Ragionar come un pesce 9788855290913, 9788855290920

"Mio nonno si chiamava Romano ed era un uomo semplice, piccolo di statura, a prima vista normalissimo, che possedev

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Italian Pages 128 [130] Year 2020

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Table of contents :
Ragionar come un pesce.
Massimo Donà, Giulio Goria, Giampaolo Gravina, Giacomo Petrarca
Prefazione
La mia vita di pescatore nella laguna di Burano
Ricordi della mia infanzia. La pesca dei “concoli” con il mio papà
La prima barca regalata dal papà. La pesca delle vongole e della cepa e il difficile periodo scolastico
La pesca del pesce novello. I cambiamenti dell’ecosistema lagunare e la cooperativa dei pescatori
I giorni della mia spensierata giovinezza. La prima barca a motore e l’inquinamento di Marghera
Le nuove reti da pesca. Io che comincio a ragionare come un pesce
Vongole nostrane e vongole filippine. Il pissotto
Il turismo di massa invade la laguna di Venezia. L’inizio delle bonifiche dell’area di Marghera
Alcune riflessioni mentre pulisco e rammendo le reti dopo la pesca
Il branzino re del mare e della laguna. Il pesce novello. Come calare e salpare le reti
Metodi di pesca in laguna
Come calare le reti in mare
Il pesce novello
La laguna, la sua vita, la sua fauna. Curiosi modi di pescare
Le tartarughe sono finalmente tornate in laguna. Il turismo selvaggio a Burano
Pesca del caparossolo con scorso fin
I racconti di mio nonno pescatore
Ringraziamenti
Una vita esemplare. Andrea Rossi: incanti, passioni e peripezie di un pescatore gentile
L’Autore
Indice
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Ragionar come un pesce
 9788855290913, 9788855290920

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ANDREA ROSSI

Ragionar come un pesce Con una postfazione di Massimo Donà

GEA Sapere, terra, cibo Collana diretta da: Massimo Donà, Giulio Goria, Giampaolo Gravina, Giacomo Petrarca.

Della stessa collana: 1. Rossi A., Ragionar come un pesce.

Gea

Collana diretta da

Massimo Donà, Giulio Goria, Giampaolo Gravina, Giacomo Petrarca

Gea | Sapere, terra, cibo 1

Andrea Rossi

Ragionar come un pesce Da Burano a Burano: le avventure lievi, appassionate, faticose, anche… ma quasi sempre estasianti, di un professionista della pesca in laguna

© 2020, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 – 00133 – Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Gea ISSN: 2723-908X n. 1 – aprile 2020 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-091-3 ISBN – E-book: 978-88-5529-092-0 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Basilica di Aquileia – Riposo di Giona e scene di pesca. Le fotografie alle pp. 37, 38 (prima), 46, 47, 52, 57, 81 sono di Fabrizio Cicconi. Tutte le altre fotografie sono di Andrea Rossi.

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Prefazione

Per pura combinazione ho incontrato a Tenerife Andrea Rossi, di professione pescatore. Amico di comuni amici buranelli, ho avuto la fortunata occasione di frequentarlo e conoscerlo meglio mentre trascorrevamo pigre giornate di riposo sotto il caldo sole delle Canarie. Fin dalle prime parole, notai che Andrea non era il classico pescatore sbruffone che amplifica le proprie gesta, ingigantendo dimensioni e quantità delle prede catturate! Al contrario… lo trovai riservato, restio a parlare e persino un po’ diffidente nei miei confronti. Andrea mi ha dapprima “studiato”, per il tempo che ha ritenuto necessario, e poi, poco per volta, ha iniziato ad aprirsi e a raccontarmi le storie della sua vita di pescatore professionista; vita vissuta per anni nell’isola di Burano.

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Iniziò con calma a raccontarmi molti aneddoti relativi al suo lavoro, e a illustrarmi le tecniche e le strategie di pesca usate e affinate nel tempo. Anni passati in mare e in laguna, estati e inverni, freddo e caldo, fatiche e sudore, gioie e dispiaceri, successi e insuccessi… I suoi racconti erano come un fiume in piena. Per la sua bravura, a detta degli amici di Burano, Andrea è ormai divenuto una “leggenda” tra i pescatori dell’isola! Io lo ascoltavo con grande attenzione mentre, in dialetto di Burano, mi rendeva partecipe di una passione che era ormai divenuta il suo vero, duro e faticoso lavoro; e che, come tutte le professioni umili, è ai nostri giorni snobbata dalle nuove generazioni. Ho imparato tante cose da Andrea, non solo sul­l’arte della pesca, ma anche sul modo di “vivere” la vita di pescatore, con semplicità, simpatia, schiettezza e intelligenza e anche con ironia e contagiosa allegria. Grazie Andrea per avermi accettato come amico… ma non pensare neanche lontanamente di cavartela senza pagare in branzini, orate e vongole questo mio umile aiuto di “correttore di bozze”!

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Ci vedremo pertanto presto a Burano, dove, mio caro, per ripagarmi del mio lavoro, dovrai organizzare una gigantesca grigliata di pesce appena pescato, annaffiata da un ottimo e genuino vinello. Tutti insieme, in amicizia e allegria! Fausto

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La mia vita di pescatore nella laguna di Burano

Cari amici, ecco di seguito il risultato delle mie fatiche di “scrittore dilettante”. Ho cercato di ricostruire – e non vi dico con quanta difficoltà – ben quarant’anni di vita vissuta nella laguna di Venezia, nella mia amata isola di Burano; dove ho sempre felicemente esercitato il lavoro di pescatore. Ciò che mi ha spinto a rendervi partecipi di questi racconti è stata non solo l’intenzione di descrivervi parte della mia vita di pescatore, ma anche quella di portare alla vostra attenzione i pericoli connessi agli avvenuti cambiamenti della flora e della fauna di questo ecosistema marino e lagunare, tanto fragile e delicato. Ho descritto per il vostro divertimento piccoli aneddoti e storie del passato, e ricostruito alcuni cenni biografici.

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Non mi è stato possibile rappresentare e ricostruire esaustivamente tutti i fatti che troverete qui raccontati in ordine cronologico, perché questo umile lavoro di scrittura non è altro che il risultato di pensieri scritti di getto su bianchi fogli di carta durante le brevi pause tra una battuta di pesca e l’altra. Sono certo che comprenderete le mie difficoltà e mi perdonerete questa simpatica confusione. Vi auguro comunque buona lettura. Andrea

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Ricordi della mia infanzia. La pesca dei “concoli” con il mio papà

Ciò che mi accingo a descrivere non riguarda solo una vita vissuta in laguna, ma anche tutto ciò che mi è stato tramandato da ben quattro generazioni di pescatori e di merlettaie; gente semplice, nata e vissuta nella splendida isola di Burano. I miei primi ricordi risalgono a quando, bambino di soli quattro anni, andavo a nuotare davanti al pontile di Mazzorbo sempre a piedi nudi. Era la calda estate del 1970. In quel tempo la pace che regnava in laguna era un vero incanto ed io, sebbene fossi solo un bimbo, già sentivo una vera e propria passione per queste acque, per il mare e per le piccole barchette a remi che vedevo ormeggiate nei canali e nelle rive. Aspettavo emozionato l’arrivo dei primi vaporetti con il loro nero fumaiolo, in lento avvicinamento, sino ai pontili di attracco,

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e li vedevo molto più grandi di quanto fossero in realtà. Ricordo che aspettavo nervosamente il tramonto e il ritorno a casa del mio papà, dopo una faticosa giornata di pesca passata a bordo del famoso “bragozzo chioggiotto” (barca da pesca tipica del luogo, con prua arrotondata, mossa a vela o a motore). Questo “bragozzo” venne costruito in quegli anni anche con lo scopo di promuovere il nuovo sistema di pesca a strascico nell’alto Adriatico. Esso montava i primi motori MVM da venti cavalli e grande era l’emo­ zione che provavo quando lo vedevo arrivare in porto; talvolta dovevo attendere ansioso anche qualche ora per riuscire a vedere quali e quanti pesci mio padre e mio zio avessero pescato quel giorno. La povera mamma mi chiamava in continuazione, invitandomi a gran voce a tornare a casa; ma io fingevo di non sentirla sino al momento in cui non fossi riuscito a vedere e toccare con mano qualche bel pesce. Se avevo fortuna, il papà mi regalava quello che era il mio pesce preferito: il “cagnoletto” (piccolo di pescecane), naturalmente mantenuto vivo in un “caino” (catino).

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Felice e soddisfatto, quindi, rientravo a casa col mio trofeo e continuavo a giocare col mio pesce fino ad addormentarmi. La mattina seguente, appena sveglio, andavo di corsa a vedere il mio amico; ma purtroppo era già morto nel catino, dove l’avevo lasciato la sera precedente. Io piangevo disperato perché non riuscivo a capire la ragione per cui fosse morto, nonostante tutte le mie attenzioni. Mentre gli anni trascorrevano lenti, ero sempre più “catturato” dai misteri e dalle bellezze del mare e della laguna, e li vivevo interiormente con grande gioia. Quando io e mio padre andavamo a pescare i “concoli” (vongole veraci nostrane), camminavamo nel fango per ore a piedi nudi, circondati dai richiami degli uccelli della laguna che sembrava ci volessero parlare. Fu durante quei magici anni che mi insegnò i primi veri segreti della pesca delle vongole. Ricordo – e rido ancora sotto i baffi – quando riponeva nel suo bel cesto di vimini i “concoli” pescati e io, da dietro, con furbesca maestria, li rubavo e li mettevo nel mio cestino per far vedere che ero più bravo di lui, e che ne avevo presi di più.

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In quel periodo la laguna era veramente silenziosa, ma nel contempo, piena di vita. Vi si trovavano in abbondanza crostacei, pesci e uccelli di varie specie, ciascuno impegnato nelle proprie quotidiane abitudini e nella dura lotta per la sopravvivenza. Era come vivere in un sogno, nel cuore incantato di un grande parco giochi, circondati dalla maestosa bellezza di una natura di cui la laguna sembrava destinata a riflettere il massimo splendore. Che bello rivivere quei momenti e quelle calde estati, ricordare il fresco che sentivo sulla pelle dopo il bagno fatto nei canali di Burano. Dopo aver fatto il bagno con gli altri monelli, via di corsa a casa per sciacquar la salsedine, usando l’acqua dolce messa precedentemente nei mastelli al sole per farla riscaldare. Tutto ciò avveniva nei campielli con intorno a me la nonna o una delle zie che mi guardavano con occhio amorevole, mentre lavoravano i famosissimi merletti di Burano. Creare merletti era un modo per arrotondare il salario delle famiglie. In inverno, con i canali ghiacciati e con le “quarnere” (forti venti di bora che duravano anche per quattro giorni), la pesca in laguna si fermava, ma non il lavoro delle merlettaie.

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Le donne, comunque, praticavano con maestria non solo l’arte del merletto, ma anche quella delle perline di vetro; una pratica che le vedeva impegnate a infilare le “conterie” (perline di vetro colorate) in aghi o fili di cotone. Era un lavoro tramandato sin dal 1500, e molto richiesto dalle fabbriche di Murano. Si trattava di infilare le perle di vetro in aghi (sino a trentasei aghi) o in fili di cotone (lunghi anche 40 cm) e quindi di portare il prodotto, realizzato con tanta pazienza, nelle fabbriche di Murano dove, con queste perle venivano creati dei bellissimi gioielli. Anch’io mi divertivo a prendere in mano la “sessola in legno” (simile a una vaschetta). Mi piaceva provare a infilare le perline colorate. In questa “sessola” venivano rovesciati anche da 2 a 3 kg di perle da infilare. Allora, però, non sapevo che questi lavori servivano a mia nonna per arrotondare il salario di mio nonno il quale, da povero pescatore, cercava di portare a casa, con immane fatica, il necessario per vivere dignitosamente. Certo, quello delle donne di Burano non era un lavoro molto remunerativo. Per me era solo un gioco affascinante, ma per le famiglie era certamente una fonte di reddito indispensabile, soprattutto nei mesi freddi, quando la laguna

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non permetteva di pescare, se non in rare giornate di bel tempo. Se il tempo era clemente, si pescava soprattutto con il “paravanti” (attrezzo di legno con manico formato a V e con una rete legata alle estremità della V). La rete veniva immersa nell’acqua e il pescatore, anch’egli in acqua, con un movimento della mano, rastrellava dolcemente il fondo, facendo così entrare nel sacco della rete pesci e anche il famoso “garagollo” (mollusco lagunare simile a una lumachina). Anche il “garagollo” ha rischiato di estinguersi a causa dei cambiamenti climatici e a causa della scomparsa dello “strigo” (alga lunga e sottile), senza il quale il “garagollo”, insieme ad altre specie, non può vivere, nutrirsi e riprodursi. Fortunatamente in questi ultimi anni ho assistito a un piccolo, ma provvidenziale ripopolamento del “garagollo”. Esiste comunque un serio problema per la commercializzazione di questo mollusco, poiché lo si ritiene “ormai estinto”; il fatto è che, rimasto privo di etichetta per la sua identificazione, questo mollusco non può più essere in alcun modo commercializzato.

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La prima barca regalata dal papà. La pesca delle vongole e della cepa e il difficile periodo scolastico

Ritornando con la memoria agli anni della mia infanzia, ho immagini chiarissime di quando, a dodici anni, nutrivo già una grande passione per la pesca e per l’esplorazione della laguna. Cominciai proprio allora ad apprendere l’arte della pesca delle “vongole veraci nostrane” – molluschi difficili da individuare, perché vivono in fondali diversi tra loro, fangosi o sabbiosi e talvolta in fondali a “grotta” (fango molto consistente). Imparai che la vongola si poteva pescare anche tra le alghe verdi che proliferano appiccicate al fango melmoso del fondo della laguna. In ogni caso, l’abilità nel pescare vongole consisteva in buona parte dal saper individuare i buchi creati dalla vongola stessa in ogni differente tipo di fondale. Ricordo che iniziai nei pomeriggi dopo la scuola a organizzarmi per pescare queste von-

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gole – che poi talvolta vendevo per raggranellare qualche spicciolo. I primi guadagni così ottenuti avevano per me molto valore, soprattutto perché realizzati con fatica e abilità. Voglio poi ricordare che questo tipo di pesca si faceva solitamente con imbarcazioni chiamate “Sandaletti” o “batelle” (imbarcazioni veneziane in legno a remi). Il mese di settembre era il periodo migliore per la pesca della “cepa” (grande pesce azzurro); io ero emozionato e interessato a questa pesca perché si trattava di un pesce che può anche raggiungere un peso di oltre 1 kg. La “cepa” si pescava per lo più con una semplice canna di bambù, anche se qualche mio amico utilizzava già allora canne realizzate in plastiche speciali. Con i miei amici si andava a zonzo alla ricerca del bambù, perdendo ore in giro per l’isola di Burano. Trovate le canne, ci recavamo sul “ponte lungo” – quello che divide l’isola di Mazzorbo dall’isola di Burano – e, dal ponte, ci sfidavamo a chi era più bravo nella pesca della “cepa”. L’attesa era davvero emozionante, e altrettanto elettrizzante era poi la cattura del pesce, soprattutto nel momento in cui lo vedevamo dibattersi luccicante sotto il pelo dell’acqua, prima di essere portato a riva e messo nel paniere.

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Era bellissimo passare i pomeriggi con gli amici a pescare, godendo della pace della nostra meravigliosa laguna. Talvolta, qualche barca di passaggio si fermava a guardare noi ragazzi intenti alla pesca, e ricordo bene quando, vedendo le prede che avevamo catturate, il nostro pubblico esclamava: “guarda che pesce grande hanno preso quei ragazzini!!!”. E noi, emozionati per i commenti tanto lusinghieri, alzavamo orgogliosi i nostri trofei. Finita la prima media, riuscii a convincere mio padre ad acquistarmi una barchetta di legno con un piccolo motore di sei cavalli che, per me, abituato alla barca a remi, era come avere a disposizione un motore da 200 cavalli di potenza. Felice di avere finalmente una barca con un motore, assicurai mio padre che avrei ripagato il mio debito al più presto, e proprio con i soldi guadagnati con la pesca delle vongole. Trascorsero un altro paio di anni e tirai un gran respiro di sollievo quando, finalmente, terminai la terza media. In ogni caso, ero seriamente intenzionato a continuare la vita di pescatore; avevo già iniziato a conoscere abbastanza bene le nostre “barene” e le paludi principali della laguna, come la palude della “Rosa Santa Cristina” e i famosi “rami” (canali secondari) e “ghebbi”

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(piccole derivazioni dai rami) che purtroppo ora non esistono quasi più. Nell’estate segnata dalla fine dell’anno scolastico (mi riferisco sempre alla terza media) mia madre e mia sorella maggiore cercarono di convincermi a continuare gli studi, e a iscrivermi in una scuola superiore. Ma io non volevo iscrivermi in una delle “solite” scuole superiori. C’era solo una scuola che mi aveva davvero incuriosito; ed era l’istituto dei “Marinaretti”, il Giorgio Cini, sito nell’isola di San Giorgio. Iniziai a frequentarlo e lo feci con entusiasmo per sette mesi. Ero molto interessato e coinvolto; meno alla teoria e più alla pratica… ma quando, verso la fine dell’anno scolastico, mi trovai costretto a studiare una sessantina di pagine di matematica, decisi di ritirarmi. Venni ovviamente rimproverato da tutta la famiglia, ma non mi importava nulla dei loro rimbrotti perché ormai avevo deciso: il mio futuro non avrebbe avuto a che fare con la scuola, ma con la possibilità fare in tutta libertà il pescatore. Quella che vedevo come la professione in assoluto più bella al mondo. Mio padre la pensava diversamente, e osteggiò la mia intenzione di intraprendere la pro-

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fessione di pescatore, arrivando persino a non portarmi più con lui nelle battute di pesca. Solo adesso, da uomo adulto, capisco quanto importante sia la scuola. Se avessi continuato e raggiunto un buon grado di istruzione, avrei potuto benissimo lavorare nella marina commerciale come ufficiale in servizio su qualche nave e attraversare mari e oceani di tutto il mondo. Ma in fin dei conti, anche senza studi, ho comunque raggiunto lo scopo della mia vita: quello di fare un mestiere che mi piace, mi appaga e mi appassiona. Ritornando al passato, ho dei bellissimi ricordi anche di mio cugino, di quattro anni più vecchio di me. Andavamo spesso a pescare insieme con la fiocina i “passarini” (platesse di laguna) e le anguille, usando il piccolo “cofanetto” (barca bassa, leggera ma molto sicura). Devo ribadirlo: in quei tempi, in laguna, si respirava una grande pace e una mirabile serenità. Alla sera, quando tornavamo dalla pesca, la mamma di mio cugino ci aspettava ansiosa di vedere il pescato, perché aveva già ricevuto dagli amici e dai conoscenti varie ordinazioni, soprattutto di cefali.

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Gli abitanti di Burano erano soliti arrostire e mangiare il pesce appena pescato nei campielli di fronte alle proprie abitazioni, riempiendo l’iso­la dei profumi delle grigliate… deliziosi odori, oggi purtroppo scomparsi. Vi era anche un modo insolito di pescare; una tecnica che imparai durante la mia giovinezza. Mi procuravo dei tubi di vecchie stufe (quelli che la gente di solito gettava in discarica), e ne chiudevo una delle estremità. Poi immergevo il tubo nei bassi fondali e legavo al suo interno un’esca. Il cilindro immerso poteva così fungere da tana per i “go” (ghiozzi) e per le anguille; prede che, una volta entrate, potevano venire catturate con una certa facilità.

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La pesca del pesce novello. I cambiamenti dell’ecosistema lagunare e la cooperativa dei pescatori

All’età di quindici anni, mio cugino, ormai maggiorenne, mi portò in laguna per insegnarmi la pesca del “pesce novello” o “novellame” (avannotti di varie specie di pesci). Fu in quel momento che passai dalla pesca come gioco alla pesca come professione… professione che poi avrei esercitato per tutta la vita. Per trovare il “novellame” da pescare dovevamo girovagare in lungo e in largo per tutta la laguna, cercandolo con attenzione, soprattutto nei bassi fondali. Iniziai poco a poco, ma con continui progressi, ad avere maggior conoscenza di tutte queste aree lagunari di pesca e ad applicare di volta in volta, a seconda dei vari tipi di pesci da catturare, le tecniche più adatte per ottenere i migliori risultati.

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Certo, non potevo allora rendermi conto di come la laguna si sarebbe trasformata nel giro di soli trent’anni. Il cambiamento è stato ovviamente verso il peggio; un peggioramento terribile, costante, distruttivo e indescrivibile. Sì, perché anni fa le barene erano imponenti, alte, piene di piante acquatiche e di vita. I “canali” e i “rami” erano profondi e avevano acque cristalline, popolate da pesci di diverse specie. Oggi, invece, le barene come quelle di una volta non ci sono quasi più. I “rami” che una volta superavano i tre metri di profondità, adesso si sono quasi prosciugati. E noi pescatori professionisti, purtroppo, siamo costretti a “vivere alla giornata”, con quello che ci offrono la laguna e il mare. Seguiamo le stagioni, che alternano grassi a magri periodi di pesca. D’altro canto, questo è il nostro lavoro; e lo portiamo avanti con sacrifici enormi da più generazioni; alle volte, anche se ingiustificatamente, siamo considerati noi i “distruttori della laguna”; magari solo perché, talvolta, peschiamo anche con le reti. Ma chi ci critica e ci accusa, evidentemente, non conosce il nostro lavoro. Non sa nulla della laguna e della pesca. Noi pescatori, in realtà, cerchiamo di rispettare sempre la laguna e il

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mare, perché sappiamo bene che ne va del nostro futuro. Evitiamo sempre di catturare pesce di piccola taglia, per dargli il tempo di crescere e per poterlo poi pescare quando raggiunge le giuste dimensioni. All’inizio della mia attività di “pescatore professionista” volevo iscrivermi alla cooperativa di pescatori di Burano, ma purtroppo il regolamento consentiva l’inscrizione solo dopo il compimento del diciottesimo anno di età. Ricordo inoltre che mio padre continuava, anche allora, a insistere perché non facessi il pescatore, e con lui, contro di me, avevo tutta la famiglia. Per un breve periodo “finsi” di accontentare tutti, ma troppo forte era il desiderio di fare il pescatore, tanto che ritornai a farlo con ancora maggiore convinzione e tenacia di prima. Ripresi la mia barca e iniziai a pescare con le reti a “tramaglio”, sia in laguna che in mare. Uscivo in mare sino a tre miglia dalla costa per catturare sogliole e altri pesci, e stupivo tutti per i risultati eccellenti che ottenevo. Ero ovviamente fiero di poter stupire chi non voleva che facessi questa professione, ma non mi curavo per niente di quello che la gente pensava di me. Il vero e principale obiettivo era diventare un pescatore provetto, per potermi mantenere con questa at-

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tività, per conoscere i segreti della laguna e del mare, rispettando la natura in modo da poter continuare a godere delle strabilianti bellezze della mia splendida Burano!

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I giorni della mia spensierata giovinezza. La prima barca a motore e l’inquinamento di Marghera

A quindici anni ero desideroso di apprendere tutto, dell’arte della pesca, ma i pescatori anziani non svelavano mai nulla delle loro conoscenze, gelosi com’erano dei segreti della pesca in laguna e in mare. Cominciai allora a “rubare” tutto ciò che potevo, della loro “arte”, interpretando i loro movimenti, i loro sguardi, le loro scelte delle località di pesca, e osservando le attrezzature che usavano. L’insieme di queste esperienze e conoscenze mettevano questi anziani pescatori nelle condizioni di ottenere ottimi risultati nella pesca. Purtroppo, quando noi ragazzi chiedevamo chiarimenti, spiegazioni o semplici consigli, venivamo o ignorati o guardati “in cagnesco”, come a voler sottolineare che non solo non sapevamo nulla di pesca, ma che non avremmo avuto da loro nessun aiuto per apprenderne l’arte.

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Nel 1980, con il denaro che avevo risparmiato pescando vongole, presi la coraggiosa decisione di farmi costruire una piccola barca di legno a basso pescaggio detta “pattanella” (locale barca in legno a fondo piatto con prua arrotondata), che montava un motore da venticinque cavalli, e che utilizzai fino al 1985. Con questa barca riuscii a dare una svolta decisiva alla mia vita e a soddisfare in pieno la mia grande passione per la pesca. Iniziai a vagabondare in laguna e in mare, da nord a sud; raggiunsi persino Chioggia con le sue paludi, le sue barene e i suoi piccoli canali, migliorando il mio modo di pescare; mentre scoprivo nuovi luoghi, immagazzinavo esperienza a piene mani, e ne facevo tesoro, pensando alla mia futura vita di pescatore. Incominciai a pescare molto attivamente vongole nostrane molto grosse e in quantità sempre più consistenti. Estesi l’area di pesca fino alle valli Mille Campi, alla valle Zappa, a Contarina, a Figheri e persino a ridosso della terra ferma del Padovano. Pescare in queste nuove zone mi emozionava moltissimo e mi procurava grande gioia e soddisfazione. Ogni giorno scoprivo aree che rendevano le mie catture sempre più abbondanti.

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Lavoravo in quel tempo in zone sconosciute dalla gran parte degli altri pescatori, sia professionisti che sportivi, e là dove pochi transitavano o pescavano, riuscivo a percepire – lo ricordo molto chiaramente, anche a distanza di anni – una pace e una serenità assolute, nonostante fossi affaticato dalla pesca. Dovevo camminare in paludi fangose, sprofondando ad ogni passo, con la schiena piegata a raccogliere vongole con le mani, senza ausilio di specifiche attrezzature, tutto fatto alla vecchia maniera. Ritornando a casa dopo le battute di pesca, passavo sovente di fronte a Marghera, che mostrava già allora, impietosamente, tutti i “camini” delle sue fabbriche che emettevano e saturavano l’aria della laguna di fumi dagli odori acri e fastidiosi, rendendola quasi irrespirabile. In quegli anni l’inquinamento era già alle stelle e stava distruggendo l’ecosistema lagunare e terrestre a gran velocità. Ricordo che le vongole raccolte in quelle acque, una volta messe a depurare, rilasciavano sostanze oleose, segnalando che qualcosa non andava bene per la salute dell’ecosistema. Ai proprietari di queste fabbriche non importava nulla dei pescatori e della laguna. Il lo-

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ro unico interesse era proseguire la produzione e incassare quattrini, senza rispetto alcuno per l’ambiente. Anche le alghe, ahimè, erano piene di quella sostanza oleosa. Spesso io e mio padre ci guardavamo increduli e preoccupati per queste scoperte, e per il progressivo peggioramento dell’ambiente, ma purtroppo questo avvelenamento di acque e terre continuò per anni, portando l’inquinamento in quella zona della laguna a livelli altissimi e inimmaginabili. Fortunatamente, negli anni ’80 le Autorità competenti diedero inizio allo smantellamento delle fabbriche, iniziando dalle più inquinanti e via via demolendo anche le altre; in aggiunta vennero quindi costruiti dei depuratori. Queste attività di “disinquinamento” resero così l’aria e l’acqua di tutta la zona di nuovo pulite e nuovamente capaci di ospitare la vita delle più diverse specie. Dal mio “osservatorio” privilegiato di pescatore, attento all’ambiente, ho potuto verificare che dopo l’abbattimento delle fabbriche e la costruzione dei depuratori molti pesci, da tempo scomparsi, erano tornati a ripopolare l’area di quella zona.

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Al compimento dei miei diciotto anni feci una volta per tutte la scelta di diventare pescatore professionista e mi ritrovai anche a pensare di dare un senso e un futuro alla mia vita privata. Conobbi a Burano una bella ragazza, graziosa e semplice, che si chiamava Fiorenza, con la quale trascorsi giornate bellissime, parlandole ovviamente anche, ma non solo, di pesca. Le raccontavo dei luoghi dove andavo a pescare e quali e quanti pesci riuscivo a catturare. La portavo di tanto in tanto con me in barca per farle scoprire la nostra laguna e lei ne era entusiasta, nonostante capissi che le interessava più prendere il sole e abbronzarsi che la pesca e i segreti dell’ambiente che ci circondava! Fu così che dopo poco tempo ci fidanzammo; fino a quando decidemmo di sposarci e Fiorenza divenne finalmente mia moglie! Dopo il matrimonio, mi misi a lavorare ancora con più lena con lo scopo di riuscire a comprare la nostra prima casetta nell’amata isola di Burano. Lavoravo tantissimo e pescavo vongole, seppie, passere, gamberi e tutto quello che la laguna offriva e mi dava modo di catturare. Importante e remunerativa era anche la pesca delle “acquatelle” (anguille) fatta con il mio “bragot-

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to” o con due barche che calavano e salpavano insieme la rete. Questa pesca si faceva nei mesi freddi invernali e dava buon sostegno alle famiglie dell’isola di Burano, tant’è che negli anni ’70 esistevano ben due fabbriche di pesce che friggevano e marinavano quantità consistenti di anguille della laguna. Il picco di queste attività conserviere avveniva tra i mesi di novembre e dicembre, con i primi freddi. Mi tornano in mente con grande nitidezza i canali della laguna che in inverno si ghiacciavano; ricordo bene quando, per andare a pescare con mio padre, e uscire dal canale, dovevamo rompere con gran fatica la crosta di ghiaccio. Anche nelle ore più calde delle brevi giornate invernali era veramente faticoso pescare, con temperature esterne sotto lo zero e l’acqua della laguna gelida. Ma niente di tutto questo mi poteva fermare! Infreddolito e con le mani ghiacciate, che battevo forte per far circolare il sangue, dovevo assolutamente raggiungere l’obiettivo di comprarmi una casa tutta mia. Nel frattempo mio padre smise di fare la pesca a strascico. Nel 1986, ormai, i metodi di pesca si stavano evolvendo celermente e nella nostra zona ini-

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ziammo a pescare con successo le “bavaresse” (vongole di mare). Chioggia fece ovviamente la parte del leone, catturando grandi quantità di pesce con la sua flotta di grandi pescherecci muniti di motori potenti. Era il progresso che avanzava, con nuove strumentazioni, nuove reti più grandi, nuove imbarcazioni. Fu in quegli anni che la pesca tradizionale di noi piccoli pescatori professionisti venne quasi soppiantata dalla pesca industriale, molto più redditizia.

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Le nuove reti da pesca. Io che comincio a ragionare come un pesce

Passarono altri due anni e la pesca subì un ennesimo importante e “lucroso” cambiamento grazie alle nuove reti da pesca in nylon e non più in cotone. La rete in nylon, del tipo “barracuda a tramaglio”, molto più leggera di quella in cotone, non solo rendeva più facile e produttiva la pesca, ma la rendeva anche più “versatile”, in quanto si poteva pescare non solo di notte, ma anche di giorno; e poi le maglie della rete in nylon risultavano invisibili ai pesci. Con queste maggiori possibilità capii che avrei potuto catturare maggiori varietà di pesci, dal branzino alle mormore e dai cefali alle sogliole. Trascorrevo le mie giornate di lavoro – che scorrevano sempre veloci – tra albe e tramonti, nelle affascinanti e tranquille acque della laguna. Mi allietava molto, durante le battute di pesca, il cinguettio degli uccellini che cercavo inutilmen-

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te di individuare, tra i rami dei cespugli, curioso di sapere a quale specie appartenessero. Giorno dopo giorno, con l’esperienza acquisita, cominciai a “ragionare come un pesce”. Riuscivo a individuare le zone dove le mie prede mangiavano, a sapere di cosa si nutrivano e in quali luoghi preferivano spostarsi alla ricerca del nutrimento. Intuivo i movimenti dei pesci durante i vari periodi dell’anno, da quando entravano in laguna a quando uscivano in mare, per svernare in acque più profonde e relativamente meno fredde, perché le acque della laguna, piuttosto poco profonde, subiscono in inverno un abbassamento della temperatura molto più rapido di quelle del mare aperto. Il pescato in quegli anni era molto richiesto anche perché non “soffrivamo” la concorrenza dell’importazione di pesce da altri paesi. Allora, pescare in laguna era un piacere, un lavoro svolto in tranquillità, non come in questi ultimi tempi, sempre stressati e intenti a evitare “collisioni” con le barche e i motoscafi dei pescatori dilettanti che, purtroppo, la fanno da padroni! Da diverse generazioni… noi pescatori professionisti studiamo, con grande attenzione e

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rispetto, la laguna e il mare, come farebbero dei professori universitari; col tempo, ma anche con la fatica, abbiamo appreso tutto ciò che le acque e l’ambiente ci potevano insegnare, di positivo e negativo, per poi mettere a frutto nel nostro lavoro tutto questo prezioso bagaglio di informazioni.

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Vongole nostrane e vongole filippine. Il pissotto

All’inizio degli anni Novanta la laguna veneziana comincia a vivere il fenomeno della scomparsa, prima lenta, poi sempre più veloce, delle “vongole nostrane” (vongole veraci). Fu allora che le Autorità competenti decisero di “seminare” un tipo diverso di vongola, ma non tanto per offrire dei “vantaggi” ai pescatori, quanto per risolvere alcune problematiche quali la proliferazione di alghe e l’inquinamento in costante aumento. Decisero quindi di “seminare” la “vongola filippinara” (vongola filippina) che venne lanciata dagli elicotteri, in modo sistematico, su tutta la laguna. Furono “gettati” in acqua milioni di esemplari senza che nessuno potesse immaginare che quel tipo di vongola si sarebbe adattata molto bene, trovando nella laguna di Venezia il suo” habitat” perfetto. E fu così che

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nel giro di un paio d’anni tutta la laguna fu invasa da questo nuovo tipo di vongola. Allora io e altri pescatori, di fronte all’imponente “crescita numerica” di questo nuovo mollusco, decidemmo di pescarla e commercializzarla. Constatammo che la “vongola filippinara” assomigliava a quella nostrana, sia per il colore – anche se con rigature più marcate –, sia per la grandezza e la forma. Era solo più grossa e più tonda. Nel giro di due anni verificammo che la nuova vongola diveniva adulta con una velocità tripla rispetto a quella nostrana. Inoltre questa vongola non si nascondeva sotto quindici centimetri di fango come quella nostrana, ma rimaneva appena poco sotto il primo esile strato di fango. La nuova vongola faceva anche concorrenza al “pissotto” (vongola simile alla nostrana, ma con un guscio molto liscio e rigature quasi invisibili). Il pissotto è un mollusco sensibile all’inquinamento, perché molto delicato, e questa sua debolezza l’ha quasi portato all’estinzione. Il suo sapore “delizioso” ne fece il mollusco più usato e ricercato per il famoso “risotto alle vongole “. Il fatto che questa fragile vongola morisse significava che qualcosa non andava nell’acqua; nulla a che vedere, dunque, con la vongola fi-

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lippina, che era invece molto forte e in grado di filtrare quasi tutti gli organismi in acqua senza problemi. Con la forte presenza in laguna della vongola “filippinara”, iniziò l’era dei “ solanti” (vengono definiti così tutti i pescatori di vongole veraci) provenienti soprattutto da Chioggia e dalle isole limitrofe. Purtroppo, tutti, anche i pescatori professionisti, cominciarono a raccogliere in modo “selvaggio” queste vongole che, pur riproducendosi in grandissime quantità, prima o poi sarebbero scomparse. Solo chi vive della pesca sa che tutto in laguna ha un suo ciclo: i pesci, i molluschi, la flora acquatica. E sa anche che i cicli di abbondanza sono sempre seguiti da cicli di scarsità. Ecco, questa fantastica vongola venne sfruttata non solo da pescatori professionisti, ma da tutti, dilettanti e persone che lavoravano alle dipendenze del comune e della Provincia di Venezia, e che ben conoscevano i limiti e le regole restrittive della pesca in laguna. I pescatori professionisti vengono sempre accusati di rovinare la laguna, ma in realtà sono quelli che più di tutti tutelano il proprio ambiente; perché sanno bene che, se non lo si rispetta con le pause necessarie alla riproduzione delle

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specie, non ci sarà futuro per nessuno, incluse le nuove generazioni di pescatori. Chiediamoci dunque perché “solo noi” veniamo accusati di sfruttamento! Siamo non più di duemila a lavorare in acque interne e marittime, mentre sono migliaia i possessori di licenze di pesca sportiva. Questi ultimi non vengono mai controllati e fanno volumi di pescato ben maggiori di quanto ne facciano i pescatori di professione; che oltretutto sono svantaggiati da leggi e burocrazie alle quali debbono attenersi scrupolosamente. Chi della pesca ha fatto una professione ha di diritto “sfruttato” il magico momento del boom della raccolta delle vongole. Però tutti sappiamo bene che sempre, dopo i periodi di “grassa”, ci sono periodi di “magra” – durante i quali le Autorità non danno alcun sostegno ai pescatori professionisti. Al contrario chi pesca per sport, questi problemi non li ha e per questo dovrebbe venire messo in condizione, da chi di competenza, di non depauperare il patrimonio ittico di laguna; non sarebbe così difficile, basterebbe l’applicazione di limiti severi e ben precisi.

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Il turismo di massa invade la laguna di Venezia. L’inizio delle bonifiche dell’area di Marghera

Negli anni Novanta l’isola di Burano subì una svolta importante con l’incremento del turismo e con la conseguente crescita delle attività di pesca. Nella nostra piccola e fragile isola iniziarono ad arrivare continue ondate di turisti da tutto il mondo; le prime conseguenze furono che sia i pescatori che i ristoratori e i negozianti (incluse le merlettaie) ricevettero grandi benefici economici dalle aumentate richieste di pescato, dai servizi e dalle merci in vendita nei negozi (soprattutto merletti e simili). Ciò accadeva in tutto l’arcipelago lagunare, con Venezia in prima linea ovviamente. I traghetti che collegavano Venezia con le isole divennero sempre più affollati e frequenti, e questo aumento impressionante di turisti iniziò a causare gravi e negativi mutamenti nell’equilibrio dell’ecosistema lagunare.

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Si iniziò a parlare del famoso “Mose”, che avrebbe dovuto salvare non solo Venezia dall’acqua alta, ma anche Burano con le sue belle case colorate e tutte le altre splendide isole della laguna. Purtroppo devo dire che il 2019 è iniziato da tempo, ma ancora tutti siamo in attesa di questo “miracolo”. Non ho mai veramente capito perché tutti vogliono salvare Venezia, almeno a parole, ma poi nessuno lo faccia davvero. Solo buoni propositi e progetti lasciati a metà; nel frattempo l’acqua alta continua a insidiare la città e la laguna, con tutte le meraviglie in esse contenute, patrimonio dell’umanità. Voglio sottolineare con rammarico che nessuna autorità responsabile della salvaguardia di Venezia e della laguna, isole comprese, ha mai chiesto consigli o suggerimenti a noi pescatori professionisti. Noi “vecchi – vecchi come le piramidi d’Egitto” –, cresciuti sperimentando sulla propria pelle i mille cambiamenti della laguna, e sempre cercando di rispettarla e tutelarla per poter continuare il nostro lavoro di pescatori, non siamo mai stati interpellati da nessuno. E questo dispiace perché siamo profondi conoscitori dell’ambiente lagunare; da sempre siamo presenti e dunque abbiamo vissuto tutti

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i cambiamenti che riguardano la vita dei pesci, dei molluschi e delle alghe, dello stato delle “barene” e dei canali, cosi importanti per il flusso delle maree. Dagli anni ’90 in poi la laguna venne presa d’assalto da numerose imbarcazioni di tutti i tipi che determinarono il problema del “moto ondoso” – da cui la “corrosione” sistematica delle barene… e non solo. Giorno dopo giorno ho visto con grande dispiacere e sconcerto la mia laguna messa sempre più in pericolo. In quegli anni bui, comunque, si aprì uno spiraglio di luce: “lo smantellamento di Marghera” – con tutte le sue inquinanti fabbriche e ciminiere. Venne avviata anche la bonifica delle zone più vicine alle fabbriche, eliminando i fanghi inquinati, venne dato finalmente ossigeno alle acque lagunari interrompendo il ciclo di inquinamento di aria e acqua. Si misero in funzione nuovi depuratori che velocizzarono il processo di “disinquinamento”. Ora posso dire che in quelle aree qualcosa è “veramente” cambiato in meglio, e ringrazio Dio perché finalmente la coscienza ecologica sta prendendo piede nel nostro paese. Finalmente l’acqua della laguna è molto più pulita; con enorme gioia ho potuto verificare que-

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sto progressivo miglioramento, che, per quanto parziale, ha reso possibile il ritorno in laguna di molte specie di pesci e molluschi, scomparsi da anni proprio a causa dell’inquinamento. Questo ritorno ad acque pulite e ripopolate do­vrebbe renderci tutti lieti e fiduciosi nel futuro; felici soprattutto del fatto che l’ecologia sembra poter finalmente rivendicare un’assoluta priorità rispetto al business.

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Alcune riflessioni mentre pulisco e rammendo le reti dopo la pesca

Molte volte, mentre mi trovo a Burano dopo le battute di pesca, intento a pulire le reti, si avvicinano delle persone – tra le quali molti turisti in visita di Burano –, che, evidentemente incuriosite, mi chiedono i nomi dei pesci che ho pescato, i prezzi di vendita e soprattutto dove si possa mangiare del pesce fresco nei ristoranti locali. Per me è una gioia poter dare loro delle indicazioni utili; suggerendo i ristoranti dove si cucina il nostro ottimo pesce. Talvolta, a chi mi interpella, do anche alcuni consigli “culinari”. Ad esempio suggerisco loro di mangiare un semplice cefalo; che, per quanto considerato un pesce di poco pregio, se cotto come si deve, è un ottimo piatto da gustare e anche poco costoso. Quando la pesca è particolarmente abbondante, mi piace regalare il mio pescato ad amici o

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conoscenti; e mi dà un’enorme gioia e una grande soddisfazione ricevere i loro ringraziamenti per il pesce donato e poi cucinato con maestria dalle nostre abili cuoche di Burano.

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Il branzino re del mare e della laguna. Il pesce novello. Come calare e salpare le reti

Negli ultimi venti anni della mia vita ho aumentato giorno dopo giorno le conoscenze su tutti i pesci che riesco a catturare; ho migliorato la capacità di identificare i luoghi dove i pesci si muovono o preferiscono raggrupparsi in cerca di cibo. In modo particolare, ho studiato a fondo il branzino; una specie che regna sovrana in laguna. Un pesce vorace, furbo, veloce e molto apprezzato per la bontà della sua carne. Quando, verso la metà di novembre, ma anche prima, il branzino femmina sente il bisogno di andare a deporre le uova in mare, esce dalla laguna di Venezia e nuota al largo della costa per almeno una decina di miglia marine, fino a quando depone le uova che verranno poi fecondate dai maschi. Dopo circa quaranta giorni il branzino torna in laguna e vi rimane fino alla stagione successiva.

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Merita sottolineare che, talvolta, alcuni branzini provenienti da luoghi del nord Adriatico entrano in laguna anche nei mesi caldi – in agosto, ad esempio. Il Branzino preferisce bazzicare acque basse, dove può trovare più facilmente il cibo che costituisce la sua dieta preferita; fatta appunto di prelibate “moeche” (granchi che fanno la muta due volte l’anno), di “schille” (piccoli gamberetti) e di “cefali otregani” (cefali gustosi con evidenti macchie color oro vicino alle branchie). I branzini si nutrono anche di “scorbole” (piccoli crostacei) e di vermetti, che pullulano nei fondali più o meno melmosi, ma ricchi di tutte le sostanze nutrizionali che solo la laguna può generare con le sue acque mischiate, sempre insieme dolci e salate. Il Branzino può arrivare a pesare più di 10 kg, anche se molto raramente, oggigiorno, si riescono a catturare prede di simili dimensioni, a causa della pesca intensiva e selvaggia dei “pescatori cosiddetti sportivi”. Noi pescatori professionisti non catturiamo mai… dico mai!!!… branzini al di sotto dei quattrocento grammi! Contrariamente ai “pescatori sportivi”, che non rispettano alcuna regola, noi liberiamo tutte le prede inferiori ai quattrocento grammi di peso, per preservarne la specie.

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Solo comportandoci in questo modo, potremo attendere, fiduciosi, la nuova stagione, quando i branzini avranno le dimensioni perfette per essere pescati e commercializzati. Ribadisco che i “pescatori sportivi” non rispettano questo principio della taglia e del peso minimo, e, con il famoso “star lai” o con il “gig”, pescano frequentemente anche gli avannotti del branzino. Non so per quanto tempo ancora questo pesce stupendo, dalle squame color argento, abbellite da macchie nere, possa sopravvivere nella nostra laguna; per quanto si tratti di un pesce che possiede una forza combattiva eccezionale. Il fatto è che dovremmo tutti tutelarlo e proteggerlo, e soprattutto dovremmo evitare di pescarlo da novembre a fine gennaio – i mesi durante i quali le femmine depositano le uova che vengono poi fecondate dai maschi per dare vita a una nuova generazione di avannotti. Con l’esperienza maturata negli anni di pesca professionale ho sempre mantenuto vivo il desiderio di continuare a fare bene questo lavoro. Ho acquisito nel tempo una forma di telepatia che mi permette di “sentire” dove si trova il pesce e di sapere come catturarlo. Naturalmente, come tanti pescatori di mestiere, ho i miei segre-

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ti… ma non li posso certo raccontare. Preferisco tenerli per me sino a quando troverò qualche giovane pescatore veramente appassionato, al quale trasmettere il mio bagaglio di esperienze; un giovane che voglia intraprendere questo lavoro con la stessa passione che io ho ancora viva nel cuore e nel sangue dopo ben trentacinque anni di attività.

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Metodi di pesca in laguna

Per pescare in laguna e ottenere buoni risultati con le reti a tramaglio e a barracuda è molto importante, anzitutto, osservare le maree e le fasi lunari. Negli ultimi anni ho assistito non solo a un “importante” aumento delle orate, ma anche alla ricomparsa di altri ottimi pesci, come la marmora, la passera e il corbello. Le reti a “tramaglio” e a “barracuda”, solitamente, vengono usate in laguna per pescare branzini, orate e cefali. Tutte e due le reti possono venire adoperate sia da galleggio che da fondo. La rete a barracuda ha una sola parete, mentre il tramaglio ha tre pareti: quella centrale e altre due esterne, con maglie molto ampie da cm 20x20 che permettono di catturare solo pesci di grossa taglia, anche da 10 kg.

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Il barracuda, invece, ha una sola parete con maglia non superiore a trentasei millimetri, che permette di selezionare la dimensione del pescato in modo da preservare la riproduzione delle varie specie.

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Come calare le reti in mare

Con grazia e maestria, noi pescatori professionisti gettiamo le reti mentre procediamo in avanti con la barca. La rete si adagia così dolcemente nel mare e in laguna fino ad arrivare a toccare il fondo. Il luogo in cui calare le reti lo selezioniamo in base a una lunga esperienza, che ci ha insegnato dove il pesce predilige recarsi. Purtroppo, i repentini cambiamenti climatici di questi ultimi anni hanno molto influito sulle abitudini dei pesci, che si sono dovuti anch’essi adeguare, cambiando le zone nelle quali normalmente si muovono per nutrirsi e riprodursi. E anche noi pescatori abbiamo dovuto fare lo stesso, modificando le nostre strategie di pesca. Una volta calate le reti, passiamo due volte con una “zavorra” (corda con legato un peso, op-

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pure una catena di ferro) nelle vicinanze della rete; in questo modo il pesce si spaventa ed entra nella rete che viene poi prontamente salpata. Le due operazioni, calare e salpare le reti, durano nel complesso una ventina di minuti. Queste “calate” vengono ripetute diverse volte durante le maree, che nella laguna cambiano per ben quattro volte al giorno. Due volte la marea viene dal mare e altre due volte invece ritorna al mare. Questo ogni sei ore, con delle differenze di altezza del livello del mare anche di un metro, soprattutto nei giorni di luna piena. Nei giorni di cambio di luna abbiamo la possibilità di pescare molto di più, perché le maree sono molto più lente (ogni quindici giorni e con la luna in quarto).

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Il pesce novello

Ho dei bellissimi ricordi di quando, a quindici anni, andavo a pescare il “pesce novello” (avannotti di orata); era veramente divertente pescare le piccole orate, mentre, a banchi compatti, facevano ritorno in laguna – la loro zona preferita per nutrirsi e crescere di dimensione e di peso. Pescavo, allora, queste orate appena nate purtroppo in modeste quantità, ma anche se le prede erano poche, quello che vendevo valeva sul mercato sino a 1200 lire per singolo avannotto. Gli allevatori di orate delle valli ne ordinavano e acquistavano quante potevano trovarne in quei momenti sul mercato, per poi “seminarle” nei loro allevamenti. Dopo averle cresciute e nutrite per tre o quattro anni, e dopo averle portate al giusto peso e alla giusta dimensione, le rivendevano a prezzi particolarmente remunerativi.

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Per istinto, l’orata nata in mare aperto entra in laguna, in quanto luogo riparato, e cresce nel giro di quattro mesi di circa cento grammi, per poi uscire nuovamente in mare aperto e proseguire il suo viaggio fino alle coste dell’Albania e della Croazia; solitamente, le orate sopra i cinquecento grammi non rientrano (o comunque lo fanno raramente) in laguna. I pescatori di mestiere, nei mesi della pesca del “pesce novello”, speravano di portarsi a casa molti soldi, immaginandosi e augurandosi generose catture, ma non sempre andava così. Eravamo troppo numerosi in laguna e tutti desiderosi di riempire le reti, ma con più di cento imbarcazioni quali “Sandali”, “Tope” e “Caorline” (tipiche imbarcazioni veneziane), quasi tutte a remi, era non solo difficile, ma molto faticoso e improbabile realizzare una ricca “giornata” di pesca. Poi, agli inizi del 2000, avvenne la svolta, e si iniziarono a fare ottime battute di pesca, soprattutto di “pesce novello”, catturando anche fortunosamente migliaia di “orate da semina” (avannotti da vendere alle Valli da pesca). Logicamente, con una maggiore offerta sul mercato, il prezzo del “novellame” era cambiato; e variava tra i cinquanta euro ai centoventi

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euro per ogni mille avannotti di orata venduti. Con queste vendite alle Valli non solo guadagnavamo bene, ma incentivavamo il ripopolamento delle orate nella nostra laguna perché, quando si arrivava al sovrappopolamento dei pesci in allevamento, i proprietari riversavano in laguna le eccedenze. Questo per mantenere le orate sane e ben nutrite. E quindi noi, di riflesso, potevamo pescare ancora le orate che ritornavano in laguna; orate anche dal peso di cinquecento grammi. La pesca delle orate era molto remunerativa e potevamo pescare orate da maggio fino alla metà di ottobre; e in questo lasso di tempo il pescato, davvero abbondante, ci dava la possibilità di vivere abbastanza bene. Vendevamo al mercato ittico di Venezia questi ottimi pesci a prezzi che ci davano un buon margine di guadagno, avendo come cooperativa ben due postazioni di vendita. Come sempre, però, anche in questo caso c’era un rovescio della medaglia. Con la presenza di così tante orate in laguna, le altre specie di pesci, come la mormora e il branzino, iniziarono a scarseggiare, sino quasi a scomparire. Poiché le orate vivono in gruppo e, per sfamarsi, mangiano voracemente di tutto – cozze, ricci di mare,

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vongole e gamberi –, lasciano pochissimo cibo agli altri pesci, che cercano necessariamente altre zone dove nutrirsi e vivere.

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La laguna, la sua vita, la sua fauna. Curiosi modi di pescare

Anche altri modi di pescare stanno purtroppo scomparendo nella nostra laguna. Noi pescatori di mestiere ricordiamo quando, negli anni Ottanta, si catturavano grossi quantitativi di pesce con la Seraggia (rete da pesca per basso fondale) praticata con “bragotto” e “batarella”. Un altro modo di pescare era quello fatto con una canna di bambù, alla quale veniva attaccata una rete trasparente (questo modo di pescare, ormai, è scomparso). Si riuscivano allora a prendere moltissimi cefali e di ogni specie, quali “otregano”, “causteo”, “verzelata”, “volpina” e altri che non sto a elencare. Si pescava nelle acque basse con le famose “Caorline”. Si circondavano e si catturavano grossi banchi di pesce con questa rete a maglia fine, attaccata alle canne di bambù e lunga cinquecento metri.

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Con le “seraggie” si pescavano quintali di anguille, “passere” e “aquatelle” (piccolo pesce argentato); queste ultime sono ormai quasi scomparse e vengono catturate in una percentuale massima del 20% sul totale di quanto si riesce oggi a catturare in una battuta di pesca. Così come alcuni pesci non si vedono più in laguna, anche le “giamere” (alga piuttosto grossa e rigida), gli “strighi” e altri tipi di alga sono ormai scomparsi. E non solo i pesci e le alghe, ma anche la selvaggina è diventata sempre più rara in laguna. Negli anni Ottanta il germano reale la faceva da padrone, insieme ad altre specie, come “sarsegne” (piccola anatra selvatica), folaghe, moretti (altra piccola anatra di laguna), oche e altri uccelli. Con il cambiamento dell’ecosistema della laguna, purtroppo, queste specie sono sempre meno presenti. Avvenimento bello e altamente positivo è stato invece l’arrivo, in questi ultimi dieci anni, di centinaia di fenicotteri rosa – uno spettacolo fantastico, visibile a pochi minuti di barca da Burano, soprattutto al tramonto nelle giornate fredde invernali. Il sole che tramonta con i suoi fantastici colori e il rosa dei fenicotteri adagiati sull’acqua sono uno spettacolo da non perdere,

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e quando mi capita di poterlo vedere, rimango sempre affascinato come la prima volta. Una meraviglia di paesaggio, cosi surreale e bello che auguro a tutti di poterlo ammirare almeno una volta nella vita. Qualche piccolo segnale di ricrescita di “strigo” si inizia a notare in qualche area della laguna, ma noi pescatori professionisti siamo sempre timorosi e riluttanti a credere che possa durare. Dentro di noi speriamo che questo cenno di ricrescita non svanisca nel nulla, perché sappiamo che basta poco per capovolgere di nuovo la situazione. Per le barene scomparse invece è diverso; esse non potranno più tornare come prima. Cercheremo comunque, e con ogni mezzo, di tutelare quello che di bello e di buono, della laguna, è rimasto in vita. Fanno attualmente parte della nostra cooperativa centoventi pescatori professionisti che, tutti insieme, già da diversi anni combattono e cercano di migliorare la situazione in laguna. Questo costa tanta fatica, ma di certo non molleremo, perché siamo abituati a combattere, come abbiamo combattuto per tutte le attività di pesca e turismo avviate in questi ultimi anni.

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Vogliamo far capire a tutti coloro che amano la laguna come quest’ultima vada protetta, affinché si possa continuare a godere delle sue meraviglie. Vogliamo mostrare come si pratica la vera pesca professionale; l’unica che riesce a tenere in equilibrio la presenza di tutte le varie specie di pesci. Certo, questo nostro modo di lavorare non porterà grandi introiti, ma noi accettiamo anche di guadagnare meno, purché si possa continuare a sperare in un futuro migliore, con meno inquinamento e maggior ricrescita di fauna e flora lagunare. Solo con noi, “figli della laguna”, il progetto “pesca e turismo” può funzionare e venire vissuto anche da altre persone, tutti i giorni, con grande amore e semplicità. L’unico rammarico è che chi ci governa e avrebbe il compito di definire le regole che riguardano la laguna non tiene mai conto dell’opinione dei pescatori, che la conoscono meglio di chiunque altro, e che, per trecentosessantacinque giorni l’anno, hanno modo di sperimentare i continui cambiamenti, positivi e negativi, dell’ecosistema.

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Le tartarughe sono finalmente tornate in laguna. Il turismo selvaggio a Burano

Sono finalmente rientrate in laguna le tartarughe “caretta caretta”, che ogni anno sono sempre più numerose, belle ed eleganti. Ne ho viste molte spuntare dall’acqua per riprendere fiato nel centro del canale di San Felice – il canale principale che unisce Burano al mare. In queste acque trovano la loro dieta preferita, formata da meduse di varie specie che, di anno in anno, sono presenti in quantità sempre maggiori. Le tartarughe escono dall’acqua per respirare, e sembrano quasi volerci avvisare che anche loro esistono e vivono in Laguna. Quando le avvisto, e le vedo nuotare e respirare sulla superficie dell’acqua, spero sempre che le barche che sfrecciano a forte velocità non finiscano per investirle, ferirle o magari anche ucciderle. Io, da pescatore professionista, ho sempre lo sguardo attento e rivolto verso il mare e la lagu-

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na, in costante ricerca di pesci e uccelli, con la speranza costante di avvistare alcune specie mai viste in precedenza. Questo mio attento scrutare intorno, mentre mi reco a pescare, è un fatto naturale, istintivo; ed ho una gran paura che non solo le tartarughe, ma anche molte altre creature, non siano attualmente abbastanza protette dalla maleducazione e dalla superficialità di chi pilota le numerose imbarcazioni che oggi affollano le nostre splendide acque. Questa gente sembra navigare non in acque da proteggere, ma su un’autostrada. Sovente si tratta di persone che arrivano da fuori Burano, e che non conoscono alcunché della nostra laguna e dei suoi delicatissimi equilibri. Mi auguro che presto vengano effettuati maggiori e più rigorosi controlli per tutelare non solo le nostre acque ma anche le meravigliose creature che le abitano. La recente ed esagerata “invasione di turisti” non sempre giova e neppure gioverà alla nostra piccola isola di Burano. Il turismo “selvaggio”, mi spiace dirlo, ci ha già obbligato a modificare lo stile di vita e le antiche abitudini. Inoltre, col trascorrere degli anni, nuovi regolamenti di ogni tipo hanno complicato la vita quotidiana di noi buranelli.

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Per esempio, noi eravamo abituati a lasciare le porte di casa aperte, arrostivamo il pesce appena pescato fuori dalle nostre abitazioni, nei nostri campielli. Ci conoscevamo tutti e ci sentivamo parte di una felice e semplice comunità. La vita in isola era sempre un “ far festa” tutti insieme, in ogni occasione. Purtroppo, adesso, arrostire il pesce fuori di casa, all’aperto, non è più consentito. Lo stesso dicasi della tradizione che ci ha sempre visti dipingere le nostre casette con colori diversi e vivaci a seconda dei gusti o delle tradizioni di famiglia. Il tutto a causa dei nuovi regolamenti. Però è un vero peccato che, con queste proibizioni, le nostre tradizioni piano piano rischino di scomparire e che, in futuro, possa rimanere assai poco dell’antico stile di vita della nostra amata isola di Burano.

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Pesca del caparossolo con scorso fin

Negli anni Novanta mio padre, andando alla ricerca delle vongole veraci in alcune zone della laguna nord, scoprì una discreta quantità di “caparossoli con scorso fin” (tipo di vongola dal guscio molto delicato). Ricordo che faceva molto freddo e la marea era particolarmente bassa, e lo vidi arrivare a casa con un’espressione che di solito usava quando la pesca era stata proficua. Ripose il cesto davanti a me, pieno di queste vongole delle quali avevo sentito molto parlare, ma che non avevo mai pescato. Dal quel giorno non pensai ad altro che ad apprendere il metodo giusto per pescare questa prelibatezza. Col tempo capii anzitutto che queste vongole si potevano pescare solo in determinate aree della laguna, e solo su fondali molto fangosi a circa 50 cm sotto il letto di fango. Per pescarle, bisognava far entrare con maestria la

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mano scavando un buco di circa 50 cm e poi raccogliere le vongole lateralmente con movimento a cucchiaio per evitare di romperle. Questa vongola ha un guscio molto sottile e delicato, e per questa particolarità viene chiamata in dialetto buranello “caparossolo con scorso fin”. Imparai velocemente da mio padre il metodo di pesca di questa fantastica vongola, tanto che alla fine le pescavo solo in un braccio d’acqua, senza vedere i buchi ma orientandomi seguendo i tunnel creati dalla vongola stessa. Fu questo il periodo in cui acquisii una buona tecnica di pesca della vongola “caparossola”, ed ero entusiasta delle mie capacità, tanto che col tempo mi sembrava di averla sempre esercitata con successo. Poi, nel giro di qualche mese, la gente dell’isola, scoprendo i nostri successi di pesca, volle imitarci e iniziò così un “via vai” in laguna di persone che le pescavano in continuazione, senza sosta. Ovviamente, come per la pesca di ogni altro genere, quando le catture vengono fatte in modo troppo intensivo, si arriva in breve tempo a esaurire le risorse presenti in laguna. Infatti, nel giro di un paio d’anni, anche il “caparossolo” scomparve e non si riuscì più a pe-

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scarlo, e la gente se ne dimenticò, come spesso succede a chi non fa della pesca una ragione di vita e una professione per mantenere la famiglia. Io, che sono appassionato e innamorato del mio lavoro e della laguna, ho sempre continuato a cercarla, questa vongola fantastica, e finalmente l’ho ritrovata e di nuovo pescata. Ma spesso mi chiedo sino a quando questo “caparossolo con scorso fin” avrà la forza di sopravvivere. Posso affermare senza peccare di presunzione che pescarlo con questa tecnica è molto difficile, e che dunque solo dei bravi pescatori possono farlo; per questa ragione ho buone speranze per il futuro, e controllerò sempre con grande attenzione il suo stato di crescita, per poter dire ancora a tutti che questo splendido mollusco non si sta ancora una volta estinguendo.

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I racconti di mio nonno pescatore

Quando penso a lui non posso trattenermi dal sorridere. Mio nonno si chiamava Romano ed era un uomo semplice, piccolo di statura, a prima vista normalissimo, che possedeva, però, delle doti fisiche non comuni. Aveva una forza e una resistenza alla fatica davvero incredibili. Poteva rimanere in apnea sott’acqua per ben tre o quattro minuti, riuscendo, senza emergere, a bere del vino da un fiasco (ancora mi chiedo come potesse fare una simile prodezza). Era un grande pescatore e sapeva catturare le anguille e altri pesci con le mani, scovandole abilmente nelle loro tane (rifugi). Sapeva esattamente dove trovare i pesci, sia in laguna che nei fiumi Sile e Piave, dove spesso si recava in cerca di grandi prede. In questi fiumi riusciva miracolosamente a pescare pesci molto grossi,

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Lucci giganteschi, Carpe Regine e altre prede anche da 20 kg di peso. Finita la sua battuta di pesca, il nonno andava a vendere il pescato nei paesetti di campagna, in terraferma. Per viaggiare si muoveva a piedi e camminava per giorni e giorni in cerca di piccole frazioni, cascine, casali e casolari isolati dove poter vendere la sua preziosa merce. Nelle sue numerose peregrinazioni in terraferma ebbe modo di conoscere il Conte Marcello, proprietario di una famosa Valle da pesca. Con lui instaurò un bellissimo rapporto di amicizia, che maturò al punto tale che più volte il Conte gli offrì ospitalità a casa sua e gli consegnò persino le chiavi della Valle affinché andasse a gestirla, dipendenti inclusi. Raccontava il nonno che sovente il Conte gli chiedeva di catturare delle anguille molto grosse, anche da 3/4 kg, perché nessuno dei suoi operai sarebbe mai riuscito a pescarle. Accompagnava allora in Valle mio nonno con una piccola “batella da stiopo” (barca a fondo piatto con lunga prua a punta) per vederlo all’opera. Il Conte era sempre vestito di bianco; vestiva abiti di eccellente qualità e fattura, da vero gentleman quale era! Appena mio nonno, dopo essersi immerso, riusciva a catturare con

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le mani queste grosse anguille, nel momento in cui emergeva con la preda stretta tra le dita, la gettava ai piedi del suo amico. Il Conte allora gridava, in preda all’emozione… “Sì, bravo Romano, sono proprio queste le anguille che non riusciamo mai a prendere!… solo tu ci riesci!”. Mio nonno, che era un tremendo birbante, mi ha confidato che si divertiva a sporcare intenzionalmente l’abito del Conte. Infatti, appena risalito in superficie con l’anguilla in mano, la gettava nella barca facendo in modo di schizzare il fango sull’abito del suo nobile amico, al quale non importava nulla di essersi sporcato, tanta era la gioia di vedere prede così grosse. Trascorsi alcuni giorni di pesca in Valle, mio nonno lasciava il suo amico e si metteva di nuovo in cammino, girovagando a zonzo per la terraferma. Lui era “uno spirito libero”, e non voleva assumersi impegni duraturi. Preferiva viaggiare per i vari paesini di campagna a vendere alle famiglie i pesci e le vongole della sua laguna. Voglio raccontare un ultimo simpatico aneddoto di mio nonno Romano. I gondolieri di Venezia, quando perdevano “il ferro della gondola” nei canali, lo chiamavano per recuperarlo dai fondali. Lui era sempre disponibile a immer-

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gersi e a trovarlo, a condizione che i gondolieri gli pagassero qualche “ombra” di buon vino. Talvolta rischiava di venire arrestato dai carabinieri (e qualche volta fu realmente arrestato), perché si tuffava nei canali di Venezia a “volo d’angelo”; questa esibizione spesso la faceva dal ponte della ferrovia, con una tale maestria da riuscire a dare spettacolo ai turisti che erano presenti. Cosi era e cosi viveva a Burano mio nonno Romano, pescatore provetto e spirito libero. Credo di aver ereditato qualcosa da lui, perché anch’io mi sento uno spirito libero, ma soprattutto perché credo di aver ereditato molto anche delle sue incredibili doti e capacità di pesca. Sono assolutamente convinto che la mia famiglia abbia nel sangue la pesca, anche grazie al “DNA” che ci ha trasmesso nonno Romano. Sono orgoglioso di aver scritto questi semplici e modesti racconti, ma soprattutto sono fiero di aver mostrato (sperando di esserci riuscito) come la vita del “pescatore” – almeno, quella vissuta da me e dalla mia famiglia –, possa difficilmente essere imitata; con il medesimo profondo amore e con la stessa inimitabile dedizione.

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Ringraziamenti

Un ringraziamento al professor Massimo Do­ nà, grande amico, che mi ha stimolato a scrivere questi semplici racconti pieni di ricordi della mia vita di pescatore e che ha apportato le ultime correzioni alle bozze. Ringrazio quindi l’amico Gianluca Bisol che, anche lui, mi ha incoraggiato a scriverli e spinto a terminarli, e infine a stamparli. Un grazie speciale, poi, al mio amico Fausto, per il tempo e la pazienza usati nel correggere tutti i piccoli “errori” contenuti nelle bozze, talvolta anche difficili da interpretare. Inestimabile il sostegno morale di mia moglie Fiorenza, che mi ha aiutato in tutte le fasi di questo lavoro. Grazie Fiorenza! Un ringraziamento particolare al fotografo e giornalista sig. Fabrizio Cicconi per aver realizzato parte delle foto del libro.

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Un ringraziamento infine anche alla mia amica fotografa Marta Quintavalle, per aver realizzato le bellissime foto contenute nel mio sito. Concludo, però, con i ringraziamenti alla casa editrice che si è assunta con entusiasmo l’incarico di pubblicare questi miei scritti. E grazie a tutti voi che, con pazienza, e mi auguro anche con piacere, avete letto queste pagine. Il vostro amico Andrea Rossi, Pescatore in Burano

Chi volesse approfondire la conoscenza di Andrea e del suo mondo può visitare il sito: www.torcellobirdwatching.com. E chi invece volesse avere da Andrea qualche ulteriore informazione sulla pesca a Burano, o più in generale sulla laguna e sulla sua storia, può scrivere alla seguente mail: [email protected].

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Una vita esemplare. Andrea Rossi: incanti, passioni e peripezie di un pescatore gentile Postfazione di Massimo Donà

Ascoltare una voce che racconta fa bene, ti toglie dall’astrattezza di quando stai in casa credendo di aver capito qualcosa “in generale”. Si segue una voce, ed è come seguire gli argini di un fiume dove scorre qualcosa che non può essere capito astrattamente. (Gianni Celati, Verso la foce, Feltrinelli, Milano 2002, p. 57)

Potrebbe essere fuoriuscito da uno dei dipinti di Pietro Fragiacomo (pittore nato a Trieste nel 1856 e morto a Venezia nel 1922); magari da “Pescatori nella laguna veneziana” o da una delle tante opere che il pittore triestino volle ambientate in laguna; rendendole capaci di restituire alla perfezione la luce della Venezia nativa – una Venezia povera, di retrovia, antiretorica, ma impregnata degli umori, delle passioni e degli intensi sentimenti di un’esistenza concreta e quotidiana, ma sempre intensamente vissuta.

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Oppure potrebbe nascondersi in una delle tante barene de Buran dipinte da Gino Rossi nei primi decenni del Novecento, intento a pescare i suoi “caparossoli con scorso fin”. Di sicuro, si tratta di una vera e propria “leggenda” nel mondo dei pescatori veneziani. In ogni caso, il migliore, tra quelli della sua coloratissima isola. In verità, potrebbe essere lui stesso un’opera d’arte; scolpito con la potenza di una quotidianità fatta di riti, azioni sempre calibrate, ponderate, ma nello stesso tempo efficaci, e sempre magistralmente capaci di colpire il bersaglio. Una vera e propria icona è comunque la figura che viene splendidamente disegnata da questa breve ma intensa narrazione biografica, dai tratti quasi pittorici e impregnati di rara capacità visionaria. Sì, figura quasi goethiana è quella di Andrea Rossi, che, della sua attività di pescatore, è riuscito a fare un vero e proprio modo per carpire i segreti più profondi della natura; anzitutto di quella che ha cominciato a circondarlo fin dai primi anni di vita. La natura splendidamente incarnata da quelle acque lagunari che lo hanno “iniziato” alla vita, insegnandogli che sarebbe stata tanto più generosa con noi quanto più noi

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fossimo stati in grado di rispettarla, assecondandone i ritmi e le sempre complesse dinamiche biologiche. D’altro canto, è da sempre che Andrea pesca, che osserva i pesci, ne segue le traiettorie, contempla le mille specie di uccelli che sorvolano le acque lagunari (per consentirci di osservare i quali, oggi, ha costruito una bellissima postazione da birdwatching nella campagna di Torcello), e non di rado si abbandona a una vera e propria estasi panica in mezzo alle sue barene, intento a guidare la barca in mezzo ai canali, ai rami e ai ghebbi, assecondandando le loro sghembe geometrie. Ma soprattutto si sforza di “capire”, Andrea; che pur ha smesso di studiare dopo la terza media. Sì, perché egli, in verità, ha sempre studiato. Studiava ogni volta che si apprestava a uscire con la propria barca (con la sua “pattanella” o con il suo “bragosso”), studiava il paesaggio lagunare, le sue acque, la fauna e la flora di quelle meravigliose trasparenze. Mai sazio dell’esperienza accumulata, dei segreti carpiti dal padre (anche lui pescatore); insomma, mai appagato da quel sarebbe ogni volta riuscito ad aggiungere, al proprio bagaglio di conoscenze.

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Sempre affamato di sapere, il nostro pescatore-scrittore ha percorso in lungo e in largo i canali della propria infanzia, ha perlustrato i fondali di quelle acque intriganti e misteriose – mai del tutto salate e mai del tutto dolci –, appuntandone con grande dedizione le continue metamorfosi. Sì, perché Andrea non ha mai amato le astrazioni; da ciò, forse, il suo quasi subitaneo rifiuto della matematica. Non ha mai concepito l’opportunità di studiare prima il metodo, dedicandosi conseguentemente ai contenuti. Non ha mai concepito la separazione tra “teoria” e “prassi”; alla faccia di tanto astratto criticismo. Non avrebbe nessun senso, per lui, studiare una metodologia in forma puramente teorica (per dedicarsi, solo in seguito, all’applicazione pratica di quella stessa metodologia). Il sapere, infatti, lo concepisce sempre come risultato di una “pratica”; insomma, non si capirà mai perché il caparosolo con scorso fin si peschi in quel certo modo, sin tanto che non si immergano le mani nell’acqua della laguna. In queste pagine fortemente poetiche, semplici ma intensissime, veritiere ma insieme capaci di disegnare mondi immaginari che mettono le ali alla fantasia del lettore, Andrea Rossi racconta la propria infanzia, gli anni di apprendistato, e

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infine il proprio lavoro di pescatore professionista. Racconta i sentimenti che ne hanno segnato l’infanzia, l’adolescenza e la maturità. Racconta il senso di una vita vissuta sempre con coraggio, onestà e rigore; racconta il senso di un’importante eredità, di una tradizione e di un mondo che “ai suoi occhi” non può e non deve sparire (anche se il rischio, in questo senso, è sempre più forte). E dunque fa un’opera in ogni caso meritoria; sì, perché anche con queste pagine – sempre sincere, dirette, e intessute finanche di lucidissime analisi del presente –, Andrea contribuisce a tenere vivo un mondo che merita quantomeno di essere ricordato; e che dovremmo tutti insieme impegnarci a non far naufragare a favore di uno sfrenato egoismo e in ragione di una dissennata politica turistica. Certo, Andrea si definisce scrittore “dilettante”; ma non sa, forse, che proprio questa è la sua virtù, ossia la sua arma vincente. E lo si capisce subito, anche dopo aver letto poche pagine di questo volume, che Andrea si sta davvero dilettando; perciò disegna frammenti autobiografici davvero ricchissimi di vissuto, di emozione e di grande verità. E diletta così anche il lettore, che non si aspettava certo di doversi misurare con tanta bellezza d’animo, con tanta purezza di

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cuore e con tanto amore – amore gratuito e incondizionato per tutti coloro con cui Andrea ha condiviso e continua a condividere un percorso di vita che è già di per sé scrittura… o meglio, progressiva messa a punto di un vero e proprio “romanzo di formazione”.

L’Autore

Andrea Rossi, nato a Venezia nel 1967, abitante da sempre nella bellissima e colorata isola di Burano, è pescatore di professione per passione e amore per la laguna; ed è felice di essere riuscito a realizzare questa piccola autobiografia, che si augura troviate divertente e appassionante. Si tratta infatti di una specie di magico viaggio all’interno della laguna. Comunque stiano le cose, una cosa è certa: mi riterrò onorato da tutti coloro che avranno la voglia e la pazienza di leggere questi miei umili racconti; scritti, davvero, con autentica passione e verissimo amore; gli stessi che dedico da quarant’anni al mio lavoro di pescatore e di osservatore attento della bellissima laguna di Venezia. Mi auguro infine che questi piccoli racconti, oltre che divertirvi, e magari anche appassionarvi all’arte della pesca, servano a farvi riflettere su questo bellissimo ma vulnerabile ecosistema. Ancora una volta, dunque, e con tutto il cuore… grazie a tutti!

Indice

Prefazione

p. 9

La mia vita di pescatore nella laguna di Burano

p. 13

Ricordi della mia infanzia. La pesca dei “concoli” con il mio papà

p. 17

La prima barca regalata dal papà. La pesca delle vongole e della cepa e il difficile periodo scolastico

p. 25

La pesca del pesce novello. I cambiamenti dell’ecosistema lagunare e la cooperativa dei pescatori

p. 33

I giorni della mia spensierata giovinezza. La prima barca a motore e l’inquinamento di Marghera

p. 39

Le nuove reti da pesca. Io che comincio a ragionare come un pesce

p. 49

Vongole nostrane e vongole filippine. Il pissotto

p. 53

Il turismo di massa invade la laguna di Venezia. L’inizio delle bonifiche dell’area di Marghera

p. 59

Alcune riflessioni mentre pulisco e rammendo le reti dopo la pesca

p. 65

Il branzino re del mare e della laguna. Il pesce novello. Come calare e salpare le reti

p. 69

Metodi di pesca in laguna

p. 75

Come calare le reti in mare

p. 79

Il pesce novello

p. 83

La laguna, la sua vita, la sua fauna. Curiosi modi di pescare

p. 89

Le tartarughe sono finalmente tornate in laguna. Il turismo selvaggio a Burano

p. 97

Pesca del caparossolo con scorso fin

p. 103

I racconti di mio nonno pescatore

p. 107

Ringraziamenti

p. 113

Una vita esemplare. Andrea Rossi: incanti, passioni e peripezie di un pescatore gentile Postfazione di Massimo Donà

p. 115

Finito di stampare nel mese di aprile 2020 presso Mediagraf SpA - Noventa Padovana printbee.it

Andrea Rossi

GEA Sapere, terra, cibo Mio nonno si chiamava Romano ed era un uomo semplice, piccolo di statura, a prima vista normalissimo, che possedeva, però, delle doti fisiche non comuni. Aveva una forza e una resistenza alla fatica davvero incredibili. Poteva rimanere in apnea sott’acqua per ben tre o quattro minuti, riuscendo, senza emergere, a bere del vino da un fiasco (ancora mi chiedo come potesse fare una simile prodezza). Era un grande pescatore e sapeva catturare le anguille e altri pesci con le mani, scovandole abilmente nelle loro tane (rifugi)…. Credo di aver ereditato qualcosa da lui, perché anch’io mi sento uno spirito libero, ma soprattutto perché credo di aver ereditato molto anche delle sue incredibili doti e capacità di pesca. Sono assolutamente convinto che la mia famiglia abbia nel sangue la pesca, anche grazie al “DNA” che ci ha trasmesso nonno Romano.

ISBN ebook 9788855290920

€ 6,00