Santuari «gemelli» di una divinità. Artemide in Attica
 8869230228, 9788869230226

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DISCI

DIPARTIMENTO storia culture civiltà

Storia antica

Collana DiSCi Il Dipartimento di Storia Culture Civiltà, attivo dal mese di ottobre 2012, si è costituito con l’aggregazione dei Dipartimenti di Archeologia, Storia Antica, Paleografia e Medievistica, Discipline Storiche Antropologiche e Geografiche e di parte del Dipartimento di Studi Linguistici e Orientali. In considerazione delle sue dimensioni e della sua complessità culturale il Dipartimento si è articolato in Sezioni allo scopo di comunicare con maggiore completezza ed efficacia le molte attività di ricerca e di didattica che si svolgono al suo interno. Le Sezioni sono: 1) Archeologia; 2) Geografia; 3) Medievistica; 4) Scienze del Moderno. Storia, Istituzioni, Pensiero politico; 5) Storia antica; 6) Studi antropologici, orientali, storico-religiosi. Il Dipartimento ha inoltre deciso di procedere ad una riorganizzazione unitaria di tutta la sua editoria scientifica attraverso l’istituzione, oltre che di una Rivista di Dipartimento, anche di una Collana di Dipartimento per opere monografiche e volumi miscellanei, intesa come Collana unitaria nella numerazione e nella linea grafica, ma con la possibilità di una distinzione interna che attraverso il colore consenta di identificare con immediatezza le Sezioni. Nella nuova Collana del Dipartimento troveranno posto i lavori dei colleghi, ma anche e soprattutto i lavori dei più giovani che si spera possano vedere in questo strumento una concreta occasione di crescita e di maturazione scientifica.

Diana Guarisco

Santuari “gemelli” di una divinità Artemide in Attica

Bononia University Press

Bononia University Press Via Ugo Foscolo 7 40123 Bologna tel. (+39) 051 232882 fax (+39) 051 221019 © 2015 Bononia University Press ISSN 2284-1849 ISBN 978-88-6923-022-6 ISBN online 978-88-6923-514-6 www.buponline.com [email protected] I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. In copertina: cosiddetto rilievo degli dei, Brauron, Museo archeologico (Foto D. Guarisco). Progetto grafico: Irene Sartini Impaginazione: DoppioClickArt – San Lazzaro (BO) Stampa: Global Print – Gorgonzola (MI) Prima edizione: marzo 2015

Sommario

Introduzione 7 Brauron e i santuari di Artemide in Attica

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Brauron A. Strutture, cronologia e funzioni B. Storia di un santuario C. Vita cultuale

21 22 34 42

Brauron e il brauronion A. Relazioni spaziali e funzionali B. Relazioni cronologiche

47 50 60

Brauron e Munichia A. Brauron, Munichia e l’approccio “brauronocentrico” B. Brauron, Munichia e l’arkteia C. Storia di un “gemellaggio”

69 71 81 91

Brauron e Halai Araphenides A. Halai, Brauron e l’approccio “brauronocentrico” B. Halai e Brauron: “gemelli” rivali?

99 100 114

Conclusioni

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Bibliografia

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Tavole

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Introduzione

Lo studio dell’ubicazione dei luoghi di culto rappresenta un settore rilevante del più ampio studio del politeismo greco in quanto presenta una grande varietà di soluzioni, varietà che appare dotata di significato nei criteri che la orientano. Finalità dell’indagine è dunque individuare le modalità secondo cui l’ubicazione viene costruita in base agli elementi del paesaggio, alle competenze delle divinità, alla relativa ritualità e al valore che a tale insieme viene dato dalla comunità di riferimento. In particolare l’indagine si è concentrata sui luoghi di culto strutturati in santuari1 e sulla comunità strutturata in polis, pur non mancando analisi centrate su altre realtà “minori”, la cui documentazione risulta però alquanto più sfuggente2. Nella conduzione dell’analisi sembra di potere distinguere, a grandi linee, due tipi di approccio. Il primo pone in primo piano la polis e ha dunque una connotazione storico-sociale. Il secondo pone in primo piano la divinità titolare del santuario e le sue sfere di competenza, in un’ottica più prettamente storico-religiosa. Il primo approccio si basa su una concezione della polis come centro decisionale e politico in relazione dialettica con il proprio territorio, la chora, relazione che si esplica anche nella collocazione dei santuari, articolata intorno alle macrocategorie di santuari urbani ed extraurbani. Tale aspetto dell’organizzazione spaziale dei luoghi di culto è stato per la prima volta messo a tema in relazione alle città coloniali della Magna Grecia, dove il problema del rapporto tra città e territorio ha sempre ricevuto una speciale attenzione soprattutto a causa della presenza delle popolazioni   Sul problema dell’individuazione e della definizioni dei luoghi sacri come santuari vedi, ad esempio, Hermann 1965, p. 47; Berquist 1967, pp. 5-6 e infra, p. 53. Più in generale, sulla percezione dello spazio sacro, vedi Rudhardt 2001. 2   Vedi ad esempio Jameson 2004, uno studio sui culti della chora in Argolide. Sul problema della documentazione e, in particolare, sulla cosiddetta archeologia del rituale, vedi ad esempio Kyriakidis 2007. 1

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Introduzione

indigene. In particolare, G. Vallet nell’ambito di un più generale intervento sul tema presentato all’ottavo Convegno di Studi sulla Magna Grecia intitolato appunto La città e il suo territorio (1967) assegna ai “grandi” santuari extraurbani (da lui distinti dai “popolari” santuari “rurali”) la funzione di definizione e controllo del territorio3. Un impulso decisivo per ricerche sulla relazione tra santuari, polis e chora nel mondo greco in generale viene dato dalla pubblicazione nel 1984 del volume La naissance de la cité grecque. Cultes espace et société VIII-VII siècles avant J.-C. di F. De Polignac in cui l’autore sostiene che santuari extraurbani e santuari collocati nel centro della città rappresentano i poli determinanti per la nascita stessa del fenomeno urbano in quanto la polis è essenzialmente una «città cultuale». Per quanto simile tesi sia stata criticata da altri4 e rivista dallo stesso autore5, l’opera ha fornito importanti categorie euristiche utilizzate in una serie di studi generalmente di carattere locale in cui esse vengono calibrate, discusse, eventualmente contestate in relazione alle diverse situazioni e al loro divenire storico6. Particolarmente sentita appare l’esigenza di attenuare la centralità del ruolo della polis soffermandosi su contesti in cui l’urbanizzazione è tardiva (come l’Arcadia) e/o contesti in cui santuari e luoghi di culto sono connessi anche ad altri tipi di comunità, recuperando tra l’altro una maggiore attenzione alla relazione tra localizzazione dei santuari, situazione geografica e paesaggio7. L’approccio maggiormente connotato in senso storico-religioso riconduce la scelta della collocazione del santuario al riconoscimento di questa come la più appropriata per la divinità (o le divinità) che vi saranno venerate e la relativa ritualità. In tale riconoscimento gli elementi naturali del paesaggio risultano determinanti e dunque negli studi si tende a porre in primo piano il contesto geografico-ambientale dei santuari, tendenza che trova forse la sua forma estrema (spinta fino all’osservazione estetizzante)8 nella monografia di V. Scully intitolata significativamente The Earth, the Gods, the Temple. Greek Sacred Architecture (1962), dove vengono integrate analisi architettonica e analisi del paesaggio tenendo come punto di riferimento le caratteristiche di ciascuna divinità desumibili soprattutto dal mito9. L’attenzione al contesto geografico-ambientale connota anche una serie di studi, di  Vedi Vallet 1968, pp. 81-94. Per una rassegna critica di altre posizioni (con un’originale proposta di lettura) vedi Asheri 1988, pp. 1-15. 4   Vedi ad esempio Asheri 1988; Malkin 1996; Hall 1995. 5  Vedi De Polignac 1994; De Polignac 1995a; De Polignac 1995b. 6   Alcuni di tali studi sono raccolti in volumi miscellanei come Marinatos, Hägg 1993 e soprattutto Alcock, Osborne 1994. Da citare anche Valdéz Guía 2012, monografia dedicata alla città di Atene (2012). Ringrazio infine il mio anonimo revisore per la segnalazione di Moser, Feldman 2014, che non ho potuto consultare prima della stampa del volume. 7   A titolo esemplificativo si possono ricordare Jost 1985, monografia dedicata all’Arcadia e Jameson 2004, il già ricordato contributo sull’Argolide. Significativi sono anche Jost 1992 e JOST 1994. 8   Tale è il giudizio espresso da D. Asheri (Asheri 1988, p. 6). 9   Si possono considerare metodologicamente affini al lavoro di Scully testi come Hermann 1965 (con il relativo intervento di E. Kirsten, ibidem pp. 80-83) ed Edlund 1987. 3

Introduzione

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impronta prevalentemente strutturalista, in cui, prescindendo da puntuali descrizioni architettoniche e geografiche, si mira a individuare tendenze generali nella collocazione dei santuari in relazione al ruolo della divinità nel pantheon così come configurato da miti, riti ed epiclesi. Dato che nel politeismo greco questi ultimi aspetti presentano una marcata dimensione locale, in detti studi all’attenzione al dato ambientale si intreccia l’attenzione alla comunità in quanto corpo sociale, integrando così i due punti focali, comunità e divinità. Un esempio significativo di simile impostazione è rappresentato dal contributo di A. Schachter intitolato coerentemente Policy, Cult and the Placing of Greek Sanctuaries (1992). Esso si apre infatti con queste parole10: «In this paper I examine the relationship of a sanctuary to the people who used it and to the deity worshipped at it». Dopo una messa a punto preliminare di alcune problematiche generali11, l’autore presenta, in successione, una sezione dedicata all’analisi dell’articolazione spaziale dei santuari in sette poleis assunte come caso di studio12, una sezione in cui si individuano per ciascuna delle divinità “maggiori” linee di tendenza nella collocazione dei rispettivi santuari13 e una sezione dedicata al culto eroico. Al lavoro di Schachter si possono affiancare le analisi di S.G. Cole, focalizzate principalmente su Artemide e Demetra, in cui si prende in considerazione anche il funzionamento dei ruoli di genere all’interno della polis: sua è la monografia intitolata emblematicamente Landscapes, Gender and Ritual Space. The Ancient Greek Experience (2004)14. Nel quadro di questo filone di studi si collocano anche i contributi di P. Brulé caratterizzati dal tentativo di leggere la localizzazione dei santuari in un’ottica di sistema. Egli infatti, attraverso un intreccio tra affinità nella collocazione geografico-ambientale, nelle tradizioni mitiche, nel sistema delle epiclesi e nella ritualità, costruisce un corpus geographicum di santuari artemidei contestualizzabili in una stessa koine religiosa che comprende l’Attica, la regione dell’Euripo e la costa orientale della Tessaglia, traendo da tale costruzione, peraltro non esente da elementi problematici, implicazioni diffusioniste15.   Schachter 1992, p. 1.   Si tratta, nell’ordine, del problema della continuità/discontinuità dei centri cultuali rispetto all’età micenea (vedi Schachter 1992, pp. 2-4); dell’individuazione dei santuari sedi di oracoli e di culti misterici come santuari “funzionali” in cui l’identità della divinità e le esigenze della comunità giocano un ruolo secondario (pp. 4-7); dell’individuazione dei santuari “interstatali” connessi a un ethnos o un’anfizionia (pp. 8-9); la relazione inscindibile tra santuari e poleis (pp. 9-11). 12   Si tratta, nell’ordine, di Argo (vedi Schachter 1992, pp. 12-13); Corinto (pp. 14-7); Eretria (pp. 18-21); Taso (pp. 22-25); Tebe (pp. 26-30); Atene (pp. 31-33); Sparta (pp. 34-35). 13   Si tratta, nell’ordine, di Apollo (vedi Schachter 1992, pp. 37-39); Atena (pp. 39-40); Afrodite (pp. 40-41); Zeus (pp. 42-43); Demetra (pp. 44-45); Hera (pp. 45-46); Poseidone (pp. 46-48); Dioniso (pp. 48-49); Artemide (pp. 49-52). 14  Vedi Cole 1994, pp. 199-216 e Cole 2004, soprattutto pp. 180-230. 15  Vedi Brulé 1987, pp. 186-200; Brulé 1993; Brulé 2009. Va segnalato che la localizzazione del demo attico di Myrrhinous (sede del hieron di Artemide Kolainis) sulla costa orientale della regione oggi non è più accettabile alla luce di buoni elementi a sostegno dell’identificazione di tale antico demo con l’attuale Merenda-Markopoulo (vedi da ultimo Vivliodetis 2007). Inoltre, per quanto 10 11

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Introduzione

Alcuni dei santuari che formano il corpus costruito da Brulé (Brauron e Munichia, Brauron e Halai Araphenides) sono collegati tra loro già dalle fonti antiche, al punto che si presentano agli occhi degli studiosi come santuari “gemelli” condividendo, nel quadro fornito dagli autori, analoghe caratteristiche topografiche, mitiche e rituali: è lo stesso Brulé a qualificare in tal senso (e senza usare le virgolette) i santuari di Brauron e Halai Araphenides16. Quello della relazione stabilita nell’antichità tra santuari di una divinità è un aspetto della distribuzione spaziale dei santuari che non risulta finora indagato in modo specifico, ad eccezione dei casi di “duplicazione” di un santuario in due spazi diversi, tipicamente la chora e la polis, generalmente interpretati in termini di appropriazione e controllo da parte di quest’ultima, fermo restando che non sempre è possibile distinguere nettamente una fase “autonoma” dei santuari della chora e che non si tratta mai di una pura e semplice replica. Ugualmente degni di attenzione appaiono tuttavia i casi in cui la relazione tra due (o più santuari) è istituita a livello mitico17 e rituale, in quanto ciò porta a interrogarsi sulle logiche sottese all’istituzione di tali relazioni e sul significato storico-religioso di cui esse sono state dotate all’interno del sistema di riferimento. È dunque questo l’interrogativo da cui muove il presente lavoro: quali fattori possono avere prodotto e, aspetto ancora più importante, consolidato come tradizione, forme di “gemellaggio”, cioè di sottolineatura di comuni caratteristiche cultuali, tra santuari. Per tentare di fornire elementi utili a fare luce su alcune dinamiche di tale fenomeno si propongono come caso di studio alcuni santuari di Artemide in Attica. La scelta è motivata dalla diversificata gamma di situazioni che le fonti configurano e permettono di indagare, pur restando all’interno del comune dato dell’istituzione di relazioni tra santuari artemidei della regione. In Attica si danno infatti tre “coppie” di santuari “gemelli”: il santuario di Artemide Brauronia di Brauron e il hieron di Artemide Brauronia sull’acropoli di Atene (chiamato dagli studiosi moderni Brauronion), il santuario di Artemide Brauronia di Brauron e il santuario di Artemide Mounichia di Munichia, il santuario di Artemide Brauronia di Brauron e il santuario di Artemide Tauropolos di Halai Araphenides (queste ultime due coppie già citate in relazione allo studio di Brulé). Il dato che si impone immediatamente all’attenzione è che le tre coppie hanno un elemento comune, il santuario di Brauron. Se si entra poi nello specifico, si nota che le modalità con cui ciascuna coppia viene formata sono di volta in volta riguarda la Tessaglia, va tenuto conto del fatto che M.B. Hatzopoulos (Hatzopoulos 1994, pp. 2553) ha presentato convincenti argomenti contro l’interpretazione di nebeuein come “fare la cerva”. Si veda in ogni caso la risposta di Brulé (Brulé 1997). 16  Vedi Brulé 1987, p. 236, in relazione ad un probabile collegamento fisico tra i due centri cultuali. La qualifica di culti “gemelli” (con virgolette) è parimenti adottata, per le due medesime realtà santuariali, da M. Mari (vedi Mari 2012, p. 138). 17   Un’indagine su santuari di Poseidone situati in regioni diverse e collegati a livello mitico attraverso la consanguineità dei fondatori è presentata da R.W.M. Schumacher (Schumacher 1993) che mette in luce il comune carattere di asyla di tali centri cultuali.

Introduzione

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diverse. Nel caso del hieron dell’acropoli si tratta di una “filiazione” del santuario di Brauron (Paus. I 23.7). Nel caso del santuario di Munichia si tratta di un comune e Schol. Ar. Lys. 645a) e mitico (AB s.v. collegamento rituale (Harp. s.v. ), centrato sul rito dell’arkteia (“rito dell’orsa”), rito prematrimoniale femminile in onore di Artemide. Nel caso del santuario di Halai Araphenides si tratta di una polarità di genere collegata eziologicamente a Oreste e Ifigenia nel finale dell’Ifigenia in Tauride di Euripide (1449-67): il primo ad Halai è fondatore, oltre che del culto, di un rito prettamente maschile: la gola di un uomo deve essere incisa bagnando con il sangue l’altare; la seconda sarà destinataria a Brauron di una ritualità prettamente femminile: una volta morta e sepolta nel santuario di cui custodirà le chiavi, presso la sua tomba saranno dedicate le vesti tessute da donne la cui vita si è spezzata durante il parto18. Un ultimo dato colpisce l’attenzione: la distribuzione geografica delle tre coppie. Brauron e il Brauronion sono situati, rispettivamente, nella parte remota della chora (39 chilometri circa da Atene) e sull’acropoli, il cuore cultuale della città di Atene, di fatto santuario della divinità poliade Atena. Brauron e Munichia sono invece entrambi extraurbani, seppure a titolo diverso: Munichia è molto più vicina (circa 11 chilometri) e, dall’età post-persiana, è, in quanto parte del Pireo, strettamente collegata alla città dalle cosiddette Lunghe Mura. Essi inoltre sono collocati su due opposte coste dell’Attica, rispettivamente orientale e occidentale. Brauron e Halai Araphenides sono invece entrambi nella chora remota, circa equidistanti da Atene, sono situati sulla medesima costa (orientale), e, soprattutto, sono contigui, separati solo da circa cinque chilometri di distanza. Poiché le tre coppie di santuari “gemelli” hanno Brauron come elemento in comune, il primo problema che si pone nell’indagine è quello del ruolo del santuario di Brauron nel sistema cultuale della divinità, ruolo che appare indubbiamente preponderante. Si procederà pertanto in primo luogo a mettere a fuoco i termini della questione, risalendo fino ai primordi della storia degli studi e mostrando come la riscoperta archeologica di tale santuario abbia contribuito in modo decisivo a orientare la ricerca secondo un approccio “brauronocentrico”. Si darà conto altresì di alcune tendenze alternative rispetto a simile approccio e si evidenzierà come esso, pur non essendo esplicitamente discusso o contestato, sia di fatto accantonato nei più recenti lavori dedicati a Munichia e Halai Araphenides. Una volta inquadrate le linee generali del problema, si dedicherà un apposito capitolo allo stato attuale delle conoscenze e delle problematiche relative al santuario di Brauron, derivanti dai risultati dell’esplorazione archeologica del sito e dalla riconsiderazione delle fonti letterarie che tali risultati, pur pubblicati solo in minima parte, hanno imposto. Infatti, in quanto elemento comune alle tre coppie di santuari “gemelli” oggetto del presente lavoro, il santuario di Brauron si pone come imprescindibile punto di partenza.   I testi sono riportati e analizzati nei capitoli specifici su ciascuna “coppia”.

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Introduzione

Si passerà poi all’analisi di ciascuna coppia, cercando di inquadrare l’informazione sulla “gemellarità” in un più ampio contesto storico-istituzionale e storicoreligioso, con l’intento di ridiscutere criticamente l’approccio “brauronocentrico”, per quanto consentito dalle fonti che restano comunque fortemente sbilanciate in favore del santuario brauronio. A tal fine, ampio spazio sarà dedicato, all’interno di ciascun capitolo, a ripercorrere, anche con brevi citazioni, i diversi contributi via via offerti nel corso della storia degli studi, mettendo in luce i punti di forza e di debolezza di ciascuna posizione. Più nello specifico, nel caso di Brauron e del Brauronion si muoverà dall’interrogativo immediatamente sollevato dall’eccezionale posizione di quest’ultimo, se comparata con casi analoghi anche della stessa Atene, e si sottolineerà come, nonostante la scarsissima documentazione sull’edificio dell’acropoli renda impossibile precisarne la fisionomia spaziale e storico-religiosa, la categoria di “sede di rappresentanza” del santuario extraurbano risulti di problematica applicazione. Per quanto riguarda Brauron e Munichia, la domanda di fondo della trattazione è posta dal fatto che mentre alcune fonti combinano le tradizioni mitiche dei due santuari e li dichiarano sede di un medesimo rituale, da molti altri dati emerge una fisionomia assai complessa del culto munichio che, se da un lato rende improponibile un suo appiattimento su quello brauronio, dall’altro rende tanto più significativi la presenza di tali fonti e il tentativo di indagarne il contesto storico-religioso. Infine, l’interrogativo di fondo sulla coppia rappresentata da Brauron e Halai Araphenides è sollevato direttamente dalla natura del testo che l’istituisce, un discorso della dea poliade Atena in un testo drammatico ateniese di V a.C., opera di uno dei tre autori poi divenuti canonici, Euripide, e dall’inserimento di tale passo in un contesto in cui, pur nella scarsità di dati utili alla ricostruzione dei caratteri del culto di Halai, quanto da essa affermato sembra andare a chiarire un quadro di relazioni assai complesso. In sede di conclusioni verranno enucleati i limiti dell’approccio “brauronocentrico” sia per quanto riguarda lo studio dei tre santuari “gemelli” di Artemide in Attica, sia, più in generale, per quanto riguarda lo studio del culto di Artemide in Attica. Riguardo al primo punto ci si soffermerà in modo speciale su una quarta coppia di “gemelli”, priva di relazioni con Brauron, il santuario di Artemide Amarysia nel demo extraurbano di Athmonon e quello dell’Artemide Amarysia “di Athmonon” nel demo urbano di Kydathenaion. La scarsità della documentazione relativa a simile realtà lascia aperti interrogativi di portata assai ampia e in numero maggiore di quanti ne risolva. Tuttavia il caso contribuisce a evidenziare l’opportunità di superare il “brauronocentrismo”. La strada che si indicherà come possibile nuovo orientamento sarà quella della riconsiderazione dei santuari “gemelli” nell’ottica della dialettica tra centro e periferia intesa come asse portante dell’organizzazione spaziale e simbolica dei santuari in relazione alla polis: attraverso la sottolineatura delle analogie spaziali e simboliche dei tre santuari di Brauron, Munichia e Halai Araphenides si mostrerà come in Attica, grazie anche alla ricchezza della documentazione, si possa riconoscere un modello in cui tale dialettica assume un’inedita varietà di sfumature, dunque un modello utile ad arricchire lo studio delle dinamiche dell’organizzazione spaziale dei luoghi di culto.

BRAURON E I SANTUARI DI ARTEMIDE IN ATTICA

La relazione tra Brauron e i suoi tre santuari “gemelli”, cioè il Brauronion dell’acropoli, il santuario di Munichia e quello di Halai Araphenides costituisce parte integrante dei diversi studi dedicati al culto di Artemide Brauronia già a partire dalla prima monografia sul tema, la dissertazione dottorale di H.F. Suchier intitolata De Diana Brauronia, risalente al 1847. Il rapporto con il Brauronion è trattato da Suchier essenzialmente in termini storici, ritenendo la costruzione del luogo di culto acropolitano successiva al declino del santuario extraurbano e dunque destinata a sostituirlo1. Al legame con Munichia e Halai Araphenides sono invece dedicati due capitoli appositi, il quinto e il sesto, che vengono a costituire, come risulta dalle parole stesse dell’autore, una sorta di necessaria appendice. Il quinto si apre infatti, emblematicamente, come segue2: Sed non praetermittenda est religio Diana Munychiae, cuius sacra Munychiae a Munychio rege vel ab Embaro (vid. Suid. v. ) instituta esse feruntur, quae quidem sive origines sive ipsam sacrorum indolem respicimus, tam similia sunt Brauroniis, ut eadem esse videantur, loco tantum et nomine separata. Ma non si deve trascurare il culto di Diana Munychia, i cui riti si dice siano stati istituiti dal re Munychius o da Embaro (vedi Suid. v. ), riti che, sia sotto il profilo delle origini, sia sotto il profilo della loro natura, sono tanto simili a quelli brauronii, da sembrare gli stessi, separati solo nel luogo e nel nome.  Vedi Suchier 1847, pp. 14-16. La tesi sarà esposta nel Capitolo su Brauron e il Brauronion, in cui si evidenzierà anche come l’idea di una successione cronologica si ritrovi in studi moderni, nonostante gli indizi contrari provenienti dagli scavi del santuario di Brauron. 2   Ivi, p. 46. 1

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Diana Guarisco

Il sesto capitolo, intitolato De Diana Tauropola et Taurica, si apre in modo analogo, facendo riferimento alla “parentela” tra i culti individuata dagli antichi3: In disputatione de Diana Brauronia in partes vocanda sunt haec numina, quia Dianam Brauroniam a Graecis cognatam cum iis esse habitam eorumque nomine passim designatam aperte traditum legimus. In una dissertazione su Diana Brauronia bisogna chiamare in causa queste divinità perché leggiamo a chiare lettere che Diana Brauronia era ritenuta dai Greci imparentata con loro e che qua e là era anche designata con il loro nome.

Nel 1948, quasi un secolo esatto dopo la stesura della monografia di Suchier, vengono avviati, peraltro in modo del tutto casuale4, gli scavi del santuario di Brauron, sotto la direzione di I. Papadimitriou per conto della Società Archeologica di Atene. I lavori proseguono l’anno successivo per poi interrompersi nel 1950 a causa di impegni di Papadimitriou a Micene. Le campagne riprendono nel 1955 e vengono bruscamente sospese dopo il 1962 a causa della morte prematura del direttore. Grazie alla natura paludosa del terreno, il sito del santuario non è stato interessato da insediamenti successivi: a uno spazio non edificato rimanda anche il toponimo moderno, Livadi, “prato”. Le spoliazioni per il reimpiego dei materiali lapidei5 hanno altresì, apparentemente, coinvolto soprattutto l’area dell’edificio templare, che si trova in posizione sopraelevata, ma non la parte bassa del temenos, dove è stato possibile ricostruire, con gli elementi rinvenuti, il porticato che la domina6. I risultati dello scavo sono pertanto stati eclatanti: non solo quello brauronio è l’artemision meglio conservato dell’Attica a livello di edifici, ma è sicuramente quello che ha restituito il maggior numero di reperti e meglio conservati, compresi oggetti in materiale deperibile preservati dal fango, tanto che si è deciso di costruire un apposito museo in prossimità del sito7. Nonostante si sia giunti a portare alla luce solo una parte del temenos, come prova il confronto con l’elenco di edifici fornito nel testo di un decreto rinvenuto a Brauron e relativo a un sopralluogo dei medesimi in vista   Ivi, p. 50.  Vedi Papadimitriou 1948, p. 81. L’archeologo afferma di essere intervenuto dopo che gli abitanti di Markopoulo (centro situato a circa 8 chilometri) avevano chiesto nuovi muri di recinzione per la chiesa di Hagios Georgios situata in località Livadi. 5   La presenza di colonne e capitelli riutilizzati nella basilica paleocristiana di Brauron, di cui si conservano le rovine circa 500 m a nord-est dell’area degli scavi, è segnalata da G. Daux (Daux 1949, p. 527) e da Ev. Stikas (Stikas 1951, pp. 58-59). Un accumulo di materiali lapidei, plausibilmente sottratti dal santuario e destinati al reimpiego, è stato rinvenuto a nord-ovest del muro settentrionale della stoa, vedi Orlandos 1961, p. 29. 6   Sull’anastilosi della stoa vedi Orlandos 1961, p. 20 e soprattutto Bouras 1967. 7  Sul progetto (che sancisce il riconoscimento dell’importanza dei risultati degli scavi) vedi Orlandos 1961, p. 37. Il museo è stato inaugurato nel 1969 e nel 1971 ne è stata pubblicata una guida a cura di P. Themelis (comprendente anche il sito, Themelis 1971). Un nuovo allestimento, con un notevole incremento dei reperti esposti e dell’apparato didattico, è stato inaugurato nel 2009. 3 4

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di un restauro8, e nonostante ben poco di quanto rinvenuto sia stato pubblicato9, è possibile abbozzare un quadro topografico, storico e cultuale del santuario (esposto nel prossimo capitolo), elemento che lo pone in una situazione decisamente privilegiata, sotto il profilo della documentazione, tra i santuari artemidei oggetto della presente ricerca. Quanto emerso dagli scavi e menzionato nei resoconti ha indubbiamente arricchito e rinnovato gli studi sul culto di Artemide Brauronia, come mostra già il lungo articolo di A.D. Kontis del 1967 in cui, salutando la scoperta di Brauron come il più importante evento archeologico del secondo dopoguerra10, se ne propone per la prima volta una rilettura complessiva integrando i nuovi dati archeologici con quelli forniti dalle fonti scritte. A sancire l’importanza dell’impatto della riscoperta archeologica del santuario di Brauron nella storia degli studi, la più recente monografia dedicata ad Artemide Brauronia, pubblicata da M. Giuman nel 1999, è intitolata La dea, la vergine, il sangue. Archeologia di un culto femminile. I risultati dello scavo di Brauron hanno avuto ricadute significative anche sullo studio dei santuari “gemelli”: come si vedrà nella trattazione specifica di ciascuna   Il decreto è stato emanato dai nomothetai di Atene ed è databile unicamente su base paleografica: le proposte oscillano di circa un secolo, tra fine IV (vedi Themelis 2002, p. 113) e fine III a.C. (vedi Antoniou 1990, pp. 169-170 e 280-281; Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, nota 14, p. 8). La stele era reimpiegata nella pavimentazione di una stradina, costruita in età non precisabile, forse per facilitare le spoliazioni o per rendere accessibile l’altare nonostante le alluvioni: la stradina infatti partiva dal terzo ambiente da sud del braccio occidentale della stoa, funzionante come propylon e portava al centro della corte (vedi Orlandos 1961, p. 27). La sezione contenente la lista di edifici è stata subito resa nota, insieme a qualche altra citazione dal testo (vedi Orlandos 1961, pp. 25-26; cfr. Daux 1962, pp. 673-674 e BE 1963, p. 91), e poco dopo è stata pubblicata una fotografia della parte superiore della stele (vedi Papadimitriou 1963, p. 118). Solo nel 2002 sono state pubblicate integralmente le prime 25 linee dell’iscrizione, vedi Themelis 2002. La lista degli edifici è stata oggetto di un ampio e animato dibattito centrato sull’identificazione degli stessi sul terreno (vedi almeno Themelis 1986 e Mylonopoulos, Bubenheimer 1996). Rispetto anche alle più recenti proposte (vedi Themelis 2002, ma cfr. Le orse 2002, p. 476 e Goette 2005), sembra plausibile ritenere che tutti gli edifici “di servizio” (cioè l’amphipoleion, le stalle, la palestra e il ginnasio) fossero fuori dall’area scavata. 9   L’unico edificio che si può considerare pubblicato è la stoa, anche se l’obiettivo della monografia di Ch. Bouras (Bouras 1967) è fornire un’analisi degli elementi architettonici a supporto dell’anastilosi effettuata. Tra i reperti sono state pubblicate solo le sculture fittili di età arcaica: vedi Mitsopoulos Leon 2009. Per la conoscenza del santuario di Brauron restano dunque fondamentali i resoconti pubblicati da Papadimitiriou per la rivista « » (Papadimitriou 1948-1950; Papadimitriou 1955-1957; Papadimitriou 1959) prima affiancati, poi sostituiti dai resoconti pubblicati da A.K. Orlandos per l’allora neonato periodico « » (Orlandos 1955-1962). Ad essi si possono affiancare le note pubblicate da G. Daux per il «Bulletin de correspondance hellènique» (Daux 1949-1951; Daux 1956-1963). Si dispone inoltre della pubblicazione di qualche singolo reperto (vedi ad esempio Despinis 2002; Despinis 2004a; Despinis 2004b; Despinis 2005) e di alcune anticipazioni soprattutto sui testi epigrafici (vedi in particolare Themelis 1986 e Themelis 2002; Peppas Delmousou 1988a). 10  Vedi Kontis 1967, p. 156. 8

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coppia di santuari, sono stati riconosciuti elementi atti a confermare o problematizzare il quadro offerto dalle fonti letterarie. Tuttavia, una vera e propria svolta nella storia degli studi è stata segnata dal riconoscimento da parte di L. Kahil, incaricata della pubblicazione del materiale ceramico brauronio da Papadimitriou11, della presenza di una stessa tipologia di vasi, largamente attestata nel santuario di Brauron12, anche in altri artemisia dell’Attica come quello di Munichia13, quello di Halai Araphenides14, quello di Melite15, quello dell’acropoli (cioè il cosiddetto Brauronion)16, nonché in siti collegabili al culto della divinità, come l’agora di Atene17 e la cosiddetta grotta di Pan ad Eleusi18. Si tratta dei cosiddetti krateriskoi, piccoli crateri con doppia ansa e piede troncoconico (più o meno alto), decorati a figure nere, con scene figurate o motivi geometrici. Kahil ha classificato, con buoni argomenti19, i krateriskoi come vasi a destinazione rituale, e, nello specifico, come vasi rituali connessi al “rito dell’orsa” (arkteia), il rito  Vedi Kahil 1963, p. 5.   Ivi, p. 13. I krateriskoi integri o, soprattutto, frammentari, sono segnalati tra i vasi più frequentemente rinvenuti nel santuario. Altrove la studiosa afferma che si tratta di centinaia di esemplari: vedi ad esempio Kahil 1965, p. 23; Kahil 1977, p. 86. 13  Vedi Kahil 1965, pp. 23-24: Kahil 1977, p. 87 (ulteriori esemplari). 14   Ivi, pp. 88 e 96. 15  Vedi Kahil 1965, p. 24. Sei frammenti sono pubblicati nel resoconto dello scavo dell’edificio, unitamente alla semplice menzione di altri quattro frammenti non decorati, vedi Threpsiades, Vanderpool 1964, pp. 33-35. Da notare che il rinvenimento di krateriskoi è segnalato da E. Vanderpool come la prova definitiva del culto di Artemide sul sito all’epoca di Temistocle (vedi Threpsiades, Vanderpool nota 1, p. 26). 16  Vedi Kahil 1977, p. 88. I frammenti sono pubblicati dalla medesima nel 1981 (Kahil 1981, pp. 255-259). 17  Vedi Kahil 1977, p. 88. I tre frammenti sono pubblicati dalla medesima Kahil nel 1981 (Kahil 1981, pp. 259-60) Poiché si tratta di frammenti decontestualizzati e non provenienti dalla stessa area (due vengono dalla stoa di Zeus, uno dalla stoa sud-est), altrove la valutazione è più prudente: vedi Kahil 1965, p. 23 (dove non si esclude la provenienza da una fornace) e Kahil 1981, p. 261 (dove si ammette anche l’allettante possibilità di una provenienza dall’acropoli, cioè dal Brauronion). 18  Vedi Kahil 1977, p. 88 (associazione tra Artemide e le Ninfe). Ai siti elencati da Kahil va aggiunta la grotta di Vari, che, analogamente a quella eleusina, sembra connessa al culto di Pan e delle Ninfe. Da lì proviene un frammento di krateriskos con figura femminile in corsa, vedi Schörner, Goette 2004, pp. 91-92 e tav. 50.4. 19   Decisiva, nella sua immediatezza “fotografica”, risulta la raffigurazione di un krateriskos abboccato ai piedi di un altare presente su un frammento di cratere a figure rosse rinvenuto a Brauron e pubblicato dalla medesima Kahil (Kahil 1963, pp. 25-26 e tav. 14.3 e, più di recente, con diverse, ulteriori interpretazioni, Ferrari 2002, pp. 175-176; Venit 2006, pp. 33-34). Altri argomenti depongono a favore di un utilizzo rituale dei vasi: l’arcaismo formale (l’alto piede troncoconico richiama direttamente crateri protoattici e subgeometrici (vedi Kahil 1965, p. 23); la povertà tecnica, tipica di oggetti fabbricati presso i santuari, acquistati e abbandonati dopo l’uso (vedi Kahil 1965, p. 25); l’analogia tipologica con vasi a sicura destinazione rituale (ad esempio quelli impiegati per gli Adonia e a Eleusi, vedi Kahil 1963, p. 28). Sulle modalità concrete di utilizzo dei krateriskoi vedi da ultimo Giuman 2008, 185-198 (= Giuman 2009) e infra nota 116, p. 44. 11 12

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prematrimoniale in onore di Artemide, che i testi associano esplicitamente a Brauron o a Munichia: infatti, quando l’esecuzione è più raffinata, le protagoniste delle scene figurate appaiono bambine o ragazzine20, dunque di età compatibile con i dati letterari sull’età delle “orse” che, pur essendo contraddittori tra loro, la collocano tra l’infanzia e la prima adolescenza21. La diffusione di tali vasi viene da Kahil considerata un dato universale dei santuari artemidei dell’Attica, al punto da avanzare dubbi sull’identificazione di quello di Artemide Agrotera che non ne ha restituiti22, e un dato esclusivo dei santuari artemidei dell’Attica, in quanto privo di paralleli in altre regioni del mondo greco. I krateriskoi sono pertanto vasi rituali specifici dell’Artemide attica e, unitamente ad altri elementi, compresa la topografia di Brauron e degli altri santuari della divinità, contribuiscono a definirne il carattere. Scrive infatti Kahil a conclusione dell’articolo in cui pubblica i tre esemplari frammentari a figure rosse della collezione Lifschitz-Cahn (finora unici nel loro genere)23: C’est ainsi que la topographie même du sanctuaire de Brauron, et des autres sanctuaires de l’Artémis attique, l’iconographie de la déesse, les représentations de son rituel dans la céramique attique, nous montrent, encore en pleine époque classique dans le culte local de Brauron comme dans toute l’Attique, une Artémis intimement rattachée à son passé primitif de Potnia, qui assure la fecondité des animaux et des humains.

Dunque Kahil, partendo dal dato archeologico della diffusione dei krateriskoi nei santuari artemidei dell’Attica, arriva a una visione che si potrebbe definire “brauronocentrica” del culto della divinità in tale regione, secondo cui tutti i centri cultuali vengono a condividere i caratteri del culto brauronio. I lavori della studiosa pertanto  Vedi Kahil 1963, p. 28; Kahil 1965, pp. 21-22. Per uno studio iconografico dell’età dei personaggi raffigurati sui krateriskoi vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 39-66 e 127-134. 21   L’età di dieci anni è quella indicata dal maggior numero di testi, un gruppo di fonti lessicografiche (simili tra loro) in cui si spiega l’equivalenza tra arkteuein (“fare l’orsa”) e dekateuein: Harp. s.v. ; Hsch. s.v. ; AB s.v. a cui va aggiunto quanto si ricava dalla sequenza di Ar. Lys. 641-7 secondo il codice ravennate 429. Se invece si accetta la versione di detta sequenza risultante dall’emendamento proposto, in separata sede, da N. Ellebodius e da R. Bentley ne risulta che le arktoi avevano più di dieci anni (sul problema vedi da ultimo Perusino 2002). Un’età compresa tra i cinque e i dieci anni è invece indicata da Schol. Ar. Lys. 645a e da Suid. s.v. . 22  Vedi Kahil 1977, p. 88. In realtà gli scavi eseguiti da Travlos nel 1962, a cui fa riferimento la studiosa (vedi Travlos 1971, p. 112) hanno interessato unicamente una parte di un muro di terrazzamento dell’area in cui sorgeva presumibilmente il cosiddetto tempietto dell’Ilisso e che era già stata indagata da A.N. Skias nel 1897 (vedi Skias 1897). La medesima studiosa ammette di non avere potuto studiare i materiali di Skias. Va in ogni caso segnalato che l’identificazione del cosiddetto tempietto dell’Ilisso con il tempio di Artemide Agrotera, proposta già da W. Dörpfeld (Dörpfeld 1897, pp. 227-228) e largamente accettata (vedi da ultimo Beschi 2002) non è esente da dubbi (vedi da ultimo Pautasso 2002). 23   Kahil 1977, p. 98. 20

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non solo forniscono una conferma archeologica al quadro di santuari “gemelli” delineato dalle fonti letterarie, ma lo ampliano, facendo di Brauron e della sua ritualità il centro di una sorta di rete degli artemisia attici. Pur non mancando proposte alternative sull’interpretazione delle scene raffigurate sui krateriskoi24, la ricostruzione di Kahil ha incontrato largo consenso. Emblematico è quanto scrive Giuman per introdurre il capitolo in cui affronta la questione dei santuari “gemelli” di Munichia e Halai Araphenides25: Abbiamo iniziato questo studio sottolineando come l’enorme diffusione del materiale più proprio di Brauron, i krateriskoi, non lasci dubbi sulla fortuna che questo culto sembra aver conosciuto nel sistema religioso dell’Attica antica […]. Restano da comprendere le dinamiche e i rapporti che in modo diretto o indiretto legano il santuario alle foci dell’Erasino con altri luoghi di culto attici dedicati ad Artemide […].

La lettura dei krateriskoi come traccia archeologica di un collegamento, in una sorta di rete, tra i santuari di Artemide in Attica trova inoltre conferme e ulteriori sviluppi in alcuni studi in cui si affronta la questione della relazione tra la presenza di tali vasi e lo svolgimento del rito dell’arkteia, partendo dall’assunto che detto rito, almeno in epoca classica, fosse, analogamente ai riti di iniziazione tribali26, universale e obbligatorio (almeno teoricamente), secondo quanto indicato dalla maggioranza delle fonti27. La tesi più estrema individua nei krateriskoi la prova che tutti i santuari artemidei dell’Attica erano sede del rito, sullo stesso piano, come se, per agevolare la partecipazione, si fossero istituite altrettante “succursali”28. All’opposto, il significato rituale dei vasi viene limitato ai soli due santuari associati all’arkteia dalle fonti scritte, Brauron e Munichia, assegnando a quelli rinvenuti in altri siti un significato votivo che comunque, per l’alto numero di siti e il prestigio di alcuni di essi (acropoli, agora) prova l’importanza civica riconosciuta al rito29. Una posizione intermedia è rappresentata da chi individua nelle fonti stesse una limitazione all’universalità del rito e, facendo riferimento all’unico testo (Schol. Ar. 24  Vedi Hamilton 1989 (gruppi femminili come quelli protagonisti dei parthenia di Alcmane, cfr. le obiezioni di Ch. Sourvinou-Inwood (Sourvinou-Inwood 1990b); Ferrari 2002, pp. 169-176 (tempo mitico delle origini del rito); Marinatos 2002 (gruppi femminili, tra cui anche le arktoi). 25   Giuman 1999, p. 180. 26   Sulla morfologia dei riti di iniziazione tribale vedi ad esempio Brelich 2008. Sull’interpretazione dell’arkteia come rito di iniziazione femminile vedi almeno Brelich 1969, pp. 229-311; Brulé 1987, 179-283; Sourvinou-Inwood 1988 e 1990a; Dowden 1991, pp. 17-65; Gentili, Perusino 2002. Per un tentativo di decostruire simile lettura vedi Faraone 2003. 27   Vedi Schol. Ar. Lys. 645c e Suid. s.v. a cui si può affiancare Harp. s.v. che fornisce indizi sulla valenza giuridica del termine. 28   Vedi ad esempio Simon 1983, p. 86 (con ipotesi su un voto collettivo in occasione delle guerre persiane, peraltro non necessaria alla luce dell’insistenza delle fonti sull’obbligatorietà e l’universalità del rito); Cole 1984, p. 242. 29  Vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 111-118.

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Lys. 645a) in cui si dice che le arktoi erano «scelte», ritiene che i krateriskoi fuori da Brauron e Munichia testimonino l’esecuzione di una forma surrogata e ridotta del rito che, nella sua forma completa (soggiorno di quattro anni a Brauron e, apparentemente, di uno a Munichia), era divenuto proprio di famiglie abbienti e “tradizionaliste”30. Alla linea interpretativa fin qui descritta si collega strettamente una maggioritaria tendenza a una lettura omologante dei dati relativi ai due santuari “gemelli” di quello brauronio, Munichia e Halai Araphenides, la cui relazione con Brauron non è così immediata e diretta come nel caso del Brauronion, tendenza che appare ancora più evidente nel caso di Halai Araphenides, stante la contiguità geografica31. Una reazione decisa a simile tendenza si trova nell’analisi proposta da M.B. Hollinshead che, muovendo da un preciso bersaglio polemico, cioè l’interpretazione dell’adyton come elemento architettonico e cultuale comune ai templi di Brauron, Halai Araphenides e Aulide proposta da I. Travlos32, nella sua dissertazione dottorale Legend, Cult and Architecture at Three Sanctuaries of Artemis (1979) raccoglie e riconsidera tutti i dati disponibili sui tre santuari per concludere che le differenze sono molto più significative delle somiglianze, giungendo a negare ogni legame sul piano cultuale33. Negli studi più recenti sul santuario di Munichia e su quello di Halai Araphenides, dovuti, rispettivamente, a G.P. Viscardi e K. Kalogeropoulos, l’approccio “brauronocentrico”, pur non venendo esplicitamente criticato, ma anzi accettato in alcune sue acquisizioni, è di fatto accantonato. Nell’articolo di Viscardi dedicato alla lettura complessiva dei caratteri di Artemide Munichia il tema della connessione con il rito dell’arkteia e con il santuario di Brauron non compare34. Esso è presentato, nelle sue linee problematiche essenziali (ma senza entrare nel merito), nel lavoro dedicato più nello specifico all’analisi del complesso mitico centrato sulla figura di Baros/Embaros35. Da parte sua, Kalogeropoulos riconosce il ruolo delle scoperte di Brauron nel definire la speciale connessione, all’interno del sistema religioso dell’Attica, tra il culto di Artemide e il passaggio tra l’infanzia e l’età adulta e riconosce la “gemellarità” di Brauron e Munichia, pur sollevando il problema delle fonti36.   Su questa linea vedi ad esempio Arrigoni 1985, p. 103; Dowden 1991, p. 41; Giuman 1999, pp. 114-119 (che ipotizza un processo di trasformazione in sacerdozio, riprendendo una tesi già formulata da U. Pestalozza). 31   Basti ricordare le argomentazioni (di cui si darà conto negli appositi capitoli) presenti in KONTIS 1967, pp. 188-189; Brelich, pp. 246-263; Brulé 1987, pp. 179-224 e pp. 310-323; Antoniou 1990, pp. 192-205 (“separatista” su Brauron e Halai Araphenides, pp. 207-208); Giuman 1999, 180195. 32  Vedi Travlos 1976. 33  Vedi Hollinshead 1980, pp. 106-12. 34  Vedi Viscardi 2010a. 35  Vedi Viscardi 2010b, p. 42. 36  Vedi Kalogeropoulos 2010, pp. 167-8. 30

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Tuttavia nello studio specifico sul santuario di Halai Araphenides, di cui pubblica per la prima volta i materiali e le strutture, si vale di una comparazione archeologica assai ampia con altri santuari regionali, tra cui si annovera anche Brauron, senza però assegnare a quest’ultimo alcun ruolo privilegiato, neppure nella presentazione dei krateriskoi37. Lo studioso peraltro concentra la propria attenzione più che sulla relazione tra Halai e il contiguo santuario di Brauron sulla relazione tra Halai e la polis individuando il riflesso della “statalizzazione” del culto nelle parole che Atena (divinità poliade) rivolge a Oreste sull’istituzione del culto nel finale dell’Ifigenia in Tauride (1449-61)38. In questo quadro il santuario con cui è individuato il rapporto più stretto è quello di Atena Nike sul pyrgos dell’acropoli di Atene: alla proposta di lettura del fregio della balaustra della terrazza come allegoria di riti di iniziazione maschili si accompagna la sottolineatura di alcune analogie tra i due luoghi sacri39. Infine, spunti per una riconsiderazione del tema dei santuari “gemelli” di Artemide in Attica in cui l’ineludibile dato della centralità di Brauron risulti conciliato con una specifica analisi delle dinamiche interne a ciascuna coppia sono forniti da due articoli di G. Despinis dedicati alla rilettura di due problematici e discussi reperti brauronii, il cosiddetto rilievo degli dei e l’altare cilindrico decorato a rilievo con scene dionisiache. A partire da tali riletture, l’archeologo introduce, rispettivamente, elementi di rivalità ed elementi di solidarietà nelle relazioni tra i contigui centri cultuali di Brauron e Halai Araphenides40.

 Vedi Kalogeropoulos 2013. Per la presentazione dei krateriskoi vedi in particolare le pp. 272276. 38   Per la lettura complessiva dell’Ifigenia in Tauride come rappresentazione del passaggio dalla fase aristocratica del culto dell’Artemide taurica alla fase democratica del culto della Tauropolos, vedi Kalogeropoulos 2003, pp. 295-297 e soprattutto Kalogeropoulos 2013, 91-138. 39  Vedi Kalogeropoulos 2003, pp. 295-297 e pp. 308-310. 40   Vedi rispettivamente Despinis 2005 e Despinis 2004b. 37

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Nel capitolo precedente si sono mostrate le linee generali dell’approccio “brauronocentrico” allo studio dei santuari di Artemide in Attica, approccio che, legittimato dalle fonti letterarie che presentano tre coppie di santuari con Brauron come membro in comune, ha trovato nuovo impulso e sostegno nella riscoperta archeologica di Brauron. Sembra dunque opportuno dedicare un capitolo all’esposizione dello stato attuale delle conoscenze e delle problematiche relative a tale luogo sacro, dato che esso, anche solo per la ricchezza della documentazione disponibile, rappresenta un imprescindibile punto di riferimento nell’indagine della topografia sacra artemidea regionale e non. Come si è detto (supra, p. 14), le particolari condizioni del sito hanno favorito il mantenimento delle sue articolazioni spaziali e la conservazione di diversi edifici e strutture, nonché di moltissimi reperti, anche in materiale deperibile e dunque particolarmente rari1. Da un lato ciò complica e allunga il lavoro di pubblicazione2, per il quale lo stesso Papadimitriou aveva costituito una vera e propria squadra di esperti, che si è dovuta misurare con problemi di diverso tipo3, dall’altro accresce l’attesa e le aspettative per questa pubblicazione.   A titolo di esempio si può citare un aulos in osso, oggetto di un dettagliato studio ricostruttivo: vedi Landels 1963. 2   Per lo stato attuale della pubblicazione vedi supra, nota 9, p. 15 e infra, nota 3. 3   Come dichiarano a più riprese nei loro articoli i diretti interessati, la squadra era costituita da G. Despinis per la scultura lapidea, L. Kahil per la ceramica, D. Peppas Delmousou per le iscrizioni, V. Mitsopoulos Leon per il materiale fittile. Al momento Despinis ha pubblicato e ristudiato diversi reperti (vedi Despinis 2002 per i grandi rilievi votivi di IV a.C.; Despinis 2004a per frammenti di acroliti identificati con le statue cultuali di Brauron; Despinis 2004b per il cosiddetto altare di Dioniso; Despinis 2005 per il cosiddetto rilievo degli dei e una statua di Oreste xoanophoros). Kahil, 1

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A. Strutture, cronologia e funzioni L’area portata alla luce dagli scavi condotti da Papadimitriou rappresenta una parte del santuario, probabilmente quella centrale sotto il profilo cultuale4. Essa appare compatta, delimitata sul lato nord, est e ovest da un porticato a tre bracci e a sud da una collinetta la cui sommità ospita i resti di un insediamento miceneo. La zona centrale (Tav. I, n. 13) è libera, anche se va precisato che è stata indagata solo per saggi, finalizzati alla localizzazione dell’altare del tempio. Questi ultimi, non coronati da successo, hanno altresì portato alla luce, oltre ad alcuni depositi di materiale votivo, due muri (Tav. I, nn. 2-3), di cui uno (n. 2) databile all’età arcaica e dunque utile per la ricostruzione della cronologia del santuario5. La percezione della compattezza degli spazi è rafforzata dal peculiare sistema di accessi alla corte centrale rappresentato da un passaggio collocato nel braccio occidentale della stoa (Tav. I, n. 12) interrompendo la fila dei vani nonché delle basi disposte presso il muro esterno6 e da due propyla carrabili (Tav. I, n. 16) situati alle estremità di una struttura con portico e corridoio aperto addossata al lato nord della stoa (Tav. I, nn. 14-5) e posta in comunicazione con la corte da uno stretto corridoietto (largo appena 1,20 m) inserito tra il vano e il vano del braccio settentrionale7. Le descrizioni del sito sono numerose8, tuttavia si ritiene opportuno ricordarne le caratteristiche, integrando la descrizione con l’esposizione delle problematiche

prematuramente scomparsa nel 2002, dopo avere pubblicato un catalogo preliminare (Kahil 1963) ha concentrato la propria attenzione sui krateriskoi (Kahil 1965 e Kahil 1977) e sui vasi nuziali (Kahil 1997). Peppas Delmousou ha al momento fornito solo alcune anticipazioni su documenti finanziari (Peppas Delmousou 1988a) e nel 1996 ha pubblicamente denunciato la scomparsa degli appunti destinati alla pubblicazione, vedi SEG XLIII, VII. Mitsopoulos Leon ha pubblicato il volume relativo al materiale fittile di età arcaica (Mitsopoulos Leon 2009). 4   Per la storia dello scavo e i relativi resoconti, vedi supra, p. 14 e nota 9, p. 15. Come si è detto (supra, nota 8, p. 15) tra gli edifici menzionati nel decreto di exetasmos vanno considerati non scavati l’amphipoleion, le stalle, il ginnasio e la palestra, cioè edifici “di servizio”. 5  Vedi Papadimitriou 1956, pp. 73-75 e Papadimitriou 1959, pp. 19-20. Per un rilievo del muro n. 2, lungo circa 30 m, vedi Bouras 1967, pp. 9-13). Sulla cronologia del temenos, e in particolare sull’età arcaica, vedi infra, pp. 35-37. 6   Alcune caratteristiche tecniche del vano, nonché l’interruzione della fila delle basi provano, secondo Ch. Bouras, che l’ingresso faceva parte del progetto originario. Sicuramente successivo è invece il sentiero pavimentato con materiale di reimpiego (tra cui il decreto di exetasmos, vedi supra nota 8, p. 15) che parte dal vano (Bouras 1967, pp. 102-104). Diversamente Papadimitriou (Papadimitriou 1959, pp. 18-19) aveva sostenuto che l’ingresso fosse stato ricavato successivamente alla rovina dei due propyla del complesso porticato addossato al lato nord della stoa (Tav. I, n. 16). 7  Vedi Bouras 1967, pp. 104-105. 8   Vedi ad esempio Papadimitriou 1963, pp. 113-120; Kontis 1967, pp. 166-75; Themelis 1971, pp. 13-27; Hollinshead 1980, pp. 30-41; Travlos 1988, pp. 55-80; Antoniou 1990, pp. 145169; Mylonopoulos, Bubenheimer 1996; Giuman 1999, pp. 22-27; Themelis 2002; Goette 2005; Lippolis, Rocco, Livadiotti 2007, pp. 582-584; Nielsen 2009, pp. 101-112.

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riguardanti l’interpretazione funzionale e la cronologia, data la ricaduta di queste sull’interpretazione dei santuari “gemelli”. Il settore sud-occidentale della corte è dominato dal tempio (Tav. I, n. 1) che sorge su una terrazza artificiale addossata alla collinetta. I resti sono mal conservati, anche a causa del passaggio di una strada sul lato nord. Si tratta comunque di un edificio di non grandi dimensioni, di ordine dorico, prostilo in antis con pronao, cella divisa in tre navate (di cui la centrale è larga il doppio delle laterali) e ambiente chiuso addossato al lato ovest della cella9 (il cosiddetto adyton, variamente intepretato in chiave cultuale o utilitaristica)10. La ricostruzione dell’alzato (numero di colonne sulla fronte ed elementi divisori della cella) è discussa11, così come del tutto aperta è la questione della decorazione scultorea. Di quest’ultima si è proposto di identificare due frammenti, un torso femminile, forse raffigurante la stessa Artemide12, interpretato come acroterio e una testa caprina, interpretata  Vedi Papadimitriou 1948, p. 86 e Papadimitriou 1949, p. 75. Si veda da ultimo la scheda in Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 582. Dimensioni complessive del tempio (tutte le misure di seguito indicate sono tratte da Papadimitriou 1949, pp. 75-76): 19,90 x 10,35 m. Dimensioni della cella: 8,95 x 5,60 m. Ampiezza navata centrale: 2.80 m. Ampiezza navate laterali: 1,40 m. Profondità del pronao: 2,45 m. Larghezza del muro divisorio del cosiddetto adyton: 1,40 m. Profondità del cosiddetto adyton: 3,45 m. L’ordine è deducibile dai frammenti architettonici rinvenuti nell’area circostante: vedi Papadimitriou 1948, p. 86; Papadimitriou 1949, p. 76; Orlandos 1961, p. 20. Due rocchetti di colonna sono stati collocati sul lato orientale del tempio, presunta fronte (sulla possibilità di una fronte occidentale vedi Mitsopoulos Leon 2009, p. 7). 10   L’ambiente, in quanto considerato caratteristico dei culti “ctonii” è stato associato al culto di Ifigenia da Travlos (Travlos 1976, testo su cui si tornerà infra, p. 110). In quanto riservato e nascosto, l’adyton è stato da altri considerato appropriato per il rito dell’arkteia: vedi Perlman 1989, pp. 121-126 (mimesi del letargo dell’orsa); Nielsen 2009, pp. 110-111 (reclusione iniziatica). La funzione utilitaristica (conservazione di oggetti votivi, in particolare preziosi) è sostenuta soprattutto da Hollinshead in polemica con Travlos (vedi in particolare Hollinshead 1985) e anche su un piano metodologico più generale (Hollinshead 1999). A metà strada tra le due posizioni estreme si colloca Cole (Cole 2004, pp. 200-201) secondo cui l’adyton avrebbe custodito la statua taurica in quanto pericolosa. 11   Papadimitriou non si pronuncia mai sul numero della colonne in antis. Travlos, in un primo tempo, ne inserisce quattro (Travlos 1976, p. 205), poi riduce il numero a due (Travlos 1988, p. 55 e fig. 58, p. 61). All’estremo opposto, E.L. Schwandner (Schwandner 1985, fig. 71, p. 111) ne inserisce addirittura sei. La ricostruzione con due colonne è esplicitamente rifiutata da J. Mylonopoulos e F. Bubenheimer per motivi statici (Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, nota 37, p. 13) mentre è preferita da E. Lippolis, M. Livadiotti e G. Rocco (Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, nota 60, p. 282) per le dimensioni della fondazione e del fregio, i cui frammenti giacciono nell’area del tempio. Quanto alla divisione della cella, Papadimitriou (Papadimitriou 1949, pp. 75-76) si dichiara incerto se la cella era divisa da muri o colonne. In seguito viene generalmente accettata la ricostruzione di Travlos (Travlos 1976, p. 205) con due file di due colonne. 12  La scultura è stata rinvenuta nel 1960 presso il podio in poros (Tav. I, n. 4) ed è da subito stata interpretata come acroterio (vedi Orlandos 1960, p. 24). A riguardo però Hollinshead (Hollinshead 1980, nota 22, p. 291) riporta il parere di B.S. Ridgway secondo cui l’utilizzo come acroterio di una statua raffigurante la divinità titolare del tempio è del tutto inusuale. 9

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come gocciolatoio o come acroterio13. I due frammenti peraltro potrebbero non appartenere alla medesima fase cronologica dell’edificio14. Si ritiene infatti che esso abbia subito diversi rifacimenti, anche se la ricostruzione della loro sequenza non è esente da problemi. Le fondamenta portate alla luce da Papadimitriou si presentano sovrapposte, almeno parzialmente, a una struttura databile al VII a.C., di cui è emersa parte del pavimento nella cella15. Il carattere sacrale della struttura sembra provato da un bothros con materiali coevi (ceramiche, oggetti preziosi e semipreziosi, figurine fittili) rinvenuto presso l’angolo sud-orientale del tempio16. Intorno alle fondamenta portate alla luce da Papadimitriou sono sparsi resti della decorazione architettonica di un tempio di ordine dorico di età arcaica, anche se i frammenti di cornice mostrano interventi di V a.C. In particolare, i resti di età arcaica sono databili al 575-50 a.C. e, di conseguenza, rappresentano una conferma archeologica della notizia contenuta nella redazione completa del lemma del Lexicon di Fozio scoperta nel codex Zavordensis 95 secondo cui Pisistrato (originario di quello che sarebbe poi stato il demo di Philaidai)17 aveva curato un allestimento del santuario brauronio18. È probabile che le fondamenta appartengano alla medesima fase dei frammenti architettonici dell’alzato19. La notizia di Pausania sull’asportazione della statua taurica da Brauron a opera di Serse (III 16.7 e VIII 46.3)20, sebbene contraddetta dal medesimo autore che 13  La scultura è stata rinvenuta nel 1959 a ridosso della terrazza del tempio. Papadimitriou (Papadimitriou 1959, p. 19) la interpreta come acroterio, mentre Orlandos (Orlandos 1959, p. 16) ritiene che si tratti di un gocciolatoio. 14   Entrambe le sculture sono attribuite a un restauro di V a.C. da Lippolis, Livadiotti e Rocco (Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 583). La statua di Artemide è però collocata da Giuman (Giuman 1999, p. 24 e nota 37, p. 39) nel IV a.C., con il sostegno di numerosi confronti. Non risultano datazioni specifiche della testa caprina. 15   I resti sono emersi nel corso della pulitura eseguita nel 1955 alla ripresa delle campagne di scavo dopo l’interruzione (dal 1950) dovuta a impegni di Papadimitriou a Micene. La datazione è dedotta dalle ceramiche, datate prevalentemente alla metà del VII a.C., anche se sono presenti frammenti risalenti all’ultima parte dell’Età Geometrica (vedi Papadimitriou 1955, p. 118; cfr. Orlandos 1955, p. 33, che scende all’inizio del VI a.C.). 16  Vedi Papadimitriou 1949, p. 79. Sulle figurine fittili vedi Mitsopoulos Leon 2009, p. 6 e pp. 98-99. A poca distanza, nel 1956, viene portata alla luce una porzione di muro (al di sotto di un muro datato al IV a.C.) che, proprio sulla base del bothros, viene attribuito da Orlandos al predecessore del tempio (Orlandos 1956, p. 25; cfr. Papadimitriou 1956, p. 75, dove la relazione non è posta). 17   Vedi Plu. Sol. 10.3. 18   Per la datazione dei frammenti architettonici vedi Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 193; nota 62, p. 282,. Per l’edizione del codex Zavordensis 95 vedi Theodoridis 1982 (cfr. recensione Degani 1987). Per le ricadute del lemma sulla storia del culto di Artemide Brauronia vedi Angiolillo 1983. 19  Vedi Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 193. La datazione dei resti, in assenza di elementi guida come, per esempio, frammenti ceramici, è tuttavia controversa, con oscillazioni di circa un secolo tra metà VI a.C. e metà V a.C. (vedi Giuman 1999, p. 22). 20   Per un esame critico della notizia vedi Scheer 2003. Inoltre, secondo Orlandos (Orlandos

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riporta criticamente la tradizione secondo cui essa sarebbe stata presente nel santuario ancora alla sua epoca (I 23.7; 33.1), suggerisce l’ipotesi di un rifacimento del tempio (almeno per la copertura, stando ai frammenti di cornice) successivo all’invasione persiana del 480 a.C. per il quale non è da escludere un intervento di Cimone21. Infatti non solo la casata a cui apparteneva quest’ultimo rivendicava come capostipite lo stesso Philaios figlio di Aiace che, stando a Plutarco (Sol. 10.3), si era stabilito a Brauron diventando anche eponimo del demo22, ma si poneva in stretta relazione con il santuario in quanto la conquista di Lemno ad opera di Milziade era presentata nella propaganda «quasi» come «una risposta ad un’antica violazione del culto di Artemide a Brauron da parte dei Pelasgi»23. Infine, una successiva ristrutturazione, riguardante almeno la decorazione scul1962, p. 28), i due muri di contenimento delle piene rinvenuti nel 1962 tra il ponte (Tav. I, n. 11) e la terrazza del tempio sarebbero stati costruiti utilizzando prevalentemente materiali provenienti dal tempio pre-persiano. 21   Sul possibile intervento cimoniano vedi Montepaone 1979a, p. 355; Despinis 2004a, pp. 292 e 294. Le più recenti prospettive sull’applicazione del giuramento di Platea sono state discusse da P. Vannicelli e Lippolis nell’ambito del seminario Gli Ateniesi e il loro modello di città. Seminari di Storia e Archeologia Greca, Roma 25-26 giugno 2012. Un datazione più bassa, in concomitanza con la costruzione della stoa (425-400 a.C.) è invece suggerita da Mylonopoulos e Bubenheimer (Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, pp. 12-3). 22   Sui Philaidai e Philaios vedi Pherec. FGH I A 3 F 2 (= Hellanic. FGH I A 4 F 22 = Marcellin. Vit. Thuc. 3) ed Hdt. VI 35.1. Cautela sull’identificazione dei Philaidai come genos è espressa da R. Parker (Parker 1996, pp. 316-317) per il fatto che Erodoto (VI 35.1) si riferisce alla sola casata ( ) di Milziade e che l’unica menzione del genos dei Philaidai si trova in Diogene Laerzio (X 1) a proposito di Epicuro. Per Philaios e il demo di Philaidai vedi Plu. Sol. 10.3. Da tale testo e dai legami (stretti quanto ambivalenti) con i Pisistratidi (Hdt. VI 103) viene dedotto che la casata di Cimone proveniva dal demo di Philaidai: vedi ad esempio Giuman 1999, p. 55 e, più sfumato, Lavelle 2005, p. 21. Il riferimento da parte di Erdas (Erdas 2002, pp. 133-134) a Schol. Ar. Av. 872 come elemento a sostegno della provenienza dei Philaidai da Brauron va, molto probabilmente, accantonato. Infatti l’elencazione riportata nel testo ( < > , “gli abitanti di Myrrhinous invocano Artemide Kolainis, come appunto quelli del Pireo invocano la Mounychia e quelli di Philaidai invece la Brauronia”) comprende due demi, dunque anche Philaidai va interpretato come nome del demo (vedi anche infra nota 98, p. 40) e non come nome del casato di Cimone. 23   Erdas 2002, pp. 133-134. Si fa riferimento a Hdt. VI 137-40, dove la narrazione dell’episodio occupa un intero capitolo (138). Altre fonti sono Philoch. FGH IIIB 328 F100 (= Scholia in Lucianum Katapl. 25 Rabe); Philoch. FGH IIIB 328 F101 (= Scholia in Homeri Iliadem A 594); Plu. Mor. 247; Zen. III 85. Secondo L. Beschi (Beschi 2002) la propaganda cimoniana su Brauron sarebbe veicolata anche dalla decorazione del tempietto ionico dell’Ilisso, attribuito ad Artemide Agrotera, la divinità connessa alla celebrazione della vittoria di Maratona e dunque all’altra grande impresa del padre Milziade: sulle lastre D ed E sarebbe raffigurato proprio il ratto delle donne dal santuario. Sui Philaidai e Brauron vedi anche Montepaone 1979a, pp. 353-356, dove viene riconosciuto alla famiglia un ruolo chiave nella “promozione” del culto: all’epoca di Cimone viene infatti attribuita, oltre alla costruzione del tempio dorico di Brauron anche la sistemazione del Brauronion (cfr., rispettivamente, supra, p. 24 e infra, pp. 61-64).

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torea, potrebbe essere collocata nel IV a.C., se si accetta l’identificazione del già ricordato torso femminile come acroterio24. Presso l’angolo nord-occidentale della terrazza del tempio si trova una fonte da cui scaturisce un corso d’acqua che si immette nell’Erasino, situato a nord del temenos. L’area presenta tracce di intervento finalizzate all’incanalamento e all’accessibilità delle acque e dunque forse a una funzionalizzazione rituale della fonte stessa. Lo scavo è però stato parziale, perché il ritrovamento di una stipe votiva molto cospicua (considerata indizio forte della sacralità del luogo) ha richiesto la concentrazione dell’impegno sui materiali: nel resoconto si dichiara infatti di avere trovato migliaia di oggetti, delle più diverse categorie, rapidamente esemplificate, databili tra VII e il 480 a.C., quindi anche di grande interesse storico come (in realtà solo presunta) “colmata persiana” locale25. Nel settore sud-orientale della terrazza del tempio si trovano alcuni gradini scavati nella roccia che portano al livello della collinetta attualmente occupato dalla chiesetta di Hagios Georgios (Tav. I, n. 5)26. La presenza di tagli nella roccia sia all’esterno sia all’interno di quest’ultima suggerisce una frequentazione antica dell’area e l’esistenza di una struttura27, a cui si potrebbe riconnettere anche l’alto podio in blocchi di poros addossato al lato occidentale della terrazza e comprendente anche parte della sottostante terrazza del tempio (Tav. I, n. 4)28. Il podio presenta infatti una serie di gradini nell’angolo sud-occidentale che rappresentano un accesso autonomo allo spazio sovrastante29. Non è da escludere che qui si trovasse un secondo  Vedi Giuman 1999, p. 24.  Vedi Orlandos 1961, pp. 30-32. Sull’interpretazione della stipe come locale “colmata persiana” vedi Orlandos 1961, p. 34 (cfr. infra, p. 37). Sul possibile ruolo rituale della fonte vedi Giuman 1999, pp, 124-125. 26  Vedi Papadimitriou 1948, p. 86. 27   I tagli erano già stati osservati da L. Ross (Ross 1847, p. 225). Un accurato rilievo, con fotografie, è presentato da H.R. Goette (Goette 2005, pp. 27-28). 28   Dimensioni: 16,50  x  8 m (da Themelis 2002, p. 104). La struttura e l’area sottostante sono state indagate a più riprese nel corso delle campagne di scavo: vedi Papadimitriou 1948, p. 86; Papadimitriou 1949, p. 77; Papadimitriou 1956, p. 75; Papadimitriou 1959, p. 19; Orlandos 1960, p. 24. 29   La funzione della struttura non è chiara, come testimonia anche la varietà della terminologia con la quale viene designata: “muro di sostegno” (Papadimitriou 1956, p. 75); “forte zoccolo” (Travlos 1988, p. 55); piattaforma (Giuman 1999, p. 27); “terrazza” (Ekroth 2003, p. 105). Si è presa in considerazione l’idea che il podio sostenesse un edificio, forse una seconda stoa o un edificio di servizio (Papadimitriou 1956, p. 75). In alternativa, viene proposta una connessione con la contigua fonte sacra (Giuman 1999, p. 27; Ekroth 2003, p. 105; Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 583) o con la struttura (tempio?) situata nell’area poi occupata da Hagios Georgios. Quest’ultima ipotesi, già presa in considerazione (vedi Themelis 1971, p. 15) è sviluppata soprattutto da Despinis (Despinis 2004a, pp. 307-310) che presenta il parallelo stingente del santuario di Artemide Delia a Paro. Egli non esclude che entrambi i templi fossero orientati verso ovest, in connessione con il carattere lunare di Artemide, e suggerisce, con le dovute cautele, una relazione tra il carattere appartato dell’area (accessibile solo dalla terrazza del tempio e dai gradini del podio) e la ritualità (arkteia?). 24 25

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tempio del santuario, la cui esistenza è resa fortemente plausibile dal fatto che, stando alla convincente ricostruzione proposta da Despinis, sulla base dei frammenti da lui identificati tra i materiali lapidei emersi dallo scavo30, nel temenos si trovavano contemporaneamente sei statue di culto e dalla menzione di un parthenon distinto dal “tempio antico” nella lista di edifici contenuta nel decreto di exetasmos31. Il settore sud-orientale della corte è dominato da un edificio a due vani di pianta quadrangolare (Tav. I, n. 6), forse raccordato con il tempio da un corridoio. La presenza di un ampio focolare al centro del vano più interno è considerata prova della sua funzione sacrale, da cui la denominazione convenzionale di “piccolo tempio”32. L’edificio chiude l’accesso a una serie di cinque piccoli ambienti a pianta quadrangolare, raccordati tra loro e situati in un corridoio naturale formato dalla collinetta dell’insediamento miceneo e da uno sperone roccioso (Tav. I, n. 7), forse originariamente uniti a formare una grotta33. I due ambienti più orientali sono leggermente sopraelevati. In tutti sono state trovate tracce di focolari, mentre il penultimo procedendo verso sud ha restituito un complesso sistema di pozzi riempiti di terriccio34. L’accesso alla serie di ambienti è chiuso, oltre che all’estremità nord-ovest dal “piccolo tempio”, anche all’estremità sud-est da una struttura a due vani aperta verso nord (Tav. I, n. 8). Il vano settentrionale è molto più ampio di quello meridionale, che si presenta direttamente addossato alla parete della collinetta, senza muro di fondo35. Quest’ultimo elemento, unitamente all’assenza di tracce della copertura  Vedi Despinis 2004a.   Vedi SEG LII 104, ll. 2-3 “il tempio, quello antico (?) e il Parthenon”. Sull’identificazione del Parthenon con lo scomparso secondo tempio, vedi Despinis 2004a, pp. 296-299, secondo cui esso sarebbe cronologicamente successivo a quello attualmente visibile. Una tesi opposta era stata sostenuta da Themelis (Themelis 1986, pp. 230-2), il quale poi l’aveva abbandonata (vedi Themelis 2002, pp. 114-115, dove il Parthenon è identificato con l’adyton della cella; per tale ipotesi vedi Kahil 1977, pp. 96-97; Hollinshead 1985, pp. 48-51; Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, pp. 12-13). Va osservato che i materiali segnalati come provenienti dall’area del podio sono tutti del V a.C.: vedi Papadimitriou 1956, p. 75; Papadimitriou 1959, p. 19. Infine, sul Parthenon come residenza delle arktoi identificata con la stoa, vedi Orlandos 1961, pp. 25-26 e Themelis 1971, p. 19. Cfr. Themelis 1986 e infra, p. 30. 32   Dimensioni complessive: 7,79 x 4,45 m (Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 583). Profondità vano esterno: 2,60 m. Profondità vano interno: 4,65 m. Dimensioni del focolare: 2,35 x 1,25 m (Papadimitriou 1949, p. 83). Presunto corridoio di raccordo: Papadimitriou 1950, p. 173. 33   Emblematica è la cautela con cui J.M. Wickens introduce la trattazione del sito di Brauron nella sua dissertazione dottorale sull’uso delle grotte in Attica (Wickens 1986, pp. 63-64). 34   Esplorazione dell’area: Papadimitriou 1955, p. 119; Papadimitriou 1956, p. 75; Papadimitriou 1957, pp. 42-45; Wickens 1986, p. 64; Ekroth 2003, p. 77. Dimensioni totali: 4 x 15 m (Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 583). Profondità ambiente più occidentale (A): 4 m. Dimensioni ambiente G: 2,05 x 1,98 (Orlandos 1957, p. 20). Dimensioni ambiente D: 5 x 3,5 m (Wickens 1986, p. 64). Dimensioni ambiente E: 3 x 2,75 m (Wickens 1986, p. 64; cfr. Ekroth 2003, p. 77: 3 x 3 m). 35   La struttura è stata parzialmente indagata durante la campagna del 1950: vedi Papadimitriou 1950, pp. 175-177. Lavori di pulitura con il ritrovamento di reperti ceramici sono segnalati per il 30 31

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evidenziata in un recente rilievo36, apre la possibilità che la struttura fosse un semplice recinto aperto. Il complesso situato nel settore sud-orientale rappresenta l’elemento più problematico dell’intero temenos, sia per quanto riguarda la cronologia sia per quanto riguarda le funzioni. La cronologia è plausibilmente individuabile in termini relativi: il “piccolo tempio” e la struttura di sud-est sembrano successivi ai cinque ambienti quadrangolari, poiché, apparentemente, sbarrano l’accesso a questi ultimi che, a loro volta, mostrano almeno due fasi costruttive, dato che alcuni muri sono sovrapposti a focolari37. Più difficile fornire una cronologia in termini assoluti: l’area del “piccolo tempio” e dei vani quadrangolari è stata infatti trovata ingombra di massi38, cosa che lascia logicamente supporre un’alterazione della stratigrafia rendendo problematiche datazioni basate sui reperti o sulla tecnica costruttiva. Non è dunque possibile affermare l’alta antichità dei vani quadrangolari39, dedotta da reperti ceramici risalenti al VII a.C., né stabilire se il “piccolo tempio” vada datato al V a.C. o all’età di Pisistrato, come è stato suggerito sulla base appunto della tecnica costruttiva40. Le medesime osservazioni valgono per le funzioni. La già ricordata sovrapposizione di muri su focolari rappresenta un indizio di una trasformazione d’uso dei vani quadrangolari, che dunque non avrebbero sempre assolto un’unica funzione poi trasferita al “piccolo tempio”; tuttavia le alterazioni plausibilmente dovute ai crolli non permettono di utilizzare reperti o elementi strutturali per definire i termini di tale trasformazione. Ancora meno chiaro è il collegamento con la struttura sud-orientale, ma è certo che quest’ultima non era collegata con le tre sepolture rinvenute nelle vicinanze: due di esse sono infatti databili a un’epoca in cui, almeno la parte bassa del temenos, dove si trova anche il complesso sud-orientale, era in abbandono. Non è dunque possibile accettare la ricostruzione proposta da Papadimitriou e largamente seguita, secondo cui i vani quadrangolari in quanto originariamente situati in grotta e ricchi di reperti pertinenti alla vita femminile vanno identificati con l’heroon di Ifigenia, la cui esistenza è attestata dal finale dell’Ifigenia in Tauride di Euripide (14627 dove Atena profetizza a Ifigenia, destinata a essere kledouchos del santuario, che, 1955: Papadimitriou 1955, p. 118. Una nuova ricognizione è stata compiuta da Lippolis, Livadiotti e Rocco (vedi Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, pp. 583-4). Dimensioni: 6,35  x  8,48 m (Papadimitriou 1950, p. 175; cfr. Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 583: 4,45 x 7,75 m). 36  Vedi Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, pp. 583-584. 37   Si tratta dei muri divisori degli ambienti A e B e degli ambienti B e G. L’ambiente B risulta pertanto inserito in un secondo momento: vedi Papadimitriou 1957, pp. 42-44. 38  Vedi Papadimitriou 1949, pp. 81 e 83; Papadimitriou 1955, p. 119. 39  Sull’antichità dei vani quadrangolari vedi ad esempio Papadimitriou 1957, p. 45; Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, p. 16; Giuman 1999, p. 27. Dall’area proviene il più antico reperto del catalogo provvisorio di Kahil (Kahil 1963, p. 7) datato al 600 a.C. circa. 40   Datazioni al V a.C.: vedi ad esempio Papadimitriou 1956, p. 75; Themelis 1971, p. 25; Corso 1986, p. 169 (attribuzione periclea); Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 583 (dopo 480 a.C.). Datazione al VI a.C.: Giuman 1999, p. 26.

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una volta morta, avrebbe ricevuto presso la sua tomba le vesti tessute dalle donne la cui vita si è spezzata durante il parto)41, il “piccolo tempio” con un nuovo heroon costruito dopo il crollo della grotta (metà V a.C.), la struttura sud-orientale con la residenza delle sacerdotesse contigua all’heroon, le tombe con sepolture di sacerdotesse42. Non vi sono altresì argomenti per sostenere nessuna delle proposte alternative, compresa quella più sistematicamente costruita contro la tesi di Papadimitriou, avanzata da G. Ekroth, secondo cui vi sarebbe stato un succedersi di hestiatoria, poi tutti definitivamente trasformati in depositi di oggetti votivi dopo la costruzione della stoa che ne aveva assorbito le funzioni43. I lati nord, ovest ed est della corte sono racchiusi da un porticato che per la sua pianta a tre bracci (Tav. I, n. 13) viene spesso convenzionalmente indicato come stoa a P. Il porticato è di ordine dorico, con colonne e triglifi in poros, capitelli e metope in marmo, copertura in materiale fittile. Per la tecnica costruttiva la stoa viene datata agli anni Venti del V a.C.; inoltre si assume come terminus ante quem un inventario datato all’arconte Arimnestos (416/5 a.C.) rinvenuto presso il braccio orientale. Essa rappresenta dunque il più antico esemplare noto della sua tipologia architettonica44. Poiché è stato possibile ricostruire solo il colonnato settentrionale fino all’angolo con i due lati est e ovest, si ritiene che l’edificio sia rimasto incompiuto, e se ne trova un’immediata spiegazione storica nella situazione di Atene all’indomani della spedizione di Sicilia. Il lato occidentale e quello settentrionale ospitano una serie di ambienti a pianta quadrata, ad eccezione di quello situato all’estremità meridionale del braccio ovest e all’estremità occidentale del braccio nord che presentano una pianta rettangolare allungata. Non sono state trovate tracce di un’analoga sistemazione nel braccio orientale e resta ignoto se essa fosse originariamente prevista. Gli ambienti a pianta quadrata conservano al loro interno mense con base in poros e tavola in marmo, nonché, sul pavimento, fori per l’infissione di klinai lignee, la cui lunghezza è stimata a 1,77 m. Ciascun   Per il testo vedi infra, p. 100.  Vedi Papadimitriou 1956, pp. 76-77; Papadimitriou 1957, pp. 44-45; Papadimitriou 1963, p. 115. La tesi è integralmente accettata da diversi studiosi: vedi ad esempio Kontis 1967, p. 166; Themelis 1971, p. 24; Travlos 1976, p. 198; Travlos 1988, p. 55; Kahil 1977, p. 96; Antoniou 1990, pp. 146-148. Altri, pur accettando il collegamento dell’area con il culto di Ifigenia, sollevano dubbi su diversi punti specifici: vedi ad esempio Wickens 1986, pp. 67-70; Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, pp. 583-584. 43  Vedi Ekroth 2003, pp. 78-84 (parte di una più ampia argomentazione contro la reale presenza cultuale di Ifigenia a Brauron). Come ulteriori ipotesi alternative a quella di Papadimitriou si possono ricordare quella di P. Perlman (Perlman 1989, pp. 123-124), secondo cui la grotta avrebbe ospitato le arktoi che imitavano il letargo dell’orsa e quella di Mylonopoulos e Bubenheimer (Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, p. 16) i quali, invece dell’heroon di Ifigenia, ipotizzano un ancestrale luogo di culto di una divinità ctonia poi soppiantata da Artemide. Va osservato che entrambe sono inficiate dai dubbi sulla presenza della grotta in corrispondenza dei vani quadrangolari. 44  Vedi Bubenheimer, Mylonopoulos 1996, p. 59; Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, pp. 468-470. 41 42

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vano poteva ospitare undici lettini45. In base al ritrovamento di numerose statue di bambine integre e frammentarie, da lui identificate con certezza con le arktoi, Papadimitriou interpreta l’edificio come alloggio per le “orse”46. In realtà, già a partire da Ch. Börker, autore della recensione al volume di Ch. Bouras sull’anastilosi dell’edificio, viene suggerito che le ridotte dimensioni delle klinai non siano da collegare a una frequentazione infantile, ma allo svolgimento di banchetti47. Numerosi paralleli attici e non48 hanno successivamente fornito ulteriori elementi a sostegno di quest’interpretazione. Oggi c’è consenso nel ritenere che i vani quadrati ospitassero un gruppo privilegiato di partecipanti al banchetto rituale che seguiva i sacrifici in onore della divinità, plausibilmente in occasione della festa più importante ad essa dedicata, i Brauronia. Questi ultimi erano la festa penteterica organizzata da Atene nel santuario di Brauron e molto probabilmente erano aperti da una processione che partiva dalla polis (forse dal Brauronion dell’acropoli?)49. Il gruppo privilegiato è dunque plausibilmente identificabile con rappresentanti del corpo civico, eventualmente ripartiti per demi e/o tribù. Il numero dei posti disponibili negli ambienti quadrati è infatti novantanove, a cui si vanno ad aggiungere sette o nove posti situati nell’ambiente rettangolare del braccio ovest, anche se le tracce dell’allestimento non sono chiare50, mentre è da escludere che l’analogo ambiente del braccio nord contenesse letti51. La funzione di rappresentanza della stoa trova conferma nel rinvenimento nel porticato settentrionale di una serie di basi per stele

  Lunghezza braccio nord: 49 m. Lunghezza braccio ovest: 49,40 m. Lunghezza braccio est: 72,50 circa (ultimi metri limitati al muro esterno). Ampiezza della corte: 27 x 24 m. Dimensioni dei vani quadrati: 6,10 m lato. Dimensioni dei vani rettangolari: 6,10 x 4 m. Per l’analisi dettagliata dell’edificio nelle sue diverse componenti vedi Bouras 1967, pp. 17-122. Per una discussione dettagliata sulla cronologia vedi Bouras 1967, pp. 149-159. 46  Vedi Papadimitriou 1950, pp. 186-187; Papadimitriou 1963, p. 118. A una frequentazione infantile, anche se non da parte delle arktoi data la presenza e addirittura la prevalenza di statue maschili, pensa anche Kontis (Kontis 1967, pp. 180-181). Coerentemente con la sua lettura del santuario, polarmente diviso tra l’olimpica Artemide e la ctonia Ifigenia, egli ritiene che la stoa fosse una sorta di orfanotrofio destinato ai figli delle donne morte di parto le cui vesti si trovavano esposte nel contiguo portico settentrionale. 47  Vedi Börker 1969, pp. 805-806. 48   Vedi, rispettivamente, Lippolis 2012 e Leypold 2008. 49   La cadenza penteterica dei Brauronia e il loro carattere ateniese risultano da un passo di Aristotele (Ath. 54.7) secondo cui essi erano tra le penteteridi organizzate da hieropoioi appositamente nominati dalla polis. Lo svolgimento della festa a Brauron è terstimoniato da una laconica glossa di Esichio ( ) in cui si ricordano le esibizioni dei rapsodi e il sacrificio di una capra. Sulla theoria e sul testo di Esichio vedi rispettivamente infra, pp. 54-57 e pp. 35-36; p. 63. 50  Vedi Themelis 1986; Giuman 1999, pp. 156-159; Lippolis 2012. Cfr. comunque Simon 1983, p. 86 e Corso 1986, p. 170 che ancora collegano l’edificio al soggiorno delle arktoi. 51  Vedi Orlandos 1961, p. 26, secondo cui l’ambiente era una guardiola, e Travlos 1988, p. 55 secondo cui era un deposito di oggetti votivi preziosi. Entrambe le ipotesi sono collegate alla contiguità con il complesso porticato addossato al lato nord della stoa. 45

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e oggetti votivi, interrotta solo dalla soglia dei vani52. Tra gli oggetti votivi, oltre alle lastre marmoree a rilievo53, vanno comprese anche le statue di bambine sia per la presenza, forse altrettanto (o addirittura più) numerosa, di statue maschili, sia perché si tratta di sculture rinvenute in altri santuari (come ad esempio quello di Apollo a Delfi) in nessun modo collegati all’arkteia54. In ogni caso, non è da escludere che un edificio di tale impegno costruttivo e importanza nell’assetto spaziale del temenos avesse più funzioni55. Il già ricordato corridoietto situato tra i vani z ed h del braccio settentrionale mette in comunicazione la corte e la stoa con una struttura addossata al braccio nord stesso. Essa presenta all’estremità occidentale e orientale due propyla (Tav. I, n. 16) a doppio sbarramento con elemento centrale in marmo destinato a sostenere una colonna verso l’esterno e un pilastro verso l’interno. I propyla immettono in un lungo e stretto spazio aperto (Tav. I, n. 14) su cui si affaccia uno stretto portico, probabilmente a pilastri poligonali (Tav. I, n. 15). Al centro del portico c’è una fila ininterrotta di trentasette basi in poros formate da coppie di blocchi paralleli e collegati da cubetti dello stesso materiale56. Tali basi erano evidentemente destinate a sostenere un altro elemento, molto probabilmente pannelli lignei, dato che non sono segnalati frammenti lapidei. Sulla destinazione di tali pannelli sono state fatte le ipotesi più diverse. La meno plausibile sembra quella collegata a mangiatoie per cavalli, se si considerano la ristrettezza degli spazi, la vicinanza delle sale da banchet  Anche basi e stele sono state oggetto di anastilosi e sono visibili in situ: vedi Bouras 1967, pp. 140-148. 53   Sul rinvenimento di cinque rilievi, di cui quattro di lunghezza superiore al metro, vedi Orlandos 1958, pp. 35-38. Si tratta del rilievo di Aristonike, del rilievo con Artemide seduta e il cervo, del rilievo con la triade delia (vedi Despinis 2002) e del cosiddetto rilievo degli dei. Quest’ultimo però probabilmente non era originariamente collocato nella stoa (vedi infra, pp. 118-119). 54   Sulle statue infantili e il loro significato vedi in generale Vorster 1983. 55   Un’ipotesi polifunzionale (seppure poco convincente nei contenuti) è stata proposta da A.I. Antoniou (Antoniou 1990, pp. 167-168) secondo cui oltre ai banchetti, l’edificio avrebbe ospitato bambini deboli e malati da affidare ad Artemide come kourotrophos. Polifunzionale è anche la lettura proposta da Bubenheimer e Mylonopoulos (Bubenheimer, Mylonopoulos 1996, pp. 50-59), secondo cui essa avrebbe ospitato banchetti, spettatori ai riti che si svolgevano nella corte e, al secondo piano, le sacerdotesse. Quest’ultima ipotesi è basata su un’interpretazione della lista di edifici del decreto di exetasmos secondo cui oikoi e amphipoleion (SEG LII ll. 3-4) sono da identificare con i vani quadrati e con il piano superiore della stoa, a cui si sarebbe giunti da scale collocate nei vani rettangolari. Simile ricostruzione appare però in contrasto con i rilievi di Bouras sulla copertura della stoa (Bouras 1967, pp. 105-122) e con la segnalazione da parte del medesimo della presenza di una sorta di camino in corrispondenza di tracce di focolari osservate nei vani quadrati (Bouras 1967, pp. 78-79, con la dovuta cautela sulla cronologia). 56   Ampiezza dei propyla: 3,02 m. Larghezza stimata della porte lignee: 2,50 m. Dimensioni della corte aperta: 39,18 x 3,02 m. Dimensioni del portico: 47 x 2,75 m. Lunghezza delle basi: variabile tra 87 cm e 1,13 m. Spazio tra i blocchi paralleli: profondità 80 cm; larghezza 17 cm. Anche il complesso porticato settentrionale è stato oggetto dei rilievi e dell’anastilosi di Bouras. Per tutti i dati vedi dunque Bouras 1967, pp. 122-140. 52

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to della stoa e l’assenza di canalizzazioni destinate alla pulizia57. Poco convincente è anche l’ipotesi relativa all’esposizione di vesti, la cui dedica nel santuario è attestata sia da Euripide (IT 1464-7, per Ifigenia, defunta kledouchos) sia dagli inventari epigrafici58 (apparentemente per Artemide): non solo mancano paralleli, ma gli indumenti sarebbero stati eccessivamente esposti agli agenti atmosferici59. Merita invece di essere presa in considerazione l’ipotesi che ai pannelli fossero affissi leukomata, cioè tavolette imbiancate inscritte, su cui potevano essere registrate (senza che l’una ipotesi escluda necessariamente l’altra) leggi sacre del santuario, liste sacerdotali, i nomi delle ragazze che avevano raggiunto l’età per il rito dell’arkteia60. L’area al di fuori della stoa è stata indagata, come si è detto, solo parzialmente e non è dunque possibile delinearne un quadro complessivo. Il ritrovamento più imponente, effettuato a pochi metri dal braccio occidentale della stoa è un ponte di blocchi di poros in posizione obliqua rispetto al portico (Tav. I, n. 11) e non in assetto con nessuno dei due ingressi occidentali. Il ponte presenta quattro passaggi per l’acqua, di cui i due centrali sono più alti dei laterali, per cui è leggermente convesso. Al di sotto, in parte irregimentato con muri costruiti prevalentemente con materiali arcaici dello stesso santuario, scorre il corso d’acqua alimentato dalla fonte situata nell’angolo nord-occidentale della terrazza del tempio. Il ponte, datato alla metà del V a.C., presenta tracce del passaggio di carri e si è ipotizzato che costituisse la parte finale della strada che collegava il santuario con Atene61. Subito all’esterno del propylon est del complesso porticato addossato al lato nord della stoa è stato casualmente rinvenuto un deposito di materiali ceramici databili a 57   Vedi da ultimo Themelis 2002, pp. 105-107 secondo cui il complesso è da identificare con le stalle menzionate sia nel già ricordato decreto di exetasmos sia in un inventario di arredi sacri rinvenuto nel 1961 nel settore orientale della stoa (vedi Orlandos 1961, pp. 23-24). Cfr. le osservazioni di L. Beschi (Le orse 2002, p. 476). 58   Si tratta delle iscrizioni convenzionalmente note come tabulae curatorum Brauronii vedi infra, p. 50. 59  Vedi Orlandos 1960, p. 25 e Orlandos 1961, p. 29 che attribuisce la dedica a Ifigenia e propone di identificare il complesso con la parastas e il toichos menzionati negli inventari (vedi rispettivamente IG II2 1524, 118 e 1514, 23-24; 1517, 43). L’ipotesi ha avuto consenso: vedi ad esempio BOURAS 1967, p. 124; Kontis 1967, pp. 173-175; Cole 1984, p. 239; Brulé 1987, p. 236; Giuman 1999, pp. 33-34; Beschi in Le orse 2002, p. 476 (attribuzione ad Artemide). Sulla mancanza di paralleli vedi Linders 1972, nota 16, p. 10. Sull’esposizione vedi Ekroth 2003, p. 88. 60  Vedi Linders 1972, nota 16, p. 10; Bubenheimer, Mylonopoulos 1996, pp. 58-60; Ekroth 2003, pp. 88-92. Quest’ultima sostiene decisamente che si trattava della lista delle arktoi ritenendo che l’iscrizione del nome rappresentasse in se stessa un assolvimento dell’obbligo rituale, in realtà compiuto da poche rappresentanti (sul problema vedi già supra, pp. 18-19; vedi anche infra, pp. 59-60 e pp. 127-128). 61   Dimensioni: 9,06 x 9,20. Vedi Orlandos 1962, pp. 25-27. Collegamento con la strada: Daux 1962, p. 681. Estrema la posizione di A. Corso (Corso 1986, pp. 169-170) secondo cui il ponte rappresenterebbe il propylon del santuario dando accesso all’area sacra il cui confine è delimitato dalle acque della sorgente sacra. All’opposto, Bouras (Bouras 1967, p. 104) sostiene che le tracce dei carri risalgano all’età della spoliazioni del santuario in quanto la loro conformazione proverebbe che, quando sono state lasciate, il ponte era già coperto di fango.

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un periodo compreso tra l’Età geometrica e il VII a.C. Non è possibile stabilire se esso vada messo in relazione con il santuario o con un altro luogo sacro62. Alle fasi più antiche del sito rimandano altri ritrovamenti effettuati immediatamente all’esterno del braccio orientale della stoa, comprendenti un capitello in poros e materiali ceramici (VII-VI a.C.)63. Sempre all’esterno del braccio orientale della stoa ci sono i resti di un muro diviso in settori (Tav. I, n. 9)64. Durante lo scavo è stato rinvenuto uno strato ricco di piccoli oggetti votivi, tra cui i più recenti risalgono alla seconda metà del V a.C., a riprova dell’anteriorità della struttura rispetto alla stoa. La funzione dell’edificio a cui il muro apparteneva resta incerta65. L’incertezza è determinata sia dalla mancanza di dati sulla sua reale estensione, sia dalla presenza a est di un muro ancora più lungo, di cui si ignora tutto66, sia dall’assenza di rilievi geologici atti a determinare l’assetto antico dell’area: l’episodio del ratto delle donne ateniesi a opera dei Pelasgi, la poetica definizione del santuario come «marittimo cenotafio di Ifigenia» attribuita a Euforione (ripresa testualmente da Nonno) e l’inclusione di Brauron nella lista straboniana di località costiere, sembrano presupporre che il sito fosse più vicino al mare di oggi67. Infine, nel corso di un saggio finalizzato all’individuazione di un eventuale teatro68, effettuato sulle pendici orientali della collinetta dell’insediamento miceneo, 62  Vedi Orlandos 1961, pp. 28-29. L’archeologo non esclude la pertinenza a un altare o a un’altra struttura sacra distrutta dall’Erasino già durante l’antichità. 63  Vedi Orlandos 1961, p. 21. 64   Lunghezza: 20 m circa. Vedi Orlandos 1962, pp. 30-32. 65   La presenza di una pavimentazione in poros con tracce di solchi di ruote all’estremità settentrionale del muro è stata interpretata da Orlandos (Orlandos 1962, p. 31) come prova che si trattava di un propylon, ulteriormente esteso verso nord. Alle fondamenta del tempio pisistrateo (Phot. s.v. ) pensa invece in un primo tempo S. Angiolillo (Angiolllo 1983, p. 353) che poi abbandona l’ipotesi, identificandolo con il tempio portato alla luce da Papadimitriou (Angiolillo 1997, pp. 85-86). Infine, la presenza di settori ha suggerito l’ipotesi, resa plausibile anche dall’allineamento con il tempio (e con l’altare) che si trattasse di un hestiatorion: vedi Themelis 1986, p. 239 (con ricostruzione grafica) ed Ekroth 2003, pp. 107-108. 66   Lunghezza: 30 m circa. Vedi Orlandos 1962, p. 31. Ipoteticamente diversi studiosi lo attribuiscono al ginnasio o alla palestra menzionati nel decreto di exetasmos (SEG LII ll. 4-5): vedi Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, p. 19; Giuman 1999, p. 36; Ekroth 2003, nota 286, p. 116. 67   Sul ratto delle donne vedi Hdt. VI 138; Philoch. FGH IIIB 328 F100 (= Scholia in Lucianum Katapl. 25 Rabe) Plu. Mor. 247; Zen. III 85. Euforione è citato in Schol. Ar. Lys. 645a. Il verso compare identico (plausibilmente come citazione intenzionale) in Nonno (D. XIII 186). Per la lista dei luoghi notevoli della costa Attica a partire da Capo Sounion vedi Str. IX 1.22. 68   Già fin dalle prima fasi dell’esplorazione del sito, con l’individuazione del sistema di terrazze in corrispondenza del tempio, Papadimitriou riconosce un evidente riferimento alla topografia del santuario nei versi dell’Ifigenia in Tauride / “Quanto a te (Ifigenia) dovrai custodire le chiavi per questa dea presso le venerabili scale di Brauron” (1462-3, dove era peraltro stato emendato in “pianure” da J. Pierson) (vedi Papadimitriou 1948, p. 80). Dopo la scoperta della stoa, cronologicamente vicina alla data della rappresentazione della tragedia, egli matura inoltre la convinzione di una relazione diretta

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in corrispondenza di un’insenatura che avrebbe costituito un punto particolarmente adatto, è emerso un edificio a due vani a pianta rettangolare, che ha restituito soprattutto krateriskoi69. Ciò ha suggerito l’ipotesi di una particolare connessione con le arktoi70, anche se risulta che gli ambienti hanno restituito altra ceramica (di tipo non meglio precisato) ed è dunque preferibile non pronunciarsi sulla funzione della struttura, che del resto è indicata nel resoconto in modo estremamente generico come “piccola casa”71. B. Storia di un santuario La presentazione delle strutture emerse nel santuario di Brauron e la messa a punto delle problematiche legate alla loro cronologia e alle loro funzioni mostrano la grande complessità di tale realtà cultuale, sia sul piano diacronico dell’individuazione delle linee del suo sviluppo, sia su quello sincronico della ricostruzione delle attività rituali. Sembra pertanto opportuno ricapitolare i dati, integrando ulteriori spunti di riflessione di carattere più propriamente storico-religioso. Per quanto riguarda la cronologia del santuario, allo stato attuale delle conoscenze è possibile collocare una prima strutturazione del sito nel VII a.C., almeno per quanto riguarda l’area del tempio: gli elementi cronologici relativi ai cinque ambienti del complesso sud-orientale sono troppo labili72. Sporadici e non meglio contestualizzabili ritrovamenti73 lasciano supporre una frequentazione più antica e comunque una sua intensificazione già nell’VIII a.C. Si tratta di una fase di indubbio interesse per definire il ruolo di Brauron (insieme ai suoi “gemelli” Munichia e Halai) all’interno del più ampio quadro della parte giocata dai santuari nella nascita della polis Atene. Infatti se De Polignac, presentando quella che egli definisce l’«eccezione ateniese», afferma che lo sviluppo dei santuari non-urbani è essenzialtra l’allestimento dell’opera e l’inaugurazione dell’edificio, ipotizzando che il dramma fosse andato per la prima volta in scena a Brauron durante i Dionysia rurali (attestati dalla tradizione scoliastica, vedi infra, p. 55) o addirittura durante i Brauronia (vedi Papadimitriou 1950, p. 185; di parere analogo Giuman 1999, p. 33). 69   Dimensioni: 3,25  x  5,14 (Daux 1962, fig. 23, p. 680). Vedi anche Orlandos 1961, p. 36. L’edificio è qualificato come “piccola casa”. 70   Secondo Ekroth (Ekroth 2003, pp. 110-111) l’edificio avrebbe soppiantato come residenza gli alloggi identificabili con i vani quadrangolari del complesso sud-orientale. Tale ipotesi ha come presupposto il carattere rappresentativo del rito il cui riconoscimento, come si vedrà meglio (vedi infra, pp. 59-60 e pp. 127-128) è discusso. 71  Vedi Orlandos 1961, p. 36. 72  Vedi supra, rispettivamente, p. 24 (pavimento sotto la cella del tempio, bothros di sud-est), p. 26 (stipe votiva presso la fonte sacra) e pp. 28-29 (problemi cronologici del complesso sud-orientale). 73   Ci si riferisce, in particolare, al deposito emerso all’esterno del propylon orientale del complesso porticato addossato al lato nord della stoa, vedi supra p. 33.

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mente un fenomeno di età arcaica e classica74, i più recenti studi di M. Valdés Guía sono orientati, con tutte le cautele del caso, a collocare già alla metà dell’VIII a.C. la configurazione di Brauron (e del “gemello” Halai) come «spazio di riferimento liminare importante per il centro Atene», ipotizzando anche, già a quel tempo, l’esistenza di un legame con le iniziazioni femminili75: Posiblemente desde mediados del s. VIII con el “primer sinecismo” el lugar se convirtió en un espacio de referencia “liminal” importante para el “centro” Atenas. En esos momentos quizás se associò ya a la iniciación femenina, en un contesto más amplio que el de la zona circundante […].

Al 575-50 a.C. si data, stando ai resti architettonici ivi rinvenuti, la costruzione del tempio dorico del santuario. Tale datazione è in linea, come si è già avuto modo ) di dire (supra p. 24) con la ricostituita testimonianza di Fozio (s.v. sull’intervento di Pisistrato: Phot. s.v.

, p. 344 ed. Theodoridis

Brauronia: ad Atene veniva chiamata così Artemide dalla località di Brauron in cui veniva soprattutto venerata. Il posto aveva preso nome da un eroe che veniva chiamato così. E il santuario era presso il fiume Erasino, [santuario] allestito da Pisistrato.

I dubbi avanzati da R. Osborne sulla genuinità di tale testimonianza che, a suo avviso, potrebbe essere stata dedotta dalla tradizione sui natali del tiranno a Philaidai76, risultano dunque, probabilmente, eccessivi. Infatti altri due elementi relativi a Brauron riportano plausibilmente al tiranno: l’esecuzione rapsodica di brani dell’Iliade che secondo Esichio aveva luogo durante i Brauronia e la tradizione locale relativa al sacrificio di Ifigenia, presentata dagli scoli aristofanei come aition dell’arkteia, secondo cui ella sarebbe stata sostituita da un’orsa e non da una cerva77. Hsch. s.v. Brauroniois: alcuni rapsodi cantavano l’Iliade a Brauron [...]

[...].

 Vedi De Polignac 1984, pp. 88-9.   Valdéz Guía 2012, 184. 76  Vedi Osborne 1994, pp. 151-2. 77   Vedi anche EM. s.v. dove la sostituzione con l’orsa è attribuita a Fanodemo. Il nome di quest’ultimo ricompare in Tz. ad Lyc. 183 dove però si parla di trasformazione di Ifigenia. 74 75

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Schol. Ar. Lys. 645a-b ed. Hangard 645 a [...] 645 b Alcuni dicono che i fatti relativi a Ifigenia si sono svolti a Brauron e non ad Aulide. Euforione: «marittima Brauron, cenotafio di Ifigenia». Sembra che Agamennone abbia sacrificato Ifigenia a Brauron e non ad Aulide, e che un’orsa sia stata data al suo posto, non una cerva, per cui celebrano il mysterion per quella.

Il ruolo rivestito dall’epos omerico nella propaganda di Pisistrato è ampiamente riconosciuto: basti ricordare qui l’emblematica sottolineatura erodotea dell’omonimia con Pisistrato figlio di Nestore (Hdt. V 65.3-4)78. Del problema della natura dell’interesse di Pisistrato per il santuario brauronio, se personale, dettato da eventuali tradizioni di genos, o se più ampiamente inseribile nell’ottica di una valorizzazione di culti di importanza già “panattica” si discuterà in seguito, in relazione all’attribuzione al medesimo personaggio dell’istituzione del “gemello” situato sull’acropoli di Atene, il cosiddetto Brauronion (infra, pp. 62-65). Le fondamenta rinvenute nel corso dell’esplorazione della corte della stoa di Brauron alla ricerca dell’altare (Tav. I, n. 2) e i resti di muro suddiviso a settori rinvenuti a est del braccio orientale della stoa (Tav. I, n. 9) per cui si può ragionevolmente supporre una datazione vicina a quella del tempio79, suggeriscono che la costruzione del naos abbia fatto parte di un più ampio progetto di monumentalizzazione del sito, progetto che ne avrebbe plasmato l’assetto anteriore alla costruzione della stoa. Secondo le ricostruzioni proposte80, il limite settentrionale del temenos coincideva con il muro arcaico rinvenuto nella corte della stoa (Tav. I, n. 2) comportando dunque una maggiore centralità e assialità del tempio, a cui era già connessa la fonte sacra. L’edificio di cui rimane il muro a settori (Tav. I, n. 9) veniva a trovarsi di fronte al tempio, lasciando ipotizzare una connessione significativa81. Le tracce di carri rinvenute all’estremità occidentale del medesimo muro per quanto, giova ricordarlo, non databili, fanno intravedere la possibilità di un accesso al santuario da est, privilegiando dunque, apparentemente, un itinerario costiero con l’allettante, quanto indimostrabile,   Per ulteriori considerazioni oltre quelle qui esposte, vedi Giuman 1999, pp. 84-88 e Lavelle 2005, pp. 18-29 (con riflessioni sulla realtà storica del mito). Sulla politica edilizia, culturale e religiosa di Pisistrato e dei suoi figli vedi da ultimo Angiolillo 1997 e relativa bibliografia. Cfr. il bilancio più cauto e critico di R. Parker (Parker 1996, 67-101); Blok 2000; Boersma 2000; Slings 2000; Sancisi-Weerdenburg 2000. Va osservato che il nome di Pisistrato non compare nella ricostruzione cronologica di Ekroth (Ekroth 2003, pp. 104-108). 79  Vedi supra, rispettivamente, p. 24 e p. 33. 80  Vedi Themelis 1986, fig. 1, p. 239; Giuman 1999, pp. 27-29; Ekroth 2003, pp. 104-108. 81   Per le ipotesi relative alla funzione vedi supra, nota 65, p. 33. 78

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prospettiva di un collegamento intenzionale con il “gemello” santuario di Halai, la cui attività in quest’epoca è provata dalla recente pubblicazione di Kalogeropoulos82. Non è chiaro l’assetto del complesso sud-orientale che, secondo alcune osservazioni sulla tecnica costruttiva, vedrebbe in età pisistratea la costruzione del cosiddetto piccolo tempio (supra p. 28). Non vi sono altresì indizi sulla situazione della terrazza oggi occupata dalla chiesetta di Hagios Georgios e del contiguo podio in poros83. Un coinvolgimento del santuario di Brauron nella devastazione dell’Attica ricordata da Erodoto (VIII 50.1) è testimoniato solo dalla notizia di Pausania sull’asportazione della statua taurica ad opera di Serse (III 16.7-8; VIII 46.3), notizia peraltro poco limpida in quanto contraddetta dall’affermazione dello stesso autore secondo cui a Brauron, ancora al suo tempo, si indicava come statua taurica un’antica statua lignea (xoanon) di Artemide (I 23.7; 33.1)84. Le già ricordate peculiari condizioni di Brauron, interessato da crolli nel versante orientale della collinetta dell’insediamento miceneo, da alluvioni nella parte bassa e da spoliazioni, impediscono di trovare tracce archeologiche dell’evento, cioè contesti sigillati al 480 a.C. Infatti V. Mitsopoulos Leon nel pubblicare il materiale fittile di età arcaica dimostra che neppure la stipe votiva della fonte sacra che, al momento del rinvenimento era stata interpretata come una sorta di “colmata persiana” locale conteneva solo reperti anteriori all’invasione di Serse: ella enumera infatti una serie di statuette fittili di età successiva e di futura pubblicazione85. Alquanto aleatoria, date le segnalate problematiche stratigrafiche, risulta anche, pur proposta con tutte le cautele del caso, l’ipotesi di Ekroth secondo cui i cinque vani situati nel corridoio naturale del complesso sud-orientale sarebbero stati devastati dai Persiani, con la conseguente decisione di sigillarli costruendo il “piccolo tempio”86. È impossibile stabilire quanto l’allestimento attualmente visibile, con la stoa che delimita una corte comprendente l’area del tempio e il complesso sud-orientale, sia da attribuire a un progetto di ristrutturazione complessivo successivo all’eventuale saccheggio operato dai Persiani, progetto in cui figurerebbe bene il nome del filaide Cimone, già proposto in relazione al probabile rifacimento del tempio (supra, p. 25), o sia frutto di un succedersi di interventi culminanti con la costruzione della stoa, plausibilmente avviata subito dopo la pace di Nicia (421 a.C.) e interrotta dal precipitare della situazione ateniese dopo il fallimento della spedizione in Sicilia (413 a.C.). 82  Vedi Kalogeropoulos 2013, pp. 266-305 (materiali ceramici); pp. 434-437 (altri materiali); pp. 499-504; 517-508 (bilancio complessivo sull’attività del santuario tra 575 e 450 a.C.); sul sistema di datazione adottato dall’autore, vedi Kalogeropoulos 2013, pp. 151-161. 83  Vedi supra pp. 26-27. Per gli indizi cronologici offerti dai reperti (V a.C.) vedi nota 31, p. 27. Cfr. Ekroth 2003, pp. 105-106. 84   Vedi anche supra, pp. 24-25. La tradizione attica sulla statua taurica è discussa nel Capitolo su Brauron e Halai Araphenides (infra, pp. 115-120). 85  Vedi Mitsopoulos Leon 2009, pp. 4-5 e 271-272. Cfr. supra, p. 26 (“colmata persiana” presso la fonte). 86  Vedi Ekroth 2003, pp. 86-87.

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Si può comunque osservare che dopo la costruzione della stoa lo sbocco del ponte (Tav. I, fig. 11, datato alla metà del V a.C.) verso il santuario appare alquanto angusto, limitato a pochi metri, cosa che, se si suppone un effettivo utilizzo del ponte per la processione cittadina, fa propendere per la seconda ipotesi. Come si è detto, la stoa determina una sorta di chiusura degli spazi, con un sistema alquanto peculiare di accessi alla corte (supra, p. 22), nessuno dei quali porta immediatamente di fronte al tempio, privilegiando piuttosto lo spazio della corte. La parzialità dello scavo impedisce tuttavia di affermare che detto sistema rappresentava in se stesso l’accesso al temenos. Merita invece di essere sottolineata la vicinanza cronologica tra la costruzione della stoa e una serie di testimonianze che lasciano leggere in filigrana un notevole interesse ateniese per il culto, interesse in cui potrebbe inserirsi anche una temporanea scelta del santuario di Brauron addirittura come sede della cassa della lega delio-attica, secondo quanto suggerito da D. Peppas Delmousou sulla base dell’elevato ammontare dello “argento sacro di Apollo” registrato sul citato inventario, il cui testo completo è però inedito, datato all’arconte Arimnestos (416/5 a.C.)87. Le testimonianze in questione sono la dedica nel Brauronion dell’acropoli della scultura raffigurante il cavallo di Troia ad opera del non meglio noto Chairedemos (anteriore alla spedizione di Sicilia 415 a.C.)88, la menzione dell’arktos e dei Brauronia nella Lisistrata di Aristofane (v. 645, 412 a.C.), l’allusione alla cultualità brauronia nella solidarietà tra Artemide e Afrodite nel fregio orientale del Partenone (lastra VI)89 e, soprattutto, la già più volte ricordata eziologia euripidea del finale dell’Ifigenia in Tauride sulle offerte presso la tomba di Ifigenia (1462-7). Riguardo a quest’ultima, si è addirittura ipotizzata una connessione diretta tra l’inaugurazione della stoa e la stessa prima rappresentazione della tragedia, per la quale si è giunti a suggerire una cornice brauronia con conseguenti saggi volti alla localizzazione di un teatro (supra, p. 33). Se ciò sembra eccessivo e resta indimostrabile, si può sicuramente anticipare che, come si mostrerà nell’apposito Capitolo, il testo euripideo rappresenta una proposta mitica di chiarimento e messa in ordine dei rapporti con il santuario “gemello” di Halai, lasciando supporre quindi un’attenzione complessiva per i due artemisia della costa orientale che, trovando il suo contesto (al pari del completamento del santuario di Nemesi a Ramnunte) nella riappropriazione della chora dopo le incursioni spartane, ne rappresenta un aspetto alquanto peculiare, stante la contiguità dei due luoghi interessati. Non sono documentabili interventi sugli spazi del santuario nel IV a.C.90. I reperti testimoniano comunque un’intensa frequentazione del sito. Risalgono infatti  Vedi Peppas Delmousou 1988a, pp. 332-333 e pp. 343-345. Sul rinvenimento dell’epigrafe vedi supra, p. 29. 88   La pertinenza del monumento votivo al Brauronion e la connessione con la spedizione di Sicilia sono convincentemente dimostrate da B. D’Agostino (D’Agostino 2007). Vedi anche infra p. 48. 89  Vedi Kahil 1983, p. 243; Kahil 1984, pp. 58-59. L’interpretazione si basa sulla ricostruzione proposta da Despinis nel 1972 (vedi Despinis 1972). 90   Sulla possibilità di un intervento sulla decorazione scultorea del tempio vedi supra, pp. 25-26. 87

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a tale periodo la maggioranza delle statue marmoree raffiguranti bambine e bambini e dei rilievi votivi di grandi dimensioni: quello dedicato da Aristonike, su cui è raffigurata Artemide stante con arco e patera mentre riceve l’offerta di un toro da parte di un corteo di offerenti, quello dedicato da Peisis su cui la dea compare stante presso l’altare, con una grande torcia, mentre, accompagnata da Latona e Apollo riceve l’offerta di un toro scortato da un corteo di offerenti e la lastra su cui Artemide è raffigurata seduta su una roccia con accanto un cervo mentre riceve dal corteo l’offerta di una capra91. L’iscrizione dedicatoria di Aristonike e di Peisis attesta inoltre che il santuario era meta di famiglie ateniesi benestanti e con qualche ruolo pubblico92. I demotici riportati sui cataloghi di vesti convenzionalmente noti come tabulae curatorum Brauronii, databili anch’essi al IV a.C., documentano altresì che a Brauron confluivano offerenti da diverse parti dell’Attica, anche se la rarità dell’indicazione di tale elemento onomastico non permette di individuarne la distribuzione, né di escludere l’elemento locale93. Infine, al 330 a.C. circa si data una statua di ragazzo xoanopohoros convincentemente interpretata da Despinis come Oreste che porta la statua taurica e dunque documento della vitalità delle tradizioni mitiche locali94. L’ultimo intervento noto riguardante il santuario è documentato solo epigraficamente: si tratta del già citato decreto sull’esame degli edifici del santuario in vista di un loro restauro. La perdita del prescritto fa sì che il decreto sia databile solo su base paleografica. Si registrano oscillazioni significative95, tra la fine del IV e la fine del III a.C., anche se prevale la tendenza a collocarlo nel III a.C. o alla metà di esso. In ogni caso, non si ha notizia del rinvenimento a Brauron di reperti successivi al III a.C., con la sola eccezione di un rilievo raffigurante il trophimos di Erode Attico Polydeukes come defunto eroicizzato a banchetto96. C’è consenso nel ritenere che il sito, come santuario di Artemide, sia stato completamente abbandonato a partire dal III a.C. per una concomitanza di fattori naturali (le inondazioni periodiche   Per la bibliografia relativa ai reperti vedi Despinis 2002.   Vedi le osservazioni prosopografiche di Despinis (Despinis 2002, rispettivamente, p. 154 e p. 162). 93   Su tale categoria di iscrizioni e sulla loro pertinenza a Brauron vedi infra, pp. 50-54. Per i demotici vedi Osborne 1985, 158-159; Antoniou 1990, pp. 219-225. In particolare Osborne segnala che le attestazioni del demotico sono limitate a personaggi di rilievo che intendono così distinguersi in un antuario di cui riconoscono il prestigio. Il valore politico degli inventari e dell’esposizione dei loro duplicati nel Brauronion ateniese è altresì sottolinato da Cole (Cole 2004, p. 196 e p. 230), vedi anche infra, pp. 52-53 e pp. 66-67. 94  Vedi Despinis 2005, pp. 261-267 e infra, p. 119. 95   Le posizioni estreme sono rappresentate da F. Gschnitzer (citato in Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, nota 14, p. 8) che colloca l’iscrizione alla fine del III a.C. e da Themelis (Themelis 2002, p. 113) che la attribuisce a quello che V.S. Tracy (TRACY 1995, 136-147) identifica come il lapicida di IG II2 1262 attivo tra 320 e 296 a.C. Altri autori datano, genericamente, il pezzo al III a.C. (vedi ad esempio Papadimitriou 1963, p. 120; Ekroth 2003, p. 113; Despinis 2004a, p. 296) o alla metà del III a.C. (vedi ad esempio Daux 1962, nota 1, p. 674; Mylonopoulos, Bubenheimer 1996, p. 8; Giuman 1999, p. 34). 96  Vedi Orlandos 1961, pp. 35-36. 91 92

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dell’area) e storico-sociali (il declino del sistema dei demi): il rilievo di Polydeukes, variamente interpretato come funerario o commemorativo (caccia)97, rappresenta la prova più lampante della fine del culto. Si sono pertanto anche ipotizzati “trasferimenti” delle sue funzioni al Brauronion dell’acropoli, che avrebbe accresciuto la sua importanza in parallelo con il declino del santuario extraurbano (infra, pp. 65-68) oppure, con le dovute cautele, nel santuario di Munichia (infra, pp. 95-97). In realtà, però, tra le concause del declino va inclusa, e forse messa al primo posto, una trasformazione della cultualità, che non rendeva più necessaria la frequentazione del santuario di Brauron, almeno nella forma che essa aveva assunto in età classica. In età classica Brauron è infatti connotato da un legame profondo con Atene, senza per questo volere escludere un legame con il demo di Philaidai, la cui storia è però tutta da scrivere98. Atene gestisce e controlla le finanze del santuario99, Atene organizza la festa dei Brauronia100, Atene arriva a porsi come dedicante di quanto si trova nel santuario, secondo ciò che si legge nel decreto di exetasmos (SEG LII ll. 6-8): [...] [...] e tutte quante le altre cose che la città, dopo averle costruite, ha dedicato alla dea per la salvezza del demos degli Ateniesi.

Infine, un hieron di Artemide Brauronia si trova nello stesso cuore cultuale di Atene, l’acropoli. Ateniese per il suo carattere fortemente civico, non privo di risvolti  Funerario: Ekroth 2003, pp. 117-118 (in connessione con le sepolture rinvenute presso l’estremità sud-est del complesso sud-orientale, vedi supra, p. 29). Commemorativo: Orlandos 1961, pp. 35-36. Sui monumenti commemorativi dei trophimoi di Erode Attico vedi Philostr. Vita soph. 2.558-9 e, da ultimo, Tobin 1997, pp. 95-109; pp. 113-60; e Galli 2002. 98   Il culto di Artemide Brauronia è esplicitamente legato al demo di Philaidai nel già ricordato (supra, nota 22, p. 25) scolio agli Uccelli di Aristofane (Schol. Ar. Av. 872a). Può essere inoltre interessante ricordare che da Philaidai viene il proponente del decreto di exetasmos (SEG LII l. 2). Per una ricerca complessiva su Brauron in rapporto al territorio di Fhilaidai vd. Antoniou 1990. Il problema della relazione tra il santuario di Brauron e il demo di Philaidai si intreccia strettamente con la ricerca topografica sulla localizzazione di quest’ultimo, ricerca che non ha raggiunto risultati conclusivi, vedi da ultimo Lavelle 2005, pp. 171-179. 99   Documenti epigrafici sul controllo ateniese delle finanze di Artemide Brauronia e di altre divinità: IG I3 369 (cosiddetta tabula logistarum 426/5 - 423/2 a.C.); IG II2 1377-1403 (rendiconti dei tesorieri di Atena e degli altri dei, 403/2 - 386/5 a.C.); IG II21412-44 (rendiconti dei tesorieri di Atena, 385/4 - 342/1 a.C.); IG II2 1445-54 (rendiconti dei tesorieri degli altri dei, 385/4 - 342/1 a.C.); IG II2 1455-92 (rendiconti dei tesorieri di Atena e degli altri dei successivi al 341/0 a.C); IG II2 1493-7 (rendiconti dei tesorieri degli altri dei e degli epistatai istituiti da Licurgo per provvedere ai vasi processionali e agli ornamenti delle canefore). Sulle istituzioni citate si rimanda a Linders 1975. Documenti finanziari specifici relativi ad Artemide Brauronia sono i cataloghi IG I3 403 e 404 nonché le cosiddette tabulae curatorum Brauronii (IG II2 1514-31, vedi infra, p. 50). 100   Vedi Arist. Ath. 54.7. Vedi anche supra, p. 30 e infra, pp. 54-57. 97

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giuridici101, è anche uno dei due riti che le fonti associano al santuario di Brauron, l’arkteia e che, per il suo innegabile carattere di rito di passaggio da una condizione a un’altra (in quanto preliminare alle nozze)102 trovava nella liminarità brauronia la sua necessaria cornice simbolica. La fine della polis classica ha ragionevolmente prodotto la crisi di un sistema cultuale e rituale così organicamente ad essa connesso. È dunque difficile pensare che esso sia stato in qualche misura “trasferito” in altre più accessibili realtà santuariali, tanto più che, come si mostrerà nel prossimo Capitolo, il Brauronion ne dovrebbe essere escluso poiché la sua cronologia tracciabile coincide per buona parte con quella di Brauron (infra, pp. 67-68). Più plausibile ipotizzare un ripensamento dei riti e dei loro spazi, orientato a un ripiegamento in senso locale, con la perdita di funzionalità e il progressivo abbandono delle strutture connesse alla frequentazione civica. In tal senso, appare di grande interesse l’ipotesi di H.R. Goette secondo cui l’area del tempio (o dei templi), in quanto sopraelevata, non sarebbe stata interessata dalle alluvioni e sarebbe stata ancora utilizzata fino a età imperiale avanzata, come proverebbero la dedica del rilievo con Polydeukes ad Artemide dea della caccia e un’iscrizione di III d.C. (“la madre alla figlia”) rinvenuta in reimpiego presso la chiesa di Panagia Varabà103. Gli indizi da lui presentati sono però labili: come si è visto, il rilievo è suscettibile anche di un’interpretazione funeraria o commemorativa e il testo epigrafico, che certo fa riferimento al mondo femminile a cui l’artemision brauronio risulta innegabilmente connesso, è troppo generico per escludere una diversa provenienza. Il fatto che il cattivo stato di conservazione del tempio possa essere imputato a un’esposizione alle spoliazioni più lunga di quella degli altri edifici del temenos104 (come ad esempio la stoa, di cui sono stati  In Suid. s.v. si utilizza il verbo “decretare” in relazione all’istituzione del rito come obbligo prematrimoniale: [...] “E gli Ateniesi decretarono che nessuna ragazza non sposata vivesse sotto lo stesso tetto con un uomo se prima non aveva fatto l’orsa per la dea”. Ancora più significativo è il fatto che il verbo designante il rito, arkteuein, compaia nel lessico dei dieci oratori attici di Arpocrazione (s.v. ) come lemma tratto da una perduta orazione di Lisia in difesa della legittimità della figlia di un certo Phrynichos e che il lessicografo rimandi per ulteriori approfondimenti alla raccolta Decreti di Cratero. 102   Tale aspetto è l’unico su cui concordano le testimonianze antiche: vedi Harp. s.v. ; Schol. Ar. Lys. 645c; Suid. s.v. e s.v. ; AB s.v. . 103  Vedi Goette 2005, pp. 31-32; pp. 36-38. Cfr. Tobin 1997, pp. 206-207, secondo cui la dedica del kosmos di Regilla da parte di Erode Attico, intenzionale richiamo alla tradizione brauronia (IT 1464-7), sarebbe avvenuta ad Eleusi per l’inagibilità di Brauron, e Galli 2002, p. 237 che collega il monumento di Polydeukes a una visita erudita dei grandi santuari dell’Attica, pur riconoscendo la mancanza di attestazioni dell’attività di Brauron. 104  Cfr. Corso 1988, nota 923, p. 226 che suggerisce un “trasporto” in età romana del tempio e della sua statua di culto (l’agalma prassitelico menzionato da Pausania I 23.7) sull’acropoli di Atene (cfr. le obiezioni di Despinis 1994, p. 191 con nota 69 e Despinis 1997, p. 211). Cfr. anche Ekroth 2003, nota 109, p. 246 dove, sulla scorta di una conferenza tenuta da Camp nel 2001, si prospetta l’eventualità che il tempio sia stato “trasportato” da Augusto nell’agora di Atene, al pari del (documentato) tempio di Ares di Acharnai. 101

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rinvenuti tutti gli elementi) non è in se stesso prova di una continuità d’uso. Forse è più significativo che Pausania affermi per due volte, utilizzando il presente, (I 23.7 e 33.1) l’esistenza a Brauron di una statua lignea antica (xoanon) identificata con quella taurica. Si può senz’altro avanzare il dubbio che il presente sia da attribuire a una sconosciuta fonte riportata pedissequamente dal periegeta (ma ciò significa dubitare di gran parte delle informazioni da lui fornite), tuttavia è altrettanto possibile che nel santuario esistesse ancora uno spazio (un tempio o anche solo un’edicola) in cui si custodiva uno xoanon che veniva indicato come la statua taurica105. C. Vita cultuale Presentando il problema del “brauronocentrismo” si è già accennato all’impatto che la riscoperta archeologica del santuario di Brauron ha avuto sulla ricostruzione e lo studio del culto di Artemide Brauronia. Presentando le strutture del temenos e i relativi problemi interpretativi si è avuto altresì modo di mostrare gli equivoci generati dalla ricerca nel dato archeologico della conferma diretta del dato letterario, in particolare per quanto riguarda la stoa e il complesso sud-orientale, identificati, rispettivamente, con la residenza delle arktoi (supra, pp. 20-1) e con l’heroon di Ifigenia (supra, p. 19). Traendo un bilancio, occorre constatare che, per quanto è attualmente noto, gli scavi non hanno restituito alcuna traccia del culto di Ifigenia, né alcuna struttura specificatamente associabile al rito dell’arkteia. Riguardo a Ifigenia, sembra sufficiente qui rimandare al citato studio decostruttivo di Ekroth, il quale, volto a dimostrare il carattere fittizio dell’eziologia euripidea (IT 1462-7), ne ha efficacemente evidenziato l’inconsistenza cultuale sul piano della documentazione archeologica, epigrafica e iconografica. Infatti Euripide par[...] 1464-5) non lando di “ben fatti ricami dei pepli” ( autorizza la proposta identificazione della dedica a Ifigenia con le vesti semitessute più volte menzionate106 nelle tabulae curatorum Brauronii. Ancora, se Ifigenia è effettivamente rappresentata sul cosiddetto rilievo degli dei, la scena è comunque di carattere mitico e non cultuale107. Tra mito e culto potrebbe collocarsi anche un’altra presunta rappresentazione dell’eroina su un isolato pinax fittile ad altorilievo su cui compaiono fianco a fianco due figure femminili differenziate unicamente per la forma del copricapo e la posizione delle braccia: proprio l’uscita del lavoro di   In questo senso è orientato anche Despinis (Despinis 1994, nota 69, p. 191 e 1997, p. 211) che scrive: «Der Tempel aber stand noch auf recht, wenn ich den Text des Pausanias I 33.1 richtig deute». 106   Per le occorrenze si rimanda a Linders 1972, p. 17 dove si sottolinea l’associazione con materia prima per la tessitura. L’identificazione con la dedica a Ifigenia è sostenuta ad esempio da S.I. Johnston ( Johnston 1999, pp. 238-240) e da Giuman (Doria-Giuman 2007, pp. 87-88). 107  Vedi Ekroth 2003, pp. 69-94. Sul rilievo degli dei, vedi anche infra, pp. 116-119. 105

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Ekroth spinge infatti Mitsopoulos Leon a catalogare il pezzo con maggiore cautela rispetto a quanto fatto al momento della pubblicazione108. Ifigenia rappresenta comunque un’importante presenza mitica del santuario brauronio. Oltre che dell’eziologia euripidea ella, come si è visto, è protagonista di una versione dell’aition dell’arkteia parallela a quella di Aulide, forse riportata da Fanodemo ma risalente già a Pisistrato (supra, pp. 35-36). Infine è a lei che la tradizione raccolta con scetticismo da Pausania (I 33.1 e III 16.7) attribuisce la collocazione della statua taurica nel santuario di Brauron (infra, pp. 115-116). Inoltre, i materiali emersi dagli scavi lasciano supporre una connessione con il mondo della tessitura come tipica attività femminile più ampia di quella prefigurata nell’eziologia euripidea. Le liste di vesti sembrano trovare un riscontro iconografico in un rilievo, ricomposto da due frammenti, databile alla fine del V a.C.109. che al momento non trova paralleli. Sul primo frammento compare una figura femminile seduta su una roccia, plausibilmente Artemide, che regge sulle ginocchia un oggetto appiattito interpretabile come drappo di stoffa110. Sul secondo compare, di piccole dimensioni e piuttosto mal conservata, la figura di una dedicante111. Inoltre, tra gli oggetti votivi rinvenuti nel santuario, spicca una forte presenza di oggetti connessi all’attività tessile: vi è infatti un nucleo cospicuo di epinetra112, tipicamente usati per ripararsi le gambe dagli aghi, a cui si vanno ad aggiungere un numero altrettanto significativo di pesi da telaio e alcuni altri arnesi specifici (aghi, conocchie, pettini). Riguardo all’arkteia, ci si permette qualche osservazione preliminare di metodo. La ricerca di uno spazio residenziale ha come base documentaria (per la verità labile) un cenno di un anonimo scolio ad Aristofane (Schol. Ar. Lys. 645c) al fatto che ), e poggia le arktoi dovevano “prendersi cura del santuario” ( soprattutto sulla lettura del rito in parallelo ai riti di iniziazione tribale che com Vedi Mitsopoulos Leon 2009, pp. 200-203. La stessa autrice ritratta (p. 201) i termini con cui aveva pubblicato il pezzo (vedi Mitsopoulos Leon 1997, p. 368). 109   S. Wegener (Wegener 1985, 96-97) propone un confronto con la figura di Artemide della lastra VI del fregio del Partenone. 110   Altri studiosi interpretano l’oggetto come epinetron, arnese utilizzato per riparare le gambe dagli aghi: vedi Orlandos 1961, p. 27 (che pubblica la fotografia con la didascalia “Artemide filatrice”), Kontis 1967, p. 189; Mitropoulou 1977, p. 73 e p. 99; Cole 2004, p. 214 (che però non identifica la figura con Artemide pur ricordando l’epiteto omerico di “dalla conocchia d’oro” Il. XX 70). L’epinetron è esplicitamente escluso (a ragione) da Kahil (Kahil, Icard 1984, p. 677), la cui opinione è seguita da Ev. Vikela (Vikela 1997, p. 227) e da A. Comella (Comella 2003, p. 65) 111   Cfr. Mitropoulou (Mitropoulou 1977, p. 73 e p. 99) secondo cui si tratta di una figura giovanile maschile nuda, con riferimento alla ritualità degli Apatouria. La possibilità che la dedicante sia un’arktos è prospettata da Kahil (Kahil, Icard 1984, p. 677 e p. 751). Dato l’uso convenzionale di raffigurare gli offerenti comunque in scala più piccola rispetto alla divinità può però trattarsi anche di una figura adulta: vedi Vikela 1997, p. 227; Comella 2003, pp. 65-66. 112   Due esemplari a figure nere sono pubblicati da Kahil (Kahil 1963, pp. 12-13). Un catalogo completo, comprendente gli inediti è fornito da C. Mercati (Mercati 2003, pp. 116-117; pp. 122-125; pp. 129-133 a figure nere; pp. 145-149 a figure rosse) nella sua monografia dedicata appunto agli epinetra. 108

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prendono nella loro morfologia un periodo più o meno lungo di soggiorno in luoghi altri rispetto a quelli della comunità di appartenenza. Se simile lettura nelle sue linee essenziali appare del tutto accettabile, restano aperte molte domande generate dal tipo completamente diverso di società che si trovano comparate, prima tra tutte le modalità e la durata del periodo di segregazione delle iniziande, stante il loro numero, decisamente più alto di quelli attestati nelle società tribali113. Sembra invece più chiaramente da accantonare la linea interpretativa che tende ad associare al rito spazi che in qualche modo richiamino caverne, come i cinque ambienti quadrangolari del complesso sud-orientale o lo stesso adyton del tempio, in quanto basata su un’assunzione letterale dell’affermazione contenuta, ancora una volta, negli scolii aristofanei, secondo cui le arktoi imitavano l’orsa114. Se dunque la questione dell’identificazione archeologica degli spazi delle arktoi è destinata a restare aperta, anche alla luce delle sopra addotte osservazioni metodologiche, gli scavi hanno ugualmente fornito un contributo fondamentale alla ricostruzione del rito, offrendo la possibilità di integrare le scarsissime informazioni fornite dalle fonti letterarie115, ma aprendo altresì nuovi problemi. Ci si riferisce ai krateriskoi, cioè ai piccoli crateri a figure nere plausibilmente di uso rituale e connessi con il rito delle orse di cui si sono già presentati il ruolo chiave nella strutturazione dell’approccio “brauronocentrico” allo studio del culto di Artemide in Attica e le connesse problematiche interpretative legate alla diffusione (supra, pp. 16-19). Per quanto riguarda più nello specifico la ricostruzione del rito, già essi stessi, in quanto vasi rituali, ne rappresentano un elemento non altrimenti noto, anche se l’uso concreto resta oggetto di ipotesi116 e di conseguenza, una volta che sarà (au  Su questi temi vedi supra, pp. 18-19 e infra, p. 126, in particolare per quanto riguarda l’esistenza di forme surrogate del rito. 114   Vedi Schol. Ar. Lys. 645a […] “imitando l’orsa portavano a compimento la celebrazione del rito […]” (per il significato non tecnico della parola mysterion in questo tipo di testi, vd. Burkert 2002, 21) e Schol. Ar. Lys. 645c […] […] “[…] Artemide adirata ordinò che ogni fanciulla imitasse l’orsa […]” 115   Vedi Schol. Ar. Lys. 645a 113

“imitando l’orsa portavano a compimento la celebrazione del rito. Le ragazze che facevano le orse per la dea indossavano una veste color zafferano e celebravano insieme il sacrificio per l’Artemide Brauronia e per la Mounichia” (sul testo vedi anche infra p. 70 e pp. 81-84) e Schol. Ar. Lys. 645c […] “[…] Artemide adirata ordinò che ogni fanciulla imitasse l’orsa prima delle nozze e si occupasse del santuario indossando un himation color zafferano e ciò veniva detto ‘fare l’orsa’”. 116   Una funzione analoga a quella dei thymiateria, richiamati anche nella forma, è prospettata da Kahil (vedi ad esempio Kahil 1965, pp. 24-25) che chiama in causa anche la presenza di resti di cenere constatata per alcuni esemplari. Della stessa opinione sono L. Palaiokrassa (Palaiokrassa 1991, p. 80) che ritrova analoghe tracce a Munichia e Kalogeropoulos (Kalogeropoulos 2013, p. 276)

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spicabilmente) redatto un catalogo completo che ne ricostruirà con ragionevole approssimazione l’arco cronologico, i krateriskoi potranno forse essere utilizzati anche come indicatori per una comprensione della dimensione storica del rito, problema al momento forse non sufficientemente affrontato117. Inoltre le raffigurazioni sui vasi riportano a dettagli non descritti dalle fonti: sfilate e corse (o danze) spesso intorno a un altare e spesso alla luce di torce: quindi, plausibilmente di notte. Ancora, un eccezionale esemplare frammentario a figure rosse della collezione LifschitzCahn in cui sotto una palma, in mezzo al gruppo delle arktoi, compare la sagoma di un grosso quadrupede, quasi sicuramente un’orsa, sembra suggerire una forma di contatto diretto con l’animale118. Le scene, oggetto di un’accurata analisi iconografica di Ch. Sourvinou-Inwood, hanno altresì fornito nuovi elementi sul problema dell’età effettiva delle partecipanti al rito determinato dalla contraddittorietà delle fonti letterarie119. Ma il dato che più ha attirato l’interesse è la nudità delle figure femminili rappresentate su diversi esemplari, compreso quello a figure rosse appena citato. Si è riaperto così il dibattito sulla lezione del verso 645 della Lysistrata di Aristofane, determinando una nuova fortuna della variante del codice ravennate “e deponendo la ve429 ( ste color zafferano sono stata orsa ai Brauronia”), con un serie di implicazioni sul piano dell’interpretazione complessiva del rito su cui non è possibile soffermarsi in questa sede120. Infatti, nonostante la sua antichità (fine X sec.) e la rispondenza al criterio della lectio difficilior, la variante ravennate, complici anche le vicende del coche però non menziona tracce di ceneri sui materiali di Halai. Giuman, sviluppando una proposta già avanzata da C.I. Kerényi (Kerényi 2002, pp. 136-137), argomenta invece a favore della presenza di un composto liquido o semiliquido a base di miele (vedi Giuman 2008, pp. 194-198). 117   Una riflessione di carattere storico è proposta da Ch. Sourvinou-Inwood (Sourvinou-Inwood 1988, pp. 112-114) che vede nella particolare diffusione dei krateriskoi tra fine VI e metà V a.C. un legame con una ristrutturazione del culto nel contesto della riforma clistenica. L. Palaiokrassa nel pubblicare i krateriskoi di Munichia pone la questione della relazione tra la fine della produzione dei vasi, apparentemente collocabile alla metà del V a.C., e trasformazioni nel rituale (Palaiokrassa 1991, p. 81). Ella fornisce però (Palaiokrassa 1989, pp. 16-18) anche spunti per una dilatazione della cronologia dell’uso dei krateriskoi, sia all’indietro, suggerendo una stretta relazione con affini vasi di VIII e VII a.C., sia in avanti, osservando che la maggior parte dei frammenti è associata a Munichia a materiali di IV a.C. e interrogandosi sull’eventualità di un uso dei vasi ancora in tale epoca. 118   Per la pubblicazione del vaso, che rappresenta un unicum, vedi Kahil 1977, pp. 90-91. Si permetta di prospettare l’ipotesi, ardita e indimostrabile, che la struttura situata all’estremità sud-est del complesso sud-orientale, che era plausibilmente priva di copertura e di parete di fondo (vedi supra, pp. 27-28), fosse adibita a recinto per l’animale. 119  Vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 31-67. Cfr. Marinatos 2002. Sui dati letterari relativi all’età delle arktoi vedi supra, nota 21, p. 17. 120   La questione è riaperta da Sourvinou-Inwood (Sourvinou-Inwood 1971). Per le implicazioni, vedi ad esempio Sourvinou-Inwood 1988 e Giuman 1999, pp. 107-140. La maggiore difficoltà rispetto a simili interpretazioni è determinata dal valore simbolico del krokotos: vedi Guarisco 2004.

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dice121, era stata accantonata, per motivi stilistici, a favore di un emendamento della variante attestata nella maggioranza dei codici risalenti al XIV sec. ( “e poi, indossando la veste color zafferano, 122 sono stata orsa ai Brauronia”) . Gli scavi di Brauron hanno, infine, restituito alcuni materiali che, anche se la loro piena valutazione sarà possibile solo dopo la pubblicazione, contribuiscono alla ricostruzione dell’orizzonte simbolico del rito dell’arkteia. In primo luogo si possono ricordare sette statuette fittili, tutte frammentarie, raffiguranti Artemide seduta con in braccio una bambina (non neonata), che sembrano fare riferimento, oltre che in generale alle prerogative curotrofiche della divinità, allo speciale legame protettivo tra questa e le “orse”123. In secondo luogo si possono menzionare alcuni vasi nuziali pubblicati da Kahil, la cui presenza può essere letta come segno del felice passaggio all’età adulta attraverso le nozze e dunque riconoscimento del ruolo svolto dalla divinità in tale delicata fase124. Alla stessa sfera di significati possono infine essere ascritte anche le già ricordate molteplici testimonianze legate all’attività della tessitura, in cui si può leggere la chiara testimonianza dell’avvenuta integrazione della fanciulla come gyne nell’oikos125.

  Le tracce del codice si perdono tra la giuntina del 1516 e l’edizione di F. Invernizi del 1794. Una copia, nota come Codex Augustanus è stata utilizzata per l’edizione di R.F.Ph. Bunck (1783). 122  I codici presentavano la sequenza priva di senso . L’emendamento (facile, poco invasivo e coerente con l’architettura dei vv. 641-7) è stato suggerito prima da N. Ellebodius (XVI sec.) poi da R. Bentley (XVIII sec.). La variante ravennate comporta un brusco asindeto (vedi da ultimo Perusino 2002; per un tentativo di risolvere il problema vedi Stinton 1976). Anche dopo la riscoperta del codice (1794, vedi nota precedente) la variante ha avuto pertanto scarsissima fortuna: si può ricordare solo l’edizione di I. Bekker del 1829. 123   Vedi da ultimo Mitsopoulos Leon 2009, pp. 179-185. 124  Vedi Kahil 1997. 125   Vedi ad esempio Foxhall, Stears 2000, pp. 11-14; Dillon 2001, pp. 19-23; Cole 2004, pp. 213-225. Cfr. Morizot 2004, pp. 167-168 la quale ipotizza che gli oggetti votivi di Brauron siano relativi all’apprendistato delle arktoi come parte del loro processo di “addomesticamento”. 121

BRAURON E IL BRAURONION

Dopo avere fornito una presentazione della complessa realtà del santuario brauronio, elemento in comune alle tre coppie di santuari “gemelli”, si passa ora a un’analisi approfondita di ciascuna di esse in cui si cercherà di metterne in luce le problematiche storico-religiose e storico-istituzionali. Si comincerà con la coppia la cui relazione è più immediata, cioè quella rappresentata dal santuario di Brauron e dallo spazio cultuale di Artemide Brauronia sull’acropoli di Atene, il cosiddetto Brauronion. La presenza di uno spazio sacro dedicato ad Artemide Brauronia sull’acropoli di Atene è testimoniata da Pausania, che ne evidenzia appunto la derivazione dal santuario di Brauron1: Paus. I 23, 7 […] . […] C’è poi un santuario di Artemide Brauronia; la statua della divinità è opera di Prassitele, la dea prende nome dal demo di Brauron; la statua di legno originaria è a Brauron ed è, come dicono, l’Artemide taurica.

Quella del santuario brauronio è una situazione assolutamente privilegiata, che non trova paralleli tra gli altri culti della chora “importati” nella polis: si può senz’altro dire, con Giuman, che è l’«unico culto demotico a essere rappresentato sul massimo palcoscenico religioso di tutta l’Attica»2. I pur prestigiosi culti di Demetra e Kore   Traduzione di D. Musti in Beschi, Musti 1982.   Giuman 1999, p. 83.

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di Eleusi e di Dioniso di Eleutere devono infatti, per così dire, accontentarsi rispettivamente delle pendici settentrionali e delle pendici meridionali dell’acropoli3. Purtroppo le dinamiche storico-religiose e storico-istituzionali proprie di simile peculiare situazione, dinamiche che sarebbe particolarmente prezioso conoscere, restano di difficile ricostruzione e molti problemi sono forse destinati a restare insoluti. La stringata descrizione di Pausania, limitata alla menzione dell’oggetto più prestigioso ai suoi occhi (e a quelli del suo pubblico), non fornisce alcun indizio sull’aspetto o l’ampiezza della struttura qualificata con il termine estremamente generico di hieron, luogo sacro. Alla laconicità del testo si è cercato di supplire attingendo al contesto della descrizione e attribuendo al hieron anche due sculture menzionate immediatamente prima, un fanciullo con aspergitoio opera di Licio, figlio di Mirone, e un Perseo, plausibilmente con la testa di Medusa, dello stesso Mirone, che per la loro simbologia rispettivamente purificatoria e apotropaica sono state ritenute appropriate all’ingresso del luogo sacro, e una scultura menzionata immediatamente dopo (I 23.8), cioè la riproduzione bronzea del cavallo di Troia4: Paus. I 23, 7 . Conosco anche, per diretta visione, altri monumenti dell’acropoli di Atene: il fanciullo in bronzo che ha in mano l’aspergitoio, opera di Licio figlio di Mirone, e il Perseo di Mirone, raffigurato dopo che ha compiuto l’impresa contro Medusa5. Paus. I 23, 8

[…]

Il cavallo detto “di legno” che si vede qui è in bronzo […] ne sbucano Menesteo e Teucro, e dietro di loro anche i figli di Teseo6.

Mentre la collocazione delle due statue resta del tutto ipotetica, quella del cavallo di Troia, suffragata dalla presenza nell’area dei blocchi inscritti della base, è stata, come si è accennato (supra, p. 38), convincentemente dimostrata da D’Agostino, che ne ha messo in luce il contesto storico-istituzionale e storico-religioso. L’archeologia ha potuto fare ben poco per colmare la lacuna di conoscenze lasciata dal testo di Pausania. Infatti la situazione del Brauronion è radicalmente   Vedi, rispettivamente, Miles 1998 e Pickard-Cambridge 19592.   Per le due statue vedi ad esempio Beulé 1853, pp. 292-293; Beschi, Musti 1982, pp. 346-347; Corso 1988. Per il cavallo di Troia vedi Beulé 1853, p. 299; Stevens 1936, p. 460, e, soprattutto, D’Agostino 2007 (con ulteriore bibliografia). 5   Traduzione Musti in Beschi, Musti 1982. 6   Ibidem. 3 4

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opposta a quella del suo omologo extraurbano: mentre quest’ultimo è stato preservato dal suo isolamento e dagli stessi fattori ambientali, le alluvioni, che forse ne hanno determinato l’abbandono (almeno parziale), la collocazione estremamente prestigiosa del Brauronion, nel cuore di Atene, ne ha causato la totale distruzione. Infatti il punto in cui esso è stato localizzato, utilizzando, in mancanza di ogni indizio sul terreno, il filo logico del percorso di Pausania, risulta particolarmente coinvolto nelle trasformazioni che l’acropoli, rimasta sempre nodo strategico e simbolico della città. ha subito dopo l’età antica. In particolare, l’area è stata interessata dal passaggio dell’unica strada di accesso all’acropoli per un periodo compreso tra la definitiva trasformazione dei Propilei in residenza e fortino, avvenuta plausibilmente a opera degli Acciaiuoli nel XV sec., e il ripristino delle funzioni originarie dei medesimi da parte di E. Beulé con l’apertura dell’omonima porta nel 18537. A ciò si aggiunga la presenza di piccoli edifici, indicati come case turche in alcune carte antiche8. Lo sgombero e la ripulitura del Brauronion, i cui confini risultano già individuati da decenni9, vengono effettuati nel 1889, sotto la direzione di P. Cavvadias e di G. Kawerau, raggiungendo la superficie rocciosa dell’acropoli. Lo spazio portato alla luce si presenta desolato e desolante (vd. Tav. II): esso ha forma trapezoidale ed è delimitato a nord da un muro tagliato direttamente nella roccia, a ovest dal muro miceneo, a sud dal cosiddetto muro cimoniano, a est dal muro occidentale della Calcoteca. Nel settore meridionale e orientale vengono rinvenuti alcuni filari di blocchi pertinenti a muri di fondazione e soprattutto tagli nella roccia destinati ad accogliere fondamenta di edifici e basi per stele e oggetti votivi, presenti anche nel settore settentrionale La parte centrale risulta priva di qualunque traccia relativa alla presenza di strutture10. Tagli nella roccia analoghi a quelli rilevabili negli altri settori sono segnalati anche per il settore occidentale da G.Ph. Stevens, che compie una ricognizione dell’area nel 1936, dopo che forti piogge avevano ulteriormente ripulito la superficie rocciosa11. In più, Cavvadias e Kawerau non segnalano il rinvenimento in situ di alcun reperto del Brauronion né forniscono dati stratigrafici sui lavori di “scavo”, che sono stati in realtà principalmente di demolizione e sterro, coerentemente con una concezione delle attività sull’acropoli orientata esclusivamente alla restituzione dell’aspetto che essa presentava in età classica12.   Per una sintesi delle vicende dell’acropoli successive all’età classica vedi ad esempio. Holtzmann 2003, pp. 241-259. Uno studio approfondito sulle vicende dei Propilei in età medievale è stato compiuto da T. Tanoulas (Tanoulas 1997). 8   Vedi ad esempio Le Roy 1758, Pl. III. 9   Vedi ad esempio Leake 18412, I, Pl. III; Beulé 1853, pp. 201-205. 10  Vedi Cavvadias, Kawerau 1906, pp. 141-146. 11  Vedi Stevens 1936, p. 520. 12   Proprio i due autori salutano la fine dei lavori di scavo sull’acropoli, avviati non a caso all’indomani della ritrovata indipendenza della Grecia, come restituzione di tale spazio alla civiltà dopo l’età dei barbari: vedi Cavvadias, Kawerau 1906, pp. 45-6. 7

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Va da sé che sia la ricostruzione dell’assetto del Brauronion (e dunque l’individuazione di indizi utili a comprenderne la funzione rituale) sia la definizione della sua cronologia (e dunque del contesto storico della sua istituzione) sono estremamente difficili e per buona parte ipotetici. A. Relazioni spaziali e funzionali Per quanto riguarda l’assetto, gli scarsi resti emersi autorizzano a ritenere che il settore sud fosse occupato da un porticato a navata unica di ordine dorico a dieci colonne. Allo spazio che sarebbe stato occupato dai primi intercolumni del settore orientale è stato addossato un vano chiuso che ne va a costituire un avancorpo. Esso presentava una porta a nord e semicolonne doriche, delle stesse misure delle colonne della stoa, sul lato occidentale. In un secondo momento all’avancorpo viene aggiunta una seconda stoa13. Stevens ha ipotizzato la presenza di un avancorpo identico a quello del settore orientale anche nel settore occidentale (vd. Tav. III). Egli non si è basato su tracce archeologiche (da lui viste a proposta già formulata e pertanto presentate a conferma in un apposito addendum)14 ma sul numero di statue della divinità (due) che dovevano essere presenti nella struttura stando a quanto ricavabile da un gruppo di documenti epigrafici risalenti al 346/5 a.C. Le due statue erano ospitate nei due avancorpi della stoa, che assolvevano la funzione di luoghi di culto («shrines») dopo che probabilmente il tempio era stato distrutto dai Persiani15. I testi a cui si riferisce l’autore fanno parte di un nucleo di inventari opistografi redatti dagli epistatai di Artemide Brauronia, tutti databili al IV a.C., di cui si conserva quasi esclusivamente la parte relativa alle vesti. In quanto ritrovate sull’acropoli o nelle immediate vicinanze, le iscrizioni erano state ricondotte al hieron menzionato da Pausania ed erano pertanto indicate con il nome di tabulae curatorum Brauronii16. Tale nome viene ancora oggi utilizzato, nonostante gli scavi effettuati nel santuario di Brauron abbiano messo in discussione la loro pertinenza al Brauronion ateniese. Sono infatti emersi diversi frammenti identici a quelli ateniesi che hanno aperto la questione dell’effettivo luogo di custodia degli oggetti menzionati17. L’argomento più forte a favore di Brauron  Vedi Stevens 1936, pp. 461-6. La ricostruzione del porticato in ordine ionico elaborata da F. Versakis (Versakis 1910) si è rivelata scarsamente fondata a fronte dei puntuali rilievi di Stevens. Dimensioni della stoa sud: 39,40 x 6,90 m. Dimensioni interne del vano orientale: 8,25 x 5,50 m (Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 550) 14  Vedi Stevens 1936, p. 520. 15   Ivi, p. 468. 16   Vedi IG II2 1514-31, ma cfr. la risistemazione operata da T. Linders (Linders 1972). Un tentativo di ricostruzione di un unico testo continuo è stato proposto più recentemente da L. Cleland (Cleland 2005, con traduzione in inglese). 17  Vedi Papadimitriou 1948, p. 90; Papadimitriou 1949, pp. 84-85 (con testo, cfr. Linders 1972, pp. 20-21); Papadimitriou 1950, p. 187; 1956, pp. 75-76 (con rinvio all’editio minor di IG). 13

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è rappresentato dalla corrispondenza, messa in luce da uno studio di Despinis, tra il numero e l’aspetto delle statue menzionate nelle stele (cinque) con il numero e l’aspetto delle statue cultuali di Artemide che, in base ai frammenti ivi rinvenuti, è possibile ricostruire come presenti nel santuario18. Stando così le cose, le tabulae curatorum Brauronii non sono più utilizzabili per la ricostruzione della topografia del Brauronion. L’ipotesi ricostruttiva di Stevens non è né confermata né definitivamente smentita dal più recente rilievo archeologico del Brauronion, compiuto da R.F. Rhodes e J.J. Dobbins nel 1975 e nel 1976, prima che la costruzione su parte dell’area di una piattaforma in legno destinata a migliorare l’accesso all’acropoli (1978) lo rendesse impossibile19. Infatti i due archeologi rinunciano a indagare il settore occidentale, illeggibile perché troppo compromesso dalle vicende del sito, limitandosi a poche osservazioni20, e si concentrano su quello orientale. La ricostruzione del porticato a tre bracci è dunque ancora riproposta21, seppure in modo problematico. Tra l’altro essa presenta l’allettante possibilità di offrire analogie, almeno formali, con la stoa del santuario di Brauron22. Una ricostruzione con porticato a due bracci, più prudente dal punto di vista dei dati disponibili, è invece sostenuta da Despinis, che nella corte inserisce un tempio con altare (Tav. IV). La base per simile ricostruzione è rappresentata dall’identificazione di un frammento dell’agalma di Prassitele menzionato da Pausania con una testa femminile in marmo, due volte più grande del vero, parzialmente mutila, oggi esposta al museo dell’acropoli (Acr1352) e dalla dimostrazione del carattere cultuale e non votivo dell’agalma prassitelico. Quest’ultima è condotta attraverso diversi elementi: le dimensioni colossali; lo stato della superficie del marmo, che fa supporre un breve periodo di esposizione agli agenti atmosferici, quindi la collocazione della statua in una struttura coperta; le mutilazioni, che sembrano intenzionali e riconducono quindi all’accanimento tipico dei primi Cristiani contro le statue con l’articolo determinativo presente nella di culto; il nesso descrizione di Pausania che compare altrove nella Periegesi sempre in relazione alle statue di culto dei templi23.  Vedi Despinis 2004a. Altri argomenti, di carattere epigrafico, sono presentati da Linders (Linders 1972, pp. 15-17; pp. 71-73). 19  Vedi Rhodes, Dobbins 1979, nota 3, p. 325. 20  Vedi Rhodes, Dobbins 1979, p. 331. 21   Vedi ad esempio Holtzmann 2003, pp. 32-33; Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, pp. 530531; Camia 2010. 22   Diversi autori indicano senz’altro la stoa del Brauronion come stoa a P, analogamente a quella brauronia: vedi ad esempio Hollinshead 1980, p. 39; Cole 2004, p. 196. 23  Vedi Despinis. 1994 e, in forma più sintetica, Despinis 1997. Cfr. le obiezioni di A. Pasquier (Pasquier 2007, pp. 103-104 e pp. 126-127). In precedenza la statua prassitelica era stata identificata con l’originale della cosiddetta Diana di Gabii, raffigurante la dea mentre si drappeggia la veste, gesto interpretato come accettazione di una delle vesti a lei donate, con evidente riferimento alle tabulae, 18

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Al momento la ricostruzione di Despinis, alquanto convincente, non ha di fatto incontrato consenso24. Le sue implicazioni sul piano dell’interpretazione della funzione del Brauronion sono comunque ben chiare all’autore25: Mit der Rekonstruktion dieses Tempels und eines Altares, den wir hier ebenfalls rekonstruieren müssen, bekommt das Brauronion den Grundriβ eines Heiligtums, den es mit der bis heute geltenden Rekonstruktion nicht hatte.

In effetti la fortuna della ricostruzione di Stevens, che non prevede appunto tempio e altare nella corte, ha prodotto una diffusa tendenza a considerare il Brauronion come una sorta di prestigiosa sede di rappresentanza del santuario extraurbano, tendenza rafforzata dall’interpretazione delle tabulae curatorum Brauronii come repliche di inventari di oggetti esposti a Brauron. Scrive significativamente Osborne26: […] the hieron on the Akropolis had no temple, no dedications and, apparently, no ritual. It was a reminder of the rural sanctuary, not a competitor for its clientele or prestige. […] The Akropolis sanctuary represents one and only one side of the cult – part of the public aspect, the dedications. This limitation is itself a recognition of the fact that the sanctuary at Brauron could not be reproduced; by recording the dedications on the Akropolis the tangible manifestation of the cult activity is recreated and a single feature of the cult is emphasised.

Sulla stessa linea si colloca quanto scrive Cole, che, individuando alcune simmetrie spaziali e funzionali tra Brauron e il Brauronion e sottolineando il ruolo di quest’ultimo nella dialattica polis-chora lo pone in analogia con l’Eleusinion situato presso le pendici nord dell’acropoli. Vale la pena di riportare il passo per intero, in quanto si avrà modo di riprendere alcuni punti di esso27. vedi Studniczka 1884; cfr. Pasquier 2007b. Ipotesi più recenti avevano proposto di ricercare repliche nei rilievi rinvenuti a Brauron (vedi Kontis 1967, pp. 193-199 e Beschi 1988, pp. 244-245) e/o nella stessa Atene (Giuman 1999, pp. 64-73, dove si discute però, più ampiamente, delle statue menzionate nelle tabulae). 24   Emblematicamente nella scheda sul Brauronion della Topografia di Atene a cura di E. Greco e di un équipe della Scuola Archeologica Italiana di Atene si legge: «Isolatamente Despinis, attribuita una testa femminile di grandi dimensioni all’agalma prassitelico […], ha ipotizzato nella parte nord-occidentale del santuario la presenza di un tempio con relativo altare» (vedi Camia 2010, p. 93). 25  Vedi Despinis 1997, p. 216. Vedi anche Despinis 1994, p. 193: «Mit der Rekonstruktion eines Tempels und eines Altares, der hier sicher seinen Platz hatte, erhält der Bezirk der Artemis Brauronia die Erscheinung eines vollständigen Heiligtums, die im Vergleich mit den bis heute geltenden Vorstellungen wahrscheinlicher aussieht». 26   Osborne 1985, pp. 172-173. 27   Cole 2004, pp. 195-196.

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The Athenians formally recognize the importance of this strategic connection sometime in the middle of the fifth century with the dedication of a pi-shaped stoa for Artemis Brauronia on the akropolis. The structure, directly facing the Propylaia, gateway to the akropolis, was the first building a visitor encountered after passing through that entrance. The new stoa was not a temple, but it shared at least one function with the pi-shaped stoa at Brauron. At Brauron, the gallery of the pi-shaped stoa displayed the textiles made by the wives of the men of Attika. In Athens, the stoa provided a prominent space to display the stones inscribed with inventories of the dedications made at Brauron. Exhibited at the heart of the city, the inscriptions displayed Attic unity and made visible the political identification of the city with its outer territory. Like the sanctuary of the Eleusinian goddesses nearby on the slope descending toward the agora, which represented at Athens Demeter’s important sanctuary at Eleusis, the Brauronion on the akropolis brought into the city a specific divinity whose reputation, reflected in her epithet, was identified with a specific location on the external borders of the chora.

Si vedrà tra breve che l’affermazione di Osborne sull’assenza di dediche nel Brauronion è smentita da alcune plausibili attribuzioni di oggetti votivi. Quanto alle simmetrie individuate da Cole, si è già parlato dell’incertezza sulla funzione della “galleria” della stoa di Brauron, cioè il complesso porticato addossato al braccio nord, mostrando peraltro la scarsa praticità della scelta del luogo per l’esposizione di vesti (supra, p. 32). In questo momento preme sottolineare quanto le due opposte interpretazioni abbiano a che fare con una delicata questione di fondo, cioè la definizione di “santuario”. A fronte di una terminologia antica che fa riferimento alle nozioni di separatezza ) e sacralità ( ), ma non ne individua di fatto i caratteri specifici ri( spetto ad altri spazi cultuali, una sorta di convenzione accettata dagli studiosi indica recinto, tempio e altare come elementi minimi di un santuario. Proprio le riserve sulla nozione di separatezza e la mancanza di indizi sull’attività cultuale sono alla base del giudizio sulla funzione del Brauronion di B. Holtzmann, autore di un volume complessivo sull’acropoli, giudizio che si presenta ancora più riduttivo dei precedenti28: En fait, il est vraisemblable que l’ensemble de cette zone n’a jamais appartenu à Artémis: si l’absence du altar n’est pas un argument, puisque presque aucun n’est conservé sur l’Acropole, il n’en reste pas moins frappant qu’aucune dédicace à Artémis n’y ait été retrouvée et que les inventaires d’objets dédiés à Artémis retrouvés sur l’Acropole (IG II2 1514-1531) ne soient que des doubles de ceux de Brauron, où se trouvaient les offrandes qu’ils mentionnent. De plus, un sanctuaire véritable doit pouvoir être fermé: ce n’est pas le cas de la terrasse dite du Brauronion, à laquelle on accède par une volée de marches approximativement taillées dans le rocher, au sommet desquelles ne s’observe aucun dispositif de porte indiquant qu’on accède à un espace sacré autonome.   Holtzmann 2003, p. 181.

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La ricostruzione di Despinis restituirebbe invece al Brauronion tutti gli elementi tipici di un santuario, anche se, come indicatore di un’effettiva natura santuariale di tale spazio, l’autore si limita a menzionare la presenza di oggetti votivi. Accantonando volutamente la questione relativa agli oggetti di età arcaica (su cui si tornerà tra breve) lo studioso ricorda alcuni reperti, tutti databili tra V e IV a.C., nell’ordine: la dedica della scultura raffigurante il cavallo di Troia ad opera di Chairedemos, una statua di orso (per l’autore un’orsa), di dimensioni inferiori al vero, e due rilievi frammentari, su uno dei quali egli stesso ha riconosciuto una testa di Artemide29. Agli oggetti segnalati da Despinis si possono aggiungere alcuni materiali ceramici, comprendenti, oltre ai frammenti di krateriskoi, a cui si è già accennato e di cui si parlerà tra breve, frammenti di vasi nuziali, in particolare dodici lebetes gamikoi a figure rosse (databili tra 475-50 e inizio IV a.C.) che da soli rappresentano la gran parte (dodici su quattordici) degli esemplari rinvenuti sull’acropoli30. Incerta permane invece, stante la vicinanza del hieron di Atena Ergane, l’attribuzione degli epinetra a figure nere e a figure rosse. Resta al momento impossibile contestualizzare la presenza degli oggetti votivi qui elencati nella ritualità del Brauronion, per ricostruire la quale non esistono indizi probanti, ma solo tentativi più o meno plausibili di definirne le modalità di relazione con la ritualità brauronia. Soprattutto l’analogia con l’Eleusinion ha suggerito un collegamento tra il Brauronion e la partenza della processione cittadina diretta a Brauron31, la cui celebrazione è il presupposto di un passo di Aristofane (Pax 871-76) in cui Trigeo e il suo servo scherzano su una ragazza appunto di nome Theoria:

TR. Presto, restituiamo Theoria alla Bulé. SE. Cosa? Costei? Ma che dici? Questa sarebbe Theoria che tempo fa, un po’ sbronzi, ci sbattemmo a Brauron? TR. Proprio così, e ho avuto il mio daffare per prenderla. SE. Padrone, un culo così lo si vede una volta ogni quattro anni32.  Vedi Despinis 1994, nota 76, p. 193 con bibliografia relativa a ciascun reperto. Per ulteriori rilievi frammentari, vedi Vikela 1997, pp. 183-184. 30  Vedi Pala 2012, pp. 48-49; p. 83. Sugli epinetra dell’acropoli vedi da ultimo Pala 2012, pp. 76-79. Per i krateriskoi vedi Kahil 1981, pp. 255-259. 31  Vedi Kuhn 1985, pp. 291-292. 32   Traduzione di G. Mastromarco in Mastromarco 1983. Cfr. Platnauer 1964, p. 142 che nega 29

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Il testo lascia pochi dubbi sulla connessione con i Brauronia, dato che, molto plausibilmente, la guerra aveva compromesso la regolarità delle processioni dirette a un luogo così lontano dalla polis. I problemi interpretativi sono generati dal fatto che la tradizione scoliastica e lessicografica ricollega il passo ai Dionysia33. Nonostante i tentativi di individuare spazi di ritualità dionisiaca all’interno dei Brauronia, ipotizzando una rievocazione rituale del ratto delle donne ateniesi ad opera dei Pelasgi34, sembra però plausibile che la menzione di Dionysia sia dovuta a un equivoco da parte dei commentatori. Ebbrezza e licenza sono infatti componenti che nelle commedie di Aristofane ricorrono per rievocare il clima festivo, senza una necessaria connessione con Dioniso35. È plausibile che la partenza della processione fosse inaugurata da un sacrificio, per il quale è comunque sufficiente ipotizzare la presenza di un altare, non necessariamente fisso. A differenza della stoa di Brauron, il porticato non sembra specificamente predisposto per accogliere un banchetto rituale collettivo con le carni della thysia. Impossibile precisare ulteriori elementi. È stato messo in relazione con il culto di Artemide Brauronia sull’acropoli un passo del De re rustica di Varrone (I 2.20) in cui si afferma che le capre erano normalmente bandite dai sacrifici ad Atena e dall’acropoli, perché dannose per gli ulivi, ad eccezione di una sola volta (semel) in cui vi erano ammesse per il «sacrificio necessario»36: Hoc nomine etiam Athenis in arcem (capram) non inigi, praeterquam semel ad necessarium sacrificium, ne arbor olea, quae primum dicitur ibi nata, a capra tangi possit Per questo motivo anche ad Atene la capra non viene condotta sull’acropoli, tranne che una volta per il sacrificio necessario, affinché l’albero di ulivo, che si dice nato lì per la prima volta, non possa essere toccato dalla capra.

il significato osceno di (già attribuito dagli scoliasti) e, per motivi grammaticali, preferisce ritenerlo corrotto e sostituirlo con . Peppas Delmousou (Peppas Delmousou 1988b, p. 255) propone a sua volta per la più neutra traduzione di “mandare fuori”, quindi “inviare”. H. van Daele (Coulon, Van Daele 19807) traduce come «nous conduisons en battent du tambour à Brauron» (vedi anche il gioco in Brulé 2009, pp. 65 e 66). 33   Vedi Schol. Ar. Pax 874 a-b; 876a; Suid. s.v. (quest’ultimo è epitomato in Schol. D. LIV 25). 34  Vedi Brelich 1969, pp. 277-279; Brulé 1987, pp. 310-315 e Giuman 1999, pp. 153-156. 35   Vedi già Deubner 1969, pp. 138 e 208. La tradizione è accantonata anche da Peppas Delmousou che propone l’identificazione con una precisa theoria, quella inviata da Pisistrato a Delo (Peppas Delmousou 1988b, p. 157 ma cfr. le valide obiezioni di Bruneau 1991). 36   Vedi ad esempio Jahn, Michaelis, 19013, p. 49; Judeich 1931, nota 5, p. 244 dove il passo è incluso tra le fonti riguardanti il Brauronion. J. Heurgon (Heurgon 1978) nel commento del testo di Varrone scrive: «La seule exception pour laquelle on introdusait une chèvre sur l’Acropole était sans dout le sacrifice annuel d’une chèvre à Artémis Brauronia, qui avait un sanctuaire sur l’Acropole près des Propylées». Cfr. la posizione più sfumata di B. Tilly (Tilly 1973, p. 151), nel cui testo peraltro si osservano diverse gravi inesattezze (Brauron in Beozia e il Brauronion vicino al Pandroseion).

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La capra è esplicitamente ricordata come animale sacrificato per Artemide Brauronia in occasione dei Brauronia nella seconda parte della glossa di Esichio relativa ): alla festa (s.v.

Brauroniois: alcuni rapsodi cantavano l’Iliade a Brauron. E Brauronia: si celebra una festa per Artemide Brauronia e si sacrifica una capra.

Alla testimonianza di Esichio sull’associazione tra la Brauronia e la capra si possono aggiungere alcuni reperti emersi nel corso dello scavo di Brauron che suggeriscono un certo ruolo dell’animale nella ritualità: ci si riferisce alla già citata testa marmorea di capra attribuita alla decorazione del tempio, a un rilievo che mostra Artemide mentre accarezza una capra seguita dai suoi cuccioli e a uno dei grandi rilievi votivi rinvenuti nella stoa su cui è raffigurata la dea mentre, seduta a fianco di un cervo, riceve l’offerta di una capra da parte di un gruppo di persone37. È stata inoltre sottolineata l’affinità simbolica tra l’ambivalenza della capra, il più selvatico degli animali da allevamento, e il carattere liminare della stessa Artemide, a cui l’animale è molto spesso associato a livello mitico e rituale38, anche se è metodologicamente scorretto dedurre da simile associazione che ogni sacrificio di capra menzionato dalle fonti vada ricondotto al culto di Artemide. Ancora, non è da escludere che l’uso di al singolare nel testo di Esichio presupponga un riferimento non al sacrificio celebrato a Brauron in occasione dei Brauronia che, stando all’importanza della festa e alla monumentale stoa, prevedeva sicuramente più vittime, ma a un particolare momento delle celebrazioni, quale poteva essere appunto l’avvio della processione: il riferimento a due momenti distinti rappresenta altresì una delle possibili ragioni per l’articolazione in due parti della glossa. Infine, il contesto della notizia di Varrone è relativo a usi sacrificali della capra tipici del mondo greco, anche se, come consuetudine, vengono impiegati i nomi latini delle divinità39. L’informazione fornita sembra dunque inserirsi in un quadro indiziario coerente a favore della sua attribuzione al Brauronion. Anche se si tratta di un autore molto lontano per epoca e per cultura   Sul ruolo della capra a Brauron vedi ad esempio Kontis 1967, pp. 188-189. Testa marmorea: vedi supra, pp. 23-24. Rilievo con capra e cuccioli: Papadimitriou 1959, p. 19; Brelich 1969, nota 47, p. 255; Comella 2002, p. 65 e p. 206 (con bibliografia). Grande rilievo votivo: Orlandos 1958, 36, p. 34; Comella 2002, p. 206 (con bibliografia); Despinis 2002, pp. 163-164. 38   Sulle affinità simboliche vedi ad esempio Montepaone 1979b, pp. 74-75; Brulé 1987, pp. 217218. Limitandosi all’Attica, la capra ha un ruolo centrale nel mito (e forse anche nel rito) del santuario di Artemide Mounichia (uno dei “gemelli” di Brauron), vedi infra pp. 85-88, nonché nella ritualità dedicata ad Artemide Agrotera, di cui si ricorda il sacrificio annuale di cinquecento capre come scioglimento di un voto fatto prima della battaglia di Maratona (X. An. III 2.11-2; Plu. Mor. 862 b-c). Fuori dall’Attica risulta emblematico il caso della città di Hyperesia - Aigeira (Paus. VII 26.2-3). 39  Vedi Heurgon 1978, p. 114. 37

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dal contesto rituale brauronio, il suo riconosciuto enciclopedismo ante litteram può averlo portato a utilizzare una fonte che ne aveva conoscenza40. Va però osservato che l’identificazione tra il sacrificio menzionato da Varrone, se anche effettivamente celebrato nel Brauronion, e il sacrificio di apertura dei Brauronia resta al momento un pura, suggestiva, ipotesi. Altrettanto poco entusiasmanti sono le conclusioni che si è costretti a trarre riguardo all’eventuale coinvolgimento del Brauronion nell’arkteia. Tale rito è richiamato dai frammenti di krateriskoi (comunque se ne voglia interpretare la presenza fuori da Brauron)41 e dalla statua di orso che plausibilmente, proprio alla luce del rito e della sua eziologia, va interpretata come statua di orsa42. Suggestiva ma indimostrabile, data la perdita del muso dell’animale, l’ipotesi secondo cui la scultura faceva parte di un gruppo raffigurante il momento di svolta del mito di fondazione, cioè quello in cui l’orsa aggredisce la ragazzina compagna di giochi che l’aveva provocata43. Le già ricordate analogie tra l’arkteia e i riti di iniziazione tribale (vedi supra pp. 18 e 43-44) vedrebbero nella sede urbana del santuario di Artemide Brauronia, situata nel cuore sacrale della polis, lo spazio ideale per momenti rituali volti a sancire la separazione dalla comunità e la successiva reintegrazione nella medesima dopo la fase liminare svolta nel santuario della polis. Malauguratamente le fonti non hanno trasmesso nessun elemento utile a ricostruire simili fasi. C. Calame44 ha proposto di collocare nel Brauronion un rito di pubertà che rappresentava l’ingresso individuale nella classe di età coinvolta nel rito dell’orsa, ricostruendo, anche sulla base della comparazione con analoghi riti delle società tribali, una sequenza rituale che egli descrive in questi termini, mettendo in luce una complessa dialettica tra centro e periferia, individuale e collettivo45: […] l’exemple yangoru est susceptible de conférer une certaine vraisemblance à une séquence rituelle qui, dans l’Athènes classique, conduirait la jeune fille, dès le moment biologique de la ménarché, de l’offrande individuelle consacrée à Artémis au sein de l’espace publique et symbolique central que représente l’Acropole par toutes les Athéniennes à l’intégration dans un group d’adolescentes pour participer dans un sanctuaire de la périphérie à un rituel collectif, inscrit dans le calendrier cultuel de   Sul ruolo dell’erudizione nel primo libro delle Res Rusticae vedi Skydsgaard 1968.   Sul problema vedi soprattutto infra, pp. 113-5. Per la loro alta qualità, Kahil (Kahil 1981, p. 263) ipoteticamente riconduce al Brauronion i tre krateriskoi frammentari a figure rosse della collezione Lifschitz-Cahn. 42  Vedi Despinis 1994, nota 76, p. 193. 43   Per l’ipotesi vedi Ferrari 2002, p. 172. Sul gioco pericoloso vedi Schol. Ar. Lys. 645c e il più dettagliato racconto di Suid. s.v. . Per altre ipotesi sulla collocazione della scultura vedi Ross 1841, p. 205 secondo cui la statua stava su una colonna votiva e Kahil 1977, p. 94 secondo cui la statua era parte della statua di culto della dea; dello stesso avviso E. Bevan (Bevan 1986, p. 23) che cita un possibile parallelo. 44  Vedi Calame 2002. 45   Ivi, p. 64. 40 41

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la cité et réunissant – ne serait-ce que tous les quatre ans – les filles de citoyen ayant subi la même transformation physiologique.

Simile proposta, pur risultando estremamente allettante nella sua definizione della funzione rituale del Brauronion, presenta però diversi punti problematici. menzionati L’autore infatti identifica il rito di pubertà nella dedica dei 46 in diversi punti delle tabulae curatorum Brauronii : riprendendo un’interpretazione già di A. Mommsen47, egli ritiene che la parola indichi stracci macchiati dal sangue del menarca. In primo luogo, dopo la segnalazione del rinvenimento a Brauron di frammenti epigrafici identici alle tabulae non è certo che tali oggetti si trovassero effettivamente nel Brauronion: l’argomento topografico addotto da Calame sulla corrispondenza tra le tre statue menzionate nelle tabulae e i tre edifici del Brauronion è basato sulla ricostruzione di Stevens che, come si è visto, non è legato al sangue trova conferme nei dati archeologici. In secondo luogo, mestruale solo nei testi su cui si basa l’interpretazione di Mommsen, due passi dei Geoponica (1 14 e 10 67.3) relativi a metodi per la fertilizzazione dei campi più attinenti alla magia simpatica che alle pratiche agrarie48. La parola è invece molto più frequentemente attestata nel suo significato generico di “straccio”, sia a livello letterario sia a livello epigrafico (inventari di Artemide Kithone di Mileto)49. Si tratta certo di un rischioso argumentum e silentio, data la reticenza generale delle fonti antiche su quanto riguarda il ciclo femminile50. Tuttavia, T. Linders ha evidenziato la recenziorità dei passi degli inventari in cui è attestato il termine rispetto a quelli paralleli in cui non compare. Ciò rappresenta un argomento forte a favore di un riferimento allo stato di conservazione delle vesti, del resto attestato senza ambiguità nei testi milesii51. Infine, la tesi di Calame, che vede nel menarca la condizione per l’inclusione nel gruppo delle arktoi, contrasta con i dati delle fonti letterarie sull’età delle medesime che, nella loro contraddittorietà, si riferiscono comunque a un’età intorno ai dieci anni, o addirittura inferiore52, dunque   Per la lista delle attestazioni, vedi Calame 2002, nota 25, p. 57.  Vedi Mommsen 1899. Consenso è stato espresso da Osborne (Osborne 1985, pp. 161-166); Brulé (Brulé 1987, pp. 233-236, ma cfr. Brulé 1990, pp. 74-75); Sourvinou-Inwood (SourvinouInwood 1988, pp. 28-30); Giuman (Giuman 1999, pp. 59-61). 48   Il molto più preciso nesso compare invece in Suid. s.v. in relazione al celebre episodio dell’esibizione di tali oggetti ai suoi allievi da parte della filosofa. 49   Vedi rispettivamente Milanezi 2005 e Günther 1988. 50   Vedi ad esempio Parker 1983, pp. 101-103 e Dillon 2001, pp. 249-250. 51  Vedi Linders 1972, pp. 58-59. In alternativa, può essere presa in considerazione l’ipotesi, suscettibile di ulteriori verifiche e approfondimenti, di M. Weber (Weber 2010, p. 41) secondo cui erano pezzi di stoffa pronti da assemblare per “vestire” più facilmente le statue di culto. 52   Per le diverse fonti sull’età delle arktoi vedi supra, nota 21, p. 17. Sia Sourvinou-Inwood (Sourvinou-Inwood 1988, pp. 106-107) che Giuman (Giuman 1999, pp. 112-113) introducono come ulteriore fonte Callimaco (Hymn. Dian. 13-4) che rappresenta Artemide mentre chiede al padre Zeus come compagne sessanta Oceanine di nove anni. Entrambi ritengono possibile che l’autore alluda 46 47

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decisamente più bassa di quella che i testi medici e scientifici antichi indicano come età del menarca, quattordici anni53. Nella stessa direzione vanno anche le analisi iconografiche di Sourvinou-Inwood sui krateriskoi che identificano nelle figure più “mature” le arktoi giunte alla fine del servizio sacro, e non le nuove entrate54. Non meno problematica della proposta di Calame, ma altrettanto allettante, è del Lexikon di l’ipotesi formulata da W. Burkert55 a partire dal lemma Fozio:

Proteleia: chiamano (così) il giorno in cui i genitori conducono sull’acropoli, presso la dea, la ragazza che sta per sposarsi e celebrano un sacrificio.

Secondo l’autore, la dea menzionata nel testo è da identificare con Artemide Brau­ ) prima delle nozze. ronia a cui le ragazze venivano consacrate ( A suo parere dunque nel Brauronion «si poteva eseguire il rito normale, ridotto , un aoristo passivo nell’aspetto ‘perfettivo’, ai minimi termini: designa un atto di transizione che ha la sua conclusione. Sarebbe equivalente dire: »56. Una prima difficoltà è rappresentata dal fatto che, in riferimento all’acropoli di Atene (se si tratta veramente di quest’ultima), “la dea” senza ulteriori specificazioni è normalmente Atena. Ulteriore problema, a cui si è già accennato in relazione al significato assegnato alla diffusione dei krateriskoi nei santuari di Artemide in Attica (vedi supra pp. 18 e 43-44) è quello di ammettere la possibilità di diversi gradi di partecipazione al rito dell’arkteia, possibilità generalmente suggerita per il carattere “impegnativo” che esso presenta: separazione delle ragazze dalla comunità per quattro anni di soggiorno nel santuario di Brauron. Al di là del fatto che i parametri impiegati per la definizione di “impegnativo” sono quelli degli studiosi e dunque non necessariamente corrispondono a quelli degli antichi Ateniesi, specie in materia rituale, va ricordato che il quadro è ricostruito a partire da alcuni elementi che, presentati in modo sparso dalle fonti, sono stati messi insieme alla luce della comparazione con i riti di iniziazione tribale. La durata quadriennale dell’arkteia è suggerita dall’indicazione fornita solo da due testi, Schol. Aristoph. all’arkteia, data la sua conoscenza della cultualità di Munichia, testimoniata dall’invocazione (259) alla limenoskopos Mounichia (ma cfr. Rangone 1996, pp. 217-221 secondo cui il testo si riferisce alla Mounichia di Pygela, su cui vedi infra, p. 73). 53   Per alcuni riferimenti vedi Giuman 1999, nota 64, p. 142. 54  Vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 39-66; pp. 127-134. 55  Vedi Burkert 2002, pp. 25-26. 56   Burkert 2002, P. 26.

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Lys. 645a e Suid. s.v. (le cui analogie suggeriscono peraltro una relazione), secondo cui le partecipanti dovevano avere tra i cinque e i dieci anni57, nonché dalle età diverse che possono essere attribuite alle figure dipinte sui krateriskoi58: i Brauronia, dalla cadenza appunto penteterica59, rappresenterebbero la cornice dell’inizio e della fine del servizio sacro. La residenza nel santuario di Brauron è a sua volta desunta da una sola testimonianza, peraltro non chiara, il già citato scolio (Schol. Ar. Lys. 645c) in cui si afferma che le orse dovevano «prendersi cura del hieron» (supra, p. 43). Ultimo, e non meno pesante, elemento problematico è la mancanza di qualunque contestualizzazione cronologica del lemma di Fozio: ciò rende difficile collegarlo con sicurezza all’arkteia che, come si è mostrato (supra, pp. 40-41), per le sue caratteristiche sembra un rito strettamente legato alla polis classica e dunque cessato con la chiusura di tale esperienza storica. B. Relazioni cronologiche Le problematiche relative alla cronologia del Brauronion, essenziali per delineare un quadro storico della sua relazione con Brauron, sono altrettanto complesse e di difficile soluzione di quelle riguardanti l’assetto e la funzione dell’area sacra. L’ostacolo principale è rappresentato dalla mancanza di reperti rinvenuti in situ, mancanza a cui si cerca di supplire utilizzando indicatori cronologici esterni, come la relazione con altre strutture dell’acropoli, e identificando tra i rinvenimenti effettuati sull’acropoli oggetti più o meno plausibilmente attribuibili al Brauronion, come si è già detto in relazione alla funzione del hieron. Nella sua ricostruzione Stevens individua due fasi, una cimoniana, determinata sulla base della solidarietà tra il muro di fondo della stoa meridionale e il cosiddetto muro cimoniano, e una mnesiclea, determinata dalla costruzione dei Propilei. Alla prima ascrive il porticato con i due avancorpi, alla seconda l’ampliamento del settore nord-occidentale dell’area, a compensazione dell’impatto della costruzione dei Propilei su quello nord-occidentale. Tale ampliamento vede l’aggiunta all’avancorpo orientale di una seconda stoa. L’esistenza di un hieron in età arcaica è ipotizzata solo per immaginare l’esistenza di un tempio poi distrutto60. Rhodes e Dobbins, come frutto del loro rilievo, individuano invece tre fasi: costruzione della stoa meridionale, aggiunta dell’avancorpo orientale, ampliamento del settore nord-orientale con aggiunta della stoa orientale. Prudentemente rinunciano però   Per ulteriori fonti sull’età delle arktoi e con dati diversi vedi supra, nota 21, p. 17.  Vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 39-66; pp. 127-34. 59   Vedi Arist. Ath. 54.7. 60  Vedi Stevens 1936, pp. 466-70. Nessuna cronologia è fornita da Cavvadias e Kawerau (Cavvadias, Kawerau 1907), mentre la ricostruzione di Versakis (Versakis 1910) aveva come esplicito obiettivo la restituzione dell’edificio come visto da Pausania in età antonina. 57 58

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a fornire una datazione in senso assoluto di tali fasi61. I termini cronologici definiti da Stevens in relazione al “muro cimoniano” e ai Propilei sono tuttora comunemente accettati62. Più controversa è la questione relativa all’esistenza di una fase pre-persiana del Brauronion, così come è, del resto, tuttora fortemente problematica la ricostruzione complessiva dell’assetto dell’acropoli in età arcaica63. Gli unici indizi archeologici relativi alla fase più antica del hieron sono rappresentati da alcuni reperti che per le loro caratteristiche possono essere plausibilmente ricondotti al culto di Artemide Brauronia, anche se nessuna attribuzione risulta esente da dubbi. Se si volesse stabilire una sorta di ordine di pertinenza, al primo posto, per la loro specifica connessione con Brauron e i suoi riti, vanno collocati i frammenti di krateriskoi identificati da Kahil tra il materiale ceramico dell’acropoli, a cui si è già accennato64. La datazione, 510-500 a.C., seppure suggerita dalla maggiore esperta di tale tipologia, resta comunque da confermare previo uno studio completo e dettagliato di tutti i frammenti rinvenuti. Di poco posteriori sono alcuni materiali fittili, pinakes e statuette raffiguranti Artemide65, tutti databili tra 500 e 480 a.C. Si sale all’ultimo quarto del VI a.C. con tre sculture marmoree, una coppia di cani (di cui un solo esemplare si conserva in buono stato) e la cosiddetta kore con il peplo (Acr679). I primi sono tradizionalmente animali associati ad Artemide e dunque considerati appropriati almeno come dedica, se non come parte della decorazione, del Brauronion66. Non è però da escludere che, per le loro caratteristiche stilistiche, i due cani facessero parte di un gruppo raffigurante i Dioscuri in veste di cacciatori insieme al cosiddetto cavaliere Rampin e al suo gemello di cui si conservano pochissimi frammenti67. L’identificazione della “kore con il peplo” come raffigurazione di Artemide, e forse addirittura come raffigurazione di una statua della divinità, trova il suo punto

 Vedi Rhodes, Dobbins 1979, pp. 333-341.   Vedi ad esempio Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 550 con ulteriori riferimenti. Cfr. Edmonson 1968 (IV a.C., su cui si tornerà tra breve); su questa linea vedi anche Osborne 1985, p. 155). 63   Vedi da ultimo Santi 2010, pp. 47-94. 64  Vedi Kahil 1981, pp. 255-259 e supra, p. 16. Cfr. Osborne 1985, p. 155 che ricorda la presenza di krateriskoi anche fuori dai santuari artemidei (cosiddetta grotta di Pan ad Eleusi). 65  I pinakes sono tutti del tipo “Artemide in trono”, vedi Vlassopoulou 2003, p. 38; pp. 52-54; p. 120 (catalogo). Più varietà nelle statuette, vedi catalogo Ivi, pp. 137-139. Sul significato complessivo delle raffigurazioni di Artemide e contro la loro interpretazione come “visiting gods” (categoria peraltro discutibile in contesto politeistico), Ivi, pp. 74-76. 66   Vedi ad esempio Schrader 1909, pp. 77-78; Schuchhardt 1939, pp. 262-264 (che ipotizza una collocazione ai lati dell’ingresso del Brauronion, in posizione sopraelevata); Kahil 1981, p. 262. Maggiore cautela in Payne, Young 1936, p. 51; Shapiro 1989, p. 65; Angiolillo 1997, p. 69; Giuman 1999, p. 55; Hurwit 1999, p. 117. Per l’associazione tra la dedica di rappresentazioni di cani e i santuari di Artemide vedi BEVAN 1986, pp. 121-122. 67  Vedi Ridgway 1977a, p. 142. 61 62

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di forza, oltre che in elementi stilistici68, soprattutto nella ricostruzione della decorazione del fregio della veste, resa possibile da analisi ai raggi ultravioletti. Questo presenta infatti coppie di animali affrontati69 ed è assai simile al fregio che orna la veste dell’Artemide raffigurata su un carro a fianco di Atena su un dinos del pittore Sophilos70. Infine si sale fino al secondo quarto del VI a.C. con una testa animale in marmo (Acr122) tradizionalmente inclusa tra i frammenti di figure di felini a rilievo, ma identificata da Y. Morizot come testa di una scultura a tutto tondo raffigurante un orso e, pertanto, attribuita senza esitazioni al Brauronion sulla base del ruolo dell’animale nel complesso mitico-rituale di Artemide Brauronia71. L’identificazione trova però i suoi punti deboli nella scarsità di paralleli con raffigurazioni di orso e soprattutto nel confronto con una sfinge marmorea coeva rinvenuta nel 2002 al Ceramico, il cui muso, è, senza dubbio, leonino: le affinità tra i due reperti sono talmente forti72 da permettere di supporre una comune produzione. Ciò comporta la mancanza di certezze sull’originaria collocazione della testa Acr122, non più riconducibile direttamente al Brauronion, e l’inconsistenza della cronologia alta del hieron. A sostegno dell’esistenza di un Brauronion in età arcaica vengono addotti due ulteriori argomenti. Il primo, di carattere topografico, è l’estensione dell’area del hieron, eccezionale se confrontata con altri spazi non dedicati ad Atena presenti sull’acropoli di età classica e dunque forse spiegabile come mantenimento di una situazione preesistente73. Il secondo, di carattere più propriamente storico-religioso, è l’occorrenza su due diversi importanti vasi databili a prima del 550 a.C. (il già ricordato dinos di Sophilos e il cosiddetto vaso François) di una medesima raffigurazione in cui Artemide compare sul carro insieme ad Atena. Tale raffigurazione testimonierebbe il riconoscimento di una connessione tra le due divinità, tale da giustificare l’installazione del santuario di Artemide sull’acropoli, lo spazio sacro di Atena74. La questione relativa all’esistenza di una fase arcaica del Brauronion comporta la possibilità o meno di attribuire l’iniziativa della fondazione del hieron di Artemide Brauronia sull’acropoli a Pisistrato. Tale attribuzione era già stata formulata in 68   La postura è affine a quella di un bronzetto conservato a Boston raffigurante sicuramente Artemide. La resa non anatomica dei piedi e l’impostazione rigidamente frontale farebbero pensare alla replica di una statua del tipo convenzionalmente indicato come xoanon e potrebbero rimandare allo xoanon taurico di Brauron, vedi Ridgway 1977b (che peraltro non esclude altre identificazioni). 69   Per le analisi e la ricostruzione vedi Brinkmann 1987, pp. 43-45 e Brinkmann 2003, pp. 76-78, dove si sostiene l’identificazione con Artemide, anche se si lascia in sospeso la questione se si tratti di una dedica o di una statua cultuale. Cfr. Keesling 2003, pp. 135-139 che definisce la scultura come “visiting god” di Atena, padrona dell’acropoli. 70  Vedi Kahil, Nadir 1984, p. 721 (con bibliografia). 71  Vedi Morizot 1993, pp. 29-41. 72   Per il confronto con la sfinge del Ceramico vedi Santi 2010, nota 75, p. 67. 73  Vedi Kahil 1981, p. 262; Morizot 1993, p. 40; Santi 2010, p. 66. Cfr. Holtzmann (Holtzmann 2003, p. 181) secondo cui l’area in epoca arcaica era più ristretta. 74  Vedi Kahil 1981, p. 262; Morizot 1993, p. 40.

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passato sulla base dell’origine del tiranno (Plu. Sol. 10.3)75, ma ha ricevuto nuovo impulso dopo la scoperta del citato codex Zavordensis 95 del Lexicon di Fozio che riporta l’informazione su un allestimento del santuario di al lemma Brauron ad opera di Pisistrato76. Si è visto che la notizia trova conferma nei dati archeologici relativi al tempio, che sembra avere avuto una fase costruttiva collocabile tra 575 e 550 a.C. (supra, p. 24) e ad altre strutture, poi obliterate, rinvenute durante saggi effettuati nella corte nonché a ridosso del braccio orientale della stoa (supra, p. 22 e p. 33). Sarebbe dunque particolarmente allettante potere ipotizzare l’esistenza di un progetto unitario che prevedeva da un lato la monumentalizzazione del santuario extraurbano e dall’altro la fondazione (e forse la monumentalizzazione) del suo “gemello” sull’asty, nonché, probabilmente, una qualche strutturazione della festa dei Brauronia, dato che l’esecuzione di brani dell’Iliade su cui informa Esichio ) sembra riconducibile all’interesse propagandistico di Pisistra(s.v. to per l’epos omerico, a cui potrebbe essere ricondotta anche la versione brauronia del sacrificio di Ifigenia (supra pp. 35-36). L’intervento di Pisistrato collocherebbe inoltre l’istituzione della sede urbana del santuario di Artemide Brauronia, con i suoi caratteri di eccezionalità, in un contesto storico e storico-religioso alquanto peculiare di cui si tende a mettere in evidenza il profondo intreccio di motivazioni personali e politiche. Scrive emblematicamente Giuman:77 L’acropoli di Atene dunque rappresenta la città e il controllo della rocca non può che significare il dominio assoluto sull’intera comunità. In questo senso, la prospettiva sulla reale destinazione dell’area – dimora o no di Pisistrato – cambia di poco le carte in tavola, dal momento che sul piano simbolico questo non muta la valenza assoluta del dato: sull’acropoli, accanto al culto poliade di Atena, ritroviamo il santuario di Artemide Brauronia, unico culto demotico a essere rappresentato sul massimo palcoscenico religioso di tutta l’Attica. In questa prospettiva la dea viene ad assumere specificità e caratteristiche proprie che, oltre a farne un elemento prezioso nel quadro politico e religioso precedentemente messo in evidenza, sembrano andare ben oltre, trasformandola nella divinità garante dei rapporti tra la personalità più in vista dello Stato e il suo demo originario e, probabilmente, in senso più ampio tra città e campagna.

Simile quadro ammette implicitamente la possibilità di riconoscere al santuario di Brauron dell’epoca di Pisistrato una rilevanza “panattica”, possibilità riguardo alla quale vengono espresse opinioni radicalmente opposte. Nella sua monografia dedicata all’ascesa del tiranno, B.M. Lavelle nega con decisione che il culto brauronio 75   Vedi ad esempio Jessen 1897, p. 825; Kontis 1967, p. 169. Cfr. discussione in Solders 1931, pp. 108-9. 76   Vedi ad esempio Angiolillo 1983, pp. 352-3; 1997, p. 68; Shapiro 1989, p. 65; Frost 1990, p. 6; Giuman 1999, p. 55. Per il testo vedi supra, p. 35. 77   Giuman 1999, pp. 83-4.

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avesse già un’importanza non strettamente locale e anzi collega, seppure cautamente, alla “promozione” operata dai Pisistratidi il suo radicamento nel sistema cultuale attico78: On appearances, the Peisistratidai, who dwelled initially at Philaidai, were themselves specially implicated with the cult of Artemis Brauronia. Introduction to it at Athens is attributed to them, which, if true, suggests at the very least a particular interest in and patronage of it, since at the time of the introduction the cult had really only local significance and could produce no political dividends immediately at Athens. Indeed, the Peisistratids’ interest in the cult must be derived from its regional rather than from its “national” significance at the time of its introduction to Athens. Presumably the Peisistratids hoped that it would take root among the Athenians. In fact, it did. From this special interest, it is tempting to assume a hereditary Peisistratid cult link to Brauronian Artemis, but that is go too far.

Trattando della storia del santuario di Brauron si è già esposta la posizione di Valdés Guía secondo cui la relazione tra Brauron e Atene si configurerebbe nei termini di relazione spazio liminale – spazio centrale in rapporto alle iniziazioni femminili già forse alla metà dell’VIII a.C., quindi molto prima dell’eventuale istituzione del Brauronion ateniese ad opera di Pisistrato o dei suoi figli (supra, p. 35). In un’analoga direzione si muove anche R. Parker nel suo volume sulla storia della religione ateniese. Egli infatti osserva che mancano prove stringenti per attribuire una fase locale ai diversi santuari attici che, nella documentazione nota, appaiono sempre in relazione con Atene, come appunto, in special modo, quello di Brauron. Di conseguenza, egli non riconosce il VI a.C. (e in particolare l’età dei Pisistratidi) come momento di svolta nell’appropriazione da parte ateniese dei santuari della chora e, nello specifico, riguardo al culto di Artemide Brauronia scrive79: «The attentions bestowed by Pisistratus on Artemis Brauronia, at her home and perhaps on the acropolis, strictly prove no more than the popularity that the cult had achieved». La medesima linea interpretativa è seguita nell’opera collettiva sull’architettura greca curata da E. Lippolis, M. Livadiotti e G. Rocco, dove, in relazione all’intervento di Pisistrato nel santuario brauronio si scrive senza ulteriori cautele80: «L’importanza dell’intervento deriva dalla centralità che il culto riveste nel processo di integrazione della donna attica nella comunità cittadina […]». Il problema a monte del dibattito sulla contestualizzazione storico-religiosa e storico-istituzionale della fondazione del Brauronion ateniese è dunque l’individuazione delle caratteristiche che il culto brauronio presentava in tale momento. La ricerca di una possibile soluzione si scontra con lo stato della pubblicazione dei ma  Lavelle 2005, p. 22.   Parker 1996, p. 97. Per la presa di distanza dal modello storiografico impostato sull’appropriazione progressiva da parte della polis di culti locali controllati dai gene vedi Parker 1996, pp. 23-26. 80   Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 193. 78 79

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teriali brauronii. Le statuette fittili di età arcaica, l’unica classe al momento pubblicata, permettono di individuare stretti rapporti, anche a livello di produzione, con la città di Atene nel VI a.C., ma non forniscono elementi significativi sul periodo precedente in quanto numericamente limitate a esemplari che trovano comunque paralleli in altri importanti centri dell’Attica di VII a.C. Materiali più fortemente attestati per le fasi più antiche del santuario, come gli oggetti preziosi o semipreziosi e, soprattutto, la ceramica, sono invece inediti81. Le fonti letterarie sul culto di Brauron non possono contribuire a supplire alla carenza dei dati archeologici. A prima vista, la tradizione sul ratto delle donne ateniesi dal santuario a opera dei Pelasgi di Lemno, secondo cui questi ultimi avrebbero approfittato di una consuetudine festiva ateniese, sembrerebbe suggerire che fin dalla più alta antichità esistesse un legame tra Brauron e Atene. A ben guardare, la versione più dettagliata e forse più antica di una simile tradizione è riportata da Erodoto (VI 138) in un contesto fortemente favorevole alla propaganda cimoniana in memoria di suo padre Milziade, conquistatore di Lemno, dove quest’ultima impresa è presentata effettivamente come una “risposta” alla violazione del santuario di Brauron82. J. Mck. Camp II ha altresì sostenuto che l’eziologia dell’arkteia in cui l’ira di Artemide per l’uccisione dell’orsa si manifesta con un’epidemia o una carestia adombra le circostanze storiche della fondazione del santuario di Brauron: esso infatti, al pari di molti altri luoghi di culto a cui sono legati analoghi miti, sarebbe stato fondato a scopo apotropaico-propiziatorio in occasione di una grave siccità che, secondo precisi indicatori archeologici, avrebbe devastato l’Attica alla fine dell’VIII a.C.83, dunque, si aggiunge qui, avrebbe avuto fin dall’origine un’importanza “panattica”. Il ricorrere topico di epidemie e carestie come manifestazione dell’ira divina nelle narrazioni mitiche (e non solo) delle più diverse culture impedisce però di accogliere simile tesi. Un’ulteriore questione che è stata posta nella storia degli studi sulla relazione tra Brauron e il Brauronion è quella di un eventuale passaggio di testimone che, in un certo momento, avrebbe visto il Brauronion come unico centro di culto di Artemide Brauronia. Già Suchier, autore, come si ricorderà, della prima monografia sul culto di Artemide Brauronia (1847), si era orientato per simile lettura sostenendo che, dopo le devastazioni arrecate dalle guerre persiane, il santuario extraurbano, il cui prestigio era stato deliberatamente indebolito da Clistene, era definitivamente entrato in declino ed era stato costruito, forse dallo stesso Pericle, il hieron dell’acropoli. Suchier naturalmente non disponeva dei dati archeologici relativi a Brauron. Questi emergeranno circa un secolo dopo e, evidenziando un’importante e decisiva ristrutturazione negli anni ’20 del V a.C., confuteranno indirettamente simile tesi, ma non produrranno l’abbandono della tendenza a stabilire una successione tra il   Per queste osservazioni vedi Mitsopoulos Leon 2009, pp. 28-30.  Vedi Erdas 2002, pp. 133-134. 83  Vedi Camp 1979, pp. 397-404. Da osservare il rovesciamento della prospettiva più diffusa che collega la nascita dei santuari e della polis al “rinascimento” greco. 81 82

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santuario extraurbano e quello urbano. Nel 1968 C.N. Edmonson tiene una conferenza in cui sostiene che, proprio alla luce dei risultati degli scavi di Brauron (la cui ultima campagna era stata effettuata sei anni prima) è possibile sostenere che il Brauronion viene costruito nel IV a.C. appositamente per rimpiazzare il santuario extraurbano84: It now seems quite likely that the estabilishment of the Acropolis sanctuary should be dated in the 4th century, and that it was originally intended as a replacement for the central shrine at Brauron rather than a complement to it.

Ancora, nel 2003 Holtzmann ipotizza una progressiva crescita di importanza del Brauronion in parallelo con il declino del santuario di Brauron. Egli descrive la storia del hieron dell’acropoli in questi termini85: S’il est possible que Pisistrate ait imposé là une “antemne” de l’Artemision de Brauron, à un moment où l’ensemble de plateau n’était pas encore dévolu à Athèna Polias, il est probable que ce temenos était d’une superficie beaucoup plus restreinte que celle, trapézoïdale, qu’on lui accorde d’habitude […] Au sud, en tout cas, le portique adossé au mur de péribole ne peut que être postérieur à l’élargissement du plateau résultant des travaux de Cimon et l’installation, entre 420 et 413, au beau milieu du Brauronion supposé, d’un Cheval de Troie colossal qui, selon la tradition, aurait été inspiré à Epeios par Athèna Erganè, n’indique-t-elle pas qu’à cette date le culte d’Artémis, s’il était déjà localisé là, était d’une emprise limitée? […] Sans doute ce point de culte, plus modeste qu’on ne l’a cru jusqu’ici, a-t-il dû prendre de l’importance au fur et à mesure du déclin du sanctuaire de Brauron, consommé au temps de Pausanias, qui en parle à peine […].

Come si è mostrato nel paragrafo dedicato alla storia del santuario di Brauron (supra, pp. 38-39), esso risulta ancora intensamente frequentato nel IV a.C. Inoltre, il fatto che la maggioranza dei reperti risalenti a tale periodo provenga dall’area della stoa prova che neppure quest’ultima che, essendo la più bassa era la più esposta alle alluvioni, era stata ancora abbandonata. Del resto, come opportunamente sottolineato da Cole, l’esposizione nel Brauronion delle cosiddette tabulae Brauronii, tutte databili al IV a.C. e che, si ricordi (supra pp. 50-51), sono molto probabilmente una replica di inventari di oggetti custoditi a Brauron, è un chiaro riconoscimento del prestigio del santuario di Brauron come luogo di aggregazione dell’intera Attica e ha una forte valenza politica86: Exhibited at the heart of the city, the inscriptions displayed Attic unity and made visible the political identification of the city with its outer territory. […]   Citazione dall’abstract, vedi Edmonson 1968. Non risulta alcuna pubblicazione dell’intervento.   Holtzmann 2003, p. 181. 86   Citazioni rispettivamente da Cole 2004, pp. 196 (vedi anche supra, pp. 52-53) e 230. 84 85

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The sacred inventories were more than records of administrative procedure. […] As records of gratitude for the protection of the goddess, the inventories reminded the community of the successful performance of public rituals. The stones on which the texts were inscribed were themselves gifts to the gods and stood to recall history of collective ritual. Displayed by the city at both sanctuaries, this inventories symbo­ lized the city’s achievement in promoting its ritual, supervising its women and producing its crops of healthy children.

Analogamente, la commissione a Prassitele dell’agalma di Artemide per il hieron dell’acropoli (Paus. I 23.7) acquisterebbe un significato forse più chiaro se interpretata come segno di riconoscimento di grande prestigio al culto di Artemide Brauronia e al suo santuario di Brauron. In un simile contesto potrebbe collocarsi anche la già ricordata dedica della scultura marmorea raffigurante un orso (o forse un’orsa) per la quale è stata proposta87 una datazione appunto al IV a.C.: tale scultura, come si è detto, rimanda in modo molto diretto al complesso mitico-rituale del santuario di Brauron. Quanto all’affermazione di Holtzmann secondo cui il Brauronion avrebbe acquisito nel tempo maggiore importanza in relazione al declino di Brauron, va detto che, proprio alla luce delle acquisizioni derivate dallo scavo del santuario di Brauron, sembra di potere individuare un parallelismo cronologico tra il temenos extraurbano e il hieron dell’acropoli. Si è visto infatti che l’intervento di Pisistrato (o dei suoi figli) nella fondazione di quest’ultimo appare più plausibile proprio alla luce del documentato intervento del tiranno nel santuario di Brauron (supra, p. 63). È inoltre generalmente riconosciuto che la solidarietà tra le fondazioni della stoa meridionale del Brauronion e il cosiddetto muro cimoniano implica uno stretto rapporto cronologico: il nome del filaide Cimone può altresì essere con buoni argomenti associato alla ristrutturazione post-persiana del santuario di Brauron (supra, p. 25). L’imponente operazione di ridefinizione degli spazi di quest’ultimo, con la costruzione della stoa a P è, a sua volta, di poco successiva alle modificazioni del Brauronion conseguenti alla costruzione dei Propilei di Mnesicle ed è circa contemporanea alla dedica della scultura raffigurante il cavallo di Troia a opera di Chairedemos (supra p. 38). Di più, il periodo di silenzio della documentazione sul santuario di Brauron sembra sovrapporsi perfettamente al periodo di silenzio della documentazione sul hieron dell’acropoli: non è infatti stata formulata alcuna proposta di attribuzione di reperti a quest’ultimo successiva al IV a.C., ad eccezione di una statuetta fittile frammentaria raffigurante probabilmente un orso e datata genericamente all’età romana88. Il testo della descrizione  Vedi Kahil 1977, p. 94. Lo stato di conservazione del pezzo e soprattutto l’assenza di paralleli invitano comunque alla prudenza sulla sua datazione. 88   L’attribuzione è proposta da Morizot (Morizot 1993, p. 39). Il pezzo, rinvenuto nel corso di scavi lungo le pendici settentrionali dell’acropoli insieme ad altri materiali di scarico, è stato pubblicato da Ch.H. Morgan (Morgan 1935, p. 212, con foto). 87

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di Pausania (I 23.7) non autorizza in se stesso a ritenere che il hieron fosse in qualche misura frequentato. Si è altresì già segnalata la scarsa plausibilità, sotto il profilo più propriamente storico-religioso, di un “trasferimento” di funzioni rituali da Brauron ad altri centri cultuali artemidei dell’Attica (supra pp. 40-41). Sul caso specifico del Brauronion sembra opportuno concludere citando, ancora una volta, Cole89: «Cults on the fringes could be replicated in major settlements, but secondary foundations in town centres did not replace the distinctive rural sanctuaries of Artemis».

  Cole 2004, p. 195.

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BRAURON E MUNICHIA

Se la relazione tra Brauron e il cosiddetto Brauronion dell’acropoli si configura come derivazione o “filiazione” di quest’ultimo dal primo ed è stata inclusa in questa trattazione relativa ai santuari “gemelli” di Artemide in Attica in virtù del legame inestricabile tra i due luoghi sacri, legame i cui contorni restano peraltro sfuggenti, la relazione tra il santuario di Brauron e quello di Munichia si configura nelle fonti nei termini di una completa omologia a livello rituale e mitico in rapporto allo svolgimento dell’arkteia. Per quanto riguarda il rito, i due testi di riferimento sono il lemma del lessico dei termini impiegati dai dieci canonici oratori attici curato da Arpocrazione nel II d.C., lemma la cui fonte è identificata in Lisia, e un non databile scolio al verso 645 della Lisistrata di Aristofane in cui si vogliono fornire informazioni sul rito ivi menzionato: Harp. s.v.

Arkteusai: Lisia nell’orazione in difesa della figlia di Phrynichos, nella causa sulla sua legittimità, il consacrare le ragazze prima delle nozze ad Artemide Mounychia o Brauronia. Quanto è sottinteso è stato detto sia da altri sia da Cratero nei Decreti. Perché le ragazze che compiono l’arkteia sono chiamate arktoi, Euripide nella Ipsipile, Aristofane nelle Lemnie e nella Lisistrata.

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Schol. Ar. Lys. 645a ed. Hangard

Sono stata orsa ai Brauronia: imitando le orse compivano il mysterion. Coloro che facevano le orse per la dea indossavano la veste color zafferano. E celebravano il sacrificio per Artemide Brauronia e per la Mounichia ragazze scelte né sopra i dieci anni né sotto i cinque. Le ragazze celebravano il rito per placare la dea, dopo che gli Ateniesi si erano imbattuti in una carestia avendo ucciso alla dea l’orsa domestica.

Per quanto riguarda il mito, il testo di riferimento è rappresentato dal lemma dell’anonima Synagoge lexeon chresimon (AB I 444-5)1:

Arkteusai: Lisia chiamava arkteuein il consacrare ad Artemide le fanciulle prima delle nozze. Infatti le ragazze che compivano l’arkteuein erano chiamate arktoi, come dicono Euripide e Aristofane. E altrimenti è detto arkteusai l’offrire un sacrificio espiatorio ad Artemide nel modo migliore. È stato detto dal fatto che, come dice il racconto, un’orsa era apparsa al Pireo e aveva recato danno a molti, poi era stata uccisa da alcuni giovani ed era sopravvenuto un morbo contagioso e il dio aveva dato il responso di venerare Artemide e sacrificare una fanciulla (kore) all’orsa. Dunque mentre gli Ateniesi si occupano del realizzare il responso, un solo uomo non lasciò andare, dicendo che lui avrebbe fatto il sacrificio. Tenendo dunque una capra e chiamando questa figlia, fece il sacrificio di nascosto. Poi, dato che i cittadini diffidavano, l’uomo disse di interrogare il dio. (Quest’ultimo) dicendo che chi lo ha detto aveva compiuto il sacrificio e di fare così per il futuro, svelò ciò che era accaduto di nascosto. E dopo

  Oltre all’edizione di I. Bekker che include Synagoge nella più ampia raccolta degli Anecdota Graeca si dispone dell’edizione del solo testo di Synagoge curata da I. Cunningam (Cunningam 2003).

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questo fatto le ragazze vicine alle nozze non sono state pigre nell’arkteuein per espiare la ferinità2 [o: i fatti riguardanti la bestia].

A. Brauron, Munichia e l’approccio “brauronocentrico” Presentando i termini generali del rapporto tra Brauron e gli altri santuari artemidei dell’Attica, si è visto che già Suchier (il quale pure non cita Synagoge) nella sua monografia sul culto di Artemide Brauronia aveva dedicato un capitolo al culto della Mounichia giustificando la scelta con l’identità tra i due culti (supra, p. 13). Al polo opposto si colloca, a quasi un secolo di distanza (1932) L. Deubner che nel suo volume sulle feste del calendario attico sostiene che si trattava di due culti distinti svalutando, attraverso criteri storico-filologici propri della Quellenforschung dell’epoca, l’attendibilità delle fonti sopracitate che li accomunano per quanto riguarda l’arkteia. L’autore polemizza esplicitamente con A. Mommsen e E. Pfuhl che, occupandosi prima di lui del calendario festivo, avevano identificato Mounichia e Brauronia. Egli sottolinea che la fonte più antica, il lemma di Arpocrazione che fa riferimento ai Decreti di Cratero, presenta la congiunzione disgiuntiva , da interpretare come dubitativa, deducendone che già all’epoca c’erano opinioni diverse sul santuario presso cui si svolgeva il rito, poi tralasciate adottando il compromissorio utilizzato dallo scoliasta. A ciò si aggiunge che il testo di Synagoge è screditato da Deubner come “sclechte Fassung” deteriore per lingua e per accuratezza nei dettagli rispetto alla “gute Fassung”, quella centrata sul personaggio di Baros/Embaros che non ha nulla a che fare con il rito dell’arkteia. La conclusione di Synagoge, centrata invece su tale rito è dunque una deliberata contaminazione con gli aitia brauronii suggerita dai comuni motivi mitici dell’uccisione dell’orsa e della pestilenza come castigo3. Va detto subito che la posizione di Deubner è troppo radicale. Anche ammettendo che l’ del testo di Arpocrazione sia dubitativo e che risalga già ai Decreti di Cratero, il fatto stesso che si potesse avere il dubbio su quale delle due Artemidi, la Brauronia o la Mounichia, fosse quella a cui si consacravano le arktoi autorizza a pensare che esistessero elementi che potevano portare a confondere tra loro i due culti, quindi almeno elementi di affinità se non di vera e propria identità. Leggendo il testo di Suchier si percepisce altresì nettamente una giustapposizione tra la parte in cui si tratta l’arkteia, che sembra effettivamente confermare la forte affermazione iniziale sull’identità dei riti di Brauron e di Munichia “separati solo nel nome e nel luogo”, e la parte in cui si dà conto degli altri aspetti del culto.   Si utilizza una traduzione adattata da quella suggerita da C. Montepaone (Montepaone 1979b, p. 68) «sacro della ferinità» sulla base della plausibile individuazione dell’hapax come termine astratto e dunque non sinonimo di (vedi Montepaone 1979b, p. 69). 3  Vedi Deubner 1969, pp. 205-207. 2

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In effetti il culto di Artemide Mounichia ha una fisionomia tutt’altro che sbiadita o sfuggente, che, ben lontano dal confondersi con quella del culto della Brauronia, risulta per certi versi più marcata di quest’ultima. Tale fisionomia è delineata in tutta la sua complessità da Viscardi in un articolo che, come è stato detto presentando gli orientamenti dello studio degli artemisia attici alternativi all’approccio “brauronocentrico” (supra, p. 19), non a caso si astiene dall’affrontare l’argomento dell’arkteia4. La festa in onore della divinità è eponima di un mese del calendario attico (Moue Harp. s.v. ) e, a differenza nichion appunto, Phot. s.v. di altre feste eponime, come ad esempio i Boedromia o gli Elaphebolia, non perde affatto di importanza nel corso del tempo5. Le fonti letterarie ed epigrafiche restituiscono un quadro cultuale più variegato rispetto a quello brauronio, che si presenta centrato sulla vita femminile. Al giorno della festa (16 Mounichion) si associano da un lato la dedica degli amphiphontes o anastatoi, un particolare tipo di focaccia tonda con candele accese disposte sul bordo a cui viene attribuita una simbologia , infra pp. 77-78), dall’altro la commeuranica (Poll. VI 75 e Suid. s.v. morazione della vittoria di Salamina, in occasione della quale Artemide come luna piena avrebbe illuminato il successo dei Greci (Plu. Mor. 349f )6. Il santuario della divinità o, più nello specifico il suo altare, hanno statuto di asylon (Lys. XIII 24 e D. XVIII 107)7. L’epigrafia attesta un collegamento tra il culto di Artemide Mounichia e la ritualità efebica, collegamento variamente indicato in una serie di decreti onorari tutti di età romana come periplo, periplo e sacrificio, naumachia o sfilata8.  Vedi Viscardi 2010a e supra, p. 10.   La divinità figura ancora come simbolo del mese di Mounichion nel fregio-calendario tuttora murato, in reimpiego, sulla facciata della chiesetta di Hagios Eleutherios ad Atene. La datazione del rilievo è peraltro assai controversa, vedi da ultimo Palagia 2008. 6   La dedica di amphiphontes e la commemorazione di Salamina sono invece associate da alcuni autori come ad esempio E. Simon (Simon 1985, p. 277); J.-P. Vernant (Vernant 2001, p. 143); Viscardi (Viscardi 2010a, pp. 35-36). In particolare Simon ritiene che su uno skyphos conservato a Laon sia raffigurata Artemide Mounichia che riceve da Pan, anch’egli connesso al teatro della battaglia, l’offerta di un amphiphon. L’interpretazione della scena è però controversa, cfr. De La Genière 1972, pp. 294-297 (mito di Demetra Melaina di Figalia) e Borgeaud 1979, pp. 147-148; p. 231 (legame simbolico con Trasibulo e i Trenta tiranni). Sembra però preferibile tenere separate la tradizione relativa all’offerta degli amphiphontes e quella relativa alla vittoria di Salamina, vedi infra pp. 78-79. 7   Dal fatto che nell’orazione di Demostene i supplici siano trierarchi designati non in grado di farsi carico di tale liturgia Viscardi (Viscardi 2013, p. 263) deduce (senza peraltro citare ulteriori fonti in proposito) che il santuario prestava anche loro l’ingente somma per pagare la multa. Ella pertanto arriva ad affermare: «This is, in my opinion, the main fact that highlights, on a political-religious level, the importance that the sanctuary at Mounychia had acquired on the territory after the institution of the trierarchy and the subsequent victory at Salamis». 8   Periplo: IG II2 1011, 16. Periplo e sacrificio: nuovo frammento attribuibile a IG II2 1009 (116/5 a.C.), 21-2 (Meritt 1947, p. 177); IG II2 1028 (100/99 a.C.), 21. Naumachia: IG II2 2130 (262/3 o 266/7 d.C.), 48-9. Sfilata: IG II2 1029 (94/3 a.C.) 13. Su Munichia e la ritualità efebica vedi da ultimo Viscardi 2013. 4 5

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Allo stesso ambito sembra riconducibile una dedica all’eroe Mounichos, il mitico re fondatore del santuario9, databile al 333/2 a.C. (dunque in se stessa interessante per la sua precocità) posta degli efebi della tribù Aiantis e rinvenuta presso il Ceramico (SEG XXI 180)10. L’epigrafia inoltre fornisce due tenui indizi sulla dimensione non meramente locale del culto. Il primo è un frammento di dedica di una statua rinvenuto in un deposito di materiali bizantini (evidentemente fuori contesto): del nome -) ma l’integrazione Mounichia proposta della divinità si conserva ben poco (dall’editore B.D. Meritt è del tutto plausibile11. Il secondo è rappresentato dal calendario del demo di Thorikos dove la rubrica relativa ai riti di Mounichion è aperta dal nome di Artemide Mounichia (ll. 40-1). Il testo relativo all’oggetto del rito è , andato perduto, tuttavia non vi sono motivi per dubitare dell’integrazione 12 “una vittima adulta”, proposta da J. Labarbe . Non è possibile stabilire se nel demo era presente un hieron dedicato alla divinità o se veniva inviata un’offerta fino alla (lontana) Munichia. Va infine accennato alla non trascurabile attestazione del nome di Artemide Mounichia fuori dall’Attica, in cui certo l’associazione topografica del santuario al porto del Pireo può avere giocato un ruolo importante, senza però rappresentarne l’unica ragione. Secondo Clemente Alessandrino (Protr. IV 42) a Sicione si trovava uno xoanon della divinità opera dei cretesi Skyllis e Dipoinos, mentre secondo Strabone (XIV 1.20) un hieron della divinità si trovava a Pygela/Phygela13. Una dedica alla divinità incisa su una base rettangolare a nome del sacerdote M. Aurelio Tryphon datata al 215 d.C. è stata rinvenuta a Epidauro (IG IV2 1 404), dove forse era originariamente collocata nel tempio di Apollo Maleatas. Una certa Kleidike è ricordata, tra l’altro, come “prosacerdotessa” e come sacerdotessa in due distinti decreti onorari di Cizico14 databili al I a.C.

  Re Mounichos: Harp. s.v. ; Schol. D. XVIII 107. Mounichos fondatore del santuario: Apostol. VII 10; AB I 279 Bekker s.v. ; Paus. Gr. fr. 35 Erbse; Phot. s.v. e s.v. ; Suid. s.v. . Per la tradizione mitica relativa a Mounichos vedi più in generale Palaiokrassa 1992 (con unico documento iconografico certo, una lekythos a fondo piatto a figure rosse dove il personaggio è raffigurato, insieme ad altri eroi attici, in combattimento contro le Amazzoni). 10  Vedi Habicht 1961, pp. 143-6. A Munichia è stata rinvenuta una dedica anonima graffita su una tegola fittile databile al II d.C. Si legge: . I. Threpsiades (Threpsiades 1935, pp. 187-8) considera possibile sia l’integrazione sia l’integrazione La seconda è preferita da Palaiokrassa (Palaiokrassa 1991, p. 183) che per motivi legati alla composizione del testo esclude la prima. 11  Vedi Meritt 1960, p. 57. 12  Vedi Labarbe 1977, p. 57. Cfr. la leggera correzione di G. Daux (Daux 1983, p. 153). Per la complessa vicenda editoriale del documento vedi Daux 1980, pp. 463-465. 13   G. Ragone (Ragone 1996, pp. 217-221) ipotizza che l’invocazione callimachea ad Artemide Mounichia come limenoskopos (III 259) faccia riferimento proprio a Pygela/Phygela e non all’Attica. Vedi anche supra, nota 52, p. 58. 14   Vedi rispettivamente CIG II 3657 e Lolling 1882, pp. 155-156. 9

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Per quanto riguarda l’archeologia, il sito del santuario di Artemide Mounichia è stato identificato nel corso di scavi “di emergenza” condotti nel 1935 dal sovraintendente I. Threpsiades in occasione della demolizione della villa di A. Koumoundouros per fare posto all’edificio destinato a ospitare il Circolo Nautico Nazionale, tuttora esistente (Tav. V). L’esplorazione, compiuta peraltro a edificio già costruito, è stata dunque estremamente parziale. In più, la continuità abitativa del sito determina l’estrema povertà dei resti murari riportati alla luce, di cui nessuno è attribuibile con certezza a un edificio sacro (Tav. VI) e il pessimo stato di conservazione dei reperti, quasi tutti frammentari e di piccole dimensioni. I risultati dello scavo di Threpsiades, di cui viene subito fornito un sintetico resoconto per il periodico , vengono studiati da L. Palaiokrassa per la sua tesi dottorale nel 1983, quasi cinquant’anni dopo15. Nel frattempo, gli oggetti hanno subito un trasferimento parziale dal Museo Nazionale al Museo del Pireo che ha causato la perdita dei dati precisi sulla provenienza16. La medesima Palaiokrassa ha infine modo di intervenire in un altro limitato scavo di “emergenza” nel 1984, i cui risultati consentono qualche ulteriore acquisizione sulla topografia e sulla storia del sito, in particolare per quanto riguarda le fasi più antiche e la fase finale, con il ritrovamento di un cospicuo nucleo di lucerne tardoantiche17. Palaiokrassa nella sua presentazione dei materiali di entrambi gli scavi dà particolare risalto al rinvenimento dei frammenti di krateriskoi18. Ella infatti pubblica i reperti di Munichia dopo gli scavi del santuario di Brauron e, soprattutto, quando, sulla scorta dei lavori di Kahil, la quale aveva già individuato e studiato nei magazzini museali alcuni pezzi provenienti da Munichia19, il significato specifico di tali vasi in relazione al rito dell’arkteia è ormai un dato generalmente accettato20. L’archeologia dunque sembrerebbe fornire una conferma eclatante all’informazione di Arpocrazione e dello scoliasta sul legame di Munichia con l’arkteia, nonché un elemento determinante per “riabilitare” la relativa eziologia riportata da Synagoge. Significativamente R. Parker considera il ritrovamento dei krateriskoi elemento sufficiente per confutare l’affermazione di Deubner sulla separazione dei due culti21 e Giuman apre la lista degli elementi a favore dell’individuazione della «stretta correla  La tesi viene subito pubblicata a Thessaloniki e nel 1991 si ha l’edizione per i tipi la Società Archeologica di Atene a cui si fa qui riferimento. 16  Vedi Threpsiades 1935. Per la storia degli scavi e la complessa vicenda della pubblicazione dei reperti vedi Palaiokrassa 1989, p. 1; Palaiokrassa 1991, pp. 16-18. 17  Vedi Palaiokrassa 1989 (in particolare p. 16 per le lucerne). Lo scavo avviene durante la ristrutturazione del Circolo Nautico Nazionale danneggiato da un terremoto nel 1981 (vedi Ivi, p. 2). 18   Krateriskoi dallo scavo del 1935: Palaiokrassa 1991, pp. 74-82 e catalogo pp. 147-162. Krateriskoi dallo scavo del 1984: Palaiokrassa 1989, pp. 16-17 e catalogo pp. 38-39. 19  Vedi Kahil 1965, pp. 23-24: 1977, p. 87 (ulteriori esemplari). 20   Per le critiche e le proposte alternative alla lettura di Kahil (peraltro tutte successive al 1983) vedi supra nota 24, p. 18. 21  Vedi Parker 2005, nota 59, p. 231. 15

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zione» (per usare le sue parole) del culto brauronio con quello munichio proprio con la menzione di tali vasi22. Va inoltre segnalato che la presenza dei krateriskoi si inserisce in un più ampio contesto di reperti connessi alla ritualità nuziale e alla vita femminile affini a quelli rinvenuti a Brauron. Riguardo alla ritualità nuziale, Palaiokrassa sottolinea la presenza di numerosi lebetes gamikoi miniaturistici a figure rosse databili alla prima metà del IV a.C., di qualche frammento di loutrophoros, e di un certo numero di bambole fittili. Queste ultime sono infatti da lei interpretate come dedica prenuziale secondo quanto attestato da un epigramma dell’Antologia Palatina (VI 180) debitamente citato23. Quanto alla vita femminile, Palaiokrassa pubblica alcuni epinetra che, si ricordi, sono specificamente connessi alla tessitura24, e diversi oggetti fittili riconducibili alla sfera della maternità tra cui si segnalano una statuetta di neonato in fasce e un frammento di vaso plastico raffigurante una donna che allatta (tipi al momento non identificati a Brauron)25. L’archeologa, nel concludere la sua pubblicazione, non rinuncia a una comparazione tra il culto di Munichia e il culto di Brauron, di cui individua una sostanziale affinità, nonostante alcune differenze. Queste ultime riguardano l’assenza a Munichia di miti e culti riguardanti Ifigenia, il legame di Munichia con la navigazione e la più forte connessione tra Brauron e Atene, dovuta a vincoli tra il santuario e personaggi di spicco della politica ateniese quali Pisistrato, Milziade e Cimone, connessione a cui si oppone, a suo avviso, una maggiore relazione di Munichia con gli “strati popolari”, a cui però non consegue una minore importanza del culto, diffuso fuori dall’Attica26. Palaiokrassa chiude la comparazione scrivendo comunque27:

 Vedi Giuman 1999, p. 185.   Vasi nuziali dallo scavo del 1935: Palaiokrassa 1991, pp. 67-68 e catalogo pp. 134-137. Vasi nuziali dallo scavo del 1984: Palaiokrassa 1989, p. 15 e catalogo p. 36. Bambole: Palaiokrassa 1991, p. 59; p. 62 e catalogo pp. 120-121; pp. 122-123. Per i vasi nuziali di Brauron vedi supra p. 46. Nel nuovo allestimento del museo di Brauron (2009) sono esposti diversi esemplari di bambole fittili. Alcuni di essi, collocabili nella prima metà del V a.C. sono stati pubblicati da Mitsopoulos Leon (Mitsopoulos Leon 2009, pp. 233-237). 24  Vedi Palaiokrassa 1991, p. 66 e catalogo p. 132 (figure nere); pp. 142-143 (figure rosse ed esemplare a fondo bianco). Per tale categoria di vasi e la loro diffusione tra i materiali votivi vedi Mercati 2003. Sugli epinetra di Brauron vedi supra p. 43. 25   Vedi rispettivamente Palaiokrassa 1991, p. 62 e catalogo p. 119; p. 82 e catalogo p. 164. 26   Ivi, pp. 95-96. 27   Ivi, p. 96. «Comunque negli elementi fondamentali le due divinità restano affini, identiche in quanto ai ritrovamenti e al culto. In entrambi i culti Artemide è connessa con la natura, gli animali e le acque (Limenia). Ma soprattutto si caratterizza come dea della generazione a cui sono legati antichissimi riti, relativi al raggiungimento dell’età adulta e al matrimonio». 22 23

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Ella mette in primo piano la presenza di identici materiali archeologici a Brauron e a Munichia. Va osservato tuttavia che un confronto sistematico tra i ritrovamenti effettuati nei due santuari si scontra contro un doppio ostacolo: la parzialità delle indagini compiute a Munichia con la conseguente limitata rappresentatività dei reperti ai fini della ricostruzione della vita cultuale del temenos, e la limitatissima pubblicazione dei materiali brauronii, a loro volta peraltro frutto di uno scavo bruscamente (e drammaticamente) interrotto. Appare dunque più prudente, a livello metodologico ma, come si vedrà subito, non nelle conclusioni, la strada percorsa da Giuman che sostanzia l’affermazione della “stretta correlazione” del culto munichio con quello brauronio attraverso parallelismi desunti solo in minima parte (i krateriskoi) dai materiali archeologici privilegiando invece l’insieme delle fonti relative al culto munichio. La dedica degli amphiphontes e la tradizione sull’Artemide-luna che avrebbe illuminato la vittoria di Salamina sono da lui ritenute chiare indicazioni dell’”aspetto uranio del culto” e interpretate in questi termini:28 Le funzioni riconducibili a Ecate e a Selene […] si coniugano perfettamente con le dinamiche religiose che ormai abbiamo fatto nostre nel corso di questo lavoro: entrambe sono parthenoi e tauropoloi, entrambe sono kourotrophoi. Ecate in particolare, attraverso i rapporti con Demetra è anche thesmophoros, ovvero colei che regola la vita sessuale femminile. Il rapporto magico/ancestrale che da sempre lega ciclo lunare, ciclo mestruale e attività dei campi bene spiega il quadro complessivo così ottenuto.

Ancora, dalla citata documentazione epigrafica riguardante gli efebi (supra, p. 72) Giuman deduce una possibile relazione tra Artemide Mounichia, l’eroe Mounichos e la loro educazione e trae la seguente conclusione29: In ogni modo, il quadro religioso che sembrerebbe emergere dai non pochi dati inerenti al culto cittadino appare assai vicino a quello precedentemente prospettato per Brauron: anche qui, esattamente come avviene nel santuario demotico, la dea presiede all’educazione delle korai, ma sembra, in qualche modo, legarsi anche a quella dei fanciulli.

Il quadro di parallelismi tra la cultualità brauronia e quella munichia tracciato da Giuman presenta però diversi punti problematici. Riguardo alla comune connessione con la sfera della fertilità, connessione i cui termini meriterebbero un’approfondita discussione, e che viene comunque individuata a partire dal carattere lunare della Mounichia, va detto che quest’ultimo non può essere dimostrato   Giuman 1999, p. 194. Per l’associazione della tradizione sugli amphiphontes e di quella su Salamina vedi supra nota 6, p. 72. 29   Giuman 1999, p. 195. 28

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mettendo insieme la dedica degli amphiphontes e la tradizione sulla vittoria di Salamina. Infatti, a ben guardare, il legame degli amphiphontes con il culto di Artemide Mounichia appare piuttosto tenue. Esso compare soltanto in due testi (i ) e, tra le due fonti, solo già menzionati testi Poll. VI 7530 e Suid. s.v. Suida attesta esplicitamente la dedica di tali focacce nel santuario di Artemide Mounichia il giorno 16 Mounichion. Per di più, l’anonimo redattore introduce , come se l’offerta non fosse affatto esclusiva di Artel’informazione con un mide Mounichia, ma spettasse, più in generale, ad Artemide e/o ad Ecate come attestato da tutte le altre fonti31: […]

(= Apollod. Ath. FGH IIB 244 F152) Anastatoi: tipo di focaccia […]. Gli amphiphontes vengono preparati il 16 del mese Mounychion e vengono portati al santuario di Artemide Mounychia. Vengono chiamati amphiphontes, come dicono alcuni, perché vengono preparati allora, quando il sole e la luna alla mattina si mostrano sulla terra; come dice Apollodoro, perché li portano conficcando su di essi delle piccole torce accese.

Inoltre, come risulta evidente dal testo riportato, agli amphiphontes non è attribuita una simbologia propriamente lunare ma un riferimento alla compresenza in cielo, all’alba, di sole e luna, appunto le due luci che illuminano la volta celeste da entrambe le sue estremità. In alternativa, il nome delle focacce viene ricondotto direttamente alla presenza delle piccole torce accese sul bordo. Tale doppia spiegazione torna in tutte le fonti relative agli amphiphontes, le quali, in alcuni casi, citano l’autorità del perduto Sui giorni di Filocoro32. Unica eccezione è il lemma dell’Etymologicum Magnum che richiamandosi all’autorità di Metodio introduce il legame con la luna piena ed Ecate:   Poll. VI 75:

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«amphiphontes che portavano (al santuario) di Artemide Mounychia dopo avervi conficcato tutto intorno sul bordo delle torce accese». 31   Vedi Ath. XIV 645a-b; EM s.v. ; Hsch. s.v. ; Phot. s.v. . Si rovescia qui il ragionamento di Giuman (Giuman 1999, pp. 193-194) che, partendo dall’insieme di tali testi, cita Suida come conferma del fatto che l’Artemide genericamente menzionata altrove era proprio la Mounichia. Per un significato ancora meno specificatamente connesso a Munichia vedi Palaiokrassa 1991, p. 39 secondo cui il testo di Fozio, in cui non è specificato il mese, autorizza a pensare che ogni mese venissero offerti privatamente gli amphiphontes e che solo nel mese di Mounichion venissero offerti alla Mounichia. 32  Vedi supra nota 31. Ai testi ivi citati si aggiunga Suid. s.v. . Citazione completa di Filocoro: Phot. s.v. . Generico riferimento in Ath. XIV 645a-b.

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Amphiphon. Tipo di focaccia preparato per Artemide; come mastoi, trophalidai, amphiphontes, itria. Per l’essere illuminato tutto intorno dalle torce; o perché quando c’è la luna piena viene inviato a Ecate. Così Metodio.

Quest’ultimo testo, isolato e privo di riferimenti specifici alla realtà cultuale di Munichia, non è sufficiente per sostenere che la dedica degli amphiphontes il giorno 16 Mounichion sia connessa al carattere lunare della Mounichia. Dunque, non sembra possibile accomunare tale rito, il cui legame specifico con Munichia risulta tenue, così come la sua simbologia lunare, con la tradizione sulla vittoria di Salamina (Plu. «luna Mor. 349f ) dove invece si parla esplicitamente di un’Artemide piena» che illumina la vittoria dei Greci:

Hanno consacrato ad Artemide il giorno 16 Mounichion in cui la dea ha brillato come luna piena per i Greci che vincevano a Salamina.

In ogni caso l’Artemide-luna di Salamina appare dotata di una sua simbologia che niente ha a che fare con la sfera della fertilità. Alcuni studi compiuti soprattutto da P. Ellinger e da J.-P. Vernant33 hanno evidenziato come in diversi episodi, riportati dagli autori antichi, in cui Artemide interviene in conflitti che minacciano di annientamento la comunità (quale appunto era quello tra Greci e Persiani), tale intervento assuma la forma di luce che guida la parte in pericolo, o, al contrario, di oscurità o nebbia che confonde il nemico. Scrive emblematicamente Vernant34: Agli uni apporta l’accecamento, sia nel caso in cui si trovino, per causa sua, smarriti, perduti, disorientati nel loro percorso trovandosi di fronte a strade confuse o cancellate (da una nebbia, dalla notte, dalla neve) […] sia nel caso in cui la confusione si impadronisca del loro spirito […]. Agli altri, al contrario, concede una sorta di iperlucidità; a volte li guida, senza che il nemico li possa vedere, in percorsi segreti; rischiara nella notte il loro itinerario lungo strade immerse nelle tenebre; a volte illumina il loro spirito con un’improvvisa illuminazione […].

L’Artemide-luna che brilla sulla vittoria di Salamina è, poco dopo, ricordata dall’autore come esempio, insieme a un altro importante episodio della storia ateniese, la riscossa di Trasibulo e dei suoi contro i Trenta, che vede il gruppo di Trasibulo gui  Vedi almeno Ellinger 1993 ed Ellinger 2002; Vernant 1988 e Vernant 2001.   Vernant 2001, p. 142.

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dato fino a Munichia da un fuoco apparso in cielo nella notte, in onore del quale viene eretto sul posto un altare per la Phosphoros (Clem.Al. Strom. I 163.1-3)35. Non meno problematico risulta il parallelismo tra Brauron e Munichia suggerito da Giuman in relazione alla preparazione dei giovani di entrambi i sessi alla vita adulta. La presenza di ragazzi a Brauron in parallelo alla presenza delle “orse” è stata più volte ipotizzata nella storia degli studi. In particolare si è sottolineata la presenza di statue infantili maschili accanto a quelle femminili, addirittura forse più numerose di queste ultime36, e si sono evidenziate alcune possibili tracce del culto di un Apollo che, in parallelo ad Artemide per le ragazze, avrebbe presieduto alla formazione dei ragazzi37. Si è già avuto modo di dire, in relazione all’identificazione della stoa come residenza delle “orse”, che le statue infantili, in quanto attestate anche in santuari non collegabili a riti di integrazione (un esempio evidente è quello delfico) appaiono dotate di un significato più generico, che prescinde dalle specifiche prerogative della divinità venerata (supra p. 31). Alla luce di ciò, la presenza numericamente superiore a Brauron di statue maschili (se effettivamente accertata) non deve stupire, dato il ruolo chiave della discendenza maschile nel sistema familiare greco. Quanto al culto di Apollo, esso non è necessariamente implicato né dal temporaneo trasferimento della cassa della lega delio-attica ipotizzato da Peppas Delmousou a cui si è già accennato (supra p. 38), né dalla raffigurazione della triade delia sul rilievo dedicato da Peisis ricordata dalla medesima studiosa38. Ancora più labili sono altri due possibili indizi iconografici: il giovane uomo con testa ursina raffigurato, insieme a una donna di eguale aspetto, sul terzo krateriskos a figure rosse della collezione Lifschitz-Cahn39 e il ramo, forse di alloro, raffigurato sul celebre frammento brauronio a figure rosse su cui è raffigurato un krateriskos rovesciato presso un altare40. Il solo indizio consistente della frequentazione dell’area del santuario di Brauron da parte di ragazzi è rappresentato al momento dalla più volte ricordata lista di edifici riportata sul decreto di exetasmos in cui, oltre a una palestra è menzionato, molto probabilmente, un ginnasio41, a meno che non si voglia ipotizzare che entrambe le strutture fossero destinate alle ragazze, a somiglianza di quanto viene detto per Sparta42. Tuttavia tale frequentazione (forse in primo luogo da parte dei  Vedi Vernant 2001, p. 143.   Sul numero vedi ad esempio Kontis 1967, p. 180. 37   Vedi ad esempio Peppas Delmousou 1988a, pp. 331-332 e, da ultimo, Lundgreen 2009, pp. 120-123. 38  Vedi Peppas Delmousou 1988, p. 331. 39   Per la pubblicazione del vaso vedi Kahil 1977, pp. 92-93. Sulla possibile relazione del giovane con Apollo vedi Kahil 1988, pp. 808-809. 40   Per il frammento vedi supra, nota 19, p. 16. 41   Vedi SEG LII 104, ll. 5-6 […] […] “e il ginnasio e la palestra”. Il testo è lacunoso, ma l’integrazione è del tutto plausibile. Sul documento vedi supra nota 8, p. 15. 42   Per l’ipotetico parallelismo, in realtà accantonato, vedi Parker 2006, p. 230. 35 36

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giovani del demo di Philaidai) non può in alcun modo essere posta in relazione con una qualche istituzione rituale maschile parallela all’arkteia o, in modo diretto ed esclusivo, con la cultualità di Brauron. Scrive molto opportunamente Parker nel suo volume su religione e società ad Atene43: There was, we have seen, no male equivalent to the arkteia. But if the arkteia was a blend of socialization and involvement in cult for girls, there was also a context where for boys and young men general training intersected with ritual activity. […] In most Greek cities in the hellenistic period the gymnasium was one important focus of the religious life. […] The various categories of youth that trained and studied in the gymnasia went out from them to participate, as groups, in the public festivals, the public often came in for sacrificial festivals held, conveniently, in the large open space of the gymnasium and the young had festivals of their own within the walls.

Dunque il ginnasio è un’istituzione che, per quanto si presenti topograficamente strettamente associata a santuari (come i tre maggiori ginnasi ateniesi, l’Accademia, il Liceo e quello di Cinosarge)44 e dotata di una sua multiforme ritualità, non è una istituzione rituale propria di un determinato culto, quale è invece l’arkteia, la cui valenza educativa e socializzante andrebbe peraltro discussa e approfondita in quanto strettamente connessa alla questione del soggiorno delle orse nel santuario, su cui si è già espressa qualche riserva45. È quasi superfluo dire che quanto scritto da Parker sul ginnasio può essere applicato anche all’efebia che, per quanto ricca di momenti rituali, non è in se stessa un’istituzione rituale. Gli atti rituali degli efebi connessi ad Artemide Mounichia e all’eroe Mounichos vanno dunque inseriti in un contesto polisemico che, partendo dal mero dato topografico della presenza di una delle guarnigioni a Munichia, comprende la valenza identitaria del luogo che è stato teatro della vittoria sui Persiani, la costa dell’Artemide Crhysaoros dell’oracolo erodoteo (VIII 77.1), valenza che è stata evidenziata in un apposito contributo di Viscardi, dove si legge tra l’altro46: The celebration of the naumachia at Piraeus and particularly at Mounychia, that was clearly perceived as an actual “mnemotope” or lieu de mémoire, must have contributed, over time, to keep alive the experience of Salamis on a collective level by means of the ritual performance.

In conlusione, non sembra possibile applicare ai culti di Artemide Brauronia e di Artemide Mounichia una lettura omologante volta a metterne in luce, per citare ancora   Parker 2006, p. 249. Il testo non rappresenta una risposta polemica a Giuman.  Vedi Parker 2006, pp. 249-250. 45  Per l’arkteia come periodo di “apprendistato”, in particolare in relazione alla tesssitura, vedi Morizot 2004, pp. 167-168. Riserve sul soggiorno: vedi supra pp. 43-44 e p. 60.. 46   Viscardi 2013, p. 265. 43 44

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Giuman, le cui parole suonano assai vicine a quelle di Suchier47, «legami […] tali da far pensare a una vera e propria identità cultuale». La “gemellarità” di Brauron e Munichia appare limitata a un particolare aspetto, il rito dell’arkteia ed è dunque di questo particolare aspetto che va indagato il contesto storico-religioso e storico-istituzionale. B. Brauron, Munichia e l’arkteia Si è anticipato (supra p. 71) che le conclusioni “separatiste” di Deubner, secondo cui il culto di Artemide Mounichia e quello della Brauronia non sono accomunati neppure dal rito dell’orsa, conclusioni basate sulla svalutazione delle fonti che , Schol. Ar. Lys. 645; AB s.v. trasmettono tale informazione (Harp. s.v. ), non sono condivisibili. L’analisi filologica condotta da Deubner ha comunque il merito di avere evidenziato due problemi che queste fonti pongono: il testo di Arpocrazione e quello dello scoliasta non danno la medesima informazione e il testo di Synagoge sembra combinare due tradizioni mitiche originariamente indipendenti l’una dall’altra. ) il rito è definito come consacraNel testo di Arpocrazione (s.v. zione delle ragazze prima delle nozze ad Artemide Brauronia o ( ) ad Artemide Mounichia: […]

. […] il consacrare le ragazze prima delle nozze all’Artemide Mounichia o alla Brauronia.

L’anonimo scoliasta, dovendo fornire sintetiche notizie su cosa significava essere “orsa”, afferma tra l’altro che le “orse” celebravano “il sacrificio” per Artemide Brauronia e ( ) per Artemide Mounichia: […] […] e celebravano collettivamente il sacrificio per l’Artemide Brauronia e per la Mounichia

Nel testo di Arpocrazione la congiunzione disgiuntiva non sembra volere esprimere un dubbio, fatto che apparirebbe poco consono alla fonte di tipo giuridico, i Decreti, a cui fa esplicitamente riferimento Arpocrazione, rimandando a tale raccolta il lettore che desideri ulteriori informazioni. Più plausibilmente, indica un’equivalenza: il rito prematrimoniale dell’arkteia poteva essere compiuto sia a   Giuman 1999, p. 84. Cfr. Suchier 1847, p. 46 (vedi testo supra p. 13).

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Brauron sia a Munichia. Ciò riporta alla questione, a cui si è già accennato in relazione all’interpretazione della diffusione dei krateriskoi e su cui si tornerà in sede di conclusioni (rispettivamente supra p. 18 e infra p. 126) dell’esistenza di “succursali” del rito finalizzate a facilitare e garantire la partecipazione a quello che, almeno teoricamente, era un obbligo universale per le parthenoi. lascia aperta Nel testo dello scoliasta l’uso della congiunzione copulativa la possibilità che il medesimo gruppo di arktoi celebrasse un sacrificio per ciascuna delle due Artemidi, Brauronia e Mounichia, recandosi, apparentemente, in entrambi i santuari48. Possibilità alternativa a simile immaginario rituale itinerante è che due distinti gruppi di arktoi, quelle di Brauron e quelle di Munichia, sacrificassero a ciascuna delle due Artemidi nei rispettivi santuari, nella stessa circostanza, o, eventualmente, in circostanze diverse. Quanto alla prima eventualità, si è visto che la polemica (esagerata in senso opposto) di Deubner contro l’accostamento del culto brauronio e di quello munichio si indirizzava contro due autori (Mommsen e Pfuhl) che avevano affermato la coincidenza calendariale di feste Brauronia e Mounichia (supra p. 71). Tale affermazione è stata riproposta anche in tempi assai più recenti. Riguardo ai Brauronia, dopo avere debitamente citato la testimonianza della Costituzione degli Ateniesi di Aristotele (54.7), Giuman scrive49: I Brauronia, come tutte le maggiori celebrazioni attiche in onore di Artemide, si svolgevano nel mese di Munichione, ossia tra la metà di marzo e la metà di aprile; già il sesto giorno di questo mese aveva luogo una processione di vergini che si svolgeva presso il Delphinion, il santuario alle pendici dell’Ilisso, dove erano congiuntamente venerati Artemide e Apollo; ma la principale festività mensile era indubbiamente costituita dalle grandi celebrazioni del giorno sedici quando, contemporaneamente, si celebravano Munichie – ovvero le feste collegate al santuario di Artemide Munichia, al Pireo, da cui prendeva nome lo stesso mese – e, appunto, Brauronie. La collocazione temporale di queste celebrazioni in prossimità dell’equinozio di primavera risponde evidentemente a criteri simbolici ben precisi che, da sempre, collegano riti di passaggio – e in particolar modo quelli riconducibili alla sfera della fertilità – e la stagione che, dopo l’apparente morte invernale, rappresenta in qualche modo la rinascita della natura e l’inizio di un nuovo ciclo.

Come si può vedere leggendo il passo qui riportato, l’affermazione sulla coincidenza calendariale di Brauronia e Mounichia non viene argomentata, ma inserita in un generico riferimento alla simbologia stagionale. Non diversamente si era espresso  Cfr. Hollinshead 1980, pp. 60-61: «Since these were both Athenian (and not merely Attic) sanctuaries and since the little “bears” were Athenian maidens, another possibility would be that a single group of Athenian girls played the bears at both sites in the course of their tenure as servants of Artemis». Celebrare un sacrificio non è però equivalente al “fare l’orsa”. 49   Giuman 1999, pp. 149-150. 48

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H. Jeanmaire (non citato da Giuman), pioniere della comparazione tra i riti di iniziazione tribale e il sistema mitico-rituale greco riconducibile all’integrazione dei giovani nella comunità adulta. Nella sua monografia intitolata appunto Couroi et Courètes, pubblicata sessant’anni prima del volume di Giuman (1939), egli aveva inserito i rituali del Delphinion, i Brauronia e i Mounichia in quello che aveva chiamato «ciclo primaverile in onore di Artemide» anche se aveva introdotto la coincidenza calendariale tra i Brauronia e i Mounichia con la dovuta cautela50. Infatti nelle fonti non si trovano elementi per sostenere che le due feste fossero celebrate lo stesso giorno. Un passo di Libanio (Or. V 29) in cui si dice che nel mese di Mounichion si celebravano i riti prematrimoniali in onore di Artemide, potrebbe al limite suggerire un legame tra tale mese e il rito dell’arkteia che appunto è qualificato concordemente dalle fonti come rito prematrimoniale:

In un altro mese, credo Mounichion, conducono a lei (Artemide) anche le ragazze prima delle nozze, affinché dopo che Artemide è stata curata, così si avvicinino alle cose di Afrodite.

Tuttavia, a parte l’uso di , «credo» che introduce nell’informazione una sfumatura dubitativa, retorica o reale che sia, il passo è privo di qualunque riferimento cronologico. Valgono dunque per esso le stesse considerazioni espresse per il lemma di Fozio che si è voluto ricondurre alla ritualità del Brauronion (supra p. 60): l’arkteia, come si è detto, si presenta così profondamente organica alla realtà della polis classica da lasciare supporre che come uso rituale si sia esaurito insieme ad essa. Diventa dunque difficile ricondurre ad essa passi che non presentano indizi cronologici e che sono relativi ad ambiti rituali così ampi e di lunga durata come la ritualità prematrimoniale. Sull’ipotesi della celebrazione di Brauronia e Mounichia in un’unica data pesa comunque un’ulteriore difficoltà: i Mounichia, che tra l’altro davano il nome a un mese dell’anno, avevano, plausibilmente una cadenza annuale, mentre i Brauronia, per quanto noto, avevano una cadenza penteterica. La difficoltà può essere superata solo a patto di immaginare (a fronte del silenzio delle fonti) che esistessero anche Brauronia annuali, meno solenni di quelli celebrati ogni quattro anni51. Giuman, non accettando, correttamente, simile ipotesi ma ammettendo comunque lo svol-

 Vedi Jeanmaire 1939, pp. 257-263. Le parole tra virgolette riprendono il titolo del paragrafo.  Vedi Deubner 1969, p. 208 e Parke 1977, p. 139, i quali assumono senz’altro che l’esistenza di una festa penteterica postulasse quella di una festa annuale. Cfr. Jeanmaire 1939, p. 260 che, sulla scorta della comparazione, legge nella festa solenne quadriennale l’eredità di un antico sistema di reclutamento per classi di età. 50 51

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gimento di un «qualche rito» annuale, lascia la difficoltà non risolta52 anche se nel capitolo dedicato alla relazione tra il culto brauronio e quello munichio la coincidenza calendariale di Brauronia e Mounichia è presentata come «dato storico» (le parole sono sue) che testimonia, insieme al «dato archeologico» (i krateriskoi) e al «dato eziologico» (su cui si tornerà tra breve) la «stretta correlazione» tra il culto brauronio e quello munichio53. I problemi non sono minori se si prende in considerazione l’ipotesi che il sacrificio citato dallo scolio aristofaneo (Schol. Ar. Lys. 645a) venisse offerto ad Artemide Brauronia e ad Artemide Mounichia da gruppi diversi di arktoi in circostanze diverse. Il già ricordato studio iconografico sui krateriskoi di Sourvinou-Inwood ha tra i suoi obiettivi, come dichiara ella stessa54, la necessità di confutare l’ipotesi di P. Perlman secondo cui a Munichia si sarebbero recate “orse” più piccole per età di quelle che si recavano a Brauron. A sostegno di simile ipotesi Perlman cita il fatto che lo stesso scoliasta che informa del rito munichio fornisce anche il limite di età tra cinque e dieci anni, più basso di quello indicato in un passo delle Leggi di Platone (833c-834d) che, per quanto relativo allo Stato ideale, può avere avuto come modello il rito dell’arkteia brauronia, le cui partecipanti avevano tra i dieci e i quattordici anni55. Alla confutazione su base iconografica di Sourvinou-Inwood, forzatamente parziale in attesa della pubblicazione completa dei krateriskoi brauronii, si aggiunge il fatto che l’indicazione , testo relativa ai limiti di età compare anche in Suid. s.v. che, oltre a riferirsi esplicitamente alla realtà brauronia (con la menzione del demo di Philaidai), non si può considerare, a differenza di quanto sostiene Perlman, affatto secondario rispetto a Schol. Ar. Lys. 645a: prova ne è anche solo la molto più articolata narrazione dell’aition. Circostanze diverse di carattere esterno e non interno al rituale munichio sono ipotizzate da A.I. Antoniou nella sua monografia sulla storia del santuario di Brauron. Egli infatti ritiene che quando eventi bellici impedivano la rischiosa processione fino a Brauron, veniva utilizzato il più protetto santuario di Munichia, raccordato ad Atene dalle cosiddette Lunghe mura56. Facile obiezione è che anche Munichia, come si vedrà meglio tra breve, è stata ampiamente interessata da conflitti. In conclusione, ogni tentativo di dare un significato più concreto all’informazione relativa alla “gemellarità” di Brauron e Munichia per quanto riguarda il rito dell’arkteia cercando di ricostruire modalità di integrazione tra i due rituali si scontra con la contraddittorietà degli unici due testi che accennano al rito e con il silenzio totale di tutte le altre fonti, dando luogo a una serie di illazioni più o meno azzardate.  Vedi Giuman 1999, p. 150.   Le parole tra virgolette sono citazioni da Giuman 1999, p. 185. La lettura da lui proposta è stata discussa supra, pp. 76-81. Sui krateriskoi vedi particolarmente supra pp. 74-75. 54  Vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 15-16. 55  Vedi Perlman 1983, pp. 120-121. 56  Vedi Antoniou 1990, p. 204. 52 53

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Interrogativi non meno intricati vengono sollevati dall’analisi del mito eziologi­ . Come si è anticipato (supra, p. 81), il testo co riportato da Synagoge s.v. sembra combinare tradizioni mitiche differenti. Non è infatti chiaro per quale mo­ tivo la divinità dovrebbe adirarsi per l’uccisione di un’orsa pericolosa e richiedere il sacrificio di una ragazza (poi eluso). D’altro canto, la pericolosità dell’orsa, il più “umano” tra gli animali selvatici57, che invade gli spazi degli uomini rappresenta un simbolo efficace del rischio per la comunità rappresentato dalla selvatichezza ) latente delle parthenoi58 e dunque della necessità di purificarle da tale ( elemento attraverso il rito dell’arkteia prima di integrarle nella comunità civica nel loro ruolo di spose e di madri. La sequenza relativa alla crudele prescrizione oracolare sembra perciò estranea al testo di Synagoge, ma trova una sua precisa corrispondenza in una serie di tradizioni mitiche locali del santuario di Munichia centrate sul personaggio di Baros/Embaros riportata da diversi passi paremiografici e lessicografici59, dove la vicenda prende avvio, in modo logicamente più coerente, con l’uccisione di un’orsa che “compare” nel santuario di Artemide e non fa nulla di pericoloso per la comunità. La versione più ricca di dettagli60 è la seguente: Paus. Gr. fr. 35, 177-8 ed. Erbse

Sono Embaros: assennato, saggio. Menandro nel Fantasma. Era il Pireo un’isola, da ciò prese anche il nome, dall’attraversare. Là, occupando le alture, Mounychos fondò   Sull’antropomorfismo dell’orso nelle fonti classiche vedi Rodella 2007.   Sulla traduzione del termine vedi supra nota 2, p. 71. Sulla selvaticità dei giovani e delle ragazze in particolare vedi Georgoudi 1986 e Guarisco 2004, pp. 57-59. 59   Vedi Apostol. VII 10; App. prov. II 54; Eust. ad Il. 732; Suid. s.v. . 60   In Apostol. VII 10 lo stratagemma è omesso e il sacrificio della figlia, appositamente ornata, ha effettivamente luogo, da qui l’indicazione dell’uso del proverbio per i folli. In App. prov. II 54 (vedi testo infra p. 90) sono invece omessi sia l’uccisione dell’orsa sia l’occultamento della figlia nell’adyton. Tali divergenze sono generalmente trascurate dagli studiosi. A proposito di Apostol. VII 10 Brelich (Brelich 1969, p. 250) ipotizza una caduta meccanica di una parte del testo, oppure un ripensamento personale dell’autore che avrebbe soppresso lo stratagemma per meglio spiegare l’uso del proverbio per i folli. In entrambi i casi ritiene che il testo non vada considerato come una vera e propria variante del mito. 57 58

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un santuario di Artemide Mounychia. Dopo che un’orsa comparve in esso e fu uccisa dagli Ateniesi, sopravvenne una pestilenza. L’oracolo vaticinò la liberazione da essa se uno avesse sacrificato la figlia ad Artemide. Solo Baros o Embaros promise di fare così a patto che il suo genos avesse il sacerdozio a vita. Dopo avere ornato la figlia, la nascose nell’adyton e invece, dopo avere ornato una capra come se fosse la figlia, la sacrificò. Da qui è passato a proverbio “‹Non› sei Embaros”, per quelli che sono folli e fuori di sé.

Come si può vedere, la vicenda mitica centrata sullo stratagemma di Baros/Embaros è focalizzata sull’istituzione del sacerdozio locale di Munichia e ne rappresenta l’eziologia. Si può ammettere, sulla scorta di quanto suggerito da A. Brelich nel suo testo Paides e Parthenoi, che, analogamente a quanto avviene nel testo di Synagoge, seguisse l’istituzionalizzazione come riti da celebrare in futuro del sacrificio di capra e della reclusione di una ragazza, e che tale sequenza sia stata soppressa dalle fonti relative a Baros/Embaros perché non funzionale al loro scopo di spiegare l’origine di un proverbio61. Ciò non toglie che la vicenda di Baros/Embaros non ha nulla a che fare, apparentemente, con il rito dell’orsa. Simile constatazione non deve però indurre a seguire Deubner nell’accantonare Synagoge come fonte non attendibile. La contrapposizione tra la Quellenforschung dell’autore tedesco e un approccio più propriamente storico-religioso risulta ben evidente in questo passo in cui Brelich affronta la questione della valutazione di Synagoge62: A differenza delle divergenti versioni di un fatto storico, le divergenti versioni di un fatto mitico non si escludono a vicenda: nel mito tutto è “vero” – cioè significativo – anche se ciò è contraddittorio […] Contraddittorie su un piano logico, sul piano mitico esse si integrano, se sottolineano aspetti diversi della stessa realtà cui il mito si riferisce; si equivalgono, se esprimono in forma differente la stessa idea mitica.

Nel corso della sua trattazione Brelich, attraverso un’articolata argomentazione, che sarebbe troppo lungo ripercorrere punto per punto, arriva a dimostrare che in realtà anche la vicenda di Baros/Embaros comporta la fondazione del “rito dell’orsa”, poiché tale rito comporta la segregazione delle ragazze, a sua volta equivalente simbolico dell’uccisione sfiorata ed evitata a Brauron (Ifigenia) come a Munichia (anonima figlia di Baros/Embaros)63. Le conclusioni di Brelich sulla sostanziale identità del mito riportato da Synagoge, di quello relativo a Baros/Embaros e delle eziologie brauronie compresa la versione locale del sacrificio di Ifigenia hanno incontrato largo consenso: successivamente i diversi testi vengono generalmente trattati come un unico insieme di miti di fondazione del rito dell’arkteia. Estremizzando la tesi di Brelich, K. Dowden nella sua monografia di impronta mitico-rituale sulla relazione  Vedi Brelich 1969, p. 253.   Brelich 1969, p. 254. 63  Vedi Brelich 1969, pp. 254-63. 61 62

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tra mito greco e iniziazioni femminili pubblicata vent’anni dopo Paides e parthenoi (1989) arriva a sostenere che la versione in cui l’oracolo prescrive il rito dell’arkteia si è prodotta quando «le tematiche mitologiche erano ormai incomprensibili e si sentiva il bisogno di qualcosa di più concreto»64. Come mostra il medesimo autore in un contributo apparso l’anno seguente, a suo avviso si tratta di una tradizione antichissima, che rimanda direttamente al tempo in cui «i Greci non erano Greci»65. Al problema della genesi del complesso mitico relativo all’arkteia si era già dedicato, indipendentemente da Brelich, W. Sale, che però aveva prudentemente concluso con un poco entusiasmante «non liquet»66. Rispetto a tale approccio, Brulé rivendica come «lectio difficilior» e quindi «potior» la sua spiegazione “funzionale” che egli riassume in questi termini67: Dans tous les sanctuaires concernés, le nombre élevé, inhabituel, “anormal” de caractéristiques communes aux divinités, à la nature des rituels et aux personnes concernées par celui-ci (sans parler de plusieurs autres aspects évoqués plus loin, comme la position littorale), ce complexe religieux aurait donné naissance à des récits étiologiques en partie semblables.

I santuari a cui si riferisce Brulé sono quelli da lui riuniti nel corpus geographicum che si è presentato nella parte introduttiva, accennando altresì ai suoi punti problematici e al fatto che l’autore non si astiene dal trarre implicazioni diffusioniste, ricostruendo un’ideale koine egeo-occidentale (supra p. 9)68. Eppure, a ben guardare, la tesi di Brelich ha il suo punto debole proprio nel passaggio cruciale della sua dimostrazione dell’identità dei miti, cioè nell’argomento addotto per sostenere l’esistenza di una rituale di segregazione nell’arkteia. Se, in modo del tutto condivisibile69, constata il silenzio in proposito delle fonti letterarie, egli valorizza invece quanto emerso dagli scavi di Brauron, a dimostrazione di quanto tale scoperta abbia influito sullo studio del culto di Artemide in Attica70: […] oggi si dispone di dati precisi che documentano non solo una certa, benché indefinibile, durata del servizio delle arktoi, ma anche il fatto che – a Brauron – tale servizio si svolgeva all’interno del luogo sacro: ciò che in base al mito della fondazione si poteva soltanto postulare appare pienamente confermato.

 Dowden 1991, p. 35.   Vedi Dowden 1990. La citazione (tradotta) è tratta da p. 42. 66  Vedi Sale 1975. 67  Brulé 2009, p. 69. Dal medesimo passo sono tratti anche i termini tra virgolette. 68  Vedi Brulé 1987, pp. 186-200. 69   Sul problema delle fonti relative al soggiorno delle arktoi nel santuario vedi supra pp. 43-44; p. 60 e infra pp. 127-128. 70   Brelich 1969, p. 259. Per l’impatto della riscoperta del santuario di Brauron sullo studio del culto di Artemide in Attica, vedi supra, pp. 15-16. 64 65

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Decisamente ben informato sulla scoperta di quello che egli ritiene «l’unico complesso archeologico che documenta forme di segregazione cultuale in Grecia»71, Brelich chiama in causa le due iscrizioni che all’epoca (1969) erano considerate prova dell’identificazione della stoa come alloggio per le arktoi: un inventario che attesta la presenza di letti e tavole in ambienti chiusi72 e il già più volte ricordato decreto di exetasmos73 di cui egli riporta un breve estratto, soffermandosi accuratamente in nota sulle relative questioni testuali74 e commentandolo in questi termini75: . Non è dato di sapere, almeno fino al completamento e alla pubblicazione degli scavi, se tutti i locali qui menzionati possono essere identificati sul terreno; ma ben tre termini adoperati nell’iscrizione portano a una pratica certezza contro cui solo una preconcetta ipercritica potrebbe recalcitrare: il parthenon è – in qualsiasi senso – inseparabile da parthenoi; l’amphipoleion indica la presenza di un personale che non è propriamente sacerdotale, ma in cui con tanto più di probabilità si possono identificare le fanciulle temporaneamente recluse nel santuario e incaricate di compiti è parallelo a quello con cui Pausania indicava il cultuali; infine, il verbo soggiorno-segregazione delle arrhephoroi «presso la dea»76. L’elemento di fatto che dal mito poteva essere soltanto dedotto, ora è dunque confermato: come la figlia di Embaros, così anche le arktoi vivevano “nascoste” nel santuario.

Presentando gli scavi del santuario di Brauron (supra pp. 30-31) si è però mostrato che la stoa, con i letti e le tavole che ospitava effettivamente al suo interno, è ormai definitivamente posta in relazione con lo svolgimento di grandi banchetti pubblici, sulla base di una serie di paralleli archeologici attici e non, anche se non va esclusa la possibilità di attribuire all’imponente struttura una pluralità di funzioni, al momento non meglio precisabili. Si è altresì accennato al fatto che il parthenon menzionato nel decreto di exetasmos va molto probabilmente identificato con un secondo edificio templare presente nel santuario (forse collocato dove sorge la chiesetta di Hagios Georgios, supra, p. 27) ed è dunque in relazione con la parthenos Artemide e non con le parthenoi “orse”. Quanto all’amphipoleion, si tratta di un termine talmente generico che non autorizza né esclude un collegamento con le arktoi, suggerito già da Peppas Delmousou a cui si deve l’integrazione del   Brelich 1969, nota 36, p. 259.   La stele su cui è inciso l’inventario, spezzata in due parti, è stata rinvenuta nel 1961 durante scavi nel settore orientale della stoa (vedi Orlandos 1961, pp. 23-24). Oltre a una lista dei letti e delle tavole presenti in ciascun ambiente, debitamente numerato, contiene la menzione di una stalla con porte rivolte verso la città. Per una parziale trascrizione del testo con segni diacritici vedi Daux 1962, p. 671. 73   Sul decreto di exetasmos vedi supra nota 8, p. 15. 74  Vedi Brelich 1969, nota 59 p, 260. 75   Brelich 1969, p. 260. 76   Vedi Paus. I 27.3. Il verbo in questione è «abitano». 71 72

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testo del decreto opportunamente citata in nota da Brelich77, . Tuttavia l’identificazione con la stoa appare insostenibile per il fatto che quest’ultima non risulta dotata di un secondo piano, mentre ne era dotato, stando al decreto, l’amphipoleion78. Inoltre, come si è già avuto modo di segnalare, un periodo di soggiorno delle arktoi nel santuario è postulato soprattutto sulla base delle (evidenti) analogie del “rito dell’orsa” con i riti di iniziazione tribali, ma, come riconosciuto dallo stesso Brelich, non è adeguatamente documentato dalle fonti letterarie. In una sorta di circolo vizioso, si corre pertanto il rischio di forzare l’interpretazione dei dati archeologici ed epigrafici. Dunque, se non sembra possibile dimostrare che il racconto relativo a Baros/ Embaros trovava la sua conclusione nell’istituzione dell’arkteia, il testo di Synagoge ) resta quale appare fin dalla prima lettura, cioè una combinazione (s.v. di due racconti eziologici diversi ma accomunati da un’affine simbologia relativa alla dialettica tra domesticità e selvatichezza riscontrabile nel sistema di equivalenze speculari tra orsa, capra e ragazza nonché, forse, dalla fondazione di un’affine ritualità volta al superamento della condizione ambivalente di parthenos. Si pone pertanto l’interrogativo sulle motivazioni all’origine di tale combinazione. Una risposta di carattere storico è fornita da C. Montepaone in un articolo pubblicato nel 1979, dieci anni dopo la monografia di Brelich. Ella ritiene che il testo di Synagoge rifletta una realtà più recente di quella rappresentata nelle narrazioni relative a Baros/Embaros: la vicenda è ambientata al Pireo, realtà ateniese, e non a Munichia, il personaggio astuto è anonimo, manca il motivo dell’istituzione del sacerdozio per la discendenza del personaggio, la comunità diffida di ciò che quest’ultimo ha fatto (tanto che è necessario un secondo intervento dell’oracolo) invece di affidarsi completamente a lui. La realtà più recente protagonista del testo di Synagoge è, secondo Montepaone, la polis, da qui la perdita di importanza del riferimento al genos, socialmente ormai superato, mentre le versioni centrate su Baros/Embaros sarebbero ancorate al sistema dei gene. La studiosa sostiene infatti che sia il santuario munichio sia quello brauronio avevano all’origine un forte legame con un genos locale, rispettivamente quello di Baros/Embaros e quello dei Philaidai, poi trasceso nell’ambito della polis con la mutuazione di elementi tra le due realtà cultuali79: È evidente che questa storia, divenuta proverbiale, ha alle sue spalle una forte tradizione legata a Munichia e al di Embaros, il cui , peraltro ignoto, su questa tradizione sosteneva la continuità del suo potere. Altrettanto vera è la con-

 Vedi Brelich 1969, nota 60, p. 260.   La copertura ricostruita da Bouras, con tracce di camini, sembra escludere l’esistenza di un secondo piano della stoa, vedi supra nota 55, p. 31. Il secondo piano dell’amphipoleion è invece chiaramente menzionato a l. 4 del decreto di exetasmos: «e il piano superiore, quello che sta sopra l’amphipoleion». 79   Montepaone 1979b, p. 76. 77 78

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nessione -culto per le Brauronie e il dei Filaidi, che assume un valore determinante per la fortuna di questo culto […] In conclusione si può ammettere che la mutuazione di certi elementi di un rito da un altro possa in un certo tempo essere avvenuta, data la loro sostanziale affinità, nell’ambito dello stesso culto in cui giocano ruoli principali il mondo femminile, prima delle nozze e dell’orsa feroce e sacra ad la comunità, l’equivalenza della Artemis. Ma, sembra indubbio che la relazione Brauronie-Munichie, che infatti nel di Embaros non compare, è politica, cioè legata alla e avviene nel suo ambito superando quelli ben distinti e locali di tipo gentilizio.

Rispetto a simile lettura, va osservato che la stratificazione storica delle narrazioni mitiche in questione, se di stratificazione storica si può parlare, appare più complessa del quadro tracciato da Montepaone: il riferimento alla polis è infatti presente anche nelle narrazioni relative a Baros/Embaros dove i colpevoli dell’uccisione dell’orsa sono, in tutte le versioni, “gli Ateniesi” e non gli abitanti di Munichia80. Addirittura, in una delle versioni (App. prov. II 54) non solo manca completamente il riferimento alla realtà locale, ridotto alla sola epiclesi della divinità (Mounychia), ma sono “gli Ateniesi” a decretare il conferimento del sacerdozio a Embaros e ai suoi discendenti:

Sono Embaros. Per quelli che sono folli e fuori di sé. Infatti una volta, quando una carestia si era impadronita degli Ateniesi, il dio annunciò loro che vi sarebbe stata la liberazione da ciò se uno avesse offerto in sacrificio la propria figlia ad Artemide Mounychia. Allora Embaros, chiedendo in cambio il sacerdozio della dea per sé e i propri discendenti, promise che avrebbe dato la figlia. E gli Ateniesi votarono ciò per decreto. (Embaros) dopo avere ornato per il sacrificio una capra invece che la figlia, portò questa all’altare. Gli Ateniesi si servono del proverbio per coloro che sono folli.

Anche il parallelismo istituito da Montepaone tra il ruolo del genos di Baros/Embaros in relazione a Munichia e quello dei Philaidi in relazione a Brauron desta qualche perplessità. A parte il fatto che, come si è detto (supra nota 22, p. 25), è problematico parlare di genos a proposito della casata di Milziade e Cimone, è difficile stabilire se quest’ultima, nel presentare la conquista di Lemno come risposta   Vedi Apostol. VII 10; Eust. ad Il. B 732; Paus. Gr. fr. 35 Erbse (vedi testo supra, p. 85); Phot. s.v. ; Suid. s.v. .

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al ratto delle donne ateniesi da Brauron a opera dei Pelasgi provenienti dall’isola (Hdt. VI 137-40) e nel farsi forse promotrice, nella persona di Cimone, della risistemazione del tempio di Brauron e del Brauronion dopo il passaggio dei Persiani (supra, rispettivamente p. 25 e p. 67), abbia contribuito a determinare la fortuna del culto brauronio o se, invece, non si sia appropriata del prestigio di cui esso già godeva. In ogni caso ci si trova in una dimensione storico-politica. La relazione tra Baros/Embaros e il santuario munichio resta esclusivamente su un piano mitico, quello dell’eziologia del sacerdozio, forse del rituale e, secondo l’isolata testimonianza di Eustazio (ad Il. B 732), dell’esistenza dello stesso santuario. Inoltre, a differenza di quanto avviene per Mounichos, a cui la maggioranza delle fonti attribuisce il ruolo di fondatore del santuario (supra p. 73), non è noto alcun documento relativo al culto di Baros/Embaros. Tutto ciò rende condivisibile la posizione di Parker che nella sua monografia sulla storia della religione ateniese si mostra molto cauto sulla realtà storica del genos di Baros/Embaros81. Infine, il medesimo Parker mostra con grande efficacia i limiti dell’applicazione diffusa di un modello che stabilisce un legame troppo stretto tra gene e singoli culti in età arcaica fino a fare dei gene i detentori del culto stesso. Il rischio è di configurare82: «A strange polytheism, in which the gods were shared out one by one for private use, and no worshipper had free access to them all!». Parker ritiene che, al contrario fosse la visibilità pubblica di determinati culti a spingere i gene ad appropriarsi dei relativi sacerdozi83. In quest’ottica dunque ci sarebbe un’interazione tra la polis e il sistema dei gene, e non, come sostenuto da Montepaone, un definitivo superamento di quest’ultimo da parte della nuova realtà politica. Tuttavia, nonostante le riserve finora espresse sulla proposta di Montepaone, si condivide l’idea che la combinazione di tradizioni eziologiche diverse presente in sia il risultato di un processo storico. Si tenterà nelle pagiSynagoge s.v. ne seguenti di definirne meglio i contorni. C. Storia di un “gemellaggio” Il santuario di Munichia si può considerare, a tutti gli effetti, “gemello” di quello brauronio per quanto riguarda la nascita. Soprattutto gli scavi del 1984 hanno restituito ceramiche che provano la frequentazione del sito a partire dalla seconda metà del X a.C., epoca a cui risalgono i più antichi materiali brauronii portati alla luce casualmente a nord-est della stoa84. Valdés Guía che, come si è detto, propende per  Vedi Parker 1996, pp. 319-320.   Parker 1996, p. 24. 83   Ibidem. 84  Vedi Palaiokrassa 1989, pp. 13-14. Per i materiali brauronii, vd. supra pp. 32-33. 81 82

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collocare già alla metà dell’VIII a.C. la definizione di Brauron come “spazio liminare” di Atene (supra, p. 25) scrive riguardo a Munichia85: En Muniquia […] se han encontrado las primeras escenas de mujeres danzando en una hydria del Geométrico tardio, lo que da idea de algún tipo de ceremonia religiosa, possiblement de carácter iniciático.

Per quanto è possibile ricostruire, date le particolari condizioni archeologiche del sito (supra p. 74), lo sviluppo del santuario è in parte parallelo a quello del “gemello” brauronio (e di altri grandi santuari dell’Attica): i reperti ceramici e fittili consentono di individuare due momenti di particolare fioritura del santuario, nel VII a.C., periodo a cui risale forse la fase più antica del tempio di Brauron (supra p. 24), e nel V-IV a.C., in contemporanea con la grande ristrutturazione e l’intensa frequentazione “panattica” del sito di Brauron (supra pp. 37-39). In particolare il IV a.C. si presenta come un momento di ristrutturazione del santuario munichio, da porre in relazione con le vicende storiche proprie dell’area86. Delle fasi edilizie precedenti si conosce assai poco: in tutto si conservano tre diverse porzioni di muri, non esattamente coevi, databili alla fine del VI a.C. che, per la tecnica costruttiva, non sono attribuibili alla fortificazione avviata da Ippia (Arist. Ath. 19.2) e dunque possono essere forse ricondotti a qualche edificio del temenos87. Stando a Palaiokrassa, i diari di scavo di Threpsiades conterrebbero riferimenti a una ristrutturazione successiva all’invasione persiana, ma ella afferma di non avere trovato ulteriori riscontri a livello architettonico. A suo avviso, comunque, dopo le guerre persiane il culto di Munichia conosce un particolare sviluppo la cui principale manifestazione è rappresentata dal rito dell’arkteia a cui si riconducono i krateriskoi88. Palaiokrassa non entra nel merito del momento storico dell’introduzione del rito a Munichia. Un suggerimento in tal senso viene da Giuman, il quale chiama in causa la politica religiosa di Pisistrato89: Riassumendo, ci troveremmo di fronte a due culti molto antichi – l’antichità del culto munichio, oltre alla struttura complessiva del mito di fondazione, è ampiamente attestata dall’arcaicità del materiale rinvenuto nei lavori di scavo del santuario – e originariamente paralleli. In un’età che non è difficile pensare legata al periodo del potere di Pisistrato, nel momento in cui Artemide Brauronia giunge a rappresentare un elemento centrale nella politica religiosa del tiranno, i due culti vengono in qual  Valdés Guía 2012, p. 197. La rappresentazione in questione è estremamente frammentaria (Palaiokrassa 1991, catalogo n. K8, p. 130) e non sembra autorizzare pienamente le allettanti ipotesi della studiosa. 86  Vedi Palaiokrassa 1989, pp. 3-4; 1991, pp. 90-91. 87  Vedi Palaiokrassa 1991, pp. 43-44. 88   Ivi, p. 90. 89   Giuman 1999, p. 195. 85

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che modo associati, da qui la notizia di Arpocrazione secondo la quale era possibile fare l’orsa indifferentemente per Artemide Brauronia o per Artemide Munichia.

La connessione tra l’età della tirannide e il processo di “gemellaggio” del santuario di Brauron e quello di Munichia è prospettata dal medesimo Giuman anche in relazione all’opera di fortificazione di Munichia avviata da Ippia quando vi si era trasferito per l’instabilità della situazione ateniese, seguita all’assassinio del fratello (Arist. Ath. 19.2). Egli si chiede90: «È forse un caso che proprio a Munichia si trovasse quel santuario di Artemide per il quale […] i legami con Brauron sono tali da far pensare a una vera e propria identità cultuale?». Discutendo dell’eventualità della fondazione del Brauronion da parte di Pisistrato, si è avuto modo di sottolineare come la valutazione della relazione tra il tiranno e lo sviluppo del culto di Artemide Brauronia dipenda dalla valutazione dell’importanza di tale culto nell’età precedente, valutazione che, stante la scarsità di indizi, oscilla tra chi assegna ad esso un’importanza esclusivamente locale e chi sostiene che aveva già una rilevanza “panattica” (supra pp. 63-65). Ciò vale ovviamente anche per il rito dell’arkteia, l’elemento chiave del “gemellaggio” di Brauron e Munichia, che del culto brauronio rappresenta un aspetto. Come si è visto (supra p. 45), la dimensione storica di tale rito, per cui potrebbero essere un utile indicatore i krateriskoi, una volta pubblicati e datati nel loro insieme, rappresenta un problema aperto. L’unico elemento che appare certo è la relazione organica tra l’arkteia e la realtà della polis (supra pp. 4041). È dunque forse nella relazione tra Atene e Munichia che si pone la maggiore difficoltà rispetto alla proposta di Giuman. Infatti all’epoca della tirannide Munichia e, più in generale l’area del Pireo, non hanno particolare rilevanza per Atene91. Assumono invece un’importanza fondamentale con l’avvio della politica marittima ateniese quando con la costruzione delle cosiddette Lunghe Mura diventano parte integrante e vitale della città: le vicende di Munichia come luogo strategico si intrecciano con le vicende di Atene dalla battaglia di Salamina92, alla riscossa democratica guidata da Trasibulo93, fino alle alterne fasi del conflitto con i Macedoni94. Il citato studio di Viscardi relativo alla guarnigione efebica di Munichia e alla sua ritualità mette ben in evidenza la valenza identitaria che il luogo ha assunto per   Ivi, p. 84.  Vedi Garland 1987, pp. 12-14. 92   A un ruolo strategico del promontorio sembra fare riferimento l’oracolo di Bacide riportato da Erodoto (Hdt. VIII 77.1) secondo cui la riscossa contro i Persiani sarebbe avvenuta dopo che costoro avevano gettato ponti di navi tra il promontorio di Artemide Chrysaoros e Kynosoura). 93   L’occupazione di Munichia da parte di Trasibulo e dei suoi è descritta dettagliatamente da Senofonte (HG. II 4.11). Al medesimo episodio storico fa riferimento anche la già ricordata tradizione eziologica riportata da Clemente Alessandrino (Str. I 163.1-3 e supra pp. 78-79) secondo cui per commemorare l’apparizione di un fuoco celeste che nella notte aveva guidato Trasibulo e i suoi fino a Munichia era stato dedicato sul luogo dell’arrivo un altare alla Phosphoros. 94   Per una sintesi vedi Palaiokrassa 1991, nota 264, p. 91. 90 91

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Atene dopo la vittoria di Salamina95. Non è da escludere che in questo più ampio contesto storico-religioso vada collocata anche la fondazione del piccolo hieron artemideo di Melite, rinvenuto durante scavi “di emergenza” nel 1958, poi ricoperto, identificato con quello la cui fondazione è attribuita a Temistocle da Plutarco, il quale pone in relazione la scelta dell’epiclesi Aristoboule e la contiguità con la casa dello statista con il declino politico dello stesso (Plu. Them. 22.2)96. L’orientamento del tempietto, con la fronte sul lato ovest, potrebbe certo essere dovuto a contingenti motivi di spazio imposti dall’inserimento nel tessuto urbano di Atene, ma potrebbe anche non casualmente coincidere con la direzione della strada per il Pireo, perno della politica temistoclea. Sarebbe sicuramente scorretto vedere nel piccolo hieron una “duplicazione” ideale del temenos munichio in qualche modo analoga al Brauronion dell’acropoli, ma il legame simbolico che, sulla scorta del citato studio di Vernant (supra p. 78), è possibile riconoscere tra la luminosa Artemide-luna piena che, secondo Plutarco (Mor. 349f ), accompagna la vittoria di Salamina e l’illuminazione strategica di Temistocle all’origine dell’epiclesi Aristoboule apre almeno una possibilità alquanto allettante in tal senso. Dunque se, come sembra, il “gemellaggio” di Brauron e Munichia è il prodotto storico di un’iniziativa politica, il periodo in cui Atene concentra la propria politica verso il mare e il Pireo si presenta come un momento decisamente privilegiato per collocarvi l’integrazione del santuario di Munichia in una ritualità di carattere profondamente civico quale era l’arkteia. Generalmente si presume che il santuario munichio una volta “gemellato” con quello brauronio sia sopravvissuto ad esso per diversi secoli. Come si è visto, si ritiene infatti che quest’ultimo sia entrato in declino a partire dal III a.C., mentre le iscrizioni relative agli efebi attestano una frequentazione di Munichia ancora nel III d.C. e il citato nucleo di lucerne rinvenuto nel 1984, in quanto non accompagnato da ceramica d’uso, suggerisce un’attività del centro di culto ancora nel IV d.C.97. È stato pertanto ipotizzato, come già nel caso del Brauronion, un “trasferimento” delle funzioni rituali del santuario brauronio al santuario munichio. Scrive Giuman98: Appare assi verosimile ipotizzare, infine, che nel momento in cui il santuario di Brauron comincia la sua parabola discendente, in concomitanza congiunturale con il forte decadimento complessivo del peso dei demi all’interno del quadro politico attico, proprio a Munichia debbano spostarsi tutte le dinamiche cultuali e religiose legate al culto dell’Erasino.  Vedi Viscardi 2013 e supra p. 80.   Scavo del santuario e sua identificazione con quello menzionato da Plutarco: Threpsiades, Vanderpool 1964. Sul ruolo dei frammenti di krateriskoi per l’identificazione vedi supra, nota 32, p. 8. Scetticismo sui risultati: Amandry 1968. Discutibile identificazione di un più antico hieron di Artemide Aristoboule nell’agora: Munn 2006, pp. 271-273. Relazione del hieron con una più ampia “devozione” di Temistocle per Artemide: Piccirilli 1981 e Giuman 1999, pp. 88-93. 97  Vedi Palaiokrassa 1989, p. 16 e supra p. 74. 98   Giuman 1999, p. 195.

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Più specificamente centrata sul rito dell’arkteia è la ricostruzione proposta da Antoniou. Egli nella sua monografia sulla storia del santuario ipotizza, come si è visto ) e dello scoliasta (Schol. (supra p. 84) che il testo di Arpocrazione (s.v. Ar. Lys. 645a) che collegano l’arkteia a Brauron e Munichia adombrino un’alternanza d’uso tra i due santuari imposta dall’impossibilità di raggiugere Brauron durante i conflitti. A suo avviso la rovina del santuario di Brauron, di cui individua un’importante concausa nella guerra cremonidea (267-1 a.C.)99, avrebbe reso stabile la consuetudine di celebrare il rito dell’arkteia a Munichia, consuetudine che a suo avviso sarebbe arrivata fino all’età cristiana, dato la connessione con un passaggio fondamentale della vita quale le nozze100. Un primo problema rispetto alla tesi di Antoniou è rappresentato dalle vicende storiche del Pireo all’epoca in cui egli colloca il declino del santuario di Brauron e che non mancano di coinvolgere Munichia. Come scrive efficacemente R. Garland nella sua monografia sulla storia del porto ateniese101, The year 322 marks the beginning of a period of Athenian history in which the Piraeus played a pre-eminent role both as a centre for Macedonian domination and as a rousing yet painful reminder of former glory for nationalist resistance.

La Vita di Focione di Plutarco (28.1-3) contiene un’interessante riflessione, da storico delle religioni ante litteram, relativa all’impatto dell’insediamento della guarnigione macedone, avvenuto nel corso della celebrazione dei Grandi Misteri eleusini, sull’atteggiamento degli Ateniesi nei confronti delle divinità e dei culti tradizionali. Mentre in passato essi si erano sentiti protetti (il riferimento è alle voci che si sarebbero levate da Eleusi durante la battaglia di Salamina), al momento dell’occupazione macedone si manifestavano chiari segni dell’abbandono da parte degli dei. Il santuario di Munichia non è esplicitamente nominato, anche se l’autore riporta un oracolo di Dodona che ammoniva gli Ateniesi a “custodire le alture di Artemide” affinché gli stranieri non se ne impadronissero. J.D. Mikalson ritiene che gli Ateniesi debbano avere avvertito disaffezione anche nei confronti di Artemide Mounichia, incapace di impedire l’insediamento dei Macedoni. Anzi, egli arriva a ipotizzare un percorso, contrario a quello tratteggiato da Antoniou, secondo cui la disaffezione verso Artemide Mounichia avrebbe avuto ripercussioni sul culto “gemello” di Artemide Brauronia, rappresentando un fattore del suo declino102. A ciò si aggiunge il fatto che le indagini archeologiche effettuate a Munichia, pur nei loro limiti e nelle loro particolari condizioni, sembrano indicare la fine del  Vedi Antoniou 1990, pp. 169-170.   Ivi, pp. 204-205. 101   Garland 1987, p. 45. 102  Vedi Mikalson 1998, pp. 52-53 e 297. 99

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III a.C. come periodo di declino del santuario103, dunque in concomitanza con il declino del santuario di Brauron. Infatti se, come si è detto, una frequentazione di carattere cultuale del sito è forse attestata ancora nel IV d.C., ciò non toglie che esso non abbia attraversato fasi alterne e trasformazioni, appena scarsamente intuibili dalla documentazione disponibile. Un ostacolo forse ancora più rilevante all’individuazione del santuario di Munichia come “erede” di quello brauronio è di carattere più propriamente storicoreligioso. Presentando la storia del santuario di Brauron, si è avuto modo di avanzare dubbi sul suo totale abbandono dopo il III a.C. prospettando invece la possibilità di una ridefinizione delle sue funzioni (e dei suoi spazi) in relazione alla crisi e alle trasformazioni che in tale periodo hanno interessato la realtà della polis a cui esso, soprattutto per quanto riguarda il rito dell’arkteia, appare inscindibilmente collegato (supra pp. 40-41). In particolare sembra essere proprio l’arkteia l’aspetto della ritualità brauronia destinato a subire le maggiori conseguenze dalle mutate condizioni storiche: il suo carattere di rito prematrimoniale, sottolineato in particolare da Antoniou, non è in se stesso garanzia di lunga durata perché le modalità e la simbologia proprie di tale rito, centrate sulla dialettica tra la polis e l’Altro da essa, appaiono dotate di significato e conservano la loro valenza quasi giuridica (si pensi , supra p. 69) solo nel contesto alla testimonianza di Arpocrazione s.v. della realtà della polis come autonoma entità politica con il suo corpo civico di cui garantire rinnovamento e continuità. La problematica e isolata notazione dell’anonimo scoliasta (Schol. Ar. Lys. 645 a) secondo cui le arktoi erano , «ragazze scelte», potrebbe appunto rappresentare un indizio dell’attenuazione, se non della perdita, del significato civico del rito104. Inoltre, neppure nella polis l’akteia esaurisce in se stessa la complessa ritualità che accompagna le nozze come fondamentale passaggio della vita femminile: lo provano nel modo più evidente i numerosi vasi nuziali, miniaturistici e non, dedicati, in alcuni casi in parallelo ai krateriskoi, nei santuari di Brauron (supra p. 46), di Munichia (supra p. 75) e di Halai Araphenides (infra p. 114) Del resto i testi letterari contengono diversi riferimenti alla ritualità prematrimoniale ateniese, riferimenti che sembrano da assumere non tanto come informazioni riconducibili in modo più o meno forzoso all’arkteia, quanto come notizie relative a diversi momenti di essa, non necessariamente tutti  Vedi Palaiokrassa 1991, p. 91.   Ciò non significa condividere la posizione di chi ritiene che si sia verificata una progressiva trasformazione dell’obbligo rituale in sacerdozio (vedi ad esempio Giuman 1999, pp. 114-115). Sono ugualmente possibili altre interpretazioni dello scolio, come l’adozione di un criterio di rappresentatività (vedi ad esempio Sourvinou-Inwood 1988, pp. 111-113 che propone una relazione con il sistema delle tribù clisteniche) o l’attribuzione di un significato di tipo sociale (sarebbero state arktoi solo le ragazzine che ciascuna famiglia destinava al matrimonio legittimo). Meno probabile sembra l’ipotesi suggerita da Parker (Parker 2005, p. 233) che, accogliendo un’integrazione al testo dello scolio proposta già da U. von Wilamowitz, ritiene che in origine il testo dello scolio fosse , «ragazze chiamate orse». 103 104

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presenti nella stessa epoca: si è già parlato della notizia di Fozio sulla presentazione , supra pp. delle ragazze prossime alle nozze alla “dea” sull’acropoli (s.v. 59-60) e di quella di Libanio sulla presentazione delle ragazze prossime alle nozze ad Artemide nel mese di Mounichion (Or. V 29, supra p. 83). Ad esse si può aggiungere l’informazione fornita da uno scolio teocriteo (Schol. Theocr. II 66-8 a-b) secondo cui le ragazze in età da matrimonio facevano le kanephoroi per Artemide per espiare la perdita della parthenia. Se dunque non vi sono elementi probanti per sostenere che l’arkteia, rito civico, sia sopravvissuta alla polis in quanto rito prematrimoniale, non è possibile sostenere che la celebrazione del rito a Munichia abbia sostituito la cessata celebrazione a Brauron. Più in generale, si può altresì ipotizzare che sia Munichia sia il “gemello” Brauron abbiano attraversato una (o più) fasi di ridefinizione delle proprie funzioni e delle proprie strutture in stretta relazione con le vicende storiche della città di Atene.

BRAURON E HALAI ARAPHENIDES

La relazione tra il santuario di Artemide Brauronia a Brauron e il santuario di Artemide Tauropolos ad Halai Araphenides si configura nella doppia eziologia contenuta nei versi conclusivi dell’Ifigenia in Tauride di Euripide nei termini di una gemellarità polare di genere, collegata al destino in terra attica di Oreste e Ifigenia. Stando alla parole di Atena, la divinità poliade di Atene, che compare come deus ex machina a sciogliere la vicenda, Oreste dovrà collocare la statua sottratta dalla Tauride ad Halai e là dovrà istituire un culto che nel nome ricordi la terra di provenienza della statua e i patimenti subiti da Oreste mentre vagava per la Grecia inseguito dalle Erinni (pseudoetimologia di Tauro-polos) e nel rito assicuri alla divinità i giusti onori, cioè il sangue umano. Nessun essere umano sarà tuttavia sacrificato, come avveniva in Tauride, ma si faranno uscire alcune gocce di sangue dal collo di un uomo incidendolo con una spada. Ifigenia invece diventerà “custode delle chiavi” del santuario di Brauron e là, una volta morta e sepolta, riceverà presso la sua tomba l’offerta delle vesti lasciate nelle case dalle donne la cui vita si è spezzata durante il parto. Dunque Oreste fonda ad Halai un rito maschile, a Ifigenia è associato a Brauron un rito femminile: E. IT 1449-67

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E quando arriverai ad Atene fondata dagli dei, c’è un luogo sacro presso gli estremi confini dell’Attica, di fronte alla rocca di Caristo, il mio popolo lo chiama Halai. Là erigerai un tempio e vi collocherai la statua che avrà nome dalla terra taurica e dalle tue pene che hai sofferto vagando per la Grecia tormentato dalle Erinni. Da allora in poi i mortali rivolgeranno inni ad Artemide Tauropolos. Stabilirai questa consuetudine: quando il popolo fa festa, a riscatto del tuo sacrificio, una spada venga avvicinata al collo di un uomo e faccia sgorgare sangue, per motivi di scrupolo religioso, affinché la dea abbia gli onori. Tu, Ifigenia, bisogna che custodisca le chiavi per questa dea intorno alle sacre terrazze brauronie. Là una volta morta sarai sepolta e come offerta ti dedicheranno i ben fatti ricami dei pepli che le donne la cui vita si è spezzata2 durante il parto lasceranno nelle case.

A. Halai, Brauron e l’approccio “brauronocentrico” A differenza che nel caso del culto di Artemide Mounichia dove, come si è visto nel capitolo precedente, la “gemellarità” con il culto brauronio in relazione al rito dell’arkteia si inserisce in un contesto di cui si conoscono diversi dettagli e per cui si può ricostruire una fisionomia tale da rendere inapplicabili letture esclusivamente omologanti, il quadro di “gemellarità” tracciato nel finale dell’Ifigenia in Tauride si inserisce in un contesto di estrema scarsità di fonti. Per quanto riguarda la fonti letterarie, l’unico altro testo che, accanto a quello euripideo, fa riferimento alle attività cultuali del santuario è rappresentato da un altro testo teatrale, gli Epitrepontes (“L’arbitrato”) di Menandro, la cui trama ruota intorno a uno stupro avvenuto ) in occasione dei Tauropolia3, durante la veglia delle donne ( festa il cui nome rimanda chiaramente ad Artemide Tauropolos. Halai non è mai   Cfr. congettura Pierson: “le pianure”. Vedi supra, nota 68, pp. 33-34.   Si scglie questa traduzione letterale per tenere aperta la possibilità, suggerita da Montepaone (Montempaone 2002) che il rito non riguardi donne morte, ma donne in agonia e che dunque Ifigenia mantenga dopo la morte il suo ruolo di kledouchos. 3   Vedi Men. Epit. 269-344 passim. 1 2

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esplicitamente menzionato, tanto che sono stati espressi dubbi sull’effettiva ambientazione nel demo4. I dubbi appaiono però ipercritici dal momento che non esistono indicazioni su altre localizzazioni dei Tauropolia e che è noto un decreto onorario, proveniente probabilmente da Loutsa5, databile alla seconda metà del IV a.C., ben conservato e attualmente visibile nell’atrio del Museo Nazionale Epigrafico di Atene, in cui si menzionano contemporaneamente un agon della festa Tauropolia (ll. 14-8) e la comunità del demo di Halai: […]

[…] (... è stato deciso che) l’araldo proclami durante l’agon dei Tauropolia che il demos, quello degli abitanti di Halai, incorona Philoxenos figlio di Phrasikles […].

Il primo editore dell’iscrizione, A. Papagiannopoulos-Palaios (1929)6 proprio sulla di Esichio scorta di essa, propone un plausibile intervento sulla glossa in cui si legge: Tauropolia: quelli che celebrano per la festa in onore di Artemide.

A suo avviso il testo dell’iscrizione autorizza a correggere il tradito con la restituzione del demotico7. Si avrebbe dunque:

in

Tauropolia: gli abitanti di Halai celebrano una festa per Artemide.

Anche accettando la convincente proposta di Papagiannopulos-Palaios8, il lemma di Esichio non fornisce alcuna notizia sulla festa, per la quale le uniche fonti restano il   Vedi ad esempio Paduano 1986, nota 35, p. 389.   L’iscrizione è stata vista la prima volta nel negozio di un antiquario ateniese. Tuttavia ci sono alcune notizie sulla sua provenienza dall’area di Loutsa (vedi da ultimo Kalogeropoulos 2013, p. 141). In particolare essa sarebbe stata trovata a circa un’ora di cammino dal centro abitato, ma originariamente doveva trovarsi nell’area del podere Chountas (luogo del tempio). Poiché esso reca la clausola di pubblicazione nel hieron di Artemide, tale collocazione risulta prossima a quella antica. 6   Il testo ha una seconda edizione a opera di Ph. Stavropoullos (Stavropoullos 1932). Per ulteriore bibliografia e versione più recente del testo (qui citato), vedi Kalogeropoulos 2013, pp. 140-142. 7  Vedi Papagiannopoulos-Palaios 1929, nota 202, p. 231. 8   Vedi anche Deubner 1969, p. 209. L’autore sembra raggiungere autonomamente la medesima conclusione. 4 5

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testo euripideo con la descrizione di un rituale maschile e il testo di Menandro con riferimenti a un momento rituale esclusivamente femminile. Ulteriore fonte sul culto di Artemide Tauropolos ad Halai è un passo di Strabone (IX 1.22) relativo ai santuari costieri dell’Attica in cui si trova appunto la menzione del hieron della divinità. Il passo è però giunto con una lacuna proprio in corrispondenza della menzione di Halai:

[…] Per chi doppia il promontorio di capo Sounion ci sono il ragguardevole demo di Sounion, poi Thorikos, poi il demo che viene chiamato Potamos, i cui abitanti sono Potamioi, poi Prasia, Steiria, Brauron, dove c’è il santuario di Artemide Brauronia, Halai Araphenides dove c’è quello della Tauropolos, Myrrhinoutta, Probalinthos, Maratona.

Alcuni tra i primi studiosi della topografia dell’Attica nel XIX sec., a fronte del silenzio di Pausania, adducevano l’eziologia euripidea come prova della sostanziale unitarietà del culto della Brauronia e di quello della Tauropolos e, forti dell’autorità di un simile testo, negavano l’esistenza (ai loro occhi disturbante) di due distinti santuari contigui dove la stessa divinità era venerata con epiclesi diverse: il santuario della Brauronia e quello della Tauropolos dovevano coincidere9. Simile tesi viene definitivamente confutata solo nel 1926, con la pubblicazione da parte di N.Ch. Kotzias di un decreto onorario rinvenuto a Loutsa (nome moderno di Halai)10, fortemente lacunoso e databile al 350 a.C. circa, che contiene la menzione del demo di Halai (l.8) e la clausola di pubblicazione nel hieron di Artemide Tauropole (ll. 15-9)11: […]

 Vedi Leake 1829, pp. 155-158 (esplicitamente citato da Kastromenos 1886, pp. 57-59); Sourmelis 1854, p. 73; Bursian 1862, pp. 348-350. 10   Il toponimo (“pozza”) fa riferimento alla presenza di acque nel terreno, del resto il nome antico rimandava alla presenza di saline. In tempi recenti il demo ha adottato la denominazione di Artemida, con chiaro riferimento alla presenza del santuario della divinità (per il caso parallelo, ma più antico, del toponimo Marousi e del santuario di Artemide Amarysia, vedi infra p. 129). 11  Vedi Kotzias 1926 e da ultimo Kalogeropoulos 2013, pp. 139-140, con testo (da cui si cita) e bibliografia precedente. Il decreto è stato trovato nell’area (podere Chountas) in cui sarà poi portato alla luce (1956-7, vedi infra p. 107) il tempio di Artemide, dunque in prossimità della sua antica collocazione. 9

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(... è stato deciso) che il demarchos Archia trascriva questo decreto su una stele di pietra e lo collochi nel hieron di Artemide Tauropole.

Nonostante l’eziologia euripidea tratteggi Halai12 e Brauron come due santuari distinti e “specializzati” in due differenti ritualità, polari per genere, legate, rispettivamente, a Oreste e Ifigenia, in buona parte della storia degli studi l’aspetto del testo che viene maggiormente messo in evidenza è l’unitarietà dei due culti. Un’eccezione è rappresentata da Antoniou, che scrive:13 […]

Già Suchier, come si è visto (supra p. 14), motiva la presenza di un capitolo sull’Artemide Tauropola e Taurica, per usare le forme da lui adottate, con il riconoscimento della “parentela” tra i due culti individuata dagli antichi. Il primo testo che cita in proposito è, appunto quello di Euripide, su cui basa buona parte della propria trattazione. In proposito scrive14: Sane supra vidimus Euripidem, quod prope de Diana Brauronia ferebatur, ad Tauropolam transtulisse, sed non sibi permisisset id poeta, nisi revera coniunctio aliqua intercessisset. Accedit id, quod Euripides docet in Tauropoloae quoque sacris humanarum victimarum vestigia aperta esse servata, prorsus ut factum est in Brauroniae Deae cultu. Abbiamo visto in precedenza15 che Euripide ha trasferito alla Tauropola ciò che si narrava riguardo a Diana Brauronia, ma il poeta non si sarebbe permesso ciò, se non ci fosse stata veramente tra essi una qualche connessione. Si aggiunge ciò, che il poeta afferma che anche nelle cerimonie della Tauropola si erano conservate chiare tracce di vittime umane, appunto come è accaduto nel culto della dea Brauronia.

  Si sceglie per brevità di riferirsi d’ora in poi ad Halai Araphenides solo come Halai, dato che nelle pagine seguenti non c’è alcuna ambiguità con il demo di Halai Aixonides. 13   Antoniou 1990, p. 208: «Ad Halai c’è il ricordo di un antico sacrificio umano con il sacrificio simbolico del sangue […] mentre a Brauron (c’è) l’offerta delle vesti delle donne che sono morte durante il parto. Da qui scaturiscono anche le differenti e separate pratiche cultuali in quei due santuari». 14   Suchier 1847, p. 50. 15   L’autore fa riferimento alla tradizione relativa alla statua taurica, vedi Suchier 1847, p. 20 e infra pp. 114-120. 12

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Ulteriore argomento chiamato in causa da Suchier a favore della sostanziale identità del culto di Halai e di Brauron è un epigramma di Antipatro di Tessalonica (AP VII 705) in cui si deplora la rovina della città di Anfipoli e si fa riferimento al suo tempio principale, che da altri autori (D. S. XVIII 4 e Liv. XLIV 44) risulta tempio di Artemide Tauropolos, come tempio di Artemide Aithiopie Brauronis: AP VII 705

Tomba di Fíllide trace, che il fiume Strímone bagna e insieme l’Ellesponto immenso, Amfípoli, altro non hai che i vestigi del tempio d’Etòpia Brauronia e la riviera assai contesa, ormai. E la città, per gli Egidi gran pomo di lotte, è un brandello, sulle due sponde, d’un gran drappo rosso16.

I medesimi argomenti sono utilizzati a più di un secolo di distanza da Kontis (1967) che, andando oltre la connessione riconosciuta da Suchier, individua nel testo di Euripide la prova della presenza del culto di Artemide Tauropolos anche a Brauron. A suo avviso infatti, al v. 1463 dell’Ifigenia in Tauride […] «[…] dovrai custodire le chiavi del santuario per questa dea», è riferito alla medesima Tauropolos l’istituzione del cui culto ad Halai è descritta nei versi precedenti17. Kontis inoltre si avvale dell’allora recente riscoperta archeologica del santuario di Brauron e chiama in causa a sostegno della propria tesi il rinvenimento di due pinakes fittili frammentari databili al 500-480 a.C. su cui è raffigurata Artemide sul dorso di un toro, secondo il tipo identificato come Tauropolos18.   Traduzione di F. Pontani. Vedi Pontani 1979, p. 351. Sul testo e i culti di Anfipoli, vedi da ultimo Mari 2012. 17  Vedi Kontis 1967, p. 159. Suchier (Suchier 1847, p. 20) aveva preso esplicitamente le distanze da simile ipotesi: Idem tamen Euripides deinde addit Iphigeniam fuisse sacerdotem, non Dianae Tauropolae, quod fortasse aliquis coniiciat, sed Brauroniae. «Tuttavia il medesimo Euripide poi aggiunge che Ifigenia era sacerdotessa non di Artemide Tauropola, cosa che forse qualcuno potrebbe congetturare, ma della Brauronia». 18  Vedi Kontis 1967, p. 188. Per i reperti vedi da ultimo Mitsopoulos Leon 2009, p. 247 e pp. 251-252. Più prudentemente, Giuman (Giuman 1999, p. 66 e p. 181) riconduce i materiali alla presenza di una tradizione relativa alla Tauropolos a Brauron. Ancora più sfumata è la posizione di Mitsopoulos Leon (Mitsopoulos Leon 2009, p. 242) che vede nei pinakes brauronii un “riferimento” (Hinweis) alla Tauropolos di Halai. 16

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La posizione di Kontis è portata alle estreme conseguenze da Brelich che nel già ricordato volume Paides e parthenoi arriva a suggerire l’eventualità che Tauropolos fosse l’epiclesi locale anche dell’Artemide venerata a Brauron la quale, a suo avviso, sul posto non poteva essere venerata come Brauronia. Accanto al testo euripideo egli menziona, come elemento in comune, la pannychis gynaikon ricordata più volte da Menandro, che farebbe in qualche modo dei Tauropolia anche una festa di donne, quale erano i Brauronia, e una festa che includeva i medesimi aspetti orgiastici e licenziosi, che, stando alla testimonianza di Aristofane (Pax 872-6) erano presenti nei Brauronia. Tuttavia l’autore conclude ammettendo la possibilità che i due culti fossero indipendenti ma affini e pertanto, come tali, collegati dall’eziologia euripidea19: Ciò che appare problematico è il rapporto tra il culto di Halai e quello di Brauron. I due nomi di località distinti (anche se si tratta di due località vicine) i due dettagli rituali differenti […], l’ordine di fondazione dato ad Oreste per Halai, ad Ifigenia per Brauron fanno pensare a due culti ben distinti. Tuttavia, l’identico momento della fondazione a conclusione di una sola vicenda mitica, il comune contesto dei due ordini di Athena nel passo euripideo stesso, l’identità della dea venerata nei due luoghi vicini (a Brauron Ifigenia farà la kleiduchos […] nel culto stesso della dea la cui immagine verrà installata nel tempio di Halai) indicano che si tratta di un unico complesso cultuale o di due culti strettamente connessi. In entrambi i casi, è probabile che la dea anche a Brauron si chiamasse Tauropolos: si è già detto che Brauronia certamente non poteva chiamarsi20. Qualche passo di Menandro […] di cui si tornerà a parlare più avanti, parla di una festa Tauropolia celebrata fuori Atene e ne menziona un carattere che, come si vedrà, trova analogia con ciò che Aristofane (pax 874) fa capire intorno ai Brauronia:21 non soltanto, ma Menandro definisce la ora mentre del culto della Tauropolos ad Halai non festa come risulta alcun nesso speciale con le donne (e, anzi, il mito di fondazione presentato da Euripide accenna solo a un rito praticato su un uomo, oltre che al fondatore maschile), i Brauronia ci sono apparsi come una festa di donne […]. Resta, tuttavia, aperta la possibilità (del culto di Halai, infatti non si conosce che un solo dettaglio del rituale festivo, quello cui accenna Euripide) che si trattasse di due culti indipendenti ma strettamente affini della stessa dea e perciò uniti […] nel mito della fondazione.

La possibilità messa in campo da Brelich che Halai e Brauron fossero culti distinti ma correlati tra loro, come appunto suggerisce il raccordo istituito dall’eziologia euripidea è percorsa da diversi autori, in quali individuano in Halai il pendant funzionale di Brauron per quanto riguarda i riti di integrazione maschili22. Il principale   Brelich 1969, p. 246.  Vedi Brelich 1969, p. 242. Secondo l’autore sia il nome della festa Brauronia sia l’epiclesi Brauronia trovano la loro giustificazione «solo nei quadri della religione di Atene». 21   Ivi, pp. 276-279 (ma cfr. supra p. 55 per una diversa valutazione del testo di Aristofane e della relativa tradizione scoliastica). 22   Per espliciti parallelismi con il rito dell’arkteia vedi ad esempio Lloyd-Jones 1983, pp. 98-101; Graf 1985, pp. 414-415; Cropp 2000, pp. 54-55. Cfr. Tzanetou 2000, pp. 209-216, dove si 19 20

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elemento chiamato in causa a sostegno di simile interpretazione è il carattere cruento del rituale descritto da Euripide (IT 1458-60), equiparabile a una morte simbolica, elemento tipico dei riti di iniziazione quale presupposto per la rinascita nella nuova condizione23. Altro elemento in favore di simile lettura è la marginalità spaziale di Halai, che il drammaturgo identifica come località situata «agli estremi confini dell’Attica» (1450)24. La stessa epiclesi Tauropolos è inoltre associabile simbolicamente ai ragazzi in formazione25. All’addestramento militare, ma anche a una simbologia iniziatica, rimanda l’attestazione dello svolgimento ad Halai di danze pirriche, forse proprio in occasione dei Tauropolia. Nel già ricordato decreto in cui si prescrive che i riconoscimenti conferiti a Philoxenos siano proclamati in occasione dell’agon dei Tauropolia, come titolo di merito viene esplicitamente menzionata la sola coregia delle danze pirriche (ll. 2-8). L’agon (l. 16) viene pertanto identificato con tali danze, attribuendo alla Tauropolos una specifica connotazione militare26. Infine, nel personaggio di Oreste, di cui nell’Ifigenia in Tauride vengono narrate prove e pergrinazioni lontano dalla sua comunità di appartenenza, viene identificato il modello prototipico dell’efebo: il (1455) impiegato da Euripide in relazione al vagare di Oreste, verbo sarà infatti tipicamente impiegato per gli efebi27. esprime scetticismo sulla realtà storica del rituale di Halai descritto da Euripide e si prospetta una lettura in cui nella vicenda di Oreste vengono individuati elementi modellati sul rito dell’arkteia. 23   Su tale elemento insiste particolarmente Graf 1979, pp. 37-38 (dove è individuato un parallelismo con i riti spartani in onore di Artemide Orthia, cfr. Scullion 2000, p. 228 e Tzanetou 2000, pp. 213-214) e Graf 1985, p. 414, dove però egli stesso riconosce che, a differenza di quanto avviene in altri contesti, manca la sottolineatura rituale del momento della reintegrazione. Graf è seguito da Brulé (Brulé 1987, p. 193), il quale però individua nella partecipazione alla pannychis gynaikon una tappa successiva all’arkteia della preparazione delle ragazze alla loro vita adulta. Kalogeropoulos (Kalogeropoulos 2003, p. 293) a sua volta parte dalle osservazioni di Graf per individuare nel rituale di Halai la chiave per l’interpretazione del fregio della balaustrata della terrazza del tempio di Athena Nike sull’acropoli. Alla fondata obiezione (vedi ad esempio Tzanetou 2000, p. 215) secondo cui il rito descritto da Euripide non ha carattere iniziatico perché il protagonista è un , un uomo adulto, e non un («ragazzo») cerca di rispondere Kalogeropoulos (Kalogeropoulos 2003, nota 89, p. 295 e 2013, p. 134) sostenendo che il termine prefigura la definitiva uscita dall’adolescenza sancita dal rito. 24  Vedi ad esempio Ceccarelli 1998, pp. 83-84; Kalogeropoulos 2003, pp. 308-309 (comparazione con la marginalità del tempietto di Atena Nike rispetto all’acropoli). 25   Vedi ad esempio Graf 1985, pp. 415-416. Cfr. Kalogeropoulos 2003, p. 292 dove si dimostra che la metafora del toro riguarda anche la sessualità femminile, e dunque le ragazze. 26   Vedi ad esempio Ceccarelli 1998, pp. 83-84 e Kalogeropoulos 2013, p. 147. Sul ruolo della pirrica nei riti di integrazione dei giovani vedi da ultimo Ceccarelli 1998, pp. 185-218. Sulla connotazione militare del culto vedi Kalogeropoulos pp. 135-136, in cui si ricorda l’uso del nome Tauropole per le navi da guerra. 27  Vedi Ceccarelli 1998, pp. 83-84 e Kalogeropoulos 2013, p. 135 (con particolare riguardo alla documentazione iconografica). Per un’ampia disamina critica delle letture antropologico-sociali dell’Ifigenia in Tauride ivi, pp. 64-91.

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La riscoperta archeologica del sito del santuario di Artemide Tauropolos non altera in modo sostanziale il quadro fin qui delineato, almeno fino alla pubblicazione di Kalogeropoulos (2013). Il temenos di Halai viene infatti riscoperto parzialmente in parallelo a quella di Brauron: è il medesimo Papadimitriou, direttore dello scavo di Brauron, a condurre due campagne nel 1956 (appena la spiaggia viene bonificata dalle mine piazzate dagli occupanti stranieri durante la seconda guerra mondiale)28 e nel 1957. Ciò appare come un’ulteriore testimonianza della tendenza da parte degli studiosi a tenere insieme i due centri cultuali, e non solo per pratiche ragioni di vicinanza. Emblematicamente Orlandos presenta la campagna del 1956 con queste parole29:

L’area indagata da Papadimitriou, situata nel podere Chountas, ad appena 50 m dal mare, è scelta dall’archeologo sulla base di indizi sul terreno e di notizie orali sulla presenza di materiali antichi asportati e utilizzati nei centri vicini. La prima campagna, durata appena due giorni, ha come esito l’individuazione del perimetro di un tempio e di qualche reperto30. Essa porta altresì alla constatazione dello svolgimento di precedenti scavi regolari. Combinando diverse informazioni Papadimitriou viene a sapere che essi erano stati effettuati tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, sotto la direzione di N. Kyparissis, senza che nulla venisse pubblicato31. La seconda campagna, durata circa quattro mesi e condotta con la collaborazione di O. Alexandri e V.Ch. Petrakos, è dedicata allo scavo dell’area del tempio, di cui vengono portate alla luce le fondamenta, ben leggibili, insieme ai resti di un’altra struttura, situata a sud-est e interpretata da Papadimitriou come un altare32. Il tempio era  Vedi Papadimitriou 1956, p. 88. L’archeologo dichiara di avere voluto indagare Halai fin dall’avvio della campagna di Brauron, ma che l’area di suo interesse era recintata appunto per la presenza di tali residuati bellici. 29   Orlandos 1956, 3: «Come parte di questo scavo (del santuario di Brauron) può essere considerata la scoperta di un altro luogo sacro imparentato con quello di Artemide Brauronia, il tempio di Artemide Tauropolos presso la spiaggia della vicina Halai Araphenides, sotto l’odierna Loutsa». 30  Vedi Papadimitriou 1956, p. 89 dove si menzionano statuette fittili di VI e V a.C., ceramica di V e IV a.C., una base in situ con incavo in cui è infisso un frammento marmoreo di forma triangolare e un frammento di colonna in poros. 31   Ivi, p. 86. A suo avviso il decreto onorario per Philoxenos (vedi supra p. 101) era stato rinvenuto proprio in occasione di tali scavi. 32  Vedi Papadimitriou 1957, p. 45. La struttura, rimasta inesplorata sotto il profilo archeologico, è identificata da Kalogeropoulos (Kalogeropoulos 2013, p. 179) con l’“edificio circolare” disegnato da Travlos. 28

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periptero, di ordine dorico33, il numero di colonne distribuite sui lati resta incerto34. La cella, aperta verso est, si presenta divisa, per il senso della larghezza, in due ambienti, di cui quello anteriore molto più lungo di quello posteriore35. La continuità di insediamento e la forte incidenza nell’area di saccheggi e spoliazioni hanno fatto sì che i risultati degli scavi condotti da Papadimitriou non siano neppure lontanamente paragonabili a quelli conseguiti dal medesimo a Brauron né per estensione (limitata a un’area molto circoscritta) né per numero e stato di conservazione dei reperti, prevalentemente cocci36. Dalla pubblicazione dei frammenti pertinenti alla copertura del tempio ad opera di Kalogeropoulos risultano due (o forse tre)37 fasi costruttive di quest’ultimo, la prima collocabile nel 470-60 a.C., la seconda alla fine del V a.C.38. Nel corso della campagna del 1957 vengono inoltre effettuate ricognizioni sul terreno delle zone prossime allo scavo e vengono rinvenuti, rispettivamente 500 m a ovest e 2 km a sud, un altro decreto onorario di IV a.C. (oltre ai due menzionati in precedenza)39 e un frammento di figura maschile vestita seduta, databile al VI a.C. Il decreto, datato all’anno dell’arconte Nikomachos (341/340 a.C.) contiene la clausola di pubblicazione nel Dionysion (ll. 15-6); nel luogo di rinvenimento sono segnalate alcune strutture antiche, che Papadimitriou propone di ricondurre al hieron di Dioniso40. Quanto al rilievo, non è possibile stabilire se fosse di carattere votivo o funerario41. Negli anni Settanta alcuni scavi, effettuati occasionalmente in terreni di proprietà privata situati a sud e a sud-ovest del tempio, portano alla luce resti murari antichi pertinenti a diverse strutture. In tre casi vengono pubblicati sintetici resoconti. Le aree indagate sono oggi tutte ricoperte42. Degli scavi effettuati da Themelis in   Dimensioni: 19 x 12,56 m (stilobate), ivi, pp. 184-185.   Vedi discussione ivi, pp. 193-197. 35   Dimensioni complessive: 7,235 x 12,87 (Knell 1983, p. 42, seguito da Kalogeropoulos 2013, pp. 186-187). Dimensioni vano anteriore, orientale: 7  x  5 m circa (ivi, p. 187). Dimensioni vano posteriore, occidentale: 5 x 3,21 m circa (ibidem). 36  Per la pubblicazione vedi Kalogeropoulos 2013, pp. 212-221 (frammenti architettonici pertinenti al tempio); pp. 231-404 (ceramica); pp. 405-465 (oggetti di piccole dimensioni e di vari materiali). 37   Un terzo intervento, se non una vera e propria terza fase, è suggerito dalla presenza di resti di copertura del tipo “laconico” che però, decontestualizzati, non sono databili e possono risalire, con eguali probabilità, all’età arcaica o al periodo ellenistico-romano. 38  Vedi Kalogeropoulos 2013, pp. 228-229. In particolare, per un eventuale passaggio dei Persiani (al momento puramente ipotetico) vedi nota 734, p. 229. Per un’analisi dettagliata dei resti, vedi pp. 202-209. 39  Vedi supra p. 101 e pp. 102-103. 40  Vedi Papadimitriou 1957, pp. 45-47. Per l’iscrizione, vedi da ultimo Kalogeropoulos 2013, pp. 142-143, con testo e bibliografia precedente. 41  Vedi Papadimitriou 1957, p. 47 e Kalogeropoulos 2013, p. 51 con bibliografia precedente. 42  Vedi Liagouras 1972; Alexandri 1975 e Alexandri 1976. Vedi anche Kalogeropoulos 2013, pp. 51-52 (presentazione generale) e pp. 221-227 (analisi dettagliata di ciascun lotto interessato). 33 34

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un’area situata circa 200 m a sud del tempio si possiedono solo sommarie notizie, trasmesse in modo informale. Malauguratamente, sembra trattarsi del nucleo più interessante, insieme al tempio, sotto il profilo storico-religioso. Si parla infatti del ritrovamento di tre piccoli edifici sacri, tra i quali quello situato più a sud risulta collocato su un tumulo del VII a.C.43. Di un altro viene detto che era dotato di un altare al suo interno44. Travlos nella sua descrizione del sito di Halai menziona un piccolo tempio con cella e pronao e aggiunge che presso l’angolo nord-occidentale dell’edificio è stato ritrovato un grande bothros contenente molti vasi (tra cui krateriskoi) e statuette45. Kalogeropoulos visita l’area nel 2007 e vede un edificio di piccole dimensioni mezzo coperto dalla sabbia. La pianta è simile a quella del “piccolo tempio” del complesso sud-orientale di Brauron (supra p. 27): pertanto egli lo colloca alla metà del V a.C., ipotizzando che esso possa essere il “successore” di una struttura arcaica46. Il medesimo autore dichiara di avere potuto vedere, nei depositi del Museo di Brauron, una parte dei materiali rinvenuti da Themelis. Egli segnala la presenza di circa mille statuette fittili di VII a.C., un numero minore di statuette fittili databili tra la fine dell’età arcaica e l’epoca classica, ceramica di età geometrica, ceramica corinzia e a figure nere, tra cui krateriskoi su alcuni dei quali è rappresentato un altare, pinakes e fusaiole fittili, un elevato numero di piccoli oggetti in argento e bronzo. Nel complesso i reperti, a quanto sembra più numerosi di quelli portati alla luce da Papadimitriou presso il tempio, attestano una continuità di frequentazione della zona tra la seconda metà dell’VIII a.C. e almeno l’inizio del IV a.C. Una piccola scelta di tali materiali è esposta nell’attuale allestimento del Museo, risalente al 200947. Complessivamente, i risultati degli scavi effettuati negli anni Settanta attestano l’esistenza ad Halai di un santuario dotato di più strutture. Combinando i resoconti disponibili e un disegno inedito di Travlos conservato negli archivi della Società Archeologica di Atene, Kalogeropoulos ricostruisce la presenza, pochi metri a sud dell’”edificio circolare”, di una stoa, in uso dal V al II a.C.48. La funzione degli altri resti murari emersi resta non meglio definibile, anche se egli prende in considerazione l’ipotesi relativa all’individuazione di un propylon a ovest del tempio, con materiali databili dal V a.C. all’età romana49. Infine, sulla base delle descrizioni relative agli scavi effettuati da Themelis, l’autore ritiene che sia stato rinvenuto un  Vedi Hollinshead 1980, p. 70. Come fonte per l’informazione ella cita (nota 5, p. 304) una lettera di J.R. McCredie, all’epoca direttore dell’American School of Classical Studies at Athens. 44  Vedi Kahil 1977, nota 54, p. 96, la quale dichiara di avere avuto l’informazione dal medesimo Themelis. Kalogeropoulos parla una volta di focolare ( Kalogeropoulos 2013, p. 52) e una di altare ( ivi, p. 225). 45  Vedi Travlos 1988, p. 211. 46   Dimensioni 10 x 6 m circa. Vedi Kalogeropoulos 2013, p. 225. 47  Vedi Kalogeropoulos 2013, pp. 225-227. Gli oggetti esposti sono segnalati in nota per ciascuna categoria. 48   Ivi, pp. 221-223. L’edificio era lungo circa 47 m. 49   Ivi, pp. 223-224 e p. 227 (propylon). 43

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tempio con focolare databile al VII a.C., ma forse legato a modelli molto più antichi50. Il medesimo Kalogeropoulos assume come limite settentrionale del santuario il tempio indagato da Papadimitriou a nord e a ovest del quale sono stati ritrovati muri che possono essere ritenuti parte del peribolos51 e come limite meridionale il complesso esplorato da Themelis: l’orientamento del piccolo edificio templare da lui osservato corrisponde, non certo casualmente, a quello del tempio52. Dunque in totale il temenos si estendeva da nord a sud per circa 200 m. Quanto all’estensione da ovest a est, essa doveva superare quella attuale, data la presenza di alcune strutture sommerse53, e doveva dunque essere superiore ai 60 m (Tav. VII)54. Le scoperte archeologiche effettuate nell’area di Loutsa non mancano di portare nuovi argomenti a favore dell’affinità e dell’unitarietà, se non della vera e propria identità, dei santuari di Halai e di Brauron. Al 1976 risale l’articolo di Travlos, già ricordato nel corso della presentazione generale dell’approccio “brauronocentrico”, in cui l’autore interpreta l’ambiente più occidentale della cella del tempio come adyton, struttura a suo avviso tipica dei culti “ctonii”, e include pertanto il santuario di Halai in un gruppo di tre luoghi sacri accomunati dal culto “ctonio” di Artemide Ifigenia (per usare la sua terminologia), culto la cui natura, a suo avviso, è evidente nei rispettivi miti di ciascun santuario: il sacrificio di Ifigenia ad Aulide, la presenza della statua taurica con i relativi rituali ad Halai, la morte e la sepoltura di Ifigenia a Brauron55. L’anno successivo Kahil, nel dare notizia del ritrovamento di krateriskoi ad Halai nel corso dei citati scavi di Themelis, chiama in causa il lavoro di Travlos per avvalorare l’ipotesi, suggerita con le dovute cautele, di identificazione del luogo di rinvenimento dei vasi con un heroon di Ifigenia collegato al tempio di Artemide Tauropolos analogamente a quanto (a suo avviso) attestato a Brauron56. Ancora, sulla base del ritrovamento dei krateriskoi, Giuman si sente autorizzato a parlare di «assoluta omogeneità del materiale ceramico votivo venuto alla luce nel corso dello scavo dei due complessi sacri». Chiamando in causa Kahil, egli afferma inoltre la provenienza da una medesima fabbrica57. Come si è già avuto modo di ricordare presentando gli orientamenti alternativi all’approccio “brauronocentrico” (supra p. 19), alle conclusioni di Travlos si oppone nettamente Hollinshead, la quale dedica la propria tesi dottorale a dimostrare che l’adyton non rappresenta un elemento che collega idealmente i tre santuari di Brauron, Halai e Aulide all’interno del culto di Artemide Ifigenia e della relativa   Ivi, p. 230.   Ivi, p. 179. 52   Ivi, p. 225. 53   Strutture sommerse presso il tempio vedi ivi, p. 179. Strutture sommerse a sud-est del tempio, vedi Liagouras 1972, p. 151 e Kalogeropoulos 2013, p. 224. 54   Ivi, p. 179. 55  Vedi Travlos 1976. 56  Vedi Kahil 1977, p. 96. 57  Vedi Giuman 1999, p. 181. 50 51

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mitologia. Ad Aulide, la presenza di un ambiente separato nella parte posteriore della cella è giustificabile come caratteristica dell’architettura della Beozia. A Brauron e Halai mancano, per tale ambiente, evidenze di carattere rituale ed è plausibile ipotizzare una funzione utilitaristica. Per di più, il culto di Ifigenia, che per Travlos accomunerebbe i tre centri cultuali, è attestato nel solo santuario di Brauron58. Più nello specifico, per quanto riguarda Brauron e Halai con i rispettivi culti di Artemide Brauronia e Artemide Tauropolos conclude59: Not only were they honored in entirely different contexts, but they were scarcely the same goddess. Whereas Artemis Brauronia looks to the Peloponnesos and the bears of Arcadia, Artemis Tauropolos must be Ionian in origin […]. Even though geographically close, even though consecrated to the same Olympian deity, the sanctuaries at Brauron and at Halai had very little in common. Euripides in the I.T. exploited what common ground there was and created his own where expedient – and we are still trying to sort out which is which. There were probably informal ties between Halai and Brauron, but they are not likely to have been based on religious connections. […] One wonders if as a practical matter the same workshops supplied terracottas, or relief plaques, or krateriskoi for both Artemises. […] It is possible that those in charge of the temple of Halai closed off the back sector of the cella after they had witnessed the usefulness of Brauron’s back room. I submit that the back room was intended as safe storage space in our two east Attic temples.

Si è altresì già presentata, nel medesimo contesto, la linea seguita da Kalogeropoulos, che si distingue dagli orientamenti finora descritti per un approccio completamente diverso sia all’eziologia euripidea sia al materiale archeologico. Dal finale dell’Ifigenia in Tauride egli non ricava conclusioni di carattere generale sull’unitarietà o sulla differenziazione dei culti di Halai e di Brauron. Il testo è invece da lui considerato come la “fotografia” di una nuova fase del culto di Halai, quella attuale al momento della rappresentazione del dramma, fase che vede, con l’intervento di Atene, rappresentato da Atena, la “statalizzazione” dei rituali di ingresso dei giovani nella società civica e il passaggio dal culto dell’Artemide dei Tauri, adombrato nella parte precedente dell’opera e di stampo gentilizio, al culto “democratico” della Tauropolos. Caratteristico di tale nuovo periodo è il trasferimento della ritualità femminile a Brauron, con uno slittamento del punto focale di detta ritualità dalla fase prenuziale alla crisi determinata dal momento del parto. Il culto di Halai, a sua volta, assume una nuova connotazione militare, dunque si “specializza” nell’integrazione dei ragazzi60. Il materiale archeologico, di cui Kalogeropoulos pubblica in58   Per simili argomentazioni vedi Hollinshead 1980, pp. 108-112 e Hollinshead 1985. La tesi della funzione utilitaristica dell’adyton viene ulteriormente approfondita e discussa in Hollinshead 1999. 59   Hollinshead 1980, pp. 111-112. 60   Per l’approfondita analisi del dramma euripideo proposta dall’autore, vedi Kalogeropoulos

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tegralmente quello rinvenuto da Papadimitriou nell’area del tempio, è analizzato e inquadrato dal punto di vista cronologico con uno sguardo comparativo che spazia oltre Brauron e gli artemisia dell’Attica e comprende l’intera realtà, soprattutto santuariale, della regione. Di conseguenza, le considerazioni che scaturiscono da detta analisi prescindono dalla ricerca di possibili interazioni e relazioni con il “gemello” e contiguo santuario di Brauron e mirano, per quanto possibile, a ricostruire lo sviluppo storico della cultualità di Halai nella sua autonomia. Emblematico di simile atteggiamento, radicalmente diverso dall’approccio “brauronocentrico”, è quanto l’autore scrive riguardo ai frammenti di krateriskoi61:

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Volendo trarre un bilancio, va detto che il testo di Hollinshead sopra riportato, pur essendo discutibile su alcuni elementi specifici, come la diversa connotazione geografica della Brauronia e della Tauropolos, ha il merito di mettere a fuoco due problemi fondamentali con cui si confronta lo studio di Halai e Brauron come santuari “gemelli”: il fatto che la fonte letteraria che attesta tale “gemellarità” sia un testo teatrale e il fatto che la contiguità dei due centri cultuali può avere implicato l’utilizzazione di maestranze e centri di produzione in comune. In assenza di confronti è infatti estremamente difficile (e forse anche metodologicamente poco opportuno) scindere invenzione e realtà nell’eziologia euripidea. A chi sostiene una posizione radicalmente scettica e ritiene che la situazione cultuale descritta da Euripide sia pura invenzione, portata in scena con la totale libertà da canoni tipica del sistema politeistico62, si può obiettare che occorre considerare il carattere competitivo della rappresentazioni teatrali ad Atene: è plausibile che il pubblico avrebbe accolto poco favorevolmente sia un’invenzione poetica totalmente priva di significato in relazione alla realtà di cui era, in qualche misura, a conoscenza, sia un testo puramente didascalico. L’orientamento di Kalogeropoulos per una lettura storica dell’eziologia euripidea in relazione all’intervento della città di Atene sembra aprire una strada assai promettente, anche se la direzione che si suggerirà tra breve è diversa da quella prospettata dallo studioso. L’osservazione di Hollinshe2013, pp. 91-138. La “specializzazione” in senso militare e maschile del santuario di Halai tra fine V e IV a.C. sembra confermata, come rileva il medesimo studioso (pp. 506-508) sia dall’attestazione archeologica di frammenti di anfore panatenaiche (in parallelo all’assenza di reperti riconducibili alla vita femminile) sia dall’attestazione epigrafica della pirrica. 61   Ivi, p. 275: «Comunque, indipendentemente dal fatto che quelle figure rappresentino le orse oppure no, per noi ha importanza il fatto che questi vasi rituali rappresentano cori e gare di corsa rituali di ragazze in onore di Artemide». 62   Vedi ad esempio Scullion 2000 ed Ekroth 2003.

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ad relativa alla possibile utilizzazione, per motivi pratici, di maestranze e centri di produzione comuni al santuario di Brauron e a quello di Halai appare del tutto opportuna, tenendo anche conto di quanto scrive Giuman riguardo alla posizione del santuario di Halai in relazione al più probabile percorso della processione da Atene a Brauron63: È sufficiente dare uno sguardo a una qualsiasi carta geofisica della regione per rendersi immediatamente conto che la via più diretta tra Atene e la costa orientale dell’Attica è proprio quella ricalcata dalla strada moderna che, incuneandosi tra Imetto e Pentelico, raggiunge Raphina. Qualunque processione inviata dalla città a Brauron, a meno di improbabili deviazioni su percorsi montani e difficilmente praticabili, non avrebbe potuto evitare di passare proprio per Halai Araphenides, sfiorando così il santuario della Tauropolos.

Del resto, presentando la storia del santuario di Brauron, si è già avuto modo di prospettare l’eventualità di una particolare valorizzazione in età arcaica dell’accesso da est, cioè dal lato rivolto verso Halai (supra, pp. 36-37). A ciò si aggiungono altri elementi. Secondo Brulé, i due propyla del complesso porticato addossato al braccio nord della stoa di Brauron dovevano garantire l’accesso sia da Atene sia da Halai64. Una delle più convincenti ipotesi sulla localizzazione delle stalle menzionate nel decreto di exetasmos suggerisce di identificarle con alcuni resti murari rinvenuti lungo l’attuale strada tra Brauron e Loutsa65. Ancora, sulla mappa dell’area di Brauron riportata da Papadimitriou a corredo della descrizione preliminare del sito è tratteggiata una “strada antica” lungo la costa tra Brauron e Halai66. Alla luce di ciò, risulta estremamente problematico valutare il significato storico-religioso, che pure non va escluso, della presenza di reperti archeologici apprentemente propri di un santuario nell’altro, quali ad esempio i pinakes di Artemide Tauropolos a Brauron e i krateriskoi ad Halai. Per quanto riguarda i pinakes, a favore di un significato non cultuale potrebbe deporre il rinvenimento nell’area dell’agora di Atene di un frammento, su cui si conservano solo le zampe posteriori di un bovino, ma che è del tutto simile ai frammenti brauronii, tanto da permettere di ipotizzare che vi fosse raffigurato lo stesso soggetto, Artemide Tauropolos67. A meno che non si voglia postulare un’indimostrabile provenienza dal Brauronion, il pezzo potrebbe rappresentare un indizio di una circolazione della matrice non limitata ad Halai e Brauron. D’altro canto, i pinakes di Brauron appaiono simbolicamente omogenei, in relazione all’integrazione rituale dei giovani di entrambi i sessi, con un (raro) esemplare di testa   Giuman 1999, p. 183.  Vedi Brulé 1987, p. 256. 65  Vedi Kakavogianni 1984. 66  Vedi Papadimitriou 1948, 1, p. 83. 67  Vedi Vlassopoulou 2003, p. 39 e cat. n. 131, p. 123. Per l’esattezza il frammento è indicato come proveniente dalle pendici settentrionali dell’Areopago. 63 64

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fittile bovina dedicato nel medesimo santuario68. Ulteriore complicazione è che, se si accetta la lettura dell’eziologia euripidea proposta da Kalogeropoulos secondo cui la “democratica” Tauropolos è subentrata nel santuario di Halai solo negli ultimi decenni del V a.C., la datazione dei materiali brauronii (500-480 a.C.) porta a rovesciare i termini della questione della priorità. Analogamente, i krateriskoi di Halai sembrano comunque situarsi, per quanto possibile ricavare dalla parziale documentazione esistente, in un più ampio contesto di reperti riferibili alla vita femminile. Contemporaneamente a tali vasi (cioè tra VI e metà V a.C.) si dedicano, infatti, loutrophoroi e specchi69 e per il periodo immediatamente successivo, secondo lo schema adottato da Kalogeropoulos, è attestata la presenza di un frammento di epinetron a figure rosse70. Allo stesso modo, ragioni pratiche possono motivare le analogie formali riscontrate da Kalogeropoulos tra l’edificio da lui osservato nell’area scavata da Themelis e il cosiddetto piccolo tempio di Brauron. In ogni caso, non è possibile seguire Kahil nel ricondurre entrambe le aree sacre al culto di Ifigenia dato che, come si è detto, la presenza di detto culto a Brauron non è al momento archeologicamente dimostrabile (supra pp. 28-29). In conclusione, definire i termini delle relazioni tra il santuario di Halai e quello di Brauron è un’operazione assai difficile, che sembra scontrarsi con dinamiche alquanto complesse che lo stato attuale della documentazione permette di leggere per lo più unicamente in filigrana. Ciò vale soprattutto se si prende in considerazione un elemento finora poco valorizzato nella storia degli studi, cioè le tradizioni mitiche relative ai due centri cultuali. B. Halai e Brauron: “gemelli” rivali? È singolare che, con la sola eccezione di Giuman, che lo ricorda in relazione ai già citati pinakes con Artemide Tauropolos71, i sostenitori della lettura dei santuari di Halai e Brauron come “gemelli” identici, trascurino di citare un dato che effettivamente li accomuna, cioè la presenza di una tradizione mitica relativa al possesso della statua taurica. La tradizione relativa a Brauron è riportata da Pausania in quattro diversi passi della Periegesi. Il primo è il già citato passo relativo al Brauronion (I 23.7, supra p. 47) in cui alla notizia sulla presenza in quest’ultimo dell’agalma prassitelico viene  Vedi Mitsopoulos Leon 2009, p. 254, la quale, molto opportunamente, ricorda il mito delle Pretidi, trasformate appunto in mucche per un oltraggio a Hera dovuto all’irrequietezza giovanile. Da consultare è anche il lavoro di Kalogeropoulos sulla balaustrata della terrazza del tempietto di Atena Nike (vedi in particolare Kalogeropoulos 2003, p. 292). 69   Vedi rispettivamente Kalogeropoulos 2013, pp. 268-272 e pp. 434-436. 70   Ivi, p. 438. 71  Vedi Giuman 1999, p. 66. 68

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giustapposta, o forse contrapposta, quella sulla presenza dello xoanon identificato con quello taurico a Brauron. Il medesimo dato è riportato nella, rapidissima, presentazione della località: Paus. I 33.1

Da Maratona dista da un lato Brauron, dove dicono che sia approdata Ifigenia, figlia di Agamennone, fuggita dal paese dei Tauri portando con sé la statua di Artemide; essa avrebbe lasciato la statua qui e avrebbe proseguito per Atene e poi per Argo; anche qui in effetti c’è un’antica statua lignea di Artemide, ma in un altro contesto dirò presso chi si trovi, a mio avviso, la statua sottratta ai barbari72.

Pausania mostra qui il suo scetticismo ancora più esplicitamente che nel passo relativo al Brauronion dove aveva preso le distanze dalla tradizione sullo xoanon taurico a Brau«come dicono». L’opinione del periegeta ron attraverso un opportuno è presentata e sostenuta in un’apposita digressione inserita nel terzo libro in cui egli, cercando di fare ordine nella complessa tradizione relativa alla statua73, appoggia la rivendicazione del possesso dello xoanon taurico da parte di Sparta. L’argomento più forte contro la rivendicazione attica è il fatto di essersi lasciati sottrarre da Serse una statua tanto preziosa, che il suo possesso viene rivendicato dalle più diverse città: Paus. III 16.7-8 16. 7

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  Traduzione D. Musti in Beschi, Musti 1982.   Per un quadro d’insieme di tale tradizione vedi Graf 1979 e Bilde 2003.

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La località detta Limneo è consacrata ad Artemide Orthia. La statua lignea dicono sia quella che un tempo Oreste e Ifigenia portarono via dalla Tauride; gli Spartani, poi, dicono che fu portata nella loro terra, perché anche qui regnava Oreste. Ritengo la loro versione più probabile di quella degli Ateniesi. Infatti, per quale motivo Ifigenia avrebbe dovuto lasciare la statua a Brauron? O come poteva accadere che gli Ateniesi, quando si accingevano a sgomberare la propria terra, non caricassero anche la statua sulle loro navi? Eppure fino ai nostri tempi, della dea taurica è rimasto un tale nome che i Cappadoci e coloro che abitano sull’Eusino rivendicano la presenza della statua presso di loro, ma la rivendicano anche i Lidi che hanno un santuario di Artemide Anaiitis. Gli Ateniesi dunque lasciarono che la loro statua fosse preda dei Persiani. Infatti il simulacro di Brauron fu portato a Susa, e in seguito Seleuco lo diede ai Laodicei di Siria, che ne sono ancora in possesso74.

La notizia relativa al “furto” di Serse è ricordata da Pausania anche nell’ottavo libro, come parallelo alla sottrazione da parte di Augusto (o più propriamente Ottaviano) dell’antica statua di Atena Alea e dei denti del cinghiale calidonio da Tegea per punire la città in quanto alleata di Antonio: Paus. VIII 46.3

Anche Serse, figlio di Dario, re dei Persiani, sappiamo che oltre a ciò che asportò da Atene, prese pure la statua di Artemide Brauronia da Brauron75.

Pausania dunque non si preoccupa di contraddirsi, affermando in due passi (I 23.7 e 33.1) che la statua taurica veniva ancora mostrata a Brauron e in altri due (III 16.7-8 e VIII 46.3) che essa era stata asportata da Serse. La nebulosità della testimonianza e lo scetticismo dello stesso periegeta hanno spinto la maggior parte degli studiosi a tenere poco conto dell’informazione da lui fornita e a considerarla, nel migliore dei casi, una tradizione tarda76 oppure il frutto di una confusione tra Brauron e Halai derivata dal fatto di avere appreso la notizia di seconda mano77. Dagli scavi di Brauron sono però emersi due documenti i quali, in base alla convincente rilettura proposta da Despinis, provano che la tradizione relativa alla presenza della statua taurica a Brauron è antica almeno quanto quella relativa ad Halai accolta (o fondata?) da Euripide nell’Ifigenia in Tauride (1450-3), lasciando inoltre intravedere che tale tradizione era forte, radicata e non priva di una sfumatura di     76   77   74 75

Traduzione Musti in Musti, Torelli 1991. Traduzione M. Moggi in Moggi, Osanna 2003. Vedi ad esempio Hollinsehad 1980, pp. 61-62; Bald Romano 1980, p. 92. Vedi ad esempio Kontis 1967, pp. 158-160; GRAF 1979, p. 35; Giuman 1999, pp. 64-66.

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rivalità. I documenti in questione sono il cosiddetto rilievo degli dei e una statua acefala di giovane xoanophoros. Il cosiddetto rilievo degli dei (Tav. VIII) è un rilievo in marmo di grandi dimensioni rinvenuto nel 1958 durante gli scavi del braccio nord della stoa e oggi esposto al Museo Archeologico di Brauron78. La lastra è rotta sul bordo destro, dunque la scena raffigurata non è completa. All’estremità sinistra si vede un uomo, barbato, seduto con un himation drappeggiato sulle gambe. Il braccio destro è sollevato e con la mano regge un oggetto lungo e sottile, interpretabile come lancia o scettro. Subito dopo di lui viene una figura femminile stante, con peplo e velata. Il braccio sinistro è sollevato e con la mano doveva reggere un oggetto, oggi perduto. Accanto alla donna c’è un giovane imberbe, a torso nudo e con un himation drappeggiato intorno alle gambe. Entrambe le braccia sono lungo i fianchi. Ultima viene una figura femminile vestita, giovanile, non velata, che si muove velocemente verso sinistra. Il suo braccio sinistro è sollevato. Entrambe le mani dovevano reggere oggetti, andati perduti. Tutte le figure sono rivolte verso destra: il punto focale della raffigurazione doveva dunque trovarsi nella parte che, malauguratamente, non si è conservata. Proprio sul margine della parte rimasta si distinguono comunque zoccoli, probabilmente di cervi o di cerve. Una testa femminile giovanile può peraltro essere attribui­ ta alla sezione perduta per misure, lavorazione e circostanze di rinvenimento: essa è stata trovata appena pochi metri a est del punto in cui è stato trovato il rilievo79. La testa è pertanto esposta insieme alla parte superstite della lastra, in una posizione scelta sulla base del fatto che, come fanno intuire gli zoccoli animali, nella parte non pervenuta doveva trovarsi un carro che trasportava una o più figure. Fin dal momento della scoperta della lastra, la scena ivi rappresentata è stata, correttamente, interpretata come mitologica, da cui il nome convenzionale di “rilievo degli dei”. Tuttavia per venti anni non è stata proposta alcuna interpretazione e anche l’identificazione delle figure rappresentate è rimasta incerta80. La prima a proporre una lettura della scena è stata Kahil nel 1979, in un contributo di carattere generale sulle iconografie brauronie81. Il lavoro è stato da lei approfondito in un testo specifico pubblicato nel 199082. Kahil ritiene che il rilievo rappresenti l’arrivo di Artemide nel suo santuario di Brauron: la dea (alla cui figura va attribuita la te  Per i dati relativi al ritrovamento vedi Despinis 2005, nota 2, p. 244.   Per le circostanze del rinvenimento vedi Despinis 2005, nota 3, p. 244. Per l’attribuzione della testa vedi Kahil 1979, pp. 78-79; Kahil 1983, p. 233; Kahil 1990, p. 114. L’attribuzione è generalmente accettata: vedi Venit 2003, pp. 44-45 e Despinis 2005, pp. 246-247. 80   Orlandos (Orlandos 1958, p. 35) identifica l’uomo seduto con Poseidone o con Zeus, la donna velata con Latona o Atena, il giovane con Apollo o Oreste, la ragazza in corsa con Artemide o Ifigenia. In seguito prevale l’identificazione dei quattro personaggi con Zeus e la triade delia (Latona, Apollo e Artemide), vedi ad esempio Kontis 1967, p. 164 e Neumann 1979, p. 62 (con ulteriore bibliografia). 81  Vedi Kahil 1979, pp. 78-79 e 1983, p. 235. 82  Vedi Kahil 1990. 78 79

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sta), che viaggia su un carro trainato da cerve, è introdotta dalla sua sacerdotessa (la figura femminile in movimento), iconograficamente identificata con Hecate, dato che doveva reggere una torcia in ciascuna mano. La dea è altresì accolta dalla sua famiglia: Zeus (l’uomo seduto), Latona (la donna velata) e Apollo (il giovane). Nel 2003 M.S. Venit ha proposto, in un apposito articolo, un’interpretazione molto diversa, basata sul fatto che l’uomo seduto, di scala più piccola delle altre figure, non può essere identificato con Zeus, che peraltro non necessariamente compare insieme alla triade delia e non è in nessun modo collegato al santuario di Brauron. Secondo Venit l’uomo è da identificare con una figura mitologica “minore” di carattere locale, come potrebbe essere il fiume Erasino o, più plausibilmente, l’eroe Brauron, menzionato dai lessicografi come eponimo della località del santuario. La scena rappresenterebbe dunque l’arrivo a Brauron della statua taurica, evento identificato con la fondazione stessa del santuario. La statua (a cui va attribuita la testa) doveva essere raffigurata come la divinità stessa sul proprio carro, le cui redini sono rette da Ifigenia (la figura in movimento). Ad accoglierla, oltre all’eroe Brauron, Latona e Apollo83. A stretto giro (2005) Despinis pubblica un dettagliato studio del rilievo in cui propone un’interpretazione che concorda con quella di Venit, tranne che per l’identificazione della figura in corsa con Ifigenia: a suo avviso si tratta di Artemide (doveva reggere una torcia nella mano destra e un arco nella sinistra), e per l’attribuzione della testa non a una “statua vivente” ma a Ifigenia. Secondo quanto attestato da diversi paralleli su ceramica, ella doveva reggere lo xoanon taurico, mentre Oreste doveva guidare il carro84. Lo studio di Despinis produce inoltre due acquisizioni molto importanti per la ricerca sui santuari “gemelli” di Halai e di Brauron. La prima è la dimostrazione che la datazione più plausibile del pezzo si colloca al 410-400 a.C.85, quindi molto vicino alla prima rappresentazione dell’Ifigenia in Tauride collocabile86 nel 414 o nel 412 a.C. La seconda è che il pezzo non doveva essere originariamente esposto nella stoa come dedica. Esso con ogni probabilità si trovava piuttosto nella nicchia di un edificio, da cui era stato rimosso forse in occasione di un restauro dello stesso (ipoteticamente il restauro predisposto dal decreto di exetasmos)87. La collocazione privilegiata del rilievo in un’apposita nicchia non prova che esso avesse una funzione cultuale (funzione che era stata peraltro messa in campo da Orlandos al momento  Vedi Venit 2003.  Vedi Despinis 2005, pp. 254-256. 85   Ivi, p. 259. In precedenza erano state proposte datazioni più basse (vedi ad esempio Orlandos 1958, p. 35 e Kontis 1967, p. 194 che lo datano al 400-375 a.C.) o più alte (vedi ad esempio Kahil 1983, p. 235 che lo data al 430-20 a.C. ipotizzando l’intervento di un allievo di Fidia, e Neumann 1979, p. 62 che lo data al 420-10 a.C. chiamando in causa la cerchia di Agoracrito). Per ulteriore bibliografia sul problema, vedi Despinis 2005, note 70-73, p. 259. 86   Sul problema della datazione della prima rappresentazione dell’Ifigenia in Tauride vedi da ultimo Kyriakou 2006, pp. 39-41. 87  Vedi Despinis 2005, pp. 248-251. 83 84

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della scoperta)88, ma sicuramente testimonia che l’oggetto doveva avere una particolare visibilità. Dunque, se il rilievo rappresenta effettivamente l’arrivo della statua taurica a Brauron, il mito doveva essere di grande rilevanza per il santuario negli stessi anni in cui Euripide (IT 1450-3) prefigura l’arrivo della medesima statua ad Halai: forse, come suggerisce ancora Despinis89, esso era connesso con la fondazione stessa del temenos. Tale rilevanza deve essere stata avvertita anche in epoche successive, come indicano la cura posta nella sua rimozione e il secondo reperto brauronio relativo alla statua taurica, lo xoanophoros. La statua, acefala e mutila (Tav. IX), rappresenta un giovane, avvolto in un chitoniskos e in una clamide, mentre con il braccio sinistro regge una piccola statua femminile, rigidamente frontale, del tipo appunto convenzionalmente identificato come xoanon90. Il pezzo, rinvenuto forse pochi metri a ovest del punto di rinvenimento del “rilievo degli dei”91, a differenza di quest’ultimo, ha ricevuto pochissima attenzione92 ed è stato pubblicato solo nel 2005 da Despinis contestualmente al nuovo studio sul “rilievo degli dei”. Secondo l’archeologo, l’abbigliamento con chitoniskos e clamide, tipico dei viaggiatori, l’età giovanile deducibile dalla corporatura e la presenza dello xoanon portano a identificare la figura come Oreste. La statua si data plausibilmente al 330 a.C. Se l’interpretazione e la datazione suggerite sono corrette (non vi sono elementi contrari), il pezzo rappresenta un’interessante testimonianza della lunga durata della tradizione relativa alla presenza della statua taurica a Brauron. Se si accettano le conclusioni di Despinis sul “rilievo degli dei” e sullo xoanophoros risulta che Pausania non ha raccolto una tradizione tarda e non ha riportato una notizia derivata da una confusione tra Halai e Brauron, ma ha attinto a una tradizione secolare e prestigiosa, che all’epoca della prima rappresentazione dell’Ifigenia in Tauride era già parte dell’identità del santuario di Brauron ed era, forse, ancora viva al tempo del periegeta. Infatti, se si vuole intendere il presente da lui utilizzato in senso temporale, all’epoca c’era ancora a Brauron, plausibilmente nel tempio (che dunque non era già stato distrutto)93, uno xoanon che si indicava come xoanon taurico. Quanto al fatto che Pausania nomini la sola Ifigenia come responsabile dell’arrivo della statua, e non anche Oreste, presente invece nei citati documenti iconografici, può dipendere dal forte legame mitologico di tale figura con il santua Vedi Orlandos 1958, p. 35.  Vedi Despinis 2005, p. 260. 90   Per la storia e l’uso del termine vedi Donohue 1988. 91   Tale dato è fornito da Despinis (Despinis 2005, nota 83, p. 262) a partire dai diari di scavo. Tuttavia il pezzo compare in una fotografia pubblicata nel resoconto di Papadimitriou del 1950 (Papadimitriou 1950, fig. 10, 181) insieme ad altre sculture che si dichiarano ritrovate presso le basi situate lungo il muro settentrionale del terrazzamento del tempio (ivi, p. 177). 92   Per la bibliografia vedi Despinis 2005, nota 82, p. 261. 93   Per elementi a favore di una conservazione almeno del tempio fino alle’età di Pausania vedi supra pp. 41-42. 88 89

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rio, attestato, oltre che dall’eziologia euripidea (IT 1462-7) anche dalla già ricordata versione locale sul sacrificio dell’eroina (Schol. Ar. Lys. 645a-b, supra p. 36). Con la dovuta cautela, Despinis prospetta un’altra interessantissima possibilità, cioè che la vicinanza cronologica tra il “rilievo degli dei” e la prima rappresentazione dell’Ifigenia in Tauride non sia casuale e che dunque la raffigurazione (in cui attraverso l’inserimento dell’eroe eponimo della località, Brauron, la cornice locale dell’arrivo della statua taurica viene particolarmente sottolineata) intenda esprimere la rivendicazione della genuinità della tradizione mitica locale in polemica con un’altra tradizione mitica locale, che non va cercata molto lontano, ma nel contiguo santuario di Halai94: Sollte es wirklich ein Zufall sein, daß in diesen Jahren […] die Tragödie des Euripides «Iphigenenia in Tauris» in Athen urausgeführt worden ist? Wenn dies nicht der Fall ist, stellt sich die berechtigte Frage, ob das ‘Götterrelief ’ vielleicht nicht den athenischen Widerspruch gegen die Behauptung Spartas formuliert […] sondern vielmehr den Widerspruch des Heiligtums von Brauron gegen den Besitzanspruch von Halai Araphenides.

Effettivamente, la rivendicazione del possesso della statua taurica da parte di Halai ha nell’Ifigenia in Tauride la più autorevole e prestigiosa delle sanzioni, attraverso le parole della stessa divinità poliade di Atene, Atena, pronunciate a teatro. L’alternativa suggerita da Venit, cioè che l’iconografia del “rilievo degli dei” sia finalizzata ad ancorare alla terra attica la più prestigiosa delle statue spartane, in un’epoca in cui il conflitto tra le due città era in pieno svolgimento, si scontra con la difficoltà, ammessa dalla stessa autrice, di provare l’effettiva antichità della tradizione spartana sulla statua taurica95. L’ipotesi che la scena, con la sua peculiare costruzione, sia una risposta al contiguo, e, a quanto sembra, rivale, santuario di Halai appare di gran lunga più plausibile. A sostegno di una simile ipotesi sembra deporre un altro, per la verità assai tenue, indizio di una “gemellarità”/rivalità di Brauron e Halai su una tradizione mitica che, ancora una volta, riguarda una protagonista dell’epos panellenico, nello specifico Ifigenia. Nella glossa dell’Etymologicum Magnum relativa all’epiclesi Tauropolos si dà conto, tra l’altro, delle varie versioni sulla vittima che avrebbe sostituito Ifigenia al momento del sacrificio e a Nicandro si attribuisce quella secondo cui l’animale sacrificato sarebbe stato un toro: EM. s.v.

  Despinis 2005, p. 259.  Vedi Venit 2003, p. 54.

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Tauropolon: Artemide, perché come un toro gira attorno a tutte le cose; o perché fece tormentare dal tafano per tutta la terra il toro inviato da Poseidone contro Ippolito, o perché Ifigenia fuggendo dalla Scizia e consacrando la statua in Attica chiamò Artemide tauropolos perché era giunta dal popolo dei Tauri. Alcuni dicono che quando i Greci volevano uccidere Ifigenia ad Aulide, Artemide diede in cambio una cerva; Fanodemo, un’orsa; Nicandro, un toro. Perciò chiamarono la dea non tauropolos ma taurophonos.

La medesima notizia, con la medesima fonte, è riportata anche in Tzetzes (ad Lyc. 183), dove però non si parla di sostituzione, ma di trasformazione. Non è da escludere che, come la versione attribuita a Fanodemo relativa alla sostituzione con un’orsa (o alla trasformazione in essa) è da porre in relazione con una versione locale del sacrificio di Ifigenia elaborata a Brauron (Schol. Ar. Lys. 645a-b), allo stesso modo la versione attribuita a Nicandro, in cui è protagonista un toro, possa essere posta in relazione con una versione locale elaborata nel santuario di Artemide Tauropolos ad Halai. Sfortunatamente nel caso di Halai mancano ulteriori fonti in proposito, che invece sono disponibili per Brauron. Se così fosse, si sarebbe in presenza di un’altra tradizione mitica panellenica, oltre quella riguardante la statua taurica, rivendicata da entrambi i “gemelli” Halai e Brauron. Letta tenendo a mente le considerazioni fin qui esposte, l’eziologia euripidea del finale dell’Ifigenia in Tauride sembra dunque riflettere in primo luogo l’esigenza di dare ordine a una situazione di relazioni assai complessa che si era venuta a creare tra il santuario di Halai e quello di Brauron. Un processo di questo genere era già stato intuito da Suchier96: Euripides igitur videtur prorsus adversari illi famae, qua Brauronem deae signum allatum esse dicebatur et eandem famam potius fano Araphenio vindicat. […]. Neque tamen Euripides videtur quidquam de Brauroniorum dignitate detrahere voluisse, quandoquidem ipsam Iphigeniam Deae Brauroniae sacerdotem fuisse et illo sepultam esse dicit. Dunque sembra che Euripide si opponga a quella tradizione, per cui si diceva che la statua della dea era stata portata a Brauron e rivendichi piuttosto la medesima tradizione per il tempio di Araphen […] Tuttavia non pare che Euripide abbia voluto sottrarre qualcosa alla dignità dei culti di Brauron, poiché dice che Ifigenia in persona era stata sacerdotessa della dea di Brauron e là era stata sepolta.

  Suchier 1847, p. 20.

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Dunque, al momento della prima rappresentazione dell’Ifigenia in Tauride il santuario di Halai e quello di Brauron, come molti gemelli, erano rivali, almeno per quanto riguarda la rivendicazione del possesso dello xoanon taurico. La convincente interpretazione proposta da Despinis per un altare cilindrico in marmo decorato con rilievi rinvenuto, spezzato in diversi frammenti, nel santuario di Brauron, suggerisce infatti che, nel decennio successivo (400 a.C. circa) c’era una relazione molto più pacifica con il contiguo Halai per quanto riguarda il culto di Dioniso. Secondo l’archeologo il corteo raffigurato sull’altare rappresenta l’arrivo di Dioniso a Brauron e presuppone plausibilmente come punto di partenza il Dionysion del demo di Halai che doveva essere una realtà cultuale rilevante, stando al decreto rinvenuto da Papadimitriou (supra p. 108) e a un grande rilievo votivo acquistato alla fine degli anni Ottanta dalla Münchner Glyptothek97. È forse nel contesto della tradizione relativa al possesso della statua taurica che si colloca la presenza, nel tempio di entrambi i santuari, del cosiddetto adyton, cioè di un ambiente riservato situato nel settore occidentale della cella (ad Halai) o a ridosso del muro posteriore di quest’ultima (a Brauron). Come osserva opportunamente Cole, tale presenza appare pienamente giustificabile con la custodia di un oggetto considerato in se stesso potente e pericoloso, quale era appunto la statua taurica98. Da quanto detto, risulta calzante l’appunto di Hollinshead99: «Artemis Tauropolos should not be seen as the poor sister of Artemis Brauronia, however». La scarsità dei dati relativi ad Halai e la mancata pubblicazione di gran parte di quelli relativi a Brauron invitano comunque alla più grande cautela nel porre a confronto i due santuari, soprattutto per quanto riguarda le loro vicende storiche. La pubblicazione di Kalogeropoulos dimostra che essi sono realmente “gemelli” per quanto riguarda la nascita: entrambi infatti risultano frequentati dall’età protostorica e dotati di una qualche struttura già dal VII a.C.100. Probabilmente entrambi restano in attività fino all’età romana101. Se però Brauron appare, per tutta la sua storia documentabile, un santuario ateniese (supra pp. 34-41), la prima manifestazione dell’interesse di Atene per Halai è rappresentata, al momento, dall’eziologia euripidea. Infatti, anche accettando le convincenti argomentazioni presentate da M. Mari per sostenere che il culto poliadico di Artemide Tauropolos ad Anfipoli risale al momento della fondazione dell’effimera apoikia ateniese (437 a.C.), esistono buoni motivi, addotti dalla medesima studiosa, per considerare il ruolo della polis nell’operazione alquanto marginale: il fondatore Hagnon era nativo di Steiria, situato sulla costa orientale dell’Attica, in una posizione in cui è legittimo supporre l’influenza dei due importanti artemisia;  Vedi Despinis 2004b, pp. 63-64.  Vedi Cole 2004, p. 200. 99   Hollinsehad 1980, p. 111. 100   Vedi rispettivamente supra pp. 34-35 e Kalogeropoulos 2013, pp. 469-499. 101   Vedi rispettivamente supra pp. 41-42 e Kalogeropoulos 2013, pp. 510-511. 97 98

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la Tauropolos si prestava bene a rappresentare una sorta di interpretatio attica delle divinità femminili locali102. L’archeologia fornisce qualche indizio per un quadro leggermente diverso. Le dimensioni del santuario ricostruite da Kalogeropoulos (200 x 60 m) appaiono ragguardevoli e la presenza di un elevato numero di strutture oltre al tempio (supra pp. 108-110) rende plausibile ipotizzare un intervento della polis. La coincidenza tra l’orientamento del tempio principale e quello dell’edificio osservato da Kalogeropoulos databile al 450 a.C., posti, a quanto sembra, alle due estremità dell’estensione in lunghezza del temenos, sembrerebbe suggerire la realizzazione di un organico e impegnativo progetto costruttivo già qualche decennio prima della composizione dell’Ifigenia in Tauride. Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che l’eziologia euripidea è anche l’unica manifestazione dell’interesse di Atene verso Halai. La presenza dei decreti onorari nell’area del tempio (supra pp. 101-103) testimonia l’importanza del santuario per il demo, ma non dice nulla sui suoi rapporti con la polis. La relazione tra Halai e Atene resta dunque sfuggente, almeno quanto è sfuggente quella tra Brauron e il demo di Philaidai (supra p. 40).

 Vedi Mari 2012, pp. 143-146.

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CONCLUSIONI

In sede di conclusioni sembra doveroso confrontarsi con l’approccio “brauronocentrico” allo studio dei santuari di Artemide in Attica, i cui termini sono stati esposti in un apposito Capitolo collocato subito dopo l’introduzione generale. Per riassumere, si tratta della tendenza, in parte legittimata dalle fonti letterarie e archeologiche, a porre il santuario di Brauron come centro ideale dell’intera rete dei santuari artemidei dell’Attica, tendenza che giunge a omologare tra loro le diverse realtà cultuali conformandole a quella brauronia. L’analisi delle coppie rappresentate dai santuari di Munichia e di Brauron e da quelli di Halai e Brauron ha mostrato con chiarezza i limiti delle letture omologanti: la fisionomia marcata del culto munichio può assumere i tratti del culto brauronio solo a prezzo di interpretazioni, francamente eccessivamente forzate, delle fonti. A sua volta, la fisionomia sfuggente del santuario di Halai, che le fonti consentono di conoscere assai poco, sembra indurirsi assumendo i tratti di un “rivale” del santuario di Brauron. Si è altresì preso nettamente posizione contro un altro risvolto dell’approccio “brauronocentrico”, cioè la tendenza a individuare “eredi” del santuario brauronio, sottolineando come in realtà la storia dei santuari “gemelli” sia, per quanto è possibile ricostruire, parallela. Si è però dato pieno credito alle fonti che attestano la presenza del rito dell’arkteia, con relativo mito di fondazione, anche a Munichia, oltre che a Brauron. La contraddizione è solo apparente: omologazione alla realtà cultuale brauronia e presenza del rito dell’arkteia sono due fenomeni che vanno tenuti distinti. Il rito dell’arkteia si svolgeva nel santuario di Brauron ma, come indicano senza possibilità di equivoco i testi, era un rito della polis. Nella Lisistrata (641-7) Aristofane lo include tra le tappe (parodiche o meno) della «splendida educazione» che il coro delle donne ateniesi

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si vanta di avere ricevuto dalla propria città. Ateniesi sono i protagonisti del mito di fondazione del rito anche quando la vicenda è esplicitamente collocata nel demo ). Infine, il lemma di di Philaidai (Suid. s.v. Arpocrazione, nel momento in cui cita come fonte per il termine una (perduta) orazione di Lisia sulla nascita legittima di una ragazza, implica che il rito fosse in qualche misura legato al riconoscimento della condizione di ragazza legittima e libera. Il medesimo lemma, nel rimandare il lettore ai Decreti di Cratero attesta chiaramente che la polis controllava l’arkteia. Dunque, la rete ideale degli artemisia dell’Attica configurata dai testi e dal dato archeologico della diffusione dei krateriskoi non ha al suo centro il santuario di Brauron, ma la città di Atene e una sua propria istituzione sacra, il “rito dell’orsa”. Ora, se si pone questo nuovo centro, l’immagine della rete sembra perdere consistenza. Presentando i termini del “brauronocentrismo” si è avuto modo di dire che sull’interpretazione della presenza dei krateriskoi nei santuari di Artemide si distinguono tre posizioni (supra pp. 18-19). A un estremo si collocano quanti riconoscono senz’altro nei vasi la testimonianza dello svolgimento dell’arkteia in più sedi, in mezzo quanti sostengono che essi siano da collegare a una forma surrogata del rito (o la rappresentino in se stessi), all’estremo opposto chi ritiene che fuori da Brauron e Munichia, dove lo svolgimento del rito è attestato dalle fonti scritte, i krateriskoi siano solo oggetti votivi, comunque emblematici dell’importanza riconosciuta al rito. La presenza di più sedi per l’arkteia appare coerente con l’esigenza da parte della polis di garantire la più ampia partecipazione a quello che era un obbligo prematrimoniale essenziale perché le ragazze potessero accedere al loro ruolo adulto di spose e di madri1. Ma la razionalità di simile criterio si scontra con la vicinanza di Brauron e Halai, separati da pochi chilometri e con l’ancor più forte prossimità di Melite e del Brauronion, separati da poche centinaia di metri, anche se, come si è stati costretti ad ammettere, l’effettiva funzione di quest’ultimo resta incerta. L’obiezione più pesante riguarda però la natura stessa del rito. L’arkteia per la sua natura di sanzione rituale del passaggio dalla parthenia all’età adulta ha la sua cornice ideale, perfettamente coerente con la simbologia animale dell’orsa, in uno spazio periferico e liminare quale, appunto, quello di Brauron, ai margini del territorio della polis e ai confini di tre elementi naturali, la terraferma, il mare2 e le acque dolci3. Sembrerebbe   Le fonti concordano sul carattere prematrimoniale dell’akteia (Harp. s.v. Lys. 645c; Suid. s.v. e s.v. ; AB s.v. obbligo è formulata nel modo più chiaro in Suid. s.v.

1

:

; Schol. Ar. ). La nozione di

«E gli Ateniesi decretarono che nessuna ragazza non sposata vivesse sotto lo stesso tetto con un uomo se prima non aveva fatto l’orsa per la dea». 2   Il santuario di Brauron plausibilmente si trovava anticamente molto più vicino al mare di oggi: vedi supra p. 33. 3   A nord del santuario scorre l’Erasino, vedi Phot. s.v. ed. Theodoridis […] […] «E il santuario si trovava presso il fiume Erasino». Presso

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di potere includere il santuario di Brauron nella categoria dei santuari “funzionali” che Schachter, nel suo contributo sulla localizzazione dei santuari, dove come esempio cita i santuari oracolari e quelli sede di culti misterici, definisce sinteticamente nei seguenti termini, ponendo in rilievo come la facilità di accesso passi in secondo piano rispetto appunto alla funzione:4 There are sanctuaries in which the kind of activity performed dictated the choice of the site. The identity of the deity and the convenience of the worshipper were to a certain extent of secondary importance.

Naturalmente nel caso di Brauron l’identità della divinità, Artemide, le cui prerogative liminari sono state ampiamente evidenziate nella storia degli studi5, non ha affatto un ruolo secondario, ma si intreccia in modo coerente con la liminarità spaziale e funzionale del santuario. Analoghe, ma non identiche, caratteristiche di liminarità possono essere riconosciute nell’altro santuario indicato dalle fonti come sede dell’arkteia, Munichia, come si vedrà meglio tra breve, ma non certo in tutti i santuari artemidei dell’Attica. Discutendo della ritualità del Brauronion (supra pp. 59-60), si è già avuto modo di evidenziare quanto sia problematico definire una forma completa e una forma parziale, o addirittura minima, del rito per il semplice fatto che le fonti dicono assai poco di come esso si svolgeva6. In particolare l’aspetto (per gli studiosi) più “impegnativo” del rito, cioè il soggiorno presso il santuario di durata quadriennale, non è affermato da alcun testo: esso è ricavato da una serie di elementi interpretati utilizzando come parametro l’analogia con i riti di iniziazione tribale che generalmente hanno nel soggiorno ai margini della comunità il loro momento centrale7. Il primo di tali elementi è l’indicazione, contenuta solo in Schol. Ar. Lys. 645c, del compito , «prendersi cura del hieron», dove il hiedelle “orse” come ron potrebbe peraltro anche non essere un santuario, ma che è stata letta senz’altro come “prendersi cura del santuario”. Il secondo elemento è la notizia secondo cui le l’angolo nord-occidentale della terrazza del tempio si trova una fonte, probabilmente integrata nelle attività rituali e cultuali, la quale alimenta un corso d’acqua che sfocia nell’Erasino, vedi supra p. 26. 4   Schachter 1992, p. 4 5   Basti ricordare i numerosi studi condotti da Ellinger (Ellinger 1993; Ellinger 2002; Ellinger 2009) e Vernant (Vernant 1984; Vernant 1987, pp. 19-28; Vernant 1988; Vernant 2001, pp. 119-177). 6  Scarne informazioni sono ricavabili combinando insieme (operazione peraltro non del tutto corretta sotto il profilo metodologico) frammenti di Schol. Ar. Lys. 645a, 645c e di Suid. s.v. . Le “orse” indossavano una veste color zafferano, imitavano l’orsa (qualunque cosa ciò significhi), celebravano un sacrificio per Artemide Brauronia e per la Mounichia (Schol. Ar. Lys. 645a, vedi testo supra p. 59) e «si prendevano cura del hieron» (Schol. Ar. Lys. 645c). 7  Vedi Brelich 2008, p. 115.

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arktoi avevano tra i cinque e i dieci anni8, letta come reclutamento di una classe di età, lettura avvalorata dagli studi iconografici di Sourvinou-Inwood sull’età delle ragazze raffigurate sui krateriskoi9. Infine, detta notizia risulta coerente con la cadenza penteterica dei Brauronia (Arist. Ath. 54.7), che possono pertanto essere letti come festa di ingresso/uscita dal servizio sacro. Si è altresì avuto modo di mostrare (supra p. 44) che in nessuna delle strutture portate alla luce nel corso degli scavi del santuario di Brauron è possibile identificare, in maniera non condizionata dalle aspettative, una struttura destinata al soggiorno delle arktoi. Dunque, se non è certo che l’arkteia “completa” prevedesse un soggiorno di quattro anni a Brauron (e, apparentemente, di uno a Munichia, se si assumono i Mounichia come festa di ingresso/ uscita), allora non è possibile supporre l’esistenza di forme surrogate o essenziali del rito svolte presso gli altri artemisia dell’Attica. Sulla base di queste considerazioni, la posizione più plausibile risulta quella, estremamente prudente, che assegna ai krateriskoi rinvenuti fuori da Brauron e Munichia un significato votivo. Va da sé che, se di dediche private si tratta, non occorre presupporre alcun intervento da parte della polis nella strutturazione in rete dei santuari di Artemide. In più l’approccio “brauronocentrico” mostra i suoi limiti quando si allarghi lo sguardo al più generale contesto dei santuari di Artemide in Attica. In particolare, c’è una coppia di “gemelli” che si presenta del tutto estranea al sistema “brauronocentrico”. Essa è formata dal santuario di Artemide Amarysia situato nel demo di Athmonon (circa nove chilometri a nord di Atene) e da un luogo sacro all’Artemide Amarysia “da Athmonon” situato nel demo urbano di Kydathenaion. La documentazione relativa a detta coppia è scarsissima. Per Kydathenaion si possiede solo un testo epigrafico, un passo di una delle cosiddette stele attiche, IG I3 426, ll. 65-9, per giunta lacunosa proprio nel punto in cui c’è il riferimento all’Artemide Amarysia “di Athmonon”:

Di Polystratos figlio di Diodoros, del demo di Ankyle, una casa a Kydathenaion con due colonne davanti alla porta vicino alla quale si trova il luogo sacro (?) di Artemide Amarysia di Athmonon.

L’integrazione hieron proposta dall’editore Meritt10 risulta epigraficamente plausibile. Poco di più si ha per Athmonon: due horoi arcaicizzanti (IG II2 865 A-B)   Vedi Schol. Ar. Lys. 645a; Suid. s.v.  Vedi Sourvinou-Inwood 1988, pp. 31-105. 10  Vedi Meritt 1939, p. 74. 8 9

.

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plausibilmente di età antonina11, relativi ai confini del temenos ma non in situ12, un decreto onorario (IG II2 1203) per i merarchai dell’anno dell’arconte Antikles (325/4 a.C.) in cui si menziona (l.17) l’agon degli Amarysia e un passo di Pausania (I 31.4-5) che, oltre ad attestare la presenza del culto ad Athmonon, pone il problema della relazione con il culto eretriese di Artemide Amarysia e della relazione con la città di Atene: 4 […] 5

[…] 4 […] Gli abitanti di Athmonon venerano Artemide Amarysia. 5 Facendo le mie indagini, mi sono reso conto che gli esegeti non sanno nulla di sicuro su queste divinità [Artemide Amarysia di Athmonon e Artemide Kolainis di Myrrhinous], ma io congetturo che le cose stiano così: in Eubea c’è una città chiamata Amarinto, i cui abitanti onorano Amarisia; gli Ateniesi da parte loro celebrano una festa della dea Amarisia con solennità non minore degli abitanti dell’Eubea; ritengo che per questo motivo l’Artemide di Atmone abbia tale epiteto […]13.

Pausania attribuisce agli Ateniesi la “importazione” del culto euboico e riconduce a tale “importazione” l’origine dell’epiclesi demotica, lasciando intuire un percorso di appropriazione locale di un culto della polis, appropriazione peraltro tanto forte da dare origine al toponimo moderno Marousi, la cui continuità con il santuario antico è enfatizzata ancora oggi nel logo del demo14. Atene è indicata come sede della celebrazione degli Amarysia sia nel lessico di Esichio sia in quello di Fozio15, in contrasto con il testo del decreto onorario che, riguardando la realtà amministrativa locale, sembra presupporre che gli Amarysia fossero celebrati ad Athmonon, cosa che non esclude, ovviamente, una “regia” ateniese come nel caso dei Brauronia. Per contro, dal citato passo di una delle cosiddette stele attiche risulta che nel V a.C. 11   Per i caratteri arcaicizzanti delle due iscrizioni, di cui solo IG II2 865 B è attualmente ancora visibile murata nella facciata della chiesa (in rovina) di Hagios Nikolaos Chomatianos Logothetes, vedi da ultimo Aleshire 1999, p. 160. Per proposte di datazione dell’horos superstite vedi Lolling 1880, p. 290 (Erode Attico); Pikoulas 1998, p. 213 (125-75 d.C., con la consulenza di M.E. Langdon). 12   Sulla vicenda delle due pietre e sul problema della collocazione del temenos vedi Pikoulas 1998. 13   Traduzione Musti in Beschi, Musti 1982. 14  Il logo del moderno demo di Marousi è un’elaborazione stilizzata della statua di Artemide (moderna), del tipo identificato come tipo Versailles, che era stata collocata sulla fontana della piazza principale (Plateia Kastalia) probabilmente al momento della costituzione del demarcheion (1925) ed è andata perduta durante la seconda guerra mondiale, forse sottratta dagli occupanti tedeschi. Sulla vicenda vedi Pallis 2004, nota 294, p. 75. 15   Vedi Hsch. s.v. «Amarysia: festa ad Atene». Identico il testo di Fozio (s.v. ).

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ad Atene esisteva un luogo sacro identificato come “succursale” del santuario demotico: sembrerebbe dunque che, almeno negli ultimi decenni del secolo, il culto di origine euboica si fosse talmente radicato nel demo (peraltro situato nell’entroterra e non sulla costa orientale) da essere qualificato attraverso la provenienza dal demo stesso. La scarsità dei documenti, assai distanti cronologicamente tra loro, non permette di seguire l’intricato percorso storico-religioso che si è venuto così configurando. Il caso, per certi versi un caso-limite perché entra in gioco l’ulteriore complesso problema delle dinamiche di “importazione” ed “esportazione” di culti da regioni diverse, mostra comunque bene nella sua enigmaticità che il “brauronocentrismo” non esaurisce da solo le variegate possibilità di relazioni instituite tra i santuari artemidei dell’Attica. Tuttavia, se con il superamento dell’approccio “brauronocentrico” si deve abbandonare l’allettante possibilità di individuare nei santuari artemidei dell’Attica un sistema di connessione in rete, per così dire, ante litteram, a carattere cultuale e rituale, lo studio di tale realtà non perde di interesse in relazione al tema più generale dell’organizzazione spaziale dei santuari nel politeismo greco. Parker nel criticare, come si ricorderà (supra p. 91), l’applicazione rigida del modello dell’appropriazione progressiva da parte della polis di culti originariamente controllati da gene, auspica un cambiamento di prospettiva che consideri le attività religiose in Attica come una «ragnatela tessuta dal ragno che sta al centro» e chiama in causa, come esempio che solleva la necessità di tale cambiamento, senza nominarli esplicitamente, proprio i tre santuari “gemelli” di Brauron, Munichia e Halai16: We must at least consider an alternative conception, that the web of religious life in Attica was spun by the spider at the centre […] Why are three separate cults of Artemis located on the coast? Are coast-dwellers so especially fervent in their devotion to the goddess? It is surely rather that Artemis herself loves wild places, especially for the rites in which she prepares young (human) animals for adult life in the city.

Effettivamente in Attica intorno alla polis si articolano tre santuari della medesima divinità, Artemide, accomunati da un’analoga posizione liminare rispetto agli elementi del paesaggio e rispetto alla città, a cui corrisponde un’analoga funzione rituale liminare, quale è stata messa in luce (con maggiore problematicità riguardo ad Halai) nella trattazione analitica dei santuari “gemelli”17. Per quanto riguarda la liminarità rispetto agli elementi del paesaggio, Brauron, Munichia e Halai si trovano tutti, appunto, sulla costa, luogo liminare tra terraferma e mare, anche se il rapporto specifico con il mare è diverso in ciascun caso18: Brauron doveva essere un facile   Parker 1996, p. 25.   Per l’arkteia di Munichia vedi supra pp. 81-92. Per la ritualità di Halai vedi supra p. 111. 18   Cole (Cole 2004, pp. 184-185) sottolinea il fatto che i tre santuari (come anche altri santuari artemidei del mondo greco) sono collocati in punti critici per la navigazione: foce di un fiume (Brauron), promontorio (Munichia), stretto (Halai). 16 17

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approdo naturale alle foci dell’Erasino19, Munichia occupa il punto più alto dell’omonimo promontorio, Halai si estende direttamente sulla spiaggia. Nel caso di Brauron si aggiunge un rapporto anche con le acque dolci, rappresentate dal fiume Erasino e dalla sorgente che lo va ad alimentare partendo direttamente dall’area del tempio. La liminarità rispetto alla polis va intesa in senso sia fisico, cioè collocazione ai limiti del suo territorio, sia simbolico, cioè collocazione ai limiti tra la città e tutte le varie forme di alterità rispetto ad essa: stranieri (siano essi xenoi, stranieri-ospiti o barbaroi, irriducibilmente altri), nemici (esterni, ma anche interni), lo spazio selvatico popolato da animali. Alla collocazione liminare si associano permeabilità e fragilità: l’alterità, nelle sue varie manifestazioni, può fare il suo ingresso, più o meno violentemente, con diversi esiti20. Halai è esplicitamente associato da Euripide al concetto di eschatia. Atena nella più volte citata eziologia dell’Ifigenia in Tauride definisce il luogo in questi termini (1450-1):

C’è un luogo presso gli estremi confini dell’Attica.

Al santuario di Halai possono essere effettivamente associate alcune delle appena presentate caratteristiche del territorio situato ai limiti della polis. Ad Halai giunge e viene integrato lo straniero (xenos) Oreste insieme alla barbarica statua della Tauride, ugualmente integrata con l’istituzione del nuovo rituale che elimina il barbarico sacrificio umano21. Ad Halai la norma civica mostra la sua fragilità con la violenza su una ragazza consumata durante la pannychis gynaikon dei Tauropolia, violenza al centro dell’intreccio degli Epitrepontes di Menandro22. Le caratteristiche della liminarità rispetto alla polis si trovano altresì tutte, e assai marcate, nel santuario di Brauron. Il mito di fondazione dell’arkteia racconta dell’intrusione (e della momentanea integrazione) del mondo selvatico attraverso l’orsa, orsa che forse non era una presenza solo mitica23. L’articolata tradizione riguardante 19   Lo dimostra in modo chiaro il più volte citato episodio del ratto delle donne ateniesi ad opera dei Pelasgi. Vedi Hdt. VI 138; Philoch. FGH IIIB 328 F100 (Scholia in Lucianum Katapl. 25 Rabe); Philoch. FGH IIIB 328 F101 (= Scholia in Homeri Iliadem A 594); Plu. Mor. 247; Zen. III 85. Si è inoltre accennato all’ipotesi di Peppas Delmousou secondo cui la theoria a cui si riferisce Aristofane nella Pace (874-6) doveva salpare alla volta di Delo: vedi Peppas Delmousou 1988b, p. 257 e supra nota 35, p. 55). Sui commerci in età protostorica vedi Kalogeropoulos 2010b. 20  Cfr. Cole 2004, pp. 178-201 che insiste in modo particolare sull’aspetto violento, mettendo in evidenza l’intrinseca pericolosità delle zone marginali. 21   Vedi E. IT 1449-61. 22   Secondo Cole (Cole 2004, p. 201) la vicenda, insieme ad altre vicende analoghe, è un chiaro riflesso della preoccupazione da parte della polis per la sicurezza delle donne radunate, per motivi rituali, sole e ai margini dello spazio civico. 23   Per il mito vedi Schol. Ar. Lys. 645a; 645c. Per una possibile presenza reale dell’orsa e un suo ruolo all’interno dell’arkteia vedi supra p. 45.

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Ifigenia, costituita dal mancato sacrificio24, dal ruolo di kledouchos a cui segue l’offerta presso la tomba25 e dall’arrivo della statua taurica26, rappresenta l’integrazione dello straniero xenos. La statua taurica è l’elemento barbarico, riguardo al quale non è noto però alcun procedimento di integrazione. La fragilità dei confini della polis è ben evidente nell’episodio dei Pelasgi: non si tratta solo, come ad Halai, della violazione delle norme civiche, ma di un attacco mosso alla comunità da un nemico esterno, a partire dall’elemento più esposto della comunità stessa, cioè le donne radunate ai confini, in un luogo di facile approdo, per celebrare la festa di Artemide27. Il santuario di Munichia è il meno distante dei tre da Atene ed è addirittura collegato alla città (almeno in una fase della sua storia), anzi inglobato in essa, con le cosiddette Lunghe Mura: significativamente Giuman parla per Munichia di «culto cittadino» in contrapposizione a Brauron, «santuario demotico»28. Tuttavia l’importanza strategica del promontorio dominato dal santuario della Mounichia è testimoniata da numerosi episodi storici, quali la battaglia di Salamina29, la riscossa di Trasibulo30 e l’occupazione macedone, contro cui Atene era stata messa in guardia da un responso dell’oracolo di Dodona relativo alle «alture di Artemide»31 nonché dalla presenza della guarnigione di efebi. Munichia si configura dunque a tutti gli effetti come uno spazio-limite della polis, con tutta la sua ambivalenza. Ambivalenza di cui è un chiaro esempio la profezia di Epimenide secondo cui gli Ateniesi avrebbero divorato Munichia con i propri denti se avessero saputo i mali che tale località avrebbe loro portato32. Aspetti tipici della liminarità rispetto alla polis si riscontrano anche passando dalla storia al mito. La presenza dell’orsa, protagonista sia della vicenda di Baros/Embaros sia della versione locale dell’aition dell’arkteia fa di Munichia uno spazio che, come Brauron, è aperto all’intrusione del mondo selvatico33. L’integrazione dello stra  Vedi Schol. Ar. Lys. 645a-b.   Vedi E. IT 1462-7. 26   Vedi Paus. I 33.1 e III 16.7. 27   Vedi Hdt. VI 138; Philoch. FGH IIIB 328 F100 (=  Scholia in Lucianum Katapl. 25 Rabe); Philoch. FGH IIIB 328 F101 (= Scholia in Homeri Iliadem A 594); Plu. Mor. 247; Zen. III 85. Scrive Cole (Cole 2004, p. 202): «Lack of respect for the boundaries of another community was expressed in myth by attacks on that community’s women». Tra gli esempi Cole include appunto l’episodio dei Pelasgi. 28  Vedi Giuman 1999, p. 193. 29   Vedi Hdt. VIII 77.1 (oracolo secondo cui la riscossa contro i Persiani sarebbe avvenuta dopo che costoro avevano gettato ponti di navi tra il promontorio di Artemide Chrysaoros e Kynosoura). 30   Vedi X. HG II 4.11 (occupazione di Munichia da parte di Trasibulo e dei suoi); Clem. Al. Strom. I 163.1-3 (arrivo a Munichia di Trasibulo guidato da File da un fuoco in onore del quale a Munichia viene dedicato un altare alla Phosphoros). 31   Vedi Plu. Phoc. 28.2. 32   Vedi Plu. Sol. 12.10. La profezia è ricordata anche in D. L. I 114; Tz. H. V 629-36. 33   Vedi Apostol. VII 10; Eust. ad Il. B 732; Paus. Gr. fr. 35 Erbse (vedi testo supra 75-6); Phot. s.v. ; Suid. s.v. . 24 25

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niero xenos è rappresentata altresì dalla notizia dell’ospitalità concessa in tempi mitici ai Minii di Orcomeno34. Le considerazioni relative alla definizione di Munichia come spazio liminare rispetto alla polis evidenziano un altro aspetto che appare assai interessante nell’organizzazione spaziale dei tre santuari “gemelli” di Artemide, cioè la loro distribuzione geografica (Tav. X). Brauron e Munichia sono situati, rispettivamente, sulla costa orientale e sulla costa occidentale dell’Attica, dunque a prima vista apparirebbero come specularmente funzionali alla relazione della polis con due opposti limiti periferici. Tuttavia, lo si è appena visto, il concetto di perifericità associato a Munichia è profondamente diverso da quello associato a Brauron. Quest’ultimo è il santuario della periferia remota, ma è posto, allo stesso tempo, nel più stretto rapporto con la polis, fino ad avere un proprio spazio sacro nel centro cultuale di quest’ultima, l’acropoli. Munichia, lo si è appena ricordato, è vicino ad Atene e, per un periodo della sua storia, ne diviene parte integrante, integrazione tangibile nelle Lunghe Mura. Dunque se, come si è suggerito (supra p. 94), il santuario urbano di Melite è, in qualche modo, in relazione con il santuario di Munichia, lo è secondo dinamiche legate a un preciso evento (la vittoria di Salamina) e forse a uno specifico personaggio (Temistocle) che nulla hanno a che fare con l’istituzione da parte della polis della “replica” di un santuario periferico. Situati sulle due opposte coste dell’Attica, Brauron e Munichia rappresentano dunque anche due ben diverse declinazioni del concetto di perifericità. Brauron e Halai già dal primo impatto mettono alla prova l’applicazione di un criterio rigidamente razionale alla distribuzione dei santuari intorno alla polis. Essi sono sulla stessa costa, circa equidistanti da Atene e separati tra loro da pochi chilometri: dunque pongono la polis in rapporto con un medesimo limite periferico e rappresentano un identico concetto di perifericità. L’inquietante sensazione di vederci, per così dire, doppio è sfumata dall’eziologia euripidea che, come si è mostrato, configura una polarità di genere nei riti e nei culti dei due santuari. Si è però altresì evidenziato come il quadro sia in realtà assai meno lineare, con numerose interferenze e forse anche rivalità. Al momento dunque il disagio resta, l’interrogativo resta senza risposta. Ma a volte le domande sono più significative delle risposte. Ciò che si intende dire è che lo studio dei santuari “gemelli” di Artemide in Attica mostra come in tale regione, grazie anche alla particolare ricchezza della documentazione disponibile, la dialettica tra centro e periferia come elemento strutturante dell’organizzazione spaziale dei santuari da parte della polis viene a rifrangersi come in un prisma, dotandosi di diverse sfaccettature e mettendo in evidenza la complessità dei meccanismi con cui la “ingegneria politeistica” opera anche nell’ambito della costruzione della topografia sacra.

  Vedi Hellan. FGH IA F42 (= Schol. D. XVIII 107b).

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Tavole

Tav. I. Pianta del santuario di Brauron (Fonte: Themelis 2002, fig. 2, p. 225).

Tav. II. Area del Brauronion dopo lo scavo (Fonte: Versakis 1910, Tav. 1).

154 Tavole

Santuari “gemelli” di una divinità

Tav. III. Pianta del Brauronion secondo Stevens (Fonte: Stevens 1936, fig. 22, p. 469).

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156

Tavole

Tav. IV. Pianta del Brauronion secondo Despinis (Fonte: Despinis 1997, fig. 1, p. 210).

Santuari “gemelli” di una divinità

Tav. V. Pianta degli scavi di Munichia (Fonte: Giuman 1999, fig. 13, p. 184).

157

158

Tavole

Tav. VI. Sito del santuario di Munichia (Foto D. Guarisco).

Santuari “gemelli” di una divinità

Tav. VII. Estensione del santuario di Artemide Tauropolos ad Halai Araphenides (Fonte: Kalogeropoulos 2010, tav. 42).

159

Tav. VIII. Cosiddetto rilievo degli dei. Brauron, Museo archeologico (Foto D. Guarisco).

160 Tavole

Santuari “gemelli” di una divinità

Tav. IX. Statua di xoanophoros. Brauron, Museo Archeologico (Foto D. Guarisco).

161

Tavole

162

Munichia

Halai Brauron

Tav. X. Carta dell’Attica con i tre santuari “gemelli” (Adattata da Giuman 1999, fig. 1, p. 14).

Finito di stampare nel mese di marzo 2015 presso Global Print - Gorgonzola (MI)