Rito di passaggio 8804457422, 9788804457428


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Italian Pages 92 Year 1998

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Rito di passaggio
 8804457422, 9788804457428

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Mentre attraversa le strade

di Harlem, ansioso di mostrare ai genitori la pagella con il massimo dei voti, Johnny Gibbs non immagina che gli basterà aprire la porta di casa per essere catapultato in una nuova, durissima realtà: tutto quello che fino ad allora ha creduto suo non gli appartiene più. Perché Johnny è un orfano, affidato ai Gibbs dall’assistenza sociale che ora ha deciso di portarlo altrove, come un pacco o un mucchio di biancheria sporca... Solo che lui non ci sta, e fugge per affrontare la crudele iniziazione che segna il suo jlftl passaggio dal mondo sicuro e protetto in cui ha vissuto, a quello spietato W delle bande giovanili. Un memorabile romanzo breve che ha segnato un’epoca, proposto ai lettori di oggi ■Vj J in una nuova ■■r/fli esemplare ilBf JQ traduzione. sBr JflH

ichard Wright

di passaggi

:raduzione di Angela Ragusa

MONDADORI

© 1994 Ellen Wright Afterword © 1994 Arnold Rampersad © 1998 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, per l'edizione italiana Pubblicato per accordo con John Hawkins & Associates, Inc., New York Titolo dell'opera originale Rite of Passage Prima edizione novembre 1998 Stampato presso la Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Stabilimento Nuova Stampa Mondadori, Cles (TN) Printed in Italy ISBN 88-04-4^742-2

Capitole/

Semisdraiato nel banco, Johnny cincischiava il malandato libro di lettura, la mente che volava lontano. La voce argentina dell'insegnante bian­ ca gli ronzò carezzevole nelle orecchie, cullando­ lo in un sogno a occhi aperti intorno al piatto di stufato fumante che lo aspettava sopra il tavolo di cucina. Dietro il ritmo monotono di quella vo­ ce risuonavano il ticchettio deciso dell'orologio a muro, un coro di respiri sommessi e l'occasionale strusciare d'una scarpa inquieta. Il sole si river­ sava dalle finestre a ovest, inondando l'aula. Johnny desiderava le strade, le sue narici voleva­ no aria fresca, le sue gambe non vedevano l'ora di muoversi e i polmoni di urlare... Il piatto di stufato gli fluttuò di nuovo davanti agli occhi, strappandogli un sospiro. DRIIIIIIIIIIIIINNNNNNNN! ... Trasalì di gioia quando la campanella segnò la fine della lezione. Un brusio bisbigliante riempi l'aula e la professoressa batté sulla cattedra per ristabilire l'ordine. — Mettete via i libri — disse. — E, mentre pas­ sate davanti alla cattedra, fermatevi a ritirare la pagella. — Prese un fascio di fogli. Mormorii di sgomento e di aspettativa. Johnny 3

era felice; aspettava con ansia la pagella, perché sapeva di essere andato bene. Sua madre sarebbe stata felice di quei bei voti. — Ehi! Johnny si voltò e vide il suo amico Billy fargli cenno. — Aspettami fuori — bisbigliò Billy. — Che c'è? — Pensavamo di andare al cinema. — Forte. Però! Si senti formicolare dappertutto. Al cine­ ma... Magari Billy aveva raggranellato qualche soldo... L'insegnante batté le nocche sulla scrivania e ordinò: — In piedi. Gli studenti si alzarono e le sfilarono goffa­ mente davanti mentre lei, impettita dietro la cat­ tedra, consegnava una pagella dietro l'altra, can­ tilenando i nomi: — Lucy Gerdain... Robert Holmes... James Dukes... Johnny avanzò lentamente, ansioso di ritirare la pagella e smanioso di uscire all'aperto. — Johnny Gibbs — disse l'insegnante. — Grazie, signora. La donna sorrise, socchiudendo gli occhi az­ zurri dietro le lenti spesse. Johnny ne era intimo­ rito, ma la sua approvazione lo fece avvampare di gioia. Lanciò un'occhiata al foglio... si!, il mas­ simo in tutte le materie. Zucchero e miele... La vita era rosa e lui era felice. Infilando la pagella nella tasca del giubbotto, segui la fila di studenti in corridoio, oltre il portone e giù per i gradini. Intorno a lui, ragazzi e ragazze si spingevano, 4

gridavano e fischiavano. Santi salterini, era libe­ ro come l'aria fino a lunedi mattina. Intravide il lampo d'un coltello fra le mani di un compagno e si concesse un sorriso di superiorità. Lui non aveva mai posseduto altro che un minuscolo temperino; nessuno avrebbe dovuto portare un coltello cosi grosso, a scuola. Ma dov'era Billy? Si guardò intorno inutilmente, poi infilò due dita in bocca, lanciò due fischi brevi seguiti da uno lungo e aspettò. Come un'eco, da sinistra gli arrivò la risposta. Si affrettò in quella direzione. Si, ecco Billy in attesa sull'angolo. — Ehi, Billy. Che mi dici? — Mio fratello Jack, quello che è nell'esercito, è tornato in licenza — annunciò Billy. — Davvero? — Si. E ha portato la pistola. — Scherzi! — Macché. Allora, ti va un cine, stasera? — Sicuro. Ma con che soldi? — Ci porta Jack — spiegò Billy. — A vedere Superman. Johnny tirò un calcio all'aria, gli occhi scintil­ lanti. Poi s'incupi, mortificato. — Ho solo trenta centesimi — gemette. — Paga mio fratello — ripetè Billy. — Me l'ha chiesto lui, di dirtelo. — Forte — approvò Johnny. — A che ora? — Vieni da noi alle otto. — D'accordo. — A dopo. — A dopo. Si separarono, andando in direzioni opposte, la testa piena di Superman. Johnny ribolliva di 5

euforia. Billy era proprio forte, un vero amico. Sfrecciò verso casa attraverso le vie di Harlem, immaginando Superman che schizzava fuori dalle finestre e più su dei grattacieli, spostava montagne, sollevava treni, viaggiava fino alla luna e ritorno in dieci secondi netti. Un vento freddo gli pizzicò le guance nere, costringendo­ lo a sollevare il bavero del giubbotto. Il rim­ bombo della metropolitana faceva vibrare il marciapiede sotto i suoi piedi. Si fece strada tra la folla, ascoltando un cane abbaiare, il fischiet­ to acuto di un poliziotto. Passando davanti a una bettola, senti un juke-box strepitare: "I want some seafood, mama...". — Ehi, Johnny! — gli gridò una ragazza nera. — Ehi, Agnes — la salutò di rimando. — Sei in giro, stasera? — chiese Agnes. — Nooo — cantilenò lui, allegro. — Vado al cinema. — Oh... piacerebbe anche a me. Di', perché non mi ci porti? — Non stasera, Agnes — replicò Johnny, cor­ rendo via. — Almeno potevi fermarti a dire «Ciao, cane!» — lo rimbeccò rabbiosa Agnes, tirando fuori la punta della lingua rossa e sollevando il vestito per mostrargli il sedere. Gli occhi pieni di stufato e Superman, Johnny saltellò su per i gradini d'ingresso del palazzo di arenaria dove viveva e spinse il pesante portone a vetri, cosi scurito da strati di sporcizia untuosa da immergere l'atrio in un'oscurità quasi nottur­ na. Afferrandosi alla balaustra di legno, sali i gradini quattro a quattro, lo stomaco che recla­ mava a gran voce lo stufato. Di fronte alla porta 6

di casa si frugò dentro la camicia, tirò fuori la chiave che portava appesa al collo con uno spago robusto, la infilò nella serratura, la girò, spinse il battente ed entrò nell'ingresso illuminato. Là si fermò, le labbra socchiuse. Fra le pareti dipinte di giallo vivo c'era un caos mai visto. Pietrificato, fissò perplesso le valigie, i bauli e gli scatoloni che gli bloccavano la strada. Che diavolo...? Era una vita che abitava in quel palazzo mal­ concio e puzzolente, e non aveva mai visto l'in­ gresso cosi ingombro. Dovevano traslocare, per caso? O avevano ricevuto visite da fuori città? Ma no. Quella grossa valigia marrone era la sua, la stessa che aveva usato l'estate scorsa quand'era andato al campeggio. Che ci faceva, là? Guardò oltre il mucchio bizzarro e disordinato e senti sua madre agitarsi in cucina: un acciottolio di piatti, l'uggiolio del rubinetto che si apriva e si chiudeva. Deciso a indagare, scavalcò il baule e la raggiunse. — Ehi, ma', che succede? Sua madre stava strofinando una padella e il suo grande seno morbido sobbalzava mentre la­ vorava. Si voltò a fissarlo con un sorriso fugace che lo tranquillizzò. Si, la tavola era apparecchia­ ta per lui; c'era un piatto fumante di... No. Nien­ te stufato, ma prosciutto arrosto e fagiolini, che andavano altrettanto bene. — Ho un buco nello stomaco — esclamò. — Ti sei lavato? — chiese sua madre, la testa china sull'acquaio. — Faccio in un secondo. — Si sforzò di con­ vincersi che fosse tutto normale, ma la catasta di bagagli in corridoio lo preoccupava. — Ma', che ci fa in giro quell'ammasso di roba? 7

— Non starci a pensare. Va' a lavarti — replicò sua madre. Nella sua voce avverti una segreta nota di an­ sia che lo paralizzò. Perché gli aveva lanciato quell'occhiata rapida e subito aveva distolto lo sguardo? — È arrivato qualcuno? — chiese. — E chi doveva arrivare? — ribattè la madre in tono stizzito. — Su, ma', dimmelo. — Vuoi andare a lavarti? — sbottò lei, lancian­ dogli un'occhiataccia. La durezza del suo viso nero lo spaventò. Qualcosa non andava. Esitò, combattuto tra la cena fumante e l'espressione contratta della ma­ dre. La tensione gli strappò una risata acuta. — È arrivato qualcuno e non me lo vuoi dire — affermò. Usci dalla cucina e, andando verso il bagno, si voltò per gridare: — Stasera vado al ci­ ne, ma'. — Dov'è che vai? — lo inseguì la voce sbalor­ dita di lei. Si fermò, allarmato dal suo tono insolito. "Accidenti" pensò "dev'essere arrabbiata per qualcosa che ho fatto...". L'istante dopo era in bagno e s'insaponava le mani; sentendo avvicinarsi i passi della madre, chiuse gli occhi e si massaggiò il viso. — Dov'è che vai? — gli domandò. — Billy e suo fratello mi portano al cine — le comunicò, sciacquandosi il viso con l'acqua tie­ pida e brancolando verso l'asciugamano. — Non puoi... non stasera. — Non preoccuparti, ma' — la rassicurò, asciugandosi le guance. — Pagano loro... Ehi, 8

guarda... — Tirò fuori di tasca la pagella. — Ho preso il massimo in tutte... — Stasera non puoi andare al cine. Aveva parlato in tono freddo, deciso. — Perché? Rimase a bocca aperta quando, invece di ri­ spondergli, sua madre girò sui tacchi e si allon­ tanò. Appallottolò nervosamente l'asciugamano; avrebbe voluto correrle dietro, abbracciarla, farla sciogliere d'amore... Cos'era che non andava? Di chi erano i bagagli in corridoio? Perché non vole­ va farlo andare al cine? Forse qualcuno stava male? Sorellona, forse? Oh... forse Sorellona si sposava, o roba cosi? Rimise a posto l'asciugamano e tornò in cucina a passo di carica. — Perché non posso andare al cine? — chie­ se, sedendosi a tavola e impugnando coltello e forchetta. — Mangia la cena, Johnny — disse sua madre per tutta risposta. Il suo tono gli incollò al palato il boccone di prosciutto arrosto e fagiolini; la fissò sbalordito, e stava per parlare quando senti aprirsi la porta d'ingresso. Voltò la testa, ascoltando i passi in corridoio. Si, era Sorellona di ritorno dal lavoro. Ma, quando la ragazza comparve sulla soglia della cucina, il suo viso solitamente placido era gelido e teso. — Ciao, ma'. — Ciao — rispose sua madre. — Ciao, Sorellona — disse Johnny. Sorellona gli lanciò uno sguardo colpevole e si voltò, allontanandosi rapidamente lungo il corri­ doio. Il grumo di cibo nella bocca di Johnny di­ 9

ventò troppo grosso per inghiottirlo; lo sputò sul piatto, allontanò la sedia dal tavolo, si alzò. — Cos'avete, tutti quanti? — gridò. La madre cominciò ad asciugarsi frettolosa­ mente le mani, evitando il suo sguardo. Doveva­ no avercela con lui perché aveva fatto qualcosa di terribile. Sorellona rientrò in cucina e le due donne si scambiarono un'occhiata. — Sorellona... — iniziò sua madre. — Non gliel'hai detto, ma'? — chiese sottovo­ ce Sorellona. Lo sguardo della madre passò da Johnny a So­ rellona e poi, di colpo, le due donne si slanciaro­ no l'una nelle braccia dell'altra, singhiozzando disperatamente. Con dita intorpidite, Johnny mi­ se giù il coltello, la mano che tremava d'ansia. C'era qualcosa di terribilmente sbagliato, e loro glielo stavano nascondendo. Dov'era Buddy? Suo fratello era già tornato dal lavoro? Si, gliel'avrebbe spiegato Buddy, cos'era che non andava. — Dov'è Buddy? — domandò. Sorellona si asciugò gli occhi e si voltò a guar­ darlo. — È andato da nonna, dopo il lavoro — rispo­ se. — Cena da lei. — Perché? — chiese Johnny, sentendosi schiac­ ciare dal terrore. — E dov'è pa'? — Al lavoro, naturalmente — disse Sorellona. — Qualcuno mi dica cos'è che non va! — urlò all'improvviso Johnny. — Su, caro, non c'è bisogno che ti arrabbi — balbettò sua madre con labbra tremanti. Sorellona lo fissò, gli occhi pieni di lacrime, poi girò sui tacchi e corse di nuovo fuori dalla cucina. Qualunque cosa non andasse, ormai 10

Johnny ne era sicuro, riguardava lui personal­ mente. Rimase immobile, raggelato, guardando impotente la madre che singhiozzava. — Sorellona — chiamò sua madre, disperata. — Ma', che succede? Le toccò una spalla timidamente, ma lei si ri­ trasse di scatto, come se avesse tentato di pic­ chiarla. Una sensazione rovente lo percorse, mentre si rendeva conto in un lampo che tutte le cose acca­ tastate in corridoio appartenevano a lui. Lo sguardo gli corse alla parete della cucina dove di solito erano appesi i suoi pattini. — Dove sono i pattini? — bisbigliò, ma già sa­ peva che erano dentro una di quelle scatole in corridoio. Rientrando in cucina, Sorellona gli passò ac­ canto senza guardarlo e Johnny capi che era sulLorlo delle lacrime. — Stammi vicino, Sorellona — singhiozzò sua madre, abbracciandola. Si asciugò gli occhi len­ tamente, il respiro che le raschiava la gola. Fissò Johnny e poi il suo sguardo vagò fuori dalla fi­ nestra, verso lo scialbo cielo invernale. — Johnny — cominciò in tono remoto — figliolo, avrei voluto dirtelo solo dopo mangiato... — Lottò contro un altro accesso di pianto. — Johnny, stasera te ne vai. Gli mancò il fiato. La stanza gli turbinò attor­ no. Fece un passo verso sua madre, poi indie­ treggiò bruscamente. — Me ne vado? — ripetè. — Perché? E dove? — Tesoro, tu... devi andare in un'altra casa. — Ma... si può sapere di che parli? Io vivo qui. Non vado da nessuna parte. — La sua voce 11

era un sussurro roco. — A meno che non ci ve­ niate anche voi... — No. Johnny, stasera devi andartene in un'al­ tra casa. Una buona casa. A vivere con un'altra mamma. — Ma come... mia madre sei tu! — urlò lui, di­ sperato. Di colpo non riuscì più a sopportare la situa­ zione, la presenza così solida di sua madre e di sua sorella sembrava irreale, e corse da loro e le toccò, usando le mani per mantenere viva la cer­ tezza che era tutto vero, che non era un sogno. Ma tutte e due evitarono i suoi occhi: lo sguardo di Sorellona vagava fuori dalla finestra e sua ma­ dre fissava il pavimento, ogni respiro un gemito. Stordito, le fulminò con gli occhi e d'istinto, per autodifesa, si ritrasse. L'avevano ripudiato; erano diventate nemiche. Arretrò fino al tavolo, annaspando in cerca d'un sostegno. Quando fi­ nalmente Sorellona si voltò a guardarlo, il suo vi­ so era una maschera d'amore impotente che lot­ tava con tale violenza contro se stesso da trasfor­ marsi in collera selvaggia. — Johnny, ma' non è la tua vera mamma — rantolò faticosamente, piangendo, le labbra con­ torte. — Io non sono tua sorella. Buddy non è tuo fratello. E pa' non è il tuo padre naturale... Le parole gli erano entrate nelle orecchie, ma non avevano senso. Le comprendeva, ma gli era impossibile collegarle con la realtà della sua vita. Si sentì montare dentro una furia gelida. — Johnny, hai sentito? — chiese Sorellona. Scosse la testa, e poi anche lui cominciò a pian­ gere in silenzio, più confuso che sconvolto. — Ecco, ora lo sai — disse Sorellona. 12

— Ma... io non voglio andare da nessuna par­ te — balbettò. — Digli tutto, Sorellona... — supplicò sua madre. — Devi andartene stasera — lo informò Sorel­ lona in tono piatto. Prima di rendersene conto, Johnny si slanciò contro di loro e cominciò a colpirle con una gragnuola di pugni. — Johnny! — urlò sua madre. — Fallo smettere, ma'! — gridò Sorellona. — No, no, no! — gemeva lui, picchiandole. Sua madre lo afferrò per le spalle e lo scrollò. — Smettila, Johnny. Figliolo, cerca di capire... Fuori di sé, si divincolò e si guardò intorno; poi, di scatto, afferrò il piatto di prosciutto arro­ sto e fagiolini e lo scaraventò a terra, poi calpestò il cibo molliccio con furia brutale. — Johnny — gemette Sorellona. — Piccolo mio! — Non rivolgermi la parola! — urlò Johnny. — Johnny, se fai cosi non ti porteranno nella tua nuova casa — lo avverti sua madre. — Ti metteranno in prigione... Quelle parole lo lasciarono di sasso. — In prigione? — sussurrò. — Ma non ho fatto niente. — Johnny, calmati e ascolta — intervenne So­ rellona. — E in ballo la tua vita, piccolo. La tua nuova madre verrà qui stasera. — Sospirò. — Johnny, non è colpa nostra... — Ascolta, Johnny — ansimò sua madre, quasi sospirando. — Non avrei mai voluto do­ vertelo dire. Sarebbe stato meglio che non ti avessimo mai preso con noi. Le Autorità mi 13

avevano ordinato di non dirtelo, non so perché. E io ho obbedito. Poi, l'anno scorso, se ne usci­ rono che potevo dirtelo, però non ce l'ho fatta. Ti volevo troppo bene per dirtelo, Johnny. Pen­ savo che ti avrebbero permesso di restare con noi finché pa' e io fossimo morti, e cosi non l'a­ vresti mai saputo. Sorellona e Buddy lo sapeva­ no, ma non te l'avrebbero mai detto perché ti vogliono bene quanto me. Ma ora le Autorità hanno deciso che devi lasciarci. Non hanno detto perché. Non è colpa tua, nessuno ce l'ha con te. È solo che, quando un bambino è rima­ sto affidato a una famiglia per un certo numero di anni, lo spostano da un'altra parte. Ho im­ plorato, ho supplicato, ma hanno detto che è la regola. Non ho potuto farci niente. Hanno det­ to che la casa era a posto, che tu eri a posto, che sei un ragazzo in gamba, ma ormai hai quindici anni e devi andartene da una nuova madre e un nuovo padre. Johnny aveva la gola in fiamme. Era ma' sua madre!... — Johnny — riprese lei — i tuoi nuovi genitori sono brave persone. Ti vorranno bene, proprio come noi... vedrai. — La sua voce si abbassò. — Credimi, figliolo. Non prenderla cosi. La fissò con occhi simili a gelidi specchi di pie­ tra nera. Aveva sentito e non aveva sentito; le pa­ role erano state troppo roventi per assimilarne in pieno il significato. Appena mezz'ora fa il suo mondo era stato cosi solido, reale; adesso viveva in un sogno malato, bruciante. La madre che amava cosi profondamente lo ripudiava, lo scac­ ciava, gli diceva che tutta la sua vita era stata una menzogna. Era troppo; ebbe l'impressione di 14

galleggiare a mezz'aria... sarebbe caduto da un momento all'altro. La cucina era silenziosa, a parte il borbottio sommesso di una pentola sul fuoco. D'impulso corse dalla madre e dalla sorel­ la e le abbracciò singhiozzando. Anche loro lo circondarono con le braccia, piangendo. Poi, sen­ tendole tremare, si rese conto che non sarebbero più vissuti insieme e si divincolò, indietreggian­ do di nuovo fino al tavolo. Che cosa gli stavano facendo? — Non respingerci, Johnny — gemette sua madre. Il ragazzo scosse la testa. — Vieni da me, tesoro — lo pregò sua madre. — No! — urlò lui. Sorellona si appoggiò alla parete, in lacrime. — Non sei mia madre — ringhiò Johnny. — E tu non sei mia sorella. — Figliolo, non dire cosi — supplicò sua ma­ dre. — Sai quanto ti voglio bene. — Non è colpa nostra — piagnucolò Sorellona. — Dove andrò, ora? — Parlò in tono bellicoso, gelido. — In un'altra bella casa, figliolo — rispose sua madre, tormentandosi le dita. — Avrai un'altra madre — aggiunse Sorellona. — Non l'ho chiesto a te! — urlò Johnny. — Zitta, zitta — le raccomandò sua madre. — Johnny, tesoro, non è colpa tua. Vai cosi bene a scuola... — Allora perché devo andarmene? — Perché l'hanno deciso le Autorità. — E chi sarebbero, le "Autorità"? — Le persone che ti hanno mandato a vivere con noi quand'eri piccolo — gli spiegò la madre. 15

— Nessuno mi ha mandato a vivere qui. — Fu un gemito selvaggio. — Se mi costringete ad an­ darmene, scapperò di casa! — No, Johnny — lo implorò Sorellona. — Non farti sentire da loro a dire cosi; ti metterebbero in riformatorio e... — Nessuno mi metterà da nessuna parte — urlò, tremando da capo a piedi, spaventato dalle proprie emozioni, le più violente che avesse mai provato. Batté le palpebre, sforzandosi di afferra­ re ogni dettaglio. — Chi hai detto che vuole mandarmi via? — Le Autorità, figliolo. Quelli che si occupano degli orfani — rispose sua madre. — Johnny, tu non hai genitori. E le stesse persone che ti aveva­ no affidato a noi, hanno deciso che ora devi an­ dartene... Johnny tentò di muoversi e barcollò; fissò sua madre e sbottò in una risata aspra. — Non è vero — protestò debolmente. — Stai scherzando... Ce l'ho, un padre. Fa' è mio padre. Forse tu non sei mia madre, ma pa' è mio padre. — Io non sono tua madre e pa' non è tuo pa­ dre — affermò lei, protendendosi angosciata ver­ so di lui. — Figliolo, vorrei aiutarti... — E cosi... — intervenne Sorellona. — Non ti hanno lasciato il tempo di abituarti all'idea. Johnny, qualunque cosa ti dicano, tu sei mio fra­ tello e io sono tua sorella. Ascolta, Johnny, quan­ do andrai nella nuova casa, potrai comunque tornare a trovarci. — Rivolse alla madre un sorri­ so lacrimoso. — Vero, ma'? — Quando vuole. Questa è casa tua, figliolo. Dovunque tu vada, questa è casa tua — assicurò sua madre. 16

— Fa' finta di fare un viaggio, Johnny — sug­ gerì Sorellona. — Sarà meno difficile per te... — Tornare qui? Ci sono già, qui. Perché devo andarmene? Questa è casa mia... — La sua voce si affievolì. Silenzio. Vide gli occhi di sua madre cercare quelli di Sorellona, poi Sorellona parlò: — Verranno a prenderti alle sei, Johnny, teso­ ro. Perché non mangi qualcosa? Lo assali un senso di colpa bruciante. Si, aveva fatto qualcosa di tremendo e ora si sbarazzavano di lui. Era qualcosa di cosi orribile che non osava­ no parlarne. Per questo avevano mandato Buddy dalla nonna e avevano fatto in modo che pa' non fosse presente. Mentre guardava le due donne, le senti di colpo terribilmente lontane; lo stavano re­ spingendo, e non poteva piu guardarle negli oc­ chi e scorgervi il proprio riflesso. Al tempo stesso, obbedendo a un istinto di autoprotezione, qual­ cosa nel suo cuore disse: "Anch'io vi respingo. Vi respingerò prima che mi respingiate...". — Perdonaci, Johnny, figliolo — lo pregò sua madre. — Non è stata colpa nostra. Non voleva­ mo mandarti via. — Non mi manderete da nessuna parte — sbottò in tono di sfida, gli occhi brucianti. Sua madre avanzò lentamente verso di lui. — Johnny — sussurrò, tendendogli le mani. — Quando sei arrivato qui, eri un pupo di sei mesi. Ti ho voluto bene come se fossi mio... — Dov'è mia madre? — chiese lui in un bisbi­ glio, sfuggendo i suoi occhi, schivando la sua mano protesa. — Non posso dirtelo. — Perché? 17

— Perché me l'hanno ordinato le Autorità. — È morta? — insistè, inserendo a forza nella voce una disperata nota di speranza. Nessuna risposta. — È morta, allora. — No — disse Sorellona. — Allora dov'è? — Non possiamo dirtelo, figliolo. — Potete! — Te lo diranno loro, quando sarai grande ab­ bastanza — disse Sorellona. — E mio padre? — Non lo sappiamo — rispose sua madre. — È morto? — Non lo sappiamo. — Le Autorità lo sanno? — No. Non sanno chi fosse tuo padre — inter­ venne Sorellona. — Chi lo sa, allora? Di nuovo nessuna risposta. — Non volete dirmi niente — singhiozzò, le lacrime che gli ustionavano li occhi. — Nessuno sa chi fosse — gemette sua madre. — Figliolo, forse un giorno vedrai la tua vera madre e forse lei ti dirà chi... — Forse? Perché non dovrebbe? — l'aggredì, battendo le palpebre. Silenzio. — Mia madre... — La sua voce era incerta, perplessa. — Figliolo, ora comportati da uomo — lo pregò sua madre. — Devi essere coraggioso quando loro verranno a prenderti... Odio rovente gli zampillò dentro. Chi erano "loro"? 18

— ... devi cercare di andarci d'accordo. La tua nuova madre ti vorrà bene. Ci mancherai e... — A me non mancherete — sibilò, cupo. Fissò il cibo calpestato sul pavimento, poi andò alla sedia e strinse lo schienale con entram­ be le mani. — Dove mi porteranno? — Sempre qui a Harlem, figliolo. È una bra­ va donna, la signora Green. Sta a due soli isola­ ti da qui. D'improvviso lo seppe; fu come un'illumina­ zione: non sarebbe andato nella nuova casa. Non fu una scelta meditata; seppe d'istinto che non avrebbe accettato una nuova madre e un nuovo padre... — ... verrò a trovarti ogni giorno — gli stava dicendo ma'. — No — le ringhiò contro. — Non fare cosi, figliolo — cercò di blandirlo sua madre. Il campanello suonò: DRRRRRIIIINNNNNNN! Le due donne si scambiarono un'occhiata. — Eccoli — bisbigliò sua madre, le labbra con­ torte in un sorriso forzato. — Falli entrare, Sorel­ lona. Vieni, Johnny, ti aiuto a prepararti. — Mi preparo da solo. La allontanò, la mente concentrata sulla deci­ sione appena presa. Corse in corridoio, entrò in camera e si sbattè la porta alle spalle.

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Capitole/ 2

1 passi di Sorellona percorsero il corridoio, poi Johnny la senti aprire la porta d'ingresso. — Signor Green... signora... come state? — disse Sorellona. — Accomodatevi. — Signora Gibbs. Signorina Gibbs. Il ragazzo è qui? — Si. — Be', visto che diventerò suo padre, ho pro­ prio voglia di vederlo. — Arriva fra un momento. Volete accomodar­ vi in soggiorno? Johnny aveva ascoltato trattenendo il fiato, l'o­ recchio incollato alla porta. Di una cosa era certo: lui non aveva affatto voglia di vederli. Avrebbe trovato un modo per sfuggire a tutti loro... Li senti muoversi in corridoio; si calcò il berretto in testa, preparandosi alla fuga, e tornò a origliare. — Dov'è? — La signora Green. — In camera, a preparare le sue cose. — Sua madre. — Non sono quelle nell'ingresso, le sue cose? — Il signor Green. — Si. — Sorellona. — È stato un brutto colpo, per lui? — Il signor Green. 21

— Be', sa com'è... — Sua madre. — Siamo tut­ ti dispiaciuti, che debba andarsene. È sempre vissuto con noi. Signora Green, perché hanno de­ ciso di togliercelo, dopo tutti questi anni? — Hanno detto soltanto che era la loro politi­ ca, signora Gibbs. Lo so che è terribile. Abbia­ mo avuto un bambino per sei anni, noi, e poi ce l'hanno tolto da un giorno all'altro. Signore Id­ dio, mi si spezzò il cuore. Mio marito aveva giurato che non ne avremmo più ripreso uno, ma poi finisci per sentirti solo e pensi che hai una bella casa e al mondo ci sono tanti ragazzi senza un tetto, e prima di rendertene conto sei li a chiedere che te ne mandino uno. — La si­ gnora Green. — Secondo me è vergognoso. — Sorellona. — È insopportabile dover rinunciare a Johnny. — Sua madre. — A proposito, sapete qualcosa dei suoi veri genitori? — Il signor Green. — Sssshhh! Tremante, Johnny premette ancora di più l'o­ recchio al battente. L'occhio destro gli si contras­ se e, quando sollevò una mano per strofinarlo, lo scopri umido di lacrime. Si senti avvolgere da una vergogna bruciante: bisbigliavano, parlando dei suoi veri genitori. Socchiuse la porta per sen­ tire meglio. — ... è un ragazzo d'oro. Sempre il primo del­ la classe. Ora lo chiamo, vi farà vedere la pagella. — Sua madre. — Johnny! Vieni a conoscere i signori! — So­ rellona. S'irrigidi, i pugni serrati, incapace di risponde­ re o muoversi. 22

— Va' da lui, Sorellona. Digli che la sua nuova famiglia è qui. — Sua madre. No, no... Percorse in punta di piedi il corri­ doio, scavalcò il baule, apri la porta e, sbattendo­ sela dietro, schizzò sul pianerottolo. Veloce come il lampo, scese le scale buie e si fermò ansante sul portone. — Johnny! — Sorellona. Strinse le labbra. Si, doveva scappare. Non erano loro a mandarlo via; era lui che se ne an­ dava. Si allontanò a passo svelto, sentendo echeggiare alle sue spalle le voci di sua madre e di Sorellona: — Johnny! Torna qui! Raggiunse l'ingresso della metropolitana e vi si tuffò, felice di nascondersi, di allontanarsi dalla strada, di allontanarsi da loro. In tasca aveva appena trenta centesimi. Be', bastavano a portarlo via. Ma dove? Sapeva soltanto che era in fuga da due case. Poteva andare da Billy? Forse. Chi era suo amico, adesso? Poteva fidarsi di Billy, non lo avrebbe tradito? Aveva troppa paura per farlo. Scese rapido le scale della metropolitana, la­ sciò cadere nella fessura il prezzo del biglietto, spinse la sbarra e andò ad aspettare un treno. Scrutò le facce bianche e nere intorno a lui, e per la prima volta ebbe paura. Avrebbero capito di sicuro che era scappato di casa. Ma no. Nessuno faceva caso a lui. All'improvviso, quanto era successo sembrò cosi irreale che gli venne una mezza idea di tor­ nare indietro. Aveva il cuore lacerato dal deside­ rio di casa sua, combattuto fra amore e paura; poi senti un treno avanzare tuonando nelle tene­ 23

bre. Si guardò alle spalle, cercando il viso della madre o della sorella, ma intorno a sé vide sol­ tanto facce estranee e si senti rassicurato. Ma quanto ci metteva, quel treno! Se fosse arrivata Sorellona, si sarebbe messa a strillare che lo ac­ ciuffassero e lo trattenessero... Si, c'era un poli­ ziotto, però non guardava lui. Oh Dio, perché quel treno non arrivava! E poi il treno dagli occhi gialli avanzò brutal­ mente, rombando e stridendo, selvaggio e vio­ lento come l'assurda notizia che lo aveva accolto al suo ritorno a casa. Il treno si fermò e le porte si aprirono. I passeggeri sciamarono fuori e lui si fece largo tra la folla, immergendosi sollevato nel tepore del vagone. Si avvicinò al finestrino e scrutò il marciapiede: nessuno in vista. Di sicuro, sua madre e Sorellona lo stavano cercando per strada, ma non l'avrebbero mai trovato. Mai. Si, avrebbe corso il rischio di rivolgersi a Bil­ ly. Poteva aspettarlo davanti al cinema. Mentre le ruote del treno raschiavano l'acciaio, pensò a sua madre, a sua sorella, suo fratello, suo padre; bene, se non potevano essere loro la sua fami­ glia, allora non ne voleva nessuna. Le luci della stazione gli balenarono davanti, come il piatto di prosciutto arrosto che non aveva mangiato, la pagella accartocciata nella tasca del giubbot­ to, il film che non avrebbe mai visto, suo fratel­ lo Buddy... Ogni cosa si allontanava rapida nel­ l'oscurità ruggente della metropolitana, stranie­ ra e irreale.

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La vicinanza di tanti adulti sconosciuti seduti intorno a lui era per Johnny una fonte di tensio­ ne, ma via via che il treno si fermava a scaricare passeggeri e accoglierne altri, e poi ripartiva, la sua ansia diminuì. Per la prima volta doveva scontrarsi senza intermediari con la cruda realtà, e si sentiva il cuore in gola. Che poteva fare, in quel mondo ignoto? Dove avrebbe dormito? Co­ s'avrebbe mangiato? Forse sarebbe stato meglio andare nella nuova casa... No! Sentiva d'essere stato imbrogliato ed era deciso a non perdonare, a non arrendersi. Ma, a parte una vaga idea di vedere Billy, non aveva piani. E già sentiva i morsi della fame. Il treno si fermò alla Quarantaduesima Strada e, non sapendo che altro fare, scese e seguì la fol­ la nelle strade notturne. Com'era vasto e concre­ to, il mondo! Times Square somigliava a un albe­ ro di Natale, con le sue luci rosse e verdi e gialle e azzurre stagliate contro il cielo nero, eppure tutto sembrava in qualche modo instabile, irrea­ le. E se qualche poliziotto lo avesse fermato? Be', avrebbe detto che stava andando a prendere sua madre al lavoro... Già, ma dove? Oh, avrebbe in­ ventato qualcosa. 25

Il suo stomaco brontolava. Si comprò un sac­ chetto di popcorn caldo, coperto di burro, e ma­ sticò i bianchi fiori di granturco salato guardan­ dosi attorno inquieto. Era circondato da un tur­ binio di gente; alti edifici incombevano su di lui, le finestre uno splendore dorato. L'asfalto sotto i suoi piedi vibrava per la corsa impetuosa dei treni sotterranei. Soffiava un vento freddo. Si fermò a un incro­ cio e fissò un getto di vapore uscire sibilando da un tombino e dissolversi nel vento. Passando davanti a un palazzo di uffici lanciò un'occhiata all'atrio, dietro le porte di vetro: vuoto. Spinse la porta e s'inoltrò nel tepore acco­ gliente; si appoggiò a un termosifone, rosicchian­ do popcorn. Che poteva fare, ora? Soltanto dieci centesimi lo separavano dalla fame. Sospirò. Forse, alla fin fine, sarebbe dovuto andare nella nuova casa? No, no; qualunque cosa, ma non quello... Si guardò intorno in un impeto di ribellione, e i suoi occhi caddero su un distributore di dolci e sigarette chiuso con un lucchetto. Si guardò in­ torno: l'atrio era vuoto, gli ascensori immobili; l'edificio sembrava deserto per il fine settimana. I passanti scorrevano davanti al portone, ma per fortuna il distributore era nascosto in un angolo. Controllò il lucchetto e scopri che non era diffici­ le da forzare; oltre la vetrina, occhieggiavano file di stecche di cioccolato e salatini. Gli venne l'ac­ quolina in bocca. Ma... e se l'avessero preso? Be', che importanza aveva? Tirò fuori il temperino e si guardò intorno. "No, no; non posso farlo..." Ma aveva fame. Forzò il legno, tentando di al26

tentare le viti, ma il lucchetto non cedeva. Esa­ sperato, lo colpi con forza: il lucchetto cadde tin­ tinnando sul pavimento e la lama del temperino gli affondò nel palmo della mano sinistra, facen­ dolo sanguinare. D'istinto, si portò la ferita alla bocca. Ma no, non c'era tempo da perdere. Dove­ va svuotare il distributore. Lo apri e cominciò a imbottirsi le tasche di pacchetti di noccioline, poi riprese ad annasparvi dentro, cercando le stecche di cioccolato. Ecco! Riconobbe al tatto gli involucri fruscianti e si riempi la camicia, la carta che gli crepitava con­ tro la pelle. Basta cosi; doveva filare. Usci dal pa­ lazzo a passo svelto, le orecchie piene del ronzio musicale della carta dentro la camicia. Passando davanti a un poliziotto tenne la testa alta, rigida, e solo dopo averlo perso di vista tirò fuori una stecca di cioccolato e cominciò a mangiare. Stava per attraversare la strada quando una mano gli calò sulla spalla. — Un momento, ragazzo — una voce gli ri­ suonò all'orecchio. Si voltò e vide il poliziotto che aveva appena superato. La paura lo paralizzò. — Signore? — balbettò. — Che ci fai in giro da solo, ragazzo? — chiese l'uomo, strizzando gli occhi. — Vado da mia madre — disse, sfoderando la bugia preparata. — Davvero? — Sissignore. Lavora fino a tardi e passo sem­ pre a prenderla. Ha paura di tornare a casa da sola. — Dove lavora? — Al cinema... il Globe, signore. 27

— Non ci sono maschere di colore, al Globe — obiettò il poliziotto. — Lavora nel bagno delle donne. — Oh! Bene, ragazzo. Volevo solo controllare se dicevi la verità. Il poliziotto allentò la stretta e gli diede una pacca amichevole sulla testa. Johnny si allontanò senza osare guardarsi in­ dietro. Percorse un intero isolato prima di tuffar­ si in una strada laterale e mettersi a correre, frap­ ponendo fra sé e il poliziotto più gente possibile. Attaccò un'altra stecca. Moriva dalla voglia di parlare con qualcuno. Si, avrebbe corso il rischio di vedere Billy. Che aveva fatto, non vedendolo arrivare all'ora stabi­ lita? Sicuramente era andato a casa sua e aveva saputo della sua fuga e forse anche dei suoi veri genitori... All'improvviso non ebbe più voglia di vederlo; provava lo stesso irrazionale rifiuto sia nei confronti dell'amico, sia verso quella che ave­ va creduto la propria famiglia. Ma a chi altri poteva rivolgersi? C'era la sua insegnante, la signora Alma Ried, ma era bianca e viveva chissà dove. E se le avesse telefonato? No; avrebbe sicuramente avvertito la polizia... Altri amici? Avrebbero voluto sapere troppe co­ se, e comunque non sarebbero stati in grado di aiutarlo. E poi, si sarebbero sentiti superiori sa­ pendo che non aveva né madre né padre ed era scappato di casa. Lo avrebbero preso in giro. Però non poteva vagabondare per tutta la not­ te. Avrebbe fatto meglio a tornare a Harlem. E a piedi, per di più, perché non aveva abbastanza soldi per pagarsi il biglietto. Be', forse poteva sgusciare oltre la barriera come aveva visto fare a 28

tanti ragazzi. Alla Quarantottesima scese nella metropolitana: niente controllori, per fortuna. Una donna infilò le monete nella fessura e passò. Johnny aspettò. Finalmente arrivò un giovanotto bianco dall'aria amichevole. — Signore — chiamò Johnny a voce bassa. — Che c'è, ragazzo? — Per piacere, quando mette dentro i soldi del biglietto, può far passare anche me? — lo pregò. — Sono al verde. — Ah, ah. D'accordo, ragazzo. Vieni pure. — Sissignore. Grazie, signore. Il giovanotto inserì le monete e Johnny superò la barriera insieme a lui. — Grazie! — gridò, correndo verso i binari. Mentre aspettava il treno, moriva dalla voglia di sedersi e riflettere. Non ci avrebbero messo molto ad acciuffarlo, se continuava così. Il mon­ do si stava dimostrando molto più duro di quanto avesse creduto. Di momento in momen­ to gli presentava problemi che non era in grado di risolvere. Salì su un espresso per Harlem e, immerso nei propri pensieri, si sedette fra adul­ ti ben vestiti, bianchi e neri, che muovevano le mascelle ruminando gomma da masticare. Sce­ se alla Centoventicinquesima e guardò tetra­ mente scene che poche ore prima lo avrebbero deliziato. Il suo mondo si era allontanato da lui, non poteva fidarsene; eppure, al tempo stesso, sembrava molto più reale e netto, remoto ma minaccioso. Senza essere ancora del tutto sicuro di voler vedere Billy, si trascinò in direzione della sua ca­ sa. Del resto, Billy era il solo legame fidato col mondo che lo aveva respinto. 29

Superò edicole che esponevano riviste sgar­ gianti, bar rumorosi e affollati, negozi rutilanti di luci al neon. Rallentò di fronte al palazzo dove viveva Billy. Forse sua madre o Sorellona aveva­ no denunciato la fuga alla polizia e ora agenti in borghese erano appostati nelle vicinanze, nel ca­ so fosse andato da Billy. Attraversò la strada e fissò le finestre buie al quarto piano. Dov'era Billy? Aveva l'impressione che il mondo intero lo avesse già dimenticato e si stesse muovendo come se lui non fosse mai esi­ stito. Forse Billy e i suoi erano a casa sua? Sicuro; ecco dov'erano. Immergendosi nelle ombre cupe dei palazzi, si diresse verso casa e fissò timoroso le finestre illu­ minate del suo appartamento. Si, erano tutti las­ sù: parlavano di lui, lo compativano. Alla vista di un poliziotto di ronda, si tuffò nel portone e restò acquattato finché lo scorse allontanarsi. Poi si rialzò e, fermo davanti ai battenti di vetro, fis­ sò come in sogno i lampioni che splendevano gialli nel buio caliginoso. Era affamato, infreddo­ lito, e si sentiva sempre più debole. Se avesse tentato di dormire sul pavimento dietro le scale, qualcuno avrebbe potuto scoprirlo. S'irrigidì, sentendo una porta aprirsi alle sue spalle. Ne uscì un nero. — Che ci fai, qui, ragazzo? — Ci vivo, qui — borbottò. — Che t'importa? — Allora perché non vai a casa? — Aspetto mio fratello — mentì. L'uomo sbuffò e se ne andò. Avrebbe detto a qualche poliziotto di aver visto un ragazzo cion­ dolare nell'atrio? Era troppo rischioso restare lì. 30

Ancora una volta, si diresse verso la casa di Billy. Oh Dio! Non era Billy, quello? Si che lo era!... Non osò chiamarlo, però. Sollevato di trovarlo solo, lo segui rapido fin­ ché lo vide entrare da un gelataio. Si fermò, il cuore in gola; finalmente gli avrebbe parlato, avrebbe scoperto cos'era successo a casa dopo la sua fuga. Ecco, ora Billy stava uscendo dal nego­ zio col suo pacchetto di gelato. Gli si avvicinò guardingo, la testa incassata fra le spalle per pro­ teggersi dal vento freddo. — Billy — bisbigliò. Billy piroettò su se stesso, gli occhi sgranati, stupefatti. — Johnny — balbettò. Sorrise, ma il sorriso svanì in fretta. — Ti cercano... — Lo so. — Ma dove diavolo sei stato? Vengo giusto ora da casa tua. — Lo so. Senti, Billy... devo parlarti. Però non devi dire a nessuno che mi hai visto, chiaro? Promesso? — Certo che sì — disse Billy, strascicando le parole. — Non posso tornare a casa — confessò Johnny. — Perché? — Non lo sai? Che ti hanno detto? Senti, non possiamo andare a parlare da qualche parte? — Devo portare il gelato a casa. Billy lo fissava affascinato. Poteva fidarsi com­ pletamente di lui? — Infiliamoci in un portone — lo supplicò. — Il gelato si sta squagliando — protestò Billy. — E va bene — sbottò Johnny, rabbioso. — Ti 31

credevo mio amico, ma ti comporti come tutti gli altri. — Senti, fammi portare su il gelato e poi me la svigno e parliamo, va bene? — Il viso di Billy esprimeva ammirata soggezione. — So dove possiamo andare. Johnny non riusciva a capire lo strano fervore che illuminava gli occhi dell'amico. Che avesse intenzione di tradirlo? — Dici davvero? — Sicuro! Cavoli, anch'io voglio parlare con te. — Billy scoppiò a ridere. — Ho un sacco di cose da dirti. Quando non ti ho visto arrivare, so­ no andato a casa tua... — D'accordo. Porta su quel gelato. Ti aspetto qui. — Bene. Torno fra dieci minuti. — Ma... non farmi la spia — supplicò Johnny. — Non preoccuparti. Aspettami, eh? — Ti aspetterò. Ma se fai la spia ti ammazzo, chiaro? Billy lo fissò a bocca aperta, annui e corse via. Johnny lo segui più lentamente e si nascose nel portone di fronte. Gli sembrò che trascorresse un anno prima di veder ricomparire Billy che scen­ deva di corsa i gradini infilandosi il cappotto, gli occhi avidi. "È un amico" pensò Johnny, sollevato. — Vieni. — Billy spumeggiava di eccitazione. — So dove possiamo andare. — Dove? — chiese Johnny, di nuovo diffidente. — In un posto sicuro. Seguimi — ordinò Billy. S'incamminarono in silenzio. Johnny senti l'u­ lulato fioco di una sirena della polizia e afferrò Billy per un braccio. 32

— Non è niente — lo rassicurò l'amico. — Non avere paura. Proseguirono in silenzio finché Johnny si ac­ corse che erano vicini alla loro scuola. Forse Billy lo stava guidando in una trappola? — Dove andiamo? — domandò. — Seguimi. Sei al sicuro — ripetè Billy. Entrarono nel cortile. La scuola era chiusa; perché Billy avrebbe dovuto portarlo li... se non per intrappolarlo? Johnny si fermò. — Billy, che hai intenzione di fare? — Conosco un posto. Fidati. Ma prima entria­ mo. Ti dirò tutto. Si avvicinarono al grande edificio buio, le nere finestre lampeggianti simili a migliaia d'occhi vuoti. Billy lo precedette a una finestra del se­ minterrato, si chinò e la sollevò lentamente. — Non è chiusa, vedi? — bisbigliò. — Lo so da un sacco. — Ma che c'è, qui dentro? — La nostra banda usa questo posto... — Che banda? — Te lo dico poi. Prima entriamo e sediamoci. C'è la luna e possiamo andare a parlare in un'au­ la. Ah, ah! L'ansia di Johnny si dileguò. Sorrise e diede a Billy una pacca sulla schiena. — Pensavo che tu fossi mio amico. Ora sono sicuro che lo sei — disse. Billy sorrise, si guardò intorno per accertarsi che non ci fosse nessun altro in giro, poi si curvò e sgusciò attraverso la finestra nera come l'in­ chiostro. — Vieni, svelto! Non vogliamo che qualcuno si accorga della finestra aperta. 33

Johnny lo segui nel seminterrato buio. Quando Billy apri la porta di un'aula, Johnny esitò sulla soglia. Il silenzio, rotto soltanto dal ticchettio del­ l'orologio a muro, regnava sulle file di banchi e sulla lavagna. Lo splendore fioco del chiaro di luna sbucava da un banco di nuvole e si riversa­ va dalle finestre, immergendo ogni cosa in una luminescenza spettrale. Billy rise. — Buffo, vero? — disse. — Certe volte vengo qui semplicemente per stare seduto e pensare... — Rimase silenzioso un momento, poi riprese, solenne: — Sono una frana, a scuola. Non mi rie­ sce di capirci niente, di libri e di numeri. Ma tu sei in gamba... — Che banda è, quella che si riunisce qui? — lo interruppe Johnny. — E un segreto — cominciò Billy. — Non pen­ savo che ti sarebbe mai importato, di unirti a noi; perciò non te ne ho mai parlato. Non hai mai giocato coi ragazzi dell'isolato, tu. La banda è in piedi da un pezzo. Ci chiamiamo I Vagabondi. Non avevamo un posto dove riunirci, ma una notte ho scoperto che la finestra si apriva e sono entrato a dare un'occhiata. Abbiamo un posto tutto per noi dietro il deposito del carbone. Ora ci siamo scambiati i segreti, giusto? Io so i tuoi e tu i miei. Johnny cominciò a capire l'atteggiamento del­ l'amico. Sapeva da sempre che Billy era un catti­ vo studente, però non aveva mai sospettato quanto la cosa gli dispiacesse. E alla fine, avvilito dagli scarsi risultati scolastici, aveva rinunciato alle sue responsabilità aderendo a una banda. — Accomodati pure — lo invitò Billy, stravac­ candosi in un banco. 34

Si sedettero l'uno di fronte all'altro, le facce ne­ re tirate nel bagliore azzurrino del chiaro di luna. — Eri a casa mia — disse Johnny, esitante. Confuso, vide il viso dell'amico illuminarsi. Billy si comportava come se gli avessero dato una medaglia al merito. — Eccome — sogghignò. — Che dicevano di me? — Non molto. Sogghignò di nuovo. — Su, dai — insistè Johnny, sentendo montare la collera e la vergogna bruciargli le guance. — C'erano quei tizi, i Green? — Certo che si — rispose Billy, tutto allegro. Che ridesse dei suoi guai? — Insomma, sei tu che mi hai portato qui — lo accusò. — Raccontami che hanno detto. Perché le Autorità vogliono che lasci casa mia? — Davvero non lo sai? — Billy sembrava stu­ pefatto. — Non te lo chiederei, se lo sapessi. — Vuoi scherzare. — Billy rise pigramente. — Non prendermi in giro — gemette Johnny, esasperato. — Tu hai una madre e un padre e una casa e... — Ehi! — lo interruppe Billy. — Lo sai che fa­ rei carte false per essere al posto tuo! Johnny lo fissò battendo le palpebre. Billy era sembrato sincero, serio; ma perché...? — Che diavolo vuoi dire? — Diavolo, pagherei perché qualcuno mi por­ tasse via da casa — affermò Billy. Johnny lo fissò a bocca aperta, ammutolito. Mai avrebbe pensato che qualcuno potesse invi­ diare la sua situazione! 35

— Non capisci, Billy — spiegò, paziente. — Sai perché vogliono mandarmi via? Hanno detto che non appartengo a quella casa. Hanno detto che loro non sono i miei genitori... Gli occhi di Billy si accesero d'invidia e gelo­ sia. Era fiero di Johnny! Pensava che fosse una cosa fantastica! — Billy... non essere stupido! — sbottò, quasi soffocato dalla collera. — Insomma, che cosa di­ cevano? — Un sacco di cose — rispose Billy, parlando lentamente. — Però non ho capito tutto e... — All'inferno se non hai capito! — s'infuriò Johnny. — Dimmelo e basta. Qualunque cosa sia. — Johnny, che ti succede? — chiese Billy, sin­ ceramente perplesso. — Non ti ho mai visto comportarti cosi. — Insomma, vuoi parlare o no! — Sssh! Abbassa la voce. Qualcuno potrebbe sentirci. Johnny tornò a sedersi, guardando in cagnesco le pareti spoglie nella penombra. — Dammi una mano! — implorò con voce strozzata. — Non capisci che non ho un posto dove andare? — Strinse i pugni, tremando, furio­ so perché Billy sapeva sulla sua famiglia più di quanto ne sapesse lui stesso. — Allora... — cominciò Billy — erano tutti li che piangevano. E mio fratello e io continuava­ mo a chiedere che era successo e dov'eri, e alla fine ci hanno detto che eri scappato. — Questo lo so. — Johnny era livido di rabbia. — E poi? — Hanno detto che volevano mandarti in una nuova casa e... 36

— Questo lo so! — urlò Johnny. — Voglio sa­ pere... — La sua voce si affievolì. — Che cosa? — Che hanno detto dei miei veri genitori? — Oh, quello... Non molto. — Hanno detto chi sono? — Be'... sì. Ne hanno parlato... — E allora? Billy lo fissò spaventato. Quanto a Johnny, era furioso perché si ren­ deva conto che l'amico lo considerava una spe­ cie di eroe e non riusciva a comprendere la sua ansia frenetica. O forse stava tentando di na­ scondergli qualche terribile verità sui suoi veri genitori? — Vedi, Johnny — cominciò Billy umilmente — hanno usato un sacco di paroioni che non ho capito bene, comunque ora ti dico quello che ho sentito, d'accordo? Allora, a quanto sembra, la tua mamma una volta è andata ad Atlantic City... — Quando? Dov'è, ora? — Non saprei. Sono tutte cose successe prima che tu nascessi... — Oh! — Allora, ad Atlantic City ha incontrato uno... — Va' avanti. — Be', ecco... Da come l'ho capita io, ha incon­ trato questo tizio e si sono ubriacati. Non so... — S'interruppe, confuso. — Ehi, Johnny, ti riferisco quello che ho sentito, chiaro? Be', a quanto sem­ bra, si è ubriacata e quel tizio le ha fatto un bel regalo: te. — Si accigliò. — Ehi, Johnny, bisogna ubriacarsi per fare i bambini? — Non lo so — confessò Johnny, avvilito. 37

— Tu leggi un sacco di libri, Johnny. Dovresti saperlo. — In biblioteca non ci sono libri su questo ge­ nere di cose. — Oh, ora ricordo! — esclamò Billy. — Hanno detto che sei stato concepito quella notte. Non so che significa, ma hanno usato proprio questa pa­ rola. Hanno detto che tua madre è stata con quel tizio una notte sola. Poi è tornata ad Harlem e... — Con mio padre? — No — ammise Billy, annaspando in acque troppo profonde per lui. — A quanto sembra, lui l'aveva piantata. Non voleva sposarla. — Perché? — Non Io so. Certi uomini non vogliono spo­ sarsi e basta — tentò di spiegare Billy. — E, a quanto sembra, lei nemmeno ricordava come si chiamava quel tale... Oh, Johnny, non ricordo proprio tutto, però di sicuro non erano sposati... non come i miei vecchi o i signori Gibbs. Johnny trasalì, incapace di guardare l'amico, la mente brulicante d'immagini di vergogna e de­ gradazione. — E che ha fatto, mio padre? — chiese lenta­ mente. — Non lo so. A quanto sembra, la tua mamma e il tuo papà si sono visti soltanto quella volta. Non si conoscevano abbastanza da sposarsi, ecco. Johnny si voltò, mentre lagrime roventi gli scorrevano sulle guance nere. — E mia madre che ha fatto? — chiese con vo­ ce strozzata. — Be', hanno detto che è tornata qui a Harlem e si è ammalata. — E io dov'ero? 38

— Tu...? — Billy esitò, poi rise. — Diavolo, manco eri nato, allora. Le stavi in pancia, dove stanno i bambini prima di nascere. — E poi? — Poi tua madre si è ammalata — ripetè Billy. — Che malattia aveva? — Non ricordo il nome. — Dov'è che era malata? Il cuore? II... il... — Era malata nella testa. È cosi che hanno det­ to. Hanno detto che aveva la demon... demon qualcosa. Non ricordo. C'era un'altra parola. Qualcosa tipo "zia", credo. Oh, si. Hanno detto che era la "demonqualcosa preco", una roba cosi. — Malata nella testa? — Già. — È una brutta cosa? — Non lo so, Johnny. Ma quando ti viene, sembra che fai le cose senza neanche accorgerte­ ne. Come i matti, capisci? — Mia madre era pazza? — chiese Johnny in­ credulo, rabbrividendo. — Cosi hanno detto. Johnny provò l'impulso di saltargli addosso e riempirgli la faccia di pugni, però sapeva che Bil­ ly era innocente. — E io dov'ero? — chiese. — Sempre in pancia a lei. E lei aveva sempre quella "demon preco" nella testa, chiaro? Ecco com'è andata. — E poi? Dev'esserci dell'altro. — Be', a quanto sembra hanno messo tua ma­ dre in un... si, insomma, lo sai, in uno di quei manicomi. — E adesso dov'è? — A quanto sembra, c'è ancora. Hanno detto 39

che non te l'avevano voluto dire perché ti avreb­ be rattristato. Di', Johnny, davvero non ne sapevi niente? — Niente — sospirò Johnny. Dunque era quello, il suo passato. Sua madre era una malata di mente. E un uomo senza volto né nome era suo padre. — ... La signora Gibbs diceva che ora dovresti conoscere tua madre — riprese Billy. — Diceva che dovresti andare a visitarla. Che sei grande abbastanza. — Non ci penso nemmeno — affermò Johnny in tono aspro. — Perché? — Non è mia madre... — Si che lo è. — Diavolo, no! Non lo è! Una donna malata nella testa? Diavolo, no! — Ehi, non saprei, Johnny. — E di mio padre che altro hanno detto? — Be', a quanto sembra, dato che tua madre aveva quella "demon preco" non ha potuto dire a nessuno chi fosse tuo padre. Non se ne ricorda­ va. Hanno detto che gliel'hanno chiesto e richie­ sto, ma lei proprio non se ne ricordava. Non so­ no mai riusciti a rintracciarlo. Ma che vuoi che sia. Prima o poi lo troverai. — E perché? — Eh? — Niente. — Ehi, Johnny, pagherei per essere al posto tuo! — Billy esplose di nuovo in un inno di gelosia. — Ora non devi più andare a scuola. Giuro, vorrei che succedesse qualcosa di simile anche a me! — Billy, sei matto! 40

— Macché. È per questo che mi sono unito alla banda. Aspetta d'averli conosciuti. Gli piacerai. Ti basterà dirgli che sei amico mio, e ti accette­ ranno. Ti daranno da mangiare. Ti troveranno un posto dove dormire. Ti procureranno i vestiti, tutto... Ma io? Cavoli, il mio vecchio si ubriaca tutte le sere e picchia me, mia sorella e ma'. Per­ ciò sto il più possibile fuori casa. Ma se non aves­ si nessuno, sarebbe facile. Dovrei preoccuparmi soltanto di evitare la polizia. Ehi, Johnny, adesso sei un uomo. Puoi fare tutto quello che vuoi. An­ dare dove vuoi. Sei alto, ti piglieranno tutti per un adulto. Di', potresti addirittura farti la ragaz­ za. Di', Johnny, se te la fai, poi mi racconti che ef­ fetto fa? Dicono che è una cosa fuori dal mondo. Potresti addirittura sposarti, proprio come un uomo adulto! — Sta' zitto, Billy — quasi gemette Johnny. — Piantala di dire sciocchezze. — Senti, e se scappassi anch'io, eh? — No. Tu resti a casa. — Sono grande quasi quanto te. — No! Non ti voglio fra i piedi. — Allora pensi di andare a stare in quella nuo­ va casa? — No! — Allora ti unisci ai Vagabondi? Johnny non rispose. In effetti non aveva scelta. Che senso aveva mettersi a cercare una madre pazza? I suoi vecchi genitori lo avevano rinnega­ to, e lui non voleva una nuova famiglia. Gli sem­ brava d'essere un blocco di ghiaccio. Contro ogni speranza, aveva sperato che le sue origini fossero almeno accettabili, e invece erano le peggiori che ci si potesse immaginare. Era un niente, un nes­ 41

suno; e non aveva nessun diritto su nessuno al mondo. La sensazione di estraniamento provata quando sua madre e sua sorella gli avevano det­ to che doveva andare in una nuova casa lo av­ volse come una cappa nera; era una sensazione che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita e avrebbe diretto ogni sua azione, e sarebbe rima­ sta con lui cosi a lungo che alla fine ne avrebbe dimenticato 1'esistenza. Si alzò di scatto, mentre Billy riprendeva a parlare: — Il nascondiglio è di sotto, dietro la fornace. Ti ci porteranno loro. Io ho giurato di non parlar­ ne a nessuno, ma dato che a casa non ci torni, dirò alla banda che ti ci portino, va bene? Sarai al sicuro, con loro. Ora devo andare, ma scriverò un biglietto. Basta che glielo fai vedere, e ti da­ ranno da mangiare e ti lasceranno dormire qui. — Va bene — assenti Johnny, indifferente. Billy andò a frugare nel cassetto della cattedra, tornò con carta e matita e scribacchiò qualcosa alla pallida luce della luna. In fondo al foglio tracciò un rozzo teschio e due tibie incrociate, poi aggiunse parecchi simboli misteriosi. — Che roba è? — chiese Johnny. — Non posso dirtelo — borbottò Billy con aria solenne. — È il nostro codice segreto. Se non ce Io mettessi ti ammazzerebbero di sicuro... Johnny scoppiò a ridere e Billy alzò lo sguar­ do, sorpreso. — Non scherzo mica, Johnny. — Ma perché dovrebbero ammazzarmi? — Senti, non prenderli sottogamba — lo mise in guardia Billy. — Sono tipi tosti. Ricercati dagli sbirri. Non vanno a scuola; vivono di furti e ag­ gressioni, chiaro? Dormono di giorno e cacciano 42

di notte. Se non ti comporti bene, ti fanno fuori. Dico davvero. Johnny batté le palpebre. Sì, Billy era serio. Era un nuovo Billy, questo, diverso dal ragazzo spensierato che conosceva. — Capito — annuì. — Sarà meglio. E fa' tutto quello che ti dicono. — Sospirò. — Dio, mi piacerebbe restare. — Ab­ bassò la voce. — Se la banda ti accetta, ti raccon­ teranno tutto. — Gli sventolò un dito davanti al­ la faccia. — Ma prima dovranno metterti alla prova. — Come? — Non posso dirtelo. Però gli piacerai. Sai un sacco di cose che possono essere utili. — Come faccio a trovarli? — Resta vicino alla finestra del seminterrato — lo istruì Billy. — Quando entrano, verso mez­ zanotte, basta che gli dai il biglietto. Il capo si chiama Pelato. — Come? — Pelato. È calvo... — Ma hai detto che sono ragazzi... — Sì. Però il capo ha la testa pelata. È un ra­ gazzo — precisò Billy. — Capirai. Ma lascia che ti dica una cosa: non fare troppe domande. Non gli piace. Comunque, dopo un po' che ti cono­ scono ti diranno tutto. — Billy, se fai il doppio gioco, giuro che t'am­ mazzo. — Non preoccuparti. — Billy piegò il biglietto e glielo cacciò in mano. — Questo fallo vedere solo alla banda. Se arriva la polizia masticalo e inghiottilo, chiaro? — Va bene. 43

— Devo andare. — Si avviò verso la finestra del seminterrato, seguito da Johnny. Prima di sgattaiolare fuori, si voltò verso l'amico fermo nel buio e lo fissò con occhi tristi e avidi insie­ me. — Dio — sospirò — come vorrei essere te. Richiuse la finestra e spari.

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Capitole/

Attraverso il vetro, Johnny guardò l'amico sva­ nire nella notte e all'improvviso ebbe paura; adesso era solo. L'aveva deciso lui. Avrebbe avu­ to una nuova casa, una casa diversa da quella dei Gibbs o dei Green. Sospirò, ascoltando il ven­ to soffiare incessante nel cortile della scuola. Dall'esterno venne un fischio acuto. Poi un ci­ golio misterioso risuonò da qualche parte nelle buie profondità dell'edificio. Il terrore lo af­ ferrò, ricoprendolo di un sudore appiccicoso che aderì agli involucri crepitanti delle stecche di cioccolato, ancora infilate nella camicia. Pen­ sò di tirarle fuori, ma gliene mancò la forza. Lottando contro le sensazioni che rischiavano di sopraffarlo, si dimenò nervosamente e il bi­ glietto di Billy gli frusciò in mano con un bisbi­ glio sinistro. Sì, quello era il passaporto per la sua nuova vita, per la banda di ragazzi dai qua­ li sarebbe dipeso per il cibo, per l'amicizia. Se per qualche motivo lo avessero respinto, non gli sarebbero rimaste che le strade fredde e spazza­ te dal vento. A dispetto di se stesso, la sua men­ te fluttuò verso la madre che non poteva ricor­ dare, una madre pazza rinchiusa chissà dove; non la conosceva, e lei non conosceva lui. Al­ 45

l'improvviso si senti oppresso da una colpa grande e terribile, ma senza nome. Si piegò su se stesso, un singhiozzo che saliva dalla gola tremante. Dopo restò immobile a lungo, sentendosi stra­ namente svuotato; ma in lui, dalle macerie delle emozioni passate, stava nascendo un nuovo io, e quando ne diventò consapevole quell'io si era già fermamente radicato nella sua mente e nel suo cuore. Doveva sopravvivere, essere spietato, sempre in guardia, studiare chiunque incontrasse, sop­ pesare il valore di ogni momento; ci sarebbe sta­ to un tempo per starsene tranquillo, e un tempo per agire e colpire senza preavviso. Molto dopo mezzanotte senti un cauto rumore di passi sulla ghiaia davanti alla finestra. Pur sa­ pendo che quel suono indicava 1'avvicinarsi del­ la banda, si ritrasse fra le ombre del corridoio. Lentamente, silenziosamente, la finestra fu solle­ vata di una trentina di centimetri. Che sospettas­ sero la sua presenza? Poi senti: — Via libera. Venite. La finestra fu sollevata completamente e una forma scura la scavalcò e atterrò sul pavimento, seguita da altre due. Voleva far capire che era li, ma aspettò. Solo quando tutt'e tre le figure furo­ no in corridoio e la finestra fu chiusa, si fece avanti, schiarendosi la gola per annunciare la sua presenza, e tese il foglietto, una chiazza bianca nell'oscurità. — Salve — cominciò. — Billy mi ha detto... Non potè finire la frase. Passi rapidi; la lama d'un coltello gli lampeggiò davanti agli occhi e mani brutali lo inchiodarono al muro. Gli sfuggi 46

un grugnito mentre un ginocchio gli affondava nella pancia e una mano gli chiudeva la bocca. — Una parola e sei morto, bastardo — disse una voce roca. Johnny restò immobile, respirando in rantoli profondi. — Piantagli in faccia la torcia — ordinò qualcuno. I suoi occhi furono accecati da un fascio di lu­ ce. Tentò di distinguere le facce oltre il cono lu­ minoso, ma non ci riuscì. — Chi sei, pidocchio? — indagò una voce si­ bilante. — Ho... ho un biglietto — balbettò. — Sbrigati a parlare, bastardo — borbottò qualcuno, incurante della sua spiegazione. — 11 biglietto... ce l'ho in mano — ansimò. — È di Billy. — Billy chi? — insistè qualcuno. — Che acci­ denti sai, di noi? — Chi è, Pelato? — domandò una voce. — Mi pigli un colpo se lo so — replicò la voce raschiante. — Il biglietto... — ripetè Johnny. — Che accidenti di biglietto? — chiese di nuo­ vo la voce aspra. — P... proprio qui — disse Johnny. Le mani che lo stringevano si rilassarono, ma continuò a sentire la lama del coltello fredda e ta­ gliente sulla gola. — Che dice, Pelato? — chiese qualcuno. — Non so di che parla — ringhiò la voce vici­ no a Johnny. — Il b... biglietto... ce l'ho in m... mano — an­ simò Johnny, cercando disperatamente di farsi 47

capire. — Prendetelo... leggetelo. È di Billy. Billy Sayers. Lo conoscete. Era qui poco fa. La sua voce si affievolì. — Che sai di Billy? — La domanda emerse dall'oscurità. — L... leggete il b... biglietto — li implorò. I suoi occhi, ormai abituati alla vampa della torcia, scorsero dubbio e timore sulle loro facce. — Lucertola, prendi questo biglietto — ordinò una voce. — Passalo a Pelato. Johnny individuò il ragazzo chiamato Pelato. Nel chiaro di luna, una testa calva splendeva opaca davanti a lui, una testa calva su una faccia giovane; era a Pelato che apparteneva la voce raschiante, ed era Pelato che gli teneva il coltello alla gola e un ginocchio affondato nella pancia. La faccia di Pelato era tesa, nera e brutale, gli oc­ chi rossi sotto le palpebre pesanti. Fra le labbra sottili, secche, s'intravedevano denti bianchi, ma corti e spezzati. Lucertola, un ragazzo con una tonda faccia scura, grandi occhi neri e tumide labbra sporgen­ ti, si fece avanti per strappargli il biglietto dalle dita, poi indietreggiò cauto e lo apri, illuminan­ dolo con la torcia. — Che c'è scritto? — chiese Pelato, la lama del coltello ferma contro la gola di Johnny. — È proprio di Billy — borbottò Lucertola — c'è il codice. — Passamelo. Pelato tolse il ginocchio dalla pancia di Johnny, senza però staccargli il coltello dalla go­ la, e strappò il biglietto a Lucertola. Gli altri due allentarono la presa, ma Pelato borbottò: — Non mollatelo, il bastardo! 48

In un baleno, Johnny si ritrovò con le braccia bloccate. — Fa' il bravo, pidocchio — lo avverti Lucer­ tola. — Hai un punteruolo da ghiaccio dritto contro il cuore. Se te lo caccio dentro, non verrà fuori trippa per gatti. — Va bene — balbettò Johnny. Pelato lesse il biglietto e lo passò agli altri. — Sembra a posto — disse in tono più calmo. Si avvicinò a Johnny. — Ma se ci conti balle, pi­ docchio, ti facciamo secco, capito? — Non racconto balle. — Bene — latrò Pelato. — Portatelo nella tana. — Esitò. — Bendalo, Lucertola. — Dammi il fazzoletto — disse Lucertola al terzo ragazzo. Dalle ombre emerse un ragazzo che Johnny non riuscì a vedere chiaramente e gli mise un fazzoletto sporco sugli occhi, annodandoglielo dietro la testa. Poi avvertì il pungolo acuminato del punteruolo contro la schiena. — Va' avanti, lentamente — ordinò Pelato. — Fa' attenzione. — Una mossa falsa — avvertì Lucertola — e te lo caccio in corpo. Johnny avanzò nelle tenebre, strascicando i piedi per paura di sbattere contro qualcosa, sen­ tendo gli altri bisbigliare dietro di lui e il punte­ ruolo stuzzicargli la schiena. — Non ci vedo — si lagnò. — Basta che vai avanti finché te lo diciamo noi. — Pelato era sarcastico. — Ti diremo pure quando respirare, pidocchio. — Farò quello che volete — assicurò Johnny. — Meglio per te — ghignò Pelato. 49

Continuò a camminare per un paio di minuti, poi Pelato ordinò: — Fermo, pidocchio! Bene, Lucertola, apri la porta. Sentì qualcuno passargli davanti e, un secondo più tardi, il suono di un chiavistello che scattava e di una porta che girava su cardini arrugginiti. — Bene, pidocchio — disse Pelato. — Ora c'è qualche scalino. Scendi lentamente. Miseriaccia... se caschi, ti spacchi quel collo pidocchioso. Per Johnny, scendere quegli scalini fu come at­ traversare una massa d'acqua. — Che ci facciamo, col pidocchio? — chiese una voce. — Per cominciare, scopriamo chi è — disse Pe­ lato. Un istante dopo, abbaiò: — Siamo arrivati, pidocchio. Johnny tastò il pavimento con un piede e si fermò. Si trovava su una superficie sabbiosa, un pavimento di polvere di carbone o cenere. Re­ spirò un odore arioso, pulito. Il punteruolo si staccò dalla sua schiena e sentì il coltello richiu­ dersi con uno scatto. Poi le sue braccia furono ancora una volta bloccate e venne trascinato avanti. Si fermarono; un'altra porta fu aperta e di nuovo Johnny avanzò nell'oscurità. Infine, fu spinto avanti rudemente. — Dentro! — urlò Pelato. Johnny inciampò nei propri piedi e rimase im­ mobile. — Chiudi la porta, Stecco — ordinò Pelato. Una porta sbattè. — Passami un fiammifero — disse Lucertola. Johnny sentì sfregare un fiammifero e, al tem­ po stesso, Pelato gli strappò la benda dagli occhi. 50

Lucertola era impegnato ad accendere quattro mozziconi di candela piazzati sopra uno scatolo­ ne capovolto. La stanza sudicia, dietro il deposi­ to del carbone, misurava più o meno quattro me­ tri per sei ed era piena di vecchi banchi, scatole di gessetti, lavagne e cartoni sigillati. Pelato spin­ se Johnny verso un banco. — Seduto, pidocchio, e vediamo un po' che faccia hai — bofonchiò Pelato. Johnny si sedette e osservò i suoi assalitori. C'era Pelato, tozzo, nero, massiccio, col viso stretto e il cranio simile a una cupola scintillante. Pur sapendo che era il capo della banda, Johnny provò il desiderio di ridere alla vista della testa di vecchio che sormontava quel viso da ragazzo. Come aveva fatto, Pelato, a ridursi cosi? E poi c'era Lucertola, con la faccia tonda e i grandi occhi trasparenti. Non gli piacque, Lucer­ tola, perché quegli occhi iniettati di sangue la­ sciavano intuire la crudeltà e una misteriosa ri­ serva di forza bruta. Stecco era un mulatto alto, color fango, con li­ sci capelli color carbone; aveva la pelle chiazzata di foruncoli pieni di pus. Sottile come un palo, era di una testa più alto degli altri e teneva ben chiuse le labbra tumide. In lui Johnny avverti un'intensità spaventosa e si scopri incapace di guardarlo a lungo negli occhi. — Perché ti cercano? — chiese Stecco. — Chi? — chiese Johnny. La mano destra di Pelato scattò e lo colpi con forza sul viso, facendogli scattare la testa all'indietro e balenare le stelle davanti agli occhi. Il dolore gli intorpidì le labbra e assaggiò il calore del proprio sangue. 51

— Quando senti una domanda, rispondi, pi­ docchio — ringhiò Pelato. — Non so che volete dire — Johnny fremeva di rabbia. — Perché ti cercano, gli sbirri? — domandò Pelato. — Non mi cercano. — E allora perché diavolo sei qui? — chiese Pelato. Johnny sospirò e si protese avanti. Erano dav­ vero duri, quei ragazzi. — Billy non l'ha scritto, nel biglietto? — chiese. Pelato lo afferrò per i capelli e gli strattonò in­ dietro la testa. — Piantala di tirarla per le lunghe, bastardo — ringhiò. — Quando ti facciamo una doman­ da, rispondi! — Sono... sono scappato di casa — balbettò Johnny. — Perché non l'hai detto subito? — domandò Stecco. Johnny non rispose. Si, doveva stare all'erta, pesare ogni parola, o sarebbe finito in grossi guai. — Perché hai preso il largo? — chiese Lucertola. — Perché sono scappato? — disse Johnny, echeggiando la domanda. — Già. Perché sei scappato? — ghignò Pelato con beffarda pazienza. — Le Autorità mi hanno mandato a vivere con una famiglia quando avevo sei mesi. — Johnny parlò in fretta. — Pensavo fossero la mia vera fa­ miglia, capite? Invece oggi mi hanno detto che non è cosi, che dovevo andare a stare con un'al­ tra famiglia. Cosi sono scappato. 52

— Cosi sei un vagabondo, eh? — chiese Pelato. — In... in che senso? — Ah, ah. Non sai proprio niente di niente, eh? — ribattè Pelato, sprezzante. — Com'è che ti chiami? — Johnny Gibbs. — Ti serve un altro nome — disse Pelato. — Perché? — Lo saprai. Siamo Vagabondi, capisci? Anche tu sei un Vagabondo. Billy ti ha spedito nella ta­ na giusta, d'accordo. Anche noi ci avevano affi­ dati a qualche famiglia, ma siamo stati abbastan­ za furbi da battercela. Lucertola e Stecco scoppiarono a ridere. Pelato si mise a camminare in cerchio, grattandosi la te­ sta calva. — Certo che sei proprio tonto — commentò. — Nel biglietto Billy ha scritto che eri sveglio, ma da come ti comporti non si direbbe. — Be', in fin dei conti l'ho saputo soltanto og­ gi, di essere un orfano — gli ricordò Johnny. — D'ora in poi sarà meglio che le sai per tem­ po, le cose. Pelato espose la legge di vita della banda. — Ehi, dagli una possibilità, al fesso — sogghi­ gnò Lucertola. — Tutti devono imparare, prima o poi — bor­ bottò Stecco. — Non ci servirai a niente, se hai sempre i ri­ flessi cosi lenti — spiegò gentilmente Pelato. — Forse sarai anche sveglio per gli insegnanti, ma noi non sappiamo che farcene, di questa merda scolastica. — Ridacchiò. — Non vogliamo pop­ panti, nella banda. Le lumache sono pericolose non solo per se stesse, ma per noi, chiaro? E 53

quello che hai qui dentro, che conta. — Si batté un dito sul cranio lustro. Stecco osservava Johnny con un sorriso indul­ gente. Lucertola stava seduto sul bordo dello scatolone, vicino alle candele accese, dondolan­ do le gambe. Per qualche strano motivo, teneva la punta delle dita sopra la fiammella, allonta­ nandole ogni volta che la pelle cominciava a bru­ ciargli. Per un po' rimasero in silenzio. Johnny fissava Pelato, affascinato dal contrasto tra la fac­ cia giovane e la testa calva. — Ce l'hai una manza? — chiese Stecco. — Che cosa? — chiese Johnny. — Una pupazza, una pollastra, una squinzia, una polpettina — bisbigliò Stecco. — Una manza è qualcosa che strizzi per tirar fuori buon latte caldo. — No. Non ce l'ho, la ragazza. — Chi conosci, a parte Billy? — chiese Pelato. — Nessuno... a parte i miei compagni di classe. — Sarebbe meglio non fare niente, per stanotte — disse Stecco a Pelato. — Questo lo decido io — ribattè Pelato, belli­ coso. — Sono io che comando, qui. Ora, ecco un lavoro per te. Va' da Billy e controlla la storia di questo pidocchio, chiaro? E sbrigati. Se Billy con­ ferma tutto, la faremo stanotte stessa, l'iniziazio­ ne del bastardo. — Va bene. Il capo sei tu. — Stecco scrollò le spalle e usci dalla stanza. Di nuovo calò il silenzio. Lucertola e Pelato si tolsero di tasca vari sacchetti di carta e li poggia­ rono sullo scatolone rovesciato. Tutta roba ruba­ ta, intuì Johnny, vedendo che niente era incartato a dovere. C'era un pezzo di prosciutto cotto, una 54

forma di pane a fette e alcune bottiglie di birra. Pelato e Lucertola tirarono su i banchi e comin­ ciarono a mangiare. — Hai fame, pidocchio? — chiese Pelato, lan­ ciandogli un'occhiata. — Abbastanza — borbottò umilmente Johnny, sentendosi l'acquolina in bocca. — Insomma, ho preso qualche stecca di... Riuscì a stento a infilare una mano nella cami­ cia prima che Pelato e Lucertola gli saltassero ad­ dosso, sbattendolo sul pavimento polveroso. — Fermo, bastardo di merda — sibilò Pelato. — Mollalo! Mollalo! — urlava Lucertola. Johnny s'immobilizzò atterrito, senza capire. — Che... che succede? — balbettò. Col fiato corto, Pelato e Lucertola gli strappa­ rono il giubbotto, il maglione e infine la cami­ cia. Le stecche di cioccolato si riversarono sul pavimento. — Che mi pigli un colpo! — ansimò Pelato. — Ma guarda questo imbecille... — ridacchiò Lucertola. — Dov'è che le hai grattate, pidocchio? — chiese Pelato, raccattando i dolci. Soltanto allora Johnny capi: avevano pensato che volesse prendere un'arma. — Da un distributore automatico a Times Square — rispose. — Ehi, non sei cosi scemo, dopotutto — si de­ gnò di ammettere Lucertola. — Be', amico, certo che hai fortuna — disse Pelato, poggiando le stecche sullo scatolone. — Ma non provarci più. Una mossa cosi idiota può costarti la pelle. Se avessi tirato fuori la mano dalla camicia prima che riuscissi a bloccarti, eri 55

spacciato. — Si tolse di tasca una .32 e gliela sventolò sotto il naso. — Per poco non l'ho usata. Ma ero curioso di vedere che avevi. — Lanciò a Johnny un'occhiata sprezzante e scosse la testa. — Dai, vieni a mangiare qualcosa, svitato d'un pidocchio. Più rilassato, Johnny si rialzò e andò a sedersi alla tavola improvvisata. Sembrava che, dopo averlo quasi ammazzato, fossero sul punto di ac­ cettarlo; comunque, questo gli era chiaro, la deci­ sione finale dipendeva da quello che Stecco avrebbe saputo da Billy. Cominciò a mangiare, lo sguardo fisso sulle fiammelle tremolanti delle candele. Pelato apri una bottiglia di birra coi denti e ne mandò giù mezza. Johnny desiderava di cuore che lo trovas­ sero simpatico, che si fidassero di lui. Di nuovo osservò la testa lucida di Pelato, che rifletteva la luce delle candele come l'acqua notturna riflette una luna sfolgorante. E, prima ancora di render­ sene conto, stava chiedendo: — Quanti anni hai, Pelato? Pelato si bloccò e gli lanciò un'occhiataccia. — Che ti frega? Lucertola ridacchiò, ma smise subito. L'aria vi­ brava di tensione. Lucertola smise di masticare e il suo sguardo andò da Pelato a Johnny. — Mi chiedevo semplicemente com'è che hai perso tutti i capelli — spiegò Johnny, sorridendo. — Non sembri abbastanza vecchio da essere già calvo. Il pugno di Pelato scattò e Io colpi in mezzo agli occhi, spedendolo a terra; Johnny batté la te­ sta sul pavimento coperto di cenere e polvere di carbone, e un lampo di bianco gli tremolò davan­ 56

ti agli occhi. Troppo tardi si rese conto di avere affrontato un argomento proibito. Digrignando i denti, Pelato gli si fece addosso. — Alzati, pidocchio! — ordinò. — Te l'insegno a calci in culo, la lezione! — Non voglio fare a botte — disse Johnny. — Non avevo intenzione... Pelato si chinò, lo agguantò per la camicia e lo tirò in piedi. — Combatti, o t'ammazzo — ruggì. Johnny si divincolò, così furibondo da dimen­ ticare il pericolo. Pelato gli sferrò un destro po­ tente, ma Johnny lo schivò e si mise in guardia. Pelato gli sferrò un altro destro, e di nuovo Johnny lo schivò. Ormai sapeva che la zuffa era inevitabile e nessuna scusa sarebbe servita a im­ pedirla. Schivò un altro destro. Quando Pelato gli si slanciò contro, Johnny lo afferrò, ma la vio­ lenza della carica fu tale da mandarlo a sbattere contro lo scatolone. Prosciutto, pane, dolci e bot­ tiglie rotolarono a terra; le candele caddero e si spensero, immergendo la stanza nelle tenebre. — Riaccendi quelle candele! — urlò Pelato. — Un momento — borbottò Lucertola. — Fa' presto... che lo voglio ammazzare, que­ sto pidocchio! Adesso Johnny era deciso a combattere. Non poteva fare parte della banda se Pelato pensava di poterlo schiaffeggiare a piacere. Un fiammife­ ro avvampò: con ansia isterica, impaziente di as­ sistere al combattimento, Lucertola recuperò una candela e la usò per accendere le altre. Pelato, la testa calva incassata fra le spalle, girò intorno a Johnny e gli centrò la guancia destra con un col­ po poderoso. Johnny scosse la testa e si rannic­ 57

chiò in difesa, gli occhi vigili in attesa di un var­ co. Si, avrebbe combattuto all'ultimo sangue, se necessario. — Ti farò secco, bastardo — promise Pelato. — Vuoi stare fermo e farti pestare, o ti decidi a com­ battere? Johnny non rispose. — Te la sei voluta, pidocchio bastardo — rin­ ghiò Pelato. Lucertola osservava la scena con un sorriso te­ so, neutrale. Johnny arretrò sul pavimento scivo­ loso, cosparso di pezzi di prosciutto, schegge di bottiglia e fette di pane mollicce. Di colpo, capi l'umore di Lucertola: sperava che Pelato fosse sconfitto. Forse anche Stecco lo voleva. Si, era quella la sua prova d'iniziazione. Veloce come il lampo, Pelato si tuffò in avan­ ti e lo placcò, facendolo cadere e rotolandogli sopra. Maledizione! Avrebbe dovuto aspettarsi un trucco del genere. Senza lasciargli il tempo di riprendere fiato, le dita di Pelato gli strinsero la gola. Furente, Johnny s'inarcò con forza, scrollando­ selo di dosso, e tutti e due si rialzarono barcol­ lando. Pelato bestemmiò sottovoce e Johnny senti Lucertola trattenere il fiato, sorpreso. Pelato si slanciò di nuovo e lo centrò con un destro alla mascella, facendolo vacillare. — Razza di animale! — urlò Johnny. Come un automa, Pelato tornò a farsi avanti e gli piazzò un destro allo stomaco. Senza esitare, Johnny gli saltò addosso. Turbinarono per la stanza, le mani dell'uno strette intorno alla gola dell'altro, ansando e grugnendo. Pelato riuscì a liberarsi, ma subito Johnny si chinò e gli strinse 58

le ginocchia e, con uno sforzo immane, lo sollevò di peso, scaraventandolo sul pavimento. Pelato atterrò con un tonfo, rimbalzando. — Dio! — strillò Lucertola, eccitato. — Dio santissimo! Rantolando bestemmie, Pelato si rialzò vacil­ lando, la faccia madida di sudore e lacrime, la cupola calva sudicia di carbone e cenere, e gli si slanciò contro furibondo. Johnny indietreggiò e sollevò lentamente la scarpa destra, pronto all'a­ zione; appena il suo avversario gli fu addosso, piegò la gamba e fece oscillare il piede, mirando al mento. La scarpa incontrò il mento di Pelato con uno schiocco simile a uno sparo, spedendogli la testa all'indietro come se fosse stata strattonata da un filo d'acciaio. Pelato crollò a terra mugolando, sbavando saliva e sangue; ma, benché stordito, si rialzò quasi subito e urlò: — Sono io il capo della banda! Ti spacco la testa! Si guardò attorno rapido e, individuato un col­ tello arrugginito sul pavimento sabbioso, si chinò ad afferrarlo e si tuffò su Johnny, che indie­ treggiò al riparo dello scatolone rovesciato. Gli serviva un'arma per difendersi, ma quale? Si ri­ cordò delle bottiglie rotolate sul pavimento. Si, eccone li una, altrettanto pericolosa del coltello di Pelato. Si piegò sulle ginocchia e la raccolse, reggendola per il collo e puntando i bordi se­ ghettati contro la faccia dell'avversario. Adesso erano ad armi pari. — Zozza d'una zozza — mugolò in tono reve­ rente Lucertola. — Se mi colpisci, ti colpisco anch'io — giurò Johnny. 59

— Su... avanti... facciamola finita — accettò la sfida Pelato. Ma Johnny lo vide esitare e capi che pensava alla sua posizione di capo della banda ed era pe­ ricolosamente disperato. Quando Pelato andò all'attacco, Johnny era pronto e si mantenne al riparo dello scatolone. — Vieni a combattere — ringhiò Pelato, spu­ tandogli in faccia. Johnny si ripulì gli occhi dallo sputo; era furi­ bondo, ma sapeva di dover mantenere la calma. Provava l'impulso di slanciarsi contro quell'odioso bestione dalla testa pelata e tagliuzzargli la faccia, però temeva il coltello arrugginito che si agitava a mezz'aria. — Mi vendicherò di quel calcio, dovessi anda­ re all'inferno — sussurrò Pelato. — E io di quello sputo, dovessi morire — ri­ battè Johnny. Ormai anche lui voleva farla finita; lasciò guardingo la protezione dello scatolone, passan­ dosi la bottiglia nella mano sinistra, pronto a bloccare con la destra l'attacco del coltello. Pelato sogghignò. Aveva le labbra gonfie e in­ sanguinate. — Vieni, bello — lo pungolò Johnny. — Gesù Gesù — mugolò Lucertola. Johnny avanzò lentamente, puntando contro la faccia di Pelato, contro i suoi occhi, la bottiglia dal tagliente bordo seghettato, sperando di acce­ carlo con un colpo ben assestato. Pelato indie­ treggiò, avvertendo il pericolo. Si fermarono, te­ si, col fiato corto. Johnny fece una finta e Pelato saltò all'indietro. — Hai fifa, Pelato? — sogghignò beffardo, in­ 60

calzandolo con la bottiglia e facendolo arretrare fino a metterlo con le spalle al muro. — Sei arrivato al capolinea, Pelato — lo av­ verti Lucertola. — Se la fa sotto — si sforzò di ghignare Johnny. Era troppo: gettando ogni cautela alle ortiche, Pelato scattò in avanti, il coltello puntato contro il petto di Johnny. Fulmineo, Johnny mollò la bottiglia rotta e gli afferrò il braccio destro con entrambe le mani, stringendolo con tutte le sue forze. Si sentiva leg­ gero, quasi trionfante, perché la sua strategia aveva funzionato e non aveva più il coltello pun­ tato al cuore. Adesso era una prova di forza tra loro due, faccia a faccia. Pelato gli tirò una ginoc­ chiata dietro l'altra, ma Johnny non lasciò la pre­ sa e all'improvviso gli storse con forza il braccio, tirandolo all'indietro come un'ala di pollo. Pelato crollò a terra urlando, ma non mollò il coltello, e Johnny gli saltò sopra e gli morse il braccio, affondando i denti fino all'osso. Pelato urlò di nuovo e spalancò le dita, lasciando andare il col­ tello. Johnny scattò in piedi e, con un calcio, lo spedi lontano. Anche Pelato si rialzò e di nuovo si fronteggiarono, ancora una volta alla pari. No! Johnny aveva dimenticato la bottiglia rotta che aveva lasciato cadere. Adesso era nella mano de­ stra di Pelato! Furibondo, incurante della bottiglia, Johnny gli si tuffò addosso e lo sbattè contro il muro. La bottiglia sfuggi dalle dita di Pelato e la testa cal­ va si afflosciò. Johnny arretrò e colpi di destro, facendolo barcollare sul pavimento polveroso, poi lo tallonò, in attesa che la mascella insangui­ 61

nata dell'altro gli si presentasse con la giusta an­ golatura. Appena Pelato abbassò la guardia, Johnny lo centrò alla tempia con un colpo che gli spedi una fitta rovente per tutto il braccio. Pelato crollò a terra e restò immobile. Fuori di sé, Johnny gli saltò addosso, continuando a pestarlo come se volesse cancellare quell'animale una volta per tutte. — Ehi, basta — intervenne Lucertola. — Lo ammazzo — urlò Johnny. — No, no — strillò Lucertola. — Basta. Hai vinto! — Lo afferrò e lo trattenne. — Vacca zoz­ za — balbettò. — Certo che sai combattere. A testa bassa, Johnny si ritrasse ansimando in un angolo, cosi debole da stare in piedi a stento, gli occhi fissi sul corpo afflosciato di Pelato, sulla testa calva coperta di sangue e polvere di carbo­ ne. Era morto? Sperava di no. Non aveva mai avuto intenzione di lottare. Lanciò un'occhiata a Lucertola, che fissava sbalordito il suo capo sconfitto. In quel mo­ mento il ragazzo gli sarebbe potuto saltare ad­ dosso e batterlo senza problemi, ma Johnny in­ tuì che lo ammirava troppo anche solo per pen­ sarci. In effetti, quando Lucertola si voltò a guardarlo, i suoi occhi traboccavano di rispetto adorante. La porta si spalancò e Stecco entrò di corsa. Si fermò e fissò a bocca aperta il corpo immobile di Pelato, poi spostò Io sguardo interrogativo da Lucertola a Johnny. — Che è successo? — domandò. — L'amico ha steso Pelato — riferì Lucertola in tono di lento stupore. — È morto? — bisbigliò Stecco. 62

— No... Solo fuori combattimento — disse Lucertola. Di colpo, Johnny usci dal suo torpore. Acci­ denti, doveva vedere come stava Pelato. Non poteva lasciarlo là a morire... Si curvò lenta­ mente sulla forma immobile e toccò cauto la mascella gonfia. No, non era rotta, soltanto am­ maccata e sanguinante, ma a destra sembrava un pallone, la pelle nera tesa e lucida come una bolla enorme. — Ma com'è successo? — chiese Stecco, in­ credulo. — Lascia perdere — disse Johnny, assumendo istintivamente il ruolo del capo. — Piuttosto, procuratemi qualche straccio e dell'acqua fredda. Lucertola e Stecco si scambiarono un'occhiata. — Dannazione, muovetevi! — urlò Johnny, rialzandosi e ruotando verso di loro. — Non pos­ siamo lasciar morire quest'idiota! — Tastò la fronte di Pelato. — Gli sta venendo la febbre... Sottomessi, Lucertola e Stecco gli portarono un barattolo d'acqua e qualche straccio. Johnny inumidì gentilmente la mascella e la faccia di Pelato finché quello sollevò le palpebre ed emi­ se un gemito. — Come stai? — gli chiese Johnny. Pelato lo fissò con sguardo ottuso, come in so­ gno, poi batté le palpebre e sospirò: — Accidenti, mi hai battuto. — Sei arrabbiato? — chiese Johnny a voce bassa. — Diavolo, no. — Si leccò le labbra tumefatte. — Mi hai sconfitto. — Non volevo battermi — gli ricordò Johnny. — Ma senti che bugiardo — replicò l'altro, sconcertato. 63

— No, è vero — insistè Johnny. — Non ho paura di te, però non volevo battermi. — Allora sei un idota — affermò Pelato. — Perché? — Se sapessi battermi bene come te, non farei altro. — Già, ma perché? — Diavolo, per il gusto di sconfiggere tutti gli altri. — Io mi batto soltanto quando ho paura — spiegò Johnny. — Non mi è capitato spesso, a dire il vero. — Riprese a tamponare la mascella e la guancia di Pelato con lo straccio umido. — Devi avere parecchia paura, Pelato, per combat­ tere cosi... — Va' al diavolo — disse Pelato, ma in tono cordiale, rassegnato. Johnny si alzò, uni due banchi per formare una rozza brandina e, aiutato da Stecco e Lucer­ tola, sollevò Pelato e ce lo stese sopra. — E va bene, pidocchio — ansimò Pelato, an­ cora perplesso. — Poi sbottò: — Diavolo, se ti avessi battuto, t'avrei ammazzato. Perché non l'hai fatto? — Perché? — Johnny batté le palpebre. — Non mi va d'ammazzare nessuno. — Okay, pidocchio — mormorò Pelato, accet­ tando l'incomprensibile. Johnny si rese conto che Pelato non chiedeva né concedeva pietà, che era duro con se stesso come con gli altri, ma non riusciva a capire come un ragazzo potesse ridursi a vivere cosi. Provò a guardarlo negli occhi, ma quando Pelato sfuggi il suo sguardo, Johnny capi di averlo battuto in più d'un modo. Adesso Pelato lo temeva, temeva 64

che Johnny ne sapesse più di lui, sapesse fare co­ se a lui ignote. Sospirò, e Johnny comprese che, con quel sospiro, gli stava cedendo il suo ruolo di capo. — Okay — sospirò di nuovo Pelato. — Io vole­ vo ammazzarti. — Povero bastardo — mormorò Johnny, im­ pietosito. Pelato sorrise, sollevò la testa, scostò lo strac­ cio bagnato e scoppiò in una lunga, sonora risa­ ta. Lucertola e Stecco sorrisero, poi si unirono al­ la risata, sghignazzando come se fossero stati li­ berati da un regno di terrore. Johnny indietreggiò, disgustato. — Certo che l'hai pestato proprio bene, il ba­ stardo — cantilenò Lucertola. — Che lotta... l'ha colpito più duro di quanto abbia mai visto colpi­ re qualcuno. — Scoppiò in una risata isterica. — E quel calcio! Pelato non è caduto, macché: è sci­ volato a terra come burro fuso... — Ha davvero battuto Pelato? — chiese Stecco in tono umile. — Battuto? L'ha usato per spazzarci il pavi­ mento — affermò Lucertola, elevando la zuffa al livello di leggenda. — Neanche ho visto il piede, quando gli hai mollato quel calcio alla mascella. Ho visto soltanto la gamba che si riabbassava. Pelato stava li, e il pavimento si è sollevato e gli è finito dritto in faccia. Ah, ah! — Scosse la testa, godendosi il ricordo dei colpi e dei calci. — Spe­ ro che nessuno mi tiri mai una pedata cosi. Ehi, pidocchio, hai mai giocato a calcio? Johnny non rispose; stava assaporando il suo trionfo, chiedendosi cosa ne avrebbe ricavato. — Dovresti giocare a calcio — insistè Lucerto­ 65

la, senza prendersela per la mancata risposta. — Accidenti, potresti ammazzare un uomo, con un calcio cosi, lasciarlo stecchito. Anche Pelato rise, e Johnny capi che ormai pensava al combattimento tra loro due come se non fosse stato lui la vittima, come se fosse suc­ cesso a qualcun altro. — Neanche ho capito che cosa m'aveva colpito — disse Pelato, contribuendo a fondare il mito della propria sconfitta. — Dopo quel calcio, ero del tutto sballato. Neanche stavo in piedi. — Scosse la testa. — Sei davvero in gamba. — Tac­ que e soppesò Johnny con lo sguardo. — Bene, vedremo come te la cavi quando ti si ripresen­ terà l'occasione... — Quale occasione? Che vuoi dire? — chiese Johnny, a disagio. — Vedrai... — rispose Pelato, enigmatico. — Sei un vero sciacallo — disse Stecco. — Sicuro, uno sciacallo — concordò Lucertola. — Sciacallo... Questo si che è un bel nome — assenti Pelato con un sorriso sognante. — Devi essere uno sciacallo, se non vuoi farti ammazzare — disse Johnny, senza capire bene il significato nascosto dietro le loro parole. — Bene, Sciacallo — cantilenò Stecco. — Cosi si combatte — mugolò Pelato. — Con le mani e i piedi e i denti! Se mai ci batteremo di nuovo, prima ti farò togliere le scarpe... ah ah! — Dicono che anche i musi gialli combattono coi piedi — disse Stecco. — Come sta la tua mascella? — chiese Johnny. — Ti fa male? — Be', si... un po' — ammise Pelato senza vergogna. 66

— Andrà meglio se resti tranquillo — gli con­ sigliò Johnny. — Diavolo, non è niente. — Non avresti dovuto puntarmi contro quel coltello — disse Johnny, cercando di fare am­ menda per il calcio alla mascella. — Sempre il solito vecchio Pelato — intonò Stecco. — Ti stecchisce, se lo fai arrabbiare — gli fece eco Lucertola. — Però adesso non si batterà più con te — as­ sicurò Stecco a Johnny. — No, non voglio più battermi con te — annui Pelato. — Certo che l'hai distrutto, il bastardo! — strillò Lucertola. Pelato era caduto, e nessun insulto era abba­ stanza duro per lui. La banda aveva un nuovo capo e, anche se ancora non era stato ufficial­ mente ribattezzato Sciacallo, si aspettavano che prendesse il comando e li guidasse, insegnasse loro i suoi metodi per sconfiggere i nemici, pro­ curarsi cibo e riparo. Stecco e Lucertola si rivolsero apertamente a Johnny. — Sciacallo, stanotte hai fatto davvero centro — disse Stecco. — Hai cacciato in buca tutt'e otto le palle, una dietro l'altra — rincarò Lucertola. — Ha vinto la partita — ammise Pelato. — E, dopo averla vinta, mi ha pure sbattuto la stecca in testa. Johnny li ascoltò sghignazzare. Pelato tentò di mettersi seduto e ricadde indietro, stordito. — È fuori gioco — commentò Stecco. 67

— Si è agitato troppo; dovrebbe riposare — disse Johnny. Sistemò il suo giubbotto arrotolato dietro il cranio liscio di Pelato e gli senti il polso. — Sta bene — ghignò Lucertola. — L'ho visto peggio di cosi. Johnny osservò il cranio lucido di Pelato, sen­ tendo tornare la curiosità che aveva dato il via alla zuffa. — Quanti anni ha, Pelato? — domandò. — Sedici — rispose Stecco — ma nessuno ci crederebbe. La risata di Lucertola e Stecco informò Johnny che Pelato veniva ripagato per la paura e le umi­ liazioni inflitte ai suoi seguaci. — È stata la pelata a farlo diventare cosi caro­ gna — rivelò Lucertola. Gli occhi di Pelato si aprirono incerti, ma i suoi amici d'un tempo non gli dedicarono la minima attenzione: parlavano come se neanche fosse presente, e lui ascoltava rassegnato, lo sguardo sofferente, vitreo. — Ma com'è diventato calvo? — insistè Johnny. — Be' — disse Stecco, godendosi ogni parola — due anni fa, a scuola, si è preso una brutta ti­ gna. Prima o poi se la beccano tutti, ma la sua era speciale, massiccia. Ce l'avevano anche un sacco di ragazzi bianchi della sua classe. Cosi l'inse­ gnante li ha spediti tutti dal preside, e il preside ha telefonato all'ospedale, e l'ospedale li ha man­ dati a prendere di volata. È arrivata un'ambulan­ za e li ha portati via in grande stile. Johnny li ascoltò sghignazzare tutti e tre. — E poi? — insistè. 68

— Be', quando arrivarono all'ospedale — ri­ prese Stecco, — li infilarono tutti sotto le macchi­ ne a raggi X per ammazzare la tigna. E c'erano graziose infermiere bianche a tenerli per la mani­ na perché non si spaventassero... Questo fece ridere tutti e quattro. — Pelato aveva un sacco di capelli, allora — ri­ ferì Stecco. — Dunque, se ne stava seduto sotto i raggi X, proprio come i bianchi, chiaro? Ma an­ che le infermiere erano bianche, e naturalmente facevano più attenzione ai ragazzi bianchi. Di Pelato se ne scordarono proprio. E poi, tutt'a un tratto, lui si sentì andare a fuoco la testa. I raggi X gli stavano friggendo il cervello! Rise a lungo, pigramente. — Pelato urlò: «Ehi, spegnete questa macchi­ na! Mi cuoce la testa!». Una graziosa infermiera bianca arrivò di corsa e diede un'occhiata, poi schioccò la lingua. «Oh, dottore!» chiamò. «Spen­ ga la macchina, svelto! Questo negretto è stracot­ to... Gli cola il grasso dalla testa!» Pelato era così sopraffatto dall'allegria che mu­ golava. Stecco batteva i pugni sopra lo scatolone e Lucertola pestava i piedi, saltellando nella stanza illuminata dalle candele. — E poi che è successo? — Be', lo vedi da te, che è successo. — Stecco indicò il cranio lustro di Pelato. — Quei raggi X gli hanno distrutto i capelli. — E Pelato che cosa ha fatto? — Che cosa ha fatto? — chiese ironico Stecco. — L'ha detto ai suoi, e quelli hanno riso fino al­ le lacrime. Sai che gli ha detto, sua madre? «Ben ti sta. Almeno adesso hai qualcosa che non ti ho dato io!». 69

— E allora che hai fatto, Pelato? — incalzò Johnny. — Le ho sputato in faccia. E me ne sono anda­ to di casa. Johnny sospirò, ricordando la propria fuga. — I dottori bianchi si erano spaventati — con­ tinuò Stecco. — Temevano che Pelato gli facesse causa, cosi ce l'hanno messa tutta per fargli ricre­ scere i capelli, ma quei raggi X avevano fatto un lavoro troppo buono. Pelato è uscito dall'ospeda­ le con la testa che luccicava come se fosse cospar­ sa di brillantina, lucida come la luna. — Ululò divertito. — Sembrava che avesse cinquant'anni. La gente lo fermava per strada per chiedergli: «Ehi, nonnetto, sai mica dov'è Lennox Avenue?». E quando lui rispondeva con la sua vocetta pigo­ lante, scappavano impauriti. — Si esibì in un'i­ mitazione della voce di Pelato: — «È proprio lag­ giù, a due isolati...». E loro se la davano a gam­ be, pensando d'aver incrociato un nuovo tipo di femminuccia! — L'hai presa male, eh, Pelato? — chiese Johnny, impietosito. — Male? — ghignò Stecco. — Male è dire po­ co. Alla fine ha smesso di andare a scuola. Quan­ do entrava in classe, ragazzi e ragazze saltavano su e strillavano. Ogni volta che apriva bocca, era uno sfracello. — Non avrebbero dovuto — mormorò Johnny, gli occhi pieni di compassione. — Amico, neanch'io riuscivo a trattenere le ri­ sate — disse Stecco. — Lui mi batteva come un tappeto, ma io ridevo e ridevo. — Ma perché, Stecco? — chiese Johnny, acci­ gliandosi. 70

— Era troppo buffo. Così, un giorno, Pelato si è alzato, è uscito dall'aula e non è più tornato. Gli ispettori scolastici l'hanno cercato, ma lui portava sempre un berretto. — È per questo che hai lasciato la scuola, Pela­ to? — chiese Johnny. — Già — confessò Pelato. — Volevano che portassi una parrucca, però le parrucche mi fan­ no sudare la testa... — Poi Billy ha trovato questo posto e abbiamo messo insieme la banda — disse Lucertola. — Ma, Pelato, non avrei mai pensato di vederti crollare cosi... Ah, ah! — Non preoccuparti — brontolò Pelato. — Posso darti una ripassata quando vuoi. Risero di nuovo, lieti di risentire il solito, vec­ chio Pelato. — Se provi a toccarmi, ti scateno contro Scia­ callo — lo minacciò Lucertola. Pelato riuscì a mettersi seduto, gli occhi seri. — Non voglio battermi — affermò con im­ provvisa fermezza. — Lascio la banda. Lucertola e Stecco lo fissarono sbigottiti. Johnny rifletté rapidamente: senza Pelato la ban­ da si sarebbe sciolta; e, se la banda si fosse sciol­ ta, che fine avrebbe fatto lui? No, non poteva permettergli di andarsene. — Non puoi — disse. — Be', ora il capo è Sciacallo — borbottò Lu­ certola. — Non puoi mollare — ribadì Stecco. — Perché no? — domandò Pelato. — Per lo stesso motivo per cui non posso farlo io — affermò Johnny, con voce dura. — Potresti tradirci. 71

— Questo è parlar chiaro — assenti Lucertola. — Sentito? — chiese Stecco a Pelato. — Ci sei dentro quanto noi — gli ricordò Lu­ certola. — Ora è Sciacallo, il capo — concluse Stecco. Silenzio. Johnny tremava, insieme spaventato e contento di essere diventato il capo della ban­ da: contento perché finalmente aveva attraversa­ to la frontiera dell'infanzia ed era diventato uo­ mo; spaventato perché temeva di deludere i suoi nuovi amici, perché non si sentiva abbastanza duro e brutale. Ma che poteva fare? Se avesse ri­ nunciato a quello che aveva conquistato senza volere, lo avrebbero odiato... forse abbastanza da ucciderlo. No; doveva simulare un coraggio che non sentiva e andare avanti. — Bene. Ora ripuliamo un po' questo posto — ordinò. Mentre risistemavano la stanza, Johnny era tormentato dalla curiosità di sapere che cosa Bil­ ly avesse detto a Stecco, però non gli andava di chiederlo. — Ho ancora fame — annunciò Lucertola. — Anch'io — disse Stecco. — Accidenti, Pelato — sbuffò Lucertola — non fosse stato per te, avremmo cenato. — Lascialo in pace — lo rimproverò Johnny. — Va bene, Sciacallo. Che facciamo? — chiese Lucertola. — Che programmi avevate? — Andare a Morningside Park e dare una ri­ passata a qualcuno per alzare un po' di grana — lo informò Pelato. — Non ho mai fatto una cosa del genere — protestò Johnny. 72

— È un giochetto da niente — gli assicurò Pe­ lato. — Ti facciamo vedere noi. Orgoglio e paura lottavano in Johnny mentre fissava i suoi ammirati seguaci, pronti ad accet­ tare la sua parola come legge. — Hai fifa, Sciacallo? — chiese Stecco. — Per niente — menti Johnny. — È solo che non so come si fa. Dovrete mostrarmelo. — È facile — disse Pelato. — Ci nascondiamo dietro i cespugli e aspettiamo che arrivi un bian­ co... uno con la grana. Poi Stecco va da lui e gli chiede: «Per piacere, signore, me la dà una cic­ ca?». E quando il bastardo fa per prendere le si­ garette, lo agguantiamo, gli piazziamo una mano sulla bocca, un braccio intorno al collo, un ginoc­ chio contro la schiena, poi lo sbattiamo a terra e lo lasciamo in mutande. L'importante è fare in fretta. — Tacque e scrutò Johnny. — Puoi farcela. Sei più svelto di chiunque abbia mai visto. — D'accordo — assenti Johnny. — Però ditemi di nuovo come si fa. Pelato si alzò e ripetè la scena; cosi facendo, stava consegnando lo scettro del comando a Johnny. — Stecco ha la voce adatta — gli fece presente. — È alto e tutti lo credono più vecchio della sua età. Lui ferma il bianco e gli chiede qualcosa. Io salto fuori dai cespugli, lo incravatto in piena re­ gola, strizzandolo fino a togliergli il fiato, e gli pianto un ginocchio nella schiena. Il bianco si ammoscia come una stecca di cioccolato quando fa troppo caldo. Intanto, Lucertola e Stecco e tu saltate sul bastardo come un milione di formiche su una mosca morta, chiaro? Lui non può urlare. Io gli bisbiglio: «Un fiato, amico, e sei morto!». 73

Tu, Lucertola e Stecco gli frugate nelle tasche. Ci vuole meno di un minuto. Più grossi sono, più si fa in fretta. I piccoletti non riesci a tenerli bene e si agitano come bisce; uno è perfino riuscito a sfuggirmi, una volta... Pronto? — D'accordo. — Johnny annui. — Andiamo. — Era nervoso. Se avesse fatto una cosa del ge­ nere, sarebbe stato tagliato fuori per sempre dal mondo che aveva conosciuto fino allora. Però doveva mangiare. — L'essenziale è essere veloci. Se il bastardo non ha soldi, gli togliamo i pantaloni e filiamo, chiaro? — Che ore sono? — chiese Johnny. — L'una passata — rispose Lucertola, lancian­ do un'occhiata all'orologio. — Billy ha detto che sei un duro — disse final­ mente Stecco. A Johnny sfuggi un sospiro. — Tutto bene, Sciacallo? — chiese Pelato. — Pronto, Sciacallo? — chiese Lucertola. — Ti stiamo tutti dietro — promise Stecco. Johnny deglutì e conficcò le unghie nei palmi sudati. — D'accordo! Andiamo. — Si mise in moto, guidandoli verso le strade buie, spazzate dal vento freddo e illuminate da una luna sfinita.

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Capitole/ 5

Avanzavano ingobbiti, in modo da nascondere il viso ai passanti. Johnny osservò i movimenti dei suoi compagni e li imitò, ansioso di compor­ tarsi bene nello strano mondo tenebroso dov'era entrato lottando; eppure, dal profondo gli saliva un grido di protesta contro quello che stava fa­ cendo. Ci fosse stato un modo per tornare alla sua vecchia casa, l'avrebbe fatto, ma dal momen­ to che gliene toccava una nuova, voleva essere lui a sceglierla. Segui Pelato, notando che Stecco e Lucertola restavano alla retroguardia. Senti il respiro affan­ noso di Pelato e capi che era ancora malconcio. — Pigliatela calma — gli disse, passandogli un braccio intorno alle spalle. — Sto bene — borbottò Pelato. — Se hai la febbre, potresti prenderti la polmo­ nite — lo avverti Johnny. — Com'è che la sai cosi lunga? — Oh, questo lo sanno tutti — rispose Johnny, disinvolto. — Macché, per niente — replicò Pelato. Raggiunsero un incrocio, mantenendosi nell'ombra dei palazzi e girando la faccia se passava qualcuno. 75

— Ora fai parte della banda — cominciò Pela­ to in tono basso, serio. — Perciò dobbiamo dirti tutto. — Sicuro — disse Johnny. — Ma se vai a raccontarlo in giro ti giochi la pelle — prosegui Pelato. — Perché per noi sareb­ be la fine. Vedi, abbiamo calcolato tutto, fino al­ l'ultima virgola. Di notte usiamo la stanza nello scantinato della scuola, ma di giorno abbiamo un altro posto. Prima o poi avremo una casa tutta per noi. Ora sei il capo, e dovrai occupartene tu. — Dove stiamo, di giorno? — chiese Johnny. — Dalle parti della Centotrentatreesima. — In una stanza? — No; Nell'appartamento di un tale che cono­ sciamo. È un ricetta, capisci? — Un ricetta? — Ma si... vende la roba che grattiamo. — Pe­ lato ridacchiò. — Imparerai. Ceffo, si chiama. E Ceffo è il nostro ricetta, chiaro? Smercia quello che gli portiamo e ci tiene fuori dai guai. — Oh — borbottò Johnny. — La cosa più importante, in questo gioco, è trovare un buon nascondiglio, evitare le strade di giorno. Io non circolo mai più di mezz'ora alla volta. In questo modo, nessuno può riconoscerti. — Capisco. — È un anno che andiamo avanti cosi, e non ci hanno ancora beccati — prosegui Pelato. — Sia­ mo al sicuro, se teniamo la bocca chiusa e non ci mettiamo in mostra. È un lavoro come un altro. Fallo bene, e guadagni bene. Ma se fai la spia il principale ti acchiappa... — Il principale? Vuoi dire Ceffo? — No. Voglio dire gli sbirri. 76

— Gli sbirri sarebbero il nostro principale? — chiese Johnny, sentendo traballare la sua visione del mondo. — Sicuro. Ceffo vende la roba che grattiamo a un contatto ebreo e, con quello che incassa, ci pa­ ga gli sbirri. Mettiti contro gli sbirri e sei finito. Ora, noi... — S'interruppe, scrutando la notte. — Uno sbirro — bisbigliò. — Devi stare sempre pronto a evitarli. — Si voltò verso Stecco e Lucer­ tola. — Filate — bisbigliò aspro. — Ci vediamo all'ingresso del parco. I due ragazzi svanirono come fantasmi, dissol­ vendosi nell'oscurità. — Seguimi — disse Pelato, sfrecciando verso destra. Johnny gli corse dietro; notò che Pelato corre­ va senza fare rumore e lo imitò, sollevando il pe­ so sulle punte per ridurre il fruscio delle scarpe. — Meglio che usi scarpe da ginnastica — an­ simò Pelato appena rallentarono. — Bene, ora possiamo fermarci. — Ridacchiò. — Ah, ah! Quello sbirro ci conosceva. — Allora perché siamo scappati? — Perché, se ci vede, magari si sente obbligato a pizzicarci... nel caso qualcuno lo tenga d'oc­ chio — spiegò Pelato. Passarono davanti a case dalle finestre enor­ mi, buie e silenziose. Di tanto in tanto incrocia­ vano rari passanti, ma Pelato non li degnava di un'occhiata. — È quasi l'ora giusta per beccare qualche im­ becille bianco — commentò. — Gente, a certi bianchi dobbiamo sembrare parecchio strani, noi di Harlem. Ce n'è sempre qualcuno... soldati, specialmente, che arrivano sperando di rimor­ 77

chiare qualche puttanella. Ci odiano, però sbava­ no dietro alle nostre donne. — La voce di Pelato si fece minacciosa. — Una notte incrocio un bian­ co giovane, tutto ripulito, un po' sbronzo, e mi fa: «Ehi, capellone, dov'è che rimedio una polla­ stra nera?». M'aveva chiamato "capellone" senza neanche fare caso alla mia faccia. Avevo voglia di ammazzarlo su due piedi, ma ho aspettato. «Vuoi una pollastra?» gli chiedo. «Sicuro, una pollastra e un po' di whisky» dice lui. E io: «Co­ me no, so dove puoi trovare tutt'e due». Cosi l'ho portato dentro un palazzo, ho aperto una porta e ho detto: «Aspetta qui». «D'accordo» fa lui. Sorrideva. Com'è che i bianchi si fidano di noi, dopo tutto quello che ci hanno fatto? Al po­ sto loro, non mi fiderei mai d'un bastardo ne­ gro... Insomma, mentre era li che aspettava e pensava a una pollastra nera tutto fuoco, ho tira­ to fuori il coltello a scatto. Gente, quando gliel'ho cacciato dritto in pancia, ha fatto solo «Urrrrfff!» ed è andato giù come un masso. — Lo hai accoltellato? — Poi mi hanno detto che è morto. C'era sul giornale — riferì Pelato, impassibile. — Ma non sono rimasto a godermi la scena. Ci ho ricavato centosettanta dollari, dalle tasche di quello scara­ faggio. Raggelato, Johnny continuò a camminare con la sensazione di trovarsi in un incubo. Il vento notturno era freddo sulla sua fronte, ma quando la strofinò scoprì che era sudata. — E poi cos'è successo? — Niente. L'hanno trovato e gli hanno fatto un funerale militare, credo — rispose Pelato. — Non mi piace uccidere. 78

— Senti, Sciacallo, non fraintendermi — prote­ stò animatamente Pelato. — Non è che mi vanto d'averlo ucciso. Ma, diavolo, prima o poi finisci per stendere qualcuno. Qualcuno ci rimette sem­ pre la pelle. È solo questione di tempo. La cosa giusta è darsi da fare perché tocchi all'altro. — Hai ammazzato molta gente? — chiese Johnny a denti stretti. — Ehi, non farmi peggiore di quello che sono — lo rimproverò Pelato, offeso. — Se continui con questo lavoro, scoprirai da te cosa va fatto. Johnny provò l'impulso di rifugiarsi in una di quelle case buie, di bussare alla porta ed essere accolto nel tepore di un luogo dove si viveva fra sorrisi e fiducia; avrebbe voluto inginocchiarsi davanti a una vecchia nera e singhiozzare: «Aiu­ tami... Non posso fare queste cose!». Ma era im­ possibile; avrebbero chiamato la polizia e lo avrebbero sbattuto in galera. Era assurdo anche solo pensare di ritrovare una casa. Non poteva chiedere aiuto a nessuno. Doveva restare con Pe­ lato, Stecco e Lucertola. — In gamba — bisbigliò Pelato. — E occhi aperti. Ci siamo quasi. Stecco e Lucertola li raggiunsero, rasentando i palazzi. I lampioni ardevano come torce gialle nelle strade vuote e silenziose, e la luna incom­ beva sull'orizzonte frastagliato dei tetti. Il mar­ ciapiede vibrò del rimbombo veloce di un treno sotterraneo. — Un treno in arrivo — disse Pelato. — An­ diamo ad aspettare nel parco. Johnny lo segui su un sentiero di terra battuta e si accovacciò al suo fianco, vicino a un muretto di granito che bordava un pendio erboso. Erano 79

nascosti da un cespuglio e, sporgendosi oltre il muro, Johnny poteva vedere il sentiero scuro al­ largarsi davanti a lui. — Aspettiamo — disse Pelato. — Sei con noi, Sciacallo? — bisbigliò Stecco. — Fino in fondo — Io rassicurò Johnny. Pelato si distese sopra il muretto, mentre Stec­ co prendeva posizione sul sentiero e Lucertola s'inginocchiava dietro un cespuglio. Sopra di lo­ ro splendevano la luna e poche stelle solitarie. Teso, Johnny studiò ogni dettaglio, deciso a im­ parare come andavano certe cose; eppure il fie­ vole ricordo di una casa turbava ancora la sua decisione. Da dov'era, poteva sentire il respiro quieto della città, simile a un animale pronto al balzo. Sussultò, quando Pelato disse a voce alta: — Niente imbecilli, per stavolta. Aspettiamo. — Oh, qualcuno arriverà — disse Lucertola. — Spero che sia imbottito di grana — aggiun­ se Stecco. — Come fate a sapere se hanno soldi? — chie­ se Johnny. — Facile — rispose Pelato. — Salta agli oc­ chi... La settimana scorsa abbiamo beccato un professore universitario... — Uno di quelli che insegnano alla scuola sul­ la collina? — Sicuro. — Pelato ridacchiò. — Dopo abbia­ mo letto sui giornali che era un cervellone, capa­ ce di calcolare quant'è lontana la luna. Quando l'ho gettato a terra, quel bastardo strillava: «Non picchiatemi, ragazzi! Vi sbagliate a pensare che sono contro la vostra gente... Amo la vostra raz­ za!». — Rise sguaiatamente. — Quel bastardo sa­ peva cosi bene quante carognate ci hanno fatto i 80

bianchi, che appena l'ho acchiappato si è messo a strillare: «Non sono stato io ad ammazzare la tua mamma!»... Tutti e quattro risero piano nel chiaro di luna. — Avete mai aggredito un nero? — Si. Bianchi, neri, sono tutti uguali — rispose Pelato. — Però io preferisco rifarmela con un bianco — precisò Stecco. — Già. In un certo senso sembra più giusto — aggiunse Lucertola. — Sssh! — ordinò Stecco. Silenzio. Johnny drizzò le orecchie. Qualcuno si avvicinava a passo svelto. Stecco l'avrebbe bloccato? C'erano sbirri, nelle vicinanze? Li avrebbero presi? Sentendo i passi avvicinarsi, trattenne il fiato e strinse con più forza il bordo di granito. Vide Pelato irrigidirsi. I passi si fecero sempre più vicini, li superarono. Stecco aveva deciso di non aggredire l'uomo? Che succedeva? Tap-tap-tap... I passi si allontanarono. — Allora, Stecco? — chiese Pelato. — Un morto di fame — ghignò Stecco. — Se gli piove sulla giacca, si restringe tanto che lo strozza! Una risata esplose e si spense. — Ssshh! — avverti di nuovo Stecco. Johnny vide comparire all'orizzonte un bian­ co. Tap-tap-tap... Era alto, ben vestito, con un bastone da passeggio. L'istinto gli disse che quella era la loro vittima. Tap-tap-tap... I passi si fermarono. La voce di Stecco risuonò tranquilla, innocente: — Mi scusi, signore... Come ci arrivo alla Cen­ toventicinquesima? Non sono di queste parti. 81

Johnny si stupì per l'abilità di Stecco. Poi sentì la voce del bianco: — Oh, ah, ah... Per un momento ti avevo pre­ so per uno di quei delinquenti. E bello vedere un ragazzo di colore beneducato, tanto per cambia­ re. Dunque, prosegui in questa direzione e sei subito a Morningside Avenue. Poi svolta a de­ stra. Abiti da quelle parti? Ci fu un trapestio, poi un grugnito. Johnny cercò con gli occhi Pelato e Lucertola, ma erano già scattati. Le cose andavano troppo in fretta per lui. Si slanciò all'aperto e fu stupefatto di ve­ dere che l'uomo era inchiodato a terra, il collo stretto dal braccio di Pelato, la faccia pallida e impotente inclinata verso il cielo, la bocca aperta a mostrare i denti. Lucertola e Stecco gli stavano rovistando nelle tasche, tirando fuori carte, un fazzoletto... Non una parola fu pronunciata. Si sentiva solo il respiro rantolante del bianco... Johnny si avvicinò. Stecco scattò su, sibilando: — Fatto! — Spogliatelo; è robusto — ordinò Pelato. Quello che seguì fu così rapido che gli occhi di Johnny riuscirono appena a seguirlo; Stecco slac­ ciò la cintura dell'uomo e Lucertola gli strappò via i pantaloni, in modo da lasciarlo mezzo nudo e impedirgli così di correre a dare l'allarme. — Toglietegli le scarpe! — ordinò Pelato. Stecco arraffò le scarpe dell'uomo. — Adesso allento la stretta, imbecille — sibilò Pelato. — Non muoverti! — D'accordo, d'accordo... Prendete pure i sol­ di, ragazzi, ma non fatemi del male... — Zitto! — disse Pelato, agitandogli contro il coltello. 82

Lanciò un fischio basso e corse via. Come au­ tomi, Stecco e Lucertola, con Johnny alle calca­ gna, lo seguirono slittando sull'erba umida. Cor­ rendo, Johnny si voltò per lanciare un'ultima oc­ chiata alla loro vittima e fu sbigottito al vedere una donna ferma accanto a lui! Cos'era successo? Senti un grido: — Voi, ragazzi! Qualcuno li aveva visti? L'immagine dell'uo­ mo e della donna gli s'incollò alla mente: due sa­ gome nitide nel chiaro di luna. Le grida della donna si fecero più acute: — Voi, ragazzi! Voi, ragazzi! Si, era una nera... L'aveva vista chiaramente. Avrebbe voluto dire ai suoi compagni che una donna aveva assistito all'aggressione e adesso urlava a pieni polmoni, ma Pelato, Lucertola e Stecco lo avevano distanziato. Doveva gridare loro di fermarsi? No, avrebbero pensato che ave­ va paura. Ma sentiva ancora le urla della donna: — Voi, ragazzi! Voi, ragazzi! Ed era sicuro che i suoi compagni non l'aves­ sero sentita. — Fermi, ora — ordinò Pelato quando furono vicini a una strada. Si riunirono, ansanti. Johnny si chiese se fosse il caso di parlare della donna che urlava, che for­ se li aveva visti. No. Però aveva l'impressione che la donna li avesse inseguiti, che avanzasse verso di loro nel parco. — Infila scarpe e pantaloni sotto il giubbotto — ordinò Pelato a Stecco. — Fatto. — Hai il portafoglio? — chiese Lucertola. — Diavolo, si — rispose Stecco. 83

— Allora, che te ne pare? — chiese Pelato, sor­ ridendo a Johnny. Johnny esitò un istante, poi disse: — Liscio come l'olio. — Pensi di farcela? — chiese Stecco. — Sicuro. Non è niente. Di nuovo Johnny si chiese se parlare della donna; voltò la testa e scrutò il parco, ma non vi­ de nessuno. Se l'era forse immaginata? Ma no: l'aveva vista, l'aveva sentita. Gli sembrò di ve­ derla correre, cercandoli, e avrebbe voluto che li trovasse. — Che c'è, Sciacallo? — chiese Pelato. — Hai visto qualcuno? — No. Tengo soltanto gli occhi aperti — bor­ bottò Johnny. — Giusto. Occhi aperti. — Dove andiamo, ora? — Da Ceffo — rispose Pelato. Fissò Johnny. — E se adesso incontrassimo uno sbirro? Che fac­ ciamo? — Ci separiamo — rispose lentamente Johnny, sentendo ancora la donna gridare, vedendola nella mente. — E poi? — incalzò Pelato. — M'infilo in un portone — disse Johnny, sempre chiedendosi se parlare della donna che aveva intravisto. — Non basta — lo corresse Pelato. — Entri in un portone e sali sul tetto, chiaro? Dopodiché passi su qualche altro palazzo. Quando arrivi a una scala antincendio, allora puoi scendere. — Chiaro — disse Johnny, tenendo stretta al cuore, fiera e segreta, la presenza della donna. Con Johnny e Pelato in testa, e Stecco e Lucer84

tola a una ventina di metri di distanza, percor­ sero otto isolati fino alla tana di Ceffo. Ma la mente di Johnny era ancora piena della fuga e della donna misteriosa che aveva visto e senti­ to. Di tanto in tanto, non riusciva a fare a meno di voltarsi. — Cos'è che ti preoccupa? — chiese Pelato. — Niente — mormorò, scontroso. — Stecco e Lucertola sanno badare a se stessi — lo rassicurò Pelato. — Sta' calmo. Si fermarono davanti a un alto edificio di arenaria.

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Capitola fa

Johnny segui Pelato dentro il portone e su per le scale, sentendo dietro di sé i passi di Stecco e Lu­ certola. Si augurò che la donna li avesse pedina­ ti. Ma perché? Voleva già tradire i compagni? No, non desiderava essere acciuffato. Oppure si? Si fermarono sul pianerottolo del quinto piano e Pelato batté tre volte, poi una. Si senti rumore di passi, lo scatto di un chiavistello; poi una catena sferragliò e la porta si apri lentamente. Nello spiraglio comparve un nero alto, pelle e ossa; il collo ricordava un ramoscello nero e sec­ co, ma la testa era enorme, gli occhi larghi e sporgenti e acquosi. Johnny lo trovò ripugnante, e ancora una volta l'immagine della donna nel parco gli si librò suo malgrado nella mente. Ma se parlava di lei adesso, gli avrebbero chiesto perché non l'avesse fatto subito. Guardando Ceffo, desiderò ancora di più che la sconosciuta li scoprisse... — Facci entrare — disse Pelato. La bocca socchiusa di Ceffo, dalle labbra pen­ dute, lasciava intravedere denti macchiati e radi; a Johnny ricordò un ratto in silenziosa attesa. — Entrate. — Ceffo parlò a voce bassa, rapida. — Fa freddo in corridoio. 87

— Vieni, Sciacallo — lo invitò Pelato con un cenno. — Ehi — latrò Ceffo, allargando le braccia. — E questo chi è? — Adesso te lo dico — promise Pelato. — Fac­ ci entrare. Johnny provò il desiderio folle che Ceffo non lo facesse entrare, che lo ricacciasse nelle fredde strade buie, permettendogli cosi di trovare la donna del parco. — Okay — bofonchiò Ceffo, scrutando Johnny. — Non mi avevi detto che c'era uno nuovo. — È a posto — disse Pelato. — Che fa? — s'informò Ceffo. — È un Vagabondo, come noi — spiegò Pelato. Gli occhi di Ceffo sorrisero, ma le labbra non si mossero. — Anche tu scappato di casa, eh? — chiese a Johnny. — Già. — È il nostro capo, da ora — lo informò Pela­ to. — E un tipo fantastico. — Un assassino nato, se mai ne ho visto uno — intervenne Stecco. — Lo chiamiamo Sciacallo — aggiunse Lu­ certola. — Dove l'avete pescato? — chiese Ceffo. — Ce l'ha mandato Billy — rispose Pelato. — Oh. Va bene — disse Ceffo, chiudendo la porta. — Com'è andata, stanotte? Stecco gli tese il portafoglio, un orologio e una spilla da cravatta. — Non abbiamo toccato il portafoglio — disse Pelato. — Non sappiamo quanto c'è. — Ve lo dico subito. 88

Ceffo si diresse verso un tavolo e svuotò il por­ tafoglio. Johnny si guardò intorno a disagio; la stanza somigliava a un grande magazzino: pile di camicie, macchine fotografiche e da scrivere, radio... Ceffo segui il suo sguardo e ridacchiò. — Mai visto tanta roba tutta insieme, eh? — chiese. — No — sospirò Johnny, pensando alla donna che correva nel parco. — Un bottino niente male — disse Ceffo, sven­ tolando un fascio di biglietti verdi. Esaminò l'oro­ logio e la spilla. — Cinquanta a testa. D'accordo? — D'accordo. — disse Pelato. — Dalla prossi­ ma volta tratti con Sciacallo, chiaro? — Cinquanta dollari ti vanno bene, Sciacallo? — chiese Ceffo. — Vanno bene. Ceffo contò i biglietti in ogni palmo teso. — Allora, Sciacallo, che effetto fa? — chiese Ceffo, consegnandogli un rotolo di banconote. — Buono. Hai un bel posticino, qui — bor­ bottò Johnny. — Parla come un professore — disse Ceffo, e tutti risero. — Sentite, un colpo come questo po­ trebbe smuovere gli sbirri. Meglio che restiate al coperto, per stanotte. — D'accordo — disse Pelato. — Sistematevi nel retro, se avete sonno — sug­ gerì Ceffo. — Io sono stecchito — disse Pelato. Ceffo li precedette in un corridoio stipato di roba e indicò una fila di brande in una stanza sul retro. — Qualcuno ha fame? — chiese. — Io sono sfinito! — esclamò Stecco. 89

— Hai qualcosa da sgranare, Ceffo? — chiese Lucertola. — Salame, birra e pane. Servitevi, sono in frigo. Pelato sistemò il cibo a terra, su un giornale, e tutti tranne Johnny si accovacciarono li intorno. — Non mangi, Sciacallo? — chiese Pelato. — Non ho fame — rispose Johnny, sentendo i muscoli dello stomaco troppo tesi per inghiottire un boccone. — Sei stato in gamba. Non essere nervoso — disse Lucertola. — Non sono nervoso. Si sedette a riflettere mentre gli altri mangiava­ no e chiacchieravano. Ceffo si attardò nella stan­ za, tenendolo d'occhio. — Perché non ti stendi un po'? — gli suggerì. — Grazie. Penso che lo farò — disse Johnny, sdraiandosi su una branda. Piu tardi spensero la luce e uno alla volta sprofondarono nel sonno, ma Johnny restò sve­ glio, fissando le ombre. Quando li sentì russare provò un senso di sollievo. Ora poteva pensare alla donna che correva e gridava nel parco senza sentirsi troppo in colpa. Oh, se fosse riuscita a trovarlo! Un paio di volte, mentre era sul punto di appi­ solarsi, sentì i passi felpati di Ceffo attraversare la stanza. Dov'era? Com'era arrivato lì? Ma era sciocco chiederselo: aveva fatto la sua scelta, l'u­ nica possibile. Sospirò e si girò sulla schiena, fis­ sando il soffitto lercio. Era esausto. Sentì abbas­ sarsi le palpebre, ma, per un motivo ignoto, si sforzò di restare sveglio. E poi tornò a scivolare nel sonno, e rivide la donna correre e urlare: — Voi, ragazzi! Voi, ragazzi! 90

E finalmente Johnny sognò. Sognò che la don­ na era arrivata e l'aveva trovato; e però, nel so­ gno, sapeva benissimo che non era vero, che era solo e nessuna voce l'avrebbe chiamato a casa per rimproverarlo con amore, per punirlo con affetto, nessuna mano morbida e fresca si sareb­ be posata sulla sua fronte febbricitante di dubbi e incertezze; sapeva d'essere solo, e che da solo sarebbe dovuto andare avanti e costruirsi una vita, tentando di rimettere insieme i frantumi del suo cuore solitario.