate, pe’ vence ’u macigno r’ ’a respunzabbilità. Ma chella fuje sulo ’a primma sciorta ’a primma luciarìa ammiez’a ll’ombre ’a primma luce ca scunturnaje ’a morte ca ’u fallimento primma o poi salda sgombre al radiare immerso nell’arte del fare: sacrificarsi e a volte emozionare. VIII www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

PREFAZIONE di Maria Grazia Riva «lavorare un concetto significa farne variare l’estensione e la comprensione, generalizzarlo incorporandovi tratti d’eccezione, esportarlo fuori della sua regione d’origine, prenderlo come un modello o viceversa cercargli un modello, in breve conferirgli progressivamente, attraverso trasformazioni regolate, la funzione di una forma»

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(Canguilhem, 1963, p. 26)

Un libro come questo che ‘lavora’ sui concetti di teatro e di scuola dà occasione per tematizzare e legittimare la ‘materialità educativa’ come pista epistemologica percorsa sin dalla classicità e oggi emergente come necessità nel contemporaneo. Necessità cui contribuisce anche l’attuale scenario definito dalla recente normativa sul riconoscimento della figura professionale dell’educatore e del pedagogista (L. 205/2017), per la quale le professioni educative sono individuate come strumenti da introdurre nelle Istituzioni, con particolare riferimento a quelle educative e formative, per rigenerarne l’organizzazione in chiave di benessere sociale. La rigenerazione delle Istituzioni educative e formative ha rilevanza sociale ed è parte di un progetto ambizioso che coinvolge la materialità e le pratiche dei professionisti dell’educazione, la cui dimensione corporea è chiamata a realizzare spazi immaginativi e a produrre nuove realtà. Sembra cioè di poter cavalcare il sogno, di poterlo realizzare, di sviluppare cioè la capacità, propria della pratica attoriale e performativa, di usare gli oggetti per agire in senso drammaturgico rispetto al mondo. Come direbbe Winnicott (1971), il soggetto che sogna possiede una collocazione creativa che sperimenta in quello spazio-tempo che chiamiamo gioco e che rende possibile l’atto creativo e il suo divenire teatro. In linea con le questioni sempre attuali della Scuola Attiva, si torna con questo testo a fare spazio alla responsabilità dell’eroe tragico e al suo impegno nel sottrarsi alla spinta deterministica e al volere di altri. Si tratta di questioni che recuperano con Riccardo Massa (1997) l’interrogativo relativo a Educare o istruire? e rimettono al centro della riflessione pedagogica la ‘forma-scuola’ e la necessaria riconfigurazione del dispositivo educativo che vi è sotteso. La forma-scuola può infatti trovare nel teaIX www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tro quella forma non disciplinare che chiama l’attore a dare forma alla vita del personaggio, esponendosi per gioco allo sguardo inverante di un altro. L’interesse per le diverse forme-scuola e forme-teatro evidenzia l’attuale possibilità di dare forma a uno spazio di intervento che è anche spazio di ricerca e setting per un lavoro clinico che investe i professionisti dell’educazione che, come artisti in scena, ripresentano esperienze per produrre nuovi significati. Si tratta come di entrare e svelare un teatro interiore, dando voce ciascuno ai propri antenati sentendosi dentro dei legami che guidano, sollecitano oppure opprimono. Il teatro è quella forma di Scuola Attiva dove la messa in scena è parte di rappresentazione che è soprattutto costruzione, o più propriamente, co-costruzione, e che consente di ‘lavorare’ il concetto di Teatro e quello di Scuola nella loro comune matrice intersoggettiva, permettendo all’attore di cogliere il suo essere, al contempo, soggetto e oggetto di osservazione. Pertanto Teatro e Scuola si propongono come territori dove l’osservazione è categoria fondante il fare e il pensare e dove si fa spazio ad una riflessione pedagogica che, con Dewey, fa risuonare l’educazione con la comunicazione. Lungo la stessa traiettoria epistemologica, il Teatro è parola-chiave da intendersi come metafora e come pratica sociale che dà forma alla Scuola Attiva e propone il vedere-fare anche come segno di una scelta metodologica che spinge a realizzare incontro, dialogo, relazione, senza omologazione né con-formazione. L’eredità di Riccardo Massa e dei suoi studi sul rapporto tra teatro, educazione, formazione e pedagogia ritorna e rivela la natura extra-ordinaria tanto del teatro quanto dell’educativo e della formazione. Si tratta di un’eredità connessa a quella genealogia di studi cui si deve la sovrapposizione di teatro e scuola in quanto dispositivi pedagogici attraverso cui ripensare all’attore e alla scena, ovvero al loro rapporto vitale, come condizione per tornare alla ‘realtà’, essendo in grado di lasciar traccia ed emergere sulla scena come Darstellung. L’azione in scena dimostra il superamento della irrappresentabilità del teatro interiore e l’apertura ad un lavoro sul simbolico e il linguistico che fa dell’azione quel piano oggettuale attraverso cui è possibile una transazione. In questo testo compaiono o sono sottesi grandi maestri del teatro del Novecento insieme ai maestri del pensiero che hanno animato la riflessione filosofica e pedagogica novecentesca: la loro ‘presenza’ aiuta a rileggere l’educazione e la formazione, parimenti alla messa in scena, come processi complessi e quindi non riducibili a questa o quella dimensione – il testo/programma, il regista/maestro, l’attore/allievo – per X www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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poterli figurare nell’insieme come sistemi o ‘apparati simbolici’. La loro metodo-logica può dirsi co-costruttiva e preparare a decostruire/ricostruire altri apparati, macchine, giochi, necessari all’esperienza formativa e alla sua ‘umanità’. Il teatro suona quindi come apparato, macchina, gioco, che rivela quello che Althusser chiamava ‘circuito e reticolo relazionale’, e che si dà come ‘oggetto’ dentro cui la scienza pedagogica può afferrare, comprendere e legittimare la materialità educativa e la sua consistenza agente-agita. L’arte e la pratica teatrale sono proposti lungo tutto il testo come quello spazio in cui il sapere pedagogico s’apre alle questioni metodologiche, alla performance, alla rappresentazione (Darstellung) e sostanzia la praticabilità, pure mobile, obliqua e rarefatta, di una epistemologia che è ricerca clinica e di un pensiero che è critico, riflessivo, comprendente. L’educazione non è risolta né dissolta nelle questioni tecniche o di ‘metodo’. L’educazione, come la pedagogia, si prende lo spazio necessario per fare della ‘scena’ la metafora per unire arte e scienza utilizzando corpo, materia e simbolo in un pensare-fare che è anche vedere-fare e si qualifica come tratto contemporaneo di una epistemologia incorporata nell’agire prassico ermeneutico. Pertanto teatro e scuola sono riattraversati da una sguardo pedagogico che restituisce senso e necessità alla comunità, così da fare spazio alla formazione come a quel processo continuo e transgenerazionale che chiama ad una poetica e ad una progettualità come stato permanente del vivente. Uno spazio dunque che riguarda l’umano, la sua situata soggettività, che della formazione afferma l’importanza, appunto, della formazione dei formatori e che elegge il teatro ad habitat o ambiente educativo e riconfigura la scuola come comunità di maestri e allievi, il cui esito è ascrivibile ad una certa pedagogia degli ambienti educativi (Gennari, 1997).

Bibliografia Canguilhem, G., 1963, Dialectique et philosophie du non chez Gaston Bachelard, «Revue Internationale de philosophie»; trad. it. in: AA. VV., Cahiers pour l’analyse. Scritti scelti di analisi e teoria della scienza, Torino, Boringhieri, 1972. Gennari, M., 1997, Pedagogia degli ambienti educativi, Roma, Armando. Massa, R. 1997, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Roma-Bari, Laterza. Winnicott, D., 1971, Gioco e realtà, tr. it., Roma, Armando Editore, 2006.

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NOTE PER I LETTORI CON RINGRAZIAMENTI

Il teatro e la scuola appartengono a tutti, ognuno ne ha un’esperienza e una sua personale variazione, ha parole diverse per dirlo e ne incarna la molteplice differenza e imprevedibilità degli esiti. Il teatro e la scuola appartengono al vissuto di ognuno, ne sono lo spazio vitale e non-ordinario, la soglia oltre la quale ci si trova esposti ad un altro in un gioco di reciproca presenza che sovverte l’ordine delle cose per istituire quello dell’incontro e quindi del transito, del divenire, del trasformare. Il teatro e la scuola sono dunque i dispositivi attraverso cui il pedagogico si realizza. Per questo il libro sa di incrociarsi con diverse scuole e con diversi teatri ma lascia intravedere in filigrana la genealogia del teatro e della scuola che appartengono all’esperienza di chi lo ha scritto e di quelli che ne sono i protagonisti, così da accendere un confronto e una riflessione su quale sia il progetto pedagogico cui ciascuno dà corpo, avendo scelto la scuola o il teatro come spazi privilegiati per realizzarlo. Il libro utilizza il progetto di Teatro Scuola Vedere Fare, che ha compiuto quattro anni di attività e si appresta ad avviarne un quinto con la vocazione di segnare tangibilmente una positiva e virtuosa interazione tra Teatro e Scuola, come pretesto per avvicinare lo spazio della ricerca epistemologica e metodologica pedagogica con quello delle pratiche scolastiche e teatrali e vederne emergere un territorio ampio e plurale abitato da una comunità che ha individuato nella necessità di rigenerarsi anche l’opportunità di aprire spazi non canonici, fuori dai luoghi comuni, dove prende voce il poeta con le sue liriche e i suoi canti e smuove l’ordine delle cose per aprire a un altro giorno felice! Il libro non erige statue e non invoca alla contemplazione, né tantomeno invita alla ripetizione automatica di un modello, bensì è prova della possibilità di fare scuola e di fare teatro guidati da un’etica della partecipazione che genera una estetica della creazione, lungo la traiettoria che unisce vedere e fare nel processo vitale da cui emerge l’essere e la sua intersezione tra attore e spettatore. Fare ricerca pedagogica attraverso l’arte e utilizzare l’arte per il suo potenziale pedagogico/trasformativo significa spostare l’asse delle scienze educative, quelle che hanno scelto una matrice biologica come loro stesXIII www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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so fondamento, verso il formante. Il formante che è concetto-chiave per ripensare l’essere e lo spazio/mondo attraverso il gesto performativo del prendere e dare forma. Essere come formante e spazioFormante attraversati dal pedagogico e dalla sua dimensione poietica, emergono da una ricerca, che è postura epistemologica necessaria al sapere/agire pedagogico, e incarnano la generatività dell’agire e la necessità di accrescerne il potenziale comunicativo che fa coincidere il concetto di vita con quello di teatro e quello di azione con interazione. Senza la macchina finzionale, senza l’immaginazione, senza l’incontro, la vita sarebbe solo un ‘nastro’ – come l’Ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett (1957) – mentre la tessitura e l’intreccio, come già nel nostro codice genetico, sono la condizione di un divenire non già definito dal copione ma che emerge dalla presa perturbante cangiante e mobile e si dà come manifesto inafferabile accadere. Il corpo, a scuola come a teatro, è splendore, è apparenza annodata e poi strappata e ricucita, è voce risonante mischiata ad altri voci e suoni il cui moto smuove altri corpi con-fusi e con-giunti a fare la differenza, a fare il molteplice della comunità. Il corpo di questo libro e le voci che custodisce disegnano un movimento circolare che s’apre e chiude con Mimmo Borrelli, con la sua lirica potente che non è scrittura, né letteratura, ma voce e canto. Lirica: l’improvviso possibile sacro del teatro. Dove c’è spazio solo per la necessità e dove pure gli eccessi, lo strabordare di quella voce e di quel canto, sono l’esatto punto da cui s’apre un’altra possibile strada da percorrere. Oppure è solo il richiamo che fa il canto che rivela il cammino del poeta: di quell’alunno di liceo che proprio a scuola col suo prof ha incontrato il teatro e poi, inquieto, non lo ha più lasciato. Con questo libro aspetto il buio vuoto del primo passo, come quello cui ci fa tornare Mimmo Borrelli, per ringraziare i maestri e le maestre con un inno alla gioia di averli incontrati e al volerne incontrare ancora. Un grazie a Giovanni Petrone che ha voluto che questo libro prendesse corpo. A Morena Pauro e alla sua instancabile forza. A Giorgio Testa e al suo felice sguardo sullo spettatore. A Salvatore Guadagnuolo e a Peppe Coppola e al loro tempo speso per rendere più leggero il mestiere degli altri. A Loredana Perissinotto, sempre presente e sempre preziosa complice.

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A Lucia Latour, alla sua ricerca e alla sua danza che tanto muovono il mio parkour. Alla pazienza di Maria Liguori e alla cura nell’ospitare un altro mio volume nella casa editrice Liguori. Ai dialoghi intessuti con Ornella De Sanctis. Le trame fitte. A Rena Mireska, a Ewa Benesz, a Vincenzo Pennella, ad Alfred Buchholtz e al mio teatro con loro. Alle guide preziose di Enrico Corbi, Fabrizio Sirignano, Vincenzo Sarracino. A Maria Grazia Riva per la vicinanza. Documento acquistato da () il 2023/04/27.

A Jole Orsenigo e alle nostre affinità elettive. A Vincenzo Moretti e alla sua cura per un #lavorobenfatto A tutte le insegnanti e ai loro alunni e alle famiglie, alle loro scuole, alle compagnie, agli attori e agli organizzatori. Alle luci che si sono accese e a tutto il buio e il silenzio che è servito a far splendere bellezza. A Stefania Maraucci e al Teatro Stabile di Napoli. All’ospitalità di Stefania Di Bartolomeo e della sua bella famiglia cilentana. Al tempo passato in scena e agli incontri del gruppo ‘embodied education’ a Casa Morra da aprile 2018. All’estate. Al sole. Al mare. Alle capre cilentane e a quelle sarde. Ai guerrieri giganti di Tharros. A tutto quello cui ho rinunciato per scrivere, appuntare, studiare, cercare. A tutto quello che sto ancora cercando.

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TEATRO SCUOLA VEDERE FARE

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Spazi pratiche estetiche per una poetica pedagogica

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INTRODUZIONE

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Per una poetica delle nuove generazioni Risuonano cariche di sacra istituzionalità la scuola e il teatro. E questo libro è un omaggio alla bellezza e alla gioia della scuola e del teatro, da cercare anche fuori dagli edifici che provano a ‘contenerne’ materialmente la missione formativa. Perché ogni spazio può farsi scuola e teatro se è scena dove mostrarsi e apparire agli occhi di un altro e al contempo ambiente dove generare e partecipare di un incontro/dialogo che produce comunità in forma di opere e della loro plastica trasformazione. Bellezza e gioia della scuola e del teatro che andiamo cercando tra l’ineffabile sostanza di cui sono fatte e la loro resistente dura materialità/realtà che si oppone e impone l’uso sapiente, e antico, di una disciplina necessaria a che anche l’immaginario possa prendere forma. E così, cercando bellezza e gioia, ho incontrato il progetto Teatro Scuola Vedere Fare attraverso il quale voglio raccontare del teatro e della scuola che danno corpo e anima alle ‘Indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali’, prima ancora che queste fossero definite approvate e pubblicate per diventare Linee guida in attuazione della Legge 107/2015. Infatti, sin dall’avvio, quattro anni fa, del progetto Teatro Scuola. Vedere Fare1 i suoi ideatori e curatori lo hanno presentato come spazio dedicato a costruire “una poetica delle nuove generazioni”, manifestando la matrice pedagogica di questa progettualità che intende 1 Il progetto ideato e avviato nell’anno scolastico 2014-2015 da le Nuvole – cooperativa attiva dal 1985 nel campo delle arti, della scienza, della cultura (www.lenuvole. it) – e da Agita (www.agitateatro.it) – associazione che dal 1994 promuove la cultura teatrale-artistica nella scuola e nel sociale. Al progetto si sono uniti, come partner, Casa del Contemporaneo (www.casadelcontemporaneo.it) – centro di produzione teatrale – e Casa dello spettatore (www.casadellospettatore.org) – associazione che si occupa della formazione dello spettatore. Teatro Scuola Vedere Fare è un progetto rivolto a classi di scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado con sede nella Regione Campania, articolato in: attività di formazione dei docenti a teatro; visione a teatro di spettacoli di professionisti; attività di laboratorio teatrale a scuola con operatori teatrali e realizzazione di uno spettacolo; presentazione e visione a teatro, in una rassegna dedicata (Maggio all’infanzia – ideata e realizzata dalla Fondazione SAT Spettacolo Arte Territorio a Napoli al Teatro dei Piccoli e a Bari e Matera) degli spettacoli prodotti attraverso i laboratori teatrali realizzati nelle scuole dalle classi partecipanti.

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rispondere alla costruzione di una comunità che emerga da un processo virtuoso di partecipazione, formazione, produzione, fruizione, riflessione e sperimentazione continua, capace di trasformare ciascun dirigente, docente, alunno, genitore e familiare, organizzatore e operatore teatrale, compagnia e artista professionista, esperto, attore e studioso/ricercatore, in cittadino e quindi attivo/attore/poeta. Un progetto ambizioso, dunque, che esplicita la necessità sempre attuale del fare formazione e del fare arte. E un progetto che dà occasione di cogliere la “poetica delle nuove generazioni” come focus a chi, come me, osserva il progetto a posteriori nella sua articolata struttura per rintracciare una metodologia che attraversa quello che il progetto ha generato in questi anni: una metodologia che si incrocia con quanto viene espressamente dichiarato dai curatori e con quanto è stato realizzato concretamente nei percorsi attivati e nei risultati condivisi, che proverò a ripercorrere nel testo in forma di riflessione perché ciascuno poi possa “scoprire nuovi modi di fare scuola e fare teatro”. Una scoperta che continua oltre il progetto e oltre il libro, questo libro, che lo racconta. Perché per ogni nuovo modo di fare scuola e di fare teatro realizzato da qualcuno si aprono infinite altre possibilità di sperimentare il nuovo, proprio grazie ad una tensione poetica che attraversa l’agire scolastico e l’agire scenico: tensione poetica con cui guardare a ciò che è già accaduto e soprattutto con cui muoversi per l’avvenire. Parlo e sottolineo la dimensione poetica perché non si tratta di presentare qui ‘modelli’ da applicare e replicare ma di tornare sul progetto, che peraltro prosegue e si rinnova anche mentre scrivo e andiamo in stampa, e di individuare quelle azioni e quelle poetiche di cui volersi fare attori, nel presente scenico della vita. Una vita di cui si recupera il vedere e il fare come ‘momenti’ di un unico processo che è il vivere stesso e il suo divenire, perché vedere e fare sono recuperati come parte di una metodologia che può definirsi pragmatica ed estetica, agita trasformando lo spazio in ‘scena’: e perché uno spazio si faccia ‘scena’, quel fare deve porgersi come dono/comunicazione, offerto allo sguardo altrui che a sua volta ‘opera’ su quanto vede e ne fa artefatto di cui è artefice. Vedere e Fare, come spettatore e attore, allievo e maestro, sono due differenti ma correlate ‘posizioni’ che ciascuno deve assumere per formare/formarsi e per conoscere/conoscersi ad arte. E l’Arte, quella che si qualifica come esperienza, chiede di tornare a Dewey (1934) per ‘mutare scena’, per uscire dal retorico e spesso non più sensato uso delle parole e delle cose, per rintracciare ed esplorare altre forme del comunicare, per dare voce al pensiero, per farsi spazio secondo altre grammatiche plastiche. L’autore4 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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volezza di Dewey fa tornare ad una Pedagogia rivolta al contemporaneo, e ritrovare autori con cui sentirsi in dialogo. Infatti, lungo il percorso tracciato in questi anni ad occuparmi dell’arte del formare e del fare teatro, vedo il progetto Teatro Scuola Vedere Fare e i suoi partecipanti come concreta occasione per parlare di una esistente comunità di pratica capace di vedere e fare del Teatro-Scuola un’opportunità per “cambiare la scuola” (Massa, 1997). La ‘lezione’ di Riccardo Massa s’è tramutata in esperienza e la scuola in un teatro fuori dall’ordinario che crea discontinuità con l’ordinario della vita quotidiana, che mette sempre tutto in dubbio e in forma di festa, e chiede a ciascuno di mettersi in gioco con le proprie domande di senso, per aiutare a far crescere un maggiore senso di responsabilità e di consapevolezza in chi si forma. Una ‘lezione’ che s’è messa in opera. Teatro pedagogico e teatro educativo sono etichette che metto da parte perché parlo di teatro e di educazione/formazione in senso pieno, come territori di ricerca sulla relazione e sulla comunicazione umana. Parlo di teatro alludendo già alla sua costitutiva cifra pedagogica. E parlo di scuola nello stesso senso perché a mio avviso c’è scuola dove si realizzano incontri che generano relazioni significative e producono nuove storie. In questa prospettiva, il progetto Teatro Scuola Vedere Fare mostra come, tanto a scuola quanto a teatro, si possa mettere in luce la connessione tra comunicazione e formazione per riconoscere in ogni fenomeno o evento, in posizione di soggetto o di oggetto che sia, la dimensione estetica e quella etica dell’esistere e dell’agire. Osservare e ripercorrere il progetto Teatro Scuola Vedere Fare è dunque occasione per condividere ed estendere una esperienza locale con quanti si collocano lungo la traiettoria di una pedagogia dell’arte che è sintesi di una necessaria e opportuna unità teoria-prassi, consapevoli di muoversi in senso circolare e multiverso, percorrendo e generando la stratiforme unità riflessione-azione-riflessione, in process. Il cambiamento cui guardava Riccardo Massa è cambiamento in atto e passa per chi lo opera. E questo testo lo testimonia. Un’esperienza locale diventa racconto perché la sua epica non è da super-eroi, né da nostalgici di una qualche rivoluzione, ma perché testimonia di una scuola e di un teatro che si sono incontrati per rinsaldare la centralità del progetto pedagogico che ne fa istituzioni di ogni tempo. Il testo dunque è la ‘messa in scena’ di una riflessione e di una ricerca metodologica che mi vede attiva in ambito pedagogico e in un’ottica transdisciplinare umanistica da molti anni e che ha l’ambizione di interrogarsi sul nesso teoria-prassi per farne emergere una vocazione alla sperimentazione e alla metodologia come necessità del fare ricerca, 5 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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del fare formazione, del fare ricerca artistica e del fare arte per la ricerca pedagogica. E, nel nome della ricerca pedagogica e artistica, propongo al lettore di entrare e di conoscere il progetto Teatro Scuola Vedere Fare perché la sua complessità e articolazione, nonché la sua storia e quindi quella della cooperativa Le Nuvole con Casa del contemporaneo e con le associazioni AGITA e Casa dello spettatore e con la Fondazione Spettacolo Arte Territorio, danno l’idea evidente di un lavoro di equìpe, di un necessario lavoro corale, che ha l’ambizione di farsi veicolo di innovazione sociale. Un progetto dunque che ci dà opportunità di ripensare alle due macchine dell’apprendimento, Teatro e Scuola, e di aprirne le architetture e gli orizzonti, lasciando che respirino e si muovano verso La strada che non andava in nessun posto raccontata da Gianni Rodari2, perché si sa che “certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova”. Il nostro tesoro è la formazione al tempo di un Nuovo Umanesimo, la formazione che può generare trasformazione ma che esiste solo se se ne diventa parte. E così Morena Pauro, Salvatore Guadagnuolo e Giorgio Testa – rispettivamente per Le Nuvole-Casa del Contemporaneo, per AGITA e per Casa dello spettatore – scrivono ai potenziali interlocutori del progetto Teatro Scuola Vedere Fare proponendo loro “Un’educazione al teatro e alla teatralità (che) impone una visione pedagogica del ‘fare’ anche attraverso la visione degli spettacoli di teatro professionale che diventa la naturale e giusta sintesi/verifica di un percorso di crescita sociale e culturale”. Un percorso, come La strada che non andava in nessun posto, che invita a muoversi, a mettersi in cammino, lungo tutto l’anno scolastico, a essere in azione, perché solo attraverso l’agire e il senso che lo nutre si costruiscono mondi e si dà forma alla historia 3.

2 La strada che non andava in nessun posto si trova in: Rodari, Gianni, 1971, Favole al telefono, Torino, Einaudi. 3 Stòria (ant. o letter. istòria) s. f. [dal lat. historia, gr. ἱστορία, propr. «ricerca, indagine, cognizione» da una radice indoeur. da cui il gr. οἶδα «sapere» (e ἴστωρ «colui che sa») e il lat. vid- da cui vĭdēre «vedere»]- (Vocabolario Treccani).

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Quale Teatro e quale Scuola. Per una decostruzione del dispositivo educante 1. Teatro e Scuola: spazi vitali del Pedagogico

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“Oh, anche questo sarà un altro giorno felice” (Samuel Beckett, 1961, Giorni felici)

Mettersi all’opera e dare forma al progetto Teatro Scuola Vedere Fare ha significato far emergere la capacità visionaria e trasformare il lungo bagaglio di esperienze e il già autorevole percorso tracciato nel campo del teatro ragazzi, in un intervento capace di andare oltre le difficoltà e le resistenze e guardare più in là, chiamando a raccolta le persone più adatte a rispondere agli obiettivi e alle ambizioni progettuali. Così si è configurato un partenariato, un approccio, un programma, un cartellone, un gruppo di lavoro e finalmente le attività inaugurate nell’ottobre 2014. Tutto ha dovuto fondersi in una armonica complessiva per rispondere alla progettualità di Teatro Scuola Vedere Fare e presentarsi con lo stupore di un neonato ai suoi destinatari potenziali: alle Scuole, perché queste, forti della loro funzione istituzionale, potessero cogliere l’invito a un impegno ulteriore che avesse però il vantaggio di prospettare loro un altro giorno felice. Infatti, per guardare al vedere/fare del teatro-scuola come a quello spazio poetico dove si riscrivono di continuo i limiti tra possibile e impossibile, dove ci si muove per quel felice gioco del dare e prender forma di cui siamo (?) tutti partecipi interpreti, mi ritorna l’immagine che Isabelle Huppert, in occasione della Giornata mondiale del Teatro promossa dall’Unesco, ha proposto dando voce a Winnie, la protagonista di Giorni felici di Beckett, che esordisce con il suo: Oh, anche questo sarà un giorno felice! La battuta di Winnie risuona qui – e sembra avere il suono della voce di Morena Pauro, ideatrice del progetto insieme a Salvatore Guadagnuolo – perché contiene la forza dell’avvio di una stagione teatrale che cammina insieme a quella di un anno scolastico e che ha trovato modo di figurarsi anche quello che non c’era, o che non c’era ancora, come l’apertura del Teatro dei Piccoli alla Mostra d’Oltremare di Napoli, finalmente restituito alla città nel maggio 2013 grazie ad un importante restauro. La 7 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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riapertura del teatro, del Teatro dei Piccoli, è uno dei tasselli, e più propriamente quello spazio, attorno a cui la visione ha potuto diventare progetto e prendere corpo con una proiezione lunga nel tempo. La voce di Winnie-Morena che risuona sin da quando il Teatro dei piccoli era solo un cantiere, è poi, ora, quello spazio fisico che concretamente consente di tornare a riflettere sul Teatro e sulla Scuola perché ci interessa la loro quotidiana pratica di farsi ambiente extra-ordinario. Ambienti extra-ordinari, la Scuola e il Teatro, di cui ci interessa l’azione finzionale/ scenica e l’azione formante, la loro prassi e le loro liturgie fondate su un training quotidiano che per essere efficace, per il Teatro come per la Scuola, deve ripetersi e trovare, proprio nella ripetizione – mai vana e mai uguale a se stessa – la spinta rigeneratrice del giorno nuovo. La Winnie di Giorni felici sa guardare oltre le sue difficoltà e proiettarsi nel futuro di quel giorno che vede felice; e così guardo alla vitalità del Teatro e della Scuola perché come Winnie, possiamo rintracciare e far emergere quella speciale capacità di rinnovarsi e di sfuggire alle convenzioni consolidate che è del Teatro e della sua antica funzione sociale, pure formante, che ne fa uno spazio e una pratica necessari. Il Teatro – che è azione finzionale/ scenica/formante – è necessario perché è quello spazio dove la realtà è trasfigurazione, artificio, immaginazione; uno spazio dove si generano forme di realtà differenti perché relative all’eroe e al suo speciale sentireimmaginare-agire che prende corpo sulla scena e può farsi veicolo di conoscenza: in questo senso penso al teatro come veicolo dell’esperienza dell’oltre-passamento necessaria al conoscere. Parlo, cioè, del Teatro come di quella speciale macchina estetica dalle origini antiche che rende il vedere-sentire-agire un dispositivo pedagogico la cui metodologia è incarnata nel corpo e nel rapporto che quel corpo costruisce con lo spazio/scena/mondo e con l’altro. Si tratta, come per Winnie, di un corpo capace di rendere attuale la sua esperienza del mondo, mutandolo. A questo proposito in Rifare la filosofia, Dewey ricorda che “Il vero metodo, quello che Bacone avrebbe introdotto, è paragonabile all’attività dell’ape che raccoglie materia prima dal mondo esterno come la formica ma, diversamente da lei, intacca e modifica la materia raccolta per farne uscire il tesoro che vi è celato” (Dewey, 1920, p. 45). Le api di Dewey e la Winnie di Beckett incarnano la “logica della scoperta” (Dewey, 1920) che fa danzare il già noto con l’ignoto e preferire la via delle arti (del produrre opere) a quella delle scienze (quando queste coincidono con un intrinseco dogmatismo dottrinale che confonde la conoscenza, essa stessa opera, con natura e verità). Con Dewey e con Beckett ‘abitiamo’ il XX secolo: il 8 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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pensiero pedagogico e la drammaturgia teatrale si attualizzano rinnovando e rigenerando il sapere millenario di cui sono consapevolmente eredi, di fatto aprendo la strada a quel cambiamento cognitivo che oggi ci fa guardare a Marte come alla Nuova America, al Nuovo Mondo, a quelle nuove e altre traiettorie da tracciare per sentirci esploratori/osservatori di altre e possibili realtà. Dewey e Beckett segnano importanti passaggi che conducono più che ai concetti di realtà, conoscenza, mondo, alle loro mutevoli variazioni e stratificazioni: come a delineare un elogio della mobilità e della variazione che cerca un corpo per far presente, svelare, render manifesto, un nuovo ordine del pensiero che prova ad emanciparsi dalla metafisica e si ‘realizza’ attraverso l’opera che è l’uomo stesso, il suo conoscere, il suo agire. Logica della scoperta e della variazione che il progetto Teatro Scuola Vedere Fare aveva ben presenti e che ha tradotto in una articolazione che è diventata innanzitutto una tessitura stretta tra Teatro e Scuola per cucire e ridefinire un territorio, per scambiare e condividere pratiche, luoghi, rituali, così che il formale e l’informale, l’artistico e lo scolastico, lo scolastico e l’extrascolastico, si riconfigurassero insieme come un altro giorno felice. Nel 1916, con il suo Democrazia e educazione, John Dewey parlava dell’educazione così come la Huppert, a distanza di un secolo e citando Beckett, parla del Teatro: educazione/Scuola e Teatro sono ‘spazi’ di cui l’umanità ha avuto sempre bisogno per rigenerarsi, per variare, per mettere in crisi e dubitare dello stato apparentemente immutabile e ripetitivo delle cose. E l’umanità è Winnie che prende voce e guarda ad un altro giorno felice testimoniando la necessità di unire la volontà, l’intenzione, l’ideale, alla materialità, alla concretezza, alle cose che diventano ‘opere’. Quella che Winnie incarna è un’Umanità senza la forza dell’autorità superiore, come Antigone, la cui vitalità è ‘traccia’ della dimensione poietica dell’essere-nel-mondo: vitalità che è dell’attore che, fuori dall’ordinario, come tutti gli artisti, i filosofi e gli scienziati, ‘fa scuola’ di farepensare e traccia le linee di una ricerca di cui è importante il processo più che l’esito come destino. Così, in un giorno di festa per il teatro, la Huppert sottolinea la capacità di darsi come festa, come un altro giorno felice: quello che Grotowski chiamava Swieto (parlando del parateatro, più che del teatro). Swieto: il giorno che è santo. Holidays. La festa, appunto, sovrapposta all’idea stessa di Teatro, per sfuggire a un ideale monumentale e celebrativo e recuperare “nel mondo vivente, il corpo vivente”. E proprio nel senso del vivente, di chi partecipa del suo tempo col proprio corpo e la sua spinta vitale, rileggo il messaggio della Huppert e il suo 9 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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riferimento a Beckett, alla sua Winnie che nella finzione scenica di Giorni felici si trova sepolta fino alla vita e poi fino al collo in un cumulo di sabbia, perché io stessa vi riconosca la permanente necessità di una decostruzione (Derrida, 1967), di un dissenso che attraversi anche il pensiero pedagogico (Mariani, 2008) per assumere una postura critica soprattutto verso il potere autoritario del logos, verso la sua unitaria totalità definitoria che esclude la differenza e induce alla “spartizione nell’atto stesso del sentire” (Derrida, 1967, p. 49). Derrida compie questa ‘operazione’ attraverso il teatro della crudeltà di Antonin Artaud ricordando che “È la pratica teatrale della crudeltà che, nel suo atto e nella sua struttura, abita o meglio produce uno spazio non-teologico” (Derrida, 1967, p. 303). Il teatro è la pratica attraverso cui lo stesso pensiero pedagogico può prendere corpo in forma di pedagogia del teatro-scuola. La pratica teatrale (della crudeltà per Artaud, come dell’assurdo di Beckett) suggerisce una ‘rottura’ possibile con l’asservimento ad un ‘padrone’, ad un’autorità superiore, e instaura una modalità ‘produttiva’, attiva, emancipatoria, di agire il mondo, di viverlo, di abitarlo. Il Teatro e la concretezza della realtà scenica impongono un uso disciplinato dell’azione. Si tratta di affinare tutti gli strumenti disponibili, e il corpo ne possiede tanti, perché l’azione si faccia opera e sia in grado di essere condivisa. Derrida aveva messo in guardia sostenendo che “La scena è teologica fin tanto che è dominata dalla parola, da una volontà di parola, dall’intenzione di un logos primo che, pur non facendo parte di un luogo teatrale, lo guida a distanza. La scena è teologica finchè la sua struttura comporta, secondo l’intera tradizione, i seguenti elementi: un autore-creatore che, assente e da lontano, impugnando un testo, sorveglia, riunisce, e domina il tempo e il senso della rappresentazione lasciando che quest’ultima lo rappresenti in ciò che viene chiamato il contenuto dei suoi pensieri, delle sue intenzioni, delle sue idee” (Derrida, 1967, p. 303). La sapienza dell’attore si realizza nella sua performance, sulla scena, quando cioè ne è autore-creatore sottratto al mero apparire e denso della sua carnale simbolica. Rifuggire dalla “scena teologica” vuol dire scegliere una postura critica verso la mera trasmissione, e quindi prepararsi attraverso una pratica quotidiana ad esercitare la propria ‘autorialità’ e a farsi artigiani del sapere e scultori del sé (Onfray, 1993). La postura autoriale e critica implica responsabilità – quella che con Artaud diventa “trionfo della messinscena” e che la pedagogia auspica come fine di ogni azione formante – così non si rimane fermi al testo e a ciò che è già scritto e detto. Attraverso l’azione scenica si ‘tradisce’ il testo, la parola, la letteratura, e si partecipa in maniera ‘sen10 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sibile’, attiva e non voyeristica, al testo. Ovvero, ci si prepara, ci si allena, si lavora, come le api, per poter trasformare ciò che si è colto in azione, in frutto, in deliziosa opera fatta perché ne possano godere anche gli altri. E come le api, con i ‘maestri’ di cui mi sono nutrita, arrivo a riconoscere nella scena quello spazio-alveare dove il lettore/spettatore/alunno è performer e produce ‘opera’: quello spazio ha molte forme ed è la Scuola fatta Teatro. Il Teatro – quello che rifugge dalla rappresentazione e dalle sue intenzioni servili, da quel “Rappresentare per mezzo dei rappresentanti, registi o attori, interpreti asserviti che rappresentano personaggi che, prima di tutto con quello che dicono, rappresentano più o meno direttamente il pensiero del ‘creatore’. Servi che interpretano, eseguono fedelmente le intenzioni provvidenziali del ‘padrone’. Il quale d’altra parte […] non crea nulla, si dà solo l’illusione della creazione poiché non fa che trascrivere e offrire da leggere un testo la cui natura è anch’essa necessariamente rappresentativa, poiché conserva con quello che si chiama il ‘reale’ […] un rapporto imitativo e riproduttivo” (Derrida, 1967, p. 303) – quel Teatro coincide con un certo tipo di Scuola perché rende praticabile il pedagogico come l’umano trasformare/trasformarsi in quanto creatura vivente (Dewey, 1934). E proprio spinto da quella postura critica verso la “scena teologica”, mi appare il progetto Teatro Scuola Vedere come strutturato in direzione del “trionfo della messinscena”: la stagione teatrale, il cartellone, la scelta delle compagnie e degli spettacoli, si uniscono ad altre ‘scene’, a quelle degli incontri seminariali, ai laboratori fatti a scuola, a tutto il resto, perché pensato organicamente come veicolo di una proposta culturale che si allea ad una proposta formativa per superare una logica della ‘trasmissione’ e attivare quella poetica, quella dell’ape. Senza attendere investiture dall’alto e confidando nell’attiva autonomia della Scuola, il progetto Teatro Scuola Vedere Fare ha aumentato la posta in gioco individuando quattro macro-aree di intervento: la formazione degli insegnanti a teatro (con la didattica della visione), la visione degli spettacoli a teatro, le attività laboratoriali a scuola con la produzione di una ‘comunicazione finale’, la presentazione della comunicazione finale in una rassegna dedicata (Maggio all’infanzia). Ciascuna area di intervento pensata come organica parte di un percorso unico e complesso attraversato da una logica laboratoriale, perché tutti potessero situarsi e collocare il proprio agire in ambiente-Scuola e in ambiente-Teatro e perché Scuola e Teatro potessero sentire la loro comune necessità di farsi ambiente formante utilizzando il potere rigenerativo e straniante dell’arte e dei suoi tanti codici. L’architettura del 11 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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progetto Teatro Scuola Vedere Fare è aperta perché a Teatro si può fare Scuola e a Scuola si può fare Teatro, mescolando le carte e mobilitando saperi e pratiche in continua condivisione e trasformazione così che dalla singolarità e l’unità – degli spazi, dei ruoli, delle persone, degli oggetti, dei significati – si possa passare al plurale, al molteplice, e tracciare un percorso leggibile come costruzione di una comunità. In questa apertura rintraccio quindi una pratica teatrale che informa quella pedagogica e viceversa, nella direzione di una necessaria ‘infedeltà’ con cui incarnare una postura epistemologica comune all’una e all’altra ‘scena’: postura che definisco critica e che costituisce elemento distintivo e originario per comprendere in quale rapporto siano Teatro e Scuola. Teatro e Scuola che si riconoscono nel principio dell’autonomia e della partecipazione: quello che rende ancora tutto da compiere il progetto di una ‘scuola attiva’ e di un ‘teatro di ricerca’.

2. Spazio al corpo: suonate campane! A festa! La partitura del progetto Teatro Scuola Vedere Fare, per ciascuno dei quattro anni di attività fin qui realizzati, può essere letta secondo più ordini compositivi – diversi possono essere considerati gli inizi e i/le fini e i suoi punti ‘centrali’ – ma trasversale è la necessità per il progetto di generare specifici attraversamenti e slittamenti di senso, perchè ciascuno vi operi da maestro e senza ‘spartizione’ di ruoli. Il progettista-organizzatore, l’insegnante (esperto di una disciplina), il maestro di teatro, l’esperto e operatore teatrale, l’alunno, il drammaturgo, l’attore e il regista, l’alunno-attore e regista, non sono ruoli e persone distinte tra loro bensì ‘posizioni’ mobili che ciascuno è chiamato ad assumere proprio nel gioco combinatorio del vedere-fare. In questo gioco, gli insegnanti che aderiscono con la loro classe, con più gruppi classe, o con un gruppo interclasse, sanno che il progetto diventa uno spazio-tempo che corre lungo l’anno scolastico e che offre momenti di ‘sospensione’ dedicati ad attività seminariali e laboratoriali e ad ‘uscite’ per incontri, spettacoli e comunicazioni. Tutte attività che coinvolgono la sfera professionale ma toccano sempre anche quella personale, così che il ritorno alla didattica curriculare sia carico di ‘materiali’ in forma di esperienza, e non di contenuti o procedure da applicare. Perché i ‘materiali’ attraversati e da attraversare, in vista anche delle ‘uscite’ per vedere gli spettacoli a teatro, emergano nella didattica curriculare come esperienza, c’è bisogno di ‘incorporare’ quegli stessi materiali: c’è bisogno di recuperare la presenza del corpo 12 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dell’insegnante se vuole farsi ‘attore’ del suo percorso. Il corpo, e in primis quello dell’insegnante, è chiamato ad esserci per ‘leggere’ e attuare in pieno la partitura di Teatro Scuola Vedere Fare. Il corpo che attraversa il percorso non è anonimo, non è un dispositivo meccanico, ma una realtà dinamica di natura bio-meccanica-estetica e psico-socio-culturale la cui mobilità e cinetica è vista come prima modalità di interazione con il mondo (mondo-scuola, mondo-teatro, mondo-di-vita) che può assumere qualità pedagogica e valenza formativa anche quando la sua ‘posizione’ è di spettatore. Infatti nella sintesi del progetto Teatro Scuola Vedere Fare, si dichiara che “la visione di uno spettacolo teatrale debba essere il centro di un percorso che mobiliti conoscenze, domande ed emozioni e (sia mosso) dalla consapevolezza che “imparare a vedere” è il risultato di un processo, (per il quale) si propongono – a partire dai titoli del cartellone teatrale (…) – pratiche e strumenti didattici per la formazione del docente che vorrà inserire la visione di spettacoli teatrali nel proprio programma scolastico”1. Pertanto, raccolto l’invito di Isabelle Huppert ad essere Winnie, si può comprendere il dramma di chi proprio come Winnie si ritrova in un corpo immobile cui la parola, però, la sua voce usata in quanto materia sonora e spinta oltre quel corpo, è in grado di superare la propria condizione di immobilità e si proietta in un altro giorno felice! Il corpo immobile è di Winnie nella finzione ma è anche quello della scena pedagogica attuale e della pratica scolastica nello specifico: un corpo che trova difficoltà ad uscire dal proprio confine materiale e connettersi a quello cognitivo che pure dal corpo emerge. Un corpo che deve trovare il modo per tornare, come la voce, a farsi mobile, a realizzare la propria condizione vitale di materia sonante/danzante e in divenire per riconoscere il pedagogico come essenza costitutiva di quel corpo che a Teatro come a Scuola deve tornare ad agire attraverso tutte le forme possibili, e a trovarne, sperimentarne, sempre di nuove. Di altre. Differenti. Perché nella forma nuova c’è vita nuova e possibilità di esistere e di comunicare (e non semplicemente di esprimersi). L’immobilità del corpo di Winnie urla, silente, la necessità di restituirlo alla sua vitale mobilità, e usa la scena per suggerire come ‘operare’ questa svolta verso l’azione, verso il gesto, anche quando si tratta di usare le parole. Avvertire questa immobilità come elemento critico e non-vitale, ha significato per il progetto Teatro Scuola Vedere Fare smuovere l’asse vertica1

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le della Scuola chiedendo agli insegnanti di farsi corpo-docente, corpodocente-mobile dico pensando al teatro come metodologia trasformativa2, e “fare laboratorio” nel senso di stare “dove si attende a un lavoro. Una ricerca continua per scoprire attraverso una metodologia trasversale una didattica del confronto, una relazione autentica per poter crescere individui consapevoli”. Così si ‘inquadrano’ gli incontri preparatori destinati agli insegnanti prima che accompagnino i loro alunni a teatro a vedere gli spettacoli scelti per loro e poi anche tutte le attività laboratoriali che gli insegnanti realizzano a scuola con il supporto degli operatori teatrali, la realizzazione della comunicazione finale, le prove e l’esibizione in pubblico a teatro. Dal punto di vista dell’insegnante sembra tutto un percorso di aggiornamento: per realizzare un altro giorno felice! Ed ecco che, tornando all’opera di Beckett, ci si accorge di un segno: Giorni felici si apre con il suono di un campanello fuoriscena. È come la campana della scuola che chiama all’inizio della giornata e poi suonerà ancora per segnare il termine di uno spazio-tempo nel quale ci si è aperti ad una forma collettiva di abitare la scena educativa. Si è tutti chiamati ‘in scena’, senza distinguere tra attori e spettatori, perché lo spazio fisico possa diventare ambiente-teatro (di relazione) dove mobilitare tutte le vie per dire anche l’indicibile e rendere visibile l’invisibile. Vie, forme, scritture, linguaggi altri e plurimi sottraggono spazio alla parola e alla testualità intesa nel senso già codificato e riconosciuto come dominante, per lasciare che il gesto si faccia spazio come parte di una semantica che unisce e rafforza il rapporto tra significante e significato. Quel campanello allora suona, e risuona qui, per richiamare ma anche per risvegliare e attivare i sensi nella produzione di senso. Beckett ci scuote e ci ridesta e Derrida sembra proseguire con altro registro, chiedendosi e chiedendoci: “In che modo, allora, funzioneranno la parola e la scrittura? Tornando ad essere gesti: verrà ridotta e subordinata l’intenzione logica e discorsiva, attraverso la quale solitamente la parola garantisce la sua trasparenza razionale e affina il proprio corpo orientandolo verso il senso, lo lascia stranamente celare da quanto lo rende trasparente; de-costituendo la trasparenza, si mette a nudo la carne della parola, la sua sonorità, la sua intonazione e intensità, il grido che l’articolazione della lingua e della logica non ha Cfr. D’Ambrosio, Maria, 2016, Cinetica e cognizione. Teatro come spazio dove l’educazione ‘prende corpo’, in: D’Ambrosio, Maria, 2016, a cura di, Teatro come metodologia trasformativa. La scena educativa fatta ad arte. Tra ricerca e formazione, Cartografie Pedagogiche 7/2016, Napoli, Liguori. 2

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ancora del tutto congelato, quanto rimane del gesto represso in ogni parola, quel movimento unico e insostituibile che la generalità del concetto e della ripetizione continuano senza fine a rifiutare” (Derrida, 1967, p. 309). Il suono del campanello apre la scena beckettiana e, come a scuola, inaugura un rituale ‘crudele’ che è tale se rifiuta chiarezza e trasparenza e sceglie un simbolismo ‘plastico’ che si muove di forma in forma, di segno in segno, di materia in materia perché sa che la sua fatica è quella di mettere “a nudo la carne della parola”. Su quella scena non c’è delega della parola rispetto alla cosa. Parola, gesto, azione, suono, immagine, sono utilizzate nella loro materiale consistenza di cose, capaci di agire e smuovere altre cose. Non si tratta di ‘spettacolo’ né di rappresentazione ma di azione: cioè di quella speciale forma di attività che unisce dimensione materiale con quella immateriale, senza lasciare che l’una o l’altra predominino ma che l’una e l’altra si nutrano vicendevolmente delle loro differenti consistenze. Attività che è del corpo tutto, vivo, mobile, sensibile. Del corpo poetico e della sua qualità di farsi presente e di agire/creare/ricreare. In questo senso risuona qui quel campanello che dalla scena beckettiana si colloca anche nella scena formante perché Teatro e Scuola ritrovino la loro centratura nel corpo/azione/gesto che vive e abita lo spazio trasgressivo della festa. L’azione del corpo, a Teatro come a Scuola, è quella sgrammaticata che richiede continuamente una decostruzione, alla Derrida, appunto, che suggerisce l’eccesso del mettersi in gioco e la possibilità di riconfigurare il giocattolo-dispositivo così da “rischiare la perdita assoluta del senso” (Derrida, 1967, p. 331) perché “risibile è la sottomissione all’evidenza del senso” (Derrida, 1967, p. 332). Risvegliare i sensi per evitare “la sottomissione all’evidenza del senso” configura una ‘erotica’ della disciplina, della pratica teatrale e di quella scolastica, che emerge come necessità metodologica che apre al non-sapere come via per accedere all’ignoto senza asservimento. La poesia, il non-senso, l’impossibile, incarnati nella bellezza del corpo estatico arrivano in soccorso di un Teatro e di una Scuola che sono scene di una piena sovranità che rifiuta e supera il lavoro servile per innescare il gioco liberato dal desiderio del senso e fare della pratica disciplinare l’unica possibilità per superarla. La bellezza disarmante del corpo poetico, estatico, sacro, ha origine dal suo sapere/sentire di non-sapere che espone il maestro all’allievo e viceversa, liberando ciascuno da certezze e subordinazioni. Il corpo assume una postura epistemica e può entrare in scena da ‘moderno’ veicolo per oltrepassare in chiave fenomenologica la tradizione metafisica in nome 15 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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della profondità e della mobilità. L’entrata in scena del corpo costituisce “la nuova centralità delle arti dinamiche nel processo educativo, almeno come idea politica” (Attisani, 2017, pp. 123-156) e fa spazio ad una grammatica generativa di cui il corpo stesso è vettore in quanto soggetto/ oggetto formante il cui gesto non esegue ma scompone e ri-compone tracce, secondo una nuova partitura. Il libro, il testo, la scrittura, che per il Teatro come per la Scuola hanno costituito l’autorità e la ‘luce’ verso cui tendere, perdono o iniziano a perdere l’aura cristallizzata dei ‘classici’ e ad aprire alle stratificazioni del linguaggio vivo che si svelano nell’atto stesso dell’accadere scenico/performativo. Il corpo, a Scuola come a Teatro, è corpo per-formante, non nel senso metafisico dell’esecuzione di un dettato prescritto, ma corpo che sperimenta e attualizza l’esperienza dell’oltrepassamento e si fa generativo di altro lessico, altra semantica, altra presenza, per dissolversi ed emergere alla Mallarmé: come “una spaziatura della lettura”, come scrittura della differenza. Farsi spazio, spaziarsi, ha proprio il senso del manifestarsi come differenza così che la pratica della lettura (rispetto all’autorità del libro, del testo, della scrittura) suoni come momento ‘epocale’, come emergenza di una pratica obliqua: quella che Derrida (1967) chiama “un’avventura dello sguardo”. La scena teatrale e quella scolastica, se attraversate da ‘inquietudine’, dubbio, interrogativi, lasciano spazio al corpo vivo che penetra la forma, negandola come superficialità e sollecitandone/smuovendone la trama con le sue profondità. Chi ha organizzato, condotto o partecipato alle attività del progetto Teatro Scuola Vedere Fare conosce la fatica e la resistenza che ciascuno oppone alla possibilità di ‘spaziare’ e di esplorare per vivere “un’avventura dello sguardo”, e sa che l’intero percorso non è altro che il continuo richiamo a un possibile risveglio del poeta che è in ognuno dei partecipanti. Il quadro epistemico delineato fin qui, di cui è traccia l’impianto generale del progetto Teatro Scuola Vedere Fare, intende la conoscenza come atto, inaugurato da quel rintocco del campanello che scatena un’energia difforme rispetto alla cadenza della ritmica ordinaria, suggerendo una straordinarietà all’accadere per-formante che Beckett utilizza come evidente segno del richiamo ad un’altra qualità dello stare, dell’essere/farsi presente. L’essere-corpo fa presa in quanto esser-ci (Da-Sein) e rintraccia una originaria teatralità che coincide con una ricerca dell’eccitatorio come stato dell’arte per apprendere e per conoscere. L’azione è la qualità manifesta dell’essere e l’arte quella facoltà produttiva, che è del formare/ formarsi, del sentire/conoscere, che fa dell’agente-attore la categoria che 16 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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incarna e connette immaginazione e poietica e restituisce l’umano ad un intelletto incarnato e situato. Il corpo-performante, poietico, diventa metafora di un certo Teatro e di una certa Scuola perché incarna e incorpora una differenza, nel senso derridiano del differimento, che ‘sposta’ le orbite gravitazionali e si muove secondo tracciati rizomatici (Deleuze-Guattari, 1980) non ascrivibili a tracce e ordini preesistenti ma generativi di un vitale e attivo conoscere. In tal senso, a Teatro e a Scuola, la sfera corporea si fa spazio insieme ad una ‘originaria’ educazione estetica che riconnette uomo e mondo secondo il nesso sentire-agire. Il campanello che suona risveglia l’organica e fisiologica capacità del sentire, necessaria all’agire (almeno necessaria a quell’agire che si voglia far emergere dal sentire) e quindi importante da attivare e da alimentare attraverso la pratica artistica/artigiana che è sostanza per immaginare/conoscere. Teatro e Scuola costituiscono gli ambienti privilegiati di una educazione estetica (Schiller, 1795) come progetto in fieri che tra Arte e Educazione richiama ad un Umanesimo che fonde senso e ragione e produce una realtà la cui apparenza ‘consiste’ di bellezza e libertà. Teatro e Scuola in questo caso si strutturano intorno al concetto di azione che fa da dispositivo pedagogico che attraversa la scena sociale e ne forma i cittadini-attori secondo un principio di responsabilità che dà valore all’opera e al processo che l’ha generata, alle ragioni che spingono alla sua creazione. Ciascuno risponde dell’opera realizzata e non rinvia ad una autorialità esterna: Teatro e Scuola si configurano così come gioco, come ambiente cui si partecipa e nel quale ci si realizza attraverso l’epifanico, epocale, mettersi-in-opera. O almeno questo pare suggerire anche per il progetto Teatro Scuola Vedere Fare la preparazione dello ‘spettacolo’ in forma di ‘comunicazione finale’ perché le forme, i codici, i materiali utilizzati possono essere tanti e diversi tra loro, nello sforzo di ricomporre frammenti di un tutto che può essere ricondotto ai Greci, perché “Ricchi insieme di forma e di pienezza, al tempo stesso filosofici e creativi, al contempo delicati ed energici, li vediamo congiungere in una splendida umanità la giovinezza della fantasia con la virilità della ragione” consapevoli che “in quel felice destarsi delle energie spirituali, i sensi e lo spirito non avevano ancora dominî rigidamente distinti, poiché nessuna scissione li aveva ancora istigati a dividersi come nemici e a stabilire confini reciproci” (Schiller, 1795, p. 32). Che si chiami Teatro o Scuola, in questi spazi si ridestano insieme sensi e spirito, così che il vivere-conoscere acquista forma di danza, azione scenica, performance, scrittura, poesia, canto, sempre come fosse “la prima voce” (Covino, 17 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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2017): quel momento aurale, di un altro giorno nuovo e felice, in cui si prova piacere a rompere con il proprio isolamento e si cerca il modo di ricongiungersi ad altro e vivere la propria appartenenza cosmica come una condizione di ricerca continua in cui si realizza un mutevole divenire della propria “natura sensibile-razionale”. Nella scena-Teatro e nella scena-Scuola il corpo è azione-parola-gesto. “Ogni gesto è un utensile, una abilità acquisita, prodotta, espressione sociale, esteriore di un corpo che si è costruito fuori di se stesso, con gli altri. Utensile è il corpo che nei gesti e nella voce ha perduto i confini. E come una pietra quando sia lavorata dalle mani dell’uomo ha una voce, così pure i gesti hanno voce. Un gesto è da sempre una voce. Fuori dal corpo, una voce” (Covino, 2017, p. 43). La scena-Teatro o la scena-Scuola si potranno considerare ambienti-di-vita se i corpi che lo abitano si muovono nel tentativo di mettersi-in-opera, di produrre ad arte, di farsi autori della propria esistenza. In quegli ambienti non ci sarà bisogno di esplicitare una Pedagogia perché il Pedagogico è fatto coincidere con il Poietico come principi e istanze di un Essere che deve farsi Manifesto, Fenomeno, Voce. E dunque consistere e significare anche per un altro. Diapason-soggetto lo chiama Jean-Luc Nancy (2002). Questi ambienti, allora, vanno preservati dall’ordinarietà e restituiti alla sensibilità creatrice del Poeta. Uno spazio, un luogo, un ambiente non possono essere sempre Teatro o Scuola, se non quando nel loro quotidiano si apre un ordine straordinario delle cose e diventano spazio sacro, della festa, spazio-formante perché disposto a deformarsi, a scomporsi, a riordinarsi mobilitando energie nuove che ridestando i sensi siano in grado di generare altro senso. Come deve accadere per il corpo: quando il corpo diventa gesto, quando cioè muta la sua geometria statica, allora quel corpo, fattosi azione-gesto, parla, produce senso. Come dire per l’ape che non tutto il raccolto diventa miele. Per estrarre miele dal nettare c’è bisogno di lavoro, di un processo complesso da governare, in cui non tutto del lavoro diventa capolavoro. Si deve essere disposti all’errore, all’inutile girovagare, prima di trovare quella sintesi tra intenzione ed opera. Non basta per questo rendere disciplinare l’Arte e orientare ad una metodologia che sembri guidata ad arte per rendere formante quel Teatro o quella Scuola. Il fallimento, l’errore, la vuota mimetica – la pratica del pappagallo, la chiamerebbe Michel Serres (1991) – è parte ordinaria di un dispositivo che per realizzarsi come Pedagogico, come generativo, deve intercettarne la originaria mobilità e cercare/trovare nel principio cinetico la condizione di inadeguatezza e di manchevolezza 18 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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che muovono dal disagio e producono uno sguardo. Il corpo non basta dunque. Il corpo deve farsi gesto e ritmo, così che il corpo possa farsi spazio e tempo, possa farsi mondo e parlare “la lingua muta delle cose” (Covino, 2017, p. 13). E di quel corpo, “La mano non fu soltanto organo di lavoro, ripeteva Engels, ma suo prodotto. Essa imparò sempre nuove operazioni e le imparò cambiandosi, definendosi, coi suoi movimenti, nella forma, attraverso la trasmissione ereditaria dei muscoli, dei tendini, delle articolazioni. Soprattutto però la mano imparò dall’abitudine, dallo sforzo, dal lavoro e dalla sua conservazione nella memoria. E fu la conservazione delle operazioni compiute dalla mano ad obbligare la voce al significato. Non fu per quella voce una condanna. Essa non fu costretta ad emanciparsi da lui, ma con lui si unì in una corrispondenza segreta che silenziosamente legava tutti gli esseri. Il significato non apparteneva a qualcuno. Esso serviva alla memoria umana perché restasse fuori di sé nel tempo, perché fosse memoria sociale nel tempo” (Covino, 2017, pp. 13-14). Non c’è gesto ‘naturale’, c’è solo imitazione, lavoro, sforzo per piegare il corpo e mutarlo in strumento, in linguaggio. Perché il gesto libera la parola che contiene un gesto che fa della cosa un’opera, un simbolo, uno strumento per significare altro dall’oggetto-cosa e dire del rapporto che ciascuno ha stabilito con quella cosa. Il gesto e la parola tessono e condividono relazioni tra soggetto e oggetto, ne sono l’immagine e la sostanza, cucite insieme perché la messa-in-scena sia momento qualificante dell’umano, non sua mera effimera vanità. Il corpo organico è intrinsecamente inorganico quando si lega ad un altro, gli mostra fuori di sé ciò che ha sentito e pensato: realizza il Teatro, la scena pubblica, la comunità, quando si espone e si mette-in-opera. Le cose lo spazio il tempo, se Teatro sono, mutano col mutare del gesto e della voce che li attraversa, che li afferra, che dà loro forma di opera, di immagine, di-segno. Per questo uso e faccio risuonare qui simbolicamente il campanello – quello di Beckett in Giorni felici – per ridestarne la capacità di farsi azione sulle cose: quel far presa che è condizione del conoscere e del conoscersi. Come il vasaio con il suo vaso: piega e curva la materia secondo una tecnica che rende la mano-strumento capace di sentire/sapere cosa e come operare con la materia. Si tratta di imparare a scrivere. Non in senso ortografico. Imparare il gesto più opportuno per le necessità di ciascun caso. E ripeterlo ogni volta sia necessario. Fissarlo in memoria perché serva all’occorrenza senza troppo andare cercando e poi, ogniqualvolta se ne dà occasione, mutarlo in altro gesto e altra cosa per ricordare di dimenticare perché lo strumento è quello ma pure molti altri usi insieme. Così, la necessità del Teatro come 19 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

della Scuola diventa quella di coinvolgere l’altro nel proprio gesto. Renderlo partecipe di un gesto il cui senso deve poter essere inteso, se offerto allo sguardo dell’altro. Così il pensiero si sperimenta come azione. L’azione che è forma del pensiero. Il suo prendere spazio sulla scena pubblica. Scena che mentre è Scuola, è Teatro. Se è Scuola, è Teatro, è comunità.

3. Per un progetto pedagogico: l’homo faber cerca ‘casa’

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La dimensione artigiana del vivere e del conoscere si collega teoricamente e metodologicamente alla proposta del laboratorio teatrale che il progetto Teatro ScuolaVedere Fare propone alle classi che aderiscono. Si tratta di dare spessore a ciò che ci appare come già fatto – uno spettacolo per esempio, e quindi anche gli spettacoli che si vanno o che si accompagnano a vedere per il progetto Teatro Scuola Vedere Fare – oppure quello che si deve allestire, preparare e mostrare – come lo spettacolo in forma di comunicazione finale che ogni classe partecipante al progetto produce e presenta nella rassegna Maggio all’infanzia. Proprio grazie al laboratorio teatrale realizzato a scuola, ciascuna classe con i suoi insegnanti e gli alunni, sperimenta la centralità del dispositivo laboratoriale che attraversa e rende possibile la produzione dell’artefatto/spettacolo/comunicazione finale: torna l’immagine dell’ape di Dewey che vola e raccoglie il nettare – il Vedere del progetto – e poi nell’alveare o nell’arnia – il Fare del progetto e quindi il laboratorio teatrale – rigurgita e trasforma il bottino in miele. Con il sottile strumento della decostruzione che ho proposto di utilizzare per rileggere il Teatro e la Scuola, in chiave per-formante e fenomenologica, e con il supporto del Teatro di Samuel Beckett e di Antonin Artaud, provo a fare spazio e rendere più visibile la necessità di una educazione estetica che non è di questo o quel tempo ma solo di una umanità alla continua ricerca del suo Humanismus, quello che Gadamer (2012) fa incontrare con la Bildung3, ricordando che “Hegel, uno dei grandi pen-

3 Cfr. Sola (2012a): “Il concetto di Bildung, per essere correttamente assunto, va innanzitutto ricollocato all’interno della sua storia, che dalla mistica medioevale giunge fino al classicismo tedesco di Goethe, incontrando – secondo Gadamer – in Herder e nella sua “Bildung dell’umanità’ (…) un’ideale attribuzione di senso. La Bildung, precisa Gadamer, si dà nella forma del divenire (des Werdens) che è sempre processo (Vorgang) e mai risultato (Resultat). Essa evoca cioè – attraverso la radice Bild (immagine) – una naturale tensione alla perfezione, quindi la possibilità di un miglioramento che dall’interno si irradia e si riflette verso l’esterno. (…) Così, la Bildung è un compito dell’uomo (…) che solo lui stesso, in se stesso, può assolvere” (pp. 13-14).

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satori della nostra storia, ha coniato per questo la bella espressione: ciascuno deve ‘prender dimora’ […]; deve, per così dire, costruire la propria casa nella propria vita” (Gadamer, 20124, p. 229). Il ‘prender dimora’, il ‘costruire la propria casa nella propria vita’, costituiscono un nucleo concettuale che include una forte dimensione pratica che chiama l’umanità a ‘farsi spazio’, a dar forma e costruire la propria dimora, la casa, la vita. Lo spazio vitale va costruito, alla vita va data una dimora. Quindi il gesto dell’esistere è connesso a quello del costruire e dell’abitare. Heidegger ce lo ha ben detto. E così fa anche Gadamer che con Heidegger si mette in dialogo. Il formare/formarsi ha a che fare con il ‘farsi spazio’, con l’aver luogo: è strettamente connesso a una questione di spazio, di ambiente, ovvero alla capacità di trasformare lo spazio nel quale ‘si viene al mondo’ in quell’ambiente che fa da ‘casa’ o mondo-di-vita. Perché uno spazio possa farsi ‘scena formante’, ‘casa’, dimora, c’è bisogno di ‘abitarlo’, di farsene designer/costruttori. E questo diventa il focus con cui gli esperti di Teatro Scuola Vedere Fare introducono all’uso didattico della visione teatrale e gli operatori teatrali si spingono nella costruzione di un comune spazio/scena di lavoro performativo. La formazione intesa come Bildung consiste in un processo che coinvolge lo spazio. In questo senso la metafora del Teatro per dire del pedagogico, individua la ‘scena’ come categoria centrale che unita a quella di azione del performer/attore dice proprio di uno spazio che si fa altro: che si fa ‘teatro’ della Bildung solo se si sottrae a ciò che è già e si apre ad essere messo-in-opera. L’azione, la dimensione performativa dello stare in scena, diventa la condizione del formare/formarsi. Essere-in-azione è al tempo stesso essere e farsi-spazio. Pertanto, con Hegel, Heidegger, Gadamer recupero un pensiero e ricostruisco una genealogia cui sento di appartenere e cui riconduco anche la progettualità di Teatro Scuola Vedere Fare, perché si avverte l’urgenza di ridare senso all’idea di Bildung proprio come proposto da Gadamer e dalla sua tradizione neoumanistica: perchè “la sua idea di Bildung corrisponde alla formazione armonica dell’uomo e non già al suo portato culturale” (Sola, 2012, p. 11). L’urgenza riguarda la necessità di osservare criticamente la propria contemporaneità per estrarne alcuni elementi ‘originari’ utili a tracciare altre traiettorie, possibili, perché quella ‘formazione 4 L’opera raccoglie sette saggi gadameriani pubblicati tra il 1944 e il 1992, scritti per conferenze tenute da Gadamer tra il 1947 e il 1991 e pubblicati insieme nel 2012 nella loro prima edizione in lingua italiana curata da Giancarla Sola.

21 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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armonica’ costituisca un’attuale ‘emergenza’ pedagogica, sociale, politica, e non sia schiacciata su una ‘cultura dell’educazione’ fatta coincidere con l’apprendimento ma attenta invece all’importanza di “imparare a pensare” e alla fecondità del domandarsi, dell’interrogarsi, in nome di un sapere che non può limitare né limitarsi ma tendere alla libertà. L’osservazione, come parte di una pratica riflessiva, è d’altronde il concetto cui ciascun insegnante partecipante al progetto Teatro Scuola Vedere Fare viene chiamato e sollecitato lungo tutto il percorso, attraverso schede, questionari, riflessioni. La critica è al modello di formazione come mera trasmissione al quale si contrappone quella formazione riferita all’umanità dell’uomo che forma e si forma. Rifiutare il sapere come forma di dominio e di potere (di qualcuno su qualcun altro) significa allo stesso tempo mettere in crisi il “dominio della tecnica” e il mito del progresso, ripensando all’uomo e alla sua formazione come ad un processo necessariamente mosso tra Natura e Spirito. Il rapporto tra Natura e Cultura diventa un focus importante per un discorso sulla formazione che voglia essere attuale e da attualizzare in una pratica che passi per l’agire, consapevole e critico-riflessivo, di ciascuno, e non si affidi a dispositivi esterni come gli ordinamenti normativi e le loro formule/procedure burocratiche e retoriche. In questo senso la Scuola, che incarna in maniera istituzionale le finalità formative di una società, non può arroccarsi né irrigidirsi in metodi disciplinati della trasmissione del sapere, ovvero dei suoi frammenti. Né esibire come compito educativo quello di “adattamento” e di preparazione al mondo del lavoro e delle professioni. La dimensione produttivo/creativa e performativa è elemento centrale per un Humanismus da connettere alla Bildung. Non si tratta di ‘operazioni’ di facciata. Né di abbellimenti in chiave classicheggiante di impianti e di logiche ‘conservative’, quanto di una vitale spinta che mette insieme questioni della formazione con quelle della forma e della sua trasformazione, l’agire con il pensare, così che ad emergere sia un ‘naturale’ uso dell’arte del comprendere: quell’arte ‘generativa’ e formante – nel senso della Bildung e della sua ‘armonica’ – che per Gadamer propriamente coincide con l’attività ermeneutica e che nella proposta e nella riflessione metodologica che opero rispetto al progetto Teatro Scuola Vedere Fare viene intesa come arte scenica/performativa, o, più propriamente, Teatro. La Scuola si fa Teatro quando l’umanesimo incontra la Bildung. Si tratta di un progetto ambizioso quanto necessario: quello che Gadamer fa risalire a Kant e che “si fonda proprio sul fatto che ha unito e conciliato la grande eredità della cultura antica e medievale, che l’Umanesimo aveva risvegliato, con 22 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il pathos illuministico della scienza moderna” (Gadamer, 2012, p. 67). La Scuola e il Teatro di cui qui si parla non sono conservate negli edifici, nelle loro architetture – che Gadamer chiama “testimoni di pietra” – più o meno felici. La Scuola come Teatro che partecipa di quella umanizzazione della Bildung e che concilia cultura classica con scienza moderna non può essere chiusa in forme educative altamente organizzate perché ciò di cui deve essere ‘produttrice’ è quella autonoma “capacità di giudizio” che consente di integrare differenti visioni del mondo e usare adeguatamente saperi, informazioni, dati, per porre domande interrogandosi pensosamente così da agire senza ‘eseguire’ ma riflettendo ed esercitandosi “nel libero movimento”. Gadamer suggerisce di pensare la crescita e quindi anche il sistema educativo coniugandolo “ad ogni essere vivente” mettendo insieme la “capacità di giudizio” con il “libero movimento”: come a dire che il pensiero si realizza nel movimento, mobilitando il gusto ovvero la facoltà di giudizio (Arendt, 1971) e la “produttività dello spirito”. Si tratta di abitare un mondo nuovo dove “l’umanità saprà risolvere i propri problemi soltanto se non si accontenterà di imitare semplicemente i modi di agire precedenti, ma se imparerà a realizzare nel concreto le proprie idee” (Gadamer, 2012, p. 91). Torna cioè attuale l’Ode a Prometeo di Goethe attraverso cui lo spirito creatore, il genio, l’artista, emerge come mito: “è il mito di Prometeo. Prometeo, il titanico antagonista degli dèi olimpici, diventa l’incarnazione delle forze creatrici dell’uomo” (Gadamer, 2012, p. 99). L’immagine dell’uomo come homo faber fornisce una dimensione fattuale alla volontà, alla ragione, all’intelletto, con cui si qualifica l’uomo e la sua umanità. La volontà e l’intelletto devono trovare i mezzi adeguati per creare e per far accadere quello che di volta in volta si conviene sia ‘vero’. La ‘naturale’ propensione dell’uomo a farsi creatore di cultura, indica una stretta “connessione di vita e pensiero” che mette in crisi l’universalità del sapere e l’idea di “un unico mondo del sapere” e apre a “sempre nuove possibilità di azione” e fa emergere un concetto unificatore di natura e cultura che è la coltivazione: il gesto sottratto all’ordine ripetitivo e ciclico della natura che conferisce senso a quell’ordine producendone un altro in forma di linguaggio. Il gesto agisce modificando la materia naturale e ne produce una artificiale che contiene e ‘dice’ del senso e della volontà che ha spinto a quel gesto creativo/trasformativo. Come quando nel progetto Teatro Scuola Vedere Fare, oltre che a Teatro e a Scuola, si lavora in un Museo, Scavo archeologico, Galleria o altra istituzione museale, scientifica e culturale, in un giardino o in un bosco, consapevoli della possibilità di quel gesto creativo/trasformativo che può rendere ciascuno spazio e il ‘materia23 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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le’ con cui si interagisce e che si estrae come nettare dai fiori, un ambiente formante dove generare in senso sempre attuale il processo di produzione della conoscenza/identità. Se il sistema educativo si struttura a partire dall’homo faber e dalla sua istanza creativa e trasformativa, la Scuola diventa Teatro proprio per lasciare spazio a un modello di apprendimento creativo, attivo, non nel senso retorico di una potenzialità di azione ma proprio nel senso del ‘lavoro’ perché conoscere è altro dall’edenico cogliere i frutti già maturi dall’albero della conoscenza perchè implica la fatica di imparare molte arti per poter, come Prometeo, “essere vivente autonomo” (Gadamer, 2012, p. 129) che in maniera multiforme orienta la propria forza vitale oltre la propria finitudine, verso il futuro. Il progetto di una Bildung umanistica fa spazio ad un pensiero pedagogico che coincide con l’oltre del futuro e chiama in gioco l’arte del creare per ciascuno la propria strada, la propria casa. Il ruolo dell’arte intercetta la necessità e la possibilità dell’uomo, come essere di natura, di generare cultura, facendo presa sulle cose e mutandole in opere. Mano e intelletto, natura e cultura, sono alleate di un sistema che ridisegna e attualizza la Bildung tracciando nuove strade da percorrere per realizzarne il progetto ambizioso di restituire umanità all’uomo, lasciando che viva in bilico la contraddizione e le imprevedibili connessioni tra idea/pensiero e realtà. L’istruzione scompare, o almeno così pare, dall’immaginario di un discorso pedagogico con cui voglio sovrapporre Teatro e Scuola per rispondere al ‘classico’ tema della formazione attraverso una postura critica e riflessiva che al contempo è performativa e dell’azione coglie la sua matrice ermeneutica. Il Teatro si fa Scuola e la Scuola genera il Teatro quando l’azione in scena acquista il valore della ricerca e produce comprensione e autocomprensione: un lavoro che chiede a ciascuno di farsi spazio, di occupare il proprio spazio d’azione in un orizzonte pubblico che rende l’azione un gesto solidale che implica un orizzonte di reciprocità, di dialogo, di scambio, di interazione possibile. Quando la Scuola è Teatro, rinasce come comunità, come nuovo ordine, come un altro giorno felice!

4. Dispositivi normativi e narrativi aprono al singolare plurale del progettare Lo slancio vitale e la spinta umanistica che arrivano da Gadamer all’indirizzo esplicito delle istituzioni formative ci dà un’autorevole scossa e legittimazione ulteriore per metter mano, in particolar modo in seno alla 24 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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riflessione pedagogica, alla fondazione di una “tradizione nuova”. “La vita nelle idee” è ciò che Gadamer eredita e fa suo da Humboldt come obiettivo ancora attuale per recuperare “spazio libero” rispetto agli ordinamenti, all’organizzazione e quindi alla socializzazione che costituiscono il vincolo pratico-politico di una vita, già da quella dei Greci, con poco spazio per la libera speculazione (theoria). L’antica e ‘classica’ opposizione tra theoria e pratica costituisce di fatto l’orizzonte dentro cui ci si muove, dentro e fuori la Caverna, parlando attraverso il mito di Platone, consapevoli che “un modo di pensare libero […] non esiste” (Gadamer, 2012, p. 156). La libertà che sin dalla tradizione classica si è attribuita alla vita teorica, alla via contemplativa e distaccata dai vincoli del ‘reale’, resta il ‘compito’ da realizzare: compito che le istituzioni formative devono fare proprio per lasciare che ciascuno cerchi e produca giudizi propri e pensieri, e che non segua semplicemente e si uniformi a quelli preesistenti. Come ci ricorda Gadamer, “La scienza produce dei cattivi spettatori televisivi” (Gadamer, 2012, p. 158) perché lascia le domande aperte e chiede a ciascuno di farsi spazio, di cercare gli spazi liberi dove potersi muovere per dar forma alla propria esistenza, alla propria vita. C’è un profondo senso di etica del lavoro e della responsabilità nell’orizzonte che condividiamo con Gadamer per le istituzioni educative e formative. Questa è un’etica che spinge all’azione e alla solidarietà e che quindi chiede di unire la distanza con la presenza, la theoria con la pratica, le diverse discipline tra loro, consapevoli del fatto che “Nella ‘azienda’ dell’insegnamento le scienze sanno troppo poco l’una dell’altra” (Gadamer, 2012, p. 148). Presupponendo poi – come con Dewey (1916) – un legame stretto tra Democrazia e educazione, nel tempo si è messo mano a tante riforme della Scuola. E l’Italia in questo non è stata da meno. La Legge 107/2015 (cosiddetta ‘Buona Scuola’), una legge molto giovane, recependo anche quanto indicato dall’Unesco e altri organismi internazionali in materia di educazione artistica, fa esplicitamente riferimento alla connessione tra attività didattiche e Teatro. Il Teatro con la T maiuscola. Alla legge 107 faranno poi seguito le “Indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali”, note come ‘Linee guida’, la cui struttura si muove tra indicazioni teoriche e indicazioni operative. La Legge 107/2015 e le relative ‘Linee guida’ costituiscono, pur nella possibilità di ‘leggerci’ tanto altro, la traccia per un’unità Teatro-Scuola che suona quanto mai necessaria per far incontrare Umanesimo e Bildung, perché il corpo si faccia spazio e faccia del mondo la propria scena e perché l’educazione 25 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ritrovi la sua poetica vitale e riconnetta pensiero e azione. Quanto possa essere vitale la stessa unità Teatro-Scuola è da praticare, ritrovando un certo senso del fare Scuola e del fare Teatro. Che il Teatro possa essere educativo e formativo, abbiamo visto, l’umanità ne ha fatto esperienza prima ancora di istituire la forma-Teatro o la forma-Scuola. Non basta dare nome di Teatro o di Scuola a qualcosa perché questa assuma i principi fondanti del Teatro e della Scuola: la dimensione del fare, dell’agire, del mutare, le attraversa e connota il rapporto di natura epistemica tra uomo e mondo, la qualità e il modo dell’esistere. In questo la riforma del 2015 e le relative linee guida proprio in materia di Teatro-Scuola possono solo fare da solchi facilitatori per il corso di un fiume che però deve avere tanta acqua da spingere nella valle del processo del vivere perché vada in direzione di una ‘normale’ specialità dell’agire formativo che si rinnova nel quotidiano come un altro giorno felice! Si tratta di recuperare come necessaria la fatica dell’operosità: il maestro e l’allievo, a Teatro come a Scuola, non vivono separata la condizione dell’attore da quella dello spettatore; la loro è una comune tensione a farsi voce, a divenire segno. La dimensione attoriale è costitutiva per il maestro come per l’allievo, per l’attore come per lo spettatore: al loro incontro è dato di generare qualcosa d’altro rispetto a quanto già esistente e atteso. Faccio ricorso alla categoria di homo faber proprio per qualificare il fare e considerarlo fondante rispetto all’umanità dell’uomo la cui postura artigiana ne fa un costruttore di mondi. La scena teatrale e la scena educativa sono ‘solo’ l’esplicita spazializzazione di tale postura artigiana che si nutre dell’immaginario poetico e artistico sapendo che “La storia della scienza e della filosofia, come anche delle arti belle, documenta come il prodotto immaginativo venga all’inizio condannato dal pubblico, e in maniera proporzionale alla sua portata e alla sua profondità” (Dewey, 1934, p. 263). Per ‘fare storia’, nelle scienze come nella filosofia e nelle arti, è necessario dare spazio all’immaginativo che produce grazie alla “mente che cerca e accoglie ciò che è nuovo nella percezione” (Dewey, 1934, p. 264). L’attività immaginativa è generativa del fare/produrre/creare e riguarda la sfera percettiva e la mente, fuori dall’abitudine meccanica e funzionale dell’esperienza passata, capace di trasfigurare quella presente e di aprire in senso estetico ad una nuova esperienza e quindi ad altro sapere/conoscere. L’attivismo pedagogico e la ricerca artistica individuano nel Teatro quello speciale spazio, che è anche una pratica, per realizzare il progetto di una Bildung restituita allo specifico dell’umano e perciò vicina al paradigma dell’interpretazione/comprensione e del dubbio, attraversato da 26 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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una vitale “tensione interdisciplinare” (Sola, 2002, p. 31). La scelta del Teatro appare dunque rispondere ad una specifica posizione che si potrebbe definire anche ‘romantica’, oltre che ‘classica’, perché rintraccia nella dimensione estetica/patica la matrice per una epistéme che riflette sulla pratica e riconosce nel formare il formarsi, nel conoscere il conoscersi, nell’apparire l’essere. Mettersi-in-opera, nell’atto dell’apprendere/ conoscere o del performare, indica uno spazio privato che si fa pubblico, che prende forma per apparire così che l’opera sia intesa come opera d’arte nel senso che “essa nega esplicitamente o ignora di fatto quell’identificazione tra materiale oggettivo e operazione costruttiva che è l’essenza stessa dell’arte” (Dewey, 1934, p. 269). L’azione costruttiva, la performance, ribalta il dominio dell’oggetto sul soggetto e fa dell’arte, del Teatro, dell’arte scenica, quella condizione di ‘shock’ che andiamo cercando perché la formazione come la conoscenza si realizzino lasciando che ad emergere sia la differenza e l’unicità del soggetto e il suo orizzonte intersoggettivo. La connessione tra Teatro e Scuola vede un reciproco movimento: portare il Teatro a Scuola e la Scuola a Teatro. Teatro e Scuola con la maiuscola. E se invece del Teatro e della Scuola con la maiuscola – che sembrano chiamare alla ‘difesa’ o alla tutela di un’istituzione, senza curarsi della vita e della sostanza di quella stessa istituzione – si iniziasse a riconoscerne la necessità? La necessità del conoscere/comunicare e del formare/formarsi, che Scuola e Teatro rappresentano in senso istituzionale e che devono trasferire sul piano pratico, in una ‘pedagogia’ e in una ‘didattica’ che siano la risposta a quelle necessità. Per questo poi, pur lontani da finalità amministrative o da posizioni burocratiche, dell’arte teatrale in chiave pedagogica se ne delineano quelle ‘linee guida’ che esplicitamente portano il titolo di ‘Indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali’. In questo senso propongo di intendere il progetto Teatro Scuola Vedere Fare, pure se il suo avvio precede la Legge e le indicazioni stesse, e trovo interessante che, proprio come premessa a tali indicazioni sia indicato “Il valore educativo delle esperienze didattiche con gli spettacoli artistici, fatto valere dagli studi della Facoltà delle Scienze dell’Educazione”: gli studi e le ricerche che le Facoltà di Scienze dell’Educazione hanno realizzato, legittimano e danno forza al dispositivo normativo del 2015 relativo alla Scuola e alle linee guida che ne sono conseguite, dedicate alle attività teatrali. Mi sento chiamata in causa. Il sapere accademico emerso dalla ricerca pedagogica degli ultimi anni fa da sfondo ad una crescita epistemologica che incontrando la modernità 27 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sente di dover innovare anche le pratiche di una educazione che non deve dimenticare la centralità dei propri obiettivi formativi. Come se quel campanello, fatto risuonare da Beckett in Giorni felici nel 1961, avesse risvegliato l’idea di un lavoro sulla ricerca scientifica che la facesse “dialogare con la società e con la cultura” (Cambi, 2002, p. 102). In questo modo il complesso ‘congegno’ pedagogico ha saputo/dovuto integrarsi con l’agire e collocarsi dentro uno “spazio-tempo determinato” che chiede al sofisticato congegno teorico di rifuggire da ‘metodi’ e di dar corpo alle proprie pedagogie in un recupero della centralità dell’esperienza (e quindi della costruzione del significato, della produzione del senso) che fa di John Dewey ancora un autore di riferimento per chi voglia innovarsi attraverso un pensiero cui si chiede di farsi azione perturbante (e non rappresentazione). La qualità pedagogica dell’azione sta nel sottrare il gesto dal mostrare solo se stesso in senso didascalico per aprire al gesto come traccia di un altro piano che emerge e lascia che accada qualcosa in quanto segno perturbante, appunto, che smuove non solo chi ne è l’attore ma anche chi ne è spettatore. Si tratta di generare una relazione, di lavorare sulla possibilità di un incontro e sulle difficoltà perché ciò avvenga. Non basta parlare per comunicare. L’impianto della Scuola come del Teatro fatto coincidere con la parola, con il testo, con quanto già ‘scritto’ e detto, appare indebolito se si opera con Derrida una ‘decostruzione della parola’: si tratta dello “smascheramento radicale dell’intera strategia metafisica da Platone a Husserl” (Sini, 1984, p. 13) che passa per “la svalutazione della scrittura, del gramma o segno ‘scritto’” (Sini, 1984, p. 19) per poi ritornare all’azione come categoria connessa a quella di vita e restituita al gesto e alla voce, cioè alla sua carnale corporea materialità che ne fa un evento sottratto dall’ordinario significato precodificato e consegnato invece dalla presenza dell’agente-attore alla significazione, alla produzione di senso generata dal contatto con lo spettatore: è dall’incontro e dalla condivisione dello spazio che si può produrre un ‘territorio’ e iniziare a percorrerlo non più secondo le ‘indicazioni’ e le traiettorie già tracciate, ma secondo una nuova cognizione, mossi da un altro sentire che è dato da un certo ‘stato dell’arte’. Il cambiamento che si prospetta passa per la qualità della ‘presenza’ di ciascuno. Anche ora che il registro s’è fatto elettronico, la pratica dell’appello, quel rituale che pare solo burocratico (e che il più delle volte non serve neppure a quello perché i dati dell’evasione e dell’abbandono scolastico spesso non arrivano in tempo reale e neppure in differita), quella verifica della presenza in classe che avvia le lezioni a scuola, acquista qui un’altra funzione: può 28 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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essere il gesto inaugurale con cui si rivolge la domanda di fondo ‘Ci sei? Sei qui con noi?’ e con cui la risposta ‘Presente’ suona come un impegno, un auspicio, e non un dato di fatto. Questo l’attore lo sa. Non basta stare in scena, sotto i riflettori, alla ribalta, per poter dire di ‘fare spettacolo’. Non basta all’alunno stare in classe per dire di essere attore del proprio processo di apprendimento e formazione. Come non basta all’insegnante occupare la cattedra, e ripetere gesti e procedure come fossero un sacro rituale, per essere ‘maestro’ o ‘maestra’ di vita. Le difficoltà dell’incontro, della relazione, della comunicazione, e la fatica necessarie a superarle, si rinnova ogni giorno e non può essere ‘risolta’ con modelli o metodi cui appellarsi e dentro i quali trincerarsi in nome delle ‘buone prassi’, perché i tracciati vanno percorsi e lo specifico umano è che il tracciato esistenziale di ciascuno si intreccia, come la trama di un racconto, con quello di tanti altri e non si compie ma si realizza in una creazione continua. Lo spazio, il mondo che si vive, dice di una condizione del singolare che contiene una “pluralità originaria” e che rende ciascuno un Noi, “noi altri5 incaricati di questa verità, più che mai la nostra, la verità di questa paradossale ‘prima persona al plurale’ che fa il senso del mondo come spaziatura e intreccio di tanti mondi – terre, cieli, storie – quanti sono gli aver-luogo del senso, o i passaggi della presenza” (Nancy, 1996, p. 9). La spaziatura parla di una condizione di ‘legame’ con il mondo che con Nancy si dà come tra di noi: questo ‘tra’ indica di fatto ciò che si dà quando si produce un legame la cui dinamica genera la topografia mobile del noi che si rinnova attraverso il quotidiano arrivo del giorno nuovo. Quel beckettiano altro giorno felice! Il discorso pedagogico che si incarna in un dispositivo normativo come quello che in Italia ci si è dati con l’intento di fare una ‘Buona Scuola’, sembra che rivendichi una centralità dell’umano nelle questioni relative alla Bildung contemporanea e l’emergere di una progettualità centrata sull’azione che ‘liquida’ le certezze metafisiche e chiede a ciascuno di partecipare in senso fenomenologico ed ermeneutico nel farsi-spazio e mettersi-in-opera, come noi altri attraversati da una vitale spinta a ‘fare comunità’. Certo, nel lessico normativo utilizzato per le ‘linee guida’ si avverte ancora la fatica nell’operare un salto cognitivo deciso, necessario Come ci ricorda lo stesso Nancy, in una nota al suo testo che cita F. Warin, “Tra il ‘noi tutti’ dell’universalismo astratto e l’ ‘io-me’ dell’individualismo miserabile, c’è il ‘noi altri’ di Nietzsche, un pensiero del caso singolare che mette fuori gioco la contrapposizione tra il particolare e l’universale”. 5

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ad innovare l’istituzione scolastica nella sua unità teorico-pratica. Come per chi ha architettato e sta realizzando Teatro Scuola Vedere Fare, si è lontani dall’idea di asservirsi ad una norma, perchè tutto passa e necessita dell’umano gesto di ogni singolo attore del sistema scolastico e del sistema artistico-teatrale nel suo complesso per dare senso e corpo all’indirizzo normativo. Il Teatro appare come il presidio scelto per difendere e garantire la centralità del sentire e del fare rispetto ad un impianto spostato sui contenuti e sul loro apprendimento riferito all’intelletto e contrapposto alla sfera emotiva. Pur consapevole di tali criticità di carattere culturale, e quindi anche epistemico, considero e propongo di considerare le linee guida come la concreta testimonianza di un cambiamento in atto che fa della Pedagogia un territorio molto esteso che dalla Scuola si sposta e si apre alle Arti e fa del Teatro la sua nuova ‘casa’: lo spazio per una metodologia che l’attivismo di Dewey ha provato a rendere praticabile e che l’umanità si era data in Oriente come in Occidente in forma di ‘parola’, di ‘gesto’, di ‘teatro’, per comunicare e dare senso al proprio trasformarsi-divenire. In questo senso il Teatro può non essere un’attività più o meno integrata nella didattica ma una dimensione trasversale al ‘fare scuola’ attraverso la quale lavorare a formare una comunità di apprendimento in cui ciascuno è attore-agente-performer-cittadino del proprio apprendere-conoscere-divenire. Il Teatro può essere cioè il nome che diamo all’utopico pedagogico della Scuola: la ‘via’ per liberarsi dalla spinta ideale e indifferenziata e scegliere la sostanziale erranza del differente. Il Teatro può rispondere cioè a quella che Riccardo Massa (2002) definisce la “istanza sostanziale” che orienta la prospettiva di ricerca della clinica della formazione: si tratta di una svolta pragmatista e fenomenologica alla formazione che, come Dewey, individua l’arte come esperienza. Lo sguardo critico non può mancare se con Riccardo Massa mettiamo “in luce l’istanza di potere che sta alla base di ogni progetto clinico” e ci chiediamo “Ora, quale progetto è più segnato da una istanza di potere di un progetto educativo?” (Massa, 2012, p. 319). L’Istituzione-Scuola necessita di una prospettiva critica e della consapevolezza che deriva in particolare dalla prospettiva clinica, “nel senso d’un’attenzione a ciò che è concreto, a ciò che è individuale” (Massa, 2002, p. 321), per contrastare quel progetto di potere e di assoggettamento che pure contiene ogni progetto educativo con i suoi desideri e una certa logica ‘verticale’. L’Istituzione-Scuola può aver luogo, accadere, in ogni luogo perché necessita ‘solo’ della qualità relazionale di un ambiente per poter realizzare il suo progetto. Ha bisogno di una ‘scena’. Il Teatro diventa metafora 30 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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della scena formativa ma in un senso che rompe con ogni progetto di assoggettamento ed instaura un’importante attenzione alla relazione e al linguaggio-azione. “Se la clinica è ricerca, essa è ricerca strettamente legata con un fare, un agire, un operare, e quindi si pone all’interno di una circolarità virtuosa tra il sapere, il saper fare, il sapere essere, tra l’agire e il comprendere entro situazioni determinate” (Massa, 2002, p. 321). Il fare trova casa nel Teatro che intanto è stato istituzionalmente chiamato a farsi Scuola o meglio quel Teatro che rende la Scuola una struttura viva, autonoma e indipendente dalle stesse istituzioni che la significano e che producono l’orizzonte funzionale del sistema formativo nel suo complesso. Come si legge anche nelle ‘linee guida’, l’invito non è solo a vedere spettacoli teatrali ma a produrne di propri. Il vedere-Teatro si combina con il fare-Teatro. Il laboratorio teatrale è un po’ come il corpus di una metodologia che unisce vedere e fare, l’osservare e il produrre, in un gioco di continua riconfigurazione dei ‘dati’ in ‘fatti’, così che le attività teatrali non siano ridotte ed asservite al programma e alla didattica ma rese parte e veicolo di una strategia pedagogica che chiede alla didattica di tradurre – e quindi di tradire – l’intenzionalità del progetto educativo sotteso all’Istituzione Scuola e all’Istituzione Teatro. Dall’utopia pedagogica è possibile, cioè, produrre proprie distopie che estendono l’orizzonte educativo e fanno entrare in scena molti altri mondi. Sono i mondi finzionali che entrano in relazione con la ‘realtà’. In questo non c’è intrattenimento né svago ma un complesso di-vagare per nutrire il cognitivo di altro materiale e di altro ‘punto di vita’. Il sapere si connette con l’atto del conoscere/com-prendere che diventa esperienza viva, vissuta, patica che passa per il corpo e ne fa condizione necessaria all’essere-conoscere. L’osservazione e l’ascolto diventano momenti qualificati e qualificanti di un’attività dell’interpretare-comprendere che investe l’essere e il suo esser-ci, non importante che sia nella ‘posizione’ di maestro o di allievo, così che lo spettacolo teatrale, anche solo nel momento del suo accadere scenico, possa essere parte di un apprendere oltre e fuori dalle piste tracciate dalle indicazioni (ministeriali). E una volta tanto, nel caso del progetto Teatro Scuola Vedere Fare, sembra che una Legge, delle istituzioni culturali e artistiche, delle istituzioni scolastiche, dei professionisti e degli artisti, si siano fatti ‘cittadini’ di una Bildung essa stessa in formazione. L’osservazione e l’ascolto sono già un fare e, se inseriti in un sistema formativo più complesso, sono anche la condizione perché il fare non sia un ripetere ma un agire con senso. Il vedere-Teatro ha già una qualità 31 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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pedagogica che collega prometeicamente quel vedere ad un fare e che instaura uno spazio-tempo differente che chiamiamo della sospensione “per poter aprire lo spazio ad un atteggiamento di tipo autenticamente ermeneutico e autenticamente interpretativo, senza credere che vi sia una verità nascosta da rivelare” (Massa, 2002, p. 327). La sospensione cui invita Riccardo Massa, questo rarefarsi/alterarsi e mutare di ritmo, entra nel lessico pedagogico e diviene pratica liberatoria che apre un varco verso ciò che è meno evidente, reso invisibile da un occhio-orecchio-pellecorpo che afferra e fa presa solo su ciò che ri-conosce, per abitudine. Nella sospensione come pratica del vedere c’è un principio di cinetica differente: una mobilità praticata per “restituire alla vita i suoi significati formativi e alla formazione i suoi significati vitali” (Massa, 2002, p. 332) così da sottrarsi agli automatismi dell’abitudine e restituire profondità al vedere oltre che al fare. Utilizzando un approccio clinico alla formazione sostengo che “La formazione diventa oggetto narrativo!” (Massa, 2002, p. 329) così che anche i dispositivi normativi che riguardano e regolano la formazione, e più nello specifico l’educazione scolastica, siano l’oggetto empirico da osservare perché carico di epistemologie implicite e di una cultura dell’educazione che guida poi questa o quella pratica. Se anche il dispositivo normativo diventa oggetto di studio e ricerca empirica è perché questo speciale ‘testo’ può ‘dire’ cose differenti in base a chi lo legge e a chi se ne fa attuatore. E questo lo ribadisco perché non basta dare indicazioni strategiche da parte di un ministero, il ministero dell’istruzione, perché il Teatro sia introdotto in maniera univoca nella didattica e nelle attività scolastiche curriculari ed extracurriculari. Bisogna allora esplicitare la pedagogia sottesa di cui si è portatori perché questa orienta ciò che viene compreso del testo normativo e genera tante e differenti interpretazioni. Sulla base di questa varietà interpretativa, nominare il Teatro-Scuola, pur nell’ambito degli stessi riferimenti normativi, produrrà esiti molti diversi che lasceranno emergere le specificità dei contesti e le diverse capacità degli ‘attori’ di attuare questa o quella pedagogia in nome delle stesse ‘linee guida’. In questo senso, qui non voglio affermare né indicare una ‘corretta’ interpretazione né una buona prassi, quanto invitare ciascuno a riflettere sulle modalità attraverso cui è possibile dare forma al ‘proprio’ Teatro formante e trasformare la Scuola in una scena tras-formativa la cui struttura si sa che si è contribuito a costruire – come chi esplicitamente aderisce al progetto Teatro Scuola Vedere Fare – oppure comporre e configurare quella stessa complessità in maniera da unire caso e necessità. 32 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Operare una decostruzione per il Teatro e per la Scuola, così come per il Teatro-Scuola, è una opportunità che mi sono data in questa sede perché consapevole di usare due dispositivi-concetti, Teatro e Scuola, che funzionano in risposta a diverse intenzionalità che a loro volta generano strumenti artificiali e ingegnose tecnologie dell’apprendimento e della formazione. Due concetti che in ogni tempo e ad ogni latitudine o longitudine hanno preso vita per rispondere a bisogni sociali legittimati dal contesto in cui quei bisogni e quel Teatro e quella Scuola sono emersi. ‘Leggere’ le linee guida come esse stesse suggeriscono, cioè come “comune corpus teorico pedagogico e didattico”, invita di fatto a riflettere sul corpus teorico pedagogico e didattico di cui si è portatori e quindi a divenire consapevoli della propria cognizione in materia di Teatro e di Scuola. L’invito alla ‘lettura’ è sicuramente rivolto agli insegnanti, ai professionisti della formazione e ai professionisti della formazione che hanno scelto il Teatro come medium e come veicolo di relazione/comunicazione/formazione. Dove, essere esperto o professionista di TeatroScuola non significa sapere usare correttamente il medium, quanto invece essere chiamati a realizzare e a far esistere ciascuno il proprio progetto, la propria idea di Teatro e di Scuola che ha bisogno di coinvolgere attivamente il gruppo, la classe, perché il singolare nutra il plurale. Il Teatro come la Scuola sono spazi di co-esistenza, singolare/plurale (Nancy, 1996) dove si coltiva la dimensione politica dell’essere e del conoscere. I modi del coltivare sono essi stessi plurali e non basta indicare Scuola, Teatro, né tantomeno Teatro-Scuola per ‘dire’ esattamente il senso che si conferisce loro e che si prova ad ‘esprimere’ nel lavorarci. La fatica del produrre senso si rinnova giornalmente e riguarda la comunità che attua materialmente quelle indicazioni normative. Bataille, George Bataille (1967), avrebbe definito questa attività come quelle che concorrono al dispendio: perché la norma non sia ridotta ad un vademecum per realizzare lo spettacolo come ‘utile’ da mostrare ai parenti oppure a qualche rassegna teatrale, o per individuare i criteri con cui ‘logicamente’ scegliere quello dove essere spettatori, in nome dei programmi e degli obiettivi didattico-disciplinari. Il diritto, ovvero una delle sue espressioni che ha dato forma a quel dispositivo normativo di cui il mondo della Scuola si è dotato dichiarando la sua strategica alleanza con il Teatro, in questo caso va osservato, da chi vuole farsene interprete, con sguardo interrogativo per cercare nelle pieghe del testo quei ‘rovesci’ e quegli interstizi che fanno spaziare e muovere, dispendiosamente, verso un certo senso della comunità e della sua sacra linfa vitale, verso un singolare quanto plurale 33 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vedere e fare Teatro. Perché la dispersione apre allo spazio comunitario, costituisce la spaziatura per offrirsi, donarsi e comunicare con l’altro. Proprio come in un certo Teatro. L’essere produttivo nel senso di questo certo Teatro riguarda la comunità, lo spazio della condivisione, l’esserein-comune di Nancy (1996). E proprio attraverso questa prospettiva e questa tensione comunitaria ci si riavvicina alle linee guida per il TeatroScuola, riconoscendo che il Teatro-Scuola, così come la norma che lo istituzionalizza come attività didattica, non costituisce una finalità bensì individua esplicitamente nel vedere e nel fare Teatro un modo per dare materialità e visibilità alla propria pedagogia e alla propria epistemologia pedagogica. Attraverso la concretezza dell’agire performativo si può dunque lavorare con un certa qualità pedagogica sull’apparire che implica un comparire e quindi un prendere contatto con la propria co-esistenza (Nancy, 1996, p., 22). Interessante quindi, per tutti gli attori del sistema scolastico, raccogliere dati e osservare cosa uno stesso dispositivo ha generato in termini di varietà e di pluralità. Vedere o realizzare un’opera teatrale diventa, o può diventare, l’occasione per una comunità di realizzarsi come tale. Per questo, ovvero per tutti i molteplici modi che una comunità tesse legami che strutturano un ‘tra’, non è possibile individuare né indicare la via più giusta al fare Teatro-Scuola. Ci si può solo confrontare e osservare attraverso lo sguardo degli altri: come a Teatro, appunto. E come nella rassegna Maggio all’infanzia in cui confluiscono i lavori realizzati dalle classi partecipanti a Teatro Scuola Vedere Fare. Perché non si segue una moda, un modo, ma si fa esperienza della Scuola come Teatro e del Teatro come Scuola, e soprattutto non si segue una indicazione normativa come fosse un ‘dettato’ ma si auspica si producano reti di relazioni tra diversi ‘attori’ del sistema educativo e artistico-organizzativo locale in grado di costituire un sistema intelligente capace di interagire e comunicare anche fuori dal territorio di cui sono espressione, per ragioni che attengono a quella Bildung e a quell’Umanesimo di cui dicevamo con Gadamer. Le ragioni dello spettacolo, anche solo quello a cui assistere, coincidono con la sua necessità; e il dispositivo normativo messo a punto ad hoc per ‘indicare’ l’uso didattico delle attività teatrali, ha una funzione politica attraverso cui si esplicitano le necessità di una comunità. Come Jean-Luc Nancy tiene a sottolineare, lo spettacolo è una forma di messa in scena dell’essere-sociale e della sua co-esistenza se “l’essere-sociale è essenzialmente un essere-esposto” (Nancy, 1996, p. 96). In tal senso la rappresentazione nella sua forma di spettacolo dal vivo, di Teatro, è quel particolare caso del reciproco farsi presente di cui ciascuno necessita per 34 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cogliere di Sé la propria sfera pubblica, politica, spettacolare appunto. La rappresentazione in forma di teatro ‘lavora’, mediante la mimesis, sul senso della responsabilità, della consapevolezza, e contribuisce a costruire quel ‘noi’ come riparo dal vuoto individualismo esibizionista. La partecipazione allo spettacolo, sia in forma di attore che di spettatore – e quindi proprio l’attivazione del dispositivo mimetico che ereditiamo dalla tragedia greca ateniese – è necessaria perché lo spettacolo compia la sua funzione necessaria riferita al com-parire. “E com-parire […] Significa trovarsi nella simultaneità dell’essere-con, in cui non c’è alcun ‘in sé’ che non sia immediatamente ‘con’” (Nancy, 1996, p. 94). Il com-parire può essere utilizzato come chiave di lettura, come dispositivo, per decostruire e comprendere le linee guida per il Teatro-Scuola in un’ottica che Riccardo Massa (2002) ha definito di “comprensione trasformatrice” e che costituisce una prospettiva con cui ripensare Teatro e Scuola in termini politici e sociali, nuovamente come espressione di una presentazione, cioè di un farsi presente consapevoli che “non c’è ‘presenza’ che non sia la presenza degli uni agli altri” (Nancy, 1996, p. 95). Se il diritto indica un sistema di valori, allora la normativa in materia di ‘Buona Scuola’ e di ‘Teatro-Scuola’ esprime il valore dell’essere-sociale, del reciproco essere-presente, così che, a partire dal suono della campanella che dà avvio alle lezioni e dall’appello che chiama i presenti, sia tutto ricondotto ad una pratica sociale del com-parire e del com-prendere. Il diritto, anche solo quello codificato in un documento sintetico denominato ‘indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali’, contiene una sua Pedagogia che individua nel Teatro una metodologia che lavora sulla consapevolezza e sul senso di reciproca responsabilità per una diversa qualità dello stare al mondo, di abitarlo, di costruirlo, che corrisponde ad una diversa qualità dell’esistere che forma alla capacità di stare e di agire in relazione a dove si sta, a dove si è situati e in rapporto a chi è presente con te. Sembra tornare attuale e necessaria cioè una vita activa (Arendt, 1958) in cui il giudizio, la capacità di giudicare-pensare, emerge nell’azione, è affidata cioè al gesto teatrale che trova senso sulla scena e attraverso gli sguardi che su quella scena compaiono. L’azione, che è gesto teatrale se ‘arriva’ all’altro, se ha in sé l’altro, se comunica di sé all’altro, diventa quello speciale e vitale spazio-tempo in cui non risuona il così fan tutte bensì un inno alla gioia!

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I perché del Teatro-Scuola. Per una politica dell’educazione

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1. In premessa: ricordi di una Scuola Quando la Scuola Primaria si chiamava Scuola Elementare, la mia maestra – esempio di eccellenza pedagogica – insieme allo studio delle discipline previste da programma, e in piena logica di autonomia (già!: ha precorso i tempi la mia maestra!), ci introdusse (si era tra la metà e la fine degli anni ’70) alla lingua francese, al teatro e alla musica. E più precisamente, per la musica, insieme allo studio delle note e del pentagramma, ci insegnò a suonare il flauto dolce. Ora questo dato autobiografico mi si riaccende all’incontro con la lettura di Pierre Vernant (1990) e con il suo studio sui miti e sul sacro che ci fa andare dal racconto mitico alla rappresentazione e all’immagine artistica. Vernant fa osservare che “le sonorità del flauto sono estranee alla parola articolata, al canto poetico, alla locuzione umana” (p. 89) e più precisamente che “L’arte del flauto – al tempo stesso lo strumento, il modo di servirsene e la melodia da esso prodotta – è stata ‘inventata’ da Atena per ‘simulare’ i suoni acuti che aveva udito provenire dalle bocche delle Gorgoni e dei loro serpenti. Per riprodurli, fabbrica allora il suono del flauto ‘che raccoglie tutti i suoni’” (p. 87). L’alterità sovrannaturale nella mitologia trasmessa dai classici greci arriva in forma di ‘tutti i suoni’ connessi alla maschera deforme che li genera. Accedere al mondo sonoro e musicale per me ha coinciso con l’essere iniziata all’arte del flauto che intercetta e incorpora il tema della maschera e quindi della “potenza fatta maschera” e della sua plastica mostruosa. Attraverso il suono del flauto ho conosciuto la maschera e il tema del mostruoso e soprattutto ho avuto accesso a un mondo fatto di suoni differenti da quelli articolati in parole. L’aula dove ho imparato a leggere e scrivere, insieme alle parole del vocabolario e a quelle del poeta, lasciava risuonare anche il suono del flauto prodotto dai nostri volti-maschera mutati nella loro mimica che apriva, così, all’esperienza del mondo del non-umano, del mostruoso, del bestiale. Prima di arrivare al tema del Dionisiaco, dell’orgiastico, del doppio, il flauto conduce ‘dolcemente’ in una zona che oltrepassa l’umano e ne esplora delle variazioni di cui il corpo è portatore, solo che plasticamente muti la sua maschera. L’unità, l’ordine lineare e la fissità cui forma la parola si sono rotte in una plurale deformazione che ha introdotto ad una erotica-estetica della formazione e della conoscenza che va oltre 37 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la parola e ne indaga le pieghe non verbali ma vocali e sonore (Cavarero, 2003), così innovativa negli anni ’70 e oggi così fortemente legittimata dai più recenti studi di neuroscienze e dal loro contributo a un’altra cultura dell’educazione (Bruner, 1996). Una cultura dell’educazione che ha guidato di certo le diverse teste ben fatte (Morin, 1999) che animano il progetto Teatro Scuola Vedere Fare e gli enti-istituzioni cui afferiscono. Ripensare qui a quanto vissuto, a quel flauto e alla gioia provata nel sentirne il vibrato e riuscirne a domare i suoni in armoniche, ha un valore tutto speciale quando si incontra con una riflessione sul senso pedagogico del fare Teatro a Scuola e del portare la Scuola a Teatro. Insieme alla drammatizzazione e alla finzione scenica, io ho conosciuto il mondo sonoro e quello musicale avendo accesso, pienamente dentro la didattica curriculare e l’ordinario delle attività scolastiche, al regno del non-verbale, attraverso il flauto, la cui forza simbolica Jean-Pierre Vernant (1990) ci aiuta a ricostruire come proveniente dalla lontana mitologia classica, che ha fatto da medium per estendere il nostro mondo naturale a quello sovrannaturale. Un raffinato lavoro di cucitura tra codici e linguaggi differenti che oggi emerge come una necessità educativa e un richiamo esplicito a bisogni educativi speciali, disabilità, interculturalità, intelligenze multiple, disturbi dell’apprendimento e altre fenomenologie del caso, e che richiama ad un certo Teatro-Scuola o a una Scuola-Teatro che grazie alla ricchezza e alla varietà dei codici e dei linguaggi si sperimenta, ogni giorno, come “campo relazionale” in cui l’arte occupa una posizione privilegiata tra le forme di relazione sociale necessarie al costruire mondi e produrre conoscenza. La lezione di Dewey sembra tutta compiuta in qualche modo, e resa praticabile da una maestra la cui postura epistemologica mi ha condotto a incorporare l’arte, a iniziare da quella del suono del flauto, la dimensione materiale e insieme immateriale che ne governano il processo produttivo e che costituiscono la multidimensionalità dell’essere-esistere, dell’agire-com-parire, del conoscere-com-prendere. Nel suono che è anche gesto e smorfia mostruosa per il volto che si deforma perché quel suono possa prendere forma, ho conosciuto le possibilità che ha il corpo di rendere presente il suo essere ‘animale vivente’. Così risuona Dewey che sostiene che: “Per capire le fonti dell’esperienza estetica è pertanto necessario prendere in considerazione la vita animale al di sotto del gradino dell’uomo” perché dell’animale vivente – o della bestia e del mostro direbbe Vernant – ci interessa che è “pienamente presente” (Dewey, 1934, p. 44). La presenza, quella che abbiamo concettualizzato con Jean-Luc Nancy e con Derrida, è una qualità che per Dewey indica la 38 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vitalità necessaria al fare esperienza perché “L’esperienza, nella misura in cui è esperienza, è vitalità intensificata” (Dewey, 1934, p. 45). Dell’animale allora recuperiamo con Dewey questa vitale condizione di una presenza piena che ne fa “un buon osservatore del mondo intorno a lui e ben teso con energia. Quando osserva quel che si agita attorno a lui è lui stesso agitato. La sua osservazione è sia azione che si prepara, sia previsione del futuro” (Dewey, 1934, p. 44). Il non-umano/animale dell’umano ci interessa pedagogicamente perché costituisce una condizione e una qualità dell’essere e del farsi presente necessaria al fare esperienza e dunque al mettersi-in-opera. Un’opera che a Teatro non è conservata se non attraverso l’esperienza del pubblico e dell’incontro tra il pubblico e gli artisti. Ma che per il progetto Teatro Scuola Vedere Fare provo a conoscere attraverso le schede degli spettacoli inseriti nella stagione teatrale e dedicati al progetto e quelli realizzati dagli alunni. Di questi ho anche una documentazione audiovisiva e fotografica da cui estraggo tracce di un lavoro riconducibile ogni volta a diverse sensibilità, poetiche, drammaturgie del corpo e degli oggetti. E lì il non-umano/animale affiora in forma fiabesca oppure come implicito di una mobilità a piedi nudi e con le mani per aria, che trova in una smorfia dietro la maschera, sotto un manto bianco o dietro un aquilone che non vuol volare la via per provare ad essere altro. E la vita animale, io l’ho conosciuta nella forma della Gorgone, imparando a suonare il flauto, a entrare concretamente in uno stato eccitatorio che mobilita i sensi e tutto il sistema motorio, trasformando lo spaziotempo in una ritmica differente dal flusso lineare e dando corpo ad un’azione fuori dall’ordinario, pienamente partecipativa e comunicativa. Una vita che ora riconduco a un quadro epistemico attraverso il quale ‘significare’ il Teatro-Scuola e quella particolare esperienza-progetto che è Teatro Scuola Vedere Fare e che attraversa e nutre il perché di questo volume e il perché del Teatro-Scuola.

2. Le due scuole o molte di più. Danzando con Dioniso a suon di flauto “Intorno a lei c’erano rumori sereni, odori di alberi, piccole sorprese in mezzo ai rampicanti. L’intero giardino era frantumato dagli istanti del pomeriggio incalzato dalla sera. Da dove proveniva il mezzo-sogno che l’avvolgeva? Come un ronzio di api e di uccelli. Tutto era inconsueto, troppo dolce, troppo grande” (Clarice Lispector, Legami familiari, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1989, p. 21)

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Come in un gran bel giardino, a Scuola come a Teatro, tutto è inconsueto: gli odori, i suoni, la durata del tempo, la dimensione delle cose. L’inconsueto ha la consistenza del mezzo-sogno in cui si è avvolti come dal ronzio di api e di uccelli. Le rumorose sonorità di un tempo sospeso dove ci conduce Clarice Lispector col suo racconto ci ricordano che, nella storia dell’uomo e del mito, al flauto si è aggiunta l’arpa così che la voce, libera dallo strumento, potesse diventare canto e la maestria delle mani liberare il vibrato delle corde e della tastiera ed estendere e variare l’estensione vocale, producendo altra materia sonora vocale modulata in suoni poi codificati in parole. Il suono è il mondo – dionisiaco – nel quale immersi siamo sin dalla vita intrauterina (Tomatis, 1972-1991). Immersi e toccati da materia sonora, orecchio e pelle sono i due sistemi primari del linguaggio e della comunicazione umana che dal ventre materno strutturiamo per restituire quel sentire tattile in tante altre forme e in tante altre scene. Il suono, la voce, la parola, il gesto, l’azione, sono le forme che apprendiamo dall’ambiente per esistere e costituiscono la qualità attraverso cui la materia di cui siamo fatti esiste: qualità che dice di una costitutiva dimensione tattile e cinetica dell’essere e del mondo che preesiste a quella visiva – apollinea – e fa dello stare al mondo una condizione ‘tragica’, che è del conoscere stesso, direbbe Nietzsche (1871). Questa condizione tragica è di Prospero e di Ariel, di don Chisciotte o del Piccolo Principe come dell’orco o della strega: la pienezza con cui esibiscono la loro volontà, la loro patica ragione, può diventare per incanto mimetico quella di chi si mette loro in ascolto. La visione (dello spettacolo) ha la qualità dell’ascolto se assume il senso tragico del patire, del partecipare, dell’essere e del fare come-se. Si ascolta il suono, la sua materia, prima che diventi canto o coro, per lasciare che il sentire non cada nella ricerca rivelatoria di un significato puntuale ma sia in grado di mobilitare altro sentire con cui afferrare la materia sonora perché questa muova verso un’altra dimensione del conoscere: quella dove dionisiaco e apollineo si incontrano. Così William Shakespeare, Italo Calvino, Antoine de Saint Exupery, i fratelli Grimm, Miguel de Cervantes e molti altri – gli autori classici e contemporanei dalle cui opere le compagnie teatrali producono gli spettacoli inseriti nelle stagioni teatrali per ragazzi e quindi anche in quella programmata per il progetto Teatro Scuola Vedere Fare – sono i lirici le cui opere generano una potente materia sonora nella quale immergersi e sentire/comprendere l’allegorica e metaforica realtà di cui è carica. Tre gli spettacoli che le classi scelgono e vedono a teatro. Tre spettacoli che gli insegnanti scelgono e attorno a cui è strutturata l’attività di Didattica 40 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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della Visione, perché è esplicito l’obiettivo di integrare poi con i gruppiclasse la visione degli spettacoli con il loro lavoro e studio curriculare. L’insegnante partecipa all’attività di Didattica della Visione, prima quindi di vedere con i suoi alunni lo spettacolo a teatro, con la possibilità di trasformare quella attività in una ‘bottega della didattica’ recuperando del ‘vedere’ la totalità del sentire, la ‘tragica’ e lirica immersione e tattilità dell’ascolto. Si tratta, a bottega, durante gli incontri di Didattica della Visione, di riunire, dello spettacolo (del mondo), la natura dionisiaca a quella apollinea: non più due mondi, due momenti e due spazi distinti ma un unico corpo la cui materia è anche figura. Il corpo che vede è anche corpo che vive il suono, l’azione scenica, la musica, il canto, il gesto, la danza. Vive e può prodursi in suono, azione scenica, musica, canto, gesto, danza, non dimenticando della varietà dei linguaggi e delle possibilità generative che possono aprire. L’insegnante che partecipa alle attività di Didattica della Visione si regala dunque un’opportunità, entra e partecipa di uno spazio dove inizia a realizzare il ‘suo’ Teatro-Scuola senza cercare di mettere tutto in una spiegazione lineare ma scoprendo come gli stessi contenuti disciplinari e la didattica utilizzata per l’insegnamento non sono da usare in chiave trasmissiva o dogmatica. All’occhio si unisce la forza paradigmatica dell’orecchio e della pelle e insieme ritrovano la sapienza della mano dell’artista/poeta/artigiano. E così, se con Vernant abbiamo ripercorso attraverso il mito l’ingresso sulla scena educativa e teatrale del sacro e del sovrannaturale, ora mi viene in mente il dilemma de Le due scuole in una delle favole filosofiche di Ermanno Bencivenga (2007): Al mondo ci sono due tipi di scuole. In uno si insegnano tutte le cose vere: chi ha veramente fondato Roma, qual è veramente la montagna più alta del mondo, chi vive veramente sott’acqua. Nell’altro invece si insegnano tutte le cose false: che Roma l’ha fondata remo e Numa Pompilio, e che sott’acqua ci stanno draghi e sirene. Fra i due tipi di scuole c’è una bella differenza. Di verità ce n’è una sola: se è vero che Romolo ha fondato Roma, non può essere vero che l’ha fondata nessun altro. Quindi i bambini che vanno a questo tipo di scuola imparano tutti le stesse cose, e quando le hanno imparate passano il tempo a ripeterle. “Roma è stata fondata da Romolo”, “Sott’acqua ci vivono i pesci” eccetera eccetera. In ogni momento dell’anno, se entrate in una scuola così ci trovate tutti i bambini che ripetono la stessa cosa, per esempio che Roma è stata fondata da Romolo. Se uno sgarra e dice che Roma l’ha fondata qualcun altro, gli danno dell’asino. Perché in queste scuole si insegna la verità, e di verità ce n’è una sola. 41 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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A lungo andare, anche i bambini che vanno a queste scuole diventano tutti uguali: hanno tutti un grembiulino bianco, i capelli rossi e neri e gli occhi gialli e blu, e mangiano tutti il gelato alla crema di ribes. Quando crescono, vogliono tutti una macchina grande grande, con dentro il telefono e il frigorifero e la lavatrice. L’altro tipo di scuola è molto diverso. Siccome per ogni cosa vera ci sono infinite cose false, ogni scuola di questo tipo insegna ai bambini cose diverse, anzi ogni bambino in una scuola impara cose diverse dagli altri. Uno impara che Roma l’ha fondata Remo, un altro che l’ha fondata Numa Pompilio e un altro ancora che l’ha fondata suo zio Gustavo, che tanto non ha niente da fare. Se entrate in una scuola così ci trovate un gran pandemonio, con tutti i bambini che raccontano storie diverse e nessuno può dire a un altro che ha torto perché tanto hanno torto tutti e lo sanno in partenza. E i bambini, anche, sono diversi: uno ha gli occhi verdi e un altro bianchi, uno ha il naso davanti e un altro dietro, uno porta il grembiule e un altro lo scafandro. Quando crescono, uno vuole una macchina con dentro il frigorifero e un altro un frigorifero con dentro la macchina, uno va in giro con il vestito e la cravatta e un altro senza cravatta e senza vestito. Il problema adesso è: quale di queste è una scuola davvero?

Proprio in piena tradizione filosofica contemporanea, propongo di leggere e rileggere la favola raccontata da Bencivenga per restare nel problema posto come interrogativo di chiusura e per iniziare a riflettere, così come attraverso i testi che gli insegnanti partecipanti al progetto Teatro Scuola Vedere Fare sono invitati a fare. Mi sembra non esserci risposta esatta, se la domanda è riferita a una scuola ‘davvero’. Ma intanto, al fondo restano come due grandi quadri epistemici tra cui scegliere o tra i quali muoversi nella pratica scolastica quotidiana che qui stiamo connettendo in maniera evidente con il territorio teatrale, con l’azione scenica, con il racconto più che con la verità. E il racconto è ad opera di un narratore che ‘opera’, appunto, sulla realtà, mutandola in racconto, in un intreccio da cui far emergere una storia e i suoi eroi, non importa di che dimensioni, perché la scena poi è lo spazio dove tutto acquista altre dimensioni, si trasfigura e assume le tinte e l’enfasi dell’epica, della commedia o della tragedia. Oltre alla maschera della Gorgone col suo flauto, nella lettura della favola compare, come in filigrana, anche la maschera di Dioniso – quella nelle Baccanti di Euripide: una maschera che “mentre lo proclama, lo dissimula, lo ‘maschera’ in senso proprio, e prepara tuttavia, attraverso il suo segreto, rendendolo irriconoscibile, il suo trionfo e la sua rivelazione autentica” (Vernant, 1990, p. 186). Nella favola di Bencivenga, mentre 42 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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nella prima scuola tutto si ripete uguale a se stesso e tutti riproducono la stessa verità, nella seconda scuola, quella dove si moltiplicano le storie e le differenze, c’è un pandemonio, quasi ad evocare una condizione festante, sempre riconducibile ad una dimensione sociale e civica, come quella cui il dio Dioniso, lo straniero, chiama perché si possa essere ‘posseduti’ dall’estasi divina e accedere alla saggezza sovrumana riconducibile al dio, oppure dirsene estranei perché seguaci di un altro ordine nel quale ci si voglia sentire ‘liberi’. Quel pandemonio della favola fa eco alle Baccanti di Euripide perché ce ne fa cogliere la necessità: quella che nella tragedia greca fa spazio al rito e alla festa perché tutta la comunità, nessuno escluso, possa condividere ciò che nel quotidiano resta separato o non visibile e che nella favola contemporanea proposta dal filosofo per presentare due scuole, diventa la festosa e festante condizione del manifestarsi ciascuno con la propria storia, consapevoli di concorrere tutti a una visione molteplice e plurale del conoscere, del desiderare e quindi del fare il mondo nuovo. Ma da cui tutti escono mutati. Nel pandemonio della favola le differenze sono al centro di quella scuola “dove si insegnano tutte le cose false”, mentre in quella in cui “si insegna la verità, e la verità è una sola”, tutti sono uguali. Sembrerebbero le due scuole rispondere l’una alla categoria di apollineo e l’altra a quella di dionisiaco. Ma prima ancora che ‘interrogare’ Nietzsche sulla questione, in quanto a uguaglianze e differenze, c’è un aspetto interessante che riguarda il maschile e il femminile cui la favola fa solo un generico cenno e che invece ritorna pieno di senso dalle Baccanti e dal culto di Dioniso che vi si celebra. Il racconto tragico ci aiuta a ‘vedere’ il femminile e il maschile come principi generatori di un certo ordine che la festa a Dioniso interrompe: nel corteo della festa per le donne “L’accesso all’universo dionisiaco, all’idolo dalla maschera […] non esige da loro alcuna rinuncia a ciò che esse sono: donne, a volte sagge matrone o ragazze, come quelle che si potrebbero incontrare nei ginecei, a volte menadi agitate, frenetiche, ma in ogni modo, nell’ottica dei greci, già immediatamente altre, in quanto donne, per natura e per definizione” (Vernant, 1990, p. 184). Il femminile porta con sé il dionisiaco, contiene quella frenesia che ne fa principio vicino al dionisiaco. Mentre “Per partecipare all’esperienza dionisiaca, gli uomini sono costretti a moltiplicare le modalità di allontanamento dalle norme, dalle condotte usuali, nel loro abito e nei loro atteggiamenti. Devono abbandonare il contegno, la dignità virile nel comportamento, il costante dominio di sé che sono propri del loro sesso. Con la gioia del banchetto, la felicità del vino, l’eccitazione della danza, 43 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il frastuono, in compagnia di buoni amici, ecco come i maschi possono avvicinarsi a Dioniso pur restando umani, cambiare pur restando ciò che sono […]. Fare l’esperienza dell’altro, divenire altro, per il sesso maschile significa – in un corteo di festa, dopo aver bevuto, nella danza e nella musica, con una gestualità disordinata i cui eccessi ricordano i comportamenti aberranti dei Satiri – confondere i confini che separano le donne dagli uomini, il greco dal barbaro, gli esseri umani dai Satiri e dal dio, rovesciarsi improvvisamente in un ambito di esistenza nel quale non soltanto non esistono più determinati divieti, ma categorie che normalmente si escludono si trovano a essere per un attimo confuse” (Vernant, 1990, pp. 184-185). Ecco che, anche fuori dalla scena tragica, la festante confusione, il pandemonio, è condizione di rigenerazione della comunità e spazio formante capace di coltivare differenze. Il dionisiaco diventa quel principio di cui si ha bisogno insieme con l’apollineo perché si possano alimentare e far crescere tutte le dimensioni, i mille piani di cui ciascun vivente è costituito e tra cui si muove, perché è animale e animale sociale. Kaos e Kosmos insieme: l’uno condizione dell’altro e viceversa. La maschera, il teatro, la possibilità di mutare il proprio volto, la sua mimica e quella di tutto il corpo, il proprio rapporto con lo spazio-mondo, sono costitutivi dell’esistere e dell’apprendere: a scuola o anche per strada quando la strada si fa maestra, talvolta molto più che la scuola. In questo senso, in nome di Dioniso si può erigere il Teatro e il Tempio dentro la città, sono la condizione stessa della polis. Render sacro lo spazio e percorrerlo al ritmo frenetico della festa, significa poter introdurre l’extra-ordinario nello spazio pubblico trasformandolo in quello speciale ambiente fuori del quotidiano che chiamiamo Scuola e che chiamiamo Teatro. Richiamare e far risuonare in questo spazio extra-ordinario il mito di Dioniso, in particolare nel racconto di Euripide con le Baccanti, è perché con Vernant (1990) sosteniamo che “La tragedia delle Baccanti mostra quali siano i pericoli di un ripiegamento della città sui propri confini. Se l’universo del Medesimo non accetta d’integrare in sé quell’elemento d’alterità che ogni gruppo, ogni essere umano porta in sé pur senza saperlo, così come Penteo rifiuta di riconoscere quella parte misteriosa, femminile, dionisiaca che lo attira e lo affascina sino all’orrore, allora, anche la stabilità, la regolarità, l’identità si rovesciano e crollano […]. La sola soluzione è che l’Altro, grazie alla trance controllata, all’ufficializzazione del tiaso e alla sua promozione a istituzione pubblica per le donne (grazie alla gioia del comos, del vino, del mascheramento e della festa per gli uomini), grazie al teatro per 44 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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l’intera città, divenga una delle dimensioni della vita collettiva e dell’esistenza quotidiana di ciascuno” (pp. 205-206). La tragedia della Baccanti risuona come quella di ogni città che, intera, può scegliere di non separare il Medesimo dall’Altro, e di incorporare lo spazio dell’alterità: quello spazio che dedichiamo a Dioniso e alla sua maschera perché possa aiutare a mescolare umano e divino, saggezza e follia, anche nel dilemma consegnato dalla favola di Bencivenga e dalle sue due scuole. Perché, come nella tragedia di Euripide “il conflitto Penteo-Dioniso può essere interpretato come la drammatica messa in scena dell’opposizione tra due atteggiamenti contrari: da una parte il razionalismo dei sofisti, la loro intelligenza tecnica, la loro padronanza nell’arte del governare, il loro rifiuto dell’invisibile; dall’altra un’esperienza religiosa che fa spazio alle pulsioni dell’irrazionale e sbocca su un’unione intima con il dio”, così per le due scuole si avverte la contrapposizione che produce solo separazione e esclusione dell’uno rispetto all’altro e nulla sa dell’armonia, cui si può giungere, senza possessione, senza manìa, ma con la gioia offerta dal divino quando si produce in suono del flauto e nella danza che lo accompagna.

3. Teatro-Scuola: per una poetica dell’educazione Mi capitò di inventare un giochetto che chiamavo ‘duello di parole’. Facevo il maestro elementare. Mandavo due ragazzi alla lavagna, uno davanti l’altro dietro. Ciascuno dei due a insaputa dell’altro doveva scrivere sulla lavagna una parola qualunque. Il gioco consisteva nel fatto che io avrei inventato una storia combinando quelle due parole. Le storie che ne nascevano erano passabilmente assurde. I bambini sono sensibili al fascino dell’assurdo. C’era da ridere. Gettando una parola contro l’altra – questo era il segreto del gioco – doveva per forza sprizzare una scintilla. Bastava impadronirsene per accendere un piccolo fuoco della fantasia e stare a vedere come si sarebbe sviluppato l’incendio (Gianni, Rodari, 1982, Autointervista, in: Il cane di Magonza, Roma, Editori Riuniti, pp.185-186)

Il ‘fuoco della fantasia’ per Gianni Rodari va ‘accesso’ ed è l’obiettivo con cui lui in prima persona, da maestro elementare, ha inventato giochi perché si inventassero storie e soprattutto perché si ridesse lasciando che nascessero storie da quel gioco e da quel ridere. La maschera di Dioniso torna anche con Rodari a ricordarci che nella pratica del maestro c’è 45 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la dimensione del gioco e dell’assurdo che apre alla risata, mentre la scintilla diventa fuoco e il piccolo fuoco un incendio. Come in un rito sacro o nella festa, il fuoco è elemento generativo e rigenerativo e diventa alleato di quel maestro che, come Rodari, vuole che sprizzi la scintilla per accendere la fantasia: anche solo per lavorare con la lavagna, le parole, la scrittura. L’immagine festosa e ridente della classe di Gianni Rodari restituisce al contesto Scuola una dimensione che possiamo definire ‘teatrale’ se in quel far festa e in quella risata, nel duello acceso perché si generi la folgore, rintracciamo una poetica che del teatro ha l’assurdo, la possibilità di capovolgere e di far incontrare e confliggere elementi differenti perché con quell’energia si possa generare altro e coinvolgere in quel movimento rigeneratore tutto il preesistente. Le uscite a teatro per assistere agli spettacoli scelti per il progetto Teatro Scuola Vedere Fare inaugurano anche le attività laboratoriali: il laboratorio teatrale realizzato a scuola con gli alunni e gli insegnanti e con il supporto e la supervisione degli operatori teatrali estende la dimensione della festa e del gioco. Tutti in scena! In azione! Questo è un teatro senza spettatori, dove tutti sono attori: è la Scuola, la scena dove tutti i giorni è possibile si compia il prodigio della formazione! Lo spettacolo è il processo stesso del mettersi all’opera: non aspettiamo che il sipario si apra perché basterà solo che la campana suoni! …Che suoni la campana! La campana che come scintilla faccia accendere e sgorgare fantasia. Ecco cosa sembra di udire dal mio teatro interiore che prende voce qui lasciando che affiori, grazie alla poetica di quelli come Gianni Rodari, e si configuri una Pedagogia, un progetto attuale e in fieri la cui tensione formante individua la grande e antica ‘macchinaTeatro’ come metafora e come spazio per la dimensione attoriale poetica e politica di cui necessita la Cura del Sé e l’istituzione cui abbiamo delegato in forma classica e poi moderna la cura del Sé, l’educazione, la formazione del cittadino, e che chiamiamo Scuola. D’altronde, da Morin (1977) in maniera esplicita abbiamo conosciuto l’importanza delle leggi della termodinamica sulla vita e l’organizzazione di ciascun vivente: l’ordine e il disordine della materia indicano principi differenti e forme di organizzazione differente che sovrintendono, in senso mobile e in divenire, il processo stesso del vivere. Le scintillanti perturbazioni e lo stato eccitatorio che ne consegue sono quella condizione – focosa – che lo stesso Rodari individua e cerca nel suo farsi maestro. Il maestro è quindi anche ‘mastro di festa’: quello che fa reagire l’esistente e fa in modo che si trasformi, mettendo in scena, ovvero dandogli ‘spessore’ attraverso l’azione scenica, quel teatro dell’immaginario che prova a farsi ‘reale’. 46 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Il ‘mastro di festa’ non è il deus ex machina, non è il burattinaio che tira i fili e guida l’azione, ma è solo quello più consapevole dell’importanza delle interazioni, quello che si fa osservatore del suo agire, il professionista riflessivo per dirla con Schön6, che fa esperienza dell’essere soggetto e oggetto, allo stesso tempo, del processo di cui è partecipe. In questo senso rileggere Alfred Jarry e il suo Ubu, così difficile da smuovere con la sua ventraglia – Ubu Re, Ubu Cornuto, Ubu incatenato, Ubu sulla collina – può smascherare chi vuole farsi maestro, a Scuola come a Teatro, pensando di farsi burattinaio da gran Guignol. Non c’è burattino né burattinaio, né tantomeno un canovaccio, nella Scuola e nel Teatro dove si fa festa lasciando che s’accenda il fuoco e ciascuno senta la propria vita farsi storia. Così, in quella Scuola e in quel Teatro, Natura e Cultura, Biologia e Cognizione/Conoscenza, emergono nell’unità stratiforme e multidimensionale dell’agire-comunicare-esistere: nessuno escluso! Quell’agire che chiamo Teatro perché incontra lo sguardo di un altro. In caso contrario, ci avverte Alfred Jarry, si diventa la ‘ventraglia’ che è Ubu. Non la maschera ma il suo ventre fa da monito a chi non volesse indossare e agire la maschera e le sue smorfie patafisiche con cui immaginare e inverare tutte le soluzioni possibili alla drammatica commedia umana. E così osservo il materiale audiovisivo e fotografico che del progetto Teatro Scuola Vedere Fare è stato prodotto e archiviato. Soprattutto quello delle attività laboratoriali: quando il Teatro entra a Scuola e ne scompiglia l’ordinata geometria e fissità degli spazi. Mi soffermo sui dettagli oppure sull’immagine d’insieme per cogliere di quell’attività l’esperienza che si è generata. Ne osservo sguardi e posture, lo smarrimento o la felice risata, i passi e i gesti goffi insieme alle energiche esplosioni in salti preceduti da supine respirazioni. Le aule scolastiche esibiscono la loro trasgressiva possibilità plastica e i corpi trasfigurati ne esplorano nuove traiettorie che dicono di molti slittamenti e sconfinamenti tra le

In particolare, “quando il professionista riflette nel corso dell’azione, egli diventa un ricercatore operante nel contesto della pratica e costruisce una nuova teoria del caso unica. Egli non tiene separati i fini dai mezzi, ma li definisce in modo interattivo, mentre struttura una situazione problematica conversa con la situazione, senza separare il pensiero dall’azione. Egli ragiona sul problema fino alla decisione che in seguito dovrà trasformare in azione. È in questo modo che la riflessione nel corso dell’azione può procedere, anche in situazioni a forte grado di incertezza o peculiarità, perché non è limitata dalle dicotomie della cosiddetta razionalità Tecnica” (Schön, Donald, 1983, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, tr. it., Bari, Dedalo, 1993, p. 94). 6

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due scuole, oltre cui si può restare anche senza parole perché se il corpo e la sua stratiforme realtà prendono voce, questa non sarà più una sola ma avrà l’eco e il riverbero di più voci insieme. Intanto le immagini e i suoni estratti dall’archivio di Teatro Scuola Vedere Fare scorrono e non ne posso arrestare il denso flusso disordinato né fermarne il significato in un discorso che ne celebri questo o quel valore culturale, sociale o personale. Sarebbe tutto troppo riduttivo, o potrebbe suonare come retorico dato di fatto. L’osservazione e la riflessione che ne emergono, invece, si incrocia con uno sguardo più ampio sull’attuale stato dell’arte del Teatro e della Scuola perché, se nella realtà locale e particolare del progetto Teatro Scuola Vedere Fare è possibile mobilitare risorse dei singoli e farle diventare bene comune, è anche possibile farsi architetti della propria vita come della propria Scuola e del proprio Teatro e designer della propria bottega artigiana. Il laboratorio, il Teatro-Laboratorio e la Scuola-Laboratorio, non è più solo un’etichetta che suona sperimentale e innovativa ma ne costituisce il senso stesso dell’abitare quei luoghi, di varcarne la soglia, perché nel laboratorio eccedere diventa la regola che contiene e disciplina l’istanza creatrice, perché tutto ciò che entra, si trasforma e vi si produce, è opera collettiva per la comunità. Significativo in questo senso che i risultati del laboratorio e quindi le comunicazioni finali in forma di spettacolo trovino una cornice speciale nella rassegna Maggio all’infanzia e quindi in quel “cantiere creativo” che accoglie e rende condivisibile il lavoro che ha coinvolto i diversi gruppi di partecipanti. Maggio all’infanzia, infatti, diventa a sua volta scena pubblica e laboratorio aperto alla città, utile a testimoniare che tutto quello che riguarda la formazione delle nuove generazioni assume una posizione manifesta perché se ne avverta la concreta dimensione politica e poetica declinata al futuro. Sul finire dell’anno scolastico, la rassegna Maggio all’infanzia conclude il percorso del progetto Teatro Scuola Vedere Fare e segna uno dei momenti in cui tutte le parti coinvolte si ritrovano insieme per riaffermare la ricchezza della cartografia pedagogica della comunità, le risorse che vanno oltre Teatro e Scuola e toccano la Famiglia e altre figure di riferimento e le Istituzioni locali, per condividere e rinnovare l’impegno di ognuno a tenere aperta bottega nella grande casalaboratorio che è la comunità educante con le sue poetiche e politiche per le nuove generazioni.

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4. Teatro e Scuola: per una cinetica della formazione

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Ball-paradox per Achille Perilli Le risorse statistiche della danza sono le elitre, i vessilli lenzuola di farfalle, limbi di ninfe graffiti, amori che volano, vascelli arrembanti drogati di larve, emblemi opachi dell’impaginazione che racconta di scheletrini ermafroditi soffiati con anima di papavero, di vermi con la tunica, addomi signiferi di vele, drammi filatelici, smottamenti di miniature in scroti filanti, astronavi della cenestesia Achille è un insegnante di ginnastica putativa, un massaggiatore di lobi balneari, paesaggista per cineteche di campagna, allevatore di clitoridi libellule, erborista e cavalleresco pittore di battaglie retrattili al critico anale, magazziniere, museiforme, più lascivo dell’anitra, disinfestatore, spazzino, cuoiaio e mercante di stoffe lascio la stima maniaca del grafico e del diafano perché (sembra, infatti, che l’arte sia ormai pienamente apprezzata dalla società per il suo linguaggio muto, e questo è un risultato fatalmente povero delle meravigliose rivoluzioni di ricchezza; “così la pittura s’è appagata di aver perduto spazio e mondo, di cui l’uomo ghiotto avrà sempre bisogno”) perché tutti entrino entrino: edili, nautici, archeologi, entomologi, astrologi, mitologi, psicologi, droghieri, musici, chimici, giudici, figurinai, anacoreti, avvocati, chirurgici, agenti segreti, detectives privati, politici, bricconi, spioni e grafologi; e infilino infilino le perline del calzolaio per il ballo senz’altra industria che non sia di piacere e amare un accoppiamento autunnale (Giuliani, Alfredo, 1965, Povera Juliet e altre poesie, Milano, Feltrinelli)

Si può scrivere a un amico, dedicargli una poesia, come fa Alfredo Giuliani con Achille Perilli, e fare che quei versi siano sempre contemporanei a chi li legge. Si può leggere una poesia perché si vuole essere portati oltre le parole e le cose, dentro un simbolismo che si appoggia alla forma delle parole, al loro suono, alla loro posizione, alle immagini che vi si aggregano generate da quelle forme quei suoni e quella prossemica… Insomma ci si può ricordare, grazie al poeta, che la lingua, la parola, il segno, sono tutti parte di quell’armamentario che fa dell’uomo un poeta e del suo corpo lo spazio danzante di un attore. Ma soprattutto si può leggere, e leggere ad alta voce, una poesia per provare la voglia di scrivere, di passare dalla lettura alla scrittura, come dal vedere al fare, 49 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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perché il piacere del tracciare solchi per la semenza possa essere del contadino e pure di chi coltiva orticelli dell’immaginario e si lancia con spirito d’avanguardia pure verso terreni incolti o non mappati e ne produce buoni frutti. I frutti dell’albero della conoscenza (Maturana-Varela, 1984) non sono gli stessi da cui Newton ha dedotto le leggi della gravitazione universale bensì ciò che puoi toccare con mano per conoscere e produrre te stesso. Il contatto, il prender con mano, la relazione, sono la condizione del conoscere e del creare, secondo la prospettiva tattile circolare e autopoietica che facciamo risalire ai due biologi cileni. Per chi si occupa di Arte è più normale occuparsi del vivente in ogni sua forma: abbiamo visto come Euripide abbia introdotto, attraverso il racconto drammaturgico risalente ad origini mitologiche, l’animale e il mostruoso, lasciando che entrassero in scena per diventare parte di un intreccio che corrispondesse al groviglio dell’esistere che ciascuno prova a districare secondo logiche di senso e non-senso. Attori e spettatori insieme, nel groviglio della trama e del loro organico inseparabile di essere e di agire. L’agire diventa qualità e condizione dell’esistere e dell’apprendere: in questo senso pare inconsistente dividere maestro da allievo, attore da spettatore, perché agire e osservare stanno insieme plasticamente nel dinamico processo del vivere. Nello slancio con cui nella primavera del 1987 Humberto Maturana e Francisco Varela invitavano sin dalla prefazione i loro lettori, quelli dell’Albero della conoscenza, ad abbandonare le abitudinarie certezze per pervenire ad un’altra visuale di quello che costituisce l’umano, in forza delle teorie sviluppate da Humberto Maturana già dal 1969 con la sua Neurofisiologia della cognizione, s’avverte tutta l’attuale forza di un paradigma che individua nella sensibilità e nella mobilità la condizione dell’umano. Le implicazioni metodologiche di questo paradigma sono significative e possiamo considerare le attuali ‘indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali’ una sintetica torsione generata ed emergente proprio da quella prospettiva biologica al ‘problema’ della conoscenza. Perché albero e frutti, come maestro e allievo, dicono di una connessione necessaria: la loro relazione è il focus di una Scuola che fa della pratica teatrale un habitus per coltivare-costruire uno spazio di vita che Martin Buber (1953) avrebbe chiamato di dialogo. Il dialogo tra maestro e allievo è anche uno degli obiettivi che attraversano il progetto Teatro Scuola Vedere Fare. Un dialogo in cui la finzione fa da medium per la relazione che produce comunicazione, apprendimento, opera. Alla relazione si partecipa, come alla co-costruzione della cono50 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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scenza e alla produzione dello spettacolo-comunicazione finale. La relazione e la sua qualità dialogica è anche la sostanza dell’agire scenico e di quello scolastico che sposta l’attenzione dal maestro alla maestria e alla cura con cui fare le cose, e dagli obiettivi al percorso utilizzato o tracciato per raggiungerli. Nel nome della relazione, dunque, un’attività scolastica e un’attività teatrale integrata nella didattica curriculare a Scuola possono essere quella ‘scena’ dove ciascuno è chiamato a partecipare alla costruzione del gruppo di lavoro, della comunità di apprendimento. In questo senso, ‘vedere’ e quindi osservare e riflettere su quanto si è realizzato o su quanto altri hanno fatto è utile proprio in direzione di una consapevolezza e di una capacità di ‘leggere’ e di ‘leggersi’ che unisce la conoscenza alla conoscenza del Sé. Ma il ‘vedere’ ha bisogno di un suo setting e di una sua preparazione all’ascolto. E questo l’insegnante deve incorporarlo, proprio attraverso quello spazio laboratoriale dedicato alla formazione e alla Didattica della visione che può dedicarsi per tornare in classe con più attrezzi e con maggiore cognizione per l’ascolto, la relazione, la partecipazione. L’insegnante cioè esce allo scoperto, si sposta e si muove in territori altri da quelli propriamente scolastici, inizia a sperimentarsi, anche nella continuità della partecipazione rinnovata negli anni al progetto, con altro corpo-docente, altre visioni e altre pratiche di Scuola e di Teatro, con altre discipline ed epistemologie didattiche tenute insieme da obiettivi che sembrano quelli scanditi dalle fasi del progetto ma che invece possono essere molto altro ancora. La mobilità non sta solo nell’impegno di muoversi tra Scuola e Teatro dedicando del tempo aggiuntivo rispetto al già gravoso peso burocratico e organizzativo dell’insegnamento, ma sta soprattutto nell’opportunità di distogliere lo sguardo dai soliti interlocutori e di straniarsi provando a disattendere alle proprie aspettative di ricaduta pratica ed immediata, girovagando e dissentendo pure dall’operatore/esperto di Teatro. Solo in tale stato di mobilità l’insegnante in veste di regista potrà inserire pratiche inedite nella sua didattica curriculare perché la sua ‘materia’ possa essere colta dai suoi alunni come un delizioso frutto da assaporare e gustare insieme a quello delle altre ‘materie’ con cui ricombinare e dare forma ad altra materia ed altra opera.

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5. Scuola come Teatro: per una politica dell’educazione

André Breton, 1924, immagine di una pagina del Manifesto surrealista

Nei quaderni, nei diari, tra gli appunti, a Scuola come a Teatro, compare sempre qualcosa che sembra somigliare al Manifesto surrealista e degno di sfidare l’imperativo della tecnica per aprire all’interrogativo dell’Arte. Sulle tracce di una possibile ‘antropolitica’, Edgar Morin ci suggerisce la forza del movimento surrealista, considerando che “il surrealismo era sin da principio qualcosa di più di un semplice movimento letterario, artistico o politico; poetico nel senso più elevato del termine, esso è stato un movimento fondato su una nozione totale e radicale dell’uomo. […] Nella sua espressione più ricca, il surrealismo – sto alludendo ai manifesti di Breton – non è un movimento che dà importanza al sogno o alla stranezza quanto piuttosto un atteggiamento che fa proprio tutto ciò che sfugge alla realtà, tutto ciò che esula dal reale quale ci appare nella normalità della nostra esistenza […]. Come tutte le forme di pensiero che non accettano le apparenze immediate, il surrealismo non fa che riconoscere la poca realtà del reale, formulare l’idea della realtà dell’immaginario e tentare di collegare l’una all’altro perché si arricchiscano vicendevolmente” (Morin, 1965-1999, pp. 48-49). La matrice poetica surrealista è individuata come parte di una genealogia della ricerca pedagogica che fa dell’arte scenica, del Teatro, uno spazio privilegiato dove ciascuno può fare esperienza della propria ‘itineranza’ (Morin, 1965-1999) e del proprio concreto agire per riconquistare la propria dimensione scenica, mondana e quindi politica, 52 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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necessaria a ripensare l’uomo attraverso la sua relazione con un cosmo di cui ne è anche autore. Chiamiamo Teatro dunque quello speciale spazio che incorpora la forza della poesia e fa di ogni azione un gesto politico. Se dunque il Teatro, nella sua accezione poietica/politica, si sovrappone o si integra alla Scuola e non si riduce ad un’ora dedicata al movimento e alle emozioni – come se queste fossero estraibili a comando – significa che si individua la forza rigeneratrice della sua perturbante materialità (Massa, 1987; Barone, 1997) e si fa del dispositivo-Teatro quella speciale Arte intesa nel senso pieno della Techné che fa ‘scuola di vita’ perché prepara alla imprevedibile vitalità dell’accadere e quindi ad ‘andare in scena’ consapevoli che non basta avere un programma o delle conoscenze ma prepararsi concretamente all’impreparazione, alla dislocazione, al punto di vista differente e incorporarlo grazie alla pratica del laboratorio che consente l’errore e ne fa parte della pratica stessa perché consente di andare oltre la linea già tracciata e già conosciuta. Prepararsi all’impreparazione, alla giravolta, passa per un lavoro che coincide con uno stato di formazione permanente: significa attivare un lavoro che dura tutta la vita e che chiama tutto il sistema corpo-mente-azione-ambiente a prender forma e a manifestarsi sensibilmente sottraendosi alla somma dei dati e provando ad afferrarne la possibilità di divenire, per nostra mano, dei fatti, secondo un “accadere concreto, storicamente e socialmente condizionato, entro una certa fisicità corporale, spaziale e temporale, nell’ambito di una loro peculiare simbolizzazione linguistica dettata dall’inconscio e dal loro specifico regime esperienziale” (Massa, 1987, p. 49). La materialità del Teatro, come della vita che prova ad entrare a Scuola trasformandola in Teatro-Scuola, passa per la gravità dei corpi e per la loro goffa andatura e pure per la leggerezza di un’immagine o di un suono che interrompe l’incedere goffo, ne dilata o ne sospende il peso, e lascia che insorga la meraviglia di un altro giorno felice. Sembra delinearsi una politica e una poetica romantica dove è concesso stare senza parrucca e con tanta voce. Ed ecco che parlare in versi recupera della parola l’alto contenuto di impegno civico e storico perché i versi e la forma letteraria suonino e vengano usate per generare ‘frastuono’ e senso di smarrimento rispetto al già sentito e al già detto. La necessità delle avanguardie pare emergere in ogni tempo. E così anche nell’educazione, oltre che nell’apparente distante cittadella delle Arti. Il Teatro è individuato come lo spazio dove si situano e crescono tutti i linguaggi artistici e la loro ricerca, il loro spirito sperimentale e innovatore. Inquieto e non domabile. 53 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Chi scrive una poesia (e dunque anche chi la scrive leggendola) sperimenta tutta la possibile ambiguità e comprensività del linguaggio. Strozzata apparizione, rito demente e schernitore, discorso sapiente, pantomima incorporea, gioco temerario, la nuova poesia si misura con la degradazione dei significati e con l’instabilità fisiognomica del mondo verbale in cui siamo immersi

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(Alfredo Giuliani, 1961, a cura di, I novissimi. Poesie per gli anni ’60, Torino, Einaudi, 1965)

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In action. L’attivismo pedagogico prende corpo tra vedere e fare

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1. Andar per il sottile. Senza aspettare Godot Tutta questione di chimica. Ma pure di geometria. E di meccanica. Se quella perfetta macchina biologica che siamo, venuta al mondo, cresce per effetto di chimiche e geometrie e meccaniche che agiscono in rapporto più o meno simmetrico e regolare con chimiche e geometrie e meccaniche di ordine superiore che riguardano il cosiddetto mondo, allora ciascuno è macchina biologica che muta le proprie chimiche e geometrie e deve nutrirne i processi vitali che le governa. Tutti i ‘maestri’ e i maestri di teatro (e di musica, di canto, di danza, di pittura, di scultura) lo sanno e sanno che la loro macchina biologica è essa stessa medium per la formazione delle altre macchine biologiche cui si rivolgono. Infatti, ogni ‘scuola’, fin dall’età classica, è nata sviluppando una propria metodologia che riguarda il governo della macchina biologica in rapporto alle finalità che si immagina di dover raggiungere. La metodologia e quindi la filosofia del progetto Teatro Scuola Vedere Fare mi sembra però quella di consegnare al corpo-docente la consapevolezza e la responsabilità, da condividere con tutto il resto della comunità scolastica e territoriale, di costruire una propria ‘scuola’, di poterne ridisegnare l’architettura a geometrie variabili – perché i vertici e i punti cardinali possono essere diversi e mobili ed estendersi oltre gli spazi canonici – e di poterne nutrire il senso alleandosi con la fisica e la chimica di cui non si preordina il risultato ma che aiutano a rendere evidenti le conseguenze sul piano formativo di attività che altrove sono confinate in una zona che sa ancora troppo di mero intrattenimento o di esibizione. Ma a che serve fare teatro e fare teatro a scuola, ci si chiede. La scuola può ‘occupare’ anche il territorio-Teatro e ricondurlo alle sue esigenze didattiche, disciplinari, disciplinate e disciplinanti, oppure il Teatro può far grande e viva la Scuola che sa di dover trovare in sé e fuori di sé quei ‘virus’, quella peste – alla Camus o piuttosto alla Artaud e alla Foucault – per rigenerare il corpo sociale e la sua macchina desiderante. L’energia vitale e virale del Teatro e di tutte le Arti che il Teatro tiene insieme si riconosce solo quando ci si lascia attraversare da questa energia, quando se ne diventa il corpo incandescente capace di unire la distanza del vedere alla prossimità del fare. E quando del vedere si coglie tutta la tensione indagatoria del fare, e nel fare si disvela il ‘piano’ attraverso cui 55 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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guardare e riflettere: perché la ‘scuola’ dei ‘maestri’ di ermeneutica e di fenomenologica ci ha preparato a unire visibile e invisibile (Merleau-Ponty, 1964), a percepire anche le materie più sottili. E il Teatro ne è stato lo spazio elettivo perché si dà ‘teatro’ quando la forma-opera esposta si offre come incompiuta e mai ferma e ‘afferrata’ dallo sguardo di un altro che ne esplora, incantato e operoso, le ulteriori e celate rappresentazioni possibili. Il Teatro è corpo cavo: ventre che origina dal vuoto e si fa pieno di un altro e del suo tramutare e divenire gesto. E quella cavità del Teatro si fa piena di vedere e fare: il vedere dello spettatore che diventa fare e il fare dell’attore che è frammenti di immagini in cui si guarda e riflette. Tra attore e spettatore ci si scambia opere, immagini, pensieri, corpi, materie composte e poi loro frammenti da ricombinare e comporre, in variazioni: a Teatro come a Scuola, tra maestro e allievo si ingaggia un gioco fuori dal dominio linguistico e dentro uno spazio che li vede ombre mobili che mimano un fare originario o antico di cui sono immagine. D’altronde, è esemplificativo che il nome del progetto, Teatro Scuola Vedere Fare, unisca il Vedere e il Fare al Teatro-Scuola, come ne fossero una condizione. Difatti, attorno al vedere abbiamo giocato a fare la modernità. In compagnia di Galileo Galilei abbiamo accolto il suo metodo scientifico e quindi l’occhio, il vedere, l’osservare, il misurare, e anche il sorvegliare e punire (Foucault, 1975), come tecnologie della conoscenza e grandi macchine educanti. Eppure ne abbiamo colto il limite e la dissonanza rispetto ai gioiosi eccessi del barocco e alla manifesta romantica totalità. L’estetica del post-Moderno ci spinge oltre la Modernità senza rinunce né troppe specializzazioni per riafferrare il turbamento patico del sentire e dare sostanza e corpo al pensiero che ne emerge, denso e leggero. Il fare, da bottega, sembra risalire dai medioevali mestieri e poi dalle rinascimentali glorie umanistiche, per riemergere nell’attuale iper-sensibile post-umano understanding by design (Pfeifer-Bisig, 2008). Vedere e Fare non sono più in conflitto perché del Fare si scopre la funzione di mediatore, così necessaria se la postura è quella della clinica della formazione (Massa, 2002), perché attraverso i manu-fatti è possibile vedere ed estrarre i dati come in un gioco di specchi e ‘leggerne’ il carico di senso. Vedere unito al Fare è osservatorio che si spinge in profondità, è riflessione. Osservatorio e spazio riflessivo che il progetto Teatro Scuola Vedere Fare ha voluto rendere parte della sua metodologia insieme a una forte impronta laboratoriale e sempre sperimentale. Per non restare ad aspettare Godot, senza la certezza che qualcuno arrivi a cambiare le meravigliose sorti e progressive del Teatro o della la Scuola e senza perdersi 56 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

dietro la chimera e il culto dell’autonomia normativa, ma uscendo allo scoperto per non cadere nel vuoto formalismo di maniera né negli eccessi degli estetismi post-televisivi.

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2. Drammaturgie pedagogiche. Oltre la marionetta Ubu re è il suo ventre, tondo. Ha la smorfia del Satiro e ride. Irriverente al potere e pienamente contrario alla sua violenza. La sua forma ‘parla’ del suo essere, del suo mondo, del suo pensiero. Le sue parole sono superflue, potremmo anche farne a meno. Ma non è sempre così quando si inizia un lavoro di Teatro-Scuola perché la parola ancora possiede una sua indubbia centralità e tende a prevalere sulle altre forme del conoscere e del comunicare. C’è una logica. È quella delle righe su cui le lettere si aggiungono ad altre lettere a formare parole e poi frasi la cui sintassi è ordine universale con cui pare si possa manifestare il pensiero. Ma, se cambi logica, scopri che puoi scrivere e inventare da autobiografo la tua storia, rompere i legami preesistenti e collegarti ad altre origini, a più fertili matrici. In questo senso, Teatro Scuola Vedere Fare è anche metadiscorso sul potere: sul potere del dispositivo educativo quando questo diventa dogmatica esecuzione di un compito e di un dettato (ministeriale); sul potere come esercizio di un dominio che ferisce come la freccia di un dardo che non sai da dove arriva ma che ti sembra inevitabile; ma anche sul potere come sospensione dall’esecuzione del dogma e dall’esercizio del dominio e quindi sul potere di fare dell’altro, di inverare l’inverosimile, di spostare lo sguardo altrove, di muoversi tracciando altre linee e traiettorie di senso. La Favola di Pinocchio ci ha insegnato tanto e così pratichiamo il potere di leggerne una morale all’incontrario perché Pinocchio, libero dal gran burattinaio Mangiafuoco del teatro delle marionette, ancora con il libro al braccio, possa fare della strada la sua maestra senza che questa si vesta da fata turchina e se ne aspetti prodigi immediati, perché la strada maestra è quella lontana dai luoghi comuni e per raggiungerla hai da sottrarre, come fanno gli scultori con un pezzo di legno o con la pietra, e hai da faticare e muoverti e spostarti di continuo come nei fuggenti chiari del bosco (Zambrano, 1977): “E l’attraversamento dei chiari del bosco ricorda anche il modo in cui si sono percorse le aule. Come i chiari, le aule sono spazi vuoti pronti a venirsi riempendo uno alla volta, spazi della voce nei quali si apprenderà con l’udito, ossia in modo più immediato che dalla parola scritta, alla quale bisogna per forza restituire accento e voce per sentire che ci viene diretta” (Zambrano, 1977, p. 17). 57 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Attraversare i chiari del bosco richiede tempo perché il percorso non è già tracciato. Ciò che è scritto può diventare suono e ridare vita alla parola depositata in una pagina che invece pareva essere immutata e immutabile. Ma perché la scrittura riprenda vita c’è bisogno di chi la incarni e la trasformi in una presenza che nel farsi suono e gesto, poi svanisce tracciando una circolarità tra attori, azione scenica e pubblico che ne fa un unico corpo cavo e risonante che pratica l’ascolto e allena ad un sentire totale la cui durata è un tempo che non cade come flusso ordinario da orologio ma lascia accadere qualcosa. Il corpo cavo, che è il Teatro e che può essere la Scuola quando segue una logica circolare, può aprire varchi inaspettati ed essere il vuoto necessario, quella pausa, che consente di fare un salto ed arrivare altrove. Il salto non ha un timing definito, non accade ‘come da programma’, altrimenti si tratterebbe di una trance collettiva spinta da una Ragione conformante. Il salto che ciascuno può realizzare ‘ad un certo momento’ spinge in quello spaziotempo che chiamiamo formante quando segue l’ordine e la mappa del poeta. Spazio-tempo del poeta che non è già segnato sulla mappa. Per qualcuno può sembrare una perdita di tempo ed essere fastidioso come quando si è nel regno di Ubu Re o nel ventre della balena come Pinocchio. Il salto avviene attraverso la carne di Ubu o della balena, non è astratto e deliberato esercizio di fantasia ma ha necessità di una cosa solida, e di un sentire che questa genera, per volersene allontanare, separare e liberare. La mimetica dell’arte come esperienza è essa stessa arte, arte del vivere e dell’apprendere anche senza intenzione di farlo ma con la piena cognizione di vivere e di esserci. Così quel salto, da Omero in poi, si opera attraverso il tempo ed è un’operazione sul tempo. La sua possibilità di variare. Come con Bach e il suo clavicembalo. Così per ‘saltare’ nel progetto Teatro Scuola Vedere Fare e nella sua intenzionalità pedagogica, come per tutti gli altri progetti di Teatro-Scuola, è necessario fare un patto che impegni tutti i partecipanti per un intero anno scolastico. Non sono importanti le singole attività, il loro succedersi cadenzato, le differenti tipologie di risorse mobilitate e la varietà delle metodologie, dei luoghi e degli strumenti utilizzati. È tutto il tempo che unisce le singole parti, che si mescolano poi ad altri ‘pezzi’ di mondi e di vita fuori dalla Scuola e fuori dal Teatro, che è necessario a ciascuno per poter ricombinare e farne uno spazio-tempo altro: la stanza che ognuno può far diventare una stanza tutta per sé.

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3. Teatro come metodologia trasformativa Lungo la riva del mare si può stare per ore a guardare il moto ondoso del mare e il suo infaticabile ritorno. Non se ne viene a noia, come di ascoltare il proprio respiro e vederne e poterne toccare la forza vitale che lo muove. Si può stare in silenzio e sondare la propria intima profondità seguendone la mobile consistenza che si riflette nel danzare ritmico dei flutti, senza dover giudicare che sia bello o brutto ma lasciandosi sedurre da qualcosa che arriva da un’altra dimensione. Allora la riva del mare, il bordo di una pagina, la soglia di una stanza di un museo, la cornice che inquadra una tela, il fondo nero da cui si stacca la scena di un teatro, segnano la possibilità di farsi ‘creatori’ e di cogliere “l’intima unione di fare e subire” (Dewey, 1934, p. 75) che è alla base della creazione artistica e della sua dimensione estetica. In sostanza, “questa ricezione comporta attività che sono comparabili a quelle del creatore. Ma la ricettività non è passività. Essa pure è un processo che consiste di una serie di atti di risposta che si accumulano nella direzione di un compimento oggettivo. Altrimenti non ci sarebbe percezione ma riconoscimento” (p. 75). Importante recuperare questo aspetto dell’atto creativo proprio per cogliere il nesso tra la pratica artistica e la formazione: pratica artistica che può considerarsi formante e quindi generativa se fa spazio in modo concreto al sentire, all’osservazione. Dewey focalizza sull’artista ma potremmo dire lo stesso dell’homo faber e del suo fabbricarsi ad arte. “Se nel corso del suo fare non dà compimento a una nuova visione, l’artista agisce meccanicamente e ripete qualche vecchio modello prefissato come se fosse uno stampo rigido interno alla sua mente. L’opera creativa in arte è caratterizzata da un’incredibile dose di osservazione” (Dewey, 1934, p. 74). L’osservazione costituisce la qualità estetica nonché la condizione del fare e del generare nuove visioni cui bisogna sottrarre vuote meccaniche e automatismi. Per questo, progettare un percorso complesso come Teatro Scuola Vedere Fare implica diventare studiosi di biomeccanica. E di molte altre cose insieme. Come stare su una giostra e divenirne parte. Come in quella ruotante ideata dal coreografo Yoanne Bourgeois con ‘Celui qui tombe’1. O come nel sistema

1 Performance ideata dal coreografo Yoann Bourgeois nel 2016 per la 16° Biennale della danza di Lyon – vedi video: https://www.youtube.com/watch?v=1eBSi5B8nDY o https://www.youtube.com/watch?v=n0zqQxz4DHs

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roteanza gravitazionale 2 di Lucia Latour e il gruppo di Altroequipe. La mobilità e il suo principio cinetico, l’interazione e la sua qualità estetica, l’osservazione e la sua potenziale generatività, tracciano le condizioni di un processo la cui qualità artistica e pedagogica ha una sostanza perché coinvolge la totalità della sfera corporea e produce formazione/tras-formazione su un piano visibile, oltre che su quello invisibile che vi è sotteso. Per parlare di formazione in termini di trasformazione e di creazione come del “compimento di una nuova visione”, torna l’antica sapienza che arriva dal Teatro classico e che riconosce l’utilità e la necessità della materialità della scena: una materialità che lega spazio e corpi ma non dice del risultato, perché l’esperienza è incarnata e attualizzata, e non meramente né solo meccanicamente trasmessa. Il Teatro-Scuola prova a inverare questa materialità, tende a fare spazio all’esperienza: all’arte come esperienza. Prepara a stare al mondo abitandolo, facendosene osservatore e creatore al tempo stesso. Come per l’artista in scena, e come per l’atleta in pista, anche per insegnanti e per alunni a Scuola, la pratica quotidiana offre la base concreta della propria crescita e del proprio mettersi-in-opera pur tra molte e distinte discipline. La tensione poetica alla formazione/trasformazione rende le discipline con cui si attua la didattica quel filo rosso della conoscenza che poi s’annoda e cuce tanta materia e materiali insieme. Non è Penelope che fa e disfa, ma è Maria Lai che muove il gesto collettivo del legarsi alla montagna.

2 Laboratorio realizzato nel maggio 2013 in collaborazione con Lucia Latour, Orazio Carpenzano e il gruppo di Labmutation di Altroequipe, presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli per il progetto ‘Digital space makes school. Apprendimento e formazione al tempo del web 3.0’ finanziato da Docebo spa e diretto da Maria D’Ambrosio (vedi documentazione video: https://vimeo.com/67490787 e report di ricerca: Carpenzano-D’AmbrosioLatour, 2016).

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L’arte di tras-formare con Teatro Scuola Vedere Fare. Note metodologiche

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1. Il progetto in sintesi. Fare comunità attraverso il Teatro-Scuola PARTECIPARE Il progetto Teatro Scuola Vedere Fare è un complesso oggetto-metafora con cui giocare all’arte di progettare una Scuola ‘viva’ e darle forma tessendo interazioni con il Teatro, perché questa connessione possa cambiare profondamente la cognizione del fare Scuola e del fare Teatro, in modo da attivare ognuno le molte risorse che il territorio potenzialmente offre e abitare/costruire ciascuno il proprio festante spazio po(i)etico per fare formazione, per ‘fare comunità’. Teatro Scuola Vedere Fare è quella proposta concreta che ha la sua storia e le sue ragioni ma che invita molti altri a proiettarsi, proprio come Winnie, in un altro giorno felice! e a sperimentare il proprio modo di pensare-fare Scuola come Teatro e Teatro come Scuola. Così si potrà agire con altri spazi, contesti, oggetti, Istituzioni, bandi, norme, indicazioni ministeriali, e ‘usarli’ come se si fosse a Teatro o nella bottega dell’artigiano: mettendosi in-opera, provando a sottrarsi ai modellini prefabbricati, agli automatismi di una meccanica da esperto, alle sorde autoreferenzialità e alle ‘applicazioni’ didascaliche. Sottrarsi per aggiungere senso sempre attuale e contemporaneo al progetto che mobilita una progettazione-in-situazione, progettazione per emergenza la chiamano i teorici della Nuova Robotica Autonoma pensando ai sistemi intelligenti, sapendo che il ‘segreto’ sta nella sua dimensione sempre situata e plurale, nell’attivazione e nel coinvolgimento di molti e specifici agenti con i loro codici, linguaggi, saperi, risorse, la cui interconnessione offre uno specifico e singolare manifesto accadere. I risultati non sono garantiti, né corrispondono a quelli attesi. Non bastano gli ‘ingredienti’ e la loro somma a fare il totale. Provare quindi a sintetizzare alcuni aspetti del progetto ha senso solo se li si considera nei termini di una dinamica complessa dalla quale estraggo parti di quella che è una metodologia, e non una procedura, un protocollo, né un metodo, il cui processo e le cui traiettorie sono decise dalla chimica e dalla poetica del processo stesso. Progettare in questo senso, significa esser consapevoli della co-autorialità del progetto-processo e della debolezza del copione. Significa che non basta un edificio-Scuola o un edificio-Teatro per fare Scuola e per fare Teatro. Quegli edifici possono fungere da ambienti formanti se, nella forma di una strada, di una piazza, 61 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di un museo, di una stanza, e di una statua, di una tela, di una composizione musicale, di una dramma teatrale, estendono l’accezione di Scuola e di Teatro e chiedono a quei luoghi e a quelle opere di piegarsi alla logica generativa e non omologante del pedagogico. Secondo questa cognizione generale, ripercorro i quattro anni di attività del progetto Teatro Scuola Vedere Fare e individuo alcuni elementi interessanti da osservare per operare una ricognizione e anche per sostenere una maggiore e più estesa capacità del sistema-Scuola e del sistema-Teatro di produrre/ incarnare tanta ‘bella’ pedagogia, tanta perturbante poetica pedagogica. Guardo allora alcuni dati e alla crescita progressiva delle Scuole, degli alunni e dei docenti coinvolti. Guardando i numeri si può cogliere già ad un primo sguardo che, nonostante il progetto richieda energie significative e un impegno collettivo, il lavoro avviato ad ottobre 2014 e che quest’anno ha programmato la sua quinta edizione, ha generato un sempre più numeroso interesse nelle Scuole del territorio napoletano. Numeri in crescita che dicono di un interesse concreto per un approccio al Teatro-Scuola che richiede impegno e proietta la comunità scolastica in quella artistica dei professionisti del Teatro rivelando connessioni significative tra arte e formazione: connessioni da cui emerge, anche guardando i materiali di presentazione delle diverse annualità del progetto, una tensione alla ricerca che ne fa un osservatorio su una comunità di pratica e sulle sue esperienze pedagogiche e artistiche insieme. Gli ordini di grandezza numerica segnalano dunque un interesse e una partecipazione dentro cui, poi, si può guardare più in profondità. 2014/2015 scuole

classi

gruppi/spettacoli

studenti

docenti

4

14

10

276

29

scuole

classi

gruppi/spettacoli

studenti

docenti

6

24

16

456

53

scuole

classi

gruppi/spettacoli

studenti

docenti

7

32

29

650

76

2015/2016

2016/2017

2017/2018 scuole

classi

gruppi/spettacoli

studenti

docenti

9

55

41

1122

154

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TESSERE Avviato prima della Legge di riforma della Scuola, cosiddetta ‘Buona Scuola’, il progetto Teatro Scuola Vedere Fare è una ‘realtà’ che ha coinvolto molti e differenti ‘attori’ in gioco, ciascuno con l’intento di rendere condivisibile le proprie esperienze in chiave di possibile innovazione sociale, operando una cucitura tra le due culture: quella del vedere e quella del fare, quella del sentire e quella dell’agire, la teoria con la pratica. Senza gerarchie e senza separazioni. Proprio come nella più antica tradizione del teatro classico dove nulla basta a se stesso: l’eroe ha il suo anti-eroe e il protagonista il suo antagonista, la voce del singolo ha come contrappunto quella del coro, il gesto può essere esteso o contraddetto dalla sua ritmica e da quella del canto e della musica, l’architettura cela in sé la sua distruzione e l’urlo un denso silenzio. La dimensione artistica e creativa che attraversa tutto il progetto è anche metalinguaggio con cui tutti gli ‘attori’ coinvolti comunicano e partecipano estendendo e mutando ciascuno la propria scena. Il risultato è una cartografia che disegna una geografia inter-istituzionale, forse controcorrente, dove i rapporti sono tenuti insieme come trama e ordito di un tessuto fatto ad arte. L’arte costituisce l’impulso nuovo che il sistema formativo riceve per attivarsi e configurare una visione che contenga, non solo formalmente, la ‘Buona Scuola’. La scelta del Teatro-Scuola risponde, pertanto, alla prospettiva 63 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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estetica di Dewey e alla sua Pedagogia, tenuto conto che “L’impulso a oltrepassare tutti i limiti imposti dall’esterno è insito nella natura stessa dell’opera dell’artista. Appartiene al carattere stesso della mente creativa di protendersi verso qualsiasi materiale che lo solleciti e di afferrarlo così che il valore di quel materiale possa essere spremuto fuori e diventare materia di una nuova esperienza” (Dewey, 1934, p. 193). Osservando i dati riferiti ai partecipanti1 al progetto Teatro Scuola Vedere Fare, nelle quattro annualità fin’ora realizzate, si possono vedere i luoghi della città di Napoli coinvolti, e quindi il Teatro dei Piccoli, le Scuole con i loro spazi, i Musei, i siti archeologici, i soggetti territoriali e poi le altre città, gli altri Teatri, e comprendere che la progettualità e la metodologia di Teatro Scuola Vedere Fare non pone limiti, non detta leggi su chi sta dentro e chi sta fuori. Il coinvolgimento degli alunni disabili oppure dei genitori e familiari, per esempio, fa parte della forza complessiva del progetto di collocarsi in pieno in un contesto e di attivarne tutte le risorse o le connessioni possibili. Fuori dalle etichette ‘speciali’ che rafforzano solo grandi separazioni e inutili specialismi, quando Teatro e Scuola sono attivate in quanto comunità in costruzione e come territorio in crescita, senza che la retorica e le mere dichiarazioni d’intenti coprano il fibrillare della realtà, si attivano strategie, si colgono opportunità, si sperimentano temporanee soluzioni, e si tracciano altre piste percorse per via delle necessità occorse. COMUNICARE La progettualità di Teatro ScuolaVedere Fare ha una sottesa e costitutiva matrice pedagogica e teatrale che considera ogni passaggio, ogni azione, ogni intenzione, come momento pubblico, come ‘messa in scena’. Si lavora cioè per cercare e sperimentare le forme più adatte per presentarsi e per coinvolgere gli altri, per contribuire a delineare ed attuare delle politiche attive che utilizzano l’arte in chiave di fermento sociale e culturale. L’ambizione del progetto è anche di realizzare e superare i propri obiettivi, costruendo una solida comunità di organizzatori, operatori, attori, registi, educatori teatrali, esperti e studiosi, per affermare la funzione sociale del Teatro e la possibilità di allearsi alla Scuola per recuperarne il fondante valore estetico attraverso cui si compie quello etico. Il gruppo di lavoro su cui si regge il progetto è solo un punto da cui parte un impulso. Teatro Scuola Vedere Fare è una ‘chiamata alle arti’ per la Scuola, e quindi per i dirigenti, gli insegnanti, gli alunni e i familiari, perché si uniscano insieme in un lavoro 1

Vedi paragrafo in appendice.

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capace di attivare e unire energie, in direzione di una spinta fuori di sé in grado di produrre e dare corpo alla ‘grande opera’ che è la formazione del cittadino. Opera la cui realizzazione non si compie mai veramente del tutto. È un processo i cui esiti possono essere molti diversi e mutare lungo il percorso. Per questo l’Arte viene incontro alla Pedagogia, perché sebbene si individuino obiettivi, strumenti, risorse, non è detto che il risultato sia coincidente con quello previsto. E forse il bello sta proprio in questo. In qualche modo Velasquez in Las meninas (1656) ce lo aveva detto attraverso la sua tela e con lui hanno continuato a ripeterlo Pablo Picasso e poi, più di recente, anche Eve Sussman: le opere e gli spettacoli di cui si è spettatori, la tecnica e gli strumenti degli artisti e degli esperti, i protagonisti e i loro ruoli, non vanno presi così come sono ma vanno pensati e ‘messi in scena’, sperimentati nella loro azione e interazione con chi incontrano. Il momento dell’incontro reciproco, della comunicazione, è quello decisivo perché l’impulso poi possa trasformare gli elementi in gioco e produrre altro per tutti quelli coinvolti. Per questo, con Teatro Scuola Vedere Fare che qui abbiamo già detto usiamo come pretesto per comprendere quali risorse attivare per dare senso all’agire scenico in funzione dell’agire formante, ci si può sentire figli della modernità, di Velasquez, Picasso e Eve Sussmann, e vivere il nostro tempo prendendoci cura della materialità delle cose e della cura che necessita il processo per produrle, consapevoli di quanto non sia solo questione di tecnica, né di esecuzione. E di quanto sia importante il tutto, l’insieme dei processi e dei prodotti. Attraverso quello che va in scena è possibile ‘vedere’ anche quello che resta ed è presente nel retroscena. Tutto in qualche modo è esposto per l’occhio che si fa abile a guardare oltre e a cogliere la sostanza di ciò che viene mostrato e si incontra in scena. Dentro e fuori le aule di Scuola, dentro e fuori le scene del Teatro, in quel territorio dove ciascuno costruisce la propria ‘casa’, la propria, unica ed esclusiva modalità di esistenza, l’incontro tra apparenze si fa l’unica via possibile per afferrare e dare corpo alla propria dimensione sociale e politica. Su un altro piano poi, sulla scena, nel mondo inteso come Teatro, il corpo manifesta e incarna questa o quella prospettiva pedagogica e quindi quella cultura dell’educazione di cui si può diventare consapevoli se reso visibile e posto all’occhio altrui. L’immaginario pedagogico della ‘recita’ e del ‘lavoretto’ può sovrastare il dispositivo teatrale e può fagocitarlo facendone proprio fedele servitore, producendo una retorica profondamente distante dal senso generativo che parole come teatro, laboratorio, comunicazione, parrebbero portare con sé. Quindi non basta introdurre a Scuola e nella 65 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cittadella della Pedagogia il Teatro per dire che si sia fatta o che sarà fatta una virata verso l’attivismo pedagogico né verso quel criticismo o quella decostruzione. Questo gli insegnanti più avveduti e gli operatori culturali del mondo del teatro per l’infanzia, come Le Nuvole-Casa del contemporaneo, AGITA e Casa dello Spettatore, lo sanno come sanno che non bastano tanti anni di esperienza né un progetto articolato come Teatro Scuola Vedere Fare, né un momento storico apparentemente favorevole per via della Legge di riforma e le relative ‘Indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali’, a fare un altro giorno felice per il Teatro e per la Scuola. Chiamare come alleato di una riforma scolastica le attività teatrali ha però il senso di una invocazione prodigiosa rivolta a quanto di sacro, artistico e poetico è presente nel Teatro e può essere usato proprio come elemento generativo e rigenerativo dell’istituzione scolastica e soprattutto della estesa comunità famiglie-insegnanti-alunni. Per questo il Teatro non può essere propriamente una disciplina. Né un’attività extracurriculare relegata ad una progettualità esterna. Ma è nel vivo della Scuola che il Teatro, il Teatro-Scuola come quello pensato dagli ideatori di Teatro Scuola Vedere Fare, recupera la centralità pedagogica dello stare insieme e dell’apparire/ mostrarsi l’uno all’altro perché lo splendore dei corpi restituisca luce alla corporeità e al suo valore politico. Importante dunque che la dimensione pubblica attraversi l’intera progettualità e renda i momenti di ‘spettacolo’ come l’evidenza dei corpi che si fanno spazio sulla scena e dice di una presenza preparata alla sua funzione comunicativa. Lo splendore dei corpi esibiti ha dunque la qualità etica ed estetica del comunicare che suona e risuona eccedendo la fisicità dei corpi e dei loro gesti che spostano sul piano pratico la necessità di legarsi/collegarsi e di ‘fare comunità’.

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RIFLETTERE Il Vedere è unito al Fare come il soggetto all’oggetto: una solidarietà che genera una differente consapevolezza nell’agire, nel fare, perché osservandosi nel fare o osservando gli altri fare si occupa una posizione differente che aiuta a comprendere e comprendersi come realtà materiale e fenomenica sottoposta ad un continua interrogazione. Il Vedere a Teatro è come la bottega della conoscenza della conoscenza di Edgar Morin: è dispositivo metacognitivo attraverso cui si diventa consapevoli del proprio punto di vista e dell’azione esercitata da ciascuno verso l’oggetto della propria osservazione. Il Vedere a Teatro, per l’insegnante come per l’alunno, può diventare pratica dialogica e aprire alle possibilità di incontro tra soggetto e oggetto. L’evidenza non trova più solo sguardi ingenui. A Teatro, nella pratica del Vedere, c’è tutta la sapienza di René Magritte e della sua opera Il tradimento delle immagini, di fronte alla quale siamo invitati ad esclamare, come suggerito dalla sua didascalia: Ceci n’est pas une pipe! Attraverso il Teatro-Scuola e la sua pratica del vedere-fare, si costruisce la comunità di quelli che sperimentano una postura attiva e critica verso il mondo: la dimensione laboratoriale prepara ad essere via via sempre più consapevoli e responsabili, mai piegati solo a ciò che accade ma aperti a tutto quello che resta da fare, oltre il già dato. La qualità riflessiva del vedere sta ad indicare dunque la necessità di aprire un varco in profondità: si tratta di una qualità che passa per un modo differente di considerare la superficie e di oltrepassarla, sapendo di non poterne fare a meno e che l’andata non sarà come il ritorno se nel riflettere muta la cognizione e muta anche l’agire che ne consegue.

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RICREARE Lo sguardo complessivo al progetto Teatro Scuola Vedere Fare e la riflessione epistemica e metodologica che ne è emersa e che sintetizzo in questo volume, ci dà agio di sostenere che il corpo, la sua natura sensibile e la sua tensione artigiana, è categoria fondativa per una pedagogia che, grazie al Teatro e all’attuale Teatro-Scuola, ritrova la sua matrice politica, oltre che riaffermare quella poetica. Il corpo è possibilità per la Pedagogia di farsi azione, come il Teatro è forma della Pedagogia di farsi didattica. Per questo a ciascuna prospettiva pedagogica corrisponde il suo agire formante e il suo teatro. Ma il progetto Teatro Scuola Vedere Fare ci dà occasione di focalizzare su una genealogia pedagogica che ha stretta parentela con la poetica, con la drammaturgia del corpo, e con la didattica laboratoriale e attiva. Il pensiero pedagogico e la riflessione epistemica che ha generato nel tempo, hanno continuo bisogno di diventare nuova pratica e incarnare le piste concettuali emerse dalla riflessione, dall’osservazione in azione. Il lavoro di formazione degli insegnanti, quello di laboratorio teatrale per insegnanti e alunni, la visione degli spettacoli, la preparazione di una comunicazione finale e il confronto con quelle prodotte dagli altri, alcuni incontri seminariali su focus tematici scelti, la visita ad altri luoghi dell’arte e della cultura, le letture e gli autori suggeriti o incontrati per caso, sono operate nella logica dell’alveare. Non basta raccogliere ma è necessario trasformare, creare e ricreare. C’è una importante metabolica nell’apprendimento e nella formazione, metabolica che lo spazio artistico considera come fondante e legittima di qualsiasi processo del conoscere, dell’esistere e quindi del comunicare. Una metabolica che attiva una vera e propria creazione intesa come ri-creazione così da suggerire quanto di pedagogicamente pregnante si nasconde nella ricreazione, nel girovagare, nella sospensione dell’attività didattica vera e propria e nell’introduzione di attività divergenti. Così, quando nella didattica a scuola viene introdotta un’attività artistica come quella teatrale, la Scuola scopre di poter stare nell’una e l’altra delle due scuole raccontate dalla favola di Bencivenga (2007), in quella della verità e in quella delle storie differenti, muovendosi secondo logiche differenti che aumentano le vie del conoscere e del fare esperienza. Del toccare e dell’essere toccati, del prendere e del rimetter mano a quello che si è prelevato. La centralità del laboratorio è una cifra metodologica significativa che appartiene già al lessico pedagogico e scolastico ma che con il teatro trova una forza nuova e rigenerante che fa tornare al senso del laboratorio, alla sua carica trasformativa connessa ad una organica e singolare metabolica di cui ciascuno dei partecipanti può farsi ‘attore’. 68 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Momenti dal laboratorio teatrale a scuola – V D – 63° Circolo Didattico ‘Andrea Doria’

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Frammenti di un discorso con il gruppo degli insegnanti partecipanti a Teatro Scuola Vedere Fare

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Il corpo-docente in figure Con sguardo clinico ripercorro tutto il materiale prodotto durante le attività e gli incontri formativi programmati in questi quattro anni nella cornice del progetto Teatro Scuola Vedere Fare, in particolare i questionari, come oggetti che testimoniano qualcosa di quanto già accaduto e sono traccia dell’esperienza vissuta dal gruppo degli insegnanti coinvolti. Un’esperienza cui io sono estranea e di cui mi faccio ora osservatrice. Si tratta di risposte a domande aperte, frutto di brevi osservazioni, analisi e riflessioni, e poi anche testi e lettere prodotte in chiusura di incontro o di percorso. Una grande mole di parole da cui ciascuno si è separato e che ora sono in archivio come tracce di quel lavoro che ha investito anche sulla formazione degli insegnanti. Lavoro che ora io guardo con occhio clinico attraverso questo materiale, queste parole, e lo osservo come fosse la casa che ciascuno ha costruito e provato ad abitare nel condividere uno spazio-tempo altro, differente: perché dedicato alla metodologia e alle pratiche e non ai contenuti o alle valutazioni. Spazio del Teatro-Scuola e quindi spazio al Teatro per aprire ed aprirsi ad un fare Scuola che potesse ridare corpo alla Bildung e restituirle il suo orizzonte umanistico. Così la lettura e l’osservazione di questo materiale procede in maniera disordinata a cercare l’immagine della ‘casa’ costruita. Ciascuna parola mi appare come un mattoncino di quella casa, dell’edificio Teatro-Scuola, e ogni insegnante un architetto, un ospite o un pellegrino errante. Mi muovo tra edifici solidi e tra quelli più instabili ma accoglienti, sapendo che quei testi e quelle parole mediano tra le aspettative e i desideri di chi domanda e quelli di chi risponde e, allo stesso tempo, chiedono ad ognuno di riguardarsi anche solo per un momento e restituire in forma condivisa, con un vocabolario comune, quello che si è sentito e visto. Così la qualità della presenza di ciascuno degli insegnanti viene messa sotto osservazione e il ruolo che ciascuno sente di aver avuto nel progetto, espresso con una sola parola, mi lascia intravedere il mondo del Teatro e della Scuola che ciascuno ha vissuto e immaginato. C’è chi definisce il proprio ruolo con: insegnante, insegnante-capo, maestra, lasciando intendere che il progetto ha rafforzato e centrato questa dimensione professionale che si incontra con quella dell’e-ducere e quindi 71 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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con la propria funzione formante. Dello stesso tono ma più spinto su una funzione tecnica, si sono le parole: critico teatrale, supporto, collaboratrice, co-animatrice, mediatrice, come a rendere più visibile le competenze tecniche e a considerarne ora gli aspetti più legati ai contenuti e ora quelli riferiti alla relazione e al lavoro di gruppo. In questo caso si avverte la fatica dell’organizzazione, dei tempi, dell’essere in tanti, suggerendo una gestione extrascolastica come rimedio e formula possibile. C’è poi chi si dice: apprendista, discepolo, a sottolineare la necessità di una maggiore presenza dell’esperto insieme però ad una apertura al fare che rimette in gioco le proprie competenze e ne estende la portata proprio alla sfera del fare (di cui sarebbe depositario l’esperto). Ma c’è anche chi si definisce con: totale, protagonista, per sottolineare la gioia e il piacevole impegno investiti in una partecipazione e in un coinvolgimento solidale che lascia intravedere possibilità di ricerca e di crescita. Più metaforiche poi le parole: ponte (tra esperti e bambini), maestralunna, cercatore d’oro, che lasciano immaginare la voglia di continuare il percorso e la capacità di farsi consapevoli e autonomi nel dare forma teatrale allo studio per riuscire a far uscire fuori dal guscio gli alunni e il loro senso di isolamento. Nella casa del Teatro-Scuola, attraverso le parole lasciate scritte, provo a imbastire un dialogo con chi le ha tracciate come se fossero tracce di una mappa interiore con cui ricostruire il senso dell’esperienza e gli obiettivi emersi. Spazio, corpo e relazione sono le parole-chiave individuate durante il percorso e nei momenti di lavoro laboratoriale dedicati alla formazione degli insegnanti. Lo spazio è parola che assume uno spessore particolare perché connesso esplicitamente alla consapevolezza e all’estraniamento. Il rapporto con lo spazio fa emergere una dimensione attiva che ciascuno può mobilitare per occupare tutti gli spazi e appropriarsi dello spazio; spazio che poi diventa anche spazio scenico e luogo dove riflettere. Allo spazio si riconosce infatti il legame con la conoscenza del proprio corpo. A partire dal corpo e dagli esercizi proposti, emerge un lavoro in profondità che nel tempo va oltre l’espressione e diventa parte di un sentire che viene descritto come ascoltare il proprio corpo, conoscere e riconoscere il proprio corpo, che può passare anche per un lavoro di coordinamento che può diventare di cooperazione, nel quale qualcuno si chiede dove sono collocata e sembra fare eco a chi sente di ascoltare il proprio corpo e poter immaginare scenari diversi e creare sincronia. Importante anche che il corpo sia colto nella sua dinamicità e ritmica, come movimento di cui talvolta si cerca armonia e sintonia con le emozioni, ed è movimento nello spazio e anche movimento nel gruppo. Inoltre, la plasticità del corpo lascia intra72 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vedere la possibilità di farsi modellare anche attraverso l’improvvisazione e l’immaginazione. Entrare in contatto con se stessi e con gli altri disegna il tracciato preciso delle sfere coinvolte. Infatti, alla dimensione spaziale e corporea si unisce quella relazionale che emerge perché quello spazio da occupare sia anche quello dove creare relazioni, lasciarsi andare, dare corpo alle emozioni, e anche dove avere fiducia negli altri. L’interazione con l’altro è anche quell’aspetto del lavoro sul contatto fisico cui qualcuno avrebbe voluto dedicare maggior tempo per poter tradurre le emozioni, condividendole armonicamente. D’altronde, creare partecipazione e mettersi in gioco sembrano un altro passaggio chiave individuato nella ricerca di sinergia nel gruppo che apprende a relazionarsi con gli altri non solo con i gesti ma anche col suono della propria voce e trova nell’interazione nel gruppo la capacità di inventare. In questa osservazione emergono anche, più o meno esplicitamente, suggerimenti per modificare la conduzione dei gruppi o le consegne date, nel tentativo di individuare punti di forza e punti di debolezza che di fatto invitano gli insegnanti partecipanti a farsi parte attiva dell’azione progettuale che così si muove e vive con il progetto e con tutte le persone e le risorse coinvolte. Progettare Teatro Scuola Vedere Fare significa di volta in volta individuare soluzioni possibili, spingersi oltre i limiti che sembrerebbero posti dalle griglie normative e organizzative della Scuola, consapevoli che un percorso completo di formazione per docenti e bambini deve pur trovare tempi e orari adatti per essere una consistente opportunità di crescita personale, culturale e professionale che abbia anche una ricaduta positiva sulla bambina diversamente abile. Sperimentare e crescere insieme è un obiettivo raggiunto, anche se sullo sfondo le difficoltà di organizzazione e i limiti di tempo/spazi segnano una criticità di cui si è consapevoli e che pure lascia intravedere una vera possibilità di ribaltare schemi mentali e sociali. Il Teatro e il Teatro Educazione appaiono parte non solo di un vocabolario comune ma di una metodologia che lavora sulla possibilità di imparare ‘facendo’ e di darsi una grande occasione di confronto e sodalizio tra colleghe. Il lavoro multidisciplinare di alto livello è vissuto come (piacevolmente) molto impegnativo e dice quindi della fatica necessaria a vedere la luce degli occhi dei bimbi felici quando sono in scena. La ricchezza dell’esperienza riguarda anche il confronto costruttivo con le altre scuole e allarga l’estensione degli effetti del progetto dalla persona, alla sua funzione, fino a sentirsi più parte della realtà scolastica perchè attraverso i molteplici modi di fare e vedere teatro la si può guardare con lo spirito della scoperta e con la passione con la quale lavorano i responsabili di questo progetto. La Scuola 73 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ritrova se stessa e la voglia di imparare se somiglia a quel pezzettino di palco come luogo sacro dal quale non mi scinderò mai e se porta con sé il carico di nuovi visioni e di bellezza: la bellezza dei visi di tutti i bambini sul palco!! La sfida alla burocrazia scolastica e alle lezioni cattedratiche spinge il progetto Teatro Scuola Vedere Fare dentro un solco più ampio, quello delle strategie e delle politiche formative, un solco perciò esteso e trasversale, la cui ampiezza dell’azione del vedere e fare aiutano a costruire una concreta possibilità di utilizzo del teatro a scuola. La concretezza, dunque, mi pare più di tutto riemergere dai corpi, dagli spazi, dalle relazioni, e dire di un lavoro che procede verso la costruzione di una comunità di pratica e che cresce e si trasforma come la comunità stessa e la sua vita.

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BIBLIOGRAFIA

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VOCI DAL PROGETTO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE

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Il ‘vedere’: per una Didattica della Visione.

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Appunti da una conversazione con Giorgio Testa In Teatro Scuola Vedere Fare il mio focus è il ‘vedere’. Un ‘vedere insieme’ che recupera dello spettatore una funzione nobile perché ho fiducia nell’occhio, nell’occhio il cui agire è di un corpo-occhio che guarda altri corpi o simulacri di corpi. Parlo di quel vedere particolare che a teatro è ‘vedere insieme’. E qui parlo anche di cosa io ho visto che gli insegnanti coinvolti nel progetto ‘vedevano’ nel processo generato dal progetto stesso, ovvero cosa mutava del loro ‘vedere’. Un progetto quello di Teatro Scuola Vedere Fare che è arrivato ad integrare Vedere e Fare e ad assumere la sua articolazione così complessa solo a Napoli, per la felice congiuntura generata dal contemporaneo coinvolgimento di Casa dello Spettatore, di Morena Pauro con Le Nuvole, e di Salvatore Guadagnuolo con AGITA. Quindi Napoli è l’unico posto dove questo si fa in maniera organica da molto tempo. Il focus di Casa dello Spettatore sul Vedere, e quindi sull’importanza dello spettatore, risale ad una ricerca che conduco da molto tempo e che a Napoli ha trovato questa coniugazione organica. Però, appunto, ha una storia più lontana e un’origine più antica, a cui io nel tempo ho dato il nome di ‘Didattica della visione’. Una delle premesse di questa storia personale è che come pedagogista e come educatore sono nato e cresciuto nel Movimento di Cooperazione Educativa che era una riproposizione, una reinvenzione, di un altro modo di fare scuola rispetto all’universo tradizionale in cui l’architrave è chi fa lezione a un altro che l’ascolta e che ha il compito di ripetere quello che ha ascoltato. L’interesse per il teatro è riemerso in quel contesto perché portava con sé il tema del fare educazione in un altro modo. Tale interesse, maturato con la tesi di laurea sull’attività drammatica in educazione, si è unito ad una riflessione di tipo pedagogico in un momento storico in cui non c’era ancora il piano ragazzi o altre politiche nazionali, ma già si coniugava teatro e educazione. Ho portato nell’educazione, la passione personale per il teatro. Una passione che si riferisce soprattutto al mio incontro con la tragedia greca. Pensavo a come nella cultura classica fosse stato inventato uno strumento di questo genere, il teatro dentro la città, un teatro che contiene in sé un’idea così grande e fondativa per 81 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la città stessa. Poi, accanto al mio interesse per il Teatro, c’era Freinet e l’idea di dare spazio a quello che si è sempre chiamato il gioco drammatico. Cioè l’attività espressiva. Il fatto che si potesse sviluppare il gioco che il bambino fa naturalmente, in forme che in quella pedagogia attiva non era tanto la recita ma quello che i francesi chiamavano, appunto, ‘gioco drammatico’. Quello che poi di volta in volta si è chiamato anche gioco simbolico o gioco espressivo. Ero molto interessato a sapere che cosa avviene nel processo educativo quando si lavora attraverso un’attività che coinvolge intensamente il corpo, dato cruciale, e che nasce come gioco collettivo, un gioco che fai insieme in una situazione educativa. Quindi è chiaro che questa modalità di lavoro è nata insieme all’interesse per la comparsa e l’utilizzo in chiave educativa di un’attività drammatica, del linguaggio drammatico. Uso il termine in questo senso: come esiste il linguaggio verbale esiste il linguaggio drammatico che non è quello non verbale e basta, perché il linguaggio drammatico è quello che si usa quando si dice una bugia, quando ci si traveste, in ogni azione simulata. Questa premessa è lo sfondo che porta a tutto. Ero dentro questo orizzonte educativo quando ho incontrato l’animazione. A partire dal teatro, anche lì, si riproponeva il linguaggio drammatico con finalità educative, come nel Movimento di Cooperazione Educativa, come in Mario Lodi. Io stesso quando ho insegnato, in quei primi anni che ho insegnato, ho usato il gioco drammatico con le mie allieve della scuola superiore. Quindi era una modalità di espressione e di conoscenza. In quel momento, che il teatro fosse una cosa che si ‘vedeva’ non mi passava proprio per la mente. Del resto, ancora adesso e sin da quando stavo all’Ente Teatrale Italiano, ho sempre parlato di “pratiche teatrali” perché sono quelle pratiche che afferiscono a quel linguaggio istituito che noi chiamiamo teatro ma che comporta tanti livelli di praticabilità. Se in una scuola materna c’è il baule e l’angolo dei travestimenti, ritengo che quello sia a tutti gli effetti una pratica teatrale. Io guardo al teatro nella sua complessità. Poi ho seguitato a utilizzare queste pratiche teatrali all’interno di un contesto educativo non solo a scuola, ma anche in attività formative rivolte agli adulti. Era un’idea chiave del Movimento di Cooperazione Educativa: fare esperienza diretta di quello che poi fai fare agli altri. Con l’animazione teatrale si è poi recuperata la ragione antica di quelli che facevano la Scuola attiva in Italia. C’è stato un incontro tra quelli che utilizzavano il teatro nella loro pratica didattica e quelli che la usavano nella loro espressione adulta. Quindi questo è il percorso da cui nasce l’idea di un uso educativo del teatro. Voglio insistere sull’educativo 82 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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– e una pedagogista lo può capire – e non sull’uso terapeutico. Quando mi sono ritrovato in una ASL a fare lo psicologo, in nessuno momento dell’attività professionale ho utilizzato il teatro; sul valore curativo delle pratiche teatrali nutro più di una perplessità, preferisco metterne in valore il lato conoscitivo. Perché attraverso il teatro è possibile mettere a fuoco un’altra conoscenza: quella particolare conoscenza che è la conoscenza della condizione umana. Da questo contesto è apparso il lavoro sul ‘vedere’. Da uno studio personale è apparso il ‘vedere’ che ha cominciato ad incrociare la nascita del Teatro ragazzi. Perché con la nascita del Teatro ragazzi doveva formarsi un pubblico che non c’era. Quelli del Teatro ragazzi dovevano parlare con le maestre e farsi capire. Dovevano fare due operazioni: da un lato fare spettacolo e dall’altro educare un pubblico. Quindi, quelli che venivano dal Teatro ragazzi come Loredana Perissinotto lavoravano con le insegnanti. Così l’Ente Teatrale Italiano ha promosso il Teatro ragazzi con chi come me si occupava di educazione e quindi sapeva parlare con le maestre possedendo il loro linguaggio, facendo da mediatori culturali e non gli artisti. Perché capivamo qual era il problema relativo al rapporto tra artisti e insegnanti. Quindi ho cominciato a promuovere il Teatro ragazzi con l’ETI attraverso dei corsi che supportavano quel teatro interrogandosi sul significato e sul funzionamento del linguaggio. Ci si è chiesti cosa fare e che cosa significasse educare le insegnanti e gli alunni al teatro. Significa che in quel momento – nel 1985 – ho dovuto darmi un’idea dell’educazione al teatro perché fino a quel momento avevo solo idea dell’educazione tramite il teatro. In quel momento mi sono chiesto cosa volesse dire l’educazione al teatro? Io avevo elaborato prevalentemente un discorso intorno alla ricezione del testo. Mi ero occupato della didattica della lettura. Quindi io venivo dal bagaglio della didattica della lettura. In analogia a questa, però, mi sono dato uno schema teorico che poi è stato quello che abbiamo usato all’interno di AGITA. Cioè, per educare al teatro, e come per ogni educazione a tanti altri linguaggi, devi avere almeno altre tre cose: lo devi praticare, perché se non pratichi quel linguaggio, se non lo possiedi, non lo puoi insegnare; è come per la scrittura, non puoi insegnare a leggere senza insegnare a scrivere. Quindi la prima cosa è praticare il linguaggio teatrale. Seconda cosa riguarda la ricezione, quindi il vederlo. Perché se non lo vedi, non conosci di quel linguaggio il suo esito. Perché lì ero un po’ in conflitto con quelli dell’animazione perché loro dicevano sempre “l’importante è il processo e non il prodotto”. Che da un certo punto di vista del pappagallo ammaestrato 83 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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loro avevano ragione. Però io dico sempre, il linguaggio teatrale si compie nel momento in cui si fa vedere. Non è che è come la scrittura, che lo scritto rimane lì. No. Il “sempre caro mi fu quest’ermo colle”, posso metterlo in un cassetto e non se ne parla più. Ma il teatro non è come la Gioconda, che la si può portare con sé come faceva Leonardo. Non si può portare con sé niente del teatro perché esiste nel momento in cui lo si guarda. Quel linguaggio esige qualcuno che guardi. Quindi il vederlo è fondamentale. Poi c’è anche un terzo punto che però nel progetto Teatro Scuola Vedere Fare non c’è e che riguarda uno sguardo sulla natura del linguaggio teatrale rispetto agli altri linguaggi perché per conoscere e comprendere il senso di quel linguaggio c’è bisogno di metterlo in dialogo e in opposizione con gli altri linguaggi. Questo terzo punto individua il teatro come spazio di tutti i linguaggi e dell’azione che si compie attraverso il linguaggio. Per questo, in un’ideale didattica io metterei un approfondimento sull’educazione linguistica, sul testo. Necessario un orientamento al testo per unire pensiero, azione, linguaggio. Quindi sullo sfondo del progetto Teatro Scuola Vedere Fare c’è tutto il lavoro fatto con il laboratorio teatrale, portato avanti con AGITA per l’educazione attraverso il teatro e l’educazione al teatro. E c’è la ‘didattica della visione’ che altrove non trovava udienza. Perché al teatro interessa il pubblico che compra il biglietto. Che il pubblico venga educato non gliene importa. Non capiscono il problema, non capiscono che è consustanziale perché soprattutto i teatranti moderni vedono il teatro come un fatto espressivo ‘loro’. Mentre c’è tutta la questione del lettore e del lettore modello (e tutti gli studi di Eco). L’idea del ‘a chi parlo’ quando faccio uno spettacolo, non è mai tematizzato. Per un po’ lo abbiamo chiamato operatore-iride. Questo mediatore in campo educativo non può non esserci. Quali sono le condizioni perché l’incontro con lo spettacolo avvenga. Un lavoro sul bagaglio con cui lo spettatore arriva. Perché quando si parla a uno spettatore, lo spettatore non è vuoto. Anche qui, sono dei principi chiave dell’educazione, almeno di quella attiva. Devi sapere come lo spettatore arriva allo spettacolo. Quindi c’è tutto un orizzonte di attese che si unisce al fatto che il teatro lo consumi con il corpo con cui vai a vederlo. Importante quindi anche come ci arrivi. Se tu ci arrivi con un bambino della scuola che ha impiegato un’ora e mezza per arrivare e ha bisogno del bagno, la visione ne risentirà. Poi c’è tutta la questione della premessa cognitiva e del linguaggio verbale. Questo è evidente anche per gli adulti. Ogni drammaturgo che si rispetti, questo lo sa. Tanto è vero che parla allo spettatore in italiano e non in cinese. L’ar84 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tista trova importante non togliergli la rivelazione. Infatti io uso la parola ‘dissodare’ per dare idea di cosa intendo per preparare lo spettatore alla visione di uno spettacolo; uso cioè la metafora agricola del dissodare un terreno perché quando il seme arriva c’è bisogno di un terreno che lo accolga. Nel caso del teatro, naturalmente, dipende anche dalla tipologia del gruppo e dalla tipologia dello spettacolo. Per esempio se propongo ‘Il Brutto anatroccolo’ con la danza, posso supporre una fascinazione ma devo preparare alla visione facendo conoscere la storia, per esempio, predisponendo il pubblico ad entrarvi. Ogni volta devi fare un’ipotesi sul gruppo, cioè un lavoro pedagogico raffinato. Devi sapere chi sei tu. Naturalmente tu come mediatore sei in gioco. E poi la tipologia di spettacolo. Ovviamente anche lì c’è un problema che esiste anche con gli adulti. Perché anche lo spettatore adulto che guarda la prima volta la danza contemporanea ti dice “non ci ho capito niente”, e non ci va più perché si sente aggredito. E allora la domanda è ‘perché si sente aggredito’? Perché se lo spettatore ha in testa che il ballo è solo Carla Fracci e il chachacha, o il tango, è evidente che non si sa dove si trova e si sente offeso. Oppure si dice che non è in grado. Un’altra ipotesi è che quello spettatore sia passivo. Ma non è vero che sia passivo perché può essere inattivo ma non passivo. Perché la regola è che per l’appunto io sono lì e vedo. Quello è il teatro: ‘io vedo’. Non posso intervenire. Io dalle mani di Otello non posso togliergli Desdemona. Perché abbiamo patteggiato che quello è un posto dove posso veder strangolare. Se non capisco questo, non capisco più niente. È evidente che tu devi predisporre il pubblico a questo tipo di esperienza del vedere. Allora ci sono alcuni fondamenti: uno è lavorare sull’attesa. Sul prima. Tutto questo avviene sempre di regola con un piano che è un testo, un dossier, che si dà. Si prepara il gruppo di spettatori, gli insegnanti che a loro volta preparano i loro alunni, avendo un piano di lavoro. A volte si può partire con un lavoro sul titolo dello spettacolo, se è una cosa stimolante. Se vai a vedere ‘Cappuccetto rosso’, no. Ma se vai a vedere ‘Così è, se vi pare’, allora chiedi: ma cos’è che ci pare? Può essere un testo che aiuta ad approcciare il tema dello spettacolo, che lo tematizza ma non in maniera diretta, alla lontana. Se fanno – è successo una volta – ‘Corruzione a palazzo di giustizia’ di Ugo Betti, quindi una cosa degli anni ’40, un testo metafisico, allora si può iniziare discutendo sul significato di corruzione, utilizzando testi di giornalisti, altri autori, altri testi, un racconto. Poi il discorso prosegue con la visione dello spettacolo. Così dopo la visione il discorso continua. Per questo lo spettacolo diventa parte di un percorso didattico. A volte capita che la didattica è 85 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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più interessante dello spettacolo. Ma la regola è che vedere lo spettacolo non sia un consumo solitario ma che implichi l’andarci insieme. Dei materiali per la ‘Didattica della visione’, l’archivio è pieno. È l’archivio di tutti i materiali di lavoro, che non è il mio diario personale; materiali che ho dovuto preservare una volta smontato l’ETI. Un archivio per chi si interessa di questi temi. Si tratta di una ricerca finanziata dallo Stato. Un lavoro dove sono state coinvolte coralmente tante forze: quelle del Movimento di Cooperazione Educativa, di Loredana Perissinotto e di molti altri. Una ricerca che ha coinvolto una grande varietà di pubblici e che propone un’idea di teatro che non si ferma all’espressione ma che chiede che sappia comunicare non solo agli addetti ai lavori. Un teatro che sa che non si può dissacrare, che so, l’Eneide, se nessuno l’ha mai letta. E proprio nel senso di un teatro in grado di comunicare, penso che il progetto Teatro Scuola Vedere Fare abbia costruito una comunità. Questa era ed è la finalità. Sin da quando abbiamo cominciato con gli adulti, siamo partiti dall’idea di far incontrare le persone sulla base del comune interesse per il teatro (come per altri il calcio, un partito politico o altro). Dopo che l’ETI è stato chiuso, mi sono concentrato sul lavoro degli educatori che lavorano con gli spettatori. Ho fondato la Casa dello spettatore e la ricerca continua anche con AGITA. AGITA si occupa del teatro fatto dai ragazzi e del teatro sociale, lavorando con gli insegnati perché facciano loro i mediatori. A Napoli lavoriamo insieme sulla visione e sul fare. Si fa un teatro amico con le insegnanti per una didattica indiretta. Il vedere è insieme al fare, ed entrambi lavorano sulla didattica, il linguaggio, il tema. Stiamo cercando di fare in modo che lo spettacolo abbia una rilevanza pedagogica altra. È un momento di discussione su di un tema di interesse e rilevanza sociale. Quindi lo spettacolo ti dà l’opportunità di creare una comunità. È successo solo a Napoli. Ho sperimentato la visione da sola. Cosa significa vedere. Mi sono reso conto che il teatro è una parte, di minoranza, rispetto a tutta la visione. Perché a teatro vedi una cosa sola ma per il resto vedi molte cose. Così a Napoli ho fatto due esperimenti. Un primo è stato un modello di seminario intitolato “Vedere soli e vedere insieme” vedendo due volte lo stesso spettacolo. È interessante confrontarsi su cosa vediamo e ci confrontiamo sul cosa si è visto, sulle condizioni della ricezione. Si ripercorre l’esperienza, parlando di quello che si è visto; del rapporto con i segni, dell’esperienza fenomenologica dello spettatore. Quindi si lavora sul vedere a fondo, e vedere lo spettacolo due volte è una opportunità formidabile, per questo. Vedere uno spettacolo due volte è esperienza rara, a differenza del rileggere una 86 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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poesia, per esempio, ma è davvero un utilissimo esercizio di didattico per conoscersi come spettatori. Con un secondo esperimento ho proposto un lavoro sullo spettatore multiplo. Siamo spettatori di molte cose. Con un gruppo di insegnanti a Napoli non si parla solo di teatro ma di come si matura vedendo. Anche la tv. Un seminario importante in questa direzione ha avuto come oggetto la visione di una puntata di Forum rispetto alla quale ci siamo posti con la stessa serietà che avremmo avuto davanti all’Edipo Re. Abbiamo lavorato sulla drammaturgia. Abbiamo scomposto il testo, le immagini. Nella tv non c’è il corpo vivo ma c’è il corpo vivo dello spettatore. E sono forme linguistiche che provengono dal teatro. A Napoli col gruppo di insegnanti si fa ricerca sul teatro e anche sulle altre forme della finzione. Ora vorrei lavorare su tutto il vedere. Come anche vedere il Museo, le sue opere, le sue modalità di fruizione, il tempo, l’identificazione. È tutto come un processo di ‘lettura’. A Napoli c’è già un gruppo che segue da anni con continuità le attività del progetto Teatro Scuola Vedere Fare, così con loro si può introdurre in maniera approfondita la questione del linguaggio in generale. Questo progetto può essere usato come cavallo di troia per portare innovazione nella scuola. Intanto il gruppo dei partecipanti ha già cambiato il modo di intendere la scuola. Il nucleo del gruppo veniva dalla scelta del teatro a scuola come modalità per avere accesso a un altro modo di intendere l’educazione, perché gli insegnanti stessi del gruppo facevano esperienza di un altro modo di imparare e di avere cura. Mentre si faceva un lavoro preparatorio al teatro, ci si apriva ad un lavoro sulla metodologia. Nel gruppo, il sapere si mette in comune, si condivide nel gruppo e si unisce alle competenze di ciascuno. Si scambiano strumenti. Non sappiamo se la scuola sia consapevole di tutto questo perché più difficile rilevarlo. Non è prevista una verifica di questo. Dovresti studiare in un’altra maniera per individuare dei parametri. I risultati ottenuti dagli insegnanti nei confronti degli artisti di teatro è significativo. Ma quello che non si è esplorato ancora è quanto gli operatori di teatro educativo siano in grado di penetrare con la loro cultura teatrale la cultura educativa. Manca una vera riflessione su come essere educativi attraverso tutto il teatro. Intanto a Napoli con il progetto Teatro Scuola Vedere Fare hai quel teatro solo per i piccoli. Quel parco. Uno dei luoghi dove si va con la scuola e dove si può tornare la domenica con la famiglia. È un punto di riferimento, come il teatro da sempre fa. Anche ora che la ‘Buona Scuola’, dopo più di vent’anni, legittima e supporta l’autonomia per far crescere anche un uso del teatro educativo. 87 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Appunti sul ‘fare’: il Teatro-Laboratorio a Scuola e la Scuola-Laboratorio a Teatro

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di Salvatore Guadagnuolo Quando si parla di educazione teatrale si intende riferirsi a esperienze educative capaci di cogliere obiettivi di tipo cognitivo ed emozionale; la conoscenza di informazioni corrette è essenziale per comprendere le varie dinamiche, accanto a obiettivi di tipo formativo, poiché la conoscenza teorica da sola non basta a promuovere azioni e ad innescare processi veri di cambiamento. Da qualche tempo a questa parte, quando mi chiedono di tenere corsi di formazione per docenti ed educatori, parto dalla convinzione che il modello formativo – innovativo negli anni ’80, quello che ha destrutturato un modo di pensare il teatro, sfoltendolo di quel vecchiume che ha ricoperto fino a quegli anni le poltrone dei teatri – ha fatto il suo corso. A quei tempi era necessaria una formazione degli educatori, e nello specifico dei docenti, che li scuotesse dal loro modo direttivo di gestire la relazione. L’animazione teatrale entrava prepotentemente come un uragano a sconvolgere il sistema educativo. Si è andata costituendo una nuova figura di docente che potesse ricostruire, sui modelli della nuova pedagogia, la nuova scuola capace di interagire con il corpo dei bambini e che potesse veramente cambiare il mondo. Contemporaneamente anche il teatro usciva dal suo pigro ambiente per ritrovare una nuova forza, uno slancio vitale per dare linfa alla ricerca. Tutto ciò avveniva allora ed era necessario per rinnovare la scuola e la società. Ed oggi? La realtà, completamente cambiata, ci ha imposto un nuovo approccio alla formazione e all’educazione. Abbiamo dovuto guardare le vere esigenze dei destinatari. Il progetto Teatro Scuola Vedere Fare ha come ossatura principale l’ascolto continuo delle esigenze dei bambini e dei ragazzi. È determinante conoscere, in questo tipo di approccio, come si conosce: infatti è nel modo stesso di conoscere i fenomeni che si annida il pericolo della separatezza tra teoria e pratica, tra conoscenza e azione. 89 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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La scissione si supera con l’apprendere dall’esperienza agita e l’apprendere ad agire in modo adeguato nel contesto di nuove esperienze. In questo senso il percorso teatrale educativo potrà conoscere sempre nuovi stimoli, perché costruito lungo il percorso, arricchito dagli spunti o da contribuiti personali. Un iter, pertanto, finalizzato alla costruzione di un progetto educativo sostenuto e giustificato dalla realizzazione di proposte e azioni concrete, in cui rispecchiare le auspicate trasformazioni cognitive, valoriali e comportamentali dei soggetti coinvolti. E per accertarsi che gli allievi si siano impadroniti delle abilità desiderate si è esplorato il fattore comprendere. Comprendere nel senso di essere capaci di integrare competenze scolastiche e fare formativo, per poi portarli al servizio dei bisogni e delle richieste personali e culturali. Si è poi utilizzato un metodo che valorizza più efficacemente i canali di apprendimento della maggior parte degli allievi. Tali canali sono caratterizzati: 1. da una tipologia complessa e curiosa per quanto riguarda autori, contenuti, tematiche e sincretismo tra i linguaggi; 2. da una risposta a una vasta gamma di stili e cliché simbolicoespressivi, sia in funzione conservativa che di rottura; 3. da un’esperienza più visibile del legame con la naturalezza del gioco e della teatralità. 4. da implicazioni cognitive, psicologiche, emotive, terapeutiche, esistenziali attivate dall’esperienza teatrale. FARE TEATRO non serve a migliorare di facciata l’apprendimento dei programmi scolastici. All’insegnante e agli allievi si è chiesto di affrontare il teatro della scuola in un’ottica di formazione sistemica e integrata: ciò significa operare trasformazioni e scelte. Mettere in rilievo le valenze di questo tipo di operare richiede un convinto cambiamento d’atteggiamento, superare alcuni stereotipi, preparazione adeguata e chiarezza degli obiettivi. Riguardo a questi ultimi vanno instaurati contatti trasversali, progettuali o di qualità con le arti, la cultura, la tecnologia, la civiltà, la vita sociale del paese. Si è cercato di far diventare il laboratorio un luogo di attività e di esercizio di ruoli tratti precisamente dai campi che interessano gli adolescenti, e gli oggetti che solitamente vi compaiono rappresentano le occupazioni, le abilità e le aspirazioni che legittimamente piacciono agli allievi e li motivano. 90 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Tutti hanno avuto l’opportunità di adottare nei confronti dei contenuti una molteplicità di prospettive e atteggiamenti. È interessante notare come il dialogo continui al di là dell’imposizione istituzionale; la ricerca dell’altro prosegue ben oltre il momento dato e programmato: la curiosità, dote tipica degli adolescenti, si esterna in mille modi e momenti d’incontro. Su un percorso in fase di apprendimento con un gruppo misto, proveniente da varie “storie” si è lavorato sull’immaginario collettivo conducendo gli utenti in un viaggio fantastico attraverso “l’azione del corpo in azione” in uno spazio, in una relazione con sé e con l’altro. Lo spazio è il luogo dove il corpo può essere vissuto e quindi “comunicato”. Gli utenti sono stati indirizzati, attraverso una metodologia semi-strutturata del gioco in azione, a costruire il proprio “corpo narrante”, e condotti in un viaggio fantastico attraverso uno spazio altro che è lo specchio: lo specchio come visione diversa di un sé corporeo, “locus” ideale dove la dimensione può trasformarsi ed essere tutto ciò che si vuole, anzi si può anche moltiplicarla e ridimensionarla. Il tutto rimane solo un gioco di immagini riflesse. E così anche quest’anno poeti visionari, i bambini portatori della saggezza primordiale, saranno i protagonisti di un viaggio nella fantasia, una sorta di avventura dove la scoperta del magico si riflette in un percorso di crescita didattica del tutto peculiare. Il teatro plasma la scuola creativa, la scuola esce dai suoi schemi per trovare uno spazio edenico dove realizza i propri sogni; e così una stalla diventa una stella, nel gioco rodariano delle parole e i ragazzi abbandonano la loro “digitalità” per confrontarsi e giocare al teatro in una realtà virtuale e vera, dove finalmente saranno i protagonisti assoluti. Noi, silenziosi adulti, non dobbiamo far altro che guardarli, ascoltarli e incantarci. E rispettarli. Per essere alla loro altezza.

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Tra teatri e scuole: tessere comunità

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Appunti da una conversazione con Morena Pauro Nel ricostruire questi quattro anni di progetto Teatro Scuola Vedere Fare e l’avvio del suo quinto anno di attività, sono in apertura della trentatreesima stagione del teatro per le nuove generazioni curata da Le Nuvole ora Casa del Contemporaneo. Siamo stati per venticinque anni a Edenlandia in uno spazio che era stato la pista degli autoscontri, poi l’Edenlandia ha chiuso e abbiamo dovuto lasciare il teatro che avevamo lì dopo tanti anni di “casa”. Abbiamo così deciso di investire nostre risorse personali per costruire un teatro a Città della Scienza ma, inaugurato a novembre, a marzo è stato chiuso a seguito dell’incendio (il 4 marzo del 2013). Il teatro si è salvato ma intorno non avevamo più niente: camerini, bagni, spazi per l’accoglienza del pubblico, tutto perduto insieme a quel bellissimo Museo. Nel frattempo, a maggio 2013, si era inaugurato il Teatro dei Piccoli alla Mostra d’Oltremare – un progetto che inseguivamo da anni, ristrutturare e aprire quel teatro chiuso e abbandonato da tanto tempo – così abbiamo avuto una struttura, bellissima, adatta ad essere la casa delle arti per le nuove generazioni. Cambiare tre teatri in due anni è stata una prova dura e difficile che ha rimesso molto in discussione, prima di tutto me stessa. Ricominciare: ma in che direzione andare? Alla ricerca di riferimenti, con tante domande e poche risposte, ho incontrato alcuni insegnanti e operatori con cui avevo lavorato anni prima e che sentivo vicini. Quale senso poteva avere il nostro lavoro, fare programmazione e direzione artistica di un teatro di ricerca per ragazzi e insegnare in una scuola dove la sperimentazione era sempre meno gradita? Ecco in quel primo incontro è nato tutto e ho trovato – nel pieno di una crisi economica, politica e personale, in cui avevo smarrito il senso del mio fare – compagni di viaggio forti di pensieri, professionalità, amore per il proprio lavoro. Con loro ho condiviso il disagio, i desideri e i sogni e abbiamo cercato la via e l’entusiasmo, il credere nuovamente ad una funzione politica e culturale del teatro e della scuola. In questo contesto è nato il progetto che abbiamo chiamato Teatro Scuola Vedere Fare, in cui il teatro è stato da subito protagonista per smuovere all’ascolto e all’osservazione in profondità. L’idea su cui tutto è stato costruito è l’integrazione tra teatro e scuola e tra ‘vedere’ e ‘fare’ in un 93 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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continuo gioco di rimandi e di vasi comunicanti. Il ‘fare’ (il laboratorio teatrale a scuola in orario curriculare, curato da AGITA e finalizzato ad una comunicazione finale a maggio) mutava anche il ‘vedere’ perché subito il pubblico delle scuole ha iniziato a considerare con più attenzione e rispetto il lavoro a cui erano invitati come spettatori. Quando entrano a teatro i ragazzi spengono i telefoni cellulari e fanno silenzio. Rispettano quello spazio e le sue regole. Le chiedono quando a maggio, salgono su quel palco per il loro spettacolo, imparano ad offrirle quando sono seduti in sala. E in quello che definiamo il ‘loro spettacolo’ c’è quello che gli alunni vogliono raccontare, quello che hanno scritto, quello che hanno rielaborato a partire da quello che hanno studiato, visto, letto, vissuto. Con ‘fare’ imparano a rimescolare materiali ma anche a stare insieme a rispettare gli altri, a fare gioco di squadra. Non è un’attività per il tempo libero o extrascolastico, è un progetto fatto dentro la classe e con tutta la classe, lavorando sulle differenze e con le differenze. Tutto questo grazie ai docenti che scelgono di partecipare – spesso tra mille difficoltà – offrendo lavoro straordinario e grande disponibilità, mettendosi in gioco e seguendo parallelamente fino a 90 ore di corsi di formazione. Il progetto abbraccia l’intero anno scolastico e il ‘fare’ si conclude a maggio con Maggio all’infanzia Napoli la rassegna degli spettacoli fatti dai ragazzi. È il momento della comunicazione, ad altri compagni e ai genitori, del lavoro svolto. È il loro momento, tocca a loro raccontarci e raccontarsi tra il grande stupore generale. Sì, lo stupore è secondo me la caratteristica principale della rassegna di maggio. Stupore degli adulti nel vederli e nell’ascoltarli – sentiste i testi! – stupore dei ragazzi che hanno davanti una platea attenta riunita lì per loro. Questo ti dice anche che lavorando con il teatro attivi un processo che non rinuncia alle discipline: fai matematica, italiano, storia, geografia, fai tutto con il teatro. Ma lo fai dando senso alle discipline e producendo storie da raccontare, azioni da condividere, scopri che le cose che hai da raccontare interessano altri. Ci sono altri che ti guardano, che si interessano a te. Questo è il teatro. Quando tu hai qualcosa da raccontare e c’è qualcuno che con la sua presenza e la sua attenzione ti dice che è interessato a quello che hai da dire. In parallelo vi è la sezione ‘vedere’ (almeno 3 spettacoli con la classe e molti altri la domenica con le famiglie) che coinvolge direttamente il cartellone teatrale che io firmo. Il progetto ha previsto da subito l’apporto di Casa dello spettatore con Didattica della Visione, un corso di aggiornamento rivolto al docente in qualità di spettatore e in qualità di educatore che sceglie e accompagna gli alunni a teatro. Conoscere meglio le poten94 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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zialità del teatro come strumento culturale ha creato molta curiosità reciproca e grande interesse in un approfondimento. Presto alcuni docenti sono partiti con me alla volta di Bari per partecipare al festival Maggio all’infanzia che si svolge sull’altra sponda dell’Italia ed è curato da Teatri di Bari. Si tratta di una rassegna di spettacoli inediti proposti da compagnie professioniste e che si rivolge ad un ampio pubblico di operatori del settore che visionano in anteprima tutte le novità da portare poi nel proprio teatro. Con l’arrivo dei docenti il festival è stato integrato da incontri di formazione che si alternavano alla visione degli spettacoli – circa 15 in 3 giorni! – e il percorso è stato denominato “Esplorazioni. Gruppo di visione in festival”. Docenti e operatori teatrali si sono ritrovati insieme e ne è nata una nuova collaborazione, un ulteriore arricchimento e uno scambio prezioso. D’altronde un cartellone teatrale per ragazzi si rivolge sempre agli adulti, sono loro che scelgono per i più piccoli. Oggi posso dire che è quanto mai indispensabile che l’insegnante, nostro interlocutore principe, entri più attivamente nel settore e conosca meglio e più approfonditamente il teatro per le nuove generazioni. Ne guadagnano tutti in qualità, il teatro e la scuola. Nella stagione teatrale al Teatro dei Piccoli di Napoli trovano sempre più posto spettacoli che portano in scena tematiche vicine al vissuto quotidiano dei giovani spettatori con rielaborazioni e adattamenti di testi classici o di nuova drammaturgia. È possibile trovare una fiaba a cui non si chiede di rispondere alle attese tradizionali ma usata per raccontare dell’invidia, dell’abbandono, della perdita, per parlare del rapporto genitori-figli, di questioni molto sentite e non sempre affrontate. In questo il teatro per ragazzi è fantastico perché i destinatari – i ragazzi – sono aperti e disponibili ad ogni variazione sul tema, ad ogni argomento, ad ogni sperimentazione. Non così è l’adulto che invece ha spesso delle aspettative ben precise ed è su queste aspettative che s’innesta il lavoro in sinergia, gli approfondimenti, i corsi di aggiornamento, che hanno portato a un cartellone ampiamente discusso e condiviso, in cui le aperture sono sollecitate e la sperimentazione è fortemente richiesta. Il teatro è speciale perché tocca delle corde particolari che aiutano a comprendere le cose del quotidiano, ne interrompe il flusso o lo riavvia. Apre strade che non pensavi di poter percorrere e che possono essere percorse da tutti. E una volta che il teatro ha fatto scattare qualcosa in te, ti mette in moto. Ti apre alla curiosità, alla voglia di approfondire. È la magia del teatro. È quello che abbiamo visto sia in scuole considerate “più facili” che in altre con un alto tasso di assenteismo e abbandono. 95 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Tutto questo grazie alla sinergia e al tempo, sì non devi farti prendere dall’ansia da prestazione, devi dare il tempo di far accadere le cose. Anche chi legifera, i “decisori”, dovrebbe considerare che i progetti di un giorno non servono a nulla e che invece ci vuole tempo ma anche ascolto, professionalità, integrazione di competenze e sperimentazione. Teatro Scuola Vedere Fare è cresciuto sotto i nostri occhi, per numeri e per qualità, ha di fatto creato una comunità fatta di persone e di tante professionalità a cui si sono aggiunti i genitori invitati dai figli/alunni del progetto. Ogni studente riceve a inizio anno una card che consente di vedere tutti gli spettacoli del programma nei giorni festivi. Succede che gli alunni chiedano ai genitori di essere accompagnati a teatro e spesso per questi genitori è la prima volta. Quando arrivano è una festa: “sono del teatro!” e si vanno a cercare la loro poltroncina preferita non prima di aver informato i genitori delle regole, prima fra tutte “spegnere il telefono”. Un progetto ampio e variegato, intenso e difficile, in continua e inevitabile evoluzione per l’adattamento al naturale sviluppo. Non credevo che quel sasso buttato in acqua 5 anni fa da poche mani riunite dalla difficoltà potesse avere la potenza di allargare cerchi sempre più ampi e arrivasse dove è arrivato, potesse creare dei legami forti fondati sulla passione per il proprio lavoro. Non so come e dove ci porterà il viaggio, so solo che sono in ottima compagnia e voglio restarci.

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MATERIALI DAL PROGETTO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE

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Teatro Scuola Vedere Fare. I partecipanti e i programmi delle attività a cura di Casa del Contemporaneo, le Nuvole, Agita, Casa dello Spettatore, SAT

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I partecipanti nel 2014-2015 4 Istituti Scolastici – 14 Classi – 10 gruppi in scena – 29 docenti – 276 alunni Le Scuole e le classi: Istituto Comprensivo 73 ‘Michelangelo Ilioneo’ – Napoli – plesso Madonna Assunta, II A – B – C – D – E 63° Circolo Didattico ‘Andrea Doria’ – Napoli – V C – D – E – F Istituto Comprensivo 8 ‘Oriani Diaz’ – Pozzuoli – II A – B – IV C Scuola secondaria di I grado G. Diano di Pozzuoli – III R Ospiti: Centro diurno per adulti disabili “Il cielo in una stanza” – Vico Equense Laboratorio teatrale d’infanzia – Vico Equense Istituto Superiore ‘San Paolo’ di Sorrento Progetto Scuolavoro Casa delle Arti e dei Mestieri – Napoli Associazione Mamme del Marano Spot festival

I partecipanti del 2015-2016 6 Istituti Scolastici – 24 Classi – 18 Gruppi in scena – 52 Docenti – 481 Alunni Le Scuole e le classi: Istituto Comprensivo 72 ‘Palasciano’ – Napoli 2A e B – docenti: Dino Fabiani, Anna D’Angelo

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Istituto Comprensivo 73 ‘Michelangelo Ilioneo’ – Napoli (plesso ‘Madonna Assunta’) 1A – docenti: Silvia Sambucci, Maria Rosaria Devoto, Rosa Lucignano 3A – docenti: Orietta Cattaneo, Lucia Abbate, Rosita D’Isanto, Monica Massa 3B – docenti: Ornella Troncone, Olga Mautone, Alessandra Albertini, Monica Massa, Irma di Meglio 3C e D – docenti: Maria Alfuso, Maria Gabriella Lanzetta, Emmanuela Florio, Maria Capuano, Marcella Lanzilli, Ida Barretta 3E – docenti: Maria Gabriella Pennino, Marina Pescarolo, Antonio Iaboni Documento acquistato da () il 2023/04/27.

63° Circolo Didattico ‘Andrea Doria’ – Napoli 1A – docenti: Antonella Cammardella, Valeria Abbate 1B – docenti: Roberta Vannini, Maria Norcia 3B – docenti: Giovanna Pellecchia, Rosalia Papa Istituto Comprensivo 8 ‘Oriani – Diaz’ – Pozzuoli 3A e B – docenti: Silvia Taurasi, Maria D’Isanto, Maria Vellinati, Anna Pagliaro 4A e B – docenti: Carmela Insalata, Maria Rosaria Vitagliano 4C e D – docenti: Elena Zaccagnini, Adriana Longo, Concetta Maddaluno 5A e B – docenti: Brunella Cultreri, Anna Monaco, Mara Pagliaro 5C e D – docenti: Anna Olano, Roberta Popeo, Giovanna Conte, Maria Vellinati 54° Circolo Didattico ‘Scherillo’ – Napoli 5A – docenti: Laura Lanzetta, Anna Maria Russo Scuola Media Statale ‘Diano’ – Pozzuoli 2O – docenti: Margherita Buono, Giuditta Iemma, Roberta Monteleone, Giovanna Spinosa, Fabrizia Franchini IID – docenti: Laura Botticella, Anna Mellino, Daniela De Martino Ospiti Scuola Media Statale ‘U. Pellis’ – Fiumicello (UD) dell’Istituto Comprensivo Don L. Milani di Aquileia (UD) gruppo interclasse 1A–2A-2B-2C-3A-3B – docente: Michela Vanni 100 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

I partecipanti nel 2016-2017

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7 Istituti Scolastici – 32 classi – 29 spettacoli – 76 docenti – 650 studenti Istituto Comprensivo 73 ‘Michelangelo Ilioneo’ – Napoli (plesso ‘Madonna Assunta’) Dirigente Scolastico: Chiara Esposito scuola primaria I A – docenti: Annamaria Fenderico, Margherita Pinto scuola primaria I B – docenti: Stefania Berti, Rosanna Mattia scuola primaria I C – docenti: Adriana Russo, Gianluca Derrico, Rosita D’Isanto scuola primaria I D – docenti: Nicola D’Ambrosio, Enza Lamberti, Sara Varriale, Rosa Lucignano scuola primaria II A – docenti: M. Rosaria Devoto, Silvia Sambucci, Rosa Lucignano scuola primaria II B – docenti: Anita Perillo, Luisa Paone, Anna Imperio scuola primaria II C – docenti: Roberta Battimiello, Vincenza Innocente, Daniela Iennaco scuola primaria II D – docenti: Raffaella Russo, Ausilia Esse, Luisa Cavallaro scuola primaria IV A – docenti: Orietta Cattaneo, Lucia Abbate scuola primaria IV B – docenti: Ornella Troncone, Olga Mautone, Gabriella Ardivelo, Oriana Tarantino scuola primaria IV D – docenti: Maria Gabriella Lanzetta, Maria Rosaria Fogliano, Gabriella Scarpa scuola primaria IV E – docenti: Marina Pescarolo, Maria Gabriella Pennino, Ilaria Ardivelo Istituto Comprensivo 72 ‘Palasciano’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Maria Luisa Salvia scuola primaria II A – docenti: Alessandra Di Somma, Immacolata Cipolletta, Rosalba Panico scuola primaria II C – docenti: Tiziana Martinelli, Daniela Sciarra, Antonella Chiariello scuola primaria II D – docenti: Maria Paola Vozzella scuola primaria III A E – docenti: Anna D’Angelo, Bernardo Fabiani scuola secondaria di primo grado I C – docenti: Chiara De Martino, Carmela Filo

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63 Circolo Didattico ‘Andrea Doria’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Rossella Tenore scuola primaria III A – docenti: Paola Cinque, Giuliana Gaeta, Rosanna Galano, Rosaria Perrone scuola primaria III B – docenti: Assunta Grassini, Maria Cocozza, Giusj D’Ambrosio scuola primaria II D – docente: Annamaria Angiuoni scuola primaria II A – docenti: Valeria Abbate, Antonella Cammardella, Cristina De Luca scuola primaria II B – docenti: Maria Norcia, Roberta Vannini

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54 Circolo Didattico ‘Scherillo’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Gheta Maria Valentino scuola primaria I C D – docenti: Laura Lanzetta, Pasqualina Taddia Istituto Comprensivo 91 ‘Minniti’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Rosanna Stornaiuolo scuola primaria III C – docenti: Stefania Miale, Giuseppina Errico scuola primaria III A B – docenti: Ornella Cotronei, Gianluca Valentino, Daniela Arato, Beatrice Rosato Istituto Comprensivo ‘Ferdinando Russo’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Gaetano Raiola scuola primaria V B – docente: Giuseppina Terracciano scuola primaria V A – docente: Giovanna Lauro Istituto Comprensivo 3 ‘Rodari Annecchino’ – Pozzuoli – Dirigente Scolastico: Stefania Manuela Putzu scuola secondaria di primo grado I D – docenti: Barbara Manfellotto, Loretta Castiglia, Giovanni Cianci scuola secondaria di primo grado II F – docenti: Maria Quintieri, Anna Monaco, Giovanni Cianci

I partecipanti nel 2017-2018 9 Istituti Scolastici – 41 spettacoli – 55 classi – 139 docenti – 1.145 studenti 63° Circolo Didattico ‘Andrea Doria’ – Napoli – Dirigente Scolastico reggente: Armando Sangiorgio 102 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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3 A scuola primaria - docenti Antonella Cammardella, Valeri Abbate, Cristina de Luca 3 B scuola primaria - docenti Maria Norcia, Roberta Vannini, Adelina D’Oriano 3 D scuola primaria – docente Annamaria Angiuoni 4 A scuola primaria – docenti Paola Cinque, Giuliana Gaeta, Mariarosaria Perrone Istituto Comprensivo 78 ‘Cariteo Italico’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Maria Minopoli 4 A scuola primaria – docenti Matilde De Falco, Laura Pulcino, Antonella Lucivero 4 B scuola primaria – docenti Teresa Villacci, Cinzia Vilardi 4 C scuola primaria – docente Carolina Russo Istituto Comprensivo ‘Madonna Assunta’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Rosa Cassese 1 A/B/C/D scuola primaria – docenti 1 A Patrizia Salluzzo, Luisa Capomazza, Giuseppina Sica; 1 B Silvana D’Oriano, Angela Palumbo, Florinda Barone, Anna Esposito; 1 C Lucia Arena, Maria Coppola, Monica Varriale; 1 D Marina Ascione, Giuliana Carfagna, Paola Paliferi 2 A/B/C/D scuola primaria – docenti 2 A Annamaria Fenderico, Margherita Pinto, Rosa Lucignano; 2 B Rosanna Mattia, Stefania Berti; 2 C Adriana Russo, Gianluca D’Errico, Rosa D’Isanto; 2 D Nicola D’ambrosio, Enza Lamberti 3 A/C scuola primaria – docenti M. Rosaria Devoto, Silvia Sambucci, Rosa Lucignano, Assunta Orfeo, Roberta Battimiello, Daniela Iennaco, Giuseppe Riccio 3 B scuola primaria – docenti Anita Perillo, Luisa Paone, Anna Imperio, Giuseppe Riccio, Renata Scala, Monica Varriale 3 D scuola primaria – docenti Ausilia Esse, Raffaella Russo, Giuseppina Sfarzo 4 A scuola primaria – docenti Mirella Amoroso, Assunta Calabritto, Antonietta De Vito, Giuseppina Sfarzo 4 B scuola primaria - docenti Concetta Costantino, Antonio Iaboni, Margherita Iovine, Marianna Lasorella, Lucia Munciguerra 4 C scuola primaria - docenti Daniela Ciafrone, Marina Farina, Olga Comparone, Antonietta de Vito, Imma Tammaro 5 A – docenti Lucia Abbate, Orietta Cattaneo, Anna Paliferi 103 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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5 B scuola primaria – docenti Olga Mautone, Ornella Troncone, Serena Sorrentino 5 C scuola primaria - docenti Daniela Grasso, Giuditta Astronomo, Luisa Fragiello, A. Esposito 5 D scuola primaria - docenti Maria Rosaria Fogliano, Maria Gabriella Lanzetta, G. Scarpa 5 E scuola primaria - docenti Marina Pescarolo, Maria Gabriella Pennino, Paola de Tullio 1 A secondaria di primo grado – docenti Antonella Ascione, Fiorella Angelillo, Simona Rossi 1B secondaria di primo grado – docenti Antonella Ascione, Fiorella Angellillo, Simona Rossi Istituto Comprensivo 3 ‘Rodari Annecchino’ – Pozzuoli – Dirigente Scolastico: Stefania Manuela Putzu 2 C/F primaria plesso Rodari – docenti Emanuela Reale, Silvana Pugliese, Mariangela Conte, Mariella Tafuto, Caterina Bruno 2 D/E primaria plesso ‘Rodari’ – docenti Immacolata Orabona, Luisa Attore, Amalia Guardascione, Candida Martino, Concetta Maddaluno, Vollero Rosa, Patrizia Trematerra 5 A/B primaria plesso I. Svevo – docenti Carolina Carofano, Assunta Lombardi, Angela Mirabella, Enza Morra, Silvana Stellato 1 D secondaria di primo grado – docenti Lucia Alfante, Gianni Cianci, Loretta Castiglia, Barbara Manfellotto 2 C secondaria di primo grado – docenti Annalisa Milella, Rosy Sicilia, Annunziata Giamminelli, Piera Porzio 3 F secondaria primo grado – docenti Maria Quintieri, Anna Monaco, Gianni Cianci Istituto Comprensivo 91 ‘Minniti’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Rosanna Stornaiuolo 1 B scuola primaria Plesso ‘Zanfagna’ – docenti Adele Capuano, Ileana Ruggiero, Pina Errico 2 A/B scuola primaria plesso ‘Zanfagna’ – docenti Maria Dell’Annunziata, Maria Tiseo, Adelaide Musella Istituto Comprensivo ‘Ferdinando Russo’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Antonella Portarapillo 5 A/C scuola primaria – docenti Luisa Accietto, Wanda Persico, Antonel104 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la Ranieri, Annamaria Smarrazzo, Teresa Viglietto 5 B scuola primaria – docenti Maria Antonietta Tamburrino, Valeria de Martino  1 E secondaria di primo grado – docenti Tiziana Ferrara, Clara Pittore Istituto Comprensivo 72 ‘Ferdinando Palasciano’ – Napoli – Dirigente Scolastico: Maria Luisa Salvia 4 A/E scuola primaria – docenti Anna D’Angelo, Bernardo Fabiani 1 A/B secondaria di primo grado – docenti Ciro Di Lauro, Patrizia Argo, Maria Ceruolo, Carmela Filo, Angelo Mannini 2 A secondaria di primo grado – docente Giuseppina Minieri 2 B secondaria di primo grado – docente Monica Siviero 2 C secondaria di primo grado – docente Chiara De Martino Istituto Comprensivo 4 ‘Pergolesi’ – Pozzuoli (Arcofelice) – Dirigente Scolastico: Francesca Coletta 1 F secondaria di primo grado – docenti Diana Guerrini, Michela Speranza, Elisa Fusco Scuola Media Statale I grado ‘Giacinto Diano’ – Pozzuoli – Dirigente Scolastico: Valeria Del Vasto 1 I secondaria di primo grado – docenti Margherita Buono, Maria Teresa Conte, Maria Luisa Di Guida, Loredana Dell’Isola, Anna De Matteis, Ermelinda Massa, Laura Novelli, Silvana Sellitto 2Q secondaria di primo grado – docenti Margherita Buono, Maria Francesca Daniele, Angela Di Bonito, Laura Novelli, Angela Sepe

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Teatro Scuola Vedere Fare

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Napoli ottobre 2014 – maggio 2015 Prima edizione

Vedere, fare ed esplorare il teatro delle nuove generazioni. Un percorso di crescita sociale e culturale che promuove strumenti interpretativi ed espressivi. Un’opportunità per innovare la didattica e consentire di leggere e raccontare la realtà con occhi nuovi. Le rassegne di teatro della scuola rappresentano un significativo momento nel panorama della cultura pedagogica italiana. Il fare teatro nella scuola ha radici molto antiche, ma a partire dalla fine degli anni ‘80 del secolo scorso il fare teatro è diventato sempre più un movimento, inteso come grande forza popolare nella quale confluiscono due elementi determinanti della cultura (l’arte e l’educazione) e nella quale si riflettono le varie tendenze dell’essere e del fare scuola e teatro. Per comprendere come una rassegna si differenzia da una semplice vetrina di spettacoli – saggi scolastici è opportuno ricordare che: −− in rassegna si analizza, si considera e si riflette su ciò che si è visto insieme. Resta fondamentale il momento del confronto nel dopo spettacolo. Gli organizzatori (insegnanti, teatranti, operatori culturali) parlano con i docenti e gli operatori del percorso attuato e dello spettacolo proposto. Un incontro così ha bisogno di un suo spazio, di un suo tempo, di un suo luogo ed una rassegna di teatro scuola è fondamentale che vada incontro a questa esigenza. −− in rassegna si guardano gli altri spettacoli. Importante nella dinamica del confronto è guardare come altre realtà spesso di altre regioni affrontano tale disciplina. Solo attraverso un’attenta visione d’insieme si può giungere a una serie di considerazioni sul percorso (il laboratorio), sul prodotto (lo spettacolo) e quindi su tutto il processo (percorso + prodotto). 107 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Una realtà che, pur non trovando la sua dimensione all’interno dei circuiti ufficiali della cultura e dell’educazione, riveste una notevole importanza per la propensione ad essere una reale lente d’ingrandimento delle tendenze di pensiero dei giovani e dei loro educatori. Un’educazione al teatro e alla teatralità impone una visione pedagogica del fare anche attraverso un confronto diverso ovvero la visione degli spettacoli di teatro professionale che diventa, in maniera paradigmatica, la naturale e giusta sintesi/verifica di un percorso di crescita sociale e culturale. Gli spettacoli in cartellone infatti si inseriscono nel progetto come un momento fondamentale della riflessione e della proposta culturale, per completare il processo del fare e del vedere. Attivare un progetto di teatro della scuola e della comunità ci sembra l’occasione giusta per incrementare gli obiettivi artistici e pedagogici di cui noi e non solo noi, siamo protagonisti e responsabili. per AGITA per Le Nuvole Salvatore Guadagnuolo Morena Pauro TEATRO SCUOLA VEDERE FARE è rivolto a: 1 classe (o gruppo interclasse) per ogni istituto scolastico con sede nella Regione Campania di scuola primaria – scuola secondaria di primo grado – scuola secondaria di secondo grado. Saranno accolte fino ad un massimo di 10 scuole. la partecipazione prevede la preparazione, a scuola, di uno spettacolo teatrale inteso come conclusione di un percorso laboratoriale dove gli alunni siano protagonisti, coinvolti e motivati, in tutte le fasi del progetto > il testo utilizzato potrà essere ispirato o liberamente tratto da altre opere, si indica come tema non obbligatorio: l’impegno civile > lo spettacolo dovrà avere una durata minima di 30 minuti e massima di 40 minuti > dovrà essere realizzato su un palcoscenico dotato di quadratura nera e impianto luci fisse, senza l’ausilio di altra strumentazione tecnica > venerdì 24 ottobre 2014, Galilei 104, ore 16.00-19.00 presentazione (aperto a tutti gli insegnanti interessati – prenotazione obbligatoria a [email protected]) di TEATRO SCUOLA FARE E VEDERE

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Metodologie, prassi e poetiche del teatro educazione. Ass.ne culturale “Guarnieri”, gruppo “I Gianburrasca” – Lucca SE IL MARE POTESSE PARLARE – Conclusione di un percorso di teatro educazione con adolescenti – a cura di Miriam Jacopi La visione di un modello del fare teatro in ambito educativo semplifica il dibattito attivando un confronto con i docenti e gli operatori presenti. > giovedì 27 novembre 2014, Galilei 104, ore 15.00-19.00 Attivazione del percorso di formazione sul campo attraverso un progetto che coniuga il vedere, il fare e il riflettere sul teatro nelle diverse dinamiche relazionali. Rivolto agli insegnanti, il progetto accoglie le istanze della scuola e della comunità, per approcciarsi e far avvicinare al teatro le nuove generazioni: un tutoraggio permanente di un percorso teatrale progettato in comune ed elaborato nell’ottica della crescita culturale, sociale e civile. incontro con i docenti per sviluppare: temi ed elaborazioni ad hoc (l’accoglienza, l’ospitalità, l’incontro). metodologie (formazione sulla didattica del teatro della scuola e del teatro educazione). tempi (attivazione di laboratori teatrali da presentare all’evento finale) creare un collegamento con scuole sul tema della legalità e dell’impegno civile: creare un collegamento con i percorsi, gli obiettivi e le attività didattiche per integrare nel contesto educativo la cultura della legalità attraverso il linguaggio sempre attuale del teatro e con protagonisti sempre entusiasti come le nuove generazioni. > da novembre 2014 a aprile 2015 3 spettacoli teatrali, a scelta, nel cartellone del Galilei 104, il teatro di Le Nuvole, stabile d’innovazione per le nuove generazioni > da dicembre 2014 a maggio 2015 5 incontri (1 al mese) laboratoriali di minimo 2 ore cadauno presso la scuola (date e orari da concordare) contatti e monitoraggio delle scuole per rinforzare la tematica affrontata e preparare l’incontro di maggio. > maggio 2015 > 1 giorno (max. 4 ore) per provare (date e orari da concordare) e > disponibilità del teatro (solo per gli insegnanti) il giorno precedente la 109 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

data di spettacolo, dalle ore 16.30 alle ore 18.30, per scaricare e montare i materiali

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> dal 25 al 29 maggio 2015, 1 giorno (9.00-15.30) per la presentazione dello spettacolo (date e orari da concordare) Si tratta dell’evento finale del progetto dove si realizza l’incontro tra le 10 scuole o gruppi L’evento ha lo scopo principale di: presentare e raccontare il proprio percorso creare momenti di incontro e di scambio tra le scuole partecipanti. attivare momenti di confronto sul vedere teatro. attuare momenti strutturati di riflessione teorica. sviluppare incontri di scambio con mediatori teatrali delle diverse realtà curare il processo di formazione individuale tenendo conto insieme di competenze e vocazioni personali, ma anche di bisogni evidenziati nel corso dell’attività. Non è una vetrina di eventi, ma un momento fondamentale dove scuole ed esperienze extra scolastiche confluiscono sul terreno del teatro, scambiando visioni, confrontando pratiche, condividendo esperienze.

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Teatro Scuola Vedere Fare Napoli ottobre 2015 – maggio 2016 Seconda edizione

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TEATRO SCUOLA VEDERE FARE Napoli ottobre 2015 – maggio 2016 … E se vogliamo liberarci o perlomeno attenuare il malocchio assai concreto di chi ci vuole solo veloci consumatori dissennati (…) dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e, da adulti, proporre a figli o allievi di indossare a rovescio qualche abito mentale, sin dai primi anni”. Franco Lorenzoni in “I BAMBINI PENSANO GRANDE” Dopo il successo dell’edizione 2014/2015 TEATRO SCUOLA VEDERE FARE, il progetto ideato e condotto da Le Nuvole e AGITA, continua e si rinnova anche per il prossimo anno scolastico. In un processo di cambiamento, la scuola può essere l’elemento di avviamento, attraverso un percorso di educazione alle relazioni, attuabile anche con percorsi attivi di formazione. Il progetto Teatro Scuola Vedere Fare vuole interfacciarsi e dialogare con la scuola in maniera diretta e partecipativa, rispondendo all’esigenza del teatro che è quella del ‘fare’, del ‘vedere’ e del ‘rifletterci su’, abbiamo articolato un progetto che interseca diverse competenze trovando la chiave della buona riuscita nell’incontro, inteso come momento di dialogo e di recupero emotivo. Tante novità ma anche moltissime conferme, a partire dallo schema progettuale: incontri di formazione con i docenti, incontri di laboratorio in classe, spettacoli da vedere a teatro, una rassegna conclusiva di teatro scuola con un cartellone di spettacoli “fatti” dai ragazzi. per AGITA per Le Nuvole Salvatore Guadagnuolo Morena Pauro

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MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE – PROGRAMMA – CALENDARIO TEATRO SCUOLA VEDERE FARE è rivolto a: 1 classe (o gruppo interclasse) per ogni istituto scolastico con sede nella Regione Campania di: scuola primaria – scuola secondaria di primo grado – scuola secondaria di secondo grado. Saranno accolte fino ad un massimo di 15 classi/gruppi.

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> venerdì 9 ottobre 2015, teatro dei piccoli, ore 17.00-20.00 presentazione del progetto, metodologie, prassi e poetiche del teatro scuola e teatro educazione. Un’opportunità per innovare la didattica e consentire di leggere e raccontare la realtà con occhi nuovi. aperto a tutti, autorità, dirigenti, docenti, genitori, giornalisti, operatori teatrali e del sociale prenotazione obbligatoria a [email protected] > venerdì 30 ottobre 2015 scadenza termini di presentazione domande di partecipazione Alle scuole partecipanti, si chiede di far parte del progetto nella sua interezza e ampiezza (da ottobre a maggio), a partire dagli incontri con i docenti, per passare alla visione degli spettacoli teatrali e alla preparazione, a scuola, di uno spettacolo teatrale inteso come conclusione di un percorso di laboratorio, dove gli alunni siano protagonisti, coinvolti e motivati, in tutte le fasi del progetto. Ai docenti delle scuole partecipanti, si chiede > partecipazione obbligatoria a tutti gli incontri del progetto (come da calendario ed a eventuali altri incontri che si renderanno necessari) > di inviare, entro il mese di gennaio 2016, tramite mail titolo dell’opera e relativa liberatoria SIAE 4/5 (orizzontali e verticali) foto in buona risoluzione, che rappresentino il lavoro liberatoria (firmata dai genitori) per l’uso delle immagini dei minori scheda di massimo 40 righe con la trama, il percorso, le motivazioni, le scelte, ecc (da considerare, nella stesura della scheda, che sarà distribuita al pubblico che assisterà allo spettacolo)

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VEDERE > da novembre 2015 a aprile 2016 3 spettacoli teatrali, a scelta, nel cartellone 2015_2016 del teatro Le Nuvole, stabile d’innovazione per le nuove generazioni prenotazione obbligatoria da effettuarsi entro novembre 2015, titoli da concordare con la direzione del teatro FARE > mercoledì 11 e venerdì 27 novembre 2015, teatro dei piccoli, ore 17.00-20.00 incontri con i docenti delle classi partecipanti e attivazione del percorso di formazione. Vedere, fare e riflettere sul teatro nelle diverse dinamiche relazionali. Accogliere le istanze della scuola e della comunità, per approcciarsi e far avvicinare al teatro le nuove generazioni, per un percorso teatrale progettato in comune ed elaborato nell’ottica della crescita culturale, sociale e civile. creare un collegamento tra il progetto e i percorsi, gli obiettivi e le attività didattiche integrare nel contesto educativo il teatro dei/con/per gli studenti temi, termini, fini e modalità metodologie sulla didattica del teatro della scuola e del teatro educazione attivazione del percorso annuale con i laboratori teatrali in classe partecipazione obbligatoria, l’assenza comporterà l’esclusione dal progetto > da dicembre 2015 a maggio 2016 5 incontri (1 al mese) a scuola, di 2 ore cadauno contatti e monitoraggio delle classi per rinforzare la tematica affrontata e preparare l’incontro di maggio date e orari da concordare con ogni singolo docente > maggio 2016 > 1 incontro, in orario pomeridiano, in data da definire, a teatro Strumenti di lettura per comprendere il valore straordinario del percorso che ha portato i ragazzi alla comunicazione finale. Presentazione dell’imminente rassegna di teatro della scuola, Il vedere, fare ed esplorare il teatro, da parte delle nuove generazioni, come percorso di crescita sociale e culturale che promuove strumenti interpretativi ed espressivi. aperto a tutti, autorità, dirigenti, docenti, genitori, operatori teatrali e del 113 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

sociale – prenotazione obbligatoria a [email protected]. In particolare l’incontro è aperto ai genitori dei ragazzi partecipanti. Per i docenti partecipanti al progetto la partecipazione è obbligatoria > prove dal 16 al 20 maggio per ogni classe, 1 incontro di max. 3 ore, a teatro, tra mattina e pomeriggio date e orari da concordare con le singole classi

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> comunicazione finale dal 23 al 27 maggio per ogni classe, 1 incontro (9.00 – 15.30) Evento finale del progetto dove si realizza l’incontro tra le scuole coinvolte, con lo scopo di presentare e raccontare il proprio percorso creare momenti di incontro e di scambio tra le scuole partecipanti attivare momenti di confronto sul vedere teatro attuare momenti strutturati di riflessione teorica sviluppare incontri di scambio con mediatori teatrali delle diverse realtà curare il processo di formazione individuale, tenendo conto insieme di competenze e vocazioni personali, ma anche di bisogni evidenziati nel corso dell’attività. Non è una vetrina di eventi, ma un momento fondamentale dove l’esperienza scolastica confluisce sul terreno del teatro, scambiando visioni, confrontando pratiche, condividendo esperienze. Programma delle giornate: ore 9.00 arrivo delle classi e preparazione allo spettacolo ore 10.00 apertura del teatro al pubblico, a seguire inizio spettacoli (da 2 a 3, ogni mattina, senza intervallo) ore 12.00 termine attività e incontro, in giardino, con il pubblico ore 12.30 pausa merenda ore 13.30/15.30 salotto/laboratorio teatrale Lo spettacolo è inteso in questi termini > il testo utilizzato potrà essere ispirato o liberamente tratto da altre opere > dovrà avere una durata minima di 20 minuti e massima di 40 minuti > dovrà essere “in scena” entro 5/10 minuti dall’ingresso, della classe, sul palcoscenico > dovrà essere adatto ad un palcoscenico di m 8 x 8, dotato di fondale e quinte nere; con illuminazione fissa dello spazio scenico e impianto 114 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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audio standard, (impianti audio e luci uguali per tutte le scuole, non saranno possibili puntamenti o cambiamenti di nessun genere), senza l’ausilio di altra strumentazione tecnica > dovrà essere completamente autonomo per oggetti, scene, costumi e tutto quanto occorre allo spettacolo > dovrà essere completamente autonomo rispetto a tutto il personale funzionale allo spettacolo, un docente (formato dal nostro tecnico) si occuperà delle operazioni di start e stop musiche. Il biglietto d’ingresso è di € 3 cadauno (ingresso omaggio per le classi del progetto) Le classi partecipanti: nella giornata dedicata al loro lavoro, dovranno essere autonomi per tutto l’occorrente la colazione al sacco. oltre alla giornata dedicata al loro lavoro, dovranno partecipare – gratuitamente e previa prenotazione – ad almeno un’altra mattina di spettacoli. > fine maggio/giugno 2016 1 incontro, in data da definire, a teatro, in orario pomeridiano Restituzione finale del percorso. Al termine degli eventi del maggio, un incontro necessario per definire il lavoro svolto e confrontarsi sulle metodologie affrontate. solo per i docenti partecipanti al progetto, partecipazione obbligatoria INCONTRI CON I DOCENTI Per la sezione VEDERE DIDATTICA DELLA VISIONE a cura di Giorgio Testa, casa dello spettatore/Roma Napoli teatro dei Piccoli NON SONO STATO IO in scena martedì 12/01 ore 10.00, età consigliata 8-14 anni incontro di preparazione venerdì 8/01 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione martedì 12/01 ore 16.30/19.00 STORIA DI UN UOMO E LA SUA OMBRA in scena lunedì 1/02 ore 10.00, età consigliata 6-10 anni incontro di preparazione martedì 26/01 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione lunedì 1/02 ore 16.30/19.00

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LA BAMBINA LIBRATA in scena martedì 15/03 ore 10.00, età consigliata 8-14 anni incontro di preparazione martedì 8/03 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione martedì 15/03 ore 16.30/19.00 IL TENACE SOLDATINO DI PIOMBO in scena lunedì 11/04 ore 10.00, età consigliata 6-10 anni incontro di preparazione martedì 5/04 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione lunedì 11/04 ore 16.30/19.00

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Salerno teatro Ghirelli NON SONO STATO IO in scena mercoledì 13/01 ore 10.00, età consigliata 8-14 anni incontro di preparazione lunedì 11/01 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione mercoledì 13/01 ore 16.30/19.00 STORIA DI UN UOMO E LA SUA OMBRA in scena venerdì 29/01 ore 10.00, età consigliata 6-10 anni incontro di preparazione lunedì 25/01 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione venerdì 29/01 ore 16.30/19.00 LA BAMBINA LIBRATA in scena mercoledì 16/03 ore 10.00, età consigliata 9-14 anni incontro di preparazione lunedì 7/03 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione mercoledì 16/03 ore 16.30/19.00 IL TENACE SOLDATINO DI PIOMBO in scena venerdì 8/04 ore 10.00, età consigliata 6-10 anni incontro di preparazione lunedì 4/04 ore 16.30/19.00 – incontro dopo la visione venerdì 8/04 ore 16.30/19.00 Per la sezione VEDERE del progetto TEATRO SCUOLA VEDERE FARE, un ciclo di incontri di approfondimento – 1 prima e 1 dopo ciascun spettacolo – dedicati agli insegnanti che sceglieranno uno o più spettacoli per le loro classi. Per didattica della visione s’intende quell’insieme di procedimenti e tecniche finalizzate alla formazione dello spettatore teatrale, cioè di colui che sa vedere quel particolare oggetto d’arte, nato per essere visto, che è lo spettacolo teatrale. 116 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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La proposta prevede, per ciascun titolo: un incontro, precedente la visione, di presentazione del lavoro teatrale e del relativo progetto didattico con materiali e condizioni d’uso. un incontro post visione, il pomeriggio dello stesso giorno di spettacolo, per un momento di approfondimento su quanto visto, provato, sperimentato. È il momento finale che chiude l’episodio “siamo andati a teatro”, ed è fondamentale per il pubblico perché può costituire una forte spinta a continuare l’esplorazione sia allargando le proprie conoscenze sull’arte del teatro, sui testi, sulle regie, sui generi; sia a frequentare ancora il teatro riuscendo persino a superare la delusione di uno spettacolo non gradito. Il ”dopo” consolida l’esperienza fatta, aggiungendola al bagaglio culturale dello spettatore. È possibile scegliere anche solo 1 titolo dei 4. Al momento della prenotazione dello spettacolo, prenotare anche i 2 incontri di formazione abbinati. SEMINARIO DIDATTICA DELLA VISIONE a cura di Giorgio Testa, Casa dello spettatore/Roma Teatro dei Piccoli, Mostra d’oltremare, Napoli Giovedì 5 e venerdì 6 maggio 2016, ore 16.30 – 20.30 (totale 8 ore) Seminario rivolto allo spettatore: docenti, animatori, operatori culturali L’esigenza, sempre più sentita, di accompagnare il fruitore di un’arte verso una maggiore consapevolezza – dunque una più elevata capacità di godimento e, nello stesso tempo, di attenzione critica – nella sua posizione di lettore, di ascoltatore, di osservatore, o di spettatore nel caso specifico del teatro, ha portato all’ideazione, alla sperimentazione e al consolidamento di pratiche formative rivolte in maniera mirata a pubblici diversi come, ad esempio, quello dei bambini, dei giovani in genere, frequentatori regolari o occasionali dei teatri. La questione dell’accompagnamento a teatro, è qui considerata dal punto di vista del docente che sceglie lo spettacolo per i propri studenti, bambini piccoli o preadolescenti, con un particolare focus sulla preparazione ma anche occasione per curare il comportamento dello spettatore a cominciare dall’accesso alla sala e sino alla fruizione completa dello spettacolo. Ai docenti di TEATRO SCUOLA VEDERE FARE, si propone, a integrazione del percorso laboratoriale: LO STRUMENTO VOCE di Fabio Cocifoglia teatro dei piccoli (Mostra d’oltremare, Napoli), lunedì 12, mercoledì 14, lunedì 19, mercoledì 21, lunedì 26, mercoledì 28 di ottobre 2015, ore 17.00 (durata di ogni incontro, 3 ore) 117 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

I partecipanti dovranno indossare abiti comodi per il movimento (possibili sedute a terra) ed essere dotati di penna e quaderno per gli appunti. Come è possibile mantenere il filo del discorso senza ridurre la voce ad un filo? Possono finalità didattiche ed esigenze narrative andare di pari passo? Il corso, a carattere assolutamente pratico, si propone di recuperare le attitudini e le capacità narrative di ognuno. Gli obiettivi possono essere raggiunti lavorando sulla voce con consolidate tecniche della “messa in suono”.

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UN GIORNO IN BOTTEGA visita con spettacolo Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli sabato 17 ottobre 2015, ore 17.00 (durata 2 ore circa) I partecipanti dovranno indossare abiti comodi per possibili sedute a terra il teatro lascia la sua sede “ufficiale” e si trasferisce in un prestigioso sito storico. Il teatro, che coglie l’emozione, integrato con la didattica museale, come strumento per avvicinare i ragazzi all’arte, per un’esperienza emozionante che coniuga varie forme d’arte, per una fruizione ‘a tutto tondo’. SULLE TRACCE DELL’ORO Parco Archeologico di Paestum (Salerno) venerdì 30 ottobre 2015, ore 11.00 (durata 2 ore circa) I partecipanti dovranno indossare calzature comode per percorso disagevole Raccontare, con un gioco, la storia antica ai ragazzi. Muniti di una mappa del Parco Archeologico di Paestum, sarà necessario risolvere degli indovinelli per scoprire i tesori della città. ATTRAVERSO LA LETTERATURA Museo e Parco Archeologico di Paestum (Salerno) sabato 31 ottobre 2015, ore 11.00 (durata 2 ore e 30 circa) I partecipanti dovranno indossare calzature comode per percorso disagevole Una visita partecipata, un percorso in cui archeologia, storia, arte e letteratura si fondono per dar luogo ad una visita che si arricchirà con la lettura di brani letterari e permetterà di ‘scambiarsi’ gli sguardi partecipando attivamente, non solo da spettatori ma da protagonisti di una nuova esperienza di fruizione. 118 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ELEMENTARY, WATSON! Teatro dei Piccoli, Mostra d’oltremare, Napoli lunedì 9 novembre 2015, ore 17.00 (durata 2 ore circa) Uno spettacolo interattivo, in lingua inglese, è un ottimo strumento, per l’apprendimento della lingua straniera. Intriso di sense of humour britannico e ispirato a elementi di “Le Avventure di Sherlock Holmes” e “Il Taccuino di Sherlock Holmes” di Sir Arthur Conan Doyle, il coinvolgimento del pubblico è sorprendentemente facile. Non solo uno spettacolo in lingua, ma un’esperienza che sintetizza, con efficacia, l’avventura di entrare in una lingua.

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Teatro Scuola Vedere Fare Napoli ottobre 2016 – giugno 2017 Terza edizione

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TEATRO SCUOLA VEDERE FARE Napoli | ottobre 2016/maggio 2017 progetto per le classi di scuola primaria e secondaria

a Scuola e al Teatro Dei Piccoli – Napoli un progetto Le Nuvole/Morena Pauro, Agita/Salvatore Guadagnuolo/Agita e Casa dello Spettatore/Giorgio Testa

Teatro Scuola Vedere Fare vuole interfacciarsi e dialogare con la scuola in maniera diretta e partecipativa, attraverso un percorso di educazione alle relazioni. Rispondendo all’esigenza del teatro che è quella del ‘fare’, del ‘vedere’ e del ‘rifletterci su’, abbiamo articolato un progetto che interseca diverse competenze trovando la chiave della buona riuscita nel momento dell’incontro, inteso come occasione di dialogo e di recupero emotivo. Il ‘fare teatro nella scuola’ riveste una notevole importanza per la propensione ad essere una reale lente d’ingrandimento delle tendenze di pensiero dei giovani e dei loro educatori. Un’educazione al teatro e alla teatralità impone una visione pedagogica del ‘fare’ anche attraverso la visione degli spettacoli di teatro professionale che diventa la naturale e giusta sintesi/verifica di un percorso di crescita sociale e culturale. Gli spettacoli che abbiamo inserito nel cartellone 2016/2017 si inseriscono nel progetto come un momento fondamentale della riflessione e della proposta culturale, per completare il processo del fare e del vedere. Crediamo, infine, che TEATRO SCUOLA VEDERE FARE potrà avere successo solo se gli Istituti Scolastici sceglieranno di condividere il 121 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

progetto nella sua interezza e ampiezza collaborando affinché le classi di studenti (e i docenti) possano con serenità accogliere, all’interno del normale percorso didattico, la nuova materia “teatro”. Chiediamo, quindi, anche ai docenti di partecipare con disponibilità e generosità, portando all’interno del percorso la propria sensibilità e professionalità, elementi indispensabili per la buona riuscita di un progetto di teatro della scuola e della comunità. Le Nuvole

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sezione VEDERE/DdV (Didattica della Visione) Per DdV s’intende quell’insieme di procedimenti e tecniche finalizzate alla formazione dello spettatore teatrale, cioè di colui che sa vedere quel particolare oggetto d’arte, nato per essere visto, che è lo spettacolo teatrale. L’esigenza, sempre più sentita, di accompagnare il fruitore di un’arte verso una maggiore consapevolezza – dunque una più elevata capacità di godimento e di attenzione critica – nella sua posizione di lettore, di ascoltatore o di spettatore nel caso specifico del teatro, ha portato alla sperimentazione e al consolidamento di pratiche formative rivolte in maniera mirata a pubblici diversi. La questione dell’accompagnamento a teatro è qui considerata dal punto di vista del docente, che sceglie lo spettacolo per i propri studenti, con un particolare focus sulla preparazione, ma anche sul comportamento dello spettatore, dall’accesso alla sala, fino alla fruizione completa dello spettacolo. sezione FARE. Prevede la realizzazione di uno spettacolo preparato in classe, dai docenti, che saranno affiancati dagli operatori teatrali di AGITA, con una serie di incontri a scuola (con la classe) e a teatro (con i docenti che poi porteranno il lavoro in classe). Lo spettacolo, o, meglio, l’esito finale del laboratorio, sarà il momento conclusivo di un ampio e articolato percorso laboratoriale che ha come fine la creazione (o il rafforzamento) di un gruppo classe forte e coeso. L’intento è coinvolgere TUTTI in un lavoro sinergico, dove sentirsi protagonisti, coinvolti e motivati in tutte le fasi del processo, a partire dalla stesura del testo fino alla messa in scena sul palcoscenico. In scena, volutamente, pochi elementi teatrali, per lasciare tutto lo spazio e la nostra attenzione ai ragazzi, ai loro pensieri e alle loro parole, unici protagonisti al centro del progetto. Lo spettacolo dovrà essere realizzato secondo questi termini 122 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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> il testo utilizzato potrà essere ispirato o liberamente tratto da altre opere ma il risultato dovrà essere un’opera originale > dovrà avere una durata minima di 20 minuti e massima di 30 minuti > dovrà essere “in scena” entro 5/10 minuti dall’ingresso, della classe, sul palcoscenico > dovrà essere adatto ad un palcoscenico di m 8 x 8, dotato di fondale e quinte nere; con illuminazione fissa dello spazio e impianto audio standard, (impianti audio e luci uguali per tutte le scuole) senza l’ausilio di altra strumentazione tecnica > dovrà essere completamente autonomo per oggetti, scene, costumi e tutto quanto occorre allo spettacolo > dovrà essere completamente autonomo rispetto a tutto il personale funzionale allo spettacolo, un docente (formato dal nostro tecnico) si occuperà delle operazioni di start e stop musiche. > qualora i docenti lo ritengano opportuno, gli incontri PRE/POST spettacolo sono aperti anche ai genitori degli alunni (prenotazione a cura dei docenti) > gli spettacoli IL GIARDINO DIPINTO e AHIA! saranno presentati anche nei festivi, i docenti e i genitori della classe, interessati a DdV, possono prenotare gli incontri (gratuiti per tutti) come da calendario e visionare lo spettacolo nella data festiva (ingresso ridotto per i genitori prenotati). La prenotazione sarà, per tutti, a cura dei docenti. > per ESPLORAZIONI/Bari, sarà richiesto ai partecipanti un contributo a parziale rimborso spese. Tutti gli incontri con i docenti del progetto sono attività riconosciute come formazione per il personale della scuola (ex direttiva ministeriale MIUR 90/2003). È previsto l’esonero dal servizio | Partecipazione gratuita | Sarà rilasciato (a fine anno) relativo attestato di partecipazione, cumulativo di tutte le presenze. Le Nuvole è un ente di formazione per il personale della scuola riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ex direttiva ministeriale MIUR 90/2003. È previsto l’esonero dall’obbligo del servizio, in base alle comunicazioni del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca – dipartimento per l’istruzione – DG personale scolastico.

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CRONOPROGRAMMA

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> lunedì 10 ottobre ore 16.30/19.30. A teatro. DIDATTICA DELLA VISIONE. SEMINARIO DI APERTURA L’incontro è tra i protagonisti del mondo dell’educazione – dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, operatori teatrali e del territorio – che a partire dalla considerazione che la visione di uno spettacolo teatrale debba essere il centro di un percorso che mobiliti conoscenze, domande ed emozioni e dalla consapevolezza che “imparare a vedere” è il risultato di un processo, si propongono – a partire dai titoli del cartellone teatrale Le Nuvole 16/17 – pratiche e strumenti didattici per la formazione del docente che vorrà inserire la visione di uno o più spettacoli nel proprio programma scolastico. La partecipazione all’incontro non è vincolante ai fini dell’iscrizione al progetto. > venerdì 21 ottobre. scadenza termini di presentazione domande di partecipazione Inviare il modulo (richiedere il modello ai ns uffici) a [email protected] e allegare elenco alunni e docenti impegnati > mercoledì 26 ottobre ore 17.00/20.00. A teatro. FARE TEATRO A SCUOLA. Solo per docenti, i DS e i genitori delle classi del progetto. Apriamo la serie di incontri, del percorso di formazione, con un incontro allargato per una maggiore condivisione della progettualità. Per i docenti la partecipazione è obbligatoria, l’assenza comporterà l’esclusione dal progetto > entro fine ottobre. prenotare 3 spettacoli teatrali a teatro, a scelta, nel cartellone 2016_2017 Le Nuvole, di cui almeno 1 abbinato al percorso DIDATTICA DELLA VISIONE/ INCONTRI PRE / POST spettacolo: incontri di approfondimento – 1 prima e 1 dopo ciascun spettacolo. L’attività prevede il coinvolgimento degli insegnanti in una ricerca aperta e condivisa intorno a quel “prima” di attese, curiosità, conoscenze e ipotesi che accompagnano lo spettatore nel tempo che precede lo spettacolo, e a quel “dopo” di reazioni e rielaborazioni. Ogni incontro è sostenuto da specifici materiali appositamente strutturati, in cui ritrovare di volta in volta spunti e tracce da percorrere.

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IL GIARDINO DIPINTO di tpo – età consigliata 4-9 anni spettacolo > domenica 13/11 ore 10 e 11 e lunedì 14 e martedì 15/11 ore 9.30 e 11.30 e 15.00 (numero limitato di spettatori) incontro pre – visione mercoledì 9 novembre ore 16.30/19.30 | incontro post – visione venerdì 18 novembre ore 16.30/19.30  CAINO E ABELE di Rodisio – età consigliata 10-16 anni spettacolo > martedì 17/01 ore 10 e 15 e mercoledì 18/01 ore 10.00 incontro pre – visione mercoledì 11 gennaio ore 16.30/19.30  | incontro post – visione venerdì 20 gennaio ore 16.30/19.30  PER LA STRADA di Eccentrici Dadarò – età consigliata 10-16 anni spettacolo > mercoledì 8 e giovedì 9/02 ore 9.30 e 11.30 incontro pre – visione venerdì 3 febbraio ore 16.30/19.30   | incontro post – visione lunedì 20 febbraio ore 16.30/19.30  AHIA! di Teatri di Bari – età consigliata 6-11 anni spettacolo > domenica 5/03 ore 10 e lunedì 6 marzo ore 9.30+11.30 incontro pre – visione mercoledì 1 marzo ore 16.30/19.30   | incontro post – visione mercoledì 8 marzo ore 16.30/19.30  IL PAESE SENZA PAROLE di Rossoteatro – età consigliata 7-12 anni spettacolo > giovedì 6 e venerdì 7/04 ore 9.30 e 11.30 incontro pre – visione venerdì 31 marzo ore 16.30/19.30   | incontro post – visione martedì 11 aprile ore 16.30/19.30  > novembre/maggio mercoledì 30/11, 14/12, 25/01, 22/02, 29/03, 12/04, 10/05, 17/05, 30/05, 31/05, ore 17.00/20.00. A teatro. FARE TEATRO A SCUOLA. Solo per i docenti delle classi del progetto. 10 incontri (3 h. cadauno) di laboratorio di formazione e accompagnamento al percorso FARE. Percorso di formazione – alla luce delle nuove direttive ministeriali (16 marzo 2016) che richiedono una progettualità del fare e vedere teatro nei piani di offerta formativa – che, accogliendo le istanze della scuola e della comunità, intende promuovere un percorso teatrale progettato in comune ed elaborato nell’ottica della crescita culturale, sociale e civile. In particolare ci occuperemo di: creare un collegamento tra il progetto e i percorsi, gli obiettivi e le attività didattiche | integrare nel contesto educativo il teatro dei/con/per gli studenti | discutere temi, termini, fini e modalità del progetto | approcciare metodologie sulla didattica del teatro della scuola e del teatro educazione | attivare il percorso annuale con i laboratori teatrali in classe Per i docenti la partecipazione è obbligatoria, l’assenza comporterà l’esclusione dal progetto

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> dicembre/aprile. In classe. LABORATORIO. Con gli studenti 5 incontri (1 al mese) a scuola, di 2 ore cadauno. Date e orari da concordare con ogni singola classe. Contatti e monitoraggio per rinforzare la tematica e affrontare le problematiche in preparazione dell’incontro di maggio

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> venerdì 24 febbraio. MATERIALE STAMPA. Termine ultimo per l’invio a [email protected] di titolo dello spettacolo | liberatoria SIAE firmata dal docente | 4/5 foto in buona risoluzione che rappresentino il lavoro | liberatoria (firmata dai genitori) per l’uso delle immagini foto e video dei minori (richiedere il modello ai ns uffici) | scheda di max 5 righe di presentazione dello spettacolo/del lavoro svolto e da una dedica (da considerare, nella stesura, che sarà distribuita al pubblico che assisterà allo spettacolo) Il mancato invio, nei termini, comporterà l’esclusione del proprio progetto dai materiali stampati > 26 aprile/8 maggio. A teatro. PROVE. Con gli studenti Prove del proprio spettacolo di fine laboratorio in teatro, che prevede per ogni classe l’utilizzo esclusivo della sala per 1 giornata per 3 ore (al mattino dalle 9.00 alle 12.00 o, in alternativa, al pomeriggio dalle 13.00 alle16.00). Date e orari da concordare con ogni singola classe. > 9 /24 maggio ore 8.30/15.30. A teatro. SPETTACOLO/COMUNICAZIONE FINALE. Con gli studenti Rassegna degli esiti finali dei laboratori. Evento finale del progetto dove si realizza l’incontro tra le scuole coinvolte, con lo scopo di presentare e raccontare il proprio percorso | creare momenti di incontro e di scambio tra le scuole partecipanti | attivare momenti di confronto sul vedere teatro | attuare momenti strutturati di riflessione teorica | sviluppare incontri di scambio con mediatori teatrali delle diverse realtà | curare il processo di formazione individuale, tenendo conto insieme di competenze e vocazioni personali, ma anche di bisogni evidenziati nel corso dell’attività. Non è una vetrina di eventi, ma un momento fondamentale dove l’esperienza scolastica confluisce sul terreno del teatro, scambiando visioni, confrontando pratiche, condividendo esperienze.

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Programma delle giornate: ore 8.30 arrivo delle classi e preparazione allo spettacolo | ore 10.00 apertura del teatro al pubblico, a seguire inizio spettacoli (da 2 a 3, ogni mattina, senza intervallo) | ore 12.00 circa, termine attività e incontro, in giardino, con il pubblico | ore 12.00/13.00 pausa merenda | ore 13.30/15.30 salotto/laboratorio teatrale Le classi partecipanti: nella giornata dedicata al loro lavoro, dovranno essere autonomi per tutto l’occorrente la colazione al sacco | oltre alla giornata dedicata al loro lavoro, dovranno partecipare – gratuitamente e previa prenotazione – ad almeno un’altra mattina di spettacoli. | tutti gli spettacoli saranno ripresi integralmente, da un operatore professionista, a scopo di documentazione > da giovedì 18 maggio ore 12.00 a domenica 21 maggio ore 21.00. A Bari. DIDATTICA DELLA VISIONE/ESPLORAZIONI alla 20a edizione del festival di teatro per le nuove generazioni MAGGIO ALL’INFANZIA, a cura di Teatri di Bari Un gruppo di insegnanti che insieme a operatori e artisti si interrogano sull’arte per le nuove generazioni. Un cammino guidato dentro al festival e dentro l’esperienza di essere spettatori, ma anche la possibilità di valorizzare e ravvivare la stretta relazione che c’è tra l’arte per le nuove generazioni e la scuola; saranno infatti gli insegnanti i principali destinatari di questa ricerca. Già dentro a un percorso avviato all’inizio della stagione teatrale, avranno a maggio l’occasione di incontrare operatori e artisti in un viaggio di esplorazione da compiere insieme, in cui ogni giorni accendere idee e riflessioni e realizzare un momento di analisi attiva e costruttiva. Sarà data priorità di partecipazione ai docenti dei progetti TSVF e DdV. > mercoledì 31 maggio ore 17.00/20.00. A teatro. TEATRO SCUOLA VEDERE FARE. INCONTRO DI CHIUSURA L’incontro è tra i protagonisti del mondo dell’educazione – dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, operatori teatrali e del territorio – che intendono confrontarsi su un’idea di teatro della scuola e su metodologie, poetiche e ricadute. Sarà anche il momento della testimonianza dei docenti di TSVF 2016/17 che presenteranno una breve comunicazione teatrale, a testimonianza del cammino, della strada percorsa insieme e quotidianamente, con “valigie da svuotare e da riempire perché alla fine del viaggio si è subito pronti per un’altra avventura.” Per i docenti del progetto, la partecipazione è obbligatoria 127 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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> lunedì 12 e martedì 13 giugno, ore 16.00/20.00. A teatro. DIDATTICA DELLA VISIONE. SEMINARIO DI CHIUSURA L’incontro è tra i protagonisti del mondo dell’educazione – dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, operatori teatrali e del territorio. Assistere a uno spettacolo teatrale è un’esperienza di gruppo, un ‘vedere insieme’ lo stesso spettacolo e contemporaneamente un’esperienza individuale in cui ogni spettatore ‘vede da solo’, con i suoi occhi, in un suo modo proprio. Ma che cosa realmente vediamo insieme e cosa vediamo soli? In che relazione sono le due esperienze di visione? Come accedere alla visione di un altro? A partire da queste domande si propone a un gruppo di spettatori un percorso di ricerca che avrà a riferimento l’esperienza condivisa di vedere uno spettacolo Per i docenti del progetto, la partecipazione è obbligatoria

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Teatro Scuola Vedere Fare Napoli ottobre 2017 – giugno 2018 Quarta edizione

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TEATRO SCUOLA VEDERE FARE Napoli | ottobre 2017/giugno 2018

progetto per le classi di scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado a Scuola e al Teatro Dei Piccoli – Napoli ID 4638 TEATRO SCUOLA VEDERE un progetto di FARE Morena Pauro Le Nuvole/Casa del Con- corso di aggiornamento temporaneo - per docenti di scuole di ogni ordine e Salvatore Guadagnuolo/Agita grado Giorgio Testa/Casa dello Spettatore

T il teatro rimarrà centrale nell’approccio non solo pratico ma soprattutto poetico: la necessità di ridefinire una dimensione dell’arte in ambito educativo è fondamentale affinché si possa continuare quel processo di rinnovamento che esige la società. S la scuola necessita di interlocutori sempre più partecipi dei meccanismi e dei bisogni. A scuola per imparare ma anche per partecipare, perché il teatro è come la libertà: partecipazione! V vedere il teatro, andare a teatro, avvicinare tutti (bambini, ragazzi e adulti) ad un’arte antica: avere la possibilità di comprendere quali meccanismi si innescano per poter continuare in altri luoghi la magia che quel che si è visto ha suscitato. F fare laboratorio: dove si attende a un lavoro. Una ricerca continua per scoprire attraverso una metodologia trasversale una didattica del confronto, una relazione autentica per poter crescere individui consapevoli. Teatro Scuola Vedere Fare (TSVF) è un progetto di condivisione, confronto e dialogo tra la scuola e il teatro che, d’intesa, mirano ad avvicinare le nuove generazioni ai linguaggi artistici ed espressivi come forma di conoscenza e di relazione con gli altri e il mondo.

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Il ‘fare teatro nella scuola’ riveste una notevole importanza per la propensione ad essere una reale lente d’ingrandimento delle tendenze di pensiero dei giovani e dei loro educatori. Un’educazione al teatro e alla teatralità impone una visione pedagogica del ‘fare’ anche attraverso la visione degli spettacoli di teatro professionale che diventa la naturale e giusta sintesi/verifica di un percorso di crescita sociale e culturale. Gli spettacoli del cartellone 2017/2018 si inseriscono nel progetto come un momento fondamentale della riflessione e della proposta culturale, per completare il processo del fare e del vedere.

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Il teatro integra l’esperienza scolastica con la propria modalità creativa, abbatte barriere territoriali, culturali e sociali e si posiziona accanto ai percorsi curriculari e di didattica. Rispondendo all’esigenza del teatro che è quella del ‘fare’, del ‘vedere’ e del ‘rifletterci su’, il progetto interseca diverse competenze, trovando la chiave della buona riuscita nel momento dell’incontro, inteso come occasione di dialogo e di recupero emotivo. TSVF è un progetto pedagogico inclusivo intorno al teatro, alla scuola, alle nuove generazioni, con l’obiettivo di scoprire nuovi modi di fare scuola e fare teatro, che assicuri a tutti il proprio spazio, ma che insegni anche a superare i limiti potenziali di ognuno, per una scuola e un teatro accessibili a tutti, per tutti, con tutti. Ma è anche il luogo dove la cultura di bambine/i, ragazze/i ha uno spazio dedicato nel quale costruire la “poetica delle nuove generazioni”. Morena Pauro /Le Nuvole – Casa del Contemporaneo il VEDERE – Didattica della Visione (DdV) a cura di Casa dello Spettatore Per DdV s’intende quell’insieme di procedimenti e tecniche finalizzate alla formazione dello spettatore teatrale, cioè di colui che sa vedere quel particolare oggetto d’arte, nato per essere visto, che è lo spettacolo teatrale. L’esigenza, sempre più sentita, di accompagnare il fruitore di un’arte verso una maggiore consapevolezza – dunque una più elevata capacità di godimento e di attenzione critica – nella sua posizione di lettore, di ascoltatore o di spettatore nel caso specifico del teatro, ha portato alla sperimentazione e al consolidamento di pratiche formative rivolte in maniera mirata a pubblici diversi. La questione dell’accompagnamento a teatro è qui considerata dal punto di vista del docente, che sceglie lo 130 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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spettacolo per i propri studenti, con un particolare focus sulla preparazione, ma anche sul comportamento dello spettatore, dall’accesso alla sala, fino alla fruizione completa dello spettacolo. Il progetto prevede che: > i docenti partecipino ai seminari di apertura e chiusura del progetto > la classe veda 3 spettacoli teatrali, a scelta, nel cartellone Young 2017/2018 al Teatro dei Piccoli > che almeno 1 dei 3 spettacoli scelti dovrà essere abbinato al percorso DdV > che entro lunedì 6 novembre dovrà essere inviato il modulo di prenotazione ai 3 spettacoli e ai relativi incontri di DdV: 2 incontri, 1 prima (pre) della visione e 1 successivo (post). Gli incontri coinvolgeranno gli insegnanti in una ricerca aperta e condivisa intorno a quel “prima” di attese, curiosità, conoscenze e ipotesi che accompagnano lo spettatore nel tempo che precede lo spettacolo, e a quel “dopo” di reazioni e rielaborazioni. Ogni incontro è sostenuto da specifici materiali appositamente strutturati, in cui ritrovare di volta in volta spunti e tracce da percorrere. A partire dalla considerazione che la visione di uno spettacolo teatrale debba essere il centro di un percorso che mobiliti conoscenze, domande ed emozioni e dalla consapevolezza che “imparare a vedere” è il risultato di un processo, si propongono- a partire dai titoli del cartellone teatrale Le Nuvole 17/18 – pratiche e strumenti didattici per la formazione del docente che vorrà inserire la visione di spettacoli teatrali nel proprio programma scolastico. LA REPUBBLICA DEI BAMBINI – età consigliata > scuola primaria spettacolo > lunedì 13 nov lunedì 6 novembre ore 16.30/20.30 incontro pre – visione lunedì 20 novembre ore 16.30/20.30 incontro post – visione BIANCANEVE, LA VERA STORIA – età consigliata > ultimi anni primaria, scuola secondaria spettacolo > giovedì 25 e venerdì 26 gennaio mercoledì 17 gennaio ore 16.30/20.30 incontro pre – visione lunedì 5 febbraio ore 16.30/20.30 incontro post – visione VASSILISSA E LA BABARACCA – età consigliata > scuola primaria spettacolo > 15 e 16 feb 131 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

venerdì 9 febbraio ore 16.30/20.30 incontro pre – visione mercoledì 21 febbraio ore 16.30/20.30 incontro post – visione L’ALBERO DI PEPE – età consigliata > scuola dell’infanzia e prime classi di primaria spettacolo > lunedì 16 e martedì 17 aprile martedì 10 aprile ore 16.30/20.30 incontro pre – visione venerdì 20 aprile ore 16.30/20.30 incontro post – visione

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SENZA PIUME – età consigliata > ultimo anno scuola primaria, scuola secondaria spettacolo > mercoledì 18 aprile mercoledì 11 aprile ore 16.30/20.30 incontro pre – visione lunedì 23 aprile ore 16.30/20.30 incontro post – visione Lunedì 12 e martedì 13 giugno ore 16.00/20.00 SEMINARIO DI CHIUSURA Assistere a uno spettacolo teatrale è un’esperienza di gruppo, un ‘vedere insieme’ lo stesso spettacolo e contemporaneamente un’esperienza individuale in cui ogni spettatore ‘vede da solo’, con i suoi occhi, in un suo modo proprio. Ma che cosa realmente vediamo insieme e cosa vediamo soli? In che relazione sono le due esperienze di visione? Come accedere alla visione di un altro? A partire da queste domande si propone a un gruppo di spettatori un percorso di ricerca che avrà a riferimento l’esperienza condivisa di vedere uno spettacolo il FARE Teatro in classe a cura di AGITA Il progetto prevede l’apertura di un laboratorio teatrale a scuola – gruppo classe o interclasse – curato dai docenti. Il lavoro dei docenti sarà costantemente seguito ed accompagnato dagli operatori teatrali AGITA con: > 5 incontri di laboratorio, in classe, con gli alunni e i docenti. Gli operatori teatrali andranno a scuola, tra novembre e aprile, in date e orari da concordare > 8 incontri con i docenti, al Teatro dei Piccoli, a partire da novembre e per concludersi a maggio Il progetto si concluderà con l’inserimento del lavoro teatrale nel cartellone “MAGGIO ALL’INFANZIA Napoli, rassegna di spettacoli fatti dai ragazzi”, che si terrà a maggio (in date e orari da concordare) al Teatro dei Piccoli. L’inserimento in rassegna prevede, per ogni classe: > 1 incontro, per prove dello spazio scenico, con gli alunni e i docenti 132 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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> 1 incontro, per lo spettacolo/comunicazione finale, con gli alunni e i docenti > la fornitura di impianti audio e luce necessari, per tutti e 2 gli incontri > la stampa di un opuscolo con tutti gli spettacoli/comunicazioni finali di tutte classi coinvolte Lo spettacolo/la comunicazione finale dovrà essere realizzato secondo questi termini: > il testo utilizzato potrà essere ispirato o liberamente tratto da altre opere ma il risultato dovrà essere un’opera originale > dovrà avere una durata massima di 30 minuti > dovrà essere “in scena” entro 5/10 minuti dall’ingresso, della classe, sul palcoscenico > dovrà essere adatto ad un palcoscenico di m 8 x 8, dotato di fondale e quinte nere; con illuminazione fissa dello spazio e impianto audio standard, (impianti audio e luci uguali per tutte le scuole) senza l’ausilio di altra strumentazione tecnica > dovrà essere completamente autonomo per oggetti, scene, costumi e tutto quanto occorre allo spettacolo > dovrà essere completamente autonomo rispetto a tutto il personale funzionale allo spettacolo, un docente (formato dal nostro tecnico) si occuperà delle operazioni di start e stop musiche. Le classi partecipanti dovranno: > essere autonome per tutto l’occorrente la colazione al sacco > partecipare – gratuitamente e previa prenotazione – ad almeno un’altra matinée o pomeridiana di spettacoli Tutti gli spettacoli saranno ripresi integralmente, da un operatore professionista, a scopo di documentazione. Per poter effettuare le riprese è indispensabile l’autorizzazione scritta di tutti i genitori della classe. Su richiesta è possibile acquistare il DVD integrale della matinée o pomeridiana. MAGGIO ALL’INFANZIA è l’esito finale del laboratorio, sarà il momento conclusivo del percorso fatto che ha avuto come fine la creazione (o il rafforzamento) di un gruppo classe forte e coeso. L’intento è coinvolgere TUTTI in un lavoro sinergico, dove sentirsi protagonisti, coinvolti e motivati in tutte le fasi del proces133 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

so, a partire dalla stesura del testo fino alla messa in scena sul palcoscenico. In scena, volutamente, pochi elementi teatrali, per lasciare tutto lo spazio e l’attenzione ai ragazzi, ai loro pensieri e alle loro parole, unici protagonisti al centro del progetto.

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MAGGIO ALL’INFANZIA è l’evento finale del progetto dove si realizza l’incontro tra le scuole coinvolte, con lo scopo di presentare e raccontare il proprio percorso | creare momenti di incontro e di scambio tra le scuole partecipanti | attivare momenti di confronto sul vedere teatro | attuare momenti strutturati di riflessione teorica | sviluppare incontri di scambio con mediatori teatrali delle diverse realtà | curare il processo di formazione individuale, tenendo conto insieme di competenze e vocazioni personali, ma anche di bisogni evidenziati nel corso dell’attività. Non è una vetrina di eventi, ma un momento fondamentale dove l’esperienza scolastica confluisce sul terreno del teatro, scambiando visioni, confrontando pratiche, condividendo esperienze. CRONOPROGRAMMA. FARE VEDERE ID 4638 TEATRO SCUOLA VEDERE FARE > venerdì 27 ottobre. scadenza termini di presentazione domande di partecipazione Prima di effettuare l’iscrizione è necessario aver ottenuto tutti i permessi e le autorizzazioni dall’Istituto Scolastico di appartenenza. Le iscrizioni chiuderanno al raggiungimento del numero massimo consentito e, comunque, entro la data qui indicata. Per partecipare: compilare e inviare il modulo (1 per ogni classe/gruppo) a [email protected] con elenco alunni e docenti impegnati. In oggetto alla mail indicare “richiesta partecipazione TSVF”. > lunedì 6 novembre. scadenza termini prenotazione 3 spettacoli di cui almeno 1 abbinato agli incontri di DdV > mercoledì 29 novembre, ore 17.00/20.00. A teatro. FARE/TEATRO/ AGGIORNAMENTO aperto a dirigenti scolastici, insegnanti, genitori. Apriamo la serie di incontri, del percorso di formazione, con un incontro allargato per una maggiore condivisione della progettualità. > novembre/aprile. In classe. FARE/TEATRO/LABORATORIO 5 incontri (1 al mese) a scuola, di 2 ore cadauno. Date e orari da concordare con ogni singola classe. 134 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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> mercoledì 20/12, 31/01, 28/02, 28/03, 18/04, 30/05, ore 17.00/20.00. A teatro. FARE/TEATRO/AGGIORNAMENTO > venerdì 28 febbraio. MATERIALE STAMPA. Termine ultimo per l’invio a [email protected] di titolo dello spettacolo | scheda di max. 5 righe di presentazione dello spettacolo/del lavoro svolto e da una dedica (da considerare, nella stesura, che sarà distribuita al pubblico che assisterà allo spettacolo) | 4/5 foto in buona risoluzione che rappresentino il lavoro | liberatoria (firmata dai genitori) per l’uso delle immagini foto e video dei minori (richiedere il modello ai ns uffici). Il mancato invio, nei termini, comporterà l’esclusione del proprio progetto dai materiali stampati > dal 2 maggio. A teatro: PROVE. FARE/TEATRO/LABORATORIO Prove del proprio spettacolo di fine laboratorio, in teatro, prevede per ogni classe l’utilizzo esclusivo del Teatro dei Piccoli per max. 2 ore (al mattino tra le 8.30 e le 12.30 o al pomeriggio dalle 13.00 alle 17.00). Date e orari da concordare con ogni singola classe. > dal 14 maggio ore 8.30/12.30 e ore 13.30/17.30. A teatro. SPETTACOLO/COMUNICAZIONE FINALE MAGGIO ALL’INFANZIA Napoli, rassegna di spettacoli fatti dai ragazzi. Programma delle giornate: matinée: ore 8.30 ingresso in teatro e preparazione allo spettacolo | ore 10 apertura teatro al pubblico, a seguire inizio spettacoli (da 2 a 3, senza intervallo) | ore 12 circa, termine attività e incontro, in giardino, con il pubblico | ore 12.30/13.30 merenda e rientro a scuola | pomeridiane: ore 12.30/13.30 merenda | ore 13.30 ingresso in teatro e preparazione allo spettacolo | ore 15 apertura teatro al pubblico, a seguire inizio spettacoli (da 2 a 3, senza intervallo) | ore 17 circa, termine attività e incontro, in giardino, con il pubblico. > da giovedì 17 maggio ore 12.00 a domenica 20 maggio ore 21.00. A Bari. ESPLORAZIONI alla 21a edizione del festival di teatro per le nuove generazioni MAGGIO ALL’INFANZIA, a cura di Teatri di Bari Un gruppo di insegnanti che insieme a operatori e artisti si interrogano sull’arte per le nuove generazioni. Sarà data priorità di partecipazione ai docenti dei progetti TSVF. Attività a pagamento. > giovedì 31 maggio ore 17.00/20.00. A teatro. TSVF. INCONTRO DI CHIUSURA aperto a dirigenti scolastici, insegnanti, genitori. Confronto sul teatro 135 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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della scuola e su metodologie, poetiche e ricadute. Testimonianza dei docenti TSVF 2017/2018 che presenteranno una breve comunicazione teatrale, a testimonianza del cammino, della strada percorsa insieme e quotidianamente, con “valigie da svuotare e da riempire perché alla fine del viaggio si è subito pronti per un’altra avventura”. > lunedì 11 e martedì 12 giugno, ore 16.00/20.00. A teatro. VEDERE. SEMINARIO DI CHIUSURA aperto a dirigenti scolastici, insegnanti, genitori. > mercoledì 13 giugno, ore 10.00/18.00. Luogo da definire. FARE. SEMINARIO DI CHIUSURA > mercoledì 20 giugno, ore 17.00/21.00. A teatro. I docenti del Maggio all’Infanzia Bari, “restituiscono” l’esperienza del progetto ESLPORAZIONI 2018. Per i docenti del progetto TSVF la partecipazione agli incontri in calendario - ad esclusione di ESPLORAZIONI – è obbligatoria, l’assenza potrà comportare l’esclusione dal progetto. il calendario incontri del corso per l’A.S. 2017/2018: > il Fare: mercoledì 29/11, 20/12, 31/01, 28/02, 28/03, 18/04, 30/05, ore 17.00/20.00 (21h) > Treasure Island: 7/11 – ore 17/21 (4h) > il Vedere ovvero incontri pre e post visione di uno spettacolo: 6/11 e 20/11, 17/01 e 5/02, 09/02 e 21/02, 10/04 e 20/04, 11/04 e 23/04 – ore 16.30/20.30 (8h minimo/40h max.) > TSVF- seminario di chiusura: 31/05 – ore 17/20 (3h) > il Vedere – seminario di chiusura: 11 e 12/06 – ore 16/20 (8h) > il Fare – seminario di chiusura: 13/06 – ore 10/18 (8h) > Restituzioni: 20/06 – ore 15/21 (6h) - destinatari: classe (o gruppo interclasse/età omogenea) di scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado con sede nella Regione Campania; – numero limitato di partecipanti, le prenotazioni chiuderanno a esaurimento posti.

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La foto Api fa parte del progetto fotografico “Terra Nera - Identità e territorio Vesuviano” di Pino Miraglia

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Il buio vuoto re lu primmo passo

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di Mimmo Borrelli Il buio vuoto re lu primmo passo ’ncopp’ ’i tavule ’i ponte r’ ’u triato l’abbisso verso ’u scuro re lu spasso a lu liceo scientifico m’è nato. Dint’ ’a na voce ca se move ancore grazie a chell’arta sana di chi insegna ca nun fuje sulo de nu prufessore ma ’i n’angelo allummato ra ll’impegna preso nei confronti ’i chella fiducia ca isso a mene dette e je a isso, Ernesto, amico, faro ca anco’ abbrucia: ’a respunzabilità ca m’ha fatto aggrisso, autore furibondo e ppo’ scrittore primma po’ d’essere studente e attore. ’A Napule succere, ’u quatto ’i maggio, ca fosse ghiuorno un tempo deputato a lu trasloco, ’u sfratto, po’ l’ingaggio de n’autra “cas’affitto” cu ’a mesata. Nu vuciamiento re ghiastemme e resate de gioia ’i chi nu suonno corre appriesso, ma nun sape chistu suonno addo’ risciate e addo’ ronfa l’applauso ’i nu pruciesso ca ’u pubblico pò ffa’ si nunn’approva si te lamiente senza maje fa asci’ ll’anema r’ ’u cuorpo ca se gnova a la menzogna ca nun se po’ arapi’, a chella verità ca te cummove o face rirere e li viscere move. Chillu maggio r’ ’u nuvantotto fuje l’anniversario de nu cambiamento de chell’arte ca mo’ cchiù nun me sfuje: la scoperta re lu mio talento. 139 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

All’Edenlandia purtajemo n’Inferno no de Dante, ma re guagliunera cu la passione viva de lu scherno e li suonne all’uocchie de chi spera. In platea ’nce stevano li scole ca contro a lloro gariggiate avevemo e ce vulevano lincia’ cu na mazzola e nuje cacate sotte ce futtevemo. Ma la paura move chi ’u curaggio tene ’ncuorpo zumpanno all’arrembaggio.

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Chi è di scena! Buio. Buio, luce. Quando alle luci nun si’ abbituato, chillu ppiccì te blocca e maje cunduce verso ’u proscenio al verso destenato. Staje ’ncopp’a luna e cammin’a vacante. Luce che ti acceca e nun da viste e renne l’attore avero prencepiante; ’a primma ghiastemma fuje senza Ggiesucriste. Ma cu tutt’ ’i Sante ca fratemo Giuseppe ’a cielo scenneva, pecché pe’ la tenzione ’nz’arricuradava li battute a ceppe: ma ’mpruvvisaje, pe’ tanno, n’atu cupione e ce diette corda, spalla e suggerimento e vencietteme ’i rrisa de stu cumbattimento. Lu trufeo apprimma fuje ’u silenzio po’ lu sbattere li mane e ’u nomme mie. Me manca chella gioia de lu cunzenzio libbero ra lu mestiere e ’a frennesie. Me manca chella passione snaturata: quanne li suonne se fanno rialità te n’hia ’nventa’ sempe uno aropp’a n’ate, pe’ vence ’u macigno r’ ’a respunzabbilità. Ma chella fuje sulo ’a primma sciorta ’a primma luciarìa ammiez’a ll’ombre ’a primma luce ca scunturnaje ’a morte ca ’u fallimento primma o poi salda sgombre al radiare immerso nell’arte del fare: sacrificarsi e a volte emozionare. 140 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Nel nome della ricerca pedagogica e artistica, si propone al lettore di entrare e di conoscere il progetto Teatro Scuola Vedere Fare perché la sua complessità e articolazione, nonché la sua storia e quindi quella del gruppo teatrale “Le Nuvole” insieme a quella di “Casa del contemporaneo”, “Agita”, “Casa dello spettatore” e “Fondazione spettacolo arte territorio”, danno l’idea evidente di un lavoro di equìpe, di un necessario lavoro corale, che ha l’ambizione di farsi veicolo di innovazione sociale. Un progetto che dà opportunità di ripensare alle due macchine dell’apprendimento, Teatro e Scuola, e di aprirne le architetture e gli orizzonti, lasciando che respirino e si muovano verso La strada che non andava in nessun posto raccontata da Gianni Rodari, perché si sa che “certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova”. Il nostro tesoro è la formazione al tempo di un Nuovo Umanesimo, la formazione che può generare trasformazione ma che esiste solo se se ne diventa parte. Maria D’Ambrosio (Napoli, 1971) è professore associato di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli dove è titolare delle Cattedre di Pedagogia della comunicazione, Comunicazione e cultura digitale e di Pedagogia delle organizzazioni. Responsabile del gruppo di ricerca ‘Embodied Education’ e membro del Dottorato Humanities and Technologies, è anche membro del Comitato Scientifico della Fondazione ‘Gerardino Romano’ e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica promosso dall’Associazione Italiana del Libro. I suoi interessi di ricerca si fondano su un’estetica della formazione e sulla embodied cognition per muoversi tra teatro, ambienti digitali di apprendimento, consumi mediali, arte & scienza. Ha di recente pubblicato: Teatro e parateatro come pratiche educative (Liguori); Teatro come pratica pedagogica. Ricerca-azione per il Teatro-Scuola (Pensa); con Vincenzo Moretti et alia, Il coltello e la rete. Per un uso civico delle tecnologie digitali (ediesse); e-Learning. Electric Extended Embodied (ETS). In copertina: foto di ©Pino Miraglia.

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