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Italian Pages 182 [165] Year 2023
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A mio figlio Tommaso e alla sua passione per Eddie Van Ha'len
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Avvertenza
Il libro nella sua veste unitaria riprende con profonde elaborazioni testi apparsi in versioni precedenti, delle quali si segnalano di seguito le relative informazioni bibliografiche:
La ~ecieumana dal, punto di vista cosmopolitico. Note su Kant, in «Epekeina>>, n. 1, 2017, pp. 1-13. Diritto cosmopolitico e ragione in Kant, in «Etica & Politica/ Ethics & Politics», n. 1, 2018, pp. 325-339. Antropologia come ~?; il che sottolinea che il cadervi è imputabile non a errore o a un atto arbitrario, ma a un rischio intrinseco all"operare della nostra ragione; un rischio che, se espone ]"impresa conoscitiva a illusioni e inganni di ogni sorta, non può però, né deve, indurre a rinunciare al bene più alto che all"ente umano deriva dalla possibilità dell"uso puro della facoltà razionale, quando questo venga sistematicamente disciplinato dalla critica e non disinvoltamente eluso dalla censura. Sarà allora compito della critica dispiegare nel suo pieno significato una situazione che, proprio perché insorge in seno alla ragione umana e segnatamente in relazione al suo esercizio puro, non può essere addebitata a mero vaneggiamento. Occorrerà, cioè, cercare, se ve n"è uno, Io spazio in cui
6 «[ ... ] Il principio proprio della ragione in generale (nell'uso logico) è di trovare per le conoscenze condizionate dell'intelletto quell'incondizionato con cui venga compiuta l'unità della conoscenza stessa. Questa massima logica non può divenire in altro modo un principio della ragion pura, se non ammettendo che, se è dato il condizionato, è data anche [... ] l'intera serie delle condizioni subordinate le une alle altre; la quale serie è perciò essa stessa incondizionata» (KrV, A 307-308/B 364; tr. it., p. 545). 7 KrV, A VII; tr. it., p. 7.
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la ragione umana possa finalmente coltivare le sue pretese più alte, senza pagare il prezzo, per lei insostenibile, di entrare in un conflitto insanabile con sé. Già da questi rilievi iniziali affiora in tutta evidenza come l,espressione «ragione umana>> non costituisca un dato assodato della filosofia kantiana. Anzi, è solo nelle pieghe più profonde e sofferte delrindagine critica che qualcosa come una ragione umana assume la sua forma propria, certificandosi come il tema centrale di una considerazione, stricto sensu, filosofica. Nella Reflexion 4987 si legge: «Ogni filosofia ha a oggetto la ragione: le massime, i limiti e lo scopo»8 • Si potrà, allora, applicare all,indagine kantiana la paideia che Agostino raccomandava iniziando la sua ricerca sul tempo. Cosa faceva la ragione umana prima della critica? Nulla! Non vi era alcuna ragione, solo il vagare inconcludente della nostra facoltà conoscitiva tra gli estremi del dogmatismo e dello scetticismo. L,epoca della critica, contro ogni pretesa illusoria di carattere cosmologico, non data un inizio nel tempo. In quanto espressione di una rivoluzione nel modo di pensare9, essa testimonia invece di un gesto libero della ragione e, sottolinea Kant, «è [ ... ] una contraddizione cercare un,origine temporale delle azioni libere» 10•
8 Refi 4987, AA 18: 52.
9 Cfr. KrV, B Xli; tr. it., p. 31. 10 RGV, AA 6: 40; tr. it., p. 41. E ancora, nella Critica della ragion pura si legge: «Essa, la ragione, è presente e identica in tutte le azioni dell'uomo, in tutte le circostanze temporali, ma non è essa stessa nel tempo e non viene a trovarsi, per così dire, in un nuovo stato in cui prima non c'era: essa è determinante, ma non determinabile rispetto a tale stato. Pertanto, non si può domandare perché la ragione non si sia determinata diversamente, ma soltanto perché essa non abbia determinato i fenomeni diversamente tramite la causalità. Ma a questa domanda non è possibile dare alcuna risposta» (A 556/B 584; tr. it., p. 817).
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Kant è netto sul fatto che la ragione debba la sua stessa esistenza al libero esercizio della critica; il che signinca che di ragione umana non si può parlare, in senso rigoroso, se non in relazione alla possibilità dell'esercizio autonomo di una facoltà che ha come primo e unico interlocutore se stessa, i suoi limiti, possibilità e poteri: La ragion pura, in realtà, non si occupa di nient'altro che di se stessa, né può avere altro compito, giacché ad essa non vengono dati gli oggetti in vista dell'unità del concetto empirico, bensl vengono date le conoscen7.e dell'intelletto in vista dell'unità del concetto razionale, vale a dire della connessione in un principio. 11
La conoscenza di sé è il compito più arduo cui viene chiamata, Kant dice espressamente «esortata», la ragione in un'epoca che «non si lascia tenere a bada più oltre da un sapere apparente» 12 • Nello svolgere questo compito, connesso alla critica dei limiti del suo uso puro, essa non può contare sul conforto di alcun agente esterno: tutti i concetti, anzi tutte le questioni che la ragion pura ci presenta non si trovano nell'esperien7.a, ma risiedono a loro volta nella sola ragione e devono pertanto poter essere risolti e compresi secondo la loro validità o la loro nullità. 13
E però, è proprio di fronte a questa autonomia, che è linfa vitale di un sistema al cui interno possono e devono essere risolte le questioni connesse a un uso puro della facoltà conoscitiva, che il riferimento a una «ragione umana» esibisce i suoi connotati più controversi. In che modo l'aggettivo «umana» si lega al]'esercizio di questa facoltà spontanea e autolegislativa? Che posto occupa nell'edificio critico l'uomo con i suoi poteri li-
11 KrV, A 680/B 708; tr. it., p. 973.
12 KrV, A Xl; tr. it., p. 11. 13 KrV, A 763/B 791; tr. it., p. 1079.
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mitati, la sua natura condizionata? Domanda ineludibile del resto, dal momento che è la stessa costruzione critica a comportare l"inaggirabilità del punto di vista kat"anthropon 14 , del riferimento alla «particolare costituzione» della nostra facoltà conoscitiva, il cui profilo, come Kant chiarisce, consiste in un"attività sintetico-discorsiva che opera con immagini15 • Di questo, come del fatto che possiamo contare esclusivamente su una modalità sensibile dell'intuire, connotata dalla disposizione a essere affetti da qualcosa, e su una funzione pensante che opera solo secondo determinati generi di categorie, non è possibile dare ragione: Per quanto riguarda invece quella peculiarità del nostro intelletto, per cui esso reali7.za a priori l'unità dell'appercezione solo mediante le categorie, anzi solo mediante questo tipo e questo numero di categorie, non ci è possibile dare una ragione, così come non riusciamo a spiegarci perché possediamo proprio queste e non altre funzioni nei nostri giudizi, o perché tempo e spazio siano le uniche forme di un'intui7Jone possibile per noi. 16
La critica deve, allora, arrestare il suo esame analitico della facoltà conoscitiva sulla soglia di un dato antropologico non ulteriormente indagabile. Il linguaggio sintetico della ragione umana fa, per cosl dire, tutt'uno con l'idea che non siamo dotati di un intelletto intuente e che dunque la nostra facoltà conoscitiva non può che procedere per connessioni regolate di un molteplice dato, non prodotto dalla stessa facoltà atta
14 KrV, A 739/B 767; tr. it., p.1049. Questo tema verrà discusso in modo dettagliato nel primo capitolo del volume, che individua nel motivo di una tensione vitale, quanto problematica, tra il punto cli vista kat'anthropon e il punto cli vista kat'aletheian il terreno cli esercizio proprio delrindagine critico-trascendentale. 15 Cfr. KU, AA 5: 408; tr. it., p. 499. 16 KrV, B 145-146; tr. it., p. 259.
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a unificarlo. La natura ectipa della nostra facoltà conoscitiva rappresenta in altri termini il correlato necessario di una soggettività pensante che Kant concepisce come «originariamente sintetica>>. Kant però, come talvolta gli accade, non è chiaro su quanto tutto ciò caratterizzi in modo specifico J>uomo o sia estendibile a ogni ente razionale finito 17• Potrebbe sembrare un falso problema dal momento che, come Kant stesso dichiara, «non conosciamo altri esseri razionali alrinfuori delJ>uomo» 18• Senonché, proprio il riferimento all"ente razionale in generale traccia, in seno alla critica, un confine che delimita uno spazio più ampio di quello misurabile a partire dalle capacità conoscitive, dalle abilità pratiche e in definitiva dai poteri dell"uomo. Siamo dunque di fronte a una indagine che esibisce il suo profilo eminentemente trascendentale nel cercare di mettere a nudo una dimensione, diciamo cosl, non antropomorfa
17 In più occasioni, nel testo kantiano, r operare sintetico della facoltà conoscitiva e la sua riconducibilità alle regole espresse dai concetti puri sembra in effetti figurare un modo di conoscere non necessariamente circoscrivibile in uno spazio esclusivamente umano: «I concetti puri dell'intelletto si riferiscono - semplicemente mediante rintelletto - agli oggetti dell'intuizione in generale, a prescindere se sia la nostra o una qualche altra intuizione, purché sia un'intuizione sensibile: ma proprio per questo, quei concetti sono delle semplici forme del pensiero, con le quali non si conosce ancora nessun oggetto determinato» (KrV, B 150; tr. it., p. 265). E ancora, in modo più esplicito: «Spazio e tempo, quali condizioni di possibilità per cui degli oggetti possano esserci dati, valgono esclusivamente per gli oggetti dei sensi, quindi soltanto per gli oggetti delresperienza. Al di là di questi confini, spazio e tempo non si rappresentano assolutamente nulla, giacché essi si trovano soltanto nei sensi, e al di fuori dei sensi non possiedono realtà alcuna. Da parte loro, i concetti puri dell'intelletto sono liberi da queste limitazioni e si estendono agli oggetti dell'intuizione in generale, che può essere, ma anche non essere, simile alla nostra: basta che sia sensibile e non intellettuale» (KrV, B 148; tr. it., p. 263). 18 Cfr. KpV, AA 5: 12; tr. it., p. 53. Cfr. anche Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 338.
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del pensare razionale: l"uomo è sl l"unico ente razionale di cui abbiamo esperienza diretta, l"unico testimone del darsi al mondo di qualcosa come il pensare razionale. Ciò non toglie, però, che l"ente razionale, di cui ]"uomo offre testimonianza, pensa e agisce secondo una modalità e secondo fìni la cui portata pone l"uomo stesso al cospetto di qualcosa che trascende i suoi poteri, sia teoretico-conoscitivi, sia pratico-attuativi. Detto diversamente, il centrare !"indagine sulla ragione umana non si traduce in alcun modo in Kant nell"idea di una fìlosofìa e di un mondo a misura d"uomo. Kant è chiaro in proposito, non solo, come è più facile attendersi, in sede di fìlosofìa pratica, là dove la legge morale assume la forma di un comando incondizionato il cui valore vincolante prescinde dai poteri limitati dell"uomo di datvi effettiva esecuzione 19, ma anche sul terreno della conoscenza teoretica. Anche in sede di critica della ragion speculativa, infatti, Kant pone in evidenza come l"appello alla nostra capacità conoscitiva limitata, pur cosl decisivo, non possa ergersi a giudice ultimo in merito alla legittimità delle questioni che sorgono in seno all"uso puro della facoltà razionale:
19 Nella Metafisica dei costumi si legge che nel discorso etico, almeno al suo livello fondativo, l'antropologia non può precedere la metafisica, pena il dover pensare come irraggiungibile per l'uomo ciò che all'uomo appare irraggiungibile solo perché la legge morale non viene considerata ed esposta nella sua purezza (cfr. MS, AA 6: 217; tr. it., p. 35). Per lo stesso motivo, legato all'inadeguatezza dei poteri umani a dare piena esecuzione ai comandi della ragione, la dottrina della virtù abbisogna di completarsi mediante l'assunzione postulatoria di un autore morale del mondo e di una esisten:za futura che in Kant assume sia il profilo storico mondano di una specie umana cui sono affidati i compiti che ciascun individuo non potrebbe assolvere nella durata della propria vita limitata, sia il profilo morale-religioso di una vita intelligibile che appartiene ali'anima immortale. Nei capitoli II e VI il rapporto tra etica, metafisica e antropologia emerge, in particolare, in relazione al tema della destinazione morale in quanto luogo elettivo in cui viene riformulata l'interrogazione sulla natura umana.
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Noi non siamo neppure autorizzati, con il pretesto della nostra incapacità, a rifiutare tali problemi, come se la loro solu7.ione si trovasse realmente nella natura delle cose, e a rifiutare di indagarli ulteriormente, poiché è solo la ragione che ha prodotto dal suo grembo queste idee, ed è dunque la ragione che deve rendere conto della loro validità o della loro illusorietà dialettica. 20
Questo passo della Dottrina trascendental,e del metodo conferma, insieme ad altri, gli intenti dichiarati in sede di Prefazione, dove, in riferimento alle idee trascendentali e in generale alle difficoltà connesse all'uso puro della ragione, si legge: Le sue questioni [della ragione] non le ho evitate, accampando magari come scusa l'impotenza della ragione umana, ma le ho completamente specificate secondo principi. 21
In termini più icastici, la critica in nessun modo può ridursi a una censura delle aspettative che la ragione alimenta in conformità a un bisogno che le è proprio22 e che, non seguen-
20 KrV, A 763/B 791; tr. it., pp. 1079-1081. 21 KrV, A Xli; tr. it., p. 13. In questo senso preciso Kant parla di «critica della facoltà della ragion in generale, riguardo a tutte le conoscenze cui essa può tendere indipendentemente da ogni esperien7.a: quindi, la decisione circa la possibilità o l'impossibilità di una metafisica in generale e la determinazione sia delle fonti che dell'estensione e dei confini di essa - e tutto questo in base a dei principi» (KrV, A Xli; tr. it., p. 11 ). In quell'«in generale» emerge, infatti, l'istan7.a di rigore di un'indagine che intende confrontarsi direttamente con le pretese sollevate in seno al pensare razionale. Nella critica si ha a che fare «soltanto con la ragione stessa e col suo puro pensiero» (KrV, A X IV; tr. it., p. 13); il che significa, in ultima analisi, cercare il significato intrinseco di quelle pretese in qualcosa di diverso dal «comune programma» di estendere la conoscen7.a umana al di là di tutti i confini di un'esperien7.a possibile, in uno scopo che rappresenta in sé il vero interesse dell'intera umanità. 22 «La ragione umana, infatti, anche sen7.a essere mossa dalla mera vanità di un grande sapere, procede inarrestabilmente - spinta dal suo proprio bisogno - fino a delle questioni che non possono essere risolte da un uso em-
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do una logica arbitraria, non può semplicemente essere eluso avanzando come scusa l'impotenza connessa all"esercizio umano della facoltà razionale. Dunque, non è possibile zittire la voce della ragione, quale che sia l"ambito, teoretico o pratico, in cui essa legifera e quale che sia la natura, umana o altra, del soggetto che la esercita. Quella che Kant chiama metafisica «come disposizione naturale (metaphysica natural,is)»23 non verrà, dunque, mai rimossa a opera di una censura tarata su quel che è umanamente possibile conoscere sul piano teoretico o realizzare sul piano pratico, ma verrà presa in esame sin nelle viscere più profonde, non foss'altro che come il germe in cui si annida la vocazione dell'uomo in quanto ente razionale. La critica non è volta a sopprimere le pretese della ragione. Ben altrimenti è vocata a liberarle dal recinto di ogni brama di sapere e di potere troppo umana che di tali pretese finisce inevitabilmente con lo smarrire il senso; quel senso che è invece essenziale per la stessa esistenza dell'uomo compresa nella sua interezza. In definitiva, è la critica e solo la critica a trovarsi di fronte al compito di accordare in modo non riduzionistico le pretese della ragion pura con i limiti del soggetto che esercita la facoltà razionale, cosl che quel che accade di fatto, ossia il darsi di una ragione umana, esibisca anche una validità di diritto, ossia attesti nell'uomo un esecutore legittimo delle richieste e delle istanze sollevate mediante l'uso puro della facoltà razionale. L'espressione «ragione umana», che si legge al primo rigo della Prefazione all'edizione A della Critica della ragion pura, acquista, cosl, il suo pieno significato per l'indagine filosofica
pirico della ragione e dai principi presi a prestito da quest'uso» (KrV,. B 21; tr. it., p. 97). Il tema del «bisogno della ragione» è argomento della trattazione condotta nel primo capitolo cli questo lavoro. 23 KrV,. B 21; tr. it.,. p. 97.
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solo nell'intero svolgersi dell'impresa critica, che della facoltà razionale prende in esame le condizioni di legittimità del suo uso. L'intento, al di là dei domini specifìci su cui la filosofia estende la sua gittata, rimane quello di chiarire quale genere di esperienza, quali fini e quale destino traccia per l'uomo la possibilità di un uso puro della ragione. Il completo dispiegarsi di questo intento fa tutt'uno con il programma kantiano di una filosofia che, come si specifica in un noto passo dell"Architettonica della ragion pura, va compresa secondo il suo «concetto cosmico [Weltbegriff]», ossia in quanto «scienza del rapporto di ogni conoscenza con i fini essenziali della ragione umana (teleolngia rationis humanae)» 24• Le pagine dell"Architettonica tracciano, allora, le linee di un percorso destinato a estendersi ben più in là di quello delimitato dalle opere esplicitamente dedicate all'interrogare critico. Il che significa che l'interrogazione sui limiti e sulle condizioni di legittimità dell'uso puro della ragione dà inizio a un percorso che nelle ambizioni di Kant deve estendere la sua gittata sulla esistenza umana compresa nella sua interezza, sino a toccare il piano delle indagini più specifìche che vedono il congiungersi della riflessione teoretica e pratico-morale con quella politico-comunitaria. Non a caso, il passo baconiano, posto da Kant in esergo all'edizione B, mette in luce nell'impresa critica il compito di indicare la via lungo la quale gli uomini «provvedano al bene comune e ne partecipino»2.•'; congiungendo in un unico destino le conquiste sul terreno della conoscenza teoretica e il guadagno pratico di una ragione che rivela la sua efficacia sul terreno fenomenico dei rapporti mondani, solo nella misura in cui viene concepita non come semplice dotazione naturale, ma anche come fine, come bene
24 KrV, A 839/B 867; tr. it., p. 1177. 25 KrV, B II; tr. it., p. 5.
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che gli uomini sono chiamati a realizzare. Il progetto kantiano di una critica della ragione ha, dunque, come esito decisivo il riconoscere nella ragione non unicamente una fonte produttrice di conoscenze e abilità tecnico-pratiche, ma un modo del vivere, uno scopo che dà forma al mondo in cui l'uomo conduce la propria esistenza. Allora, se il tema della critica della ragione umana assume una rilevanza che, come Kant stesso afferma, non tocca solo le discussioni del filosofo di scuola, ma investe nella sua interezza l'uomo in quanto cittadino del mondo, progettare questa speciale forma di cittadinanza porta con sé una scommessa che si gioca anche sul terreno politico-giuridico della negoziazione e del com,mercium dei rapporti mondani. Non a caso Kant parla espressamente di «sommo bene politico»26; una formula che esprime la speranza di un accordo sintetico di virtù e felicità su questa terra, in questa vita, come esito dell'operare di una ragione messa in comune mediante la costruzione di sistemi di convivenza civile via via più estesi e più complessi che non solo coinvolgono i rapporti tra diversi organismi statali, ma si estendono alle relazioni tra individui e stati, come alle relazioni tra individui appartenenti a realtà statali diverse. Sulla costituzione di una «società cosmopolitica» la specie umana gioca il proprio diritto di vantare ]'appartenenza alla comunità di coloro che Kant chiama esseri razionali terrestri27; appartenenza che può darsi solo entro un ordine che sia conforme ai principi dell'agire libero, in un mondo in cui siano congiunti il soggetto «ragione» e l'aggettivo «umana>>. Quale che sia il ruolo che esercita, la ragione è in definitiva per l'uomo un possesso per il quale è sempre richiesto il titolo
26 MS, AA 6: 355; tr. it., p. 323. 21 Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 338.
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di legittimità. L'espressione «ragione umana» richiede, perciò, una deduzione nel senso kantiano del termine: di una quaestio f acti, di una dotazione che ciascun uomo possiede per natura, ci si deve sempre chiedere: quid iuris? Prendendo a prestito dalla Meta.fisica dei costumi i termini in cui Kant sviluppa la dinamica del rapporto tra possesso e proprietà del suolo, si potrebbe dire che la ragione costituisce per J>uomo un «possesso fisico» che, per sua stessa natura, aspira allo statuto di «possesso giuridico»28 • E l'esibizione di questo titolo di legittimità implica per l'uomo un compito immane, una fatica che si prolunga indefinitamente. La cosmopoli kantiana non solo si rivolge, come è ovvio, alle relazioni tra gli individui e tra i popoli che abitano il suolo terrestre e su di esso si muovono, ma ambisce abbracciare nella rappresentazione di un tutto, in un'idea, le relazionitra le diverse generazioni ed epoche che segnano la storia29• I:animal rationabile, come Kant definisce l'uoma30 sottolineando la condizione propria di una disposizione che può svilupparsi solo grazie ali'educazione, alla cultura, alla civilizzazione e, infine, alla moralizzazione, tramanda i suoi frutti di generazione in generazione, esponendosi però con ciò stesso al rischio che i vantaggi acquisiti si disperdano nel continuo riaffiorare della violenza, dei conflitti e, più in generale, dell'insorgere di circostanze che ostacolano il pieno dispiegarsi dell'animal rationale, del linguaggio discorsivo, della percezione del gusto, del discernimento del bene e, infine, della formazione di un
28 Cfr. MS,AA 6: 249-257; tr. it., pp.101-117. 29 Kant intende per specie umana «l'intero di una serie di generazioni che corre all'infinito(indeterminabile)» (RH, AA 8: 6.5). Al tema del cosmopolitismo inteso in questa accezione più estesa, connessa a una fisionomia non semplicemente naturale della specie umana e dello sviluppo delle sue disposizioni, sono dedicate in particolare le riflessioni del quarto capitolo di questo volume. 30 Cfr. Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 339.
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carattere della specie umana che renda vincolante in modo permanente un tale discernimento: L"essere umano è determinato dalla sua ragione a stare in una società con altri suoi simili, e in essa a coltivarsi, a civilizzarsi e a moralizzarsi per mezzo dell"arte e delle scienze; per quanto possa anche essere grande la sua tenden7.a animalesca ad abbandonarsi passivamente agli stimoli dell" agio e del benessere, cui dà il nome di felicità, egli è destinato piuttosto a rendersi attivamente degno dell"umanità, combattendo contro gli ostacoli che gli sono stati inflitti dalla rozze7.7.a della sua natura. 31
La ragione non si dà come un patrimonio di cui l'uomo disponga in forza del suo corredo fisiologico, ma rappresenta un'impresa coraggiosa che, vincendo la colpevol,e pigrizia insita nella concezione rassegnata a un destino inscritto nel decorso delle leggi naturali, o nella visione consolatoria di un ordine cosmico garantito dal favore di un agente divino, guarda all'homo!animal rationale come a un"idea, uno scopo. L'esser determinato dell'uomo dalla ragione non risponde, per questo, alla logica dogmatica che lega ratio e rationatum secondo la forma di un legame causalmente necessario, ma chiama in causa i «fenomeni della libertà», ossia le manifestazioni di un agire i cui principi rivelano la loro fo17.a vincolante solo in chi, proprio e solo in virtù di un uso puro della ragione che mette capo all'istanza dell'incondizionato, è capace di assumerli e di seguirli liberamente32 • In questo senso radicale la Bestimmung
31 Anth,. AA 7: 324-325; tr. it., p. 342. 32 «Anche se si ritenesse che il genere umano, considerato nel complesso, fosse già da tanto tempo progrediente e in procinto di avan7.are ancora, nessuno può garantire che, per via della disposizione fisica della nostra specie, non stia entrando proprio ora nell'epoca del suo regresso; e viceversa, se regredisce verso il peggio con caduta accelerata, non ci si deve perdere d•animo sul fatto che non si incontri proprio lì il punto di inversione (punctum flexus contrarli) a partire dal quale, grazie alla disposizione morale
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des Menschen, in cui soggetto determinante è la ragione, può trovare il suo scopo fìnale solo nella moralizzazione della specie umana e nella trasformazione delle organizzazioni civili in un tutto morale, in cui il diritto viene a confìgurarsi non solo come mezzo per accordare gli antagonismi, ma anche come fìne, come bene da perseguire per sé, in quanto del ~ssesso della ragione fornisce la pubblica, legittima esibizione. È questo il senso in cui, nel fare riferimento all'ideale repubblicano, Kant riconosce nel concetto di diritto ciò che è puramente morale3.1; là dove, diremmo con formula ambiziosa, il piano giuridico della regolamentazione delle azioni giunge a toccarsi con il piano etico della legislazione delle intenzioni, sicché si assottigliano i confìni previsti da un sistema che, come quello kantiano, distingue in modo preciso i doveri di diritto dai doveri di virtù. Fuori da questo progetto cosmico, rivolto alla specie umana intesa come un tutto, che Kant concepisce sotto il segno di una teleologia rationis humanae, resta spazio solo per il dilagare insensato e capriccioso della violenza e della guerra, in cui parlare di ragione umana, come parlare di umanità, perderebbe di signifìcato.
insita nel nostro genere, il suo percorso si volga di nuovo verso il meglio. Poiché, infatti, abbiamo a che fare con esseri che agiscono liberamente, ai quali dapprima si può certo dettare cosa debbano fare, senza che si possa predire che cosa faranno; ed essi, dal sentimento del male che hanno arrecato a se stessi, quando questo diventa dawero grave, sanno poi trarre un movente rafforzato per fare ora meglio ancora di quanto non prima di quella condizione. - Ma "poveri mortali - dice l'abate Coyer- presso di voi niente è stabile se non l'instabilità!"» (SF, AA 7: 83). Il fatto che il progresso, e in particolare il perfezionamento morale, non possa godere di alcuna garanzia ontologica, non toglie la speranza, anzi di tale speranza costituisce la condizione, di un progredire verso il meglio che, proprio in quanto affidato al libero agire dell'uomo, trova nel dovere morale il suo vero fondamento e vincolo (cfr. TP, AA 8: 308-309). 33 SF, AA 7: 87.
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E però, farsi pienamente carico di un simile progetto significa per l'uomo esperire fìno in fondo, sul terreno tracciato dal rigore della critica, la sproporzione tra l'istanza di incondizionatezza che prende forma in seno all"uso puro della facoltà razionale e lo spazio condizionato in cui necessariamente si consumano il conoscere e l"agire umani. In fo17_.a di questa sproporzione, di questa situazione di imbarazzo che affetta l"esercizio della facoltà razionale, ]"uomo «[ ... ] si sente interiormente chiamato a diventare, grazie al suo comportamento in questo mondo e alla sua rinuncia a molti vantaggi, un buon cittadino di un mondo migliore che egli ha nell"idea» 34 • Questo è davvero il compito più difficile, quello che la critica assegna a una ragione che si rivolge a se stessa, ai propri limiti, ai propri scopi, prefigurando un destino di cui ]"uomo, in quanto ente razionale, è responsabile, ma sui cui esiti, in quanto ente fìnito, condizionato, caratterizzato da poteri conoscitivi e pratici limitati, non può pretendere di avere }"ultima parola. Lungi dal potersi frettolosamente ascrivere al principio iperperfonnativo dell"affermazione di sé, alimentando forme di logocentrismo antropomorfico, il possesso della ragione, ricompreso con gli strumenti della critica kantiana, rammenta a ogni uomo che lo spazio in cui pensa di muoversi del tutto agevolmente e in cui ritiene di essere cosl bene acclimatato in virtù di uno sviluppo inarrestabile delle sue cognizioni e abilità non copre l"ampie27_.a intera del mondo in cui conosce, pensa, agisce. Nell"espressione «ragione umana» prende forma, dunque, il senso di una trascendenza sui generis che, se non può trovare garanzie ontologiche nell"affennazione dogmatica di un principio teologico, non deve nemmeno censurarsi a vantaggio di
34 KrV, B 426; tr. it., pp. 619-621. Nella Religionschrift si parla di «vOCaZione [Berufung] degli uomini come cittadini per uno Stato morale (RGV, AA 6: 142; tr. it., p. 157).
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una celebrazione rassegnata della finitez~ dell'essere umano. Compito della critica della ragione è indicare una via che si sottragga in egual misura alle derive di una teologia consolatoria e di uno scetticismo autoreferenziale, le quali rappresentano in definitiva le facce speculari di una hybris umana che non può che ritorcersi contro la stessa possibilità dell'uso legittimo della facoltà razionale35 • La ragione umana scopre la sua vera ricchezza e la fonte della sua stessa esistenza nella tensione vitale, inestinguibile, tra condizionato e incondizionato, con la quale solo l'esercizio libero e rigoroso della critica è in grado di fare i conti fino in fondo.
35 Nella Fondazione della metafisica dei costumi, in analogia con la situazione di imbarazzo descritta nella Critica della ragion pura, si parla di «situazione incresciosa» in cui versa la fìlosofìa sul terreno della ricerca dei principi etici, i quali non possono essere derivati da una fonte che non sia la ragione stessa. Si tratta della situazione incresciosa che, scrive Kant, la filosofia, proprio nel suo più genuino intento fondativo, «deve mantenere anche se non riesce ad agganciarla a nulla nel cielo, o ad appoggiarla a nulla sulla terra» (GMS, AA 4: 425; tr. it., p. 135; diversamente dal traduttore, si preferisce rendere «mi8licher Standpunkb► con «situazione incresciosa», anziché con «posizione critica»). Non vi è forse descrizione più icastica di quel che il filosofo critico intende per «ragione umana».
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I Il trilmnale della ragion pura e i suoi gradi di giudizio
1. Ragione umana c0111,e concetto problematico Uno sguardo di insieme sull'impresa critica di Kant evidenzia l'intreccio tra due interessi fondamentali. Da un lato, è in gioco l'interesse per la metafìsica, ossia per quelle pretese della ragione nel suo uso puro che non possono essere soddisfatte sul terreno della semplice esperienza o della mera conoscenza empirica. Dall'altro, non meno presente è }>interesse per l'uomo, la sua natura, le sue disposizioni e facoltà specifìche. Entrambe le vocazioni costituiscono uno sfondo ineliminabile della ricerca kantiana, indicando, anzi, il motivo di una tensione interna al concetto stesso di «ragione umana» che dell>impresa critica rappresenta r elemento chiave. A chi legga J>incipit della prima edizione della Critica della
ra-
gion pura la questione si mostra da subito in piena eviden7a: La ragione umana, in un genere delle sue conoscenze, ha un destino particolare: quello di essere incal7.ata da questioni che non può evitare, poiché le sono imposte dalla natura stessa di ragione, ma a cui non può nemmeno dare risposta, poiché tali questioni oltrepassano ogni potere della ragione umana. 1
1 KrV, A VII; tr. it., p. 7. Traduzione modificata.
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La ragione, in virtù della sua stessa natura, solleva dunque questioni la cui portata va ben al di là del potere che le compete in quanto disposizione conoscitiva umana. Il predicato «umana», cioè, non qualifica il soggetto «ragione» in modo pacifico, indicando nella ragione un possesso, una facoltà sulla quale l'uomo esercita il pieno controllo. Al contrario, «ragione umana» è immediatamente in Kant il nome di un problema, descrive una situazione di imbarazzo (Verlegenheit), in cui la necessità di porre determinate questioni sembra venire inevitabilmente a confliggere con l'impossibilità di darvi risposta. Il destino della ragione umana non può, allora, che delinearsi all'insegna di un drammatico conflitto della ragione con se stessa2• E in questo senso Kant parla di una dialettica «che è inscindibilmente connessa all'umana ragione» 3 • Più specificamente: in quanto essere razionale, l'uomo coltiva un'istanza di incondizionatezza che, però, va ben al di là dei poteri conoscitivi di cui, in quanto uomo, dispone. Sicché, l'espressione «ragione umana» dà voce innanzitutto a una situazione di sproporzione di cui la critica della ragione è chiamata a farsi carico. In questo senso, l'indagine sistematica che Kant presenta sotto il nome di critica della ragione si muove problematicamente sulla linea-limite tra il richiamo necessario all'inaggirabilità delle condizioni connesse alla natura specifica della nostra facoltà conoscitiva e la consapevolezza, essa pure necessaria, che
2 Commentando l'incipit della Critica della ragion pura, M. Villaschek parla di «costituzione tragica della ragione umana» (M. Villaschek, Kant on the Nec;essityofMetaphysics, in V. Rohden - R.R. Terra-G.A. deAlmeida- M. Ruffing [a cura di], Recht und Frieden in der Philosophie Kants. Akten des X. Intemationalen Kant Kongresses, de Gruyter, Berlin-New York 2008,
PP· 285-307: P· 285). 3 KrV, A 298/B 354-355; tr. it., p. 533.
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tali condizioni non possono avere 1~ultima parola sul signincato e la portata delle questioni che solleva un uso della ragione che trascende quello empirico. Per dirla con Kant, non si può addurre «la scusa dei limiti della nostra conoscenza» là dove «i problemi non ci vengono posti dalla natura delle cose, ma soltanto dalla natura della ragione e riguardano unicamente la sua costituzione interna»4 •
2. Ragion pura e intelletto umano In questa prospettiva, si mostra come un compito inderogabile della critica il distinguere, in linea di principio, tra una legislazione riferibile incondizionatamente a ogni soggetto dotato di ragione, che inerisce al rapporto della ragione con se stessa5 in quanto attività pura, spontanea e autonoma, e il piano condizionato di un uso della ragione che, nell~ambito conoscitivo, non può prescindere dalla natura specifìca del soggetto che la esercita, pena il dar luogo a pretese illegittime. Si tratta, in definitiva, della distinzione tra la ragione propriamente detta che, in quanto facoltà dei principi6, coltiva una
4 KrV, A 695/ B 723; tr. it., p. 991-993.
5 Come Kant afferma, traendo le conclusioni delle indagini condotte in sede di Dialettica trascendentale: «La ragion pura, in realtà, non si occupa di nienfaltro che di se stessa, né può avere altro compito, giacché ad essa non vengono dati gli oggetti in vista dell"unità del concetto empirico, bensì vengono date le conoscenze dell"intelletto in vista dell"unità del concetto razionale, vale a dire della connessione in un principio» (KrV, A 680/8708; tr. it., p. 973). 6 Sull"usodel termine "principio"'in relazione alla concezione kantiana della facoltà razionale cfr. i rilievi di L. Sala, Uso logico e uso rea/,e della ragione. Origine e ruoÙJ regolativo delle idee, in «Con-Textos Kantianos. Intemational Joumal of Philosophy», n. 8, 2018, pp. 303-318, in part. pp. 308-312.
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istanza di completezza pensabile solo nel concetto di una realtà incondizionata7 e l'intelletto che, della facoltà conoscitiva, esprime l'operare sotto determinate condizioni, segnatamente quelle che riguardano la modalità di conoscere specificamente umana. Kant non potrebbe essere più chiaro quando nella Critica del Giudizio sottolinea che «[l]'intelletto [ ... ] limita la validità [delle] idee della ragione solamente al soggetto, estendendola però universalmente a tutti i soggetti della stessa specie»8• I concetti dell'intelletto costituiscono le fonti di una conoscenza universale, la cui validità è però riferibile soltanto a soggetti della stessa specie. Si tratta di una universalità specifica, limitata ai soggetti che condividono determinate caratteristiche e disposizioni, e perciò non estendibile incondizionatamente a ogni ente dotato di ragione. È quanto Kant aveva espresso in forma sintetica nelle pagine introduttive della Dialettica trascendentale: [ ... ]la conoscenza sulla base cli principi (in se stessi) è tutt'altra cosa rispetto a una semplice conoscenza dell'intelletto, la quale può anche precedere altre conoscenze nella forma cli un principio, ma in se stessa (in quanto è sintetica) non si basa su un semplice pensiero, né contiene in sé un universale secondo concetti.9
Alla ragione attiene in senso proprio la denominazione di «facoltà dei principi», mentre l'intelletto esprime la modalità specifica secondo cui tali principi determinano la nostra facoltà conoscitiva in conformità alla sua natura e ai suoi poteri:
7 In questo senso Kant parla di «concetto trascendentale di ragione» che «si riferisce sempre alrassoluta totalità nella sintesi delle condizioni, e non finisce mai, se non nelrassolutamente incondizionato - vale a dire nell'incondizionato sotto ogni riguardo» (KrV, A 326/B 382; tr. it., pp. 567-569). 8 KU, AA 5: 401; tr. it., p. 485. 9 .KrV, A 302/B 358; tr. it., p. 537.
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La ragione è una facoltà dei principii e la sua ultima esigenza è l'incondizionato; l'intelletto invece è al suo servigio sempre soltanto sotto una condizione che deve esser data. 10
In definitiva, il problema inaWrabile che la critica si trova ad affrontare è quello di dar conto delle pretese sollevate da un uso della ragione che trascende il piano dell'esperienza, e che per questo asseconda un'istan7a conoscitiva e normativa di incondizionatezza, e le condizioni dettate dalla specinca costituzione dell'animo umano che tali pretese non sembra poter soddisfare. Il tema qui, vale la pena ribadirlo, è la ragione umana, il rapporto tra uomo e ragione che la critica deve assumere in tutta la sua problematicità: se da un Iato non si può contare su una ragione che trascenda dogmaticamente i limiti e le condizioni dell'umano, dall'altro il rilievo critico sui limiti della nostra facoltà conoscitiva non può addursi a pretesto per censurare le pretese che prendono forma in seno al pensare puro. In definitiva, dogmatismo metafisico e scetticismo antropomorfo rappresentano le facce speculari di una ragione che non ha ancora fatto criticamente i conti con se stessa. Muoversi lungo questa strettoia, tenersi nel difficile equilibrio tra l'inseguire vanamente il miraWo di una verità incondizio-
10 KU, AA 6: 401; tr. it., pp. 483-4&5. Concordo con M. Rohlf che parla di un concetto non univoco di ragione nelrambito della critica, distinguendo un uso ampio, rivolto sia alresercizio della funzione intellettiva sia, ancora più estesamente, agli elementi puri della conoscen7.a, sensibilità compresa, e un uso ristretto che invece concerne la ragione in quanto facoltà dei principi e fonte delle idee (M. Rohlf, The Ideas of Pure Reason, in P. Guyer [a cura di], The Cambridge Companion to Kant>s Critique of Pure Reason, Cambridge University Press, 2010, pp. 190-299: p. 195). Ritengo tuttavia che questa non univocità nelruso del termine ragione vada in modo esplicito ricondotta, nel caso specifico di Kant, alla complessitàsemantica necessariamente richiesta dall'impianto sistematico di una critica che, della ragione, indaga i limiti e le condizioni in relazione ai suoi possibili usi e conseguentemente in connessione ai diversi domini in cui si detennina il suo esercizio; il quale però rimane, in definitiva, esercizio di una e un>unica ragione.
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nata che trascenda i modi specificamente umani di accedervi e, all;topposto, il pretendere di neutralizzare ogni istanza metafisica di incondizionatezza come vana esorbitanza rispetto alla condizione limitata della nostra facoltà conoscitiva, è, dunque, il difficile compito dell;tindagine che Kant presenta sotto il nome di «critica della ragione».
3. Il primo grado di giudizio La distinzione logico-trascendentale tra ragione e intelletto innerva in modo strutturale il tribunale che Kant imbastisce in sede di Critica della ragion pura. Esso si rivela, perciò, come un organo complesso che prevede più gradi di giudizio e conseguentemente diversi ordini di legislazione, in base ai quali il giudizio viene emesso. In un primo grado il testimone chiave è la configurazione specifica della nostra facoltà conoscitiva che, almeno in certa misura, decide sugli esiti del dibattimento. A questo grado di giudizio corrisponde il progetto di una deduzione trascendentale dei concetti puri dell;tintelletto. È vero, infatti, che il rigore logico-giuridico della deduzione richiede di lasciar fuori ogni argomento che leghi gli esiti della prova dell;toggettività delle nostre rappresentazioni alla mera descrizione del modo in cui siamo fatti, opponendosi con ciò a ogni «sistema di preformazione della ragion pura» 11 • È questo del resto il motivo per cui Kant riferisce alla deduzione J:taggettivo «trascendentale». Ciò però non cancella in alcun modo il senso di una sfida conoscitiva, la cui pretesa di validità, come si è visto, non può in ogni caso estendersi agli oggetti considerati a prescindere dalle condizioni e dalle modalità in cui essi si rendono 11 .KrV, B 167; tr. it., p. 289.
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accessibili a noi, ossia in conformità con la costituzione specifica della nostra facoltà conoscitiva. È il senso per cui Kant, in riferimento alle indagini condotte in sede di critica della ragion speculativa, afferma che «talora si trova necessario far dipendere i principi dalla natura particolare della ragione umana» 12, differenziando il piano delle questioni strettamente legate all'ambito teoretico-conoscitivo rispetto al piano di indagine in cui prende forma il discorso morale che, almeno al livello fon dativo, non può chiamare in causa il riferimento specifico alla natura umana, dovendo vantare una cogenza che si estende a ogni essere razionale.
Gli esiti della deduzione kantiana evidenziano dunque l'illegittimità, sul piano strettamente conoscitivo, di ogni accesso alle cose che pretenda prescindere dalle modalità e dalle condizioni in cui le cose si rendono a noi manifeste; la stessa possibilità di riconoscere il darsi di una realtà indipendente da noi non può prescindere dalle regole universali in base alle quali soggetti della stessa specie codiJìcano, e per questo possono anche esprimere in forma di giudizio, una tale indipendenza. Ben di più, pensare di disporre di una visione sulle cose che si dia indipendentemente dal modo in cui le cose si rendono accessibili a noi significherebbe appellarsi alle risorse, di principio inattingibili, di una ragione che, per cosl dire, pensa e conosce al posto nostro; e cioè di una verità nei riguardi della quale saremmo semplicemente ricettivi, o al modo di un'anima in cui siano state impresse sin dalla nascita, per opera di un autore saggio del mondo, le idee di tutte le cose in generale, o al modo di una mens-tabula sulla quale gli oggetti, per movi-
12 GMS, AA 4: 411-412; tr. it., p. 101. Sul peso della componente antropologica, legata al ruolo inaggirabile della particolare configurazione della nostra facoltà conoscitiva nell'ambito dell'indagine critica cfr. i rilievi di N. Rescher, Kant and the Reach ofReason. Studies in Kant's Theory of Rationale Systematization, Cambridge University Press, 2000, pp. 40-52.
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mento loro proprio, imprimano la loro forma. Si tratterebbe, in ogni caso, di un,esperienza conoscitiva in cui l'uomo non è il soggetto conoscente, tanto che non avrebbe neppure senso parlare della ragione «considerata soggettivamente come una facoltà della conoscenza umana» 13• Come pure non ci sarebbe più spazio per il «nostro intelletto discorsivo, che ha bisogno di immagini», e che per questo non può riferirsi a oggetti muovendo da semplici concetti se non operando una sintesi del molteplice empirico dato nell,intuizione 14• Nella direzione che riconduce ogni pretesa razionale di universalità entro i limiti che costituiscono la nostra facoltà conoscitiva va anche, almeno in parte, I,esito di quella particolare forma di deduzione che Kant nella dialettica trascendentale riserva alle idee della ragione. Come è noto, le idee, sebbene non possano esibire alcuna realtà oggettiva, svolgono una funzione essenziale in relazione alla conoscenza degli oggetti che si danno nelresperienza. Ma ciò fanno solo nella misura in cui vengono piegate alla disciplina di un uso immanente, conforme ai poteri specifici della facoltà conoscitiva umana. In quella che Kant chiama «deduzione soggettiva», distinguendola dalla «deduzione oggettiva» 15 dei concetti delrintelletto, le idee si legittimano, infatti, come regole necessarie per l,uso coerente dell,intelletto in relazione alla ricerca di una unità sistematica nel complesso delle leggi empiriche particolari della natura.
13 KrV, A 297/B 353; tr. it., p. 531. 14 KU, AA 5: 408; tr. it., p. 499. Cfr. anche KrV, B 138-139; tr. it., pp. 249251, B 145-146; tr. it., p. 259. 15 KrV, A 336/B 393; tr. it., p. 581.
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4. Il grado più al,to di giudizio Senonché, il compito della critica non si arresta qui. Alla «deduzione soggettiva» delle idee trascendentali è, infatti, richiesto un lavoro ben più arduo in relazione al quale viene in luce, in tutta la sua problematicità, il modo in cui Kant intende la ragione umana. Una critica della ragione deve, infatti, fare i conti con un"istanza conoscitiva e normativa di incondizionatezza che si impone anche indipendentemente dall"utilità che essa riveste in vista del progetto della massima unifìcazione possibile dei fenomeni e della sintesi delle condizioni sotto cui essi si rendono conoscibili a noi. Più precisamente, il bisogno di unità che è proprio della ragione, quel che Kant chiama in senso proprio Vemunfteinheit 16 non va riguardato semplicisticamente nei termini funzionali della proiezione su scala più ampia dei compiti che la facoltà intellettiva, in connessione con la sensibilità, assolve in sede conoscitiva. Detto diversamente: le idee della ragione non cercano, e non trovano, piena legittimazione nella logica pragmatico-esigenziale di un criterio che orienta il perfezionamento della nostra conoscenza. Una deduzione che si fermasse a questo risultato, un tribunale che si arrestasse a questo grado di giudizio, non si sarebbe infatti confrontato fino in fondo con !"interesse che caratterizza in proprio la ragione. Come dice Kant, Ciò che [ ... ] ci spinge a oltrepassare di necessità il confine dell'esperien7.a e di tutto ciò che ci appare è l'incondizionato, quello che, rispetto ad ogni condizionato, la ragione esige necessariamente e a pieno diritto [mit al,lem Recht] nelle cose in se stesse, per poter concludere così la serie delle condizioni. 17
Si tratta, perciò, di un «diritto» che può chiarirsi solo in un grado ulteriore di giudizio, in cui venga direttamente chiamato in
16 KrV, A 307/B 363; tr. it., p. 543. 17 KrV, B XX; tr. it., p. 39.
42 causa il rapporto della ragione con se stessa. In discussione è qui, infatti, una pretesa incommensurabile rispetto a quel che si può comprendere e giustificare nella forma di un canone per l''uso coerente della conoscenza intellettiva. In definitiva, l"azione di ricondurre la molteplicità delle leggi empiriche della natura al concetto razionale di un'unità sistematica non è unicamente imputabile a un artificio economico18. Una tale posizione ridurrebbe la ragione e i suoi scopi a una sorta di funzione epistemica dell'intelletto, con il risultato, ben noto agli storici delle interpretazioni della prima Critica, di restringere }"indagine trascendentale sui limiti della ragione alla formulazione di una gnoseologia. La ragione kantiana coltiva l'incondizionato per un suo proprio bisogno, per un interesse che concerne la sua stessa natura: La ragione umana, infatti, anche sen7.a essere mossa dalla mera vanità di un grande sapere, procede inarrestabilmente -spinta dal suo proprio bisogno -fìno a delle questioni che non possono essere risolte da un uso empirico della ragione e dai principi presi a prestito da quesf'uso. 19
L"incondizionato non esprime, cioè, semplicemente una funzione, un principio regolativo della conoscenza, esso è uno scopo che la ragione coltiva in piena conformità alla propria natura di ragione, e di là dalla finalità legata all"uso strettamente conoscitivo, rivolto agli oggetti dell"esperienza20 • 18 Come sottolinea L. Filieri: «La ragione ha sì per oggetto rintelletto, ma non ha lo stesso oggetto dell'intelletto» (L. Filieri, Natura e funzione delle idee trascendentali, in «Con-Textos Kantianos. International Journal of Philosophy», n. 7, 2018, pp. 392-409: p. 401). 19 KrV, B 21; tr. it., p. 97.
20 Così Kant, in riferimento alla necessità di andare oltre i compiti già svolti in sede di Analitica dell'intelletto: «[ ... ] non ci sembra sufficiente che si esponga semplicemente ciò che è vero, ma anche ciò che si desidera sapere» (KrV, A 237/B 296; tr. it., p. 453).
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Una deduzione delle idee della ragione, e con essa il compito critico considerato in tutta la sua portata, non può non confrontarsi con questo dato che tocca i bisogni, gli scopi della ragione secondo quella natura che la riguarda in proprio.
5. Il tribunale supremo della ragion pura Nel bisogno razionale dell'incondizionato è in gioco un'istanza di universalità e necessità per la quale è richiesta non solo una «Rechtfertigungkafanthropon»21 , ma una validità estendibile, in linea di principio, a ogni essere razionale.
21 KrV, A 739/B 767; tr. it., p. 1049. Sulle diverse occorrenze e sulla complessità semantica delrespressione kat'anthropon nel contesto delropera kantiana, cfr. i rilievi circostanziati di M. Sgarbi, La distinzione aristotelica kaf'anthropon-kaf'aletheian in Kiznt, in «Sophias», n. 1, 2008, pp. 1624, in part. pp. 21-23, in cui si conclude affermando che obiettivo della filosofia trascendentale di Kant sia proprio quello di investigare ciò che è kat>anthropon» (ivi, p. 23). Questa affermazione vale senz>altro in relazione alla confutazione critica di ogni pretesa di accedere alle cose prescindendo dalle condizioni in cui le cose sono accessibili a noi. Tuttavia, identificare in questa limitazione la portata delrintera filosofia trascendentale rischia di fornire una visione troppo addomesticata del progetto critico kantiano, perché ridotta nello spazio esiguo di una critica della ragione a misura d•uomo. Certamente, il punto di vista kat'aletheian rimane di principio inaccessibile alla ragione umana. E però resta vero che la ragione, in quanto funzione spontanea, rispondente al principio di una legislazione autonoma, che non tollera alcuna censura che non provenga dal suo stesso esercizio critico, attesta in seno al pensare e alragire dell•uomo la presenza irriducibile di una tensione tra condizionato e incondizionato su cui il punto di vista kat:,anthropon non può avere rultima parola; pena il rompere il delicato equilibrio che, solo, impedirebbe di fare delruomo e della sua condizione finita il punto di vista assoluto sulle cose. Del resto Kant non si è accontentato di scrivere un saggio sull•intelletto umano e neppure un trattato della natura umana, ma si è lanciato nel progetto più ambizioso di una critica della ragion pura, il cui uso investe i diversi ambiti delresperienza umana,
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Comprendere in che senso tale istan7a possa valere come legittima, senza che con ciò vengano superati i limiti della ragione umana, è la vera sfida della clitica. Tale sfida implica di specificare il modo affatto peculiare in cui, in seno alla ragione, il tema del bisogno dell'incondizionato viene a chiarirsi in connessione con quel che la ragione stessa può e deve rivendicare come un suo diritto. Il bisogno dell"incondizionato, che risponde alla esigenza della ragione di superare lo spazio empirico in cui può esercitarsi legittimamente la conoscen7a umana, non esprime infatti un desiderio contingente, un capriccio legato alla vanità e alla smania di estendere le nostre cognizioni al di là dei limiti e dei poteri di cui disponiamo. Il bisogno che qui è in gioco si radica nella natura stessa della ragione. Ora però, parlare di natura della ragione, parlare di natura, nel caso della ragione, non fa rifelimento a una costituzione data, che si tratti dell"uomo o di qualunque altro essere. La pretesa normativa della ragione, che si esprime nel concetto dell'incondizionato, esorbita dai poteri dell"uomo non solo e non tanto perché la natura umana finita è incapace di darvi completa soddisfazione, ma anche e soprattutto perché dell'uomo, come di qualunque altro essere razionale, essa esprime propriamente il non essere interamente vincolato alle condizioni di una costituzione ontologica specifica22• È precisamente quel che Kant intende
illuminandone, ma insieme anche turbandone, il corso con le sue ambiziose e inderogabili pretese. 22 Se di una "natura" della ragione deve parlarsi, questa va intesa allora, piuttosto, in una accezione più prossima a quella che il termine assume nella Religionschrift in connessione alla questione della libertà umana. Il termine "natura" viene qui utilizzato da Kant come indicazione problematica del fondamento soggettivo delragire spontaneo, in sé insondabile perché non riconducibile a un che di dato, e che però «è anteriore ad ogni fatto che cade sotto il sensi» (RGV, AA 6: 20-21; tr. it., p. 19).
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quando, nel delineare il profilo critico della ragione, afferma che essa non può, di principio, accettare «altra censura al di sopra di sé»23, sicché le regole del suo agire non possono essere dettate da una costituzione ontologica data che la preceda e la pre-detennini, sia essa la natura umana, o ancora la costituzione specifìca di un altro essere razionale, o persino la natura dell>essere divino. Se Kant parla di «natura» della ragione, ciò va inteso, allora, nel senso che è proprio della ragione, in quanto attività spontanea, seguire una legislazione autonoma, che non obbedisce alle condizioni e alle regole iscritte nella natura di questo come di qualsivoglia altro ente24 • Così inteso, il bisogno dell>incondizionato non dà forma soltanto ali>esigenza di ciò che non si dà a conoscere ma, ben altrimenti, è il concetto senza di cui non avrebbe neppure senso 23 KrV, A 795/B 823; tr. it., p. 1121. «Questa capacità di operare in modo puro è, secondo Kant, il tratto più alto e più caratteristico della ragione, e spiega perché la ragione non ha una misura esterna con cui confrontarsi; nessuna forma data dalresterno che limiti o vincoli la sua propria attività di dar forma. Quindi, se deve esserci una critica della ragione pura come tale, allora questa può essere messa in atto solo assumendo il giusto punto di vista alrinterno della ragione, e da qui delineando la sua struttura così come essa sorge naturalmente e con totale spontaneità unicamente dalla natura della ragione stessa» (C.D. Fugate, The TeleologyofReason.A Study ofthe Stnroture of Kant's Critical Phuosophy, de Gruyter, Berlin-Boston 2014, p. 17). 24 Da questo punto di vista, ha ragione O. O'Neill quando afferma che «Vautonomia non è il conseguimento speciale del più indipendente, ma una proprietà di ogni essere razionale» (O. O'Neill, Constructions of Reason. Erplorations of Kanf's Practical Phuosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1989, p. 76). Nella declinazione kantiana del concetto di autonomia, in quanto proprietà che connota in modo essenziale la vita dell'ente razionale, si possono individuare i termini di una distanza critica radicale da ogni modello di libertà fondato sul privilegio di un ente autarchico. L"autonomia non è, infatti, da attribuirsi alla condizione specifica di un particolare tipo di ente, ma alla possibilità dell"esercizio della ragione in quanto tale, qualunque sia la natura specifica o anche la condizione contingente in cui la ragione viene esercitata.
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parlare di ragione, e conseguentemente neppure di una sua applicazione in ordine alla conoscenza. Compreso nello spazio autenticamente metafisico, segnato dal rapporto della ragione con stessa, e dunque non semplicemente commisurato al ruolo che esso assolve in relazione alla conoscenza degli oggetti dell'esperienza, il bisogno dell'incondizionato risulta, dunque, indistinguibile dal profìlo eminentemente critico di una ragione che, nel seguire la sua natura di attività spontanea, non si sottopone ad alcuna legislazione esterna, o alle regole di una qualche costituzione data che la predetermini e con ciò la condizioni. In definitiva, il concetto dell'incondizionato incontra il senso stesso di una rag!one la cui natura e la cui esistenza si fondano sulla possibilità del libero esercizio della critica come massima espressione di una forma di vita autonoma25 • In questo, e solo in quest'ultimo grado di giudizio, che spetta al «tribunale supremo [der oberste Genchtshoj]»2S della ragione, prende forma determinata quel concetto di essere razionale in generale che, in ambito pratico-morale, costituirà il principio su cui si fonda un discorso metafisico sui costumi, la cui legislazione deve risultare cogente non solo per l'uomo, ma per ogni essere razionale. Oggetto del dibattimento nel tribunale supremo è un diritto che riguarda in proprio l'esercizio della ragione. Si tratta di quel che Kant, con espressione solo in apparenza problematica, presenta nello scritto Cosa significa orientarsi nel pensiero, come «il diritto del bisogno della ragione [das Recht des 25 Cfr. A 738/B 766; tr. it., p. 1049. In riferimento alle pretese sollevate in sede di ragion pura non si può, allora, parlare semplicemente di un bisogno insoddisfatto, ma di una struttura tensiva, implicita del resto nel principio stesso della critica, che ha a base la libertà e non un incondizionato concepito al modo dogmatico di un fondamento dato. 26 .KrV, A 669/B 697; tr. it., p. 959.
47 Bedilifnisses der Vemunft]» 21; là dove, potremmo dire, una natura bisognosa, desiderante ]"incondizionato, non può più distinguersi da una ragione che, nel suo esercizio critico, esibisce la legittimità di un tale bisogno28. E ciò perché }"istanza
27 WDO, AA 8: 137; tr. it., p. 51. 28 Fuori da questo straordinario connubio di diritto e bisogno c>è solo lo spazio per una ragione dogmaticamente incredula (cfr. WDO, AA 8: 146; tr. it., p. 65). Altra questione, che meriterebbe un>indagine dedicata, è ovviamente quella di chiarire i termini kantiani in cui alresercizio del pensare razionale può essere riferito qualcosa come un bisogno. Il ricorso sistematico in Kant a formule in cui si parla di una ragione che, in prima persona, esprime bisogni, coltiva interessi, alimenta illusioni, cerca soddisfazione, desidera, ecc. non può, in effetti, non provocare più di una domanda circa il modo più appropriato di interpretare simili espressioni. Mi pare fornisca non pochi spunti di riflessione al riguardo P. Kleingeld la quale, in opposizione alle letture che riferiscono queste immagini a una funzione esclusivamente metaforico-decorativa, riconduce il «lessico del bisogno» a un uso simbolico, nel senso squisitamente kantiano delJ>analogia filosofica (cfr. P. Kleingeld, The Conative CharacterofReason in Kanfs Philosophy, in «Journal of the Histmy of Philosophy», n. 1,1998, pp. 76-97, in part. pp. 91-97). Sen:za entrare nel merito della questione mi limito qui a sottolineare quel che ritengo essenziale in relazione al presente lavoro. Parlare di bisogno della ragione implica una reinterpretazione del concetto di ~isogno" e soprattutto del modo in cui r aver bisogno si lega a una condizione di mancan:za. Nel caso dell>esercizio spontaneo della facoltà razionale parlare di bisogno significa certamente fare riferimento a una condizione di mancan:za. E però, questo mi pare sia il punto essenziale, il mancare assume qui una connotazione non semplicemente negativa, privativa. Esso si ascrive piuttosto al principio stesso della critica in quanto legata a un esercizio del pensare che non può, ma anche non deve, contare su un accesso alJ>incondizionato nei termini dogmatici di un fondamento dato; e ciò perché a partire dal punto di vista autonomo della critica rincondizionato viene a configurarsi non come dogma ma come scopo da concepire in un uno con la dimensione dell>agire libero. In questo senso si dà un 'bisogno della ragione che non va semplicisticamente consegnato alla condizione finita di un essere manchevole, ma va più problematicamente riferito a una forma di manchevolez:za sui generis, che concerne esattamente la condizione di libertà della critica e del concetto di incondizionato ad essa intimamente connesso.
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dell'incondizionato, prima di tradursi, in sede strettamente conoscitiva, in un principio regolativo che orienta la conoscenza dei fenomeni, e persino prima di segnare la via che conduce al piano della conoscenza pratica, esprime in senso eminente la natura della ragione, in quanto fonte di pretese e di istanze la cui legittimità non può, di principio, ancorarsi alla costituzione specifica di un essere, sia esso l'essere umano o, persino, l'essere divino. In conclusione: i gradi successivi di giudizio secondo cui opera il tribunale della ragion pura offrono un punto di vista privilegiato a partire dal quale riguardare il concetto kantiano di ragione umana in tutta la sua complessità. Se l"espressione «ragione umana» indica una facoltà che rientra nel corredo fisiologico delle nostre disposizioni conoscitive, e, come tale, viene considerata «soggettivamente come una facoltà conoscitiva umana», in virtù del possesso della ragione l'uomo si fa, però, testimone di istanze, pretese, progetti sulla cui soluzione egli, in quanto dotato di una natura e di poteri specifici, non può avere l"ultima parola. L'indagine critica assolve, cioè, al compito che le è proprio non semplicemente in quanto determina lo spazio di legittimità dell"uso puro della nostra facoltà conoscitiva, ma in quanto libera dalla morsa di ogni antropomorfismo dogmatico il significato di quelle pretese che la ragione coltiva di per sé, e il cui scopo, legato com'è ali'esercizio del pensiero critico quanto alla dimensione autonoma dell'agire pratico, non è riducibile al semplice incremento delle cognizioni e delle abilità umane.
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II Antropologia da un punto di vista critico
l. L:,interesse per lo straniero La filosofia kantiana ha sempre mostrato particolare interesse per la condizione e le sorti dell'ospite straniero. Le pagine di epoca tarda sul diritto cosmopolitico ne sono una chiara testimonianza e offrono anche a noi contemporanei spunti interessanti di riflessione su questioni che ineriscono alla cittadinanza, alle relazioni internazionali e, più in generale, a ciò che noi oggi ascriveremmo ai diritti umani. Lo straniero che giunge in terra d'altri ha anzitutto il diritto di non essere trattato come un nemico, a meno che, infrangendo le regole dell' «ospitalità universale» e della convivenza pacifica tra gli uomini, non trasformi la sua visita in invasione 1• NelI'ambito deIIa produzione kantiana ]'interesse cosmopolitico per la condizione dello straniero non rimane, però, con-
l Cfr. uF, AA 8: 357; tr. it., p. 177. Si avrà modo di trattare nei capitoli successivi della figura dello straniero in relazione alle questioni sollevate dal progetto filosofico-giuridico che Kant consegna allo scritto Sulla pace perpetua e, più in generale, in connessione alle profonde ricadute che la trattazione del diritto cosmopolitico registra sul terreno della ricerca teoretica e sul concetto kantiano di ragione umana. Cfr. in particolare infra, capp. IV e V.
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finato nello spazio della riflessione politico-giuridica. Esso si radica piuttosto nel tessuto teoretico della ricerca critica sui poteri e i limiti della nostra facoltà conoscitiva, intercettando la questione architettonica del rapporto tra le diverse forme del sapere umano e, con ciò, iscrivendosi nella costruzione complessa della filosofia kantiana. Essa appare da un lato caratteriz7.ata dall'intenzione di istituire, nelP ambito di una topografia della ragione umana, confini precisi, distinguendo ad esempio tra facoltà spontanea e capacità ricettiva, uso puro e uso empirico della ragione, conoscenze a priori e a posteriori, filosofia pura e discipline empiriche, ecc.; dall"altro, però, il sistema richiede per il suo stesso funzionamento che talvolta i confini diventino più sfumati, in modo da consentire il passaggio in zone non del tutto inquadrabili in un ordine istituzionalizzato. Zone di confine appunto, nelle quali accade di imbattersi in abitanti che appartengono a luoghi diversi e tra loro distanti. Non deve stupire, allora, che la figura dell'ospite straniero, oltre a sollevare un interrogativo per la dottrina kantiana del diritto, compaia anche nel bel mezzo dell"Architettonica della ragion pura, là dove Kant traccia in forma sistematica i confini della metafisica. In quel luogo, ponendo }"accento sul carattere improprio della presenza della psicologia empirica tra le discipline metafisiche, l"autore della prima Critica scrive: Si tratterebbe dunque come di uno straniero, ospitato già da tanto, a cui si concedesse un soggiorno per qualche tempo ancora, finché esso possa trovare la sua propria dimora in un'antropologia completamente sviluppata (il corrispettivo di una scienza empirica dell'uomo ).2
Sembra insomma che anche qui sia richiesto un diritto "cosmopolitico" che supplisca alle lacune di un sistema non ancora articolato in tutte le sue parti, regolando i rapporti di
2 KrV, A 849/B 877; tr. it., p. 1191.
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ospitalità tra discipline che appartengono a ordini diversi del sapere umano: da un lato la metafisica, con il suo bagaglio di conoscenze pure; dall'altro l'antropologia, considerata come stadio finale della trasformazione della psicologia empirica in una più ampia e sistematica conoscenza dell'uomo3 • Questo studio prende in esame i termini del rapporto problematico tra filosofia pura e conoscenza dell'uomo, provando a rispondere al seguente interrogativo: in che senso l'antropologia, intesa da Kant come scienza empirica, può far parte del progetto trascendentale di una critica della ragion pura? Non ci si dovrebbe piuttosto attenere a una separazione irrimediabile tra ordini di indagine che perseguono scopi affatto diversi e secondo metodi che hanno poco o nulla in comune? Rispondere a queste domande appare fondamentale per gettare luce su quel che Kant intende con l'espressione «ragione umana» e, dunque, per meglio chiarire la natura del rapporto che sussiste tra l'uomo come tema dell'antropologia e la ragione come oggetto della ricerca critica. Detto diversamente, accedere in modo rigoroso al significato dell'espressione «ragione umana», intenderne il ruolo e determinarne il posto nell'ambito della filosofia di Kant implica, innanzitutto, il doversi misurare con le difficoltà che sorgono sul terreno delle relazioni tra le diverse parti del sistema. 3 Sul confluire della psicologia nel progetto di una conoscen:za empirica dell'uomo e sul significato profondo che questo passaggio riveste nell'ambito del ripensamento kantiano dell'intero disegno della metafisica cfr. i rilievi di N. Hinske, La psicologia empirica di Wolff e Z:'antropologia 7>ragmatica di Kant. I.A fondazione di una nuova scienza empirica e le sue complicazioni, in G. Cacciatore - V. Gessa Kurotschka- H. Poser- M. Sanna (a cura di), I.A filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell'età di Woljf e Vico. Atti del Convegno internazionale di Napoli, 2-5 aprile 1997, Guida, Napoli 1999, pp. 207-224; R. Brandt, Aux origines de la philosophie kantienne de l'histoire. L'anthropologie pragmatique, in «Revue germanique intemationale», VI, 1996, pp. 19-34.
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2. L"antropologia come conoscenza empirica Anche il lettore più fiducioso nelle risorse architettoniche della filosofia kantiana non può non registrare una certa difficoltà nel trovare una posizione all'antropologia nell'ambito del progetto critico. Tanto più che nemmeno i testi kantiani sembrano dare alcun soccorso, offrendo suggerimenti sia a chi intenda confermare l'antropologia in quello statuto di conoscen7.a meramente empirica che la tiene a debita distanza dalla fìlosofìa pura, sia a chi, seguendo una direzione radicalmente opposta, rinviene nel progetto di una antropologia fondamentale il senso stesso dell'impresa critica. Gli interpreti del primo tipo possono segnare a loro favore la cura metodica di Kant nel delimitare, come si è visto, il campo delle conoscenze metafisiche rispetto al dominio epistemico della psicologia empirica e dell'antropologia. Inoltre, possono esibire come prova la stessa struttura generale delle lezioni antropologiche, il cui profìlo risulta costantemente legato a osseivazioni di carattere empirico. Ciò non implica, però, che si debba assecondare il giudizio sommario col quale Schleiermacher riduce l'antropologia pragmatica a una collezione di trivialità lontane dalla prospettiva e dallo spirito delle tre critiche4 • Si può anche, con Brandt, riconoscere la presenza in Kant di una un'indagine sull'uomo che assume la forma sistematica di una scien7.a, senza dover sostenere che una tale scienza appartenga alla filosofia in senso stretto e costituisca un sistema articolato sulla base di un,idea di ragione5 • Resta vero, comunque, che qualsiasi diagnosi che tenda a marcare in modo radicale la distanza tra l'impresa critica e l'antro4 Cfr. F.D.E. Schleiennacher, Rezension von: lmmanuel Kants Anthropologie, in Id., Kritische Gesamtausgabe, voi. 1/2, a cura di G. Meckenstock, de Gruyter, Berlin 1799, pp. 365-369.
5 R. Brandt, Die Leitidee der Kantischen Anthropologie und die Bestimmung des Menschen, in R. Enskat (a cura di), E,fahmng und Urteilskraft, Konigshausen und Neumann, Wiirzburg 2000, pp. 27-40, p. 27.
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pologia non può glissare impunemente sulle tante incursioni della filosofia pura sul terreno empirico dell'indagine antropologica. Solo per citare qualche esempio, si pensi agli argomenti trattati nel § 7 dell'Antropologia dal punto di vista pragmatico, come la distinzione tra facoltà attiva e capacità ricettiva dell'animo o la distinzione tra spontaneità dell'appercezione e senso interno; temi che, come è noto, stanno al cuore della riflessione kantiana sui limiti dell'uso puro della ragione6 • Di più, il programma di un'antropologia intesa come conoscenza rivolta non a ciò che la natura fa dell'uomo, ma a ciò che l'uomo in quanto agente libero può e deve fare di se stesso7, esibisce, pur nel quadro esplicito di una ricerca empirica rivolta ai fenomeni osservabili dell'esistenza umana, un'istanza normativo-teleologica la cui portata non può essere corretta6 È vero che Kant tratta questi temi, e in special modo quello concernente il rapporto tra senso interno e appercezione trascendentale, nello spazio circoscritto di una annotazione che egli stesso dichiara non appartenere airantropologia, essendo di interesse dell'indagine metafisica, «che ha a che fare con la possibilità della conoscen7.a a priori» (Anth, AA 7: 142-143; tr. it., p. 130). Tuttavia, anche in questo caso, il giudizio viene subito mitigato: «Ma era comunque necessario ritornare un po' indietro, per impedire anche soltanto gli sbagli in cui si imbatte a questo riguardo una mente speculativa [ ... ]. Pertanto è consigliabile, e addirittura indispensabile, incominciare da fenomeni osservati entro sé, per procedere solo in seguito ali'affermazione di certi principi concernenti la natura dell'essere umano» (Anth, AA 7: 143; tr. it., p. 130). Sulla differen7.a di piani che la distinzione tra senso interno e appercezione gioca rispettivamente all'interno della prima Critica e dell'antropologia insiste Foucault, pur nella cornice di una interpretazione che, nel metodo e negli esiti, va ben al di là di un contesto di esegesi dell'opera kantiana (M. Foucault, Introduzione alt«Antropologia» di Kant, tr. it. di G. Garelli, in Anth, pp. 9-94: p. 23). Sulla peculiarità dell'interpretazione foucaultiana dell'antropologia kantiana cfr. T. Tuppini, Critica o antropologia? Alcune considerazioni intorno alnntroduzione all'antropo'logia di Kant (1961) di Michel Foucault, in Was ist der Mensch I Que é o Homem. Antropologia, Estética e Teleo'logia ern Kant, Centro de Filosofia da Universidade de Lisboa, 2010, pp. 259-272. 7 Cfr. Anth, AA 7: 119; tr. it., p. 99.
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mente valutata senza il riferimento al corpus delle tre critiche8. E da ultimo, non può passare inosservata la complicità tra i temi discussi in sede di Architettonica della ragion pura in merito alla necessità che il sapere di scuola si apra a una visione che concerne il senso dell'esistenza umana nella sua interezza, e un'antropologia che deve chiarirsi essenzialmente come sapere capace di orientare nel mondo9• Su questo punto avremo modo di tornare nella parte conclusiva del capitolo. Le incursioni della filosofia trascendentale sul terreno dell'antropologia, se in nessun modo possono autorizzare ad abbandonare lo spazio dell'indagine empirica, suggeriscono comunque di contestualizzare tale indagine in un quadro di questioni più ampio a partire dal quale anche la domanda sull'uomo presenta, già da subito, un profilo più complesso di quello
8 Ha ragione R. Lauden quando sottolinea: «Il forte sottofondo teleologico presente nelranalisi kantiana della destinazione dell'umanità è un chiaro segno del fatto che r antropologia, per quanto intesa come una sciell7.a nella quale "i fondamenti della conoscenza vengono tratti dalrosseMlZione e dalresperienza», non è semplicemente una scienza empirica» (R. Lauden, Kant"'s Human Being. &saysonhis 'lneotl.Jof HumanNature, Oxford University Press, 2011, p. 76). Sulla ne~tà di contestuali2zare rimpostazione kantiana del problema antropologico nella cornice critica del giudizio teleologico ha insistito con particolare enfasi H.L. Wilson, Kant"'s Pragmatic Anthropology. lts Orif.4n> Meaning, and Criticai Significance, State UniversityofNew York Press, Albany 2006. Sulla rilevanza filosofica delrantropologia kantiana cfr., più in generale, G. Bohme, lmmanuel Kant. Die Bildung des Menschen zum Vernunftwesen, in R. Weiland {acura di),Philosophische Anthropologieder Moderne, Beltz Athenaum Verlag, Weinheim 1995, pp. 30-38, in part. pp. 30-32. 9 Sull'intreccio tra la dimensione cosmica del filosofare, che emerge in modo esplicito nelle pagine dell'ArchUettonica della rag)on pura, e il senso di un>antropologia che si declina come sapere concementeruomo in quanto cittadino del mondo cfr. in particolare i rilievi di C. La Rocca, il quale parla opportunamente di un «nesso tra filosofia come sistema cosmopolitico e destinazione dell'uomo cui fa capo il carattere pragmatico delrantropologia» {C. La Rocca, Le lezioni di Kant sulJ>antropologia, in «Studi kantiani», XIII, 2000, pp. 103-117: p. 115).
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che può essere delineato sulla base dell'ossetvazione del comportamento e degli accadimenti umani. In altri termini, se è ambizione di Kant conferire all'antropologia lo statuto di una scienza autonoma nella quale far confluire le ricerche della psicologia empirica, ciò non esclude però, anzi addirittura prevede, la possibilità di coltivare uno sguardo su tali ricerche che attinga a risorse non reperibili in seno alla sola ossetvazione empirica. Anzi, è proprio l'appello a queste risorse che consente a Kant di operare una distinzione in seno alla ricerca antropologica tra un punto di vista empirico e un punto di vista pragmatico, quest'ultimo rivolto alla capacità auto-formativa che caratterizza l'uomo in quanto ente libero. D'altra parte - e qui veniamo al punto che più direttamente ci interessa - distinguere tra diversi punti di vista a partire da cui può essere investigato l'uomo e, più in particolare, interrogarsi sulle disposizioni che lo concernono in quanto ente razionale, non deve in alcun modo costituire la premessa per una indiscriminata moltiplicazione degli enti che si spinga fino alla ricerca di un modello ulteriore di indagine antropologica che semplicemente trascenda il piano delle cognizioni empiriche. È il rischio dogmatico cui si espongono quelle posizioni che, contrapponendosi a ogni riduzionismo in chiave empirista dell'indagine kantiana sull'uomo, finiscono però con l'ancorare ali'elaborazione di un"'antropologia fondamentale" la tenuta stessa del sistema critico, ponendo, cosl, alla base delle questioni discusse nell'ambito delle tre critiche il riferimento a una precisa idea di costituzione o natura umana. Non sono poche, come vedremo, le difficoltà che emergono da questo indirizzo ermeneutico, il quale, facendo riferimento soprattutto ad alcuni luoghi noti dell'opera kantiana 10, insiste sulla
10 Cfr. ad es. Log AA 9: 25; tr. it., p. 19, Br, AA 11: 429; tr. it., p. 319, VMet-L2/Politz AA 28: 533 534.
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centralità della domanda sull"uomo quale perno attorno a cui ruotano le domande poste da Kant in sede di filosofia pura. Se, infatti, un confinamento dell'indagine sull'uomo sul terreno dell'osservazione empirica rischia di non dare il giusto peso alle questioni che stanno sullo sfondo della considerazione di un ente capace di riscrivere secondo una finalità libera il rapporto con il proprio corredo naturale, l"insisten7a ostinata sulla domanda intorno all"uomo quale chiave di accesso al senso più profondo del progetto critico rischia invece, da parte sua, di travisare il vero scopo dell'indagine trascendentale sui limiti della ragione.
3. L'antropologia come sci.enza fondamentale L"istan7a di un""antropologia fondamentale" assume in seno alla Kant-Forschung forme molteplici che testimoniano }"intersecarsi su uno sfondo comune di indirizzi filosofici tra loro anche molto distanti. A questo atteggiamento inteipretativo possono, infatti, ascriversi anzitutto letture che, come quella di E. Weil o di M. Foucault, lamentano in Kant la mancanza di una tematizzazione adeguata della questione dell'uomo. In questo caso la figura dominante diviene quella, codificata da Heidegger11 , di un Kant che indietreggia pavido di fronte al compito di un'indagine radicale sulla costituzione ontologica della soggettività finita dell"uomo 12 •
11 Di questo e di altri aspetti dell'intetpretazione heideggeriana di Kant mi sono occupato in modo tematico in Soggettività e trascendenza. Da Kant a Heidegger, il melangolo, Genova 2005. 12 E. Weil afferma, ad es.: «Risulta così che il fondamento ultimo della filosofia kantiana deve essere ricercato nella sua teoria dell'uomo, nell'antropologia filosofica, non in una "teoria della conoscen7.a" e neppure in una metafisica, che pure rappresentano parti essenziali del sistema. Ma Kant
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Il riferimento all'antropologia come Grundwissenschaft sulla quale si giocano, o dovrebbero giocarsi, le sorti della filosofia pura non costituisce, però, solo il termine polemico di quelle posizioni che, nell"assenza di una scienza siffatta, denunciano un deficit fondativo nell"impresa critica. L"idea di un"antropologia fondamentale guida, in modo più o meno esplicito, anche le interpretazioni che rinvengono nella Critica della ragion pura in particolare, e, più in generale, nell"intero edificio critico, ]"esecuzione del progetto di un'indagine «trascendentale» dell"uomo, intesa nel senso di un'analisi delle facoltà conoscitive umane che prescinda dai contesti concreti e dai limiti contingenti in cui esse vengono esercitate. Come dire, alle ricerche empiriche che indagano la natura umana a partire da fenomeni ossetvabili si affiancherebbe in Kant un""antropologia pura" che intercetta le domande fondamentali della filosofia critica; un"indagine sistematica delle condizioni e dei limiti costituitivi dell"uomo in quanto soggetto pensante, conoscente, desiderante, senziente, ecc. Frierson parla, ad es., di tre ordini dell"antropologia kantiana: un ordine normativo proprio di un" «antropologia trascendentale» che definisce ciò che l'uomo dovrebbe pensare, sentire o scegliere, il piano descrittivo di un"antropologia empirica che classifica e categorizza i modi ossetvabili in cui l'uomo pensa, sente e agisce, e l'ordine di una conoscenza pragmatica nella quale i due approcci, normativo e descrittivo, si combinano insieme 13•
non fa di questo fondamento del suo pensiero r oggetto della sua riflessione, non lo tematizza» (E. Weil, Problèmes kantiens, Paris, Vrin, 1963, p. 33; tr. it. di P. Venditti, E. Weii Problemi kantiani, Quattroventi, Urbino 19&1, p. 36. Cfr. anche M. Buber, Das Problem des Menschen, Heidelberg, Lambert Schneider, Heidelberg 1948, pp. 11, 14). 13 Cfr. P.R Frierson, What is the Human Being?, Routledge, London-New York 2013, p. 6.
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La tentazione è, insomma, quella di adottare l'espressione anthropolngia transscendentalis che, però, occorre una volta neWintero arco della produzione kantiana, e per di più in un contesto ben circostanziato 14, per qualificare un tipo di indagine sull'uomo che si porrebbe a un livello preliminare rispetto al terreno in cui opera la ricerca empirica, sino a innetvare la struttura stessa dell'edifìcio critico. Il caso di Frierson costituisce un esempio emblematico dicome una parte della Kant-Forschung abbia dilatato lo spazio dell'indagine sull'uomo, sino a farne l'orizzonte in cui ripensare il senso delle domande poste dalla filosofia pura. Su questa linea interpretativa si collocano anche coloro che, pur tenendo distinto in Kant l'ordine delle conoscenze pure rispetto al campo delle ricerche antropologiche, tendono comunque a leggere il rorpus delle opere critiche come uno studio delle facoltà conoscitive umane fondamentali che fa da precondizione per un'antropologia concepita come progetto per l'orientamento dell'essere umano nel mondo, dunque per quella antropologia che in Kant assume la forma di una conoscenza pragmatica. Si è parlato, in questo senso, delle tre critiche come di un trattato della natura umana in generale 15, nel quale l'esame delle facoltà conoscitive assurge al livello più profondo di un'analisi pura del pensare, del volere, del sentire, dello sperare. In questo caso non si tratta di unificare filosofia pura e antropologia nel segno del progetto, più o meno riuscito, di una scienza antropologica dal profilo non empirico nella quale conffuirebbero, in ultima analisi, le questioni sollevate in sede di ricerca critico-trascendentale. Si tratta piuttosto di identifì-
14 Refi 903, AA 15: 395. Sul significato che respressione anthropologia transscendentalis riveste nel contesto della riflessione critica di Kant si tornerà nella parte conclusiva del capitolo. 15 Cfr. A. Falduto, The Faculties ofthe Human Mind and the Case ofMoral Feeling in Kant~s Philosophy, Berlin-Boston, de Gruyter, 2014, pp. 85-86.
59 care nelle facoltà conoscitive umane l'oggetto di un'indagine articolata su due livelli: quello logico-trascendentale e quello antropologico-empirico, cosl da costituire, sebbene secondo prospettive differenti, Io spazio nel quale pensare a una ricerca suIJ>uomo filosoficamente fondata. Anche in questo caso, però, il riferimento a una idea determinata di natura umana rimane r orizzonte nel quale situare l'intera filosofia kantiana, cosl che Io spettro di un'antropologia onnicomprensiva, che inghiotte persino Io spazio della filosofia pura, ritorna nella forma di un'indagine sulle facoltà conoscitive umane che si muove su diversi piani, abbracciando a un estremo il campo di indagine delle Critiche e all'estremo opposto le scienze che ricostruiscono la natura dell'uomo a partire dal materiale offerto dall'esperienza.
4. Il rischio della ragione antropomorfa Ora però, nelle posizioni intetpretative che, in modo più o meno diretto, ancorano il disegno critico al progetto di una conoscenza «filosofica" dell'uomo che va al di là di quel che si può evincere della sua natura sulla base dell'ossetvazione empirica, si annida un rischio che potremmo definire nei termini di una indebita antropomorfìzzazione della filosofìa pura. Il punto qui non sta nel mettere in discussione la posizione centrale che all'interno della filosofia kantiana occupa l'interesse per le forme dell'esperienza umana. E tuttavia leggere J>impresa critica come un trattato sulla natura umana, anche se intesa nei termini ''puri'' di un'analisi delle facoltà fondamentali dell'uomo, mi sembra rischi di far perdere di vista il senso complessivo della ricerca che Kant presenta sotto il nome di «critica della ragione", e soprattutto il senso in cui una tale ricerca si lega alla dimensione del conoscere e dell'agire umani.
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Lo scetticismo nei riguardi di una scienza della natura umana come terreno di ancoraggio per l'impresa critica si rende, del resto, subito evidente nell'approccio sistematico alle questioni dalle quali l'impresa critica prende le mosse e che riguardano la possibilità di un uso puro della ragione: Le sue questioni [della ragione] non le ho evitate, accampando magari come scusa l'impoten7.a della ragione umana, ma le ho completamente specificate secondo principi. 16
«Critica della ragione» significa in prima istanza confrontarsi con una pretesa conoscitiva e normativa che travalica la misura dell'umano e che dell'uomo più che indicare la natura, nel senso di un insieme di disposizioni date, prefigura la destinazione, nel senso di uno scopo la cui realizzazione, però, per quanto si imponga come necessaria, non è concepibile a partire dai soli poteri e dalle sole risorse di cui l'uomo dispone per natura. Impresa tutt'altro che facile. Non è un caso che Kant la presenti come la situazione di imbarazzo dalla quale prende le mosse l'impresa critica: La ragione umana, in un genere delle sue conosceil7.e, ha un destino particolare: quello di essere tormentata da questioni cui non può sottrarsi, poiché le sono imposte dalla natura stessa di ragione, ma a cui non può nemmeno dare risposta, poiché tali questioni oltrepassano ogni potere della ragione umana. 17
Considerata secondo la possibilità di un uso che trascende quello empirico, la ragione pone l'uomo al cospetto di questioni la cui portata oltrepassa la condizione che viene contrassegnata con ]'aggettivo «umana». Nella prospettiva critica, parlare di «ragione umana» non significa, semplicemente, indicare una facoltà che rientra nelle dotazioni naturali dell'uomo,
16 KrV, A Xli; tr. it., p. 13. 17 KrV, A VII; tr. it., p. 7. Traduzione modificata.
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ma implica in primo luogo !"interrogarsi sulla sproporzione che corre tra l'istanza di incondizionatezza, avanzata da un uso puro della nostra facoltà conoscitiva, e il carattere necessariamente condizionato della nostra capacità di rispondere a una simile istanza. È questo il motivo di una Verlegenheit in cui «la ragione umana cade senza averne colpa» 18• ''Non è colpa di nessuno: è il destino!"', si dice. Kant sottoscriverebbe questo detto in riferimento al fatto che le questioni metafìsiche non sono liquidabili come un semplice errore umano. Non rispondono cioè a pensieri arbitrari. Come egli afferma: «Si tratta di sofìsticazioni non degli uomini, bensl della ragion pura stessa, dalle quali neppure il più sapiente fra tutti gli uomini saprebbe liberarsi» 10• Ciò però non implica che le pretese sollevate dall'uso puro della ragione siano di per sé erronee. In esse parla infatti qualcosa di decisivo che è compito della Dialettica trascendentale fare emergere, fornendo gli strumenti di un uso disciplinato delle idee della ragione. Delimitare, come Kant fa, l'isola della verità dall'oceano della parvenza non toglie che quel che è più importante, anche per vivere nell'isola, rimarrebbe ignoto a chi non ha il coraggio di awenturarsi in quell"oceano. Le idee trascendentali sono portatrici sane di un potenziale illusorio che, se non tenuto sotto il controllo sistematico di una disciplina logica, fìnisce col condurre alla costruzione di un sapere ingannevole. Per questo, una critica della ragione si rende necessaria, non però per prendere congedo dalle pretese più alte che essa avanza, ma per prevenire gli errori che ci porterebbero fuori strada rispetto alla vera destinazione cui ci dispone il suo uso puro; una destinazione che non coincide in alcun modo col semplice e indiscriminato accrescimento della nostra brama conoscitiva:
18 KrV, A VII; tr. it., p. 7. 19 KrV, A 339/B 397; tr. it., p. 585.
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D"altronde, non era certo questo ciò a cui mirava la destinazione naturale [Naturbestimmung] della nostra ragione; e il dovere della filosofia era quello di eliminare l"inganno nato da un malinteso, anche se con ciò si dovesse distruggere un"illusione ancora tanto apprezzata e tanto amata. 20
Il senso in cui il progetto di una critica della ragione, e con essa di una filosofia pura, si lega all'indagine sull'uomo va compreso, allora, non direttamente in relazione alI'intento di fornire una qualche caratterizzazione della costituzione conoscitiva umana, ma in relazione alla possibilità di individuare il significato che per l'uomo e per la sua intera esistenza rivestono questioni la cui portata va ben oltre i poteri conoscitivi di cui egli dispone. Quando Kant presenta la critica della ragion pura come una «critica della facoltà della ragione in general.e» 21 , egli non intende fornire una descrizione deIIa natura umana22 concepita al liveIIo più profondo della sua struttura conoscitivo-razionale, ma intende anzitutto farsi carico fino in fondo delI'esperienza di una sproporzione, nelI'uomo, tra natura e ragione, tra ciò che all'uomo è dato e ciò a cui l'uomo è destinato. Il che è tanto più importante in relazione al fatto che la ragione non può, di principio, costituire una caratteristica che identifica la natura umana semplicemente perché, considerata in se stessa, essa non risponde ad altro che a una pura attività spontanea, la cui funzione riconduce al principio di una legislazione autonoma:
20 KrV A XIII; tr. it., p. 13. 21 KrV, A Xli; tr. it., p. 11. Corsivo mio. 22 Concordo con B. Jacobs quando afferma che il punto di vista maturato dalla prima Critica non può più riconoscersi nel mcxlello humeano di una ricerca della natura umana nella quale cercare la fondazione delle scienze che tentano di rendere assiomatiche le esperienze umane (B. Jacobs, Kantian Character and the Science of Humanity, in B. Jacobs - P. Kain [a cura di],. &says on Kant's Anthropo'logy, Cambridge University Press,. Cambridge 2003,. pp. 105-134, in part. pp. 108-109).
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la ragione non si arrende a un fondamento che sia dato solo empiricamente e non segue r ordine delle cose cosl come esse si presentano nel fenomeno, ma si costruisce con piena spontaneità un proprio ordine secondo idee, alle quali essa adatta le condizioni empiriche, e in base a quelle idee dichiara come necessarie persino azioni che pure non sono accadute e forse non accadranno mai. 23
Come è intesa da Kant, la ragione individua, allora, quell"aspetto per il quale ruomo, come ogni essere razionale, non risulta interamente legato a una condizione fisiologica, a una natura data, che lo preceda e lo pre-determini, ma è in grado di riscrivere il rapporto con le proprie dotazioni naturali, esercitando un"azione auto-formativa. Su questa base Kant può distinguere nell"ambito delle cognizioni rivolte all"essere umano il punto di vista fisiologico dal punto di vista pragmatico: Una dottrina della conoscenza dell'essere umano, trattata sistematicamente (antropologia), può dirsi tale o da un punto di vista fisiologico o da un punto di vista pragmatico. La conoscenza fisiologica dell'uomo ha di mira rindagine di ciò che la natura fa di lui, mentre quella pragmatica mira a indagare ciò che egli, in quanto essere che agisce liberamente, fa ovvero può e deve fare di se stesso. M
Per citare un esempio, suggerito dallo stesso Kant, noi da un lato siamo fisiologicamente dotati della facoltà della memoria, dall'altro siamo in grado di sviluppare strategie atte a potenziare la nostra capacità di ricordare. Se riguardo al primo aspetto rimaniamo spettatori di quel che la natura fa di noi, per il secondo invece diveniamo attori, utilizzando quel che la natura ci ha dato per ampliarne e migliorarne la funzione in vista di
23 KrV, A 548 /B 576; tr. it., p. 807. 24 Anth, AA 7: 119; tr. it., p. 99.
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scopi arbitrari non necessariamente iscritti nel nostro tessuto fisiologico. In questa prospettiva l"interesse dell"antropologia sarà rivolto a fenomeni che risultano dall"agire dell"uomo in quanto freihandelndes Wesen. Ciò non implica però che il punto di vista pragmatico trascenda il piano dell"osservazione empirica. L"interesse conoscitivo per la natura umana, pur aspirando al profilo sistematico di una scien7.a, mantiene pienamente un carattere empirico. Esso è rivolto all"uomo o da un punto di vista fisiologico, ossia come un prodotto naturale, o da un punto di vista pragmatico, ossia come ente culturale. In entrambi i casi, comunque, a essere studiato è ilfenomeno di un"azione, si tratti di un"azione della natura sull"uomo o dell"uomo su se stesso. Ma non viene indagato il principio dell"agire in quanto tale che può costituire solo lo sfondo problematico di una critica della ragione intesa come attività spontanea e auto-legislatrice25. Come Kant specificava già in una lettera a Markus Herz del 1773 in relazione al programma che aveva in mente per il collegium privatum di antropologia: [ ... ] vi cerco più i fenomeni e le loro leggi che i fondamenti
primi della possibilità della modificazione della natura umana in generale. 26
Non si tratterà, allora, di cercare nel progetto di una conoscenza antropologica di carattere non empirico }"orizzonte all"intemo del quale comprendere le questioni fondamentali della filosofia critica. Al contrario, si tratterà di vedere nell"impostazione dell"indagine critico-trascendentale sul conoscere e agire razionale il criterio capace di definire e orientare ogni ricerca
25 Ha ragione R. Lauden quando afferma che l'antropologia studia gli effetti fenomenici della libertà umana nel mondo empirico e non la loro origine non empirica (R. Lauden, Kanfs Human Being, cit. p. 81).
26 Br, AA 10: 145; tr. it., p. 78.
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empirica sull'uomo, inquadrandola in un disegno normativoteleologico più ampio.
5. Un nuovo punto di vista Detto altrimenti, per Kant la distinzione tra il modello di una conoscenza pragmatica dell'uomo e il profilo meramente descrittivo di una conoscenza fìsiologica si dà pur sempre nello spazio di un'antropologia dalla fìsionomia squisitamente empirica. Quel che muta significativamente è, invece, la possibilità di guardare alle cognizioni empiriche dell'antropologia muovendo da un punto di vista diverso; ossia, a partire dalla possibilità di pensare un essere in grado di strutturare il rapporto con le proprie dotazioni naturali e con i propri talenti, in una parola, un essere in grado di formarsi, di agire su di sé, di coltivarsi in vista della realizzazione di scopi che vanno al di là della sua condizione di ente naturale (Naturwesen), perché assumono valore vincolante solo nel contesto di un uso puro della ragione: Il risultato complessivo cui perviene r antropologia pragmatica riguardo alla destinazione delressere umano [Bestimmung des Menschen] e la caratteristica della sua progressiva formazione sono dunque i seguenti. L'essere umano è determinato [bestimmt] dalla sua ragione a stare in una società con altri suoi simili, e in essa a coltivarsi, a civilizzarsi e a moralizzarsi per mezzo dell'arte e delle scien7.e.'J:1
27 Anth, AA 7: 324; tr. it., p. 220. Mi discosto dal traduttore nel rendere Bestimmung con «destinazione» anziché con «destino». Ritengo infatti che la voce «destinazione», utiliZ7.ata invece nella traduzione di G. Vidari, rivista da A. Guerra (Laterza, Roma-Bari 1969), si presti meglio a evocare la complessità semantica delruso kantiano del termine Bestimmung sia in ambito strettamente antropologico sia nel contesto più ampio dell'impresa critica.
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Considerata da questo punto di vista, l'antropologia, pur distinta accuratamente dalle conoscenze razionali pure, guadagna una posizione precisa lungo il percorso tracciato dalla filosofia critica, il cui compito, lo ripetiamo, non consiste nel fornire una qualche conoscenza della natura umana, ma nel prefigurare, sul filo conduttore di un'analisi dei limiti e delle possibilità di un uso puro della ragione, quelli che per l'uomo e per la sua esistenza si presentano come scopi essenziali. Che ad additare questi scopi sia la ragione, intesa come attività spontanea e auto-legislatrice, significa che essi, per definizione, non si iscrivono in una presunta natura umana precostituita98. I fini perseguiti dalla ragione non sono comprensibili come effetti di una causa naturale che li precede. Al contrario, essi assumono consistenza a partire dalla dimensione puramente spontanea dell'agire libero; quella dimensione che dell'uomo indica, non la natura, nel senso di una costituzione ontologica specifica, ma la destinazione morale, nel senso di un compito cui l'uomo è chiamato proprio in relazione alla sua capacità di un uso puro della ragione. In quanto scienza empirica l'antropologia non può additare gli scopi che all'uomo vengono assegnati da un uso puro della ragione, come non può costituire il luogo deputato a una trattazione rivolta alla dimensione dell'agire libero. E tuttavia, il riferimento a un uso puro della ragione e alla dimensione dell'agire libero rappresenta lo sfondo "naturale" di un'indagine antropologica che, secondo il programma kantiano, deve occuparsi non di quel che la natura fa dell'uomo ma di quel
28 «Dunque, per poter assegnare airessere umano la propria classe nel si-
stema della natura vivente e così caratteriZ7.arlo, non resta altro che questo: egli ha un carattere che si crea da sé, dal momento che ha capacità di perfezionarsi secondo fini che si è scelto da lui stesso» (Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 216).
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che l"uomo può e deve far di se stesso29 • L"indirizzo dato da Kant alla ricerca antropologica dà corso, in tal modo, a quanto dichiarato in sede di Architettonica della ragion pura, là dove si afferma che l'antropologia, come qualsiasi altra scienza, può rivolgersi ai fini necessari ed essenziali dell"umanità solo per il tramite di una conoscenza razionale che muove da semplici concetti; quel genere di conoscenza di cui la critica della ragione ha il compito di assicurare limiti e possibilità: La matematica, la fisica, la stessa conoscenza empirica deU'uomo possiedono un alto valore come mezzi, per lo più in vista cli fini contingenti, ma in ultima istanza anche in vista di fini necessari ed essenziali all'umanità: in questo caso, però, solo con la mediazione cli una conoscenza razionale che muova da semplici concetti, e che può essere chiamata come si vuole, ma propriamente non è altro che metafisica. Proprio per questo, la metafisica costituisce anche il compimento cli ogni cultura della ragione umana, un compimento che risulta indispensabile, anche nel caso si voglia prescindere dal suo influsso come scien7.a su certi fini determinati.30
Questo, come altri passi kantiani, attesta la necessità di una riflessione filosofica sull"uomo, senza con ciò alimentare false aspettative nei riguardi di una conoscenza sistematica della natura umana che oltrepassi il terreno delle ricerche empiriche. Una conoscenza empirica dell"uomo può, certo, confluire nel progetto più ampio di una "filosofia"" ma solo in quanto quest"ultima viene intesa come scienza architettonica che orienta le
29 Del resto, anche la dimensione delragire in vista delrutile, che rientra nelresercizio della pruden7.a, e che tanta parte ha nel progetto kantiano di un'antropologia pragmatica, non sarebbe neppure concepibile sen7.a il riferimento alla capacità dell'uomo di porsi liberamente dei fini che trascendono la sua condizione naturale. Su questo punto si tornerà in modo più circostanziato nel terzo capitolo. 30 KrV, A 850/B 878; tr. it., p. 1193.
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diverse conoscenze verso scopi i quali, al di là degli obiettivi specifici perseguiti nei singoli settori del sapere, concernono, come dice Kant, «l'intera destinazione dell'uomo»31 • Non a caso, nell'Architettonica della ragion pura si parla della filosofia nel suo concetto cosmico (Weltbegri.ff) come «scienza del rapporto di o~i conoscenza con i fini essenziali della ragione umana (teleol,agia rationis humanae)»32 • La filosofia assume cosl la forma di una legislazione che orienta i saperi scientifici e i loro fini arbitrari verso uno scopo che interessa necessariamente chiunque, dunque non solo lo scienziato o il filosofo di scuola, ma J>esistenza umana compresa nella sua interezza.
6. Antropologia trascendentale carne disciplina critica In una nota quanto discussa Reflexion, che Adickes fa risalire al periodo 1776-1778, si parla a questo proposito di un occhio ulteriore di cui ogni scienza deve dotarsi al fine di poter vedere il proprio oggetto «dal punto di vista degli altri uomini»33• Tale occhio, afferma Kant, non è altro che «l'autoconoscenza della ragione umana»34, la cui funzione critica consiste nell'impedire il radicarsi di quelle forme di egoismo scientifico consistenti nel considerare l'uso ristretto che della ragione si fa nell'ambito di una disciplina determinata come parametro da adottare indistintamente in tutti gli altri campi del sapere35• Quanto ci sia bisogno di una tale accortezza critica può essere
31 .KrV, A 840/B 868; tr. it., p. 1179. 32 .KrV, A 839/B867; tr. it., p. 1177.
33 Refi 903, AA 15: 395. 34 Refi 903, AA 15: 395. 35 Refi 903, AA 15: 395.
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testimoniato, per citare qualche esempio che ci urge più da vicino, dal danno enorme che all'intera umanità ha arrecato l'applicazione, nell'ambito delle scienze sociali, del principio evoluzionistico della selezione della specie. O si pensi, ancora, alle conseguenze disastrose di un sistema universitario che applica i criteri bibliometrici in uso nelle facoltà scientifiche per valutare la ricerca nel campo dei saperi umanistici. Per superare questa condizione egoistica. del sapere, che Kant esemplifica nella figura dell'erudito, non basta ampliare le proprie conoscenze in direzione di ambiti conoscitivi diversi, non basta cioè diventare più eruditi. Quel che si richiede, si legge nel testo della Rejlexion, è «un'autoconoscenza dell'intelletto e della ragione. Anthropo"logia transscendental:is»36 • Una forma di conoscenza siffatta non identifica una scienza dell'uomo, tantomeno può essere riguardata come la controparte pura di un'antropologia empirica. Essa non dice nulla su ciò che l'uomo è, può o deve essere, almeno non nel senso in cui lo farebbe un sapere dottrinario. Una anthropologia transscendentaUs svolge piuttosto la funzione di una ''disciplina" nel senso kantiano del termine. Essa non è una super-scienza dell'essere umano che trascende il piano della semplice considerazione empirica, ma va intesa nel senso squisitamente critico di una misura sistematica di prevenzione contro ogni uso ottuso, monoculare, della ragione; quell'uso che renderebbe la ragione inadatta a esprimere il senso più profondo dell'esistenza umana e della sua destinazione finale. Con le parole di Kant, «è necessario qualcosa che conferisca umanità all'erudito»37, mostrandogli la possibilità di un uso della ragione non ristretto alle procedure di acquisizione di conoscenze o di abilità tecniche. Un'anthropo"logia transscen-
36 Refi 903, AA 15: 395. 37 Refi. 903, AA 15: 394.
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dental:is, intesa come «autoconoscenza dell'intelletto e della ragione», non denota dunque una scienza che elegge come oggetto l'uomo nei termini "puri" di un'indagine delle sue facoltà conoscitive. O meglio, l'esame delle facoltà conoscitive umane, nella misura in cui assurge alla considerazione trascendentale, non va ascritto al programma di una Gmndwissenschaft dell'uomo, quasi si possa affiancare alle osservazioni e alle ricerche empiriche che caratteriz7ano in modo prevalente i corsi kantiani di antropologia una conoscenza che consideri in modo sistematico l'uomo al livello più profondo della sua vita conoscitivo-razionale. In definitiva, quando parla di «autoconoscenza dell'intelletto e della ragione», Kant non ha di mira la conoscenza di qualcosa come una natura "pura" dell'uomo, un dato che possa a sua volta divenire oggetto di conoscenza, ma fa riferimento a una dimensione puramente spontanea del conoscere e dell'agire che dell'uomo sta a indicare il suo non essere riducibile a qualsivoglia natura pre-costituita. In questa prospettiva, non si può contare sul dato di una natura umana che stia, per cosl dire, dietro alla natura cui possiamo accedere nei termini di una conoscenza fenomenica. E ciò non solo a cagione dei nostri limiti conoscitivi, ma per il motivo logico-strutturale che la funzione della ragione, quando non venga considerata da un punto di vista meramente psicologico, individua il nostro non essere interamente vincolati a una condizione fisiologica, a una natura, che ci preceda e ci pre-detennini38 • In conclusione, il rapporto tra filosofia critica e antropologia non può essere risolto né nei termini di una netta distinzione tra l'ordine delle conoscenze pure e l'ordine delle conoscenze em-
38 Cfr. A. Ferrarin, The Powers of Pure Reason. Kant and the Ideaof Cosmic Philosophy, The University of Chicago Press, Chicago-London 2015; tr. it. di L. Filieri, I poteri della ragion pura. Kant e l1'idea di una filosofia rosmica, ETS, Pisa 2022, pp. 41-43.
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piriche, né però sul piano di una lettura che tende a ricondurre le questioni fondamentali della filosofia pura a una domanda più fondamentale, rivolta alla costituzione dell'essere umano. L'antropologia, nel senso specifico di una scienza sistematica della natura umana, non può che darsi sul piano della conoscenza empirica. E tuttavia le ricerche empiriche, cheformano il quadro dell'antropologia kantiana, mantengono un legame essenziale con la filosofia pura. E ciò perché, lo si è visto, solo attraverso una conoscenza razionale pura, ossia per il tramite del dispositivo critico-metafisico della filosofia, le considerazioni di tipo antropologico possono essere comprese in relazione allo scopo finale dell'uomo39 • E anzi, solo in vista di un simile scopo, che, nella prospettiva kantiana, si specifica nella destinazione morale e nell'idea cosmopolitica di un mondo il più possibile conforme ai principi dell'agire libero, si può parlare legittimamente di specie umana compresa «come un tutto [~ Ganze]»40 ; ossia, solo a queste condizioni, è possibile costruire un discorso filosofico-razionale sull'uomo che ambisca prescindere dai limiti spazio-temporali all'interno dei quali ci è concesso solo di osservare e categorizzare i fenomeni dell'agire umano41 • Detto diversamente, di specie umana si può e anzi si deve parlare per Kant non in riferimento a quella natura specifica che decide l'evoluzione degli individui, ma in riferimento alla facoltà che ciascun uomo ha di determinare
39 Così, rientra, ad esempio, nei compili della conoscen:za antropologica anche un esame delle passioni e inclinazioni che agevolano, o ostacolano, la piena realiZ7.azione di una forma di vita razionale per ruomo. 40 Anth, AA 7: 331; tr. it., p. 350.
41 Sul nesso teleologico tra la specie umana intesa come un tutto, come un intero che ha priorità sulle parti, e ridea di un cammino progressivo verso la costituzione di una società cosmopolitica cfr. i rilievi di A. Taraborrelli, Cosmopolitismo. Dal cittadino del mondo al mondo dei cittadini. Saggio su Kant, Asterios, Trieste 2004, pp. 57-58.
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se stesso, di agire su di sé e sul mondo in cui opera secondo massime che rispondono al principio razionale di una spontaneità auto-legislativa. L"occhio ulteriore che la filosofia presta ali"antropologia consen-
te quello sguardo sull"intero della specie umana, che non potrebbe darsi a partire da una ricostruzione della natura dell"uomo fondata sull"esperien7.a. Allo sguardo del filosofo la specie umana si offre, dunque, come il concetto che rende pensabile ciò che all"uomo, considerato come singolo individuo, risulterebbe impossibile, ossia il compimento della sua destinazione. Ed è proprio in vista degli scopi che sono assegnati all"uomo dalla ragione, e che appaiono avvicinabili solo in relazione allo sviluppo storico dell"intera specie, che nella Prefazione alla Antropowgia pragmatica Kant può parlare di una «conoscenza generale» dell"uomo, la quale precede sempre qui la conoscenza local,e, se deve essere ordinata e diretta dalla filosofia; senza quest'ultima - continua il testo -, ogni conoscen7..a acquisita non può che procedere a tentoni e in maniera frammentaria, e non mette capo ad alcuna scien7..a. "2
Intesa come conoscenza pura, la filosofia non ha come oggetto l"uomo e per questo non può essere ascritta a una sorta di antropologia di secondo livello che si affianca alla conoscenza empirica della natura umana. E tuttavia, nella misura in cui delI"uomo indica la destinazione finale, la conoscenza razionale pura offre il punto di oista a partire da cui le cognizioni empiriche dell"antropologia possono dismettere il loro carattere frammentario e convergere verso un oggetto il più possibile vicino a quel che indichiamo con il concetto generale di «specie umana". Cosl, solo la filosofia, sebbene non abbia l"uomo a suo oggetto, fornisce le direttive per una considera-
42 Anth, AA 7: 120; tr. it., p. 101.
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zione unitaria dei fenomeni umani e, con ciò, legittima l'idea di un"antropologia non ridotta a una collezione di osservazioni empiriche senza alcun ordine sistematico.
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III Antropologia come generai Weltkenntni8
l. Perché viaggiare? Non è raro per il lettore di Kant imbattersi in espressioni dall'effetto spiazzante. E non mi riferisco qui al dato, comunemente accolto, di una prosa che, nel contesto della trattazione di questioni particolarmente spinose, non sempre si rivela ospitale. Mi riferisco piuttosto a episodi, almeno in apparenza meno significativi, che sembrano dar voce a un certo gusto kantiano di sfidare il senso comune, come a segnalare la presenza di questioni che, pur non occupando il terreno di indagine del fìlosofo di scuola o del metafisico di professione, implicano comunque l'ausilio di risorse logico-ermeneutiche che vanno al di là dell'uso del semplice buon senso. Il che risulta particolarmente degno di attenzione nel contesto di quelle ricerche che, come nel caso dell'antropologia, vengono espressamente concepite da Kant sotto il segno popolare di un'Aujkliirongfo,rs gemei.ne Leben 1• Cosl, quando nella Prefazione all'Antropologia dal, punto di vista pragmatico appronta gli strumenti per quella che chia-
1 V-Anth/Mensch, AA 25: 853.
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ma «conoscen7.a dell'uomo inteso come cittadino del rnondo>.Jl, Kant scrive: Fra i mezzi idonei ad ampliare l'ambito dell'antropologia c"è il viaggiare, o almeno la lettura dei resoconti di viaggio. Ma prima è necessario aver acquisito a casa propria [zu Hause] una certa conoscen7.a degli esseri umani, frequentando concittadini e compatrioti, se si vuole sapere dove indiriZ7.are poi la ricerca ali'esterno, al fine di ampliarne maggiormente l'ambito. Sen7.a un piano di questo genere (il quale già presuppone una conoscen7.a dell"essere umano), il cittadino del mondo nella sua antropologia rimane sempre racchiuso in limiti piuttosto ristretti.3
Certo, quando parla di casa propria, Kant non si riferisce a una riunione condominiale, né più in generale a un contesto sociale che si percepisca nella forma di una cerchia culturale ristretta. Come egli dice esplicitamente, si tratta delle frequentazioni dei suoi concittadini, degli abitanti di Konigsberg; ossia della città che, agli occhi di uno dei suoi residenti più affezionati, vale come esempio di «centro di uno stato in cui si trovano i consigli del suo governo; che abbia un'Università [ ... ]e goda anche di una situazione favorevole al commercio marittimo; che per via fluviale possa favorire il traffico tanto dall'interno del paese quanto con i paesi confinanti di differenti lingue e costumi»4 • Dunque, è a una realtà dal notevole potenziale "cosmopolitico" quella cui Kant pensa come alla culla di una conoscen7.a preliminare dell'essere umano, sulla quale edificare un piano che faccia da guida per ogni viaggio fuori dai confini di casa. E tuttavia, non può non suscitare un qualche effetto straniante, persino provocatorio, specie nel lettore contemporaneo, l'idea di una conoscenza dell'uomo e del 2 Anth, AA 7: 120; tr. it., p. 100. 3 Anth, AA 7: 120; tr. it., pp. 100-101. 4 Anth, AA 7: 120, Anm.; tr. it., p. 100, nota.
77 mondo, anzi di una conoscenza dell"uomo in quanto cittadino del mondo, che propone come propria cornice lo spazio politico-sociale di una città. I:idea del cosmopolita che conosce il mondo e i suoi abitanti da casa propria, o al più dalle porte della sua città, sembra piuttosto somigliare all'immagine dello scolastico deriso da Hegel perché voleva imparare a nuotare prima di tuffarsi in acqua; il che dovrebbe valere a maggior ragione nel caso di una scienza, come l'antropologia, del cui carattere prevalentemente empirico Kant non fa mistero, e per la quale, dunque, non può risultare indifferente l'estensione del campo di osseIVazione. E però, a dispetto deU"idea che una conoscenza dell"essere umano può darsi sempre e solo a partire «dall'osservazione di ciò che gli uomini effettivamente fanno e non fanno» 5, la scommessa di Kant su una scien7~ antropologica, e cioè su una conoscenza dell'uomo che presenti un profilo sistematico, ambisce a guadagnare un punto di vista che prescinda, almeno nei limiti del possibile, dalle circostanze di luogo e di tempo nelle quali il comportamento umano viene osseIVato. Come è concepita da Kant, l"antropologia deve darsi nella forma di una «conoscenza generale [Generalkenntnifi]» che «precede [ ... ] la conoscenza locale [geht vor der LocalkenntniB ooraus ]»6 • E superare lo spazio limitato di una conoscenza locale non può corrispondere al semplice moltiplicarsi di cognizioni riguardanti realtà locali diverse, come awerrebbe nel caso del viag5 Anth, AA 7: 121; tr. it., p. 102. Il richiamoalrosservazione empirica si profila sin dalrinizio come un dato costante delle lezioni di antropologia di Kant. Cfr.,ad es., V-Anth/Collins,AA.25: 07. Nella Lettera a Markus Herzdel 1773 Kant, presentando il suo piano per rinsegnamento accademico delrantropologia, parla di «dottrina fondata sulrossetvazione [Beobachtungslehre ]» (Br, AA 10: 146; tr. it., p. 79). Nelle lezioni di metafisica del 1789/1783 rantropologia viene presentata come una «psicologia basata su dati osservabili» (V-Met/Mron, AA29: 757). 6 Anth, AA 7: 120; tr. it., p. 101.
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giare. Perciò non può esservi dubbio che l'uomo di cui Kant è in cerca è diverso dall'uomo in cui si imbatte il turista, o persino il ricercatore curioso dei costumi del luogo. Nelle lezioni di antropologia del semestre invernale 1777n8 Kant parla della «conoscenza locale del mondo [local Weltkenntn~]» come di una conoscenza «empirica» che «è legata al luogo e al tempo e che non fornisce neppure regole per l'agire nella vita comune. Chi - continua il testo - studia il mondo attraverso il viaggiare, ha di esso solo questa conoscenza, la quale tuttavia dura solo per un po' di tempo. Infatti, se muta la condotta nel luogo dove egli è stato, cessa anche la conoscenza di esso»7• E appena dopo Kant si chiede: «dove possiamo, dunque, conoscere al meglio il mondo senza viaggiare?»8, chiarendo come l'osseivazione degli uomini che ci circondano e un'attenta riflessione (starke Reflection) possano sostituire l'estensione dell'esperienza e, in ogni caso, superino di gran lunga la conoscenza cui giunge un «viaggiatore spensierato [ein gedanckenloser Reisender]»9 • Nelle lezioni del semestre invernale l 775n6, sempre a proposito della distinzione tra conoscenza locale e conoscenza generale del mondo, Kant af7 V-Anth/Pillau, AA 25: 734. Nelle lezioni del semestre invernale 1775n6 la clifferen7.a tra un' «antropologia generale» e «un'antropologia locale» viene chiamata in causa per caratterizzare una conoscen7.a che si rivolge «non alle condizioni degli uomini [Zustand der Menschen] ma alla natura dell'umanità [Natur der Menschheit]. Infatti - continua il testo - le caratteristiche degli uomini mutano sempre, mentre la natura dell'umanità no. L'antropologia è, dunque, una conoscen7.a pragmatica fpragmatische Kenntnis] cli ciò che scaturisce dalla nostra natura, ma non una conoscen7.a fisica o geografica. Infatti, queste sono legate al tempo e al luogo e non sono durevoli» (V-Anthl Fried, AA 25: 471). Poco dopo Kant sottolinea come una tale conoscen7.a implichi il possesso cli «principi sicuri [sichere principia]» secondo i quali poter fare esperien7.a (cfr. ibidem). 8 V-Anth/Pillau, AA 25: 734. Cfr. al proposito anche gli abbozzi dei corsi accademici degli anni '70 (AA 15: 659). 9 V-Anth/Pillau, AA 25: 734.
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fermava: «Per studiare ruomo, possiamo dunque anche non viaggiare, ma possiamo prendere in considerazione [erwegen] la sua natura ovunque» I0• Non a caso, ]"antropologia kantiana fa appello non alla mera osservazione empirica, ma a «mezzi sussidiari» come «storia universale, biografie, nonché spettacoli teatrali e romanzi» 11 • Essa muove sl dal mettere insieme molte osservazioni, ma, suggerisce Kant, si tratta delle osservazioni di coloro che, come Shakespeare e Montaigne, «hanno avuto una conoscenza profonda dell"uomo» I2 • Una conoscenza antropologica che non rimanga confìnata al punto di vista locale, un"antropologia come generai, Weltkenntnifl13 non si lega, allora, alla maggiore estensione del campo di osseivazione. A fare la differenra non è, infatti, la quantità del materiale empirico di cui si dispone, ma la possibilità di apprestare un piano a partire dal quale molteplici esperienze possano venir comprese e orientate. Si tratta, dunque, di una differenra qualitativa che non è ricavabile analiticamente dalla somma dei dati accumulati: Cli uomini mostrano le fonti delle loro azioni, tanto in questo piccolo contesto quanto nel gran mondo. Per questo è richiesto solo un occhio attento e un viaggiatore, se vuole viaggiare con giovamento, deve innanzitutto disporre di questi concetti. u
10 V-Anth/Fried, AA 25: 471.
11 Anth, AA 7: 121; tr. it., p. 102. 12 V-Anth/Fried, AA 25: 472. Cfr. V-Anth/Mensch, AA 25: &57-&58. Kant richiama anche gli esempi di Richardson e Molière (cfr. Anth, AA 7: 121; tr. it., p. 102). 13 V-Anth/Pillau, AA 25: 734. 14 V-Anth/Pillau, AA 25: 734. Cfr. anche V-Anth/Busolt, AA 25: 1435. Nello scritto Determinazione del concetto di, razza umana del 17&5 ridea di un piano preliminare che preceda il viaggiare viene in evidenza nella forma, tipica del lessico della svolta critica, di una conoscen:za che sa già cosa cer-
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Il viaggiare, si legge nel testo delle lezioni di geografia fisica curato da Rink e pubblicato nel 1802, «consente di ampliare la conoscen:1..a del mondo esterno; il che però è di poca utilità se non si dispone di una certa preparazione acquisita per il tramite dell'insegnamento» 15•
2. Dal, cosmologico al, cosmopolitico Al progetto di una conoscenza generale del mondo che precede, guidandola, ogni conoscenza locale, fa da sfondo un'idea di mondo inteso non come luogo estraneo, da osservare. Il mondo non si configura, cioè, come una dimensione di principio aliena alla soggettività umana, fatto di luoghi esterni l'uno all'altro, da riconnettere insieme mediante la via empirica del viaggiare. La Weltkenntni}J cui Kant fa riferimento nel contesto della ricerca antropologica risponde, piuttosto, all'idea di un intero (Ganze) di cui l'uomo e la conoscenza che ha o può avere di sé sono parte integrante e costitutiva16• La conoscenza che
care in seno alresperien:za; il che suggerisce che la possibilità di disporre di un piano preliminare che guidi le osservazioni empiriche sulla natura umana non vada semplicemente ascritta al raggiungimento di un grado più alto di generalizzazione empirica: «Le conoscenze che i nuovi viaggi diffondono circa le varietà del genere umano hanno sinora avuto r effetto più di stimolare rintelletto a ulteriori indagini su questo argomento che di soddisfarlo. Qui molto sta certo nelraver ben determinato preliminarmente il concetto che si vuole chiarire con r osservazione, prima che si interroghi a partire da esso resperien:za; nelresperienza, infatti, si trova ciò di cui si ha bisogno solo in quanto preliminarmente si sappia cosa si debba cercare» (BBM, AA 8: 91; tr. it., p. 87). 15 PG, AA 9: 158.
16 A. Falduto mette bene a fuoco il nesso che, nel quadro delrantropologia kantiana, lega indissolubilmente conoscen:za di sé e conoscen:za del mondo: «Il fatto che r essere umano ha bisogno di essere istruito sul mon-
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qui è in gioco non guarda, cioè, alla scena del mondo come a uno spettacolo al quale l'uomo si rivolga da semplice osservatore esterno. Il punto di vista non può essere, qui, quello dello spettatore disinteressato, ma è, come Kant dice, quello del cittadino del mondo: «Il cittadino del mondo deve considerare il mondo in quanto abitante [als Einsafle] e non come straniero» 17• E quel che distingue un abitante da uno straniero non è, com è ovvio, la diversa posizione geografica, ma la possibilità o meno che l'uomo svolga un ruolo attivo nella costituzione dell ordine del mondo di cui egli è parte. 7
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Nella conclusione del saggio Delle diverse razze degli uomini del 1775, in cui annuncia i corsi di geografia fisica e di antropologia, Kant, prefigurando in modo già esplicito un indirizzo destinato a divenire decisivo nel contesto della sua indagine antropologica, parla della conoscenza del mondo come di un sapere pragmatico 18 che rende utilizzabili per la vita le diverse scienze e abilità apprese e rispetto al quale l'insegnamento della geografia fisica svolge una funzione preparatoria. Nel distinguere tra geografia fisica e antropologia, Kant fa riferi-
do significa da un lato che si deve essere istruiti sulrambiente in cui si vive, ma, nel contempo, che si debba essere istruiti su se stessi. Una conoscenza dell'essere umano in quanto cittadino del mondo corrisponde ad una conoscenza utile alrorientamento umano nel mondo» (A. Falduto, The Faculties ofthe HumanMind, cit., p. 67). Sulla questione delrautoconoscenza e sulla sua evoluzione nel quadro delle lezioni di antropologia cfr. R.A. Makkreel, Self-cognition and Self-assessment, in A. Cohen (a cura di), Kant,s Lectures onAnthropology. A CriticalGuide, Cambridge Universil)' Press, Cambridge 2014, pp. 18-37.
17 Refi. 1170, AA 15: 517-518. 18 Cfr. VoRM, AA 2: 443; tr. it., p. 20. La questione del delinearsi dell'indirizzo pragmatico nelrevoluzione della ricerca antropologica kantiana non è di facile soluzione, anche perché, oltre a coinvolgere i corsi di antropologia, comporterebbe un esame dettagliato dei corsi di geografia con i quali le tematiche antropologiche, come si è visto, sono strettamente correlate.
82 mento a un «duplice campo»: «la natura e l'uomo» 19; aggiunge subito dopo che «[e]ntrambi i campi devono però essere considerati [ ... ] cosmowgicamente [kosmologisch], e cioè non secondo quello che i loro oggetti contengono di notevole nel particolare (fisica e psicologia empirica), ma secondo ciò che ci dà da osservare il loro rapporto con l'intero in cui si trovano, e nel quale ognuno prende anche il suo posto»20 • D'altro canto, la dichiarata funzione preparatoria della geografia fisica, in quanto parte di una più ampia Weltkenntnifl rivolta a un sapere utile per la vita dell'uomo, implica una considerazione del mondo come habitat umano, come lo spazio nel quale l'uomo può sviluppare e far progredire le proprie capacità, disposizioni e talenti. Non a caso, nelle lezioni di geografia fisica il mondo viene indicato come il «sostrato e la scena su cui si svolge il gioco della nostra abilità. Il mondo è il terreno sul quale vengono acquisite e applicate le nostre conoscenze»21 • Coglie, allora, nel segno R. Lauden quando sottolinea la difficoltà di tracciare una linea di demarcazione netta tra il terreno di indagine della geografia fìsica e quello dell'antropologia, rilevando che «in tutte le descrizioni e documenti della geografia fisica di Kant oggi disponibili gli esseri umani giocano un ruolo preminente»22• Del resto, già Michel Foucault aveva evidenziato il nesso profondo che lega geografia fisica e antropologia
19 VvRM, AA 2: 443; tr. it., p. 20. 20 VvRM, AA 2: 443; tr. it., p. 20. Nella lettera, già citata, a Markus Herz del 1773, Kant presenta l'antropologia come «un esercizio preparatorio ali'abilità, alla pruden7.a e addirittura alla saggezza. Insieme alla geografia fisica, essa si distingue da ogni altro insegnamento e si potrebbe chiamare conoscen7.a del mondo» (Br, AA 10: 146; tr. it., p. 79). Mi discosto qui dal traduttore nel rendere Weisheit con «saggezza>> anziché con «sapien7.a>>. 21 PG, AA 9: 158.
22 R.B. Lauden, Kant>s Human Being, cit., p. 125. Sul rapporto tra geografia fisica e antropologia, e, più in generale, su talune questioni di carattere filologico connesse all'utilizzo del materiale disponibile per le lezioni di
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nella fase iniziale della produzione kantiana, individuandovi i termini di un equilibrio simmetrico di uomo e natura, che sarebbe però destinato a rompersi nella riflessione successiva di Kant. Secondo la traiettoria disegnata da Foucault, infatti, quello che prima figurava come un compito affidato alle «due metà simmetriche di una conoscenza di un mondo articolato secondo l'opposizione di uomo e natura» 23 finiva poi col gravare interamente su «un'Antropologia che incontra la natura solamente nella forma già abitabile della Terra» 24 • In altri termini, col progressivo insediarsi dell'indirizzo pragmatico nella scienza dell'uomo, l'idea di un intero, di un ordine cosmico che fa da sfondo unitario al sapere della natura e alla conoscenza dell'uomo, cederebbe il passo a una prospettiva cosmopolitica «in cui il mondo apparirebbe piuttosto come città da fondare che come cosmo già dato»25 • Al cosmologico subentrerebbe, dunque, il cosmopolitico: la fiducia in un ordine metafisico che tiene in una sorta di armonia prestabilita uomo e natura cederebbe il passo all'ideale pragmatico-politico di un mondo da costruire e di una natura sulla quale potere e dovere intervenire. La diagnosi di Foucault intercetta, indubbiamente, un elemento non trascurabile della ricerca antropologica kantiana. Come è concepita da Kant, l'indagine sulla natura umana rivendica, infatti, sin dall'inizio un preciso spazio di autonomia rispetto al sapere metafisico26 • Essa rappresenta, com'è noto,
geografia, cfr. S. Marcucci, Etica e antropologia in Kant, in «Idee. Rivista di filosofia», XLII, 1999, pp. 9-23, in part. pp. 14-18. 23 M. Foucault, Introduzione alt«Antropologia» di Kant, cit., p. 20.
24 Ibidem. 25 Ibidem. 26 «Se consideriamo la conoscen7.a dell'uomo come una scien7.a particolare, ne derivano molti vantaggi. Infatti: 1. non si è obbligati a studiare per amor suo tutta la metafisica. 2. Prima che una scien7.a possa ottenere ordi-
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il luogo più appropriato nel quale confluiranno le ricerche della psicologia empirica, la cui collocazione Kant, già nei corsi di antropologia degli anni '70, non vedeva all'interno di un sistema metafisico nel quale essa fosse preceduta, e in qualche misura fondata, da una teoria cosmologica27 • In quanto scienza autonoma, l'antropologia non cercherà, perciò, appoggio in un ordine cosmico dato, ma scommetterà su un ordine del mondo del quale ]"uomo, vocato allo sviluppo delle proprie capacità, talenti e disposizioni, è parte attiva, decisiva. La nozione di mondo viene, cosl, strappata all'ambito dei 1netaphysische Dogmata, per essere consegnata allo spazio dei menschliche Pragmata. Il progetto kantiano di una scienza pragmatica dell'uomo considera, cioè, il mondo come una scena che si disegna nel libero gioco degli attori che vi prendono parte, e perciò stesso destinata a rimanere un mistero per quegli spettatori che vi cercassero un copione già scritto.
ne e regolarità deIIa disposizione:, essa deve essere coltivata (getrieben) in accademie. Questo è l'unico mezzo per portare una scienza a una certa elevateu.a; il che, però, non può accadere se non viene isolata con precisione» (V-Anth/Collins, AA 25: 7-8). 27 Sull'argomento cfr. R. Brandt, Aux origines de la philosophie kantienne de Z:'histoire:, cit.:, pp. 23-24, 28:, dove vengono evidenziati i termini in cui Kant scardina l'impianto deIIa Metaphysica di Baumgarten:, e con esso una concezione dell'anima che, in quanto vis repraesentatioo universi, occupa un posto determinato in un ordine del cosmo dato. Cfr. anche R. Brandt - W. Stark, Einleitung, in Kant''s Vorlesungen, voi. II:, Vorlesungen iiber Anthropologie:, AA 25: VII-CLI, pp. VII-XXIV. Ciò non canceUa tuttavia il peso del contributo che Baumgarten:, e in particolare il modo in cui egli:, segnando le distanze dal modeIIo wolffiano:, declina il rapporto tra psicologia empirica e psicologia razionale:, fornisce agli sviluppi dell'antropologia kantiana. Sulrargomento cfr. G. Lorini, The Rules for Krwwing the Human Being: Baurngarten~s Presence in Kant~s Anthropology, in R. Lauden - G. Lorini, Knowledge, Morals and Practice in Kanfs Anthropology, Palgrave Macmillan:, Cham 2018, pp. 63-80.
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3. Dal, cosmopolitico al cosmico Ora, non v è dubbio che il punto di vista pragmatico, che trova il suo focus nella fìgura attiva dell'uomo-cittadino, fornisca le direttive guida dell'antropologia kantiana, contribuendo in modo decisivo a defìnirne il profilo più maturo. Ciò però non può essere inteso semplicisticamente nei termini di una prospettiva che tenda progressivamente a ridurre l'ordine del mondo alla dimensione dell'operare umano. Una tale semplifìcazione non renderebbe, infatti, giustizia di un tratto decisivo dell'indagine kantiana sull'uomo, nella misura in cui non tiene conto, fraintendendone anzi il senso, della nuova cornice epistemologica e degli strumenti che la svolta critica comporta per la conoscenza antropologica e per la maturazione del suo indirizzo pragmatico. Da un lato, infatti, gli esiti della critica della ragione pongono il sigillo defìnitivo su una ricerca intorno all'uomo svincolata dall"immagine dogmatica di un ordine del mondo dato. Dall"altro, la svolta critica e il progetto di una fìlosofìa intesa come scienza architettonica del sapere umano, mettono capo a una nozione di cosmo, di intero, in cui le ricerche antropologiche trovano una collocazione specifìca. Alla luce di questa collocazione che, come vedremo, si sostanzia in una riformulazione in chiave etica della domanda antropologica sulla natura umana, anche il progetto pragmatico di un mondo-ambiente nel quale l'uomo, grazie allo sviluppo delle proprie capacità, trova la sua posizione e conquista un ruolo centrale, viene a inserirsi all"interno di un disegno più ampio. In esso l"uomo viene posto al cospetto di scopi la cui realizzazione va ben al di là di quel che egli può fare; ben al di là dell'immagine pragmatica di un mondo pensato e progettato a misura d"uomo. Detto altrimenti, l'orientamento pragmatico dell"antropologia kantiana, nonché il concetto di specie umana che ad esso si connette, illuminati dalla svolta critica, si rivelano anima-
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ti da una tensione normativo-teleologica, in forza della quale qualunque ricerca empirica sulla natura umana viene, per cosl dire, consegnata alla causa della fìlosofìa e segnatamente al]"ambito di una riflessione di ordine metafìsico che concepisce l'essere dell'uomo, non sulla base empirico-fattuale dell'osservazione di ciò che gli uomini generalmente fanno o non fanno, ma in relazione al compito e a un ordine di fìni cui gli uomini sono chiamati in quanto esseri dotati di ragione. Kant non potrebbe essere più chiaro quando nella Caratteristica antropologica, che costituisce la seconda parte dell'antropologia pubblicata, scrive: Il risultato complessivo cui perviene r antropologia pragmatica riguardo alla destinazione delressere umano [Bestimmung des Menschen] e la caratteristica de11a sua formazione sono dunque i seguenti. L'essere umano è determinato dalla sua ragione a stare in una società con altri suoi simili, e in essa a coltivarsi, a civilizzarsi e a moralizzarsi per mezzo de11' arte e de11e scienze.28
Ora, il punto è che un tale compito, proprio perché assume forma compiuta solo in relazione alla possibilità dell'uomo di sviluppare un uso della ragione non riducibile alla mera capacità di predisporre soluzioni strategiche per soddisfare i bisogni dell'istinto, si mostra soggetto a costanti e reiterate deviazioni29. Queste si devono, più specifìcamente, al fatto che l'educazione del genere umano, dunque la possibilità di coltivare gli scopi cui l'uomo si riconosce vincolato in quanto ente razionale, è affidata pur sempre a uomini, a esseri che abbisognano a loro volta di essere educati; abbisognano, dunque, di apprendere un uso non meramente strumentale della capaci-
28 Anth, AA 7: 324; tr. it., p. 342. Diversamente dal traduttore si rende Bestimmung con «destinazione» anziché con «destino», per le ragioni già esposte supra, p. 65, nota 27. 29 Cfr. Refi 1521, AA 15: 888.
87 tà razionale. Non a caso, l"indirizzo pragmatico della ricerca antropologica si accompagna al progetto di un"educazione del genere umano, considerato «nella totalità della sua specie»30, e alla tensione verso una comunità cosmopolitica fondata sulla libertà che l"uomo, però, può attendersi, come Kant dice, «solo dalla provvidenza: cioè da una sagge7.2a che non è la sua»31 , perché risponde a un" idea della ragione, cui egli, «per sua propria colpa [durch seine eigene Schuld]»32 e a seguito dei suoi condizionamenti, non può dare compiuta esecuzione. In questo senso Kant parla, seppure con una formula non esente da problemi, di «idea impotente della sua propria ragione [ohnmiichtige Idee seiner eigenen Vemunft]»3.1; il possessivo seiner fa qui riferimento all"essere umano, il quale non ha il potere di realizzare quel che tuttavia la ragione, in se stessa, gli prescrive universalmente, ossia, al di là delle intenzioni degli individui e della capacità che ciascuno ha di darvi esecuzione34. Il che signifìca che l"uomo, in quanto essere razionale, si riconosce vincolato a un compito che però, in quanto essere terrestre, non è in grado di portare a termine con le sue sole forze. Il ricorso kantiano alla «provvidenza», intesa come disegno della natura che va al di là della sagge7.2a di cui ciascun uomo è capace, svolge qui un ruolo tutt"altro che marginale. Lungi dal poter venire liquidato come una concessione che Kant farebbe a una lettura in chiave teologica delle vicende umane, esso mette a fuoco il tratto eminentemente problematico che caratterizza la condizione dell"uomo in quanto ente razionale terrestre. Più precisamente: l"indagine antropolo30 Anth, AA 7: 328; tr. it., p. 346. 31 Anth, AA 7: 328; tr. it., p. 346. 32 Anth, AA 7: 328; tr. it., p. 346. 33 Anth, AA 7: 328; tr. it., p. 346. 34 Anth, AA 7: 328; tr. it., p. 346. Cfr. anche KU, AA 5: 432~; tr. it.,
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gica confluisce, in Kant, in un disegno normativo-teleologico che prefigura per la specie umana una fìnalità di cui ]"uomo, in quanto ente razionale, è pienamente responsabile, tanto da poter scegliere di non aderirvi, ma della cui piena realiz7.aZione, in quanto ente fìnito, non può essere indicato come l'esclusivo esecutore, tanto da chiamare in causa un ordine delle cose che non è contenibile nello spazio pragmatico di ciò che l'uomo può fare. Come si legge nella trascrizione Mrongovius, il conseguimento della destinazione fìnale dell"umanità (Endbestimmung der Menschheit), legato alla possibilità che noi ci coltiviamo, civilizziamo e moralizziamo al massimo grado, «si può certamente sperare [lajJt sich gewift hoffen]»35 • E tuttavia, quel che a tal fine[ ... ] la prowiden7.a [Vorsehung] predispone come mezzo rimane per noi incomprensibile e impossibile da scoprire perché la nostra ragione qui si approssima ai limiti della ragione eterna [an die Grenzen der ewigen Vernunft sich nahert].36
Il termine destinazione (Bestimmung), parola chiave della fìloso6a di Kant17, dà forma a questo straordinario quanto drammatico connubio di responsabilità e impotenza. Un connubio il cui senso profondo, sebbene tenda talora a occultarsi, in Kant, nell'immagine iper-performativa di un uomo capace di farsi da sé, anima però costantemente la rappresentazione teleologica di uno scopo al quale l'uomo è destinato sulla terra, ma la cui esecuzione si rende pensabile solo in uno spazio limite segnato dal rapporto tra quel che l'uomo deve fare e quel che ]"uomo può fare. L"essere razionale che è l'uomo è 35 V-Anth/Mron, AA 25: 1429. 36 V-Anth/Mron, AA 25: 1429.
37 Alla centralità della questione della destinazione delruomo nelrambito della filosofia kantiana R. Brandt ha dedicato uno studio circostanziato (cfr. R. Brandt, Die Bestimmung des Menschen bei Kant, Meiner, Hamburg2007).
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responsabile del mondo in cui abita, in quanto è portatore di un destino che lo sottrae al gioco deterministico della natura38, rendendolo non semplice spettatore, ma attore del mondo. E però, in quanto essere finito, in forza dei limiti che la sua condizione gli impone, egli non può che vivere il destino che gli è assegnato dalla ragione come un gioco più grande di lui, come un compito che ragionevolmente non può gravare sulle sue sole spalle. Meglio: quella stessa ragione che come principio dell"agire spontaneo strappa l"uomo alla natura (intesa come ordine dato di leggi) rende ]"uomo, nel contempo, partecipe di un destino del quale egli seppur responsabile non è in pieno possesso. Per dirla con una felice formula di G. Bohme, «l"uomo autonomo non è sovrano»39; autore del proprio destino, non ne è signore. Al fondo dell"indagine pragmatica che mette capo alla figura cosmopolitica dell"uomo-cittadino, soggetto attivo nella scena del mondo, opera, allora, una concezione cosmica dell"umano; il che va inteso nel senso che l"uomo non può essere identificato nel carattere che lo distingue dagli altri esseri terrestri, se non in riferimento a un mondo, a un tutto, del cui ordine egli è certamente attore, ma la cui ampiezza, le cui dinamiche e relazioni non sono negli esiti e nei fini sotto il suo controllo. Certo, l"uomo occupa un posto centrale nel complesso degli esseri viventi e, più in generale, degli enti mondani. Come si legge nel testo dell"antropologia pubblicata, ]"essere umano costituisce «l"oggetto più importante» 40 e «il conoscerlo nella sua specie, come essere terrestre dotato di ragione, merita in modo particolare il nome di conoscenza del mondo, ancorché l"uomo non costituisca che una parte delle creature
38 Cfr. Anth, AA 7:120; tr. it., p. 100. 39 G. Bohme, Immanuel Kant, cit., p. 35. 40 Anth, AA 7: 119; tr. it., p. 99.
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della terra»41 • E però, proprio in forza di quell"uso della ragione che Io distingue da ogni altro essere terrestre, l"uomo è parte di un disegno più ampio i cui fini vanno ben al di là del mondo in cui egli sembra essersi così bene acclimatato in virtù dello sviluppo delle sue disposizioni e abilità, ben al di là di un mondo concepito e vissuto come rassicurante habitat umano. È in relazione a un tale disegno cosmico che }"antropologia kantiana rimette in gioco, contro ogni spinta unilateralmente antropocentrica, il senso di un ordine del mondo non riducibile alla dimensione pragmatica42• Il che deriva, in definitiva,
41 Anth, AA 7: 119; tr. it., p. 99. 42 Leggerei in questa direzione le indicazioni di Martinelli, il quale individua in seno ali'antropologia pragmatica una traiettoria di indagine che conduce dalla polis al koSfTUJs. Più precisamente egli parla di una considerazione >, XVI, n. 1, 1999, pp. 59-80. Sulle difficoltà che il tema del progresso morale solleva all'interno della filosofia kantiana cfr. E.L. Fackenheim, Kants Concept of History, in «Kant-Studien», XLVIII, 1956-1957,pp. 381-398, in part. p. 397. Cfr. anche, sebbene da una prospettiva incentrata maggiormente sul progresso morale dell'individuo, i rilievi critici di F. Zuolo, Il progresso morale in Kant. Impossibilità ontologica e necessità pratica, in «Rivista di filosofia», n. 3, 2009, pp. 373-396. Più in generale, sulle questioni lasciate aperte dall'idea di un progresso e di una «storia della ragione» cfr. Y. Yovel, Kant and the Philosophy of History, Princeton University Press, Princeton 1980, pp. 271-306. 15 SF, AA 7: 83; tr. it., p. 226. 16 Anth, AA 7: 331; tr. it., p. 350. 17 Anth, AA 7: 331; tr. it., p. 350. 18 Anth, AA 7: 331; tr. it., p. 350.
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cetti della ragione, uno statuto non arbitrario, costituisce lo sfondo ineliminabile della riflessione kantiana; anche là dove essa assume il profìlo specifìco di una proposta politica sulle modalità in cui il pericolo della violenza possa e debba essere arginato con i mezzi del diritto. Nella proposta cosmopolitica di Kant a giocare un ruolo decisivo sono le risorse contro-fattuali che il diritto, in quanto concetto della ragione 19, offre per garantire, sebbene solo nella forma di un'approssimazione progressiva verso il meglio, quella condizione durevole di giustizia e di pace che non può essere oggetto di una semplice previsione fondata empiricamente su quel che offre lo spettacolo delle vicende umane: Non si può trattenere un certo fastidio quando si vede rappresentato il loro [degli uomini] fare ed omettere sulla grande scena del mondo e, pur con rapparire di tanto in tanto della saggez7.a del particolare, si trova tutto tale fare ed omettere, nel suo insieme, intessuto di fine idiozia, di vanità infantile, spesso anche di infantili cattiveria e smania di distruzione. m
Il diritto costituisce insomma la chiave di volta del discorso fìlosofìco-politico sul progresso e la pace 21 , tanto più perché rappresenta una condizione imprescindibile per lo sviluppo delle disposizioni originarie dell'uomo; quello sviluppo, quel progresso, in forza del quale, soltanto, l'uomo può rendersi
19 «[ ... ] il diritto è uno di questi concetti della ragione pura pratica relativo all'arbitrio secondo le leggi della libertà» (MS, AA 6: 249; tr. it., p. 99). 20 laG, AA 8:17-18; tr. it., p. 30. 21 «Solo per il fatto che )>elemento storico-fattuale, la politica reale, viene sottoposta all'intelligibile, all'idea del diritto, il mondo dell'agire umano, in sé inconsistente, lasciato in balìa del caso, può ottenere la pace perpetua» (R. Malter, Nachwort, in I. Kant, Zum ewigen Frieden, Reclam, Stuttgart 1984, p. 70).
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degno, nel senso di acquisirne la titolarità legittima, dell'appellativo di essere razionale. Il diritto sta, in effetti, a ricordare all'uomo il fatto che egli non dispone della ragione nella semplice forma natura/,e di una dotazione antropologica. In questo senso, anzi, l'unica conoscenza antropologica che può riguardare l'uomo in quanto essere razionale concerne non «quel che la natura fa di lui»22 , ma «ciò che egli in quanto essere che agisce liberamente, fa owero può e deve fare di se stesso>>23. Il punto di vista pragmatico fa riferimento a una antropologia che «contiene la conoscenza dell'uomo inteso come cittadino del nwndo»24 • La figura del «cittadino del mondo» segna, cioè, l'acquisizione del titolo in virtù del quale l'uomo può rivendicare legittimamente il possesso della ragione non in quanto semplicemente dotato della possibilità fisiologica di usarla, owero in quanto animai, rationabile25, ma in relazione a un uso della ragione rivolto a ciò che riguarda l'umanità, anzi, interessa ogni uomo in quanto capace di pensare la propria umanità come un compito comune, da realiZ7~re insieme ad altri uomini: Egli [l"uomo] in primo luogo conseroa se stesso e la propria specie; in secondo luogo esercita, istruisce ed educa quesfultima per la società domestica; in terzo luogo la governa come un tutto sistematico (ordinato secondo principi razionali) che fa parte della società.26
22 Anth, AA 7:119; tr. it., p. 99. 23 Anth, AA 7:119; tr. it., p. 99.
24 Anth, AA 7:120; tr. it., p. 100.
25 Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 339. 26 Anth, AA 7: 321-322; tr. it., p. 339.
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2. Uomo, polis e ragione Kant offre, cosl, una versione affatto peculiare della formula tradizionale dell"uomo animale politico. Owero, non si tratta di rintracciare nell'uomo una tenden7a naturale alla socialità. Il giudizio sulla natura umana rimane, in Kant, pur sempre sospeso, o meglio si potrebbe dire conteso, tra la tendenza alla socievolezza e l'inclinazione all'insocievolezza27• E però, l'insistenza kantiana su tale contesa non può essere cristallizzata nei termini di una descrizione ontologica, ma risponde al rilievo circa la costitutiva impossibilità di ancorare il giudizio sui fatti e le azioni umane a una presunta natura fissabile in base a caratteristiche stabili28 • In ogni caso, l'appartenen7a di ciascun individuo alla specie umana non si definisce, e non può definirsi, semplicemente in relazione a un corredo fisiologico dato, ma richiede di venire mediata dalla capacità di condividere con gli altri uomini i compiti che a ciascuno, in quanto individuo, sono imposti dalla semplice ragione, in modo che la semplice ragione si faccia ragione condivisa, comune, e pertanto atta a formare costumi e istituzioni29• 27 Cfr. laG, AA 8: 20-22; tr. it., pp. 33-34; cfr. anche Anth, AA 7: 322; tr. it., p. 119. 28 Da questo punto di vista, i rilievi kantiani sulla insocievole socievolezza degli uomini, più che a una tesi dogmaticasulla natura dell'uomo, rispondono alla posizione critica circa l'impossibilità, di principio, di identificare un substratum che soggiaccia a comportamenti che, nel caso dell'ente razionale umano, vanno ricondotti a "fenomeni" dell'agire libero. 29 Nell'Antropologia dal punto di vista pragmatico Kant si fa carico in pieno della difficoltà di definire le proprietà che caratterizzano la specie umana: «Se il supremo concetto di specie fosse quello di un essere razionale terrestre, noi non potremmo allora designarne alcun carattere, perché non abbiamo nessuna conoscen:za di esseri non terrestri dotati di ragione di cui poter addurre la peculiarità, e caratterizzare così quegli esseri terrestri includendoli sotto gli esseri razionali in generale. - Sembra dunque che il problema di stabilire il carattere della specie umana [den Charakter der Menschengattung] sia senz'altro insolubile, perché la soluzione dovrebbe ottenersi
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Come dire: la politicità delJ>uomo non risulta banalmente ancorata al dato antropologico di una razionalità di cui l'uomo disponga per definizione. In questo senso è anzi filosoficamente irrilevante se l'uomo sia o non per natura un essere politico. Piuttosto, la possibilità che si parli di natura umana, ossia di una specie al quale ogni uomo possa dire di appartenere, richiede i tempi lunghi della storia nel corso della quale l'uomo è chiamato a sviluppare la propria disposizione all'uso della ragione: Essa [la ragione] non opera istintivamente, ma ha bisogno di tentativi, di esercizio e di istruzione per progredire a poco a poco da un grado di conoscen7.a alraltro. Perciò ogni uomo avrebbe la necessità di vivere un tempo smisuratamente lungo per apprendere come dovrebbe fare uso completo delle sue disposizioni naturali; oppure, se la natura gli ha concesso solo una breve durata della vita (come di fatto è accaduto), essa ha bisogno di una serie forse interminabile di generazioni, di cui l'una trasmetta ali' altra il proprio illuminismo, per far maturare infine i suoi germi nel nostro genere sino a quel grado di sviluppo che sia perfettamente adeguato al suo scopo.30
Il pieno sviluppo delle disposizioni originarie dell'uomo ha come condizione l'ingresso nello status civile; status che, al
comparando, attraverso l'esperienza, due specifiche varietà di esseri razionali - cosa che I'esperien7.a non ci offre» (Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 338). Cfr. anche Refl 1482, AA 15: 661. Anche nella Critica della ragion pratica, sebbene in un contesto diverso, Kant fa esplicito riferimento al «fatto di non conoscere altri esseri razionali all'infuori dell'uomo» (KpV, AA 5:12; tr. it., p. 53). La soluzione prospettata da Kant va, com'è noto, nella direzione di una reimpostazione radicale della questione antropologica: «Dunque, per poter a~egnare ali'essere umano la propria cl~e nel sistema della natura vivente e così caratterizzarlo, non resta altro che questo: egli ha un carattere che si crea da sé, dal momento che ha la capacità di perfezionarsi secondo fini che si è scelto lui stesso» (Anth, AA 7: 321; tr. it., p. 338). 30 laG, AA 8: 17-18; tr. it., p. 31. Cfr. anche Anth, AA 7: 324; tr. it., p. 341; V-Anth/Mensch, AA 25: 1196; V-Anth/Mron, AA 25: 1417-1418.
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fine di garantire un ordine di pace mondiale, deve poter essere esteso oltre i limiti domestici dello ius civitatis, per coinvolgere i rapporti tra i popoli. Solo un ordine mondiale fondato sul diritto può infatti promuovere, secondo Kant, il progresso della specie umana. L'idea giusnaturalistica, o giusrazionalistica, di un diritto fondato sulla ragione31 coesiste, insomma, con l'idea che il diritto, nella sua forma pubblica e nella sua estensione cosmopolitica, costituisce la condizione, il «grembo»32 come dice Kant, nel quale, solo, possono maturare le disposizioni umane33• Là dove una simile maturazione non ha come scopo semplicemente l'utilizzo della ragione come strumento per procurare all"uomo ciò che gli animali ottengono direttamente con l'istinto. In questo «progresso» ne va, infatti, della ragione stessa in quanto «facoltà di estendere le regole e gli scopi dell"uso di tutte le forze molto oltre }"istinto naturale»34, in quanto capacità dell"uomo di prefigurare scopi e di progettare forme di vita non necessariamente iscritte nel suo corredo fisiologico-genetico 35• I problemi, i conflitti e, con essi però, anche la ricchezza irrinunciabile della proposta filosofico-politica di Kant, risiedono essenzialmente in questa tensione tra il piano normativo-tra31 «Tutte quelle di natura giuridica rappresentano proposizioni a priori in quanto sono leggi di ragione (dictamina rationis)» (MS, AA 6: 249; tr. it., p. 101). 32 laG, AA 8:28; tr. it., p. 41. 33 laG, AA 8:28; tr. it., p. 41. Cfr. al riguardo anche KU, AA 5: 432-433; tr. it., p. 551. 34 laG, AA 8: 18; tr. it., p. 31.
35 «Poiché gli umani possono scegliere liberamente i loro scopi in luogo di perseguire semplicemente gli scopi che desiderano istintivamente, il loro modo di vita è radicalmente indeterminato - aperto e non prefissato» (R.B. Lauden, Kant's Human Being, cit., p. xxii). Cfr. anche R.B. Lauden, Cosmopolitica/, Unity. The final, destiny ofthe human species, in Kant"s Lectures onAnthropology, cit., pp. 211-229, p. 221.
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scendentale (che riguarda l'uomo in quanto essere capace di determinare la sua facoltà di desiderare e il suo agire secondo principi della ragione, e per questo capace di orientare il suo muoversi nel mondo) e l'ordine contingente, storico-evolutivo, di una razionalità che all"uomo è data solo come disposizione che attende di esser sviluppata, assumendo la forma della elaborazione progressiva di strategie sempre più complesse per sopperire alla carenza iniziale di dotazioni naturali36 • In questo senso, che definisce il concetto kantiano di progresso, la storia del genere umano, di cui si dice nell"Idea di una storia universale dal, punto di vista cosmopolitico, è anche la storia del costituirsi di un genus commune fondato sull"uso della ragione. In altre parole, al genere umano ciascun uomo appartiene legittimam,ente solo in forza della capacità e dell"intento di proporsi ad altri uomini per formare con essi una società fondata sul diritto. Per questo, se una storia umana si dà, essa può darsi solo daun punto di vista cosmopolitico, e cioè solo sul «fìlo conduttore» di una lettura che individua nell"ingresso dell"uomo nella comunità civile la condizione per lo sviluppo delle sue disposizioni naturali-17.
36 «Sembra che qui la natura si sia compiaciuta nelressere massimamente parsimoniosa, e abbia limitato la sua dotazione animale a una misura scarsa, appena sufficiente al supremo bisogno di un'esistenza ai suoi inizi: come se avesse voluto che ruomo, quando si fosse sollevato dalla massima rozzezza alla massima abilità, alla perfezione interiore dell'atteggiamento di pensiero e con ciò (per quanto è possibile sulla Terra) alla felicità, dovesse averne il merito esclusivo e ringraziare di tutto ciò solo se stesso; proprio come se essa avesse mirato a che egli ottenesse razionale stima di sé piuttosto che benessere» (IaG, AA 8: 19-20; tr. it., p. 32). Sull'argomento e, in particolare, sulle difficoltà che nel contesto della riflessione kantiana si legano all'idea di una evoluzione e di uno sviluppo storico della ragione umana, cfr. i rilievi di A. Ferrarin, I poteri della ragion pura, cit., pp. 32-34. 37 «[C]osì, io credo, verrà scoperto un filo conduttore [Leitfaden] che non solo servirà a spiegare il così intricato gioco delle cose umane o a prevedere, a vantaggio dell'arte della divinazione politica, future trasformazioni degli
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3. Il concetto cosmopolitico di specie umana In gioco è dunque la possibilità di istituire una forma di cittadinanza in virtù della quale ciascun individuo possa dirsi non solo di fatto ma ancor prima di diritto parte del genere umano. Sul diritto e, più specificamente, sulla necessità di entrare in una condizione civile in grado di arginare l"esposizione alla violenza si gioca, allora, una scommessa decisiva. L"ingresso nella polis non risponde a una mera logica di soprawivenza, non esprime unicamente la modalità in cui ciascun individuo cerca di mettersi al riparo da una condizione naturale nella quale sarebbe in continuo pericolo di vita. Il male connesso al permanere dell"uomo nello stato di natura non può essere, cioè, semplicisticamente identificato, secondo Kant, nell"immagine cruenta di una condizione selvaggia in cui gli uomini si trovano in lotta l"uno con l"altro, e dunque a rischio costante di perdere la vita. Il rischio che investe la condizione propriamente umana è piuttosto quello del perdurare di una situazione in cui l"esercizio della violenza non venga pubblicamente riconosciuto come la lesione di un diritto. In tale situazione l"uomo perderebbe la possibilità di diventare umano ancor prima di poter perdere la vita; si troverebbe in stato di guerra ancor prima di trovarsi impegnato in un conflitto effettivo'38.
Stati [ ... ] ma verrà anche dischiusa una consolante prospettiva per il futuro [... ] nella quale, in grande lontanan~ viene rappresentato come il genere umano si sollevi infine proprio a quello stato in cui tutti i germi che la natura ha posto in esso siano pienamente sviluppati, e la sua destinazione qui sulla Terra possa essere soddisfatta» (IaG, AA 8: 30; tr. it., p. 42). 38 Nella Metafisica dei costumi, nella sezione del diritto pubblico dedicata al diritto dei popoli Kant afferma esplicitamente che uno stato non giuridico «è uno stato di guerra (il diritto del più forte), anche se non vi è una guerra effettiva, né una lotta continua (ostilità), ed è (poiché nessuno dei contendenti vuole nulla di meglio) in se stesso ingiusto al massimo grado, anche se nessuno dei due Stati è trattato ingiustamente dal]' altro (MS, AA 6: 344; tr. it., p. 299). Lo stato di natura descrive, per Kant, una condizione di «guerra
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Il punto non è, allora, quello di arginare una violenza intesa hobbesianamente come stato naturale del bellum omnium contra omnes, dalla quale proteggersi mediante l'ingresso in una condizione civile, ma è la necessità, intesa come obbligo dettato incondizionatamente dalla ragion pura pratica39, di uscire da una situazione in cui, sia pure in assenza di conflitto, ciascuno rimarrebbe comunque, di principio, esposto all>arbitrio e alla violenza dell'altro, senza potersi appellare a un giudice che faccia valere i suoi diritti40 • Da questo punto di vista,
permanente [bestiindiger Krieg]» (MS, AA 6: 343; tr. it., p. 297), nel senso non della presenza di un conflitto costante, ma delrassenza di un diritto che regoli ogni possibile conflitto. 39 Sul carattere incondizionato delrobbligazione giuridica cfr. A. Pirni, Sul fondamento, ovvero il non-luogo della comunità politica, in «LOGOS. Anales del Seminario de Metafisica», XLII, 2009, pp. 37-60: p. 43. Cfr. anche O. Hoffe, Kant's Principle ofJustice as Categorical Imperative of Law, in Y. Yovel (acuradi), Kant's PracticalPhi/,osophy Reronsidered, Kluwer Academic Publishers, London 1989, pp. 149-167; O. Hoffe, Kategorische Rechtsprinzipien. Ein Kontrapunktder Moderne, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1994, in part. pp. 11-29 e 126-149; Id., Kategorische Rechtsimperativ. "Einleitung in die Rechtslehre", in Id. (a cura di), lmmanuel Kant. Metaphysische Anfangsgrundeder Rechtslehre, Akademie Verlag, Berlin 1999,pp. 41-62. 40 Secondo G. Cavallar: «Mentre per Hobbes lo stato di natura compromette il desiderio di felicità e autoconservazione e perciò deve, per ragioni pragmatiche, essere stabilito un ordinamento per il superamento dei conflitti, in Kant è sì anche imprudente ma, in prima istanza, è contrario al dovere permanere nello stato di natura. In quanto esseri dotati di ragione gli uomini sono obbligati a costituire i loro rapporti secondo regole del diritto. Il passaggio dallo stato di natura allo stato di diritto pone la pace in luogo della guerra. Non decidono il timore della morte e il desiderio di felicità, ma unicamente r argomento secondo cui solo nello stato giuridico è deciso sulla base del diritto e non delrarbitrio che la rozza violen:za venga risolta mediante il potere di coercizione legale» (G. Cawllar, Pax Kantiana: Systematisch-historische Untersuchung des Entwuifs mm ewigen Frieden" ( 1795) oon lmmanuel Kant [ Schriftenreihe der oesterreichischen Gesellschaft zur Eiforschung des 18. Jahrhunderts], Bohlau, Wien 1992, p. 70). Nella stessa direzione si pone M. Mori quando, riferendosi a Kant, afferma
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risulta inilevante se lo stato di natura sia o non «uno stato di ingiustizia [Ungerechtigkeit], dove ognuno si scontra con gli altri soltanto regolandosi sulla forza» 41 • Si tratterebbe in ogni caso, questo il punto, di uno «stato senza diritto [Znstand der Rechtlosigkeit]»42 , di una condizione esposta ali>esercizio della libertà senza regola, in cui si perderebbe }"umanità prima ancora che possa perdersi la vita-1.1. Dunque, il principio secondo cui «si deve uscire dalla stato di natura nel quale ognuno fa di testa propria e ci si deve accordare con tutti gli altri [ ... ] per sottostare a un potere legislativo pubblico esterno»44 non
che «il passaggio al diritto pubblico non è come in Hobbes un problema di sicu~ ma è un problema di coeren7.a giuridica. Occorre cioè togliere quell'idea di sovranità individuale che costituisce un ostacolo alla realiz7.aZione da parte del diritto di una reciprocità tra i diversi arbitri sotto una legge universale» (M. Mori, La pace e la ragione. Kant e le relazioni internazionali: diritto, politica, storia, il Mulino, Bologna 2004, p. 101). Sulla differen7.a tra Kant e Hobbes in tema di obbligazione politica cfr. anche i rilievi di D.G. Sussman, The Idea of Humanity, cit., p.126. 41 MS, AA 6: 312; tr. it., p. 231. 42 MS, AA 6: 312; tr. it., p. 231. 43 Nella Fondazione della metafisica dei costumi si parla di «principio dell'umanità [Prinzip der Menscheit]» quale «condizione limitativa suprema della libertà d'azione di ciascun uomo» (GMS, AA 4: 430-431; tr. it., pp. 147-149). Questa formula, che intercetta, già in sede di trattazione degli imperativi etici, il senso di un'accezione giuridica dell'agire libero, fondato sulla capacità autolimitante delrente razionale, svolgerà un ruolo decisivo nella concezione dell'umano, quale emerge dagli scritti kantiani più esplicitamente dedicati al diritto. Del resto, le evidenti differenze di piano che caratterizzano il rapporto tra legislazione etica e legislazione giuridica non possono far perdere di vista il fatto che il progetto stesso di una fondazione della metafisica dei costumi, nell'impianto sistematico della filosofia pratica di Kant, pone le basi di una dottrina dei costumi concepita come radice comune da cui si dipartono i ceppi della Rechtlehre e della Tugendlehre. A parlare nelle prescrizioni etiche come nei doveri giuridici è comunque una e una sola ragione. 44 MS, AA 6: 312; tr. it., p. 231.
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va riguardato come un semplice imperativo ipotetico della sopravvivenza: se non vuoi morire, devi entrare in uno stato civile! Con questo principio è, piuttosto, in gioco la possibilità stessa che ciascun individuo si riconosca come appartenente alla comunità umana. La minaccia che l"esercizio pubblico del diritto è chiamato ad arginare non risiede, allora, semplicemente nel fatto che gli uomini si aggrediscono l"un l"altro, ma consiste nell'idea che essi in generale commettano «la più grande ingiustizia [iiberhaupt thun sie im hochsten Grade [... ] unrecht] volendo essere e rimanere in uno stato che non è giuridico, nel quale cioè a nessuno è assicurato il proprio contro il sopruso»45 • Kant non potrebbe essere più chiaro in proposito quando afferma: Non è dunque un fatto ciò che rende necessaria una coazione legale pubblica; al contrario, sebbene gli uomini possano essere immaginati buoni e amanti del diritto quanto si vuole, è inscritto a priori nell'idea razionale di un tale stato (non giuridico) che, prima di ottenere una condizione legale pubblica, uomini isolati, popoli e Stati non potranno mai essere al sicuro dalla violen7..a altrui, esercitata in base al diritto che ognuno ha di fare ciò che ritiene giusto e buono a prescindere dall'opinione altrui.46
In quanto progetto di un ordine civile che non solo coinvolga gli individui di un organismo statale, ma si estenda alle relazioni tra i popoli, e ancora alle relazioni tra individui e stati, il disegno cosmopolitico di Kant assume, dunque, il profilo specifìcamente fìlosofìco di una riflessione più ampia sulla connotazione non meramente naturale del concetto di specie umana. E ciò perché alla specie umana, che Kant identifìca come «specie degli esseri terrestri ragionevoli»47 , ogni individuo può dire 45 MS, AA 6: 307; tr. it., p. 225. 46 MS, AA 6: 312; tr. it., p. 231. 47 Anth, AA 7: 331; tr. it., p. 350.
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di appartenere legittimamente solo nella misura in cui con altri individui si rende capace di istituire sulla terra in cui abita modalità di convivenza atte a favorire Io sviluppo della disposizione naturale all'uso della ragione. Il riferimento del Kant maturo a un «diritto cosmopolitico», che tiene insieme individui e stati quali «cittadini di un universale stato di uomini» 48, getta luce sul nesso profondo che lega la dottrina del diritto a una considerazione che investe lo statuto della ragione umana, rendendo ancor più perspicuo il legame tra diritto, umanità e razionalità. Potremmo dire che, al di là della questione concernente le forme istituzionali concrete che può assumere il riferimento di Kant allo ius cosmopoliticum, è comunque decisivo che un diritto siffatto è chiamato innanzitutto a dar voce, ai diversi livelli dell'organizzazione politica, al legame imprescindibile che vige tra uomo, polis e ragione. In defìnitiva, che si possa parlare di una specie umana caratterizzata dall'uso della ragione, che si possa pensare il genere umano come una «specie di esseri terrestri ragionevoli» 49 richiede da parte dell'uomo lo sforzo in direzione di una «progressiva organizzazione dei cittadini della terra nella specie e in vista di essa [in und zu der Gattung], in quanto sistema connesso cosmopoliticamente»5(). La specie umana si defìnisce tale solo nello spazio di questa tensione tra l'in, ossia il trovarsi in una condizione caratterizzata da determinate disposizioni, e l'in vista di, ossia il compito di sviluppare queste disposizioni nel contesto di una organizzazione civile. E il fatto che sia l'Antropowgia dal, punto di vista pragmatico sia la dottrina del diritto della Metafisica dei costumi si concludano nel segno della edifìcazione universale della pace suggerisce,
48 ZeF, AA 8:349, Anm.; tr. it., p. 169, nota. 49 Anth, AA 7: 331; tr. it., p. 350.
50 Anth, AA 7:333; tr. it., p. 352.
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una volta di più, ]"intreccio tra ]"ideale cosmopolitico di una unione giuridica degli uomini sotto leggi pubbliche e il genere umano in quanto può essere pensato come una «specie di esseri terrestri ragionevoli».
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V Diritto cosmopolitico e ragione umana
I. Un diritto controverso Quale posto occupa nel pensiero di Kant il riferimento a un diritto cosmopolitico? Che ruolo gioca nel progetto di costruzione di una pace mondiale? E ancora: in relazione a chi si rende necessario pensare un diritto che faccia da complemento, come Kant esplicita, al diritto statuale e al diritto interna. ale.? ZIOn Il diritto cosmopolitico, in quanto facente riferimento a un «universale Stato di uomini» 1 o a una cittadinanza della Terra che va al di là dell'appartenenza giuridica a una determinata realtà statuale, non assume in Kant una forma istituzionale precisa. E ciò ha contribuito ad alimentare più di un sospetto sulla funzione che un diritto siffatto può svolgere effettivamente nel contesto di un progetto politico di pace mondiale2,
1 ZeF, AA 8: 349. Anm.; tr. it., p. 169, nota. 2 M. Mori sostiene, ad es., che il Terzo articolo definitivo perla pace perpetua «svolge [ ... ] una funzione marginale nelreconomia delropera e [che] la critica ha spesso sopravvalutato il significato che esso riveste nel quadro del pacifismo e, a volte, delrintera filosofia giuridica di Kant» (M. Mori, La pace e la ragione, cit., p. 147). Si tratta di una valutazione che insiste sulla
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al cli là del generico appello a una non meglio identificabile comunità estesa alrintero globo terracqueo. D'altro canto, ciò non significa che non si diano posizioni interpretative che, pur evidenziando la resistenza kantiana a ogni forma cli applicazione transnazionale del diritto cosmopolitico, non esitano però a riconoscere la consistenza e la validità del progetto di Kant anche sul piano stricto sensu giuriclico3• Ritengo tuttavia che dalla proposta cosmopolitica cli Kant, al di là della collocazione che essa trova all'interno dello spazio più specifìco della dottrina del diritto, emergano elementi cli non poco rilievo in connessione con il progetto di una «critica della ragione», considerato nella sua intera estensione architettonica, e dunque, in definitiva, in relazione a quel che Kant intende propriamente per «ragione umana». E semmai - questa l'ipotesi che guida il presente capitolo - proprio a partire da quel che la trattazione del diritto cosmopolitico rivela in merito alla complessità del concetto cli ragione si rende possibile comprendere in modo teoreticamente avvertito il significato della proposta politico-giuridica che innerva gli scritti della tarda maturità kantiana. Nell'intento cli verifìcare questa ipotesi sarà, però, anzitutto utile evidenziare gli elementi cli tensione del testo kantiano che, se non sempre giustificano, certo incoraggiano il prolife-
riluttan7.a di Kant a far rientrare le prerogative messe in gioco dal diritto cosmopolitico in un sistema giuridico sovranazionale il cui potere cogente vada al di là del potere di autodeterminazione dei singoli stati sovrani. Tale riluttan7.a renderebbe, di fatto, "lettera morta", perché priva di qualsiasi cogen7.a giuridica esterna, ridea di una cittadinan7.a cosmopolitica in forza della quale gli individui possano essere considerati come sottoposti a un'autorità diversa rispetto a quella dello Stato in cui vivono (cfr. ibidem). 3 Cfr. ad es. ranalisi circostanziata di P. Kleingeld, Kant's Cosmopolitan Law. WorldCitizenship fora Global Order, in «Kantian Review», n. 2, 1998, pp. 72-90, in part. pp. 81-84, 86-87.
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rare di letture diverse, spesso tra loro non facilmente conciliabili, del diritto cosmopolitico e del tema dell'ospitalità. Ciò permetterà di considerare il diritto cosmopolitico secondo una prospettiva più ampia, correlata alla modalità in cui Kant concepisce il rapporto tra umanità e razionalità; e, infine, di ridiscutere in radice, alla luce di questa prospettiva, la tensione antagonistica che, in seno al concetto kantiano di ospitalità, attraversa i rapporti tra visitatore e visitato, ospite e ospitato.
2. Il diritto al,la libera circolazione I «cittadini della Terra»4 di cui Kant ragiona in relazione al progetto di una società cosmopolitica si presentano, in prima istanza, come coloro i quali possono muoversi liberamente lungo l'intero pianeta senza essere trattati come nemici al loro primo ingresso in terra d'altri. E possono far ciò in ragione di un «diritto di visita [Besuchrecht ]» che spetta a ogni uomo in base al «diritto al possesso comune della superficie della Terra»5 • Il diritto al possesso comune del suolo coincide con un diritto di superficie che non è ancora diritto di proprietà. Esso esprime, infatti, quella caratteristica del suolo terrestre per cui esso è accessibile in linea di principio a ogni uomo, in quanto costituisce un intero che, perché tale, non è concepibile in termini di parcellizzazione proprietaria. Della proprietà il possesso comune del suolo costituisce, piuttosto, la condizione, in quanto rappresenta la premessa di quell'atto
4 Anth, AA 7: 333; tr. it., p. 352. 5 'ZeF, AA 8: 358; tr. it., p. 177. Nella Metafisica dei costumi si parla in questo senso del «diritto di tutti gli abitanti della terra di ricercare [versuchen] una comunità universale e di visitare [besuchen] a questo scopo tutte le regioni della tem1>> (MS, AA 6: 353; tr. it., p. 317).
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arbitrario mediante il quale viene stabilito il primo possesso su un territorio. Da un lato, dunque, l'idea di una comunanza originaria del suolo è ciò a partire da cui soltanto può prendere legittimamente avvio il processo mediante il quale si acquisisce la proprietà di un territorio: Impadronirsi di un terreno isolato costituisce un atto di arbitrio privato, sen7.a tuttavia essere autoritario. Chi se ne impossessa si basa sul possesso comune innato della terra [auf dem angebornen Gemeinbesit7.e des Erdbodens] e sulla corrispondente volontà generale a priori riguardo a un lecito possesso privato di essa (perché altrimenti le cose disponibili dovrebbero essere trasformate da sé e in base a una legge di cose sen7.a padrone) e acquista mediante la prima presa di possesso originaria un terreno determinato, opponendosi con diritto (iure) a chiunque volesse impedirgliene l'uso privato [ ... ]. 6
6 MS, AA 6: 250; tr. it., pp. 101-103. Nel manoscritto del Naturrecht Feyerabend si legge: «La proprietà inizia con r occupazione delle cose. Da ciò sorgono obligationes negatiooe, che altri devono astenersi da tutto ciò che qualcuno ha occupato. Che cosa è necessario a tal fine? Attestare che si è preso possesso della cosa. Poiché si deve presumere che egli abbia anche voluto appropriarsi di essa. Se io vedo che qualcosa è nel potere di un altro, non posso sottrargliela, perché non so se gli reco un torto. La mera volontà dell'altro non può limitarmi rispetto alle cose in suo possesso, bensì solo la cosa, che è un prodotto della libertà, in quanto io allora agisco contro la libertà dell'altro (NF, AA27: 1343-1344; tr. it.,pp.121-123). Sul nesso intrinseco che, nella prospettiva kantiana, lega proprietà e relazioni interpersonali cfr. T.Patrone, Kant's Rechtslehre andldea ofReason, in S. Baiasu- S. Pihlstrom - H. Williams (a cura di), Politics and Metaphysics in Kant, University of Wales Press, Cardiff 2011, pp. 115-133: pp. 125-128; cfr. al riguardo anche i rilievi di L. Thorpe che ricostruisce la questione della proprietà, in modo originale, sullo sfondo della peculiare lettura che Kant, sul piano dell'indagine metafisica, offre del rapporto sostanza-accidente (L. Thmpe, Kant on the Transferal of Property. The Relationship between Kant's' Metaphysics and His Philosophy of Right, in V. Rohden - R. R. Terra - G. A. de Almeida - M. Ruffing [a cura di], Recht und Frieden in der Phuosophie Kants, cit., voi. IV, pp. 735-744).
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In ragione di ciò Kant afferma: «La prima presa di possesso ha[ ... ] un fondamento giuridico per sé (titulus possessionis), che è il possesso comune originario»7• D'altro canto, proprio perché originario, il possesso comune del suolo ricorda a chi ha stabilito la proprietà su una parte di esso che quella parte non cessa per questo di essere parte di un tutto e, in quanto tale, non può di principio costituire un luogo inaccessibile ad altri: [ ... ] il possesso del suolo sul quale possono vivere gli abitanti della terra può essere pensato sempre soltanto come possesso di una parte di un tutto determinato, quindi come quello sul quale ognuno ha un diritto originario. 8
Come spiega bene S. Muthu, «L'argomento di Kant è che non possiamo presumere dal semplice fatto di possedere legittimamente un territorio che questo ci dia l'autorità e il diritto di escludere del tutto altri da esso» 9 • In Per la pace perpetua Kant afferma, non a caso, che in forza del diritto al possesso comune della superfìcie terrestre,«[ ... ] originariamente nessuno ha più diritto che un altro a stare in un luogo di essa» 10• Il diritto cosmopolitico di non essere trattati in modo ostile al proprio arrivo in terra straniera, in quanto è fondato sul possesso comune originario del suolo, sta allora a ricordare che ogni acquisizione rimanda a un atto che, per quanto compreso nello spazio di legittimità del diritto, si presenta nel suo gesto iniziale arbitrario. E in considerazione di tale arbitrarietà anche il possessore legittimo di un territorio consetva comunque
7 MS, AA 6: 251; tr. it., p. 105. 8 MS, AA 6: 352; tr. it., p. 352. 9 S. Muthu,Justi.ce and Foreigners: Kant''s Cosmopolitan Right, in «Constellations. An International Journal of Criticai and Democratic Theory», VII, n. 1, 2000, pp. 23-45: p. 35.
10 aF, AA 8: 358; tr. it., p. 177.
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un obbligo nei riguardi del visitatore, l"obbligo di non trattarlo in modo ostile e di non respingerlo, quando il respingerlo comporti per lui danno o rovina11 • Il diritto cosmopolitico di visita definisce, dunque, i tratti etici di una idea di comunità che si estende agli abitanti della Terra, nel senso che, in forza del possesso comune originario del suolo, tutti hanno almeno il «diritto di proporsi come membri della società [zur Gesellschaft anzubieten ]» 12 o di >, IX, n. 3, 2010, pp. 308-327; al riguardo mi permetto di rinviare anche a A. Cicatello, Il diritto di visita entro i limiti della semplice ragione. Note a margine del cosmopolitisnw di Kant, in «Estudos Kantianos», III, n. 2, 2015, pp. 73-90. Al di là delle pur evidenti fo17.ature interpretative, la lettura di Denida ha comunque contribuito non poco a far affiorare nel dibattito contemporaneo l'enorme potenziale ermeneutico contenuto nel diritto cosmopolitico di Kant, mostrandone la rilevanza in relazione alle questioni dell'immigrazione e dell'asilo politico. 32 T. Waligore (Cosmopolitan Right, Indigenous Peoples, and the Risks of Cultural lnteraction, in «Public Reason», I, n. 1, 2009, pp. 27-56: pp. 29-31) denuncia, ad es., il vizio di parzialità di letture che, come quella di Waldron
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sogno coerentista di un Kant che riesca a comprimere in una formula unica tutte le dinamiche che attraversano il complesso rapporto tra i diritti del visitatore e quelli del visitato. E ciò perché in entrambi i casi rischia, comunque, di andare perduta la ricchezza della proposta cosmopolitica kantiana.
5. I limiti terrestri del possesso della ragione Spirito commerciale, comunicazione, promessa di interazione e di scambio reciproco da un lato, politiche aggressive di espansione economica, abuso della proprietà altrui e fenomeni di civili72azione forzata dal]'altro, popolano allo stesso titolo il suolo terrestre sul quale Kant intende cominciare a costruire il suo progetto cosmopolitico di pace. Non è un caso che il diritto al possesso comune del suolo venga chiamato in causa, nella Metafisica dei costumi, tanto per affermare le prerogative del visitatore che si reca volontariamente in terra d'altri, quanto per proteggere la condizione di chi in quella parte di terra è stato posto dalla natura e dal caso, di chi insomma c'è nato. Entrambi sono cittadini a pari
(Kant"s Heading Cosmopolitan Right. Manuscript, Cambridge University Press, Cambridge 2004, p. 230) esagerano il significato del diritto di visita in quanto norma che promuove e incentiva il contatto e la comunicazione tra popoli, a discapito dell'attenzione rivolta da Kant agli ostacoli decisivi che forme di interazione e di società non consensuale possono opporre lungo il cammino verso la realizzazione di un ordine cosmopolitico di pace. Non meno viziate di parzialità possono, però, risultare letture che puntano esclusivamente sul motivo anti-colonialista, sminuendo invece il significato del diritto di visita in quanto diritto individuale alla libera circolazione e alla comunicazione. Cfr. a questo riguardo le obiezioni mosse a M. Caimi,Acerca de la interpretacwn, cit., da C Belfort, &tudo da naturez.a do homemem Kant a partir do caso do estrangeiro e o conceito de hospitalidade, in «Kant E-Prints» II, n. 2, 2007, pp.127-142, in part. p. 137).
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titolo, sono i «cittadini della Terra» in vista di cui deve essere affermato e, a un tempo, limitato un diritto cosmopolitico. E ciò perché, come Kant stesso dice, il possesso comune del suolo non fonda una comunità del possesso. Non si riferisce, cioè, all"uso comune del territorio e nemmeno a una sorta di proprietà comune primitiva. Descrive solo il trovarsi degli uomini in una «situazione di possibile scambio fisico [Wechselwirkung (commercium)]»33 • Il ricorso al latino commercium esibisce una precisa valenza semantica in relazione al modello di comunità che Kant concepisce sotto il segno del diritto cosmopolitico. La comunità del suolo terrestre non risponde alla «comunità giuridica del possesso (communio) e perciò dell"uso o della proprietà del suolo stesso»34 • Piuttosto, il diritto al comune possesso originario procede dal fatto che gli uomini, in virtù della forma sferica della Terra15, si trovano già sempre nella condizione di poter venire a contatto l"uno con l'altro e con ciò «in un rapporto continuo di un popolo con tutti gli altri che si offrono allo scambio reciproco [sich zum V erkehr untereinander anzubieten ]»36; dove è decisivo comprendere a quali condizioni ]"azione di proporsi per formare una società possa favorire, e non invece impedire, il progressivo costituirsi di una pace duratura. Non si tratta, dunque, di un possesso statico, come se si potesse condividere come patrimonio comune qualcosa di già dato. In gioco è, invece, la possibilità di una interazione dinamica a partire dalla quale si costituisce, per Kant, il senso specifico della comunità cosmopolitica. In altri termini, a definire il senso della comunità
33 MS, AA 6: 352; tr. it., p. 315. 34 MS, AA 6: 352; tr. it., p. 315. 35 «La natura ha circoscritto tutti i popoli entro determinati confini [Grenzen] (grazie alla forma sferica del luogo del loro soggiorno, il globus terraqueus)» (MS, AA 6: 352; tr. it. 315. Cfr. anche 'kF, AA 8: 358; tr. it., p. 177). 36 MS, AA 6: 352; tr. it., p. 315.
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del suolo terrestre non è la condivisione di qualcosa di dato, sia esso, uno spazio chiuso entro confini fissati, o un sistema di valori culturali, o persino la rivendicazione del possesso della facoltà razionale intesa come dotazione naturale dell'uomo. La comunità degli esseri razionali terrestri si definisce sempre e solo nella forma dinamica del commercium, dell'azione reciproca (Wechselwirkung). Il fatto che Kant parli nella Metafisica dei costumi di commercium in relazione alla comunità del suolo, corrisponde, in definitiva, all'insistenza sul carattere dinamico-relazionale della sua idea di società cosmopolitica, là dove decisivo non è il costituirsi di una società sulla base di ciò che è comune, ma il formarsi di una comunità sulla base dello scambio di ciò che è differente37• Nella Critica della ragion pura il termine commercium occorreva, nel contesto della discussione della Tena analogia deWesperienza, a indicare un significato di comunità fondato sull"azione reciproca: Nella nostra lingua il termine comunanza [Cemeinschaft] ha due significati: può voler dire, cioè, sia communio sia commercium. Qui ci serviamo del termine nel secondo significato, come una comunanza dinamica, sen7.a la quale neanche la comunanza locale (communio spatii) potrebbe mai essere conosciuta empiricamente.38
Quando parla di un diritto connesso al possesso comune del suolo, Kant non fa dunque riferimento a un suolo comune. A rigore, anzi, un suolo comune non si dà, se non in termini di possibili relazioni di scambio, se non, dunque, come un'idea
37 A questo proposito cfr. i rilievi di S. Anderson-Gold, Cosmopolitan Right. State and System in Kant's Political, Theon.J> in S. Baiasu - S. Pihlstrom H. Williams (a cura di), Politics and Metaphysics in Kant, cit., pp. 235-249; pp. 239-240. 38 KrV, A 213/B 260; tr. it., p. 409.
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della ragione, l'idea di un «tutto detenninato»39, a partire dal quale, soltanto, sono concepibili le parti. In gioco è qui, allora, il senso metafisico di un intero, il cui contenuto, in quanto pensabile solo a partire dalla pura ragione, non può consistere nella somma empirica delle parti, ma deve implicare la possibilità che la parzialità delle parti venga superata. Nella Metafisica dei costumi Kant parla, non a caso, del possesso comune originario come di un «concetto pratico della ragione, che contiene a priori il principio secondo il quale soltanto gli uomini possono utilizzare il posto che occupano suIIa Terra in base a leggi di diritto»40• La possibilità di usare o di stabilire la legittima proprietà su una parte del suolo si fonda sul presupposto che gli uomini possano pensarsi come esseri che abitano la parte di un tutto determinato, ovvero della superlìcie terrestre intesa come globo. Sen7.a aver sviluppato questa disposizione razionale, potremo al massimo concepire un'idea del mondo che abitiamo secondo l"estensione dei confini di quella parte sulla quale abbiamo posto la nostra sede. Ed è esattamente a disinnescare il potenziale di violenza contenuto in questa idea insieme sedentaria ed espansionistica di cosmopolitismo che è rivolta la distinzio-
39 MS, AA 6: 352; tr. it., p. 352. 40 MS, AA 6: 262; tr. it., p. 129. Sempre nella Metafisica dei costumi Kant parla della «comunione originaria del suolo [urspriingliche Gemeinschaft
des Bodens]» come di una «idea che ha realtà oggettiva (giuridica e pratica} [objective (rechtlich praktische) Realitat]» (MS, AA 6: 251; tr. it., p. 103}. Come dice bene Cavallar, «la comunità originaria è, analogamente al contratto originario, non un fatto storico ma un'idea razionale» (G. Cavallar, The Rights ofStrangers. Theories of Internationa/, Hospitality, The Global Community, and Political Justice since Vitoria, Ashgate, Burlington 2002, p. 363); cfr. anche A. Pinheiro Walla, Private Property and the Possibility of Consent. Kant and Social Contract Theory, in L. Krasnoff - N. Sanchez Madrid - P. Satne (a cura di), Kants Doctrine of Right in the Twenty-First Century, University of Wales Press, Cardiff 2018, pp. 29-45: pp. 33-34.
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ne kantiana tra diritto di visita e diritto di residenza. Cosl, se il semplice proporsi all"altro per formare una società non può, di principio, giustifìcare nell'altro una reazione aggressiva, d"altra parte tale società non può essere subdolamente propinata o imposta con la forza, tantomeno con la giust:ifìcazione che l"altro non abbia ancora raggiunto quel livello civile di razionalità che solo potrebbe sottrarlo allo stato selvaggio. Prima che della possibilità di una istituzione giuridica mondiale che preservi in modo permanente la pace, con il diritto cosmopolitico ne va, insomma, del diritto stesso alla ragione; quella ragione che per i suoi connotati terrestri, umani, non può, come la superfìcie della Terra, venire parcelliz7llta a vantaggio di chi pretenda appropriarsene sottraendola ad altri. A partire da questa prospettiva, il diritto di visita può, allora, acquisire un significato diverso da quello di una semplice forma restrittiva di ospitalità. Esso si fa espressione di una ragione che non è semplicemente, naturalmente, data a tutti gli uomini in guisa di una comune dotazione antropologica, ma richiede di essere istituita sul terreno cosmopolitico dello scambio reciproco tra forme sociali differenti. Sulla ragione, come sulla superfìcie della Terra, ciascun individuo può legittimamente rivendicare il possesso, solo a patto di non escludere nessun altro dalla possibilità di accedervi. Anche qui, si potrebbe dire, è in gioco la possibilità di una >, XXII, n. 3, 2009, pp. 561-576. D. Howard, The Politics of Critique, Macmillan, London 1989. B. Jacobs, Kantian Characterandthe Science ofHumanity, in B. Jacobs -P. Kain (a cura di), Essays on Kant'sAnthropology, Cambridge University Press, Cambridge 2003. P. Kleingeld, The Conative Character of Reason in Kant's Philosophy, in «Journal of the History of Philosophy», n. 1, 1998, pp. 76-97. Ead., Kant's CosmopolitanLaw. World Citizenshipfor a Global Order, in «Kantian Review», n. 2, 1998, pp. 72-90.
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