Raccontare e rappresentare le lingue e lo spazio: L'esperienza dell'Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) 3515118713, 9783515118712

La Dialettologia Percettiva, disciplina che si occupa dello studio delle opinioni dei parlanti sulle varietà di lingua,

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German Pages 315 [322] Year 2017

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PREFAZIONE
INDICE
INTRODUZIONE
1. MODELLI COSTRUZIONISTI E INTERAZIONALI PER UN ATLANTE DELLA PERCEZIONE
1.1 UN ATLANTE DELLA PERCEZIONE
1.2 PLURIDIMENSIONALITÀ E VARIABILI NELL’ ALS
2. DIALETTOLOGIA PERCETTIVA: MODELLI COGNITIVI E DELLA COSTRUZIONE SOCIALE
2.1 LA SVOLTA COGNITIVA NELLO STUDIO DELLE OPINIONI DEI PARLANTI
2.2 UN MODELLO COSTRUZIONISTA PER LE INTERAZIONI METALINGUISTICHE ALS
2.3 UN MODELLO SOCIO-CULTURALE-INTERAZIONISTA UTILE ALLA DP
3. DIALETTOLOGIA PERCETTIVA E ATTEGGIAMENTI
3.1 PER UNA DEFINIZIONE DI ATTEGGIAMENTO ‘UTILE’ ALLA DIALETTOLOGIA PERCETTIVA
3.2 ATTEGGIAMENTI E DIALETTOLOGIA PERCETTIVA
3.3. OGGETTO DI ATTEGGIAMENTO: DISSOLUZIONE O COSTRUZIONE?
3.4. CONTRADDITTORIETÀ DEL PARLANTE E IDEOLOGIA
4. CONSAPEVOLEZZA E NON CONSAPEVOLEZZA NELLE INTERAZIONI METALINGUISTICHE
4.1 INPUT E OUTPUT NELLE ELICITAZIONI METALINGUISTICHE ALS
4.2. UN MODELLO COGNITIVO PER I DIVERSI LIVELLI DI CONSAPEVOLEZZA DEGLI ATTEGGIAMENTI
4.3 CONSAPEVOLEZZA/NON CONSAPEVOLEZZA NEGLI STUDI METALINGUISTICI
5. SALIENZE, STEREOTIPI: LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI SPAZI FISICI, SOCIALI E DI LINGUA
5.1. CONTATTO E FATTORI DI SALIENZA LINGUISTICI E NON LINGUISTICI
5.2 DALL’ATTEGGIAMENTO ALLO STEREOTIPO PASSANDO PER LA SALIENZA
5.3 IDEOLOGIA, RAPPRESENTAZIONE, IMMAGINE E STEREOTIPO
6. CATEGORIE, DICOTOMIE, IDEOLOGIA, SPAZI
6.1 PER UNA DEFINIZIONE DI ‘CATEGORIA CONTINUA
6.2 LE CATEGORIE CONTINUE PER L’INTERPRETAZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI OPPOSITIVE ALS
6. 3 LA QUALITÀ DIATOPICA DELLE DICOTOMIE: LO SPAZIO AVVICINATO
6.4 DICOTOMIZZARE L’IDEOLOGIA
6.5 IDEOLOGIA LINGUISTICA DI PRIMO LIVELLO
6.6 IL MODELLO GENERALE DELLE INTERAZIONI METALINGUISTICHE ALS
6.7 ALCUNE PAROLE CONCLUSIVE SU STEREOTIPO E ATTEGGIAMENTO
6.8 DICOTOMIE DEITTICHE INTERAZIONALI. SCHEDE DI ANALISI DI ESEMPLARI DEL CORPUS
7. SPAZIO VISSUTO
7.1 IL PROBLEMA DELLE VARIABILI. LO SPAZIO VISSUTO
7.2 SPAZIO VISSUTO E MOBILITÀ, DINAMICITÀ, DIATOPIA
7.3 I MODI DELLO SPAZIO
7.4 VICINO E LONTANO: LA TRATTATIVA SULLO SPAZIO
7.5 ISOGLOSSE DELLA PRODUZIONE E PRATICHE LINGUISTICHE: IL CONFINE CONDIVISO E CO-COSTRUITO
7.6 IL PRINCIPIO GENERALE DEI TRATTI SALIENTI SOVRAPPOSTI
8. I DATI QUANTITATIVI NELLA DIMENSIONE METALINGUISTICA
8.1 QUALITÀ E QUANTITÀ NEI MODELLI DI ANALISI E INTERPRETAZIONE
8.2 DAL PARLATO DELL’INFORMATORE AL RAPPRESENTATO DEL LINGUISTA
8.3 I TRATTI DELLA DIFFERENZA LINGUISTICA. DATI QUANTITATIVI E SALIENZE NEI LIVELLI LINGUISTICI
9. BIBLIOGRAFIA
APPENDICI
APPENDICI: CARTE
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Raccontare e rappresentare le lingue e lo spazio: L'esperienza dell'Atlante Linguistico della Sicilia (ALS)
 3515118713, 9783515118712

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vincenzo pinello

Raccontare e rappresentare le lingue e lo spazio L’esperienza dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS ) Romanistik Franz Steiner Verlag

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spazi comunicativi kommunikative räume

Vincenzo Pinello Raccontare e rappresentare le lingue e lo spazio

spazi comunicativi kommunikative räume Herausgegeben von Roland Bauer, Sabina Canobbio, Mari D’Agostino und Thomas Krefeld Band 15

vincenzo pinello

Raccontare e rappresentare le lingue e lo spazio L’esperienza dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS )

Franz Steiner Verlag

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek: Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über abrufbar. Dieses Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist unzulässig und strafbar. © Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2017 Druck: Hubert & Co., Göttingen Gedruckt auf säurefreiem, alterungsbeständigem Papier. Printed in Germany. ISBN 978-3-515-11871-2 (Print) ISBN 978-3-515-11872-9 (E-Book)

PREFAZIONE È passato quasi un quarto di secolo da quando, sotto la mia curatela, veniva dato alle stampe Percorsi di geografia linguistica, il primo di una serie di volumi monografici e/o collettanei (al momento in cui scrivo queste righe sono già cinquanta, pubblicati dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani in coedizione con il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo), in collane che fanno capo al progetto dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS). A questi volumi, per così dire, “ufficiali”, vanno poi aggiunte le decine di saggi pubblicati in altre prestigiose sedi (italiane e estere) che usano la grande quantità di materiali prodotti in questi anni dal gruppo di ricerca dell’ALS. La bella monografia di Vincenzo Pinello, che ho qui il piacere di presentare, costituisce uno dei fiori all’occhiello di questa ininterrotta attività di ricerca. La collana “Spazi comunicativi”, animata in particolare da Thomas Krefeld, aveva peraltro già ospitato negli anni passati un volume in cui Giuseppe Paternostro, basandosi su dati ALS, discuteva la relazione fra discorso, interazione e identità. Nel presente volume, Pinello si occupa, con grande competenza analitica e sicuro controllo dell’apparato teorico di riferimento, di un tema la cui importanza è testimoniata dal fatto che esso ha portato alla formazione di un vero e proprio ambito disciplinare, se non autonomo, certamente complementare alla dialettologia e alla sociolinguistica: la dialettologia/linguistica percettiva (o percezionale, per dirla con l’amico Tullio Telmon). Questo particolare approccio ai nostri studi ha avuto il grande merito di avere reso giustizia alla figura alla quale tutti coloro i quali si occupano di ricerca linguistica sul campo devono la stessa ragion d’essere del proprio lavoro: il parlante. Ad esso, come ci ricordano i Maestri delle nostre discipline, la ricerca deve tutto, senza che esso debba nulla alla ricerca. Il parlante ha rappresentato e rappresenta un pilastro ineliminabile dell’impianto progettuale dell’ALS. Fra i non pochi meriti del volume di Pinello, vi è quello di aver reso espliciti i fondamenti teorici sui quali tale pilastro si regge. L’Autore compie il suo percorso a partire dalla dimensione spaziale della variazione, centro focale della geografia linguistica e della dialettologia. Tale dimensione è illuminata dalla particolare prospettiva delle rappresentazioni mentali dello spazio e delle lingue, rappresentazioni che si nutrono di esperienze fattuali, ma anche di stereotipi e pregiudizi. Uno spazio che è “vissuto”, ma è anche, direi, “manipolato” dai discorsi che i parlanti fanno su di esso. Mi si perdonerà se indulgo qui all’autocitazione, ma ne sono costretto dall’Autore stesso, il quale, bontà sua, ha voluto presentare il mio studio di una decina di anni or sono sui pregiudizi linguistici dei bambini italiani quale modello analitico al fianco di tanti altri lavori di studiosi ben più ferrati di me in una materia tanto complessa e affascinante, che coinvolge aspetti che non sono stati affrontati solo

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Prefazione

dalla linguistica, ma che hanno ricevuto attenzione anche (soprattutto) dalla psicologia cognitiva e dalla psicologia sociale. Ma il volume di Pinello è pregevole specialmente nel merito, in quanto consegna agli studiosi un modello analitico e interpretativo dei confini spaziali e linguistici a partire da una, in fondo, assai piccola batteria di domande all’interno di un ben più ampio e articolato questionario di tipo geo- e sociolinguistico. L’Autore riesce, infatti, a mettere a sistema la gran mole di dati che tre semplici domande “strutturate” sono state in grado di generare1. Il risultato di questa messa a sistema mostra, fra le altre cose, come sia davvero possibile, in una ricerca condotta su vasta scala, coniugare dato quantitativo e dato qualitativo, movendo dalla semplice constatazione che il dato quantitativo non è altro che una rielaborazione, operata dall’analista, dei singoli dati qualitativi, cioè delle singole, vive voci dei parlanti, del loro sapere, delle loro esperienze di vita, delle rappresentazioni discorsive di tali esperienze. Peraltro, è appena il caso di notare che questa preoccupazione di tenere insieme il micro- e il macro era già presente in nuce nelle riflessioni degli autori delle grandi imprese atlantistiche del Novecento. Basti solo spulciare quella straordinaria miniera costituita dai verbali di inchiesta dell’Atlante Linguistico-etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (AIS), o leggere le illuminanti pagine scritte da Benvenuto Terracini sul sentimento linguistico del parlante, o, ancora, quelle di Corrado Grassi sul comportamento delle “fonti” delle inchieste dialettologiche e geolinguistiche. In realtà, quello fra quantità e qualità non è il solo felice connubio che è possibile ritrovare nel volume. Almeno altri due sono, infatti, gli aspetti degni di nota. Il primo è la capacità di coniugare e confrontare il dato linguistico con quello epilinguistico, o, detto altrimenti, di far interagire prospettiva etica e prospettiva emica. Il secondo riguarda una questione solo apparentemente tecnica, ma che in realtà nasconde non poche implicazioni teoriche. Mi riferisco alla rappresentazione cartografica che correda il volume. Una cartografia innovativa e assai efficace nella sua forza rappresentazionale, che si è giovata dell’apporto di professionalità estranee agli studi linguistici. Quale fondatore dell’ALS mi corre l’obbligo qui di ringraziare Antonio D’Argenio e Andrea Borruso, esperti in cartografia informatizzata, a cui si devono le carte del volume. Quella dell’apertura ad ambiti disciplinari e professionali estranei alla linguistica è, a mio avviso, uno dei punti di forza dell’ALS, tanto più in una fase, come quella attuale, nella quale si tende a privilegiare le chiusure entro rigidi steccati disciplinari. Troppo spesso si parla della necessità di rinnovare strumenti e metodi delle discipline linguistiche di campo. E, troppo spesso, tali affermazioni sono rimaste pure enunciazioni di principio, che si sono limitate a constatare la condizione di 1

Le riporto qui per la prima volta, dato che il lettore se le ritroverà come filo conduttore di tutto il volume: «Lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla nel Suo paese/città e il siciliano che si parla nei paesi/città vicini?»; «Saprebbe dirmi per quali paesi specialmente Lei nota delle differenze?»; «Saprebbe indicarmi qualche particolarità (pronunzia, parole, espressioni) che non è usata nel dialetto del Suo paese/città ed è invece tipica del dialetto di qualche paese/città vicino?».

Prefazione

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crisi di queste discipline. Lavori come quelli di Vincenzo Pinello credo vadano, invece, nella giusta direzione, che è quella di coniugare tradizione e innovazione, riuscendo ad aprire piste di ricerca degne di essere percorse.

Giovanni Ruffino

INDICE

Prefazione…………………………………………………….......................

5

Introduzione ………………………………………………...........................

13

1. 1.1 1.1.1 1.1.2 1.1.2.1 1.2 1.2.1 2. 2.1 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 2.1.5 2.2 2.2.1 2.2.2 2.3 2.3.1 2.3.2 2.3.3 3. 3.1 3.1.1 3.2 3.2.1 3.2.1.1 3.2.2

Modelli costruzionisti ed interazionali per un atlante della percezione………………………………………………………............ Un Atlante della percezione............................................................ Qualità e quantità per etichettare il parlante siciliano ………........ Un modello atlantistico italoromanzo: l’ALS...…………………... Un modello globale di interazione e costruzione del dato............. Pluridimensionalità e variabili nell’ALS…….................................. L’ALS e lo studio delle opinioni dei parlanti……………………...

21 21 22 24 25 30 31

Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale……………………………………………………………. La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti............ Atteggiamenti e credenze nei due triangoli della DP....................... Il ‘quadrato’ della DP....................................................................... Language Regard............................................................................ Un modello connessionista per le interazioni metalinguistiche ALS…….. Riunioni e opposizioni nella rappresentazione linguistica.............. Un modello costruzionista per le interazioni metalinguistiche ALS… Costruzione narrativa e relazione.................................................... La questione oggettivista................................................................ Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP.................. La costruzione interazionale delle storie e delle rappresentazioni……... Dato reale e processo sociale.......................................................... La costruzione negoziata del ‘riscatto’ e del ‘riconoscimento’……...

35 35 36 39 42 43 47 50 50 54 55 56 57 58

Dialettologia percettiva e atteggiamenti......................................... Per una definizione di atteggiamento ‘utile’ alla dialettologia percettiva........................................................................................ La proprietà relazionale interna dell’atteggiamento....................... Atteggiamenti e dialettologia percettiva......................................... La non necessaria stabilità degli atteggiamenti.............................. L’atteggiamento instabile della ‘nuova’ psicologia sociale............ Contesto di discorso e oggetto di atteggiamento nella Discourse

67 67 70 73 75 77

10

3.3 3.4 3.4.1 3.4.2 3.4.3 4. 4.1 4.1.1 4.1.2 4.1.3 4.1.3.1 4.2 4.3 4.3.1 4.3.2 4.3.3 4.3.4 4.3.5 4.3.6 5. 5.1 5.1.1 5.1.2 5.1.3 5.2 5.2.1 5.3 5.3.1 5.3.2 5.3.3 5.3.4 5.3.4.1 5.3.4.2

Indice

Analysis........................................................................................... Oggetto di atteggiamento: dissoluzione o costruzione?.................. Contraddittorietà del parlante e ideologia....................................... Motivazioni cognitive di incoerenza e contraddittorietà................ Le contraddittorietà del parlante. Sei raccomandazioni in forma di ragionamento………………………………………………….. Incoerenze/non-incoerenze alla prova dei parlanti ALS: un altro case study................................................................................ Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche……………………………………………………. Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS.................... Imitazione globale e locale............................................................. Percezione distinta vs. percezione olistica? Il modello Gestalt...... L’elicitazione dei dati. Concetti e percezioni fra consapevolezza e non consapevolezza...................................................................... La tassonomia della Language Regard........................................... Un modello cognitivo per i diversi livelli di consapevolezza degli atteggiamenti................................................................................... Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici…. Consapevolezza sociale e consapevolezza dei saperi..................... Indizi da “costruire”........................................................................ Stereotipo e consapevolezza nella (socio)linguistica del contatto e nella psicologia sociale................................................................ Consapevolezza sociale e globale a confronto................................ Livelli di non consapevolezza dello stereotipo. Un caso dal corpus ALS........................................................................................... L’ambiente cognitivo nelle relazioni di consapevolezza/non consapevolezza dello stereotipo linguistico......................................... Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua.............................................................................................................. Contatto e fattori di salienza linguistici e non linguistici............... Contatto e salienza nel repertorio siciliano..................................... Un modello di salienza ALS a partire dalla linguistica del contatto La salienza ‘relazionale’................................................................. Dall’atteggiamento allo stereotipo passando per la salienza.......... Profilo del pregiudizio.................................................................... Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo..................... Lo statuto rappresentazionale dello stereotipo............................... Lo stereotipo tra sapere linguistico e atti enunciativi..................... Lo stereotipo e il suo rapporto con la realtà................................... La referenza costruita..................................................................... Stereotipi e linee dei linguisti: l’affricata post-alveolare in Sicilia Dinamiche d’area e fattori di salienza: il blasone “ciavi”………..

79 84 86 87 88 99 105 105 106 108 113 114 121 125 126 128 130 133 136 139 141 141 143 146 147 149 150 150 152 153 157 157 159 161

Indice

11

5.3.4.3

Stereotipo del prestigio, stereotipo dello stigma.............................

162

6. 6.1 6.1.1

Categorie, dicotomie, ideologia, spazi………................................ Per una definizione di ‘categoria continua’……………………… Qualità e quantità, in forma di rappresentazione e in bocca di parlante…………………………………………………..................... Oltre il principio di appartenenza/non appartenenza: condivisioni e fratture di comunità…………………………………………….. La teoria dei prototipi. Una prima lista per un apparato utile per la DP e la definizione di categoria continua……………………… Somiglianze di famiglia, relazioni di rete, analogia……………... L’uomo categorizzante e l’attività linguistica di categorizzazione……… Le “semantic fringe areas” nell’elicitazione dei dati e nella “social life”………………………………………………………… Le categorie continue per l’interpretazione delle rappresentazioni oppositive ALS……………………………………………………........ Gli ‘spazi’ dicotomizzati ALS: definizione……………….……… Due potenti super-stereotipi comunitari…………….…………… Lo spazio/territorio: i tipi dicotomici……………………………. Variazione diatopica?..................................................................... La qualità diatopica delle dicotomie: lo spazio avvicinato………. Gli altri ‘prototipi’ dello spazio………………………………….. Il sentimento della diacronia……………………………………... Dicotomizzare l’ideologia……………………………………....... I tratti ‘linguistici’ dell’opposizione ‘sociale’……………………. Ideologia, lingua e dipendenza dal contesto……………………... Ancora dentro i testi………………….……….……….…………. Il sentimento della lingua e la lealtà sociale…………………....... Le dicotomie deittiche……………………………………………. La deissi dentro il discorso interazionale. Alcuni esempi……………. Ideologia linguistica di primo livello…………………………….. Il modello generale delle interazioni metalinguistiche ALS…........ Alcune parole conclusive su stereotipo e atteggiamento………… Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus…………………………………………........................

165 165

Spazio vissuto …………………………………………………… Il problema delle variabili. Lo spazio vissuto……………………. Spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia………………….. Incontri e spazialità discorsive. Lo spazio vissuto fattore di salienza extra-linguistico…………………………………………… Gli incontri interazionali…………………………………………. Rappresentazione dello spazio vissuto…………………………… Classificazione funzionale dello spazio vissuto………………….. I modi dello spazio………………………………………………..

227 227 228

6.1.2 6.1.3 6.1.4 6.1.5 6.1.5.1 6.2 6.2.1 6.2.2 6.2.3 6.2.4 6. 3 6.3.1 6.3.1.1 6.4 6.4.1 6.4.2 6.4.3 6.4.4 6.4.5 6.4.5.1 6.5 6.6 6.7 6.8 7. 7.1 7.2 7.2.1 7.2.2 7.2.3 7.2.4 7.3

165 165 168 170 172 175 177 178 180 184 186 188 189 191 191 194 196 197 199 205 206 207 209 212 216

230 234 236 239 241

12 7.4 7.5

Indice

Vicino e lontano: la trattativa sullo spazio……………………….. Isoglosse della produzione e pratiche linguistiche: il confine condiviso e co-costruito………………………………………….. Il principio generale dei tratti salienti sovrapposti………………..

252

I dati quantitativi nella dimensione metalinguistica……………... Qualità e quantità nei modelli di analisi e interpretazione……….. Dal parlato dell’informatore al rappresentato del linguista……… I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici………………………………………………….. La salienza del lessico……………………………………………. Le salienze lessicali dal punto di vista cognitivo, ideologico e linguistico-strutturale……………………………………………..

265 265 265

Bibliografia…………………………………………………………………. Appendici…………………………………………………………………… Appendici: Carte…………………………………………………………….

281 I VIII

7.6 8. 8.1 8.2 8.3 8.3.1 8.3.2

258 261

270 275 277

INTRODUZIONE Negli ultimi anni gli studi sulle opinioni dei parlanti sulle varietà di lingua hanno dedicato una crescente attenzione ai cosiddetti processi cognitivi. Il terreno per interessi di questo tipo all’interno delle diverse scuole di dialettologia percettiva, soggettiva o percezionale, Folk Linguistics, Perceptual Dialectology, etc., appare oggi quanto mai fertile. Il motivo non è soltanto nell’oggetto d’indagine, il quale facendo riferimento, in una delimitazione alquanto ampia, a tutto ciò che il parlante pensa della lingua e le sue varietà, coinvolge direttamente il campo delle valutazioni, e quindi gli atteggiamenti, e quindi la psicologia sociale, disciplina che se ne occupa direttamente. Un’ulteriore spinta all’interesse per l’universo della cognizione infatti proviene dall’aver attribuito preciso statuto epistemico a tutto quanto accade intorno al parlante. Infatti, dirigendo lo sguardo sulla realtà ‘esterna’, gli studiosi sono stati spinti a considerare quanto di questa e in quale forma ritornasse indietro, raggiungendo la sua dimensione mentale o ‘interna’, influenzando competenza e ideologia linguistica; concorrendo, quindi, a determinare tutto quanto i parlanti pensano della lingua e delle sue varietà. Il rapporto tra la dimensione ‘dentro’ il parlante e ‘fuori’ o intorno il parlante, argomento oggi molto vivo nelle riflessioni della dialettologia percettiva (DP), è stato forse l’impulso più decisivo in direzione del connubio tra scienze del linguaggio in genere, e delle opinioni dei parlanti in particolare, e scienze cognitive. L’interesse crescente della DP per il mondo della cognizione è quindi il risultato di motivazioni interne, inscritte nei propri oggetti d’indagine, e di spinte dall’esterno. Tale area di ricerca, ancora assai magmatica, lascia intravedere comunque alcune interessanti linee di direzione, alcune delle quali si è deciso di percorre nel momento in cui abbiamo ragionato sull’analisi e l’interpretazione di una sezione di dati dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) che rilevano la differenza linguistica percepita e raccontata dagli informatori. Il punto di partenza e di arrivo di questa ricerca è comunque la lingua nei livelli descrittivi e nelle dimensioni di diasistema. Infatti, sottolineare l’importanza della componente cognitiva per le scienze del linguaggio e per la DP in particolare, comporta allo stesso tempo valorizzare i fatti di lingua che, in definitiva, interessano il parlante sotto due aspetti: quello dei comportamenti linguistici e quello delle opinioni su di essi. Utilizziamo il concetto di “lingua” seguendo l’approccio variazionale e gli studi che si occupano delle dinamiche di repertorio dove ne viene sottolineato il carattere sistemico, pluridimensionale e relazionale. Organismo complesso di tipo strutturale e sociale espresso da funzioni pragmatiche nei luoghi del suo farsi interazione, chiama in causa i concetti di parlante e di spazio, per come si è via via verificato in trenta anni di studi e indagini sul campo del gruppo di ricerca ALS. Lingua, parlanti,

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Introduzione

spazio, sono quindi i tre elementi fondanti di un macro-modello di analisi e interpretazione espresso in forme più o meno esplicite nei modelli specifici che saranno presentati nel corpo del lavoro. Dello statuto teorico dell’universo lingua abbiamo già detto. I parlanti sono i depositari per eccellenza della funzione deittica ed esprimono in senso stretto e nel modo più proprio le attività di ancoraggio tra lingua e spazio. Il quale ultimo, espunto dalla semplice dimensione della distanza, si ispessisce in forme e modalità cognitive. In questo apparato teorico si innestano i processi ideologici e le procedure identitarie, le stereotipizzazioni, i confronti e le dispute interazionali sui confini, le trattative sulle lingue, sugli spazi, sulle distanze. Del resto, quando ci siamo riferiti alle relazioni dinamiche tra dimensione interna ed esterna ai fini di un apparato teorico ed operativo a servire l’indagine sulle opinioni dei parlanti, allo stesso tempo si poneva in evidenza anche il ruolo delle componenti ideologiche ed identitarie nei processi di costruzione e produzione linguistica. In tale ambito, il principale problema riscontrato in sede di analisi dei dati ha riguardato l’individuazione delle caratteristiche che consentono di attribuire status di variabili ad atteggiamenti e comportamenti linguistici (opinioni, valori, commenti, caricature, etc.), pena la deriva nel sociologismo stucchevole. Questa esigenza può essere adempiuta solo garantendo al dato linguistico e ai correlati ideologici e identitari la sua naturale posizione all’interno dei discorsi interazionali, sulla falsariga tracciata dalla Discourse Analysis. Per la verità, oltre che una perorazione di principio operata dal ricercatore con deduzione tutto sommato non problematica, l’esigenza di rivolgere uno sguardo attento alle narrazioni estese e alle dinamiche interazionali raccoglitore/informatore è risultata iscritta nei dati. Infatti, come più volte illustreremo, la somministrazione di stimoli da parte del raccoglitore con richieste puntuali all’informatore, più che ottenere elenchi di paesi e di fenomeni linguistici, è diventata il punto d’inizio di un discorso interazionale co-costruito dai due attori dell’intervista, in cui il dato linguistico risulta associato, con modalità diverse, ai vissuti esperienziali, alle forme di rappresentazione dello spazio, ai sentimenti di vicinanza e distanza sia fisica che cognitiva. È diventata, cioè, il luogo della costruzione e del racconto delle storie di vita degli informatori. Ovviamente anche queste ultime sono entrate nel focus della ricerca, esigendo la precisa individuazione dei livelli sociali e di quelli linguistici. A questo proposito, agli elementi che hanno a che fare con la lingua pur non essendo propriamente lingua (fattori extra-linguistici: demografici, pragmatici, geo-territoriali, ideologici, identitari), abbiamo assegnato la funzione di variabili funzionalmente collegate alle opinioni dei parlanti sulle differenze linguistiche distribuite nella spazialità cognitiva; tutte quante, con diverso grado di concorrenza nelle differenti situazioni interazionali, costituiscono la ‘salienza sociale’ così definita in forza di un modello che la pone in diretta relazione alla salienza linguistica. Poche altre parole vanno spese sulla vocazione interdisciplinare della ricerca che abbiamo condotto. Eravamo consapevoli che chiamare a raccolta teorie e metodi della psicologia sociale, settore di ricerca tanto articolato al suo e ramificato in diversi altri settori, avrebbe comportato accogliere anche questi ultimi nel nostro perimetro di indagine (certo con prudenza), perlomeno per quegli aspetti a noi più

Introduzione

15

contigui (la psicologia della gestalt, la filosofia della rappresentazione, la teoria dei prototipi, l’antropologia della vita quotidiana, etc.). Al centro dei modelli qui solo appena richiamati, dei quadri teorici accennati, dei connubi e delle felici contaminazioni prospettate, abbiamo sempre posto la lingua, nella doppia articolazione di comportamento linguistico e di opinione su tale comportamento, cosa che ha comportato una approfondita analisi dei fatti di lingua in tutti i suoi livelli classici: lessicale e semantico; fonetico e fonologico; morfosintattico e sintattico; soprasegmentale e prosodico. La prima parte libro è più strettamente teorica (capitoli da 1 a 3), la seconda più di analisi e interpretazione dei dati. Tuttavia, lo sfondo teorico e l’applicazione metodologica e di analisi sono compenetrati in ogni parte del volume. Nel primo capitolo, dopo aver definito i capisaldi dell’atlantistica percezionale (§§ 1.1- 1.1.1), illustriamo i principi teorici a cui fa riferimento l’Atlante Linguistico della Sicilia, altamente sensibili alla pluridimensionalità delle variabili e all’approccio che integra diasistema e variazione in diatopia e (§ 1.1.2). La seconda parte del capitolo illustra gli strumenti d’indagine (campione e questionario) e l’ampia rete di rilevamento articolata in punti e micro-aree, persistendo nella definizione dei quadri teorici di riferimento, molti dei quali di carattere endogeno, quindi elaborati e perfezionati all’interno del gruppo ALS (§ 1.2-1.2.1). Ne è un esempio il modello globale dell’interazione (§ 1.1.2.1) che esplicita la negoziazione all’interno delle procedure di raccolta del dato. Nel capitolo 2 diamo conto della svolta operata nello studio delle opinioni dei parlanti soprattutto ad opera di Dennis Preston, svolta che coincide con la pronunciata attenzione per strumenti e metodi della neo psicologia sociale. Dopo quella stagione, il cui periodo più fertile è grosso modo collocabile tra la metà e la fine del primo decennio del 2000, la DP risulta completamente rinnovata, un processo che continua ancora oggi. Lo stesso Preston rivede il suo secondo “triangolo” (il modello descrittivo della Folk Linguistics) mediante una più accentuata sottolineatura delle relazioni tra realtà interna e realtà esterna, la prima attraverso la teoria della natura relazionale degli atteggiamenti, l’altra con la descrizione accurata del ruolo esercitato dalle condizioni di elicitazione o contesto intervista (chiamiamo ‘quadrato della DP’ questo nuovo modello). La fase di rinnovamento coinvolge anche la denominazione del settore per il quale Preston propone la macro etichetta Language Regard che include Folk Linguistics e Language Attitude Study (§§ 2.1-2.1.3). L’ampio portato teorico definito in questa dinamica fase di innovazione ha costituito la nostra base per qualificare gli atti linguistici determinatisi nell’intervista come elementi di un discorso interazionale e, in senso, stretto, essi stessi discorsi interazionali. Nella seconda parte del capitolo i contenuti teorici descritti sono esplicitati per la definizione di due modelli che utilizziamo per l’interpretazione dei dati metalinguistici ALS: il primo, di natura connessionista derivato dalla teoria sui network cognitivi molto in auge nella recente psicologia sociale (§ 2.1.4, §§ 2.1.5); l’altro, di scuola costruzionista (descritto in § 2.3.3), muove dall’applicazione delle teorie di Kenneth Gergen che Niedzielski ha effettuato per l’area di Detroit (§§ 2.3.1, 2.3.2). In un’ampia sezione di questo capitolo proviamo ad individuare alcuni strumenti del costruzionismo sociale che possano fungere per un verso da solido

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Introduzione

sostrato teorico sul quale fondare modelli operativi di interpretazione, per altro verso da stimolante territorio entro cui rinvenire sollecitazioni per ulteriori applicazioni in DP (§§ 2.2-2.2.2). Con il capitolo 3 proviamo a dotarci di una teoria degli atteggiamenti “utile” alla dialettologia percettiva, “relazionale” e “interna”, capace cioè di dare conto della pluralità delle dimensioni sociali e del loro stare in relazione con il mondo, con i fatti cognitivi e mentali. Allo stesso modo, dato che le opinioni sono anche il riflesso delle strutture della società, gli atteggiamenti non sono entità stabili e monolitiche, ma costituenti di un continuum dentro il quale, oltre alla dimensione del giudizio, orbitano le componenti affettive e quelle comportamentali (§§ 3.13.2.1.1). L’argomento dell’individuazione degli oggetti di atteggiamento nelle interazioni linguistiche quotidiane è affrontato attingendo agli strumenti analitici della Discourse Analysis (o psicologia sociale cognitiva) secondo la quale variabilità e instabilità degli atteggiamenti sono dati di fatto riscontrabili nei discorsi ordinari della gente, restituiti dall’indagine nella forma di elementi discorsivi estesi (§§ 3.2.2, 3.3). In tale territorio di ricerca si colloca il problematico argomento della “contraddittorietà del parlante” in merito alle opinioni sui fatti di lingua. La teoria degli atteggiamenti, le indagini sull’ideologia linguistica all’interno del contatto italiano/dialetto maturate in contesto italoromanzo, le teorie della costruzione e dell’interazione, lo stesso ‘quadrato di Preston’ e l’analisi di un case study del corpus ALS, ci saranno utili per interrogarci se non sia opportuno parlare di diversi livelli di consapevolezza invece che di incoerenza (§§ 3.4-3.4.3). L’argomento del quarto capitolo è proprio il rapporto tra consapevolezza e non consapevolezza, nelle interazioni ordinarie del tempo di vita quotidiana ma anche nell’evento eccezionale della raccolta del dato (da § 4.1 a § 4.1.1 descriviamo le linee generale del tema). Le relazioni di consapevolezza/non consapevolezza saranno osservate da due prospettive: a) oggetto di atteggiamento; b) oggetto di elicitazione del dato. I modelli della psicologia sociale concorreranno a definire il punto a) (§ 4.2); col punto b) illustreremo la tassonomia della Language Regard di Preston (§§ 4.1.3, 4.1.3.1) per distinguere i metodi di raccolta del dato che somministrano direttamente agli informatori le etichette linguistiche, da quelli che non lo fanno; e i metodi che contemplano esplicita richiesta di informazioni sul linguaggio, da quelli che invece la dissimulano. Tuttavia, crediamo che l’argomento consapevolezza/non consapevolezza sia stato sottovalutato nella dialettologia percettiva italoromanza, al cui interno però vanno isolate proposte di definizione e classificazione davvero stimolanti (in § 4.3.2 presentiamo il modello di Neri Binazzi su dati raccolti in area toscana) che metteremo a confronto con il modello di consapevolezza sociale utilizzato da Labov per la campagna di rilevamenti sugli atteggiamenti linguistici a New York City e con quello di consapevolezza globale proposto da Dennis Preston (§ 4.3.4) Nell’ultima parte del capitolo (§§ 4.3.5, 4.3.6) proponiamo una revisione critica della teoria della compresenza di consapevolezza da un lato e stereotipo (e salienza)

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dall’altro, asserita dalla linguistica del contatto ma anche da larghe fette della Perceptual Dialectology e illustreremo in che senso e con quali modalità dai nostri dati sembrerebbe emergere una posizione diversa Nel quinto capitolo i dati linguistici, ovvero i tratti della differenza, saranno considerati come realtà esterna caratterizzata da proprietà che la rendono capace di farsi notare. Nella linguistica del contatto, in dialettologia percettiva e in Perceptual Dialectology, tali proprietà definiscono la nozione di “salienza” a cui presteremo particolare attenzione nel paragrafo 5.1. A partire dai modelli del contatto e del cambio, sarà proposta una griglia di fattori linguistici, linguistici esterni, non linguistici, pragmatici, interazionali e demografici per l’interpretazione delle salienze nel corpus ALS (§§ 5.1.2, 5.1.3). Approfondiremo poi il concetto di stereotipo (modalità rappresentazionale che caratterizza fortemente il corpus metalinguistico ALS) in relazione alla salienza (§§ 5.2-5.3.4). A questo fine daremo conto dei principali studi sulla stereotipizzazione focalizzando soprattutto l’universo lingua; in particolare, ci soffermeremo su uno dei principali modelli elaborati dalla sociolinguistica francese che ruota attorno al concetto di représentations (§ 5.3) e sulla proposta di Krefeld e Pustka che pone a confronto i processi di categorizzazione linguistica con atti enunciativi e saperi linguistici (§ 5.3.2). Fondamentale per la DP e soprattutto per l’interpretazione dei dati è risolvere il problema della presunta stabilità dei processi di categorizzazione e quello dei rapporti dello stereotipo con un ‘vero oggettivo linguistico’. Quanto al primo, proveremo a definire la qualità dello stereotipo che lo fa allo stesso tempo forma di rappresentazione stabile ma anche oggetto di negoziazione interazionale votato alla ricollocazione (5.3.4). Discuteremo il secondo aspetto con l’analisi di un case study ALS anche con l’ausilio di due rappresentazione cartografiche (Carte 2 e 3) . Infatti, i dati su un tratto a forte rischio di stereotipizzazione (l’affricata post-alveolare) rilevato in due aree della Sicilia, suggeriscono riflessioni su diversi aspetti: rapporto tra confini dei linguisti e confini dei parlanti; incidenza della variabile sociale in presenza di tratti ad elevata esposizione ai processi di stereotipizzazione; criticità e complessità delle relazioni tra prestigio e stigma all’interno di una comunità linguistica (§§ 5.3.4.1-5.3.4.3). Il capitolo 6 è dedicato alle specifiche modalità di rappresentazione degli elementi linguistici ed extra-linguistici emersi dall’analisi del corpus: dicotomie oppositive o interazionali (§§ 6.2-6.4.51); ideologia linguistica di primo livello, priva dell’ancoraggio spaziale (§ 6.5); opposizione lessicale ‘italiano vs. dialetto’ (ne parleremo al § 8.3.1 in sede di analisi quanti-qualitativa dei dati). Le dicotomie, rilevate nel corpus con significativa incidenza, si presentano all’interno del discorso interazionale nella forma-matrice di ‘super-stereotipo italiano vs. dialetto’, declinata in opposizioni che investono i livelli interrelati della lingua (es.: io parlo italiano vs. gli altri parlano dialetto), della spazialità pragmatico-cognitiva (es.: città di mare vs. paesi di montagna), dello status sociale (es.: progrediti vs. non progrediti). (§ 6.2-6.2.2). Per disegnare questa architettura utilizzeremo anche le classificazioni emerse nel fondamentale studio sul pregiudizio linguistico condotto in Italia da Giovanni Ruffino (§ 6.2.3). Difatti, l’associazione tra le tre modalità di opposizione elencate sopra rende ipertrofica la carica ideologica della dicotomia e ne motiva il profilo nitidamente pragmatico. La Carta concettuale

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della variazione diatopica delle dicotomie interazionali (Carta 4), pensata per rappresentare la quantità dei ‘flussi dicotomici’ dai centri che dicotomizzano verso i centri bersaglio, rende esplicito lo stretto collegamento tra ideologia, qualità dello spazio e lingua, in quanto i flussi più consistenti muovono quasi esclusivamente dai centri dinamici e colpiscono i paesi caratterizzati da recessione socio-economica. In sostanza, le dicotomie si presentano come nuclei concettuali a forte valenza ideologica e nell’analisi sfuggono alle tipologizzazioni della spazialità fisica investendo quindi la funzione cognitiva della rappresentazione spaziale (§ 6.2.4). A tal proposito, vengono definiti i tre prototipi dello spazio individuati nel corpus: spazio avvicinato, tipico delle dicotomie (§ 6.3); saperi ideologici, modalità rappresentazionale caratterizzata da elevata astrazione dalla dimensione dello spazio geografico-fisico; spazio vissuto, (§ 6.3.1) al quale dedicheremo specifica trattazione nell’intero capitolo 7. All’interno del prototipo spazio-cognitivo dello spazio avvicinato abbiamo individuato e classificato le non rare attività di ancoraggio deittico prodotte dagli informatori. Esse, individuate e interpretate nel discorso interazionale e dettagliate analiticamente nelle componenti linguistiche, spazio-cognitive, pragmatiche, assolvono a basilari funzioni di ‘discernimento’ spaziale, in particolare di: ‘orientamento cognitivo’, con il fine di dare coerenza testuale all’indicazione dei luoghi e dei tratti linguistici; ‘ancoraggio al contesto reale’, sia extra-linguistico che linguistico (§§ 6.4.5, 6.4.5.1). Tutte queste proprietà emergono con nettezza nelle schede di analisi delle dicotomie deittiche proposte al § 6.8. Tuttavia, la natura della dicotomia e le proprietà che la caratterizzano, pongono alcuni problemi di ordine teorico: a) la rappresentazione dicotomica della realtà è una forma di categorizzazione in apparenza molto rigida, in quanto separa il mondo in sottocategorie duali con confini molto precisi. Tali condizioni mettono a rischio pluralità e complessità dei flussi delle ‘storie’ che rappresentano e raccontano il mondo e i vissuti degli informatori; b) stabilità, negoziazione ed eventualmente ricollocazione dei nuclei ideologici sono processi difficilmente interpretabili con le sole variabili classiche della sociolinguistica e della dialettologia; c) così come lo sono le risposte degli informatori, le quali, lo ricordiamo, più che elenchi di paesi e tratti linguistici della differenza univocamente correlabili a variabili, sono discorsi narrativi costruiti nei momenti interazionali. Nella prima parte del capitolo introduttiva alle ‘dicotomie ALS’ (§§ 6.1-6.1.5.1) abbiamo provato a risolvere queste criticità, giungendo alla definizione di un costrutto di ‘categoria’ utile ai nostri dati. Con il contributo della semantica referenziale di Labov, la teoria dei prototipi di Rosch e le ipotesi di psicologi del sociale e cognitivisti, filosofi, antropologi, linguisti, che negli ultimi decenni si sono interrogati sulla natura dei confini delle categorie, diremo che il processo di categorizzazione dicotomica e metalinguistica va interpretato con categorie fuzzy, disomogenee, ad attributi sovrapposti. Tutte le sollecitazioni proposte nel capitolo confluiranno nel modello generale delle storie ALS (§ 6.6). Lo spazio vissuto, modalità rappresentazionale prototipica dei fatti di lingua, occupa l’intero capitolo 7. La nostra trattazione stabilisce come punto di orientamento la definizione che ne ha dato Mari D’Agostino come insieme di “immagini

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mentali” connotate sul versante dell’affettività (ne abbiamo dato ampio conto al § 6.3.1). Tratteremo del rapporto dello spazio vissuto con le altre variabili soffermandoci in particolare sulla mobilità personale, sulla dinamicità socio-economica del centro, sulla diatopia (§§ 7.1, 7.2). Ci interrogheremo sulle relazioni con la salienza (§ 7.2.1). Definiremo e classificheremo infine gli ‘incontri’ interazionali quali generatori di spazio vissuto (§ 7.2.2). Queste componenti, di natura sia teorica che metodologica, concorreranno, nel terreno dell’analisi dei dati, ad una classificazione funzionale dello spazio vissuto (§7.2.3), nella dimensione dei discorsi estesi di parlato, all’individuazione di quattro modalità interazionali (§ 7.3). Il luogo-intervista emerge ancora una volta come il contesto strategico nel quale rilevare e misurare i rapporti tra lingua e dinamiche extra-linguistiche di tipo pragmatico e cognitivo. Ne è un importante esempio la ‘trattativa’ tra raccoglitore e informatore sulla qualità dello “spazio” oggetto dell’intervista (§ 7.4). L’incidenza dello spazio vissuto nell’intero corpus è rappresentata attraverso le carte 5 e 6. Costruite con metodi quantitativi riescono a presentare un quadro generale della qualità della rappresentazione metalinguistica. La Carta delle densità delle rappresentazioni metalinguistiche (Carta 5) utilizza addensamenti di spazio vissuto determinate da soglie di incidenza. La Carta delle linee di spessore delle rappresentazioni metalinguistiche (Carta 6) la quale rispetto alla precedente dettaglia i centri da cui muovono le indicazioni, è stata edificata con una metodologia cartografica molto diffusa nei primi studi di DP (§ 7.2.3). Nella parte conclusiva del capitolo ragioniamo ancora sulle relazioni tra confini individuati dai linguisti e confini dei parlanti, relativi sia alle pratiche che alle rappresentazioni linguistiche. Infine, i dati sulla percezione/rappresentazione linguistica espressa attraverso le varianti locali per ‘bambino, ragazzo’, rappresentati nella Carta 7 (§ 7.5), sono il punto di partenza per la proposta del ‘principio generale dei tratti salienti sovrapposti’: più il tratto è saliente, con maggiore probabilità la collocazione di chi lo osserva coinciderà con gli usi reali e i dati scientifici. Molti dei modelli cui ci siamo riferiti saranno via via messi a confronto con i dati del corpus, infatti nel corso della trattazione, dai testi interazionali emergeranno le tipologie rappresentazionali socio-spazio-cognitive dei nostri informatori. Questo indice ragionato si conclude con la sintesi dei contenuti dell’ottavo ed ultimo capitolo nel quale presentiamo i dati quantitativi. In effetti, il puro dato quantitativo è inserito in un approccio quanti-qualitativo mirante a trovare l’equilibrio tra le due dimensioni di analisi (§ 8.1). Nella prima parte del capitolo diamo conto dell’architettura rappresentazionale dei dati e degli strumenti metodologici ALS elaborati con la collaborazione del Dipartimento di ingegneria informatica dell’Università di Palermo e in particolare del gruppo di ricerca diretto da Antonio Gentile. In sintesi, la procedura di trattamento dei dati è stata costituita dalle seguenti fasi: interrogazione della banca dati ALS; classificazione per livelli linguistici (soprasegmentale, lessicale, fonetico, etc.) degli item relativi alle tre domande metalinguistiche del questionario; etichettatura con linguaggio di markup XML; progettazione ed effettuazione di query specifiche attraverso il sistema di interrogazione agganciato al data base markup XML. Quest’ultima fase della procedura ci ha consentito

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di effettuare query complesse che hanno messo in relazione i dati linguistici con tutte le variabili del campione. A questo proposito va sottolineato che le trascrizioni fono-ortografiche e conversazionali delle interazioni raccoglitore/informatore sono rappresentazioni narrative; le etichettature in linguaggio XML markup sono rappresentazioni descrittive; i processi e gli strumenti individuati e definiti per il trattamento delle plurime dimensioni qualitative (spazio vissuto, dicotomie, deissi, trattativa sui confini, etc.) sono rappresentazioni interpretative. In teoria, le procedure di interpretazione e descrizione dovrebbero muovere dai discorsi interazionali e giungere agli item descritti da etichette di analisi. La pratica d’indagine ci ha fatto sperimentare come tale ipotesi di lavoro sia velleitaria e tutto sommato non fondata scientificamente. Per superare tale impasse metodologico misureremo lo scarto tra dato interazionale-linguistico e rappresentazione quantitativa e presenteremo la metodologia ALS elaborata specificamente per far dialogare quantità e qualità ai fini di un modello operativo capace di tenere insieme la pluralità degli elementi coinvolti (§ 8.2). A partire dal § 8.3.1 presentiamo i dati quantitativi in termini di incidenza nei livelli individuati: soprasegmentale, lessicale, fonetico, morfologico, morfosintattico. Dal corpus emerge che dopo i tratti riuniti nell’etichetta ‘soprasegmentale’, il lessico è il livello linguistico più saliente. Proporremo una interpretazione di questo fenomeno, descrivendo il ruolo dei fattori linguistici esterni (contatto italiano/dialetto), pragmatici (super-stereotipo italiano vs. dialetto) e cognitivi (ricorrenza del referente) che a nostro avviso concorrono a determinarlo (§§ 8.3.1, 8.3.2). Questo libro ha avuto diverse fasi di redazione e ha seguito per molti aspetti gli sviluppi e i traguardi determinatisi nel gruppo di ricerca ALS perlomeno durante gli ultimi sei anni. Sono prima di tutti grato a Mari D’Agostino: senza il suo esempio, i suoi consigli, la sua guida, oggi non ci sarebbero questa introduzione e questo libro. Giovanni Ruffino, esempio per tutti di scienza e rigore, mi ha donato le pagine che aprono il libro, oltre a tutto quello che so di dialettologia siciliana (e non solo). Con Giuseppe Paternostro, amico e collega della sezione socio-variazionale dell’ALS, ho discusso molto e mai mi ha fatto mancare consigli e sostegno. Grazie a Vito Matranga e Roberto Sottile per i suggerimenti riguardo ai fenomeni fonetici e fono ortografici e alla relativa trascrizione. Luisa Amenta e Marina Castiglione hanno seguito con interesse e partecipazione le fasi del lavoro. Ringrazio inoltre Antonio Dargenio, Andrea Borruso, Carmelo Fazio per la passione e la competenza nella realizzazione di gran parte della cartografia. Il caro Francesco Macaluso ancora una volta è stato preziosissimo. Grazie anche a Thomas Krefeld e Dennis Preston per la grande disponibilità. v.p.

1. MODELLI COSTRUZIONISTI E INTERAZIONALI PER

UN ATLANTE DELLA PERCEZIONE 1.1 UN ATLANTE DELLA PERCEZIONE Lo studio delle opinioni dei parlanti sui fatti di lingua è indagato da molteplici punti di vista corrispondenti a differenti settori e discipline collegati tra di loro in forme e modalità diverse. In ciascuno di essi il focus linguistico risulta variamente circoscritto e indagato: la Folk Linguistic pone attenzione alle lingue e alle varietà in generale; la Perceptual Dialectology (da qui in poi, se non occorre specificare, genericamente, DP), alla loro variazione diatopica; la Language Attitude, a comportamenti linguistici correlati funzionalmente a sottostanti atteggiamenti linguistici; la sociofonetica, a varianti e opposizioni fonologiche e fonetiche; etc. Tutti quanti questi settori, tuttavia, nel ritagliare un generale, ampio o specifico focus linguistico, condividono l’interesse per le opinioni dei parlanti sui fatti di lingua, ovvero per cosa i non linguisti pensano su di essi e come lo fanno, nell’ambito del più generale universo extralinguistico e pragmatico, dove i fattori sociali, affettivi, ideologici sono osservati con specifici modelli di analisi ed interpretazione. In effetti, l’interesse per queste dimensioni dei fenomeni di lingua e il suo proficuo integrarsi con lo studio delle competenze e degli usi linguistici, ha una antica tradizione. A voler proporre una sommaria rassegna, bisogna partire dalla prima, matura formalizzazione risalente già alla fine dell’800 e l’inizio del 900 con le osservazioni di Jules Gillièron sulla forza modellatrice esercitata dalla percezione dello spazio dei gruppi sociali (in particolare dai gruppi egemoni) nei confronti del dialetto (cfr. D’Agostino/Ruffino 2005, 22). È a partire da questo iniziale assunto, e attraverso la considerazione delle esperienze nipponiche ed olandesi degli anni ’30 sui giudizi linguistici, della problematizzazione dell’unità di un punto linguistico minimo avviata da Benvenuto Terracini, delle più recenti teorie della geografia francese sulla spazialità vissuta risalenti agli anni 70-80, e delle osservazioni sulla funzione dinamica dell’elemento umano ed affettivo sulla percezione e rappresentazione del vicino e del distale ideologico-linguistico (Grassi 1981), che trova fondamento il concetto moderno di atlantistica percezionale. Per essa deve intendersi quell’insieme di teorie di carattere epistemologico, approcci metodologici, pratiche di ricerca, in grado di far dialogare la dimensione linguistica e la dimensione pragmatica, per la definizione di puntuali ma anche generali fenomeni sociali, ideologici ed affettivi strettamente connessi a fenomeni linguistici, attraverso l’individuazione di specifiche proprietà di salienza sociale e di salienza linguistica.

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1.1 Un atlante della percezione

1.1.1 Qualità e quantità per etichettare il parlante siciliano La definizione di atlantistica percezionale proposta sopra mira a restituire l’equilibrio, certo sempre precario, fra qualità e quantità nella rappresentazione dei fatti sociali e di lingua. Alcune volte la prima è sinonimo di parlante, la seconda di metodo. La prima di parole e discorsi, la seconda di relazioni gerarchiche tra elementi. La prima di ideologia, identità, costruzione, la seconda di tratti linguistici, distanze fisiche, numero di abitanti. Un modello generale per una base di dati potrebbe costituirsi in quanto riduzione delle parole reali e della loro successione nelle catene di discorsi, in valori matematici, diagrammi, carte geo-linguistiche, ovvero in numeri capaci di contenere ideologia, identità, contesto, cultura. Ma questo è un modello ideale che nella pratica dell’analisi può tutt’al più essere stabilito come lo stadio più completo verso cui tendere mediante procedure tanto più attendibili quanto più si avvicinino al modello ideale. Quando si è incominciato ad elaborare un’ipotesi interpretativa dei dati metalinguistici, il gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) tirava le somme di una stagione fiorente di riflessioni, inchieste e studi sui rapporti tra quantità e qualità nel dato. Nel 1995 era uscito il primo volume dei Materiali dell’ALS (Ruffino 1995a), un resoconto sullo «stato dei lavori e le prospettive» di «modelli intelligenti di rappresentazione geolinguistica informatizzata», per un «atlante urbano» dei «luoghi del vivere e del comunicare» in un quadro di crescenti processi di italianizzazione. Lo stesso anno, attraverso la «linguistica spaziale», la «condensazione di qualità e quantità nell’ALS» (D’Agostino/Pennisi 1995, 30) apriva la fase della «formazione di banche dati totalmente relazionali» e dei primi cantieri di cartografazione fonetica irradiazionale con «intenti bivalenti» volti a cogliere cioè le aree a confini sfumati e i «rapporti di parentela […] fra diversi esponenti di un medesimo comportamento linguistico» (ivi, 42). Questi primi frutti venivano sistematizzati negli anni successivi in modelli di impianto variazionista per l’interpretazione dell’universo ideologicometalinguistico dei parlanti, specie sul fronte percezionale/rappresentazionale (opinioni) e traduttivo (strutture linguistiche come segni e sensi di identità) (cfr. Castiglione 2004). D’altro canto, le tappe metodologiche all’interno del cantiere di ricerca recavano i segni del confronto scientifico cresciuto alla fine degli anni ottanta intorno ai modelli di rappresentazione dei nuovi spazi urbani. Nel 1990, cinque anni prima l’uscita del primo volume dei Materiali dell’ALS, in margine al convegno di Palermo “Atlanti linguistici italiani e romanzi: esperienze a confronto”, Corrado Grassi, Franco Lo Piparo, Alberto Sobrero, Rosanna Sornicola, Edward Tuttle, Alberto Varvaro, Mari D’Agostino e Antonino Pennisi avevano animato una tavola rotonda su “Dialettologia urbana e analisi geolingui-

1. Modelli costruzionisti e interazionali per un atlante della percezione

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stica”1, destinata a diventare per il successivo decennio uno dei canoni metodologici della dialettologia italiana. Con un certo ritardo (si osservava negli interventi), la dialettologia e gli studi di ideologie e opinioni su lingue e varietà cominciavano a prendere atto dello scarto tra modelli geo e socio-linguistici tradizionali e nuovi modelli di città, complesse, eterogenee, proteiformi, sia nelle strutture socio-economiche sia nel «capitale umano» dei frequentatori, sia nelle risorse linguistiche degli utilizzatori. Il volto multilingue delle nuove varietà in contatto, già individuato in sede sociolinguistica, era adesso descritto come l’esito convergente di flussi di mobilità interna in entrata (fenomeni immigratori di medio e corto raggio provenienti dai comuni regionali recessivi) e in uscita (verso i comuni della cinta metropolitana periurbana)2 e le aree concorrenti a maggior tasso di industrializzazione. Da qui, una città concettualmente dislocata in due dimensioni: quella del luogo trasfigurato nell’aridità dei dati che ne registrano un sostanziale contenimento demografico ma con invecchiamento della popolazione; quella del tempo di vita, non più labovianamente soltanto eterogeneo, bensì tessuto plurimo di confluenza di culture, identità, lingue. La ‘città delle mille città’ si presentava ai relatori della tavola rotonda e allo studioso delle lingue e delle varietà, come problema da risolvere per la sopravvivenza del concetto di punto linguistico. Le forze in tensione fra sentimento e consapevolezza sono il modello attendibile della ‘trattativa’ ideologica tra le fughe nella dissipazione del patrimonio comunitario e la riscoperta che i parlanti ogni giorno ne fanno coagulandosi nell’appartenenza. Ma se la comunità, nel senso ampio di condivisione di pratiche e di lingua, è messa in crisi e il territorio fisico e cognitivo dentro cui accade l’equilibrio tra le forze centrifughe e centripete del sentimento si dissolve nella indinstinzione, il concetto di punto linguistico rischia di essere annullato. Inoltre, nella prospettiva metodologica, il nuovo oggetto da rappresentare si pone come un problema di misurabilità e quindi di modelli. Le reti sociali della Milroy sono pensate ed applicate per spiegare il cambio legato al contatto e i suoi esiti, primo fra tutti il livellamento. Le comunità del tempo di vita rispecchiano tutto sommato la dinamica del repertorio bipolare ‘varietà dialettale d’immigrazione’ vs. ‘varietà di prestigio’. Ma questo approccio lascia irrisolto il nodo fondamentale del dato: in quale forma vada esso raccolto e come debba essere poi trattato, affinché allo sguardo del ricercatore non sfuggano i “flussi invisibili” sia materiali che simbolici. In più, in quegli anni incominciavano ad affluire dati in cui il modello ‘attrazione sociale = attrazione linguistica’ risultava stravolto, fornendo nuovi motivi all’inadeguatezza della rappresentazione dell’universo della lingua dei grandi centri urbani come un monolite italofono semplicemente percorso da alcuni fenomeni di interferenza con le varietà dialettali. Lingue di primo impatto dei nuovi arrivati, infatti, sono anche le varietà dialettali locali rispetto alle quali la frequentazione 1 2

Il resoconto della tavola rotonda è in Ruffino 1991b. Per un quadro di questi fenomeni a quindici anni di distanza cfr. D’Agostino/Ruffino 2005.

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1.1 Un atlante della percezione

quotidiana rinforza l’attività di costruzione di modelli ideologici alternativi o addirittura di conflitto. A questo proposito, gli orientamenti espressi nella tavola rotonda palermitana si erano divisi tra il filone macro-statistico e la prospettiva micro-qualitativa o narrativa. Il primo ricondotto all’appena conclusa ricerca dell’Osservatorio Linguistico Siciliano (OLS)3 sugli atteggiamenti linguistici in Sicilia, il secondo alla prospettiva spaziale-cognitiva e testuale dei vissuti routinari. Sul fronte del campionamento, si prospettava l’alternativa fra la dialettologia attenta alle situazioni particolari, una dialettologia che dal campanile passasse ad occuparsi del “pianerottolo”, e la macro-dialettologia di flussi di saperi e di strutture di rappresentazione. Entrambe, da integrare rispettivamente nel globale e nel locale. Con la relazione, nel primo caso, dai tanti uno ai molti, nel secondo dalle tabelle ai campi-parlante, o area, o tratti linguistici4. La tenuta dell’oggetto di misurazione veniva intravista nella dialettica tra il sentimento della convergenza di lingua e di comunità e il comportamento oggettivo della divergenza, interpretabili rispettivamente con macro-strumenti rivolti all’area e micro-strategie situazionali. 1.1.2. Un modello atlantistico italoromanzo: l’ALS Una sintesi fra le esigenze di rappresentare il repertorio, salvando allo stesso tempo pratiche e interazione tra locale e globale, può essere rintracciato nelle esperienze atlantistiche italoromanze, tra le quali l’Atlante Linguistico della Sicilia. Il campione dell’ALS5 è strutturato in cinque tipologie familiari, ciascuna delle quali definite dall’incrocio delle variabili di parentela, grado di istruzione e prima lingua, e in due adolescenti differenziati per background familiare linguistico; la complessità socio-territoriale del punto linguistico è affrontata affiancando ai centri dinamici, o comunque non recessivi, micro-aree costituite da due o tre paesi6.

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Il progetto si è concluso con la pubblicazione di un volume di sintesi dei risultati (Lo Piparo et alii 1990). Le spinte in direzione opposta di rincorrere il particolare del «pianerottolo» o il generale della «macroanalisi» sono ben presenti nelle parole dei partecipanti alla tavola rotonda, che tuttavia si dichiarano inclini ad affrancarsi dagli stadi estremi di entrambe le tendenze. Sobrero (Ruffino 1991b, 26) sulla base di una «preanalisi del modello socioeconomico e del suo grado di realizzazione» nei centri urbani; Sornicola di una interpretazione «epidemica» della diffusione e del cambio che possa «stabilire le condizioni generali a rischio per il verificarsi di certi fenomeni»; Lo Piparo recuperando il concetto classico di punto linguistico in un «insieme strutturato di valori numerici» (ivi, 18) con l’ausilio di «tecniche statistiche e matematiche molto sofisticate» (ivi, 17); D’Agostino proponendo modelli di mobilità intra-urbana di spazialità fisica e vissuta; Pennisi attraverso strumenti informatici che interpretino «esattamente il punto di vista dell’utente» (ivi, 38). Per una discussione sul campione, cfr. D’Agostino/Ruffino (2005, 83-130). Nella stessa direzione va il campione dell’ASICA (Krefeld 2007b, 183-198) il quale, però, oltre a rappresentare i parlanti che vivono nei punti d’inchiesta della Calabria, è duplicato nelle realtà di immigrati calabresi in Germania.

1. Modelli costruzionisti e interazionali per un atlante della percezione

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Queste modalità, che possono contribuire a salvare dalla dispersione proprio quel patrimonio di pratiche sociali e di stili di cluster centrali nelle esperienze danesi ed americane, sono il risultato del ragionare intorno alla dialettica tra qualità e quantità, iniziata, come abbiamo visto, con le riflessioni su dialettologia urbana e geolinguistica. D’altro canto, il corpus metalingusitico su cui abbiamo lavorato, approdando al presente lavoro, è stato costituito da un insieme di flussi narrativodiscorsivi interazionali e da una base di dati da esso estrapolata mediante processi di riduzione a campi paradigmatici di record sintagmatici (cfr. D’Agostino/Pennisi 1995,17). È accaduto infatti che l’informatore7, sollecitato dalle tre domande metalinguistiche8 del questionario ad elencare paesi e tratti della differenza, ha finito molto spesso per raccontare storie9 (cfr. D’Agostino/Pinello 2010), le quali hanno costituito il punto di partenza per l’implementazione del data base relazionale. È stato quindi necessario dotarsi di adeguati strumenti di analisi, trattamento ed interpretazione, di tutta questa massa di dati e di farli dialogare con il preesistente impianto del data base ALS che riguarda tutte le 78 domande del questionario. 1.1.2.1 Un modello globale di interazione e costruzione del dato Il superamento del concetto di elicitazione a favore di quello di “costruzione del dato” è riscontrabile in più modelli teorici. Questi orientamenti si rifanno ai modelli costruzionisti, per certi aspetti interpreti del costruzionismo sociale (v. da § 2.2 a § 2.2.2). L’intervista è, difatti, il luogo della negoziazione. Ciò che sul questionario è il dato, nell’intervista è il ricordo dell’input della trattativa ravvivato dagli atti di interazione. Dentro la teoria interazionale possono essere così spiegate le interazioni non richieste scatenate da un semplice input di domanda. Ad un certo punto dell’interazione, nella mente dell’informatore la domanda è annullata, il suo oggetto di atteggiamento dissolto: il dato è costruito, negoziato e ricostruito. Il corpus ALS presenta numerosi, significativi casi di questa tipologia di informatori e gli analisti del dato hanno studiato con specificità il fenomeno pervenendo ad una interessante casistica e all’efficace definizione di “fattore emotivo” il quale

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Sul campione ALS v. § 1.2, sul questionario v. § 1.2.1. La composizione del campione è riportata in appendice. La rete dei punti d’inchiesta ALS è in Carta 0. In Colonna Romano (2013, 207-223), un’analisi del questionario in chiave cognitiva e comunicativa. Domanda 16: «Lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla nel Suo paese/città e il siciliano che si parla nei paesi/città vicini?». Domanda 17: (Se ha risposto sì alla domanda 16) «Saprebbe dirmi per quali paesi specialmente Lei nota delle differenze?». Domanda 18: «Saprebbe indicarmi qualche particolarità (pronuncia, parole, espressioni) che non è usata nel dialetto del Suo paese/città ed è invece tipica del dialetto di qualche paese/città vicini?». Un modello di analisi delle “narrazioni orali” degli informatori ALS è in Paternostro 2013, lavoro che si colloca all’interno dell’analisi del discorso e della sociolinguistica interazionale. Il parlato prodotto durante l’intervista è definito come costruzione discorsiva attraverso la quale i parlanti agiscono sul mondo e gestiscono o subiscono le identità. Al centro del modello sta il concetto di “interazione”, ambiente valoriale e creativo determinato dall’incontro informatore/ raccoglitore.

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1.1 Un atlante della percezione

segnala l’astrazione dal contesto intervista e dalle sue condizioni di elicitazione10. I turni interazionali seguenti sono un esempio di astrazione dal contesto intervista, di costruzione di un frammento di ‘mondo narrativo’ che prescinde dalle condizioni di elicitazione (contesto, raccoglitore, input), e costituiscono uno stralcio dell’interazione alla domanda del questionario che chiede all’informatore, NF111 Palermo, se si ritiene in grado di riconoscere il quartiere di provenienza ascoltando qualcuno che ha incontrato per strada: 1.12 R3: [e se per esem+] se per esempio se senti parrari a uno che è di Mundìeḍḍu e e u sai tu ca è di Mundìeḍḍu iḍḍu è ggiustu, tu penzi cû putissi capiri [chistu è ra zzona di Mondello13.] I4: [sì ri ccà sì.] sì. R5: capissi che è ri Mondello? I6: sì sì ri ccà vicinu ri nni nuaṭṛi [ri ri,] R7: [ah] intendi [dire di Palermo,]= I8: [sì sì di Palermo.] R9: =anche se è di Mondello. I10: no::: è ccomu u capissi e comu u sapissi. rricordati ca io àiu parenti a Mmilanu. e c’è una cuçina mìa che viene / tutti l’anni ccà, si veni affitta u villinu e si veni a ffa tutto il mese di Agosto ccà nni nuaṭṛi, allòggia ccà nni mìa. s’affitta u villinu, s’addivìetti fari e ddiri. è | avi trentanni che è ḍḍà a Mmilano e parra tutta tischi toschi e io cci ricu quannu veni // «Ninè parra comu ti fiçi to maṭṛi picchì tu sì ddu Capu14. (R ride) sì ri ccà ri nuaṭṛi ru Capu. parra comu ti fiçi to maṭṛi picchì iò un ti capisci., tu parri tischi toschi e io un ti capìsciu.» 15 (NF1 Palermo16)

Dopo avere risposto affermativamente sulla propria capacità di riconoscere il quartiere di provenienze di un parlante (I4) l’informatore, in I10, a inizio turno utilizza un segnale fatico (“ricordati”) che ha lo scopo di introdurre la motivazione della sua risposta affermativa la quale può essere parafrasata nel modo seguente: 10 Il concetto di fattore emotivo sarà approfondito al § 4.2. 11 Nonno della Famiglia 1. Da qui in poi: N = Nonno; G = Genitore; F = Figlio; F = Famiglia. 12 Si vedano in Appendice le convenzioni di trascrizione fono-ortografica e conversazionale, illustrate e discusse in Matranga 2007. 13 Mondello (Mundieḍḍu) è la nota frazione turistica marittima di Palermo. 14 Capo (Capu), quartiere popolare nel centro storico di Palermo dove ha sede il famoso mercato con esercizi e bancarelle di generi alimentari, calzature e pelletteria. 15 R3: e se per esempio senti parlare uno che è di Mondello e non sai che è di Mondello, pensi che potresti capire che è della zona di Mondello? I4: sì, di qua sì R5: capiresti che è di Mondello? I6: sì sì qua vicino da noi sì R7: ah intendi dire di Palermo I8: sì sì di Palermo R9: anche se è di Mondello I10: no e come potrei capirlo, come potrei saperlo! Ricordati che io ho parenti a Milano e c’è una mia cugina che viene qua ogni anno, affitta un villino e rimane in vacanza tutto il mese di agosto, qui da noi, alloggia da me. Prende in affitto il villino, si diverte, ‘fare e dire’ [e fa tante altre cose simili] . È da trent’anni là a Milano e parla tutta ‘tischi toschi’ [con l’accento del nord Italia] e io quando viene le dico: «Ninetta parla come ti ha fatto tua madre perché tu sei del Capo (R ride) sei di qua, dei nostri, del Capo. Parla come ti ha fatto tua madre perché io non ti capisco, tu parli ‘tischi toschi’ e io non ti capisco. (NF1 Palermo) 16 Si veda la “Carta 1 Comuni citati in questo volume”. L’elaborazione tecnica della carta è stata realizzata da Francesco Macaluso collaboratore del Centro di studi filologici e linguistici siciliani di Palermo.

1. Modelli costruzionisti e interazionali per un atlante della percezione

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“una mia cugina dell’età di 30 anni che vive a Milano ogni anno ad agosto viene a Palermo, qui si diverte tanto, ma parla milanese (‘tutta tischi toschi’) e io le dico di parlare come la sua famiglia che è del Capo anche perché io non la capisco”. Risulta evidente non solo l’innesco del fattore emotivo, e quindi l’astrazione dalle condizioni di elicitazione e la costruzione narrativa interazionale, ma anche le componenti che lo determinano: affettive (la famiglia), ideologiche (la parlata lombarda avvertita estranea alla formazione e alla cultura dell’informatore), identitarie (il dialetto locale marcatore di appartenenza territoriale e sociale). Il complesso dei processi di costruzione del dato rilevato nel corpus ALS, ha avuto la sua sistematizzazione teorica nel «modello globale di interazione» (D’Agostino/Paternostro 2006, v. Fig. 1), il quale si colloca a buon diritto all’interno dei presupposti teorici e delle istanze metodologiche dell’atlantistica percezionale. Il modello mette in discussione le «riduttive nozioni tradizionalmente impiegate di parlante (o emittente) e di ascoltatore/interlocutore (o destinatario)» (ivi, 33). L’architettura interazionale prende le mosse dalla proposta di Goffman 1987 di «descrivere i partecipanti a un incontro conversazionale sulla base dei ruoli che di volta in volta essi possono assumervi e le funzioni che possono svolgervi» (ibidem). Il modello del sociologo americano viene adattato al corpus ALS badando a salvaguardare la natura relazionale sia delle variabili sociolinguistiche che dei momenti intervista17. Questo comporta che gli strumenti messi in campo debbono essere estesi sui diversi livelli di composizione del campione e includere la sfera della costruzione del discorso, in modo da potere rappresentare pluralità degli ‘incontri’ che accadono nel tempo di vita quotidiana, diversità e unicità dei partecipanti, imprevedibilità delle storie che si costruiscono durante le negoziazioni sociali. Per tale motivo, il modello globale di interazione aspira a farsi metafora delle interazioni del mondo reale. Casi molto chiari in tal senso riscontrati nel corpus ALS sono costituiti da quelle interazioni nelle quali l’informatore fa esplicito riferimento al mondo reale esterno all’intervista rappresentato dai «partecipanti non ratificati» ovvero da quei soggetti che l’informatore suppone essere i reali destinatari dell’intervista. Un significativo esempio è proposto in D’Agostino/Paternostro (2006, 35):

17 Del modello di Goffman vengono recepiti anche ruoli e funzioni dell’ascoltatore, definito come «formato di partecipazione». Vengono distinti i «partecipanti ratificati» da quelli «non ratificati»: «origliatori» cioè partecipanti che ascoltano di nascosto, «astanti» occasionali, «pubblico» con diritto di ascolto ma non di parola. Gli autori spiegano in nota la scelta di comprendere anche il versante dell’ascoltatore: «nonostante fosse stato raccomandato ai raccoglitori di non far assistere nessuno all’intervista, soprattutto i congiunti o amici dell’informatore, in molti casi, specie nelle inchieste condotte con gli adolescenti, non è stato possibile impedire ai genitori o ai fratelli degli informatori di essere presenti, complicando di molto il già difficile compito del raccoglitore.» (ivi, 34).

Fig. 1.1 Modello globale di interazione (D’Agostino/Paternostro 2006)

28 1.1 Un atlante della percezione

1. Modelli costruzionisti e interazionali per un atlante della percezione

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2. R9: e qualche esempio si la fidassi farimillu signora, per esempio occhi parola ca ccà dicimu di nna manera e ni l’aṭṛi paisi si dici di naṭṛa manera si ricorda qualche esempio ? I10: // ‘c’è:: cchi cumini’

[xxx] R11: [chissu unn’è ca lu dìcinu], I12: ‘cu mi lu purtà stu diàvulu oi’, va va va cc’è d’arrìdiri ma:: facimmu arrìdiri puru a cchissi, che nni sìntinu, R13: ‘nza quantu nn’annu sintutu, I14: certo.18 (NF2 Vallelunga Pratameno – CL)

L’articolazione di ruoli e funzioni del parlante formulata da Goffman viene acquisita all’interno del modello ALS. «Alla nozione di parlante [Goffman] sostituisce quella di ‘schema di produzione’, che comprende le figure dell’ ‘animatore’, cioè del parlante in quanto macchina fonica che emette fisicamente il suono; dell’ ‘autore’, ossia di chi elabora i contenuti di cui i segni linguistici prodotti foneticamente sono espressione; del ‘mandante’, ovvero […] qualcuno che si impegna nei riguardi di ciò che le parole esprimono.» (D’Agostino/Paternostro 2006, 33). La scomposizione del tradizionale monolitismo del parlante mira a riflettere le «molteplici identità sociali che si nascondono dietro le parole» (ibidem). La ripetizione dei discorsi pronunciati dagli altri è individuata come la soglia oltre la quale cogliere la molteplicità dell’identità e diventa l’esigenza ineliminabile del modello, perché non è detto che chi parla si assuma la «responsabilità sociale» di parole non proprie. Le riproduzioni dei discorsi degli altri, però, non sono esclusivamente citazioni consapevoli di brani, ma anche momenti fondanti degli incontri interazionali, all’interno dei quali la ripetizione è un atto di referenza che reinterpreta i contenuti di cultura del presente o della tradizione e li rappresenta in immagini sociali o individuali, in ogni momento potenzialmente ri-negoziabili. L’intervista rientra in quei casi di comunicazione a-simmetrica in cui ruoli e funzioni dello «schema di produzione» del parlante subordinato (Informatore) stanno sullo stesso livello perché il parlante «agisce in ogni momento dell’interazione sia come animatore sia come autore sia come mandante» (ivi, 34), a differenza dello schema di produzione di chi conduce l’interazione (Raccoglitore) che è molto più «rigido nella separazione delle funzioni». In ciò si concreta l’asimmetria Raccoglitore vs. Informatore. Ma il livello di subordinazione è misurato anche dal riferimento al «reale destinatario» dell’interazione ovvero il Linguista mandante, «soggetto esterno al contesto fisico-ambientale dell’evento comunicativo [ma] che controlla il protocollo d’inchiesta» (ivi, 36). Con il Linguista, il Raccoglitore intrattiene una relazione asimmetrica perché sa che deve rendergli

18 R9: e qualche esempio saprebbe farmelo signora, per esempio qualche parola che qua diciamo in un modo e negli altri paesi si dice in un altro modo, si ricorda qualche esempio? I10: “c’è … che combini?!” (P ride, R ride) R11: questo dove lo dicono? I12: chi me lo ha portato questo diavolo oggi?! (R ride) c’è da ridere ma …facciamo ridere pure quelli che ci ascolteranno (R ride) R13: chissà quante ne hanno sentite! I14: certo.

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1.2 Pluridimensionalità e variabili nell’ALS

conto, mentre l’Informatore può soltanto «farvi riferimento», senza esservi legato da un rapporto di subordinazione. In un modello di questo tipo «la possibilità di agire sull’evento da parte dell’autore/mandante […] è garantita, in altri termini, dal suo rapporto diretto con l’animatore/autore (Raccoglitore)» (ibidem). Ma il mandante non è solo un ruolo e una funzione dell’intervista, ma rappresenta anche la realtà in senso lato, la realtà sociale e comunitaria sempre presente nelle interazioni e nelle dinamiche di egemonia e subalternità, prestigio e stigma, rappresentazione del sé e dell’‘altro’. Il riflesso, non solo rappresentazionale, ma anche di referenza dell’intervista nella realtà, ha però senso solo se si considera la costruzione del dato nell’intervista parte della costruzione quotidiana della realtà. Nella realtà costruita e decostruita oggetto della trattativa sono le identità (e non la singola identità dell’individuo), un «qualcosa che si gioca a livello semiotico, come risultato di un processo di negoziazione, sia in termini individuali che collettivi» (D’Agostino 2012, 149). Le identità negoziano la natura «complessa e dinamica dell’appartenenza [ad esempio] nel rapporto fra italiano e dialetti» (ibidem). Identità che si negoziano nelle appartenenze e nelle esclusioni. 1.2 PLURIDIMENSIONALITÀ E VARIABILI NELL’ ALS L’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) è un progetto di ricerca che ha mosso i primi passi nella metà degli anni ottanta, a Palermo, città capoluogo della Sicilia. Fin dall’inizio il gruppo di ricerca ha posto alla base del progetto l’esigenza di conciliare e far dialogare metodi e prospettive della sociolinguistica e della geografia linguistica (D’Agostino/Ruffino 2005, 43) realizzando “dunque una duplice articolazione all’interno di un progetto unitario, la integrazione di atlante ‘orizzontale’ (diatopico) e analisi ‘verticale’ della variabilità” (Ruffino 1995b, 11, v. anche Ruffino 1991b). L’obiettivo generale è documentare il repertorio linguistico della Sicilia nelle sue variegate articolazioni. La configurazione di base del sistema lingua rappresentata dalla polarizzazione italiano/dialetto, che pure nel progetto trova adeguata considerazione, è il punto da cui muovere per giungere all’analisi e all’interpretazione delle cosiddette varietà intermedie esito dei processi di italianizzazione delle varietà dialettali e di regionalizzazione dell’italiano. Queste ultime sono osservate nella dimensione degli usi linguistici percorsa da intensi fenomeni di variabilità. L’indagine, adesso conclusa, che ha delineato il quadro sociolinguistico sopra illustrato e le sue articolazioni linguistiche, sociali e ideologiche, è stata realizzata attraverso un’imponente campagna di raccolta dati che ha interessato mille informatori distribuiti in 60 punti d’inchiesta in tutto il territorio siciliano. L’indagine, adesso conclusa, che ha delineato il quadro sociolinguistico sopra illustrato e le sue articolazioni linguistiche, sociali e ideologiche, è stata realizzata attraverso un’imponente campagna di raccolta dati che ha interessato mille informatori distribuiti in 60 punti d’inchiesta in tutto il territorio siciliano. Il campione è stato definito seguendo un parametro dinamico finalizzato a conciliare le specificità del

1. Modelli costruzionisti e interazionali per un atlante della percezione

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parlante e il contesto familiare e territoriale19. Per quanto riguarda il parlante, la variabile di riferimento del campione è la “Famiglia” articolata in tre fasce generazionali: Nonno, Genitore, Figlio20. Per ogni punto d’inchiesta ci sono 5 famiglie, dalla prima alla quinta. I tre informatori della prima famiglia presentano il più basso livello di istruzione e gli usi linguistici sono esclusivamente dialettali e tutti hanno come prima lingua il dialetto. I tre informatori della famiglia 5 presentano il più alto grado di istruzione e tutti hanno competenza attiva e passiva dell’italiano. La diatopia è articolata in “punti d’inchiesta” e “microaree” costituite da due o tre punti minimi contigui associati da costanti socio-economiche. I punti d’inchiesta sono centri dinamici o mediamente dinamici (città capoluoghi, centri medi caratterizzati da produttività economica e mobilità sociale); i punti minimi presentano fenomeni di significativa instabilità demografica, invecchiamento della popolazione, recessione economica (cfr. D’Agostino/Ruffino 2005, 125-130). Una tale quantità e qualità di dati, che ad oggi ha prodotto oltre 50 volumi pubblicati nella collana editoriale “Materiali e Ricerche dell’Atlante Linguistico della Sicilia”, ha richiesto modelli pluridimensionali di analisi e di interpretazione, sistemi teorici e metodologici in grado di cogliere le relazioni funzionali tra variabili e fenomeni linguistici e metalinguistici. Modelli così concepiti consentono anche di risalire all’item di base, la variabile atomica, a partire dalla rete relazionale complessa; permettono, in sintesi, di far dialogare le dimensioni micro e macro della variazione linguistica e dei contesti socio-geo-economici. A esempio, nella sfera del parlante, la variabile “fascia generazionale” (Nonno, Genitore, Figlio) è ulteriormente scomponibile nelle variabili cosiddette tradizionali prima lingua, livello di istruzione, età. 1.2.1 L’ALS e lo studio delle opinioni dei parlanti Il questionario ALS somministrato all’intero campione nell’ambito della campagna di raccolta dati sul campo, rispecchia la complessità delle variabili linguistiche in gioco, i profondi assestamenti e riassestamenti del repertorio, le correlazioni con le dinamiche extra-linguistiche di carattere essenzialmente socio-geo-economico. Rimane quindi fedele alla sopra richiamata integrazione tra prospettiva variazionistica e approccio geolinguistico, in modo da tenere insieme lingua e giudizi sulla lingua, usi reali e percezioni e, su entrambi i piani, qualità e quantità: La complessità del questionario si deve, dunque, al tentativo di integrare due diversi approcci e due pratiche empiristiche differenti: il questionario di taglio sociolinguistico e quello di tipo

19 Il campionamento per famiglia è criterio non nuovo nelle indagini in area romanza. Per tutti, si ricorda Francescato/Solari Francescato 1994, un’indagine sul trilinguismo del villaggio friulano di Timau, per la quale hanno suddiviso in nuclei familiari l’intera popolazione. 20 Il campione è completato, in ogni punto, da due adolescenti, uno di contesto familiare dialettofono, uno di contesto familiare italofono. Ciascun punto d’inchiesta è stato campionato quindi con 17 informatori.

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1.2 Pluridimensionalità e variabili nell’ALS geolinguistico. Mentre il primo, infatti, è costruito per ottenere in primo luogo giudizi sui comportamenti linguistici (propri e/o comunitari) ed è sottoponibile ad analisi qualitative e quantitative, il secondo è interamente orientato al reperimento di usi linguistici (e, in taluni casi, di percezioni, come in alcune esperienze nipponiche) volti ad una cartografazione areale (D’Agostino/Ruffino 2005, 52).

Nella sua stesura definitiva, che risale al 1998, il questionario si presenta articolato in tre parti. Nella prima le domande mirano a tracciare il profilo dell’informatore: dati biografici, mobilità intra e inter areale, grado di istruzione proprio e della famiglia, attività lavorativa, spostamenti pendolari e/o periodici, frequentazioni nell’infanzia con nonni o persone anziane, abitudini in merito al consumo di riviste, libri e televisione. La seconda parte è dedicata alla elicitazione delle percezioni e rappresentazioni21 del parlante in merito alle lingue e alle varietà delle quali ha avuto ed ha esperienza, sia nell’ambito della propria comunità linguistica, sia rispetto ad altre comunità. È una sezione a forte contenuto ideologico, molte domande invitano a riflettere e a riferire sugli usi dialettali propri ed altrui e sulle opinioni riguardo al dialetto in famiglia e in società, ma con l’italiano convitato di pietra di una dialettica frutto del contatto e delle interferenze non solo linguistiche, ma anche ideologiche e identitarie. La terza parte, attraverso domande sia onomasiologiche che semasiologiche, misura le competenze dell’informatore in merito all’uso e alla conoscenza di lessemi dialettali arcaici e regionali e sulla traduzione italiano/dialetto e viceversa. Due domande sono finalizzate a rilevare fenomeni fonetici peculiarmente regionali o microareali (come il rafforzamento di alcune consonanti ad inizio di parola e la retroflessione di /r/ lunga). Vengono anche raccolti 5 minuti di parlato spontaneo a codice bloccato in italiano e in dialetto22. In questo lavoro ci occuperemo della porzione di dati, un sotto-corpus quindi, elicitata con le tre domande pensate per rilevare la percezione e rappresentazione delle differenze linguistiche. Sono le domande 16, 17 e 18 della seconda parte del questionario, tipiche domande del settore di studio sulle opinioni dei parlanti. Con la domanda 16 viene chiesto all’informatore se nota23 che nel proprio centro si parli in maniera diversa rispetto ai centri vicini. La domanda 17 lo invita a

21 Proficua per DP la distinzione tra “percezione” e “rappresentazione” proposta in Krefeld/Pustka 2010a: la percezione è propria di un contesto comunicativo reale (parole), le rappresentazioni sono parte del sapere linguistico (langue) (v. § 5.3.2). 22 Una descrizione molto precisa del contenuto del questionario e delle diverse fasi di progettazione è in D’Agostino/Ruffino (2005, 51-81). 23 La scelta del verbo “notare” non è casuale: «Si chiede […] di focalizzare l’attenzione su ciò di cui si ha esperienza diretta (si noti la formulazione “Lei ‘nota’ delle differenze?”) piuttosto che su saperi, immagini, opinioni, nei quali sia assente il legame con precisi dati esperienziali. L’interrogativo posto dal ricercatore si proponeva, dunque, di dirigere lo sguardo dell’informatore sulla sua esperienza di ascoltatore immerso in un flusso linguistico, dunque su una classe di esperienze, non solo immaginate, rappresentare, pensate». (D’Agostino/Pinello 2010, 315).

1. Modelli costruzionisti e interazionali per un atlante della percezione

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precisare per quali paesi ha notato le differenze. La domanda 18 chiede di individuare e precisare gli elementi linguistici che differenziano la parlata del proprio centro rispetto alle parlate degli altri centri (v. nota 8).

2. DIALETTOLOGIA PERCETTIVA: MODELLI COGNITIVI E DELLA COSTRUZIONE SOCIALE 2.1 LA SVOLTA COGNITIVA NELLO STUDIO DELLE OPINIONI DEI PARLANTI Negli ultimi anni gli studi sulle opinioni dei parlanti hanno dedicato una crescente attenzione ai processi cognitivi. Il terreno per interessi di questo tipo all’interno delle diverse scuole di dialettologia percettiva o soggettiva, Folk Linguistics, Language Attitude, Perceptual Dialectology, etc., appare oggi quanto mai fertile. Il motivo non è soltanto nell’oggetto d’indagine (in una delimitazione alquanto ampia tutto ciò che il parlante pensa della lingua e delle sue varietà) che coinvolge direttamente il campo delle valutazioni, e quindi degli atteggiamenti, e quindi la psicologia sociale, disciplina che se ne occupa direttamente. Se è vero infatti che la stessa nozione di parlante, pur nella sua genericità, rimanda in primo luogo al contesto di lingua e di cultura, al mondo dei referenti, alle dinamiche economiche, storiche, geo-politiche, demografiche e gravitazionali, “all’altra faccia” dei fatti di lingua da indagare; è allo stesso modo palese come, dirigendo lo sguardo sulla realtà ‘esterna’, gli studiosi sono stati spinti a considerare quanto di questa e in quale forma ritornasse indietro, raggiungendo la sua dimensione mentale o ‘interna’, influenzando competenza e ideologia linguistica. Concorrendo, quindi, a determinare tutto quanto i parlanti pensano della lingua e delle sue varietà. Parallelamente, forti sollecitazioni sono giunte anche da versanti contigui, in particolar modo dalla nascente Sociolinguistica Cognitiva. Tale area di ricerca fonda il suo statuto sulla necessità di adeguare il modello teorico descrittivo della Linguistica Cognitiva alla percezione e alla variazione linguistica e dialettale, integrando quindi le dimensioni cognitiva e sociale. Lingua e dialetti, così, sono studiati come entità percettive socio-cognitive e le rappresentazioni che i parlanti ne fanno, descritte da processi che prevedono un equilibrio tra elementi della cognizione e della realtà esterna. La variazione, a sua volta, non è solamente osservata come fenomeno interazionale ‘basato sull’uso’, ma integrata con le proprietà cognitive che concorrono a determinarla. In particolare, essa è teorizzata come dimensione prototipica o ‘lettale’ declinata all’interno delle comunità di lingua e di cultura dagli elementi comportamentali del linguaggio: dialetto, o socioletto, idioletto, etc.1 1

Una delle più interessanti applicazioni di questa impalcatura teorica è quella teoria della salienza che considera ‘-letto’ e ‘variazione lettale’ oggetti salienti di percezione; per questo aspetto, cfr. Geeraerts/ Kristiansen 2014, che è un’analisi del ruolo della variazione linguistica all’interno della Sociolinguistica Cognitiva e contiene una descrizione delle convergenze di metodi tra Linguistica Cognitiva e Sociolinguistica Cognitiva e tra quest’ultima e la DP. Contributi sulla salienza sono presenti anche nel settore, connesso alla Sociolinguistica Cognitiva,

36

2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti

Il rapporto tra la dimensione dentro il parlante e fuori o intorno il parlante, argomento molto vivo nelle riflessioni della DP, ha costituito forse la spinta più decisiva in direzione del connubio tra scienze del linguaggio in genere e delle opinioni dei parlanti in particolare, e scienze cognitive. L’area sensibile per la DP a questo prolifico connubio di prospettive è costituita dalle relazioni plurime e reticolari tra realtà esterna (o della socialità) e realtà interna (o della cognizione). La piena assunzione della prospettiva cognitiva allo studio delle opinioni dei parlanti intorno alla lingua e alle sue varietà, ha determinato una vera e propria ‘svolta’ nel settore d’indagine, tanto da investire anche le fondamentali strutture teoriche2. Nell’analisi e nell’interpretazione dei dati del nostro corpus, questa convergenza di livelli è realizzata istituendo il doppio binario ‘universo-cognizione’/ ‘universo-testo’, filo conduttore di questo capitolo. 2.1.1 Atteggiamenti e credenze nei due triangoli della DP Questa area di ricerca, sebbene ancora assai magmatica, lascia intravedere comunque alcune interessanti linee di direzione. In contesto italoromanzo, dove si è in un primo ma significativo stadio di approfondimento, alcuni lavori di Krefeld e Pustka (vedi in particolare 2010a) hanno ragionato sul concetto di ‘prototipo’ in relazione alla varietà dialettale e su quello di rappresentazione metalinguistica, sapere non valutativo che va distinto dalla concreta percezione di realizzazioni linguistiche. In realtà di diversa tradizione dialettologica, l’introduzione delle tecniche di Language Attitude Study ha dato luogo ad un corposo ventaglio di indagini focalizzate ora sulla misura della distanza tra percezione uditiva e dato linguistico oggettivo, ora sull’associazione tra giudizi di status e tratti linguistici tipici di un’area, ora sulle reazioni di informatori chiamati al riconoscimento di tratti stigmatizzati del proprio repertorio, e altre dello stesso genere3. Tutte queste linee di ricerca fanno riferimento a Dennis Preston, lo studioso delle opinioni dei parlanti che più degli altri ha spinto la disciplina verso le scienze cognitive e la Psicologia Sociale in particolare. Il linguista statunitense, infatti, in conseguenza della propria svolta cognitiva, ha ridisegnato il territorio di competenza della Folk Linguistics e ne ha dato un profilo fortemente rinnovato giungendo ad un modello di processo valutativo molto sensibile alla pluridimensionalità. Ciò

2 3

della Semantica Cognitiva (Geeraerts 2006, Geeraerts/Speelman 2010). Un’ampia panoramica su campo d’indagine, metodo e apparentamenti della Sociolinguistica Cognitiva è in Kristiansen/Dirven 2008. Un resoconto bibliografico sulla svolta cognitiva della DP è in D’Agostino/Paternostro/Pinello 2013. Molte di queste esperienze di indagine saranno illustrate nelle pagine successive, soprattutto al § 4.1.3. Ma sin da adesso segnaliamo: Gooskens 2005; Montgomery 2006; Maegaard 2008; Evans 2008, 2013; Kristiansen/Pharao 2008. E, anche se meno recente, vale la pena consultare Ladegaard 1998.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

37

ha comportato la rivisitazione dell’approccio iniziale basato sui due ‘triangoli’ che in tempi diversi lo stesso Preston aveva proposto per definire la Folk Linguistics (Preston 1999, Niedzielski/Preston 2003). Qui di seguito (Fig.2.1) la prima versione del triangolo (Preston 1999, xxiii). Ad un atto di parola (a), seguono reazioni non consapevoli (b), indagabili con le tecniche del matched guise, delle quali si occupano gli studi sugli atteggiamenti linguistici, oppure aperti e consapevoli giudizi e commenti (c), campo d’interesse della Folk Linguistics. Tutte e tre le aree sono potenziate dai rispettivi livelli cognitivi di base, che per le reazioni non consapevoli (b) e i giudizi consapevoli (c), Preston esplicita in ‘atteggiamenti linguistici’ e ‘credenze’.

Fig. 2.1 Il primo triangolo della Folk Linguistics (Preston 1999)

Questa prima proposta di triangolo si ispirava alla tripartizione di Hoenigswald (cfr. Niedzielski/Preston 2003, ix):

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2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti We should be interested not only in (a) what goes on (language), but also in (b) how people react to what goes on (they are persuaded, they are put off, etc.), and in (c) what people goes on (talk concerning language). It will not do to dismiss these secondary and tertiary modes of conduct merely as sources of error. (Hoenigswald 1966, 20)

Il successivo triangolo (Niedzielski/Preston 2003, xi-xii) (Fig. 2) istituiva invece una relazione continua fra «ciò che la gente dice su ciò che è detto» (c) e «come la gente reagisce a ciò che è detto» (b). I versanti (b) e (c) sono rispettivamente consce e non-consce reazioni al linguaggio legate da un rapporto non polarizzato ma continuo (b1 ↔ bn) tanto che «would be foolish to say that folk linguistics stops precisely at b23 (or b48, or any other position along the continuum)» (Niedzielski/Preston 2003, xi). L’area indicata con (b’) è la riserva di credenze e concetti che, quando è raggiunta da uno stimolo proveniente dai versanti «ciò che è detto» (a)4 e «stati e processi cognitivi che lo governano» (a1), determina una reazione (response); la quale, per l’appunto, può essere consapevole (b1) o non consapevole (bn), ma la relazione tra i due stati è continua e non discreta.

Fig. 2.2 Il secondo triangolo della Folk Linguistics (Niedzielski, Preston 2003)

Ecco come Preston riepiloga adesso questo processo: From a processing point of view, a language stimulus from the top of [the triangle] reaches down into a reservoir of beliefs and concepts (b’) before a response (b1 – bn) appears. The stimulus might come from a discussion of some organizing or cognitive principle of language (e.g. an a’) or an instance of language itself (e.g. an a) and may elicits a relatively conscious reaction (b1) or a relatively subconscious one (bn). (Preston 2010a, 9)

4

Nel vertice a («What people say») sono inclusi i tre livelli pragmatico-linguistici: atti locutori, illocutori (report) e perlocutori (small talk: belittling, teasing, praising, etc.) (Niedzielski/Preston 2003, 26).

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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2.1.2 Il ‘quadrato’ della DP Preston2010a5 segnala che i due triangoli sono inadeguati sia relativamente al “dentro” (la «riserva di credenze e concetti»), che al “fuori” («le situazioni contestualizzate nella realtà esterna della vita quotidiana»). In Fig. 2.3 il suo nuovo modello di formazione degli atteggiamenti, o ‘quadrato’ (come qui lo chiamiamo). La didascalia posta in calce alla figura6 avverte che lo schema illustra il percorso del processo valutativo, dall’esterno (input) all’interno della cognizione, e il risultato osservabile in comportamenti verbali (output) o, secondo la terminologia della recente linguistica cognitiva, ‘verbalizzazioni’ o ‘convenzionalizzazioni’ (Croft/Cruse 2010). Lo stesso Preston dichiara che il suo schema si basa su uno dei saggi più importanti dell’Handbook, nel quale gli psicologi americani Bassili e Brown (Bassili/Brown 2005) illustrano il modello di formazione dell’atteggiamento (qui in Fig. 2.4) attraverso due attività principali: il potenziamento degli atteggiamenti (segnalato dalle linee diritte) e il loro recupero (linee curve). Detto molto semplicemente, c’è un qualcosa che esiste in potenza nella nostra mente, che per diventare atteggiamento occorre sia stimolato o ‘eccitato’ (potenziato) da un altro qualcosa.

Fig. 2.3 Il ‘quadrato’ di Preston (Preston 2010a)

Questo ‘altro qualcosa’ che ‘eccita’ i contenuti mentali, si trova all’esterno, nel mondo col quale tutti gli uomini ogni giorno entrano in interazione7.

5 6 7

Ma cfr. anche, Preston 2009, 2010b, 2010c. «Input to and output from the attitudinal cognitorium» (Preston 2010a, 13). Bassili e Brown differenziano due tipi di mondo esterno (che chiamano la ‘sorgente’ del potenziamento): gli «oggetti situati in un dato contesto» (2005, 552) ovvero le situazioni e le sue componenti che si incontrano nelle interazioni quotidiane, e le inchieste scientifiche, influenzate primariamente da scopi d’indagine e domande.

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2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti

L’altra attività espressa dal modello dà luogo ai comportamenti verbali; infatti derivano essi dal recupero di atteggiamenti o affettività. Possono essere espliciti, e quindi basati su atteggiamenti espliciti, oppure impliciti. Sia nel modello di Preston 2010a che in quello di Bassili e Brown, le aree fondamentali sono il luogo della formazione degli atteggiamenti, cioè l’attitudinal cognitorium (a destra nel modello di Preston, in basso in quello di Bassili e Brown) e quello della loro contrattazione sociale, o condizioni di elicitazione (eliciting conditions), a sinistra nel modello di Preston, in alto in quello di Bassili e Brown. Preston descrive così le condizioni di elicitazione nel modello: a) Setting: tempo, luogo, partecipanti. Sono le variabili classiche in sociolinguistica e investono le dimensioni diacronica, diatopica e lo status dell’informatore. b) Oggetto di atteggiamento (attitude-object). Può essere percepito direttamente, e in questo caso la freccia che lo collega con le rappresentazioni associate non è attiva. Ma in molti casi, com’è noto agli studiosi delle opinioni dei parlanti, la dimensione della lingua è associata, o ‘iconizzata’, con i parlanti-utilizzatori, a loro volta associati a nuclei di ideologia, pregiudizi, stereotipi. c) Tipo di prova richiesta all’informatore (task type). Si riferisce alla presentazione degli stimoli durante la raccolta del dato («written or verbal, timed or untimed, scalar or identificational»), ma anche nel corso delle ordinarie interazioni quotidiane. d) Esperienza già acquisita (prior experience). Si tratta del «secondo livello del metalinguaggio»8 (Niedzielski/Preston 2003, 308), o «common ground» (Stalnaker 1978, 320). Come si vede, nel modello essa è posta fuori dall’area del setting, in quanto è la condizione di elicitazione che influenza il processo in ogni suo segmento ma anche nel suo insieme. L’attitudinal cognitorium è la sede delle ‘credenze’ e dei ‘concetti’ ed il suo funzionamento è basato sulla teoria dei ‘networks microconcettuali’ elaborata dalla Psicologia Cognitiva. Si tratta di sistemi rappresentazionali costituiti da elementi molecolari di conoscenza o microconcetti che, associandosi, danno luogo ai significati. I microconcetti sono di due tipi: orientati alla valutazione (in scuro nel modello di Bassili e Brown) oppure ai sentimenti (in chiaro). La fluidità e la natura relazionale caratterizzano l’attitudinal cognitorium come proprietà essenziali. Ciò significa che i microconcetti, anche di tipo diverso, hanno un’elevata capacità di associarsi fra di loro. In Psicologia Sociale questa proprietà 8

«The richest territory to mine for folk belief about language has been the presuppositions which lie behind much Metalanguage 1 use. They are, we believe, sorts of unasserted beliefs which members of speech communities share. We will call such shared folk knowledge about language Metalanguage 2…» (Niedzielski/Preston 2003, 308). «The category of prior experience […] is related, therefore, not only to the presentation of an attitude object but also to the creation of belief and their connections in the cognitorium» (Preston 2010a, 12).

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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qualifica i ‘network neuronali’, sui quali si basa l’approccio connessionista (cfr. Abdi/Valentin/Edelman 1999). I sistemi connessionisti sono descritti come modelli in cui The item within the network are complexly interconnected, some with well-traveled and/or direct pathways, allowing stronger and quicker associations; others are more weakly or indirectly connected. A complex array will be activated on the basis of the input (i.e., the eliciting conditions). (Preston 2010a, 12)

Fig. 2.4 Modello del «reclutamento potenziato» degli atteggiamenti (Bassili/Brown 2005)

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2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti

Nel modello rielaborato da Preston (Fig. 2.3), quando un oggetto di atteggiamento, con tutto il suo bagaglio di condizioni di elicitazione, raggiunge l’attitudinal cognitorium, attiva un insieme di credenze e concetti interconnessi. Infatti, l’ingresso nella sfera del network è mediato dai due tipi di processori: consapevoli e non consapevoli. Questi ultimi non sono però separati canali di trasmissione che trasformano le informazioni in atteggiamenti, consapevoli o non consapevoli, ma piuttosto «both types [conscious and unconscious] may occur in nearly all activations of the cognitorium» (Preston 2010a, 13). Inoltre, Preston si dichiara d’accordo con Bassili e Brown sul fatto che le credenze ed i concetti del cognitorium non sono dotati di proprietà stabili che li renderebbero già predisposti ad essere attivati in atteggiamenti consapevoli e non consapevoli: I agree with Bassili and Brown (2005, 552) that the underlying concepts and beliefs that are available for the formation of an attitude response are not different in kind for conscious and subconscious procedures. Some item and some network connections are rather more likely to be activated by subconscious processes and some others by conscious or deliberative routines, but that one routine or another would uniquely engage certain of these cognitorium details or connections seems unlikely. (Preston 2010a, 12-13)

2.1.3 Language Regard Con il ‘quadrato’ la complessa pluridimensionalità della realtà esterna, che include anche le attività di elicitazione del dato, è riflessa nella fluidità relazionale delle strutture cognitive. Questo dovrebbe consentire di cogliere molti degli aspetti del comportamento osservabile nel dato linguistico e pragmatico e di dare conto delle cosiddette incoerenze o contraddittorietà del parlante (v. § 3.4.2). Discipline, campi di studio, esperienze di ricerca che, nei modi e nelle forme più proprie, si occupano di ciò che i non linguisti pensano di lingue e varietà, ovvero dell’insieme di credenze e concetti contestualizzati nelle condizioni di elicitazioni del «mondo della vita quotidiana» (Berger/Luckmann 1991) e/o dell’inchiesta e processati per associazioni fluide nel cognitorium, costituiscono l’oggetto della Language Regard9. Preston spiega che preferisce regard invece che attitude perché quest’ultima, a rigore, ha sempre un contenuto valutativo, e ci sono invece credenze e comportamenti linguistici che potrebbero non averlo, anche se sono rari. Language Regard include la Folk Linguistics e quindi anche la Perceptual Dialectology, la Psicologia Sociale del Linguaggio, la Discourse Analysis, le indagini di Sociolinguistica sugli atteggiamenti (per esempio, Labov 1966), la Sociofonetica. Quest’ampia estensione di metodi e argomenti è ricondotta ai due settori che più da vicino investono il generico settore dell’opinione dei parlanti, le due modalità fondamentali di Language Regard: la Language Attitude Study, delle opinioni principalmente non consapevoli e la Folk Linguistics, delle opinioni principalmente 9

Preston approfondisce e precisa l’etichetta di Language Regard in Preston 2010c.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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consapevoli. Essi corrispondono rispettivamente, al focus percettivo e al focus concettuale della DP. Nel primo caso, gli stimoli proposti agli informatori sono somministrati con voci campione, registrate dal vivo o risintetizzate, di dati linguistici reali che possono essere tratti fonetici, o lessemi tipici di un’area, o sequenze estese di parlato che rimarcano una particolare prosodia. Le tecniche che raggiungono il mondo dei concetti invece utilizzano domande aperte sulla varietà della lingua, come la richiesta di disegnare i confini linguistici di un’area su una mappa o di riferire su differenze o similarità dialettali rispetto ad aree più o meno vicine. Ma, sottolinea Preston, le opinioni principalmente consapevoli sono anche il risultato di processi cognitivi non consapevoli. In altri termini, il mondo concettuale non può evitare i percetti. A loro volta, tuttavia, questi ultimi non possono evitare i concetti. Così, per esempio, l’informatore che, con un’operazione consapevole, sta tracciando sulla carta il confine di un’area dove crede si parli in un certo modo, sta avendo accesso a precedenti percezioni di specifici tratti linguistici che stanno concorrendo alla rappresentazione del confine linguistico soggettivo. 2.1.4 Un modello connessionista per le interazioni metalinguistiche ALS Nello studio delle opinioni dei parlanti sulle varietà di lingua, la complessità delle reti neuronali dà conto della complessità delle interazioni sociali. L’unificazione in un’unica struttura epistemica delle due dimensioni (cognitiva e sociale) passa attraverso la teoria connessionista. Quest’ultima fonda le sue ipotesi sul funzionamento della mente sul presupposto che la struttura mentale è organizzata in reti neuronali. Lo abbiamo visto sopra: ai fini della definizione di modelli per le scienze del linguaggio, l’idea di individuare delle relazioni fra funzionamento delle reti neuronali e interazioni sociali e linguistiche è applicata nel ‘quadrato’ di Preston. Così come, annotiamo, i nodi interazionali si associano nella struttura della rete sociale, allo stesso modo credenze, concetti e affettività sono associati nel cognitorium. In definitiva, la complessità del modello neuronale connessionista dà conto della tendenza alla variabilità sociale. E difatti, in § 2.1.2 si è visto come la teoria dei ‘network neuronali’ sia alla base della definizione di attitudinal cognitorium, l’area dei concetti e delle credenze che Preston utilizza per definire e delimitare il campo della Language Regard. Per un’interpretazione connessionista dei dati metalinguistici che possa anche dare conto delle incoerenze, apparenti o fondate, dei parlanti ci serviamo del modello di network cognitivo elaborato da Ungerer/Schmid (2006, 47-52). Esso ha alcuni pregi che lo rendono interessante ai nostri fini: è recente; è teoricamente morbido, nel senso che è un sistema aperto in quanto consente a ciascuno dei suoi elementi di stare in contatto con tutti gli altri; ed è elementare, nel senso che muove dalle realtà semplici ma senza per questo essere atomistico. È quindi un modello connessionista. Nel successivo paragrafo adatteremo e applicheremo il modello di Ungerer e Schmid ad un gruppo di interazioni del corpus ALS e sosterremo che, sulla base dei

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2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti

dati a nostra disposizione, gli elementi ideologici, identitari e pragmatici di lingua e società si associano non solo per riunione ma anche per opposizione10. Ma prima illustriamo qui le linee essenziali della teoria del network cognitivo proposta dai due linguisti tedeschi. Ungerer e Schmid distinguono fra ‘situazione’, che appartiene al campo dei fenomeni reali ed è la interazione fra oggetti nel mondo reale, e ‘contesto’, che appartiene al campo dei fenomeni mentali. Considerando un segmento tipo di incontro sociale, dove possiamo dire che le parole pronunciate dal nostro interlocutore evochino i corrispondenti concetti mentali che noi abbiamo riguardo agli oggetti del mondo reale (Fig. 2.5). Questi concetti mentali, ai quali gli autori danno il nome di «categorie cognitive», stanno alla base della definizione di ‘contesto’ come «rappresentazione di interazioni fra categorie cognitive», la quale, aggiungiamo, rispecchia le interazioni fra gli oggetti nelle situazioni del mondo reale. Quindi potremmo dire che ‘contestualizzare’ è l’operazione mentale che noi compiamo per associare concetti mentali a oggetti reali. Questa rappresentazione cognitiva non rimane un’isolata esperienza mentale ma è associata alla conoscenza già presente in memoria. Il modo per noi più interessante in cui tale associazione si esplica è quando i contesti che si riferiscono ad una frase del tipo «Il ragazzo sta costruendo un castello di sabbia con il suo secchio di plastica e la vanga» (ivi, 48) evocano (si associano a) categorie ad essi collegate (per esempio: acqua, mani, conchiglia, torretta, ponte levatoio, etc.) oppure interazioni fra categorie, del tipo ‘scavare nella sabbia’, o ‘costruire una torre’, etc. Questo significa che le categorie cognitive non dipendono solo dal contesto immediato in cui si trovano collocate, ma anche dal fascio di contesti che sono associati con il contesto immediato. Questo fascio di contesti si costituisce e si modifica in relazione alle esperienze e ai fenomeni che incontriamo nelle interazioni della vita sociale, le quali portano anche il segno del peso della tradizione11, ovvero, in un senso molto ampio, di tutto quanto ci è accaduto prima di quel momento interazionale. Seguendo ancora Ungerer e Schmid, quest’insieme interrelato di avvenimenti e relazioni organizzati in fasci di contesti e riferiti ad un dato campo, è definito ‘modello cognitivo’12 (Fig. 2.6, nell’ esempio: il modello cognitivo «on the 10 L’intero Cap. 6 sarà dedicato alle modalità di opposizione rilevate nel nostro corpus. Come vedremo, un’importante tipologia individuata è l’opposizione dicotomica. 11 È qui opportuno osservare che il ‘contesto’, nei modi in cui si è illustrato, può direttamente influire anche sulle strutture delle categorie (disomogenee) e dei suoi confini (fuzzy), per cui esso può indebolire la pesantezza di un attributo o enfatizzarlo. Nel primo caso diciamo che si ha una perdita di relevance, nel secondo un potenziamento. In tema di salienza linguistica questa dipendenza della relevance dal contesto ha trovato precisa formulazione in Kerswill/Williams 2002 che hanno illustrato le relazioni tra i fattori di salienza interni alla lingua e quelli extra-linguistici (v. § 5.1.2). 12 Un’altra caratteristica di questi modelli è che, pur essendo per definizione essenzialmente cognitivi e psicologici, dipendono dalla cultura nella quale una persona è cresciuta e vive. In sostanza, la cultura è il background per le situazioni di costruzione di un modello cognitivo. A questo proposito Ungerer e Schmid sottolineano che tutto sommato i modelli culturali sono quei modelli cognitivi condivisi da coloro che appartengono ad un dato gruppo, comunità, etc.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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beach»), caratterizzato da tre importanti proprietà: è ‘aperto’ perché in ogni istante modificato per via delle interazioni sociali di ogni livello; è ‘interrelato’ con i modelli cognitivi di altri campi; è ‘onnipresente’13. L’insieme delle relazioni fra le categorie illustrate in Fig. 2.6 è esplicitato da Ungerer e Schmid nel ‘modello di network cognitivo’ (Fig. 2.7), del quale, per l’appunto, nel paragrafo successivo proporremo un esempio di applicazione al corpus metalinguistico ALS.

Fig. 2.5 ‘Situazione’ e ‘contesto’ in riferimento alla frase «The boy was building a sandcastle with is bucket and his spade» (Ungerer/Schmid 2006)

Il modello in Fig. 2.7 mostra come elementi in apparenza lontani in realtà risultino associati attraverso la rete di relazioni: ad esempio, ‘sole’ si associa anche con ‘lavoro’ attraverso l’elemento intermedio della rete ‘vacanza’; e via di seguito. Questo permette anche di rilevare come anche ‘sabbia’ e ‘spiaggia’ si associno con ‘lavoro’. Tutti questi elementi quindi istituiscono una rete di connessioni cognitive. All’interno del progetto ALS i modelli connessionisti sono stati già utilizzati per la rappresentazione dei dati attraverso ‘carte irradiazionali’ (D’Agostino/Pennisi 1995, 40-41): Nei modelli connessionisti la rete artificiale simula il comportamento neuronale del cervello – formata da una serie di nodi interconnessi- […] La [loro] particolarità, rispetto al modello com-

È per tale motivo che modello cognitivo e modello culturale si comportano come facce della stessa medaglia. 13 È facile constatare come siano queste le stesse proprietà del modello di Albarracin et alii su cui Preston basa quello che abbiamo chiamato il ‘quadrato’ della DP.

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2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti putazionale classico, è che la trasformazione dell’input in output tiene conto dell’insieme simultaneo che i segnali dei diversi nodi trasmettono ad un dato componente della rete. […] Le carte irradiazionali si ispirano a questo modello, semplificato e ridotto all’essenziale. (ibidem)

Fig. 2.6 Modello cognitivo di «On the beach». Tra parentesi, le ‘categorie superiori’ e i modi in cui interagiscono nei ‘contesti’ (Ungerer /Schmid 2006)

Fig. 2.7 Modello di un network cognitivo (Ungerer/Schmid 2006)

Sono queste le stesse caratteristiche che ci consigliano ancora oggi di utilizzarlo per le interazioni metalinguistiche a partire dall’ipotesi di Ungerer e Schmid.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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2.1.5 Riunioni e opposizioni nella rappresentazione linguistica In questo paragrafo applicheremo ad un gruppo di dati ALS il modello connessionista del network cognitivo proposto da Ungerer/Schmid (2006). Le interazioni che utilizziamo si riferiscono al Nonno di Famiglia 5 (un’informatrice di istruzione alta, prima lingua dialetto) di Termini Imerese, comune dell’area metropolitana di Palermo. La scelta non è casuale, infatti l’informatrice non è nata nella cittadina di residenza, Termini Imerese, ma vi si è trasferita in seguito al matrimonio lasciando il paese di nascita, Aliminusa14. Abbiamo voluto verificare il modello in condizioni molto idonee a pronosticare il determinarsi di fenomeni di alto conflitto identitario. Il primo blocco sono le interazioni relative alle domande 16, 17, 18 della seconda parte del questionario: 3. I1: io per esempio ad Aliminusa. R2: mi fa degli esempi? I3: e a Termini. / ad Aliminusa si parla un siciliano, ma non è così cadenzato, così volgare come questo di Termini. R4: lei pensa che quello di Termini è più [volgare?] I5: [più | sì. sì.] è più::… / che so alla Marina:, e cosa, tip+ | dicono quel quel parlare così:: / brutto, così: stretto, cadente, che certe volte non si capisce quello che vogliono dire. R6: mi può fare proprio degli esempi con delle parole, magari che ha sentito ad Aliminusa che sono diverse di quelle che dicono a Termini? o anche | no Aliminusa, magari I7: in paesi [vicini.] R8: [vicini.] I9: /// che ti debbo dire? // per esempio qua -come dicono- // “a ṣṭṛùmmula.” R10: che cosa è? I11: è “la trottola.” R12: mhmh. I13: e qua la dicono “a ṣṭṛùmmula.” R14: I15: invece ne+ | nei paesi così, ti dicono // “a truttula” “a truttula.” e invece qua dicono, “a ṣṭṛùmmula.” perciò è molto diverso. vai a capire (sta ṣṭṛùmmula) che cosa è! R16: quindi lei mi sta dicendo che il dialetto dei paesi, di [Aliminusa] I17: [] per Aliminusa, io lo capisco meglio di questo qua di Termini proprio:: di questo:: basso ceto voglio dire và. R18: pe+ | forse perché lei, c’è nata:: là, e quindi magari era più abituata? I19: forse. / avevo l’orecchio più::… R20: [abituato a quel dialetto.] I21: [abituato::: a:: quel dialetto.] R22: e quindi quello | questo di qua le sembra per questo più [rozzo.] I23: [sì.] R24: più rozzo. (NF5 Termini Imerese - PA)

14 Termini Imerese e Aliminusa distano poco meno di 30 chilometri.

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2.1 La svolta cognitiva nello studio delle opinioni dei parlanti

Siamo anche interessati a capire come l’informatrice percepisce la variabilità intraurbana, in modo da verificare se il modello funziona con dati plurali. Ecco l’interazione alla domanda 26, seconda parte del questionario: «Secondo Lei, c’è un quartiere della Sua città dove si parla di più in siciliano15?»: 4. I1: sì R1: e lei come se lo spiega? perché in questi quartieri si parla di più il siciliano? I2: perché non c’è quell’istruzione, -per lo più-, che si hanno in questi quartieri più::: // più di gente benestante, più di gente istruita, più di gente… così. ci sono proprio: la gente:: ignorante, perciò:: che giocano in mezzo alla strada, i bambini, che hanno tutt+ | e perciò c’è questo linguaggio ben diverso da un quartiere all’altro.

R3: quindi non per questo. perché si praticano mestieri che richiedono di più il dialetto? I4: sì. per esempio:: u: calzolaio, che c’è:, il pescivendolo… R5: e hanno bisogno xx di studiare [xxx] I6: [xxx] per farsi capire. (NF5 Termini Imerese - PA)

E l’interazione agli input relativi alla domanda 28: «Secondo Lei, c’è un quartiere della Sua città dove si parla di più in italiano16?»: 5. I1: sì R1: e per quale motivo? in questi I2: perché ci sono dei | tutti dei negozianti. perciò, -o volere o volare-, avendo contatto con:: le persone devono parlare, esprimersi la merci+ | esprimere, e: far vedere la merce in: in italiano, camicie, questo e quell’altro… e::: [mostrare.] R3: [quindi] perché sono quartieri di gente ricca e istruita secondo lei? I4: / ma, io penso di sì. che no | che sono ricchi, i più ricchi delle altre zone si capisce. […] R5: o perché:: sono quartieri in cui la gente si conosce poco e c’è poca confidenza? I6: // per due motivi. perché ci sono le banche. e perciò…e perché:: (fora),-penso io-, che essendo tutti, in questi palazzi in queste cose, si conoscono, meno della gente che è nei quartieri popolari e che si frequentano giornalmente. (NF5 Termini Imerese - PA)

15 Si tratta di una domanda a risposta chiusa con le seguenti opzioni: «Sì (quale/i), No, Non so». Nel caso di risposta «Sì», come è accaduto con l’informatrice di Termini Imerese, è prevista un’ulteriore domanda (27): «E come se lo spiega? (Sono ammesse più risposte)» che comprende 4 input: «Sono quartieri popolari, dove abita gente poco istruita», «C’è più attaccamento alle tradizioni siciliane», «Vi si praticano mestieri che richiedono di più il dialetto», «Altra risposta, e cioè…». Il protocollo prevede che gli input siano somministrati una alla volta attendendo con calma le reazioni dell’informatore. Solo alla fine dei turni di risposta ad un input si procede con il successivo. 16 Gli input per la domanda 28 sono i seguenti: «Sono quartieri di gente ricca e istruita», «Sono quartieri in cui non si esercitano più i mestieri di una volta (ci sono uffici, banche…)», «Sono quartieri in cui la gente si conosce poco, c’è poca confidenza», «Altra risposta, e cioè…».

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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La Fig. 2.8 (v. la sezione Carte) mostra il modello dei networks cognitivi delle interazioni dell’informatrice. La parte superiore si riferisce alle percezioni relative a Termini Imerese e ai suoi quartieri popolari. Siamo convinti che l’informatrice associ il centro di residenza a questi ultimi con maggiore forza ideologica rispetto a quanto faccia con i quartieri ‘alti’. Ma se così non fosse, in nulla cambierebbe la struttura del modello. Questa area del network segue fedelmente la proposta di Ungerer e Schmid illustrata in Fig. 2.7. Da qui in poi abbiamo rielaborato la proposta dei sociolinguisti cognitivi tedeschi sulla falsariga dei dati ALS. L’area centrale del network viene da noi definita di transizione fra le percezioni relative a Termini Imerese ed Aliminusa, e si riferisce alla percepita variabilità intraurbana ‘quartieri alti’ vs. ‘quartieri popolari = ‘basso ceto della città di Termini Imerese’. Ma le associazioni sono qui in relazione di connessione-opposizione. Riteniamo, cioè, come abbiamo già sottolineato, che le associazioni cognitive siano anche oppositive. Per il nostro corpus questo va formulato asserendo che le associazioni cognitive sono anche dicotomiche e, come più volte sostenuto, la rappresentazione delle differenze passa attraverso quella di similarità, e viceversa. Questi asserti ribadiscono inoltre che la dinamica dicotomica si fonda anche sui modi delle relazioni di somiglianza (v.§§ 6.1.3 e 6.1.4). Le connessioni-opposizioni sono rappresentate dall’informatrice secondo i diversi modi di vivere e percepire gli spazi: negozi e banche vs. mestieri antichi, condomini moderni vs. bambini che giocano in strada. Siccome si tratta di una zona di transizione, non siamo obbligati per la coerenza dello schema a segnare queste connessioni-opposizioni. Decidiamo di non infittire inutilmente il network che dovrebbe così risultare più leggibile. Per quanto riguarda l’universo percettivo di Aliminusa (area inferiore dello schema) segniamo in rosso le fondamentali connessioni-opposizioni con l’universo percettivo di Termini Imerese (area superiore): italianizzato vs. siciliano; non volgare vs. volgare (‘rozzo’, ‘stretto’, ‘cadenzato’, ‘brutto’); scuola (infanzia) vs. Termini Imerese (oggi); montagna vs. marina. E segniamo in nero le connessioni fondamentali con i modelli cognitivi dell’area di transizione, rispetto ai quali vigono relazioni di somiglianza basate sulla seguente sequenza ideologica: ad Aliminusa si parla meno volgare e più italianizzato di Termini Imerese, così come avviene nei quartieri alti di Termini Imerese. Le connessioni della rimanente parte del network in area bassa tornano a seguire le modalità di Ungerer e Schmid. Il modello dovrebbe avere il pregio di dare conto della natura relazionale di tutti gli elementi ideologici in gioco interpretandone anche i momenti dicotomici oppositivi. Di tenere insieme, nei caos di prestigio e stigma, le diverse dimensioni di spazialità che l’informatrice dimostra di percepire e di raccontare. E di dare conto dell’agire in tutti i livelli dello schema del potente stereotipo ‘italiano’ vs. ‘dialetto’17.

17 In particolare, v. il § 6.2.2.

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2.2 Un modello costruzionista per le interazioni metalinguistiche ALS

2.2 UN MODELLO COSTRUZIONISTA PER LE INTERAZIONI METALINGUISTICHE ALS Questo capitolo, dedicato agli strumenti metodologici e teorici utili alla DP per l’interpretazione delle opinioni dei parlanti, si è aperto con l’universo-‘cognizione’. Nell’iniziare adesso ad occuparci dell’universo-‘testo’ avvertiamo che l’ordine di trattazione è casuale, sono difatti i confini tra i due universi sfumati: ci pare, questo, il modo appropriato di interpretare la matrice cognitiva del ‘quadrato’ di Preston, oppure il modello di Bassili e Brown. Iniziamo con un’asserzione che ci pare postulato essenziale della DP: le connessioni associative (delle quali pure si occupa la neo-psicologia sociale) e anche oppositive, sono il riflesso e riflettono le reti di relazione costruite durante il tempo della vita quotidiana. In quanto postulato è esso esposto ai rischi dell’incompiutezza, specie e per esempio nel risolvere quelle perplessità che consiglierebbero maggior cautela nel riunire in un unico super-modello strumenti edificati nell’ambito delle teorie della cognizione (connessionismo) con altri di natura marcatamente socio-interazionale (costruzione sociale). Senonché, riteniamo che l’incontro tra i due settori di studio e di indagine costituiscano un punto di forza piuttosto che una debolezza. In questa sede, quando facciamo riferimento al costruttivismo vogliamo riferirci ad un approccio di tipo ‘socio-culturale-interazionista’, a partire dal quale abbiamo elaborato un modello ‘utile’ alla DP che sarà descritto specificamente nel successivo paragrafo. Nella etichetta ‘socio-culturale-interazionista’ compendiamo le spinte ‘interazionali’, l’attenzione alla ‘cultura’, il respiro della ‘socialità’. I tre elementi sono i filoni di ricerca sviluppatisi dal costruttivismo socio-interazionista (Varisco 1995, 59), a sua volta «espressione del cognitivismo ecologico di 2ª generazione, quello che […] considera nella persona la sua dimensione biologica, la sua storia evolutiva, il suo contesto sociale, quello culturale e quello tecnologico», rimarcando la «particolare attenzione ai contesti del vissuto umano» (ibidem). La conoscenza, in quanto prodotto ri-negoziato delle interazioni socio-linguistiche, sotto questa prospettiva è «prodotto socialmente, storicamente, temporalmente, culturalmente, contestualmente costruito. Essa è conoscenza complessa, multipla, particolare, soggettiva, rappresentata “da” e “attraverso” persone situate in una particolare cultura, in un determinato momento temporale» (ivi, 58). Un modello di questo tipo, di natura chiaramente pluridimensionale, è il naturale approdo del costruttivismo e del costruzionismo dentro il testo, cioè narrativo, capace di dirci qualcosa sul ‘discorso interazionale’. 2.2.1 Costruzione narrativa e relazione La costruzione narrativa alla quale intendiamo riferirci, la co-costruzione del dato nel momento della sua elicitazione nell’inchiesta, non solo è parte della costruzione sociale, ma ne è pure metafora.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione soc iale

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Questa impostazione teorica sul mondo e i suoi processi risale alla metà degli anni settanta ed è giunta fino ad oggi come preciso statuto disciplinare di tutti quegli orientamenti che si rifanno al costruzionismo sociale e al suo caposcuola Kenneth Gergen (in particolar modo 1973, 1985)18. Il significato, esito delle attività di costruzione, non è semplicemente un nucleo di senso, un sistema di referenze, un’attività interpretativa, ma anche procedura rappresentazionale attraverso la quale l’uomo determina il mondo. È questo il modo più aperto per dichiarare che il processo di rappresentazione ha sempre bisogno dell’alterità, se non altro perché concorre a determinarla. L’altro è la ‘relazione’. La co-costruzione nei modi del costruzionismo è la co-rappresentazione relazionale. Detto con estrema esplicitezza, teoria della costruzione e teoria della relazione esprimono processi che si unificano nella dimensione del tempo di vita quotidiana. L’asserzione costruzionista secondo la quale tutto ciò che ha significato nasce dalle relazioni, non sancisce la legittimazione d’un collettivismo partecipato di lingua e demografia all’interno di una comunità, ma mira a qualcosa di più profondamente iscritto nella pratica sociale. Le relazioni che sono qui chiamate in causa non sono un concetto descrittivo, che ci dice che le persone stanno spesso insieme. Si tratta di qualcosa di più forte, di un modo di intendere l’esperienza umana come strutturata dalla relazione dell’ambiente sociale e fisico. (Mantovani 1998, 194)

Parafrasando le parole di Gergen 1994 in un punto cruciale del suo saggio: affermare come facciamo che ciascuna identità è sospesa in un assortimento di relazioni, non significa affatto sostenere che le identità sono individuali. Gergen lo dice chiaramente in più punti: «le identità non sono mai individuali». Il mondo costruito nelle relazioni tra le identità è il mondo ‘raccontato’ nelle pratiche narrative. La realtà, cioè, è una costruzione discorsiva all’interno di «comunità di discorso»: l’uomo, parte e artefice di «comunità di interpreti» (Pontecorvo/Ajello/Zucchermaglio 1991) racconta sé e il mondo e nel medesimo processo costruisce sé e il mondo. Dato che la relazione implica la negoziazione, la precarietà caratterizza costruzione sociale, identità e narrazione come proprietà fondamentale. «L’identità è costruita momento per momento nel discorso, il soggetto è mediato dalle narrazioni che incessantemente lo costruiscono e ricostruiscono» (Mantovani 1998, 195). La precarietà delle relazioni è causa ed esito del molteplice imprevedibile che organizza il mondo. La scommessa del costruzionismo è sancire la pluralità delle forme di organizzazione del mondo e allo stesso tempo gli strumenti per interpretarla. 18 Il costruzionismo sociale di Gergen va senz’altro collocato nell’amplissima area teorica del costruttivismo, all’interno della quale esistono sensibilità diverse rispetto al grado di partecipazione delle componenti psichiche alla costruzione della realtà. Non va però sottovalutato che l’etichetta ‘costruzionismo’ è stata introdotta da Gergen giusto in aperta contrapposizione al ‘costruttivismo’, a parere di Gergen troppo attento alla sola dimensione soggettiva e interna della costruzione. Con ciò Gergen ha inteso sottolineare la matrice sociale dei significati, prodotti della co-costruzione, negoziati, condivisi, ri-negoziati.

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2.2 Un modello costruzionista per le interazioni metalinguistiche ALS

Quando, con la pubblicazione di Social Psychology as History (Gergen 1973)19, incominciarono a diffondersi le posizioni costruzioniste, si era nel pieno trionfo della psicologia sociale interessata più ai risultati del laboratorio piuttosto che ai contesti e alle culture; i dati erano il riflesso delle realtà semplificate, con un punto d’inizio (l’indagine) ed un punto d’arrivo (la realtà). In tali condizioni, era facile muovere al costruzionismo e al suo paradigma l’obiezione «relativista»: se la costruzione è non regolare, variabile al massimo grado di precarietà e se lo sono i modelli di interpretazione del mondo e delle attività di cultura, tutto è precario e non ripetibile, nulla esiste e tutto avviene al di fuori della Storia. In merito alla contestazione relativista, Gergen ha in più occasioni sottolineato che la costruzione discorsiva è la prosecuzione di un «discorso già iniziato» (Gergen 1994)20. Sul fronte sociologico, la presa d’atto dell’interazione sociale e della negoziazione nel processo di costruzione della conoscenza sociale-mai-individuale, ha declinato le proprietà collaborative (Vygotskij 1978) dell’apprendimento cognitivo ‘distribuito’ sulle relazioni ‘interpersonali’; l’attività di mediazione svolta dagli ‘artefatti’ culturali e tecnologici definisce queste ultime nelle forme di proprietà fondamentali (McLuhan/ Fiore [1967] 2011). Ma puntuali riflessioni sulla dialettica tra il qui ed ora della costruzione negoziata e il patrimonio di conoscenze già costruito nella dimensione storica, in una prospettiva di piena aderenza alla negoziazione, all’interazione, alla contrattazione, sono venuti soprattutto da quei settori impegnati nello studio della lingua e della società; nello studio, cioè, della costruzione comunitaria e dei suoi rapporti con il patrimonio di storia e di tradizione co-occorrente agli atti di rappresentazione: il contesto di lingua, di cultura e di identità. Il compito di definire la comunità linguistica, difatti, ha sempre dovuto fare i conti con la chiarificazione del concetto di identità, del come le plurime identità si sommino e strutturino determinando identità gruppali, serrandosi nell’auto-riconoscimento e opponendosi a identità comunitarie altre. In Crevatin 2007 il processo di costruzione dei significati e del mondo è agito da identità tese alla relazione, alla negoziazione del sé, dell’altro e dei confini di lingua e di cultura: È opportuno abbandonare l’etichetta “etnicità” ed il suo implicito valore oggettuale a favore di “identità etnica”, designazione che sposta l’attenzione sul soggetto che costruisce l’identità stessa e/o che la attribuisce ad altri: questa è in sostanza la posizione costruttivista, con una 19 Oltre a Gergen, altre significative voci (ad es., Harré 1974) si levarono contro la psicologia sociale individualista, accartocciata su metodi di misurazione dei fenomeni indifferenti alle rappresentazioni e alle costruzioni dei significati dei soggetti coinvolti nelle indagini. 20 Interessanti argomenti sul carattere non relativistico e non nichilistico del costruzionismo, sono in De Koster et alii (2004, 73): «In accordo con Gergen, che sottolinea come la solidarietà rivesta un ruolo cruciale per la società, riteniamo che sia la conoscenza negoziata a permettere lo sviluppo di valori e principi condivisi e l’investimento nell’interazione e nell’azione comune. Dato che non esiste un’unica verità, le nostre scelte si devono basare su dei valori, e dobbiamo assumerci la responsabilità di ciò che diciamo e di ciò che facciamo».

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione soc iale

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importante precisazione, ossia che per identificare se stessi c’è sempre bisogno di un “altro”, di un diverso da sé, rispetto al quale viene costituito un confine che da una parte delimita e dall’altra consente la mediazione, non una barriera invalicabile, ma un luogo di sempre possibile negoziazione. […] [Un] confine [che] è il prodotto di un processo cognitivo multidimensionale che prevede la selezione di una serie di tratti linguistici, culturali, sociali, spaziali considerati distintivi ai fini dell’autodistinzione: in quanto processo è sempre storicamente contestuato […] detto confine è mediazione e negoziazione e non barriera. (Crevatin 2007, 26-28)

L’opposizione tra ‘etnicità’ e ‘identità’21 dalla quale muove Crevatin, è ricondotta a due visioni concorrenti del mondo: «la prima parte dall’idea che l’etnicità sia un fatto del reale, la seconda che essa sia una costruzione storicamente e culturalmente ascritta» (ivi, 24). La prima è la posizione ‘oggettivista’, la seconda ‘costruttivista’. L’identità costruita e iscritta nella storia è l’identità etnica del costruttivismo. Crevatin individua nella designazione etnonimica la dimostrazione dell’affermarsi dell’identità etnica all’interno della Storia: L’identità etnica equivale di norma al massimo raggio identitario ed è caratterizzata dalla presenza di una designazione etnonimica. A prescindere dal fatto che è molto comune che l’etnonimo più comune sia “Uomo”, il che è una spia di inevitabile etnocentrismo, bisogna prendere atto che l’etnico stesso non è “essenza” meta-temporale, ma un prodotto della Storia e dunque mutevole per ciò che esso contiene e per come lo contiene, per cui conta poco la sua eventuale continuità formale anche in tempi lunghi. (Crevatin 2007, 26-27)

Nello studio delle opinioni dei parlanti, è molto opportuno interpretare la costruzione sociale di Gergen come paradigma della co-costruzione negoziata dei significati, dei referenti, della variazione, nel tempo di vita quotidiana così come nei momenti di elicitazione del dato; ma anche, ed è decisivo, all’interno della Storia. Ovvero, la costruzione sociale è prodotto della Storia, ‘discorso già iniziato’ e, come tale, costrutto epistemico lontano dalla deriva relativista. Tutto ciò infine coinvolge le identità linguistiche (mai individuali); le storie e le narrazioni (il dato, 21 Molte delle riflessioni sul rapporto fra ‘alterità’ e processi di co-costruzione sono nate intorno al concetto di identità (e di identità etnica). Già Fredrik Barth (1969), introducendo la sua opera monumentale in qualche modo fondativa delle moderne indagini sull’identità etnica, rilevava il ruolo fondamentale dei processi identitari nella costruzione delle differenze tra gruppi etnici, tali processi si fondano sulle azioni quotidiane. Le interazioni quindi stanno al centro del processo sociale e costruiscono, «nelle azioni quotidiane», i significati e la realtà, ovvero il ‘sé’ e l’ ‘altro’. Le attività di feedback individuate da Barth tra i livelli micro, medio e macro delle relazioni, lo portano a concludere che un gruppo acquista il senso di se stesso (un sentimento, aggiungiamo, precario e co-costruito) quando esso e i suoi componenti interagiscono con gli ‘altri’. La tenuta di questo equilibrio nell’interazione fra soggetto e mondo in Berger/Luckmann 1991 è descritto in termini di interazioni di significati soggettivi che nella costruzione si fanno realtà oggettive e fattuali. Berger e Luckmann individuano tre stadi del processo di costruzione sociale, attraverso i quali i significati del soggetto si ri-costruiscono in realtà oggettive e fattuali: l’‘esteriorizzazione’, che fissa gli incontri in momenti strutturati di interazione, es. a scuola, fra amici, nelle occasioni di lavoro, di vacanza etc.; l’‘oggettivazione’, segnalata dal linguaggio, è il processo di abbandono dell’’io’ per il ‘noi’: noi compagni di scuola, noi amici, noi colleghi etc.; ‘interiorizzazione’, durante la quale la costruzione delle due fasi precedenti viene legittimata come costruita e socializzata ed è quindi pronta, eventualmente, per essere ricostruita.

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2.2 Un modello costruzionista per le interazioni metalinguistiche ALS

il prodotto dell’elicitazione) che le raccontano, le costruiscono e decostruiscono; le ideologie, vicinanze, distanze, sentimenti della differenza, del tempo, degli spazi: identità individuali in relazione e identità collettive. 2.2.2 La questione oggettivista Il salto dal relativismo al costruttivismo è coessenziale al superamento dell’oggettivismo nel costruzionismo. A questo schema interpretativo va tuttavia anteposto un passaggio teorico: dall’apprendimento cognitivista ante Handbook of attitudes a quello situato. Fondamentale è il concetto di ‘gente comune’, la gente che agisce in situazioni concrete, negozia i significati, costruisce la realtà (oggetto di osservazione irrinunciabile della DP). La rappresentazione è contestualizzata, interazionista, guarda attraverso, è processo di referenza negoziata. I termini negativi dell’elenco (decontestualizzazione, solipsismo, guardare a, referenza fisica) sono propri di un cognitivismo non-ecologico, terreno fertile per le aspirazioni oggettiviste. Le puntualizzazioni di Crevatin dal campo della dialettologia e della etnolinguistica sulla etnicità costruita e culturalmente ascritta (§ 2.2.1) iniziano a delineare lo statuto di una scienza del linguaggio non astorica, non universale, non a priori, non indipendente, e dunque non ‘oggettiva’, la cui definizione anche qui può essere affidata al gioco dei poli semantici positivi: la scienza del linguaggio bisogna che sia storicizzata, idiolettale e/o sociodialettale, situata, funzionale, e dunque costruzionista. In Jonassen 1991, (da Varisco 1995) i punti cardine delle due diverse interpretazioni della ‘realtà’ sono riunite in uno schema di confronto a colonna doppia molto perspicuo, qui da noi riadattato come in Tab. 2.1. La realtà è dunque un processo di costruzione simbolica (sempre), con possibilità di astrazione immaginativa, eteronimo alle categorie, basato sull’esperienza (già acquisita) e sulla percezione (contemporanea all’interazione). Ci è qui facile sostituire ‘realtà’ con ‘tempo di vita quotidiana’ e rilevare come la quarta coppia di relazione proposta da Jonassen possa essere ri-scritta senza traumi all’interno del paradigma dialettologico- percettivo, recuperando le fertili opposizioni: confini del linguista vs. confini del parlante, confini della lingua vs. confini degli usi linguistici, confini etici vs. confini emici. Realtà (mondo reale)

Pensiero Mente Significato

OGGETTIVISMO

COSTRUTTIVISMO

Esterna a chi conosce La struttura può essere modellata

Determinata da chi conosce La struttura fa affidamento su esperienze/interpretazioni Basato sulla percezione/costruzione Immaginativo Costruttrice di simboli Dipendente da chi comprende

Governato dalla/riflette la realtà esterna Elaboratrice di simboli Corrispondente a entità e categorie del mondo

Tab. 2.1 Oggettivismo e costruttivismo a confronto (riadattamento da Varisco 1995)

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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2.3 UN MODELLO SOCIO-CULTURALE-INTERAZIONISTA UTILE ALLA DP Un paradigma costruttivista auspicabilmente utile alla DP può dunque farsi sintesi degli apporti di ciascuno dei tre filoni innescati dal cognitivismo ecologico, rispetto ai quali la variabilità linguistica si dimostra sensibile in quanto funzionalmente relazionata ai processi extralinguistici. Questo connubio di settori disciplinari è espresso dal soggiacente consolidato teorico delle scienze cognitive e dalle rispettive evoluzioni nel campo delle scienze del linguaggio e dello studio delle opinioni dei parlanti sulle varietà di lingua. Le continuità sono segnalate dalle tre parole chiavi: interazione, contesto, negoziazione. APPORTO INTERAZIONISTA = INTERAZIONE DP Il parlante è il soggetto attivo nei processi di rappresentazione del mondo. Tale attivismo (o ‘egoità’ del parlante) è espresso dal ‘principio di interazione’: l’interazione è condizione naturale nella realtà dominante della vita quotidiana e non lista degli episodi della vita. L’inevitabilità dell’interazione va posta alla base dei processi di rappresentazione: così come «trasuda simboli» (Volli 1994), l’uomo “trasuda” anche interazioni. SCIENZE COGNITIVE Centrale al processo di interazione è il rapporto tra le informazioni già acquisite e quelle in corso di acquisizione. Risultato della sintesi è la conoscenza come prodotto dell’interazione della quale l’uomo è il principale artefice. L’asserzione conflittuale, concetto introdotto da Piaget (1975, 192), afferma che l’organizzazione cognitiva è retta e si costruisce attraverso il conflitto cognitivo tra il modo di concepire la realtà e quello che accade realmente, tra le informazioni già assimilate e l’accomodamento a quelle nuove. Il conflitto è innescato dalle interazioni sociali.

APPORTO CULTURALE = CONTESTO DP Il contesto della realtà della vita quotidiana equivale agli usi linguistici e alle relazioni con le rappresentazioni di spazio, società, lingua. Prioritarie a queste ultime sono le funzioni pragmatiche che attraversano la lingua in tutte le sue dimensioni. Il contesto dentro il testo (co-testo) è espresso dalla necessità euristica di individuare l’oggetto di studio della DP non già nei brani di parlato o nei singoli turni interazionali, ma nel ‘discorso narrativo’ in quanto esito della dinamica raccoglitore-informatore. Questa dinamica è fondata sulla Negoziazione costruttivista SCIENZE COGNITIVE Centrale al processo di conoscenza è il contesto definito in quanto contesto d’uso. La conoscenza non ha sede solo nella mente ed è attività cognitiva situata «in cui il sapere cosa non è scindibile, anzi è definito dal dove e dal come» (Varisco 1995, 60, corsivo nell’originale). La conoscenza è azione «sia situata sia distribuita» (Bruner 1992, 105).

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2.3 Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP

Il contesto è il campo dei fenomeni mentali che durante le interazioni vengono associate ai fenomeni reali o situazionali. Questi fenomeni mentali sono le categorie cognitive che entrano in gioco nell’interazione (Ungerer/Schmid 2006, v. § 2.1.4). APPORTO SOCIALE = NEGOZIAZIONE DP I processi rappresentazionali delle lingue, degli spazi, della socialità, sono l’esito di condivisioni e rotture ideologiche, di vicinanze e di distanze. Al centro delle rappresentazioni ‘precarie’ stanno le dinamiche della negoziazione delle varietà e dei suoi tratti, della cultura, della socialità e delle connesse rappresentazioni. Vedremo che il luogo principe della negoziazione è il momento di raccolta del dato in quanto metafora del “tempo di vita quotidiana” (cfr. in particolare § 1.1.2.1 sul modello interazionale globale e costruzione del dato). SCIENZE COGNITIVE Centrale al processo di conoscenza è la negoziazione dei significati che, in quanto tale, è attività condivisa. «Attraverso i processi comunicativi, mediati dai vari linguaggi, il soggetto pratica, insieme ad altri, e poi interiorizza, procedure e strumenti che successivamente potrà impiegare in piena autonomia. La conoscenza emerge, in questa prospettiva, come attività condivisa» (Varisco 1995, 61, corsivo nell’originale).

2.3.1 La costruzione interazionale delle storie e delle rappresentazioni L’approccio di tipo socio-culturale-interazionista qui descritto è un’esigenza iscritta nella natura dei testi interazionali delle indagini sociolinguistiche ALS. In effetti è accaduto che il raccoglitore, mediante le domande 17 e 18 del questionario, ha chiesto all’informatore elenchi di paesi e tratti linguistici della differenza, e ha ottenuto racconti di vita, storie personali, familiari e comunitarie, discorsi narrativi. Ma v’è di più. La somministrazione di input puntuali, più che sollecitare output puntuali, dentro l’intervista è diventata il punto d’inizio di un discorso interazionale co-costruito da raccoglitore ed informatore, in cui il dato linguistico risulta associato, con modalità diverse, ai vissuti esperenziali, alle forme di rappresentazione dello spazio, ai sentimenti di vicinanza e distanza sia fisica che cognitiva; è diventata, cioè, il luogo della costruzione e del racconto delle storie di vita degli informatori. Queste ultime, e gli strumenti metodologici interni ed esterni alla DP utili ad interpretarle, stando così le cose, non potevano che costituire il principale oggetto di indagine. Nel paragrafo successivo esamineremo in quali forme metodologiche il modello del costruttivismo socio-culturale interazionista, in quanto co-costruzione di realtà, cultura, rappresentazioni e percezioni, può essere utile per interpretare le opinioni dei parlanti su lingue e varietà. Come prima tappa, molto succintamente illustreremo l’utilizzo sistematico delle teorie del costruttivismo sociale (Gergen 1994) proposte in Niedzielski (2002), per un’indagine sull’ideologia linguistica nell’area occidentale del Midwest. Seguirà una proposta di applicazione ai dati metalingusitici ALS su un centro del nostro campione: Monreale.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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2.3.2 Dato reale e processo sociale Niedzielski (2002) è un’ indagine sull’ideologia linguistica degli abitanti di Detroit, area a forte «sicurezza linguistica», (auto)rappresentata dai residenti come il luogo per eccellenza dello Standard American English (SAE) 22. Senonché, proprio l’intero Midwest, e non fa eccezione Detroit, è coinvolto in pieno e con molta incidenza dai fenomeni di cambio del «Northern Cities Chain Shift» (NCSS) che ha allontanato ed allontana lo spazio vocalico delle comunità linguistiche dal «canonical vowel space presented in textbooks as American vowels» (ivi, 323). Nell’inchiesta, condotta con il metodo del matched guise,23 gli informatori di Detroit hanno associato a una voce-campione, che credevano vicina al proprio universo linguistico, i tratti fonetici dello standard, a prescindere dalle produzioni linguistiche reali, attestate nell’area, che invece presentavano tutte le varianti innovative attribuibili al NCSS. Come mai gli abitanti di Detroit non sembrano percepire il cambio che ha interessato e sta interessando le vocali presenti nel proprio repertorio? Niedzielski ritiene che la teoria del costruzionismo sociale di Gergen (1994) possa costituire un efficace strumento interpretativo: «a person’s identity (in this case, the identity of “Speaker of SAE”) is created –must be created in fact- within the context of social interaction» (ivi, 326) in forza di un linguaggio che si fa «interactive medium» in quanto «there are no principled constraints24 over our characterization of states of affairs» (Gergen 1994, 49, cit. in Niedzielski 2002, 326). Ciò comporta che «no direct correspondence to reality whatever that is – in this case, perhaps the “reality” of the acoustic signal» (Niedzielski 2002, 326). Dal che ne consegue che «the degree to which a given account of … the self is sustained across time is not dependent on the objective validity of the account but on the vicissitudes of the social process» (Gergen 1994, 51, cit. in Niedzielski 2002, 327), ovvero dagli ‘usi linguistici negoziati’, ovvero dalle ‘caratterizzazioni’. L’identità del sé e della propria comunità può rimanere stabile anche se la realtà muta; le vicissitudini del processo sociale sono più potenti della realtà linguistica. Gli abitanti di Detroit, 22 La ‘sicurezza linguistica’ di Detroit, la città più importante del Michigan, in pieno Midwest, è attestata in Labov (1966) e a più riprese da indagini che hanno utilizzato differenziali semantici di correttezza vs. non correttezza (Preston/Robinson 2005) e domande aperte e conversazioni libere (Niedzielski 1995). In più, tale sicurezza linguistica «has been erroneously attributed, even by some linguists» (Niedzielski 2002,321). 23 A quarantadue informatori di Detroit è stata fatta ascoltare prima una voce di donna che presentava tutte le vocali esito del NCSS e successivamente una lista di sei vocali risintetizzate, disposte lungo il continuum varietistico ‘iper-standard vs. locale’, con elemento medio la variante canonical. Agli informatori è stato detto che la ricerca era realizzata nell’ambito di un progetto per la realizzazione di un programma di sintesi di parlato e che la voce campione era di una signora di Detroit o di Windsor (Ontario) centro confinante a sud con Detroit, uno dei varchi di frontiera fra Usa e Canada. La prova degli informatori è consistita nel dover scegliere fra le vocali risintetizzate quelle che più si avvicinavano a loro parere alle vocali prodotte dalla voce campione. Nella quasi totalità dei casi, essi hanno scelto la vocale canonical. 24 Con le etichette ‘vincoli’ e ‘restrizioni sociali’ Niedzielski definisce la realtà linguistica oggettiva, in una comunità, in un tempo e in un luogo dati.

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2.3 Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP

conclude Niedzielski, per rimanere convinti della propria identità di parlanti standard «they would need to have this identity confirmed through most of their social interactions» (Niedzielski 2002, 327), ovvero attraverso e durante gli incontri di lavoro, studio, svago …, durante i quali incontrano e negoziano lingue e identità. Le interazioni più interessanti, in questi casi, sono quelle in cui essi, posti di fronte a parlanti di varietà diverse, sentono chiedersi: «Sei di Detroit?». A quel punto, le loro reazioni convergono verso l’affinamento di sofisticate strategie identitarie di autodifesa, facendosi capaci di attribuire il riconoscimento ad una occasionale e personale tipicità linguistica, e di sgravare la dimensione comunitaria dalla marca socio-linguistica (perché a Detroit si parla lo standard «corretto e senza accento»). 2.3.3 La costruzione negoziata del ‘riscatto’ e del ‘riconoscimento’ Una prima e provvisoria applicazione della nostra griglia di parole chiave alla ricerca di Niedzielski, esprime quanto segue: le interazioni sociali, motore dei, luogo in cui, le rappresentazioni assumono determinati profili, agiscono sulle identità; il processo non è statico né definitivo ma eccitato dagli ‘incontri’25, dalle vicissitudini del ‘tempo di vita quotidiana’; il processo è precario in quanto le identità non sono determinate ma negoziate; ancora: il processo è precario in quanto anche usi linguistici e contesti d’uso sono oggetti di negoziazione e non determinazioni stabili. In questo paragrafo utilizzeremo il modello costruttivista socio-culturale interazionista considerando le interazioni metalinguistiche ALS degli informatori di Monreale nelle quali si fa spesso riferimento a Palermo, comune capoluogo di regione. Dall’analisi dei dati, infatti, è emerso uno stretto legame e una forte affinità tra le strategie di autodifesa ideologica degli informatori di Detroit illustrate da Niedzielski che si confrontano con i parlanti non residenti, e gli atteggiamenti palesati dagli informatori di Monreale rispetto ai parlanti di Palermo. In entrambi i casi, inoltre, un ruolo fondamentale è giocato dagli incontri e dalle interazioni che gli incontri stessi attivano e dalla rappresentazione delle spazialità socio-cognitive. I territori di Monreale e Palermo confinano senza soluzione di continuità e sono collegati, fin dal ‘500, da uno degli assi viari di accesso al capoluogo, Corso Calatafimi, il quale prima di inoltrarsi nel territorio monrealese e assumere i suoi toponimi, lambisce l’area significativamente chiamata Mezzomonreale. Attraverso tale asse, in dieci minuti, traffico permettendo, possono essere raggiunti i quartieri centrali dei due abitati. Lungo questa via di comunicazione Palermo si è espansa giungendo fino alla porta di Monreale, prima con insediamenti di villeggiatura della nobiltà cittadina, poi di ordinaria residenza, con un’impennata molto consistente alla fine della seconda guerra mondiale. Ci troviamo in un importante contesto geo-economico, una fetta parecchio significativa della realtà metropolitana palermitana. Le dinamiche gravitazionali, oltre ad attestare il prevedibile ruolo attrattivo di Palermo per i servizi e il commercio 25 Per gli incontri internazionali nel corpus ALS, v. in particolare § 7.2.1-2.

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all’ingrosso e un po’ anche per quelli di primo livello, danno conto della fitta mobilità micro-areale26. Il quadro d’area in sintesi restituisce intense relazioni di rete in tutti i settori. L’alta densità di rapporti sembra inoltre trovare conferma dai parlati spontanei e dai dati metalinguistici, sulla base sia delle tabelle quantitative restituite dal sistema di interrogazione della banca dati ALS, sia dei discorsi interazionali. Dalle prime risulta che 11 informatori di Monreale sui 17 del campione, rispondendo alle domande del questionario ALS sull’avvertimento della differenza linguistica, indicano Palermo ed individuano i seguenti tratti: dittongazione di /e/, /o/ toniche specie nella forma del dittongo discendente; allungamento vocalico; strascico; intonazione e cadenza. Quanto alle interazioni alle domande metalinguistiche 17 e 18, esse ci informano delle pronunciate connotazioni ideologiche dei parlanti monrealesi rivolte ai palermitani. Infatti, 4 informatori di Monreale rappresentano ed auto-rappresentano la propria varietà più elegante e “meno sboccata”27, in un caso rivendicando una maggiore ‘italianità’28. Un informatore auto-attribuisce alla propria comunità l’uso di lessemi dell’italiano ai quali oppone i corrispettivi dialettali della varietà palermitana29. Un altro informatore dichiara che “oramai Monreale si è modernizzata molto”30. Inoltre, sovente gli informatori di Monreale segnalano la presa di distanza dalla varietà dialettale di Palermo con vivaci descrizioni del dittongo non condizionato31. Quindi tutti i dati concorrono a definire un contesto ideologico molto esposto alle attività di opposizione ideologica e, in considerazione della diffusione profonda e quantitativamente significativa di tale forza ideologica sia nella sfera diastratica che in quella linguistica, alla cristallizzazione in forme condivise stereotipizzate32. I parlati indotti a codice bloccato si dimostrano strumenti metodologici altrettanto idonei a comprendere le dinamiche sociali e culturali che fanno dello stigma l’oggetto della negoziazione e della costruzione sociale. Per la verità, come pure abbiamo verificato sopra, i dati metalinguistici quantitativi e qualitativi, tutto sommato sarebbero già sufficienti. Ma il loro omogeneo convergere verso forme di rappresentazione molto condivise, consigliano di sondare atteggiamenti e valutazioni degli informatori anche attraverso il più alto livello disponibile di estemporaneità linguistica ed affettiva, per l’appunto il parlato, sebbene a codice bloccato.

26 Gli spostamenti pendolari di Monreale su Palermo attestano 5508 unità in uscita e 912 in entrata (dati ISTAT 2001 in D’Agostino/Ruffino 2005, 177-180), la più massiccia mobilità giornaliera dell’area del palermitano. 27 «La nostra pronuncia rispetto al palermitano è molto più pulita diciamo che ha un suono meno sboccato rispetto al palermitano» (GF4); «Noi parliamo con voce più bassa non c’è sta cantilena … insomma più a modo» (GF5); «È cchiù schifiatu» (Adol. 1). 28 «[a Palermo] c’è un altro tipo di dialetto. io parlo italiano» (FF1). 29 Borsellino vs bburzillinu; borsa vs. bburza (GF3). 30 Si tratta del NF5. 31 «Ci fannu sta sunata» (NF2); «Allungano con cadenze» (GF5); «Ci mettunu tipo na cosa cchiossà» (Adol. 1). 32 Discuteremo dello stereotipo, in particolare dal § 5.2 al § 5.3.4.3.

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2.3 Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP

Il range di valutazioni e atteggiamenti emerso dai parlati indotti può essere ricondotto a due poli identitari ed ideologici, che qui definiamo del ‘riscatto linguistico’ e del ‘riconoscimento sociale’, due forze in tensione negoziata, così rispettivamente caratterizzate: a) opposizione ideologica e pregiudizio linguistico del centro più piccolo e meno dinamico verso il centro più grande e dinamico, dal quale si sente minacciato e violato nella sua identità sociale e nella sua integrità fisica; b) riconoscimento del capoluogo come il polo forte d’area e di Regione, dotato di un prestigio largamente condiviso, sebbene minacciato dalla concorrente immagine del degrado politico e culturale. La forza per tendere al riscatto si origina dalla constatazione attiva che è possibile stigmatizzare Palermo e molto più spesso la sua lingua; l’ammissione del riconoscimento, dalla presa d’atto del suo valore di città e di capoluogo. Tutto quanto gli informatori di Monreale non si sentono legittimati a sostenere riguardo la sfera sociale ed economica di Palermo, possono riscattarlo nella rappresentazione della varietà di lingua, che è +dialettale, volgare, sguaiata, etc . Le storie degli informatori di Monreale che in gradi e modi diversi esprimono queste dinamiche riflettono le rappresentazioni plurali degli spazi fisici e cognitivi, con referenti molto spesso individuati e indicati con precisione. Esse inoltre sono sempre innescate dall’esperienza degli incontri interazionali che proliferano nella normalità del tempo di vita quotidiana a ragione dall’alto livello di mobilità dell’area. Gli incontri, infine, possono restare impliciti nei testi ovvero assumere forma narrativa. Abbiamo classificato le storie interazionali sulla base delle rappresentazioni spazio-cognitive che i monrealesi fanno della comunità palermitana (comunità di pratiche e di lingue): SPAZIO DI AGGREGAZIONE SOCIALE Il racconto dell’informatrice più giovane

della Famiglia 1 di Monreale del primo appuntamento con il fidanzato rievoca Piazza Politeama, uno dei luoghi principali di socializzazione dei giovani a Palermo (Amoruso/Ruffino 2006): 6. R21: il primo appuntamento voglio sapere štu primo appuntamento dove fu. I22: u primu appuntamentu fu | tû rricoiddi? io umm-û rricoiddu. a nnovembre mi pare. R23: la prima uscita importante. siete andati a mangiare. I24: ah! quella importante è stata il quattordiçi di febbraio che llui mi ha ddato il primo baçio molto bello. e ḍḍà mi cunzumavu. R25: dove siete andati. / unn’aviti štatu. I26: emu nPaleimmu. R27: a mmanciari?

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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I28: sì. lui mi ha por+ | iḍḍu mi puittò al Politeama a mmanciari un bbellu paninu. bbuono. ca ìu mi vriugnava, e iḍḍu ntô secunnu su calò. e io tutta | e io tutta «aspetta aspetta.»33 xxx (FF1 Monreale - PA)

SPAZIO DELL’ EGEMONIA ECONOMICA E DEI SERVIZI Il ruolo di Palermo polo

urbano attrattore di flussi di mobilità legati al consumo dei servizi, emerge dalle parole del Nonno di Fam. 5. Nella prima parte dell’interazione l’informatore racconta dei viaggi del padre, titolare di una rivendita di tabacchi a Monreale, alla volta dell’agenzia delle entrate di Palermo sita a Piazza Marina, per fare rifornimento di sigarette e marche da bollo. Lo scambio interazionale continua con il racconto dell’esperienza scolastica dei figli: uno ha frequentato il primo anno di scuola superiore a Palermo perché a Monreale non ci sono istituti di pari livello; l’altro ha conseguito la laurea sempre nella città capoluogo di regione: 7. I6: pi gghiri a pprelevari i tabbacchi, me paṭṛi ìa a Ppalermu a ppiazza Marina! ca na vota mi cci purtò puru a mmìa […] cci pozzu riri | cc’era il coso delle finanze. xxx il bollo. me paṭṛi mm’inzignò a gghiri e bbèniri pû tabbacchino. fàricci u bbollo, i cosi34 […] […] R69: e qquindi sono tutti laureati i suoi figli? I70: sì. tutti. R71: tutti hanno studiato? tutti l’università? o forse qualcuno avrà raggiunto I72: no. a quinta | fino alla | â:: terza me+ | fin’a xx superiori 35 do+ xx | la terza media. il pri+ | primo anno superiore e poi bbašta. // a Mmorreale non cce n’erano. […] R75: ma hanno frequentato però l’università? I76: sì! sì! l’unive+ R77: laureandosi pure? I78: tutti. chiḍḍi chi èranu xx no alla terza elementare, ch’era prima media. façìanu a šcuola. […] i professori i mittìanu â catteḍṛa. dice «guidami ccà, ca ora vegnu.» 36 e io R79: ma qualcuno dei suoi figli si è llaureato? I80: sì sì. R81: quanti su per ggiù? / uno o due? I82: tutta | laurea+ | tutti èranu diplomati. R83: e llaureati? / l’università? qualcuno l’ha fatta? o no? / o tutti diplomati? I84: uno. ca ìu a Ppalermo.37 a Ppalermo. 33 R21: il primo appuntamento voglio sapere questo primo appuntamento dove è stato? I22: il primo appuntamento? Chi se lo ricorda! Non me lo ricordo … a novembre mi pare R23: la prima uscita importante siete andati a mangiare? I24: ah! quella importante è stata il quattordici di febbraio che lui mi ha dato il primo bacio, molto bello, e da lì abbiamo iniziato R25: dove siete andati, dove siete andati I26: siamo andati a Palermo R27: a mangiare? I28: sì, lui mi ha portato … lui mi ha portato al Politeama a mangiare un bel panino, buono, io ero imbarazzata ma lui ha divorato il panino in un secondo! (FF1 Monreale - Pa). 34 Per rifornirsi di tabacchi mio padre andava a Palermo a Piazza Marina! Una volta mi ha portato con lui […] le posso dire che c’era l’ufficio delle finanze, l’ufficio del bollo, mio padre mi ha insegnato ad andare e venire a comprare i bolli e atre cose per il nostro tabacchino. 35 No, la quinta elementare, poi la terza media e il primo anno delle scuole superiori. 36 Tutti. Quelli che frequentavano la terza elementare, la prima media […] i professori li mettevano alla cattedra e dicevano loro: «guida la classe, torno tra poco». 37 Uno, che è andato a Palermo [all’Università].

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2.3 Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP R85: si è llaureato? I86: cci-u purtava nna zzìa mìa38, perchè frequentava l’università. e a Mmorreale non cc’era l’università. (NF5 Monreale – PA)

SPAZIO DEL RISCATTO SOCIALE Il giovanissimo informatore di Monreale affida

la scommessa di soddisfare le proprie aspirazioni e diventare “qualcuno importante”, alla possibilità di trasferirsi in una delle due realtà che egli sembra ritenere all’avanguardia nella formazione all’informatica, a Palermo oppure in Giappone: 8. I16: eh:: i compagni sunnu un’antìcchia šbintati. // ci sunnu aiccuni chi un štùrianu. un fannu niente, però i promuovono u stessu e àvuṭṛi chi ssi rrùmpunu u culu, però escono chî voti | per esèmpiu reçi in paggella. / io sunnu tipu a vìa ri mmìenzu né faccio ṭṛoppo né faccio poco. R17: u ggiuštu. I18: u ggiuštu diçiamo. che mâ ca+ | mâ sugnu cavata. R19: e qquindi mi hai de+ | dop’â scola chi bbo fari. mi dicevi antura I20: vu iri nall’univeissità ri compiuter. picchì mi piacciono i computer. e spero chi ppuozz’addivintari quaiccunu impoittanti. R21: a Ppalermo, o ti nni vo iri? I22: a Ppaleimmu poṭṛebbe essere n’oppoittunità. / però: mi piaçerebbe pure iri in Ggiappone. picchì ḍḍà sunnu tutti eleṭṭṛonizzati. riçiamu: ch’è u çenṭṛu cchiù sviluppatu39.(Adolescente 2 Monreale - PA)

SPAZIO CONDIVISO DELLA RITUALITÀ TRADIZIONALE Il complesso rapporto

tra Monreale e Palermo è espresso nel settore delle pratiche e delle ritualità tradizionali in termini di confronto ma anche di condivisione. Il Genitore di Fam. 5 di Monreale dopo aver descritto la famosa ricetta della pasta con i broccoli,ritiene di dover precisare che essa è tipica di Monreale ma anche di Palermo (“Monreale e Palermo è la stessa cosa”). Nello stesso informatore, la rievocazione della più importante festa religiosa di Monreale (il ‘Crocifisso’) determina quasi automaticamente il parallelo con la più importante festa religiosa di Palermo (‘Santa Rosalia’): “Come a Palermo c’è la Santuzza, a Monreale c’è il Crocifisso”. Entrambe le festività religiose, molto ben radicate nel sentire delle due comunità, sono pregne di significati e di pratiche folcloriche ed antropologiche ancora vive. 9. R7: conosce riçette… I8: sì. 38 Sì, lo accompagnava una mia zia. 39 I16: I compagni di scuola sono un po’ irresponsabili. Alcuni non studiano, non fanno niente però li promuovono ugualmente, e ci sono altri che studiano tantissimo (“si rompono il culo”) e alla fine prendono buoni voti in pagella, ad esempio dieci, io sono tipo nella via di mezzo, né faccio troppo né faccio poco R17: il giusto I18: il giusto diciamo, che me la cavo R19: e quindi, mi hai detto … dopo la scuola che vorrai fare, mi dicevi poco fa … I20: voglio andare all’università dei computer perché mi piacciono i computer e spero che posso diventare qualcuno importante R21: a Palermo, o te ne vuoi andare? I22: a Palermo potrebbe essere un’opportunità però mi piacerebbe anche andare in Giappone perché là sono tutti ‘elettronizzati’, diciamo, perché è un Paese più sviluppato.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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R9: quali ad esempio. […] I22: = piaçe. / io arriv’â casa praticamente. / accatu i vròcculipraticamenti. i vùgghiu, i taglio a ppezzettini, preparo çipuḍḍa abbondantemente, / olio d’oliva, e qquindi i taglio a ppezzettini. cci sciògghiu a sarda salata praticamente. cci mettu i vròcculi / i fazzu còçiri tutto così, e ppoi atturru a muḍḍica. / muḍḍichî pani di frumentu R23: così. I24: così. / e qquindi a pašta. inzomma maccarruncinu oppuru špaghe+ xx ggiustamente si ve+ | quando il ccondimento è ppronto, la pašta è ppronta. perché a pašta si coçi nnô vroru ra | rî vròcculi. R25: xxx I26: sì. perché s’assapora e qquindi poi si fa saltare un pochino la padella si cci mette a melanisa praticamenti fatta chî vròcculi| cci si può aggiungere anche i sardi salati. / se non c’è a sarda fresca oppure a sarda salata. e qquindi per esserci il gušto pesante. // oppuru chiḍḍa chî sar+ | chiḍḍa chî finocchi e ssardi classica pure. / ma comunque io mi trovo tranquillamente perché quando arrivo â casa R27: è un piatto tipico di Morreale. I28: di Morreale. ma no. Morrea+ e Ppalermo è la stessa co+ inzomma. siamo sempre llà.= […] R51: qualche festa. / qualche festa qua xx paisi. I52: qua a Mmorreale u ṭṛi mmàggiu cc’è uno due e ṭṭṛe mmaggio praticamente, il ccroçifisso. e llo portano a spalla R53: in dialetto. I54: sì. e:: u pòrtanu tutti i fratelli del croçifisso. praticamente sono dueçentoçinquanta fratelli che si alternano çento a vvolta. e llo portano il tre mmaggio. // la festa dura çi+ | molto spesso da uno a ccinque maggio. perchè molto spesso cade pure la domenica. allora fanno uno due tre quattro e ccinque maggio. R55: in dialetto. I56: uno maggio è ffesta del lavoro, / due può essere sabbato, ṭṛi a rumìnica, / quaṭṭṛo, e qquindi poi cc’è a proçessioni, e ll’indomani tuttu chiusu picchì cc’è a proçessioni. ggente ha fatto tutta la notte di fare u viàggiu u chiàmanu. / il viaggio perché vanno dieṭṛo la proçessione e ffannu u viàggiu. tutto questo perché la gente cci crede ancora. / cc’è a fede rreligiosa, e qquindi la rasmissione | è ccome a Ppalermo cc’è a Santuzza, a Mmorreali cc’è u Croçifissu. e ttutti dietro40. (GF5 Monreale - PA) 40 R7: Conosce ricette? I8: sì R9: quali ad esempio […] I22: mi piace … io arrivo a casa, compro i broccoli, li metto a bollire, li taglio a pezzettini, preparo cipolla abbondante, olio d’oliva e quindi li taglio a pezzettini, sciolgo una sarda sotto sale, e ci metto i broccoli, faccio cuocere tutto e poi tosto il pane grattugiato, pane di frumento R23: così I24: così, e quindi la pasta maccheroncini oppure spaghetti, ovviamente, quando il condimento è pronto e la pasta è pronta, perché la pasta deve essere cotta nell’acqua con cui si sono bolliti i broccoli R25: xxx I26: sì perché s’insapora e quindi si fa saltare un pochino in padella, praticamente una milanese fatta con i broccoli, si possono aggiungere anche le sarde salate se non c’è la sarda fresca, la sarda salata per rendere pesante il gusto della pasta. Oppure la pasta con finocchi e sarde classica pure [la so cucinare], ma comunque io me la sbrigo tranquillamente perché quando arrivo a casa … R27: è un piatto tipico di Monreale? I28 di Monreale? Ma no! Monreale, Palermo, è la stessa cosa insomma siamo sempre là […] R51: qualche festa qualche festa qua in paese I52: qua a Monreale il tre maggio c’è, uno due e tre maggio praticamente, il crocifisso e lo portano a spalla [in processione] R53: [lo racconti] in dialetto I54: sì, e lo portano tutti i fratelli è [soci] della confraternita del Crocifisso, praticamente sono duecentocinquanta confratelli che si alternano cento alla volta, e lo portano il tre maggio, la festa dura molto spesso dall’uno al cinque maggio perché molto spesso cade pure di domenica, allora fanno uno, due, tre, quattro e cinque maggio R55: [lo racconti] in dialetto I56: uno maggio è la festa del lavoro, il due può cadere di

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2.3 Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP

SPAZIO CONDIVISO DELLA RITUALITÀ SOCIALE La giovane informatrice di

Monreale della Famiglia 2 descrive la sua giornata tipo. La mattina a scuola a Palermo, ritorno a Monreale a casa per il pranzo, passeggiata lungo il corso in paese nel pomeriggio (“su e giù quattro, cinque volte, non c’è niente di bello”), ritorno a casa. E se nel pomeriggio si prende l’autobus e si va a Palermo? “Lo stesso: a Palermo vai al Politeama o allo Spasimo, a Monreale in Piazza o al Corso”. 10. R17: rumani scuola ài? I18: sì fazzu ru | ṭṛi uri i compiuter e ccontabbilità e vvendita câ professorè Venturella. poi mi nni vàiu â casa, mànciu, e siḍḍu â nnèsciri nèsciu versu i çincu, e ppoi R19: vai in paese di pomeriggio? I20 sì. u paisi fazzu acchiana e scinni quacchi cincu voti e ppoi mi nni vàiu â casa. chišta è ttutta a nisciuta chi si fa ô paisi. non c’è niente di bello! R21: vi pigghiati l’autobus e vi nn’iti nPaliemmu. I22: sé! picchì cosa si fa nPalermu! a štessa cosa […] va bbe’ tu runnè ca tra+ | štai, ti nni vai. riçi «talè iamunninni ô Politeama.» ti nni vai ô Politeama. poi chi ffai ô Politeama. štessa cosa chi ffai a Mmurriale piazza e varanne. R23: piazza e? I24: varanne. corso e Spasimo41 (FF2 Monreale – PA)

Le rappresentazioni degli spazi sono declinate nelle dimensioni diacroniche del passato (interazioni 6. e 7.), del presente (9.), del presente/passato (7.) e del futuro (8.). Esprimono il sentimento del riscatto da sé e del riconoscimento dell’altro, la emotività affettiva, il peso della tradizione e della cultura a confronto. Enucleano le spazialità fisiche delle interazioni sociali (il Politeama, Piazza Marina, l’Agenzia delle Entrate, la scuola, lo Spasimo). Le ideologie del riscatto e del riconoscimento, e quindi i fatti di lingua e di società e il loro stare ‘in tensione’ fra stigma e prestigio, sono le vere protagoniste degli ‘incontri interazionali’ durante i quali i monrealesi costruiscono le immagini di Palermo. La costruzione non è mai statica o univocamente rivolta ad un processo in divenire, ma è a sua volta sintesi di ideologie, rappresentazioni e stereotipi, già patrimonio acquisito e condiviso della comunità.

sabato, tre è domenica, quattro, e quindi poi c’è la processione e l’indomani è tutto chiuso perché c’è la processione tutta la notte, la gente ha fatto il viaggio, lo chiamano il “viaggio” perché vanno dietro la processione e fanno il viaggio, tutto questo perché la gente ci crede ancora, c’è la fede religiosa, e quindi la remissione, come a Palermo c’è la Santuzza [la festa di Santa Rosalia] a Monreale c’è il Crocifisso, e tutti dietro (GF5 Monreale - Pa). 41 R17: Domani devi andare a scuola? I18: sì, seguo due o tre ore di computer contabilità e vendita con il professore Venturella, poi vado a casa, mangio e se devo uscire esco verso le cinque e poi R19: vai in paese di pomeriggio? I20 sì al paese, faccio sali e scendi cinque volte circa e poi me ne vado a casa: questa è tutta l’uscita! Che si fa al paese!? Non c’è niente di bello R21: potreste prendere l’autobus e andare a Palermo I22: sì! Perché cosa si fa a Palermo!? la stessa cosa […] vabbé, tu dove abiti, te ne vai … dici: «Senti andiamo al Politeama», te ne vai al Politeama e poi che fai al Politeama!? Stessa cosa che fai a Monreale: piazza e mulattiera R23: piazza e …? I24: “mulattiera”: corso e Spasimo.

2. Dialettologia percettiva: modelli cognitivi e della costruzione sociale

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I monrealesi, per utilizzare le parole di Niedzielski (2002, 327, v. § 2.3.2), «to remain convinced of their identity […] they would need to have this identity confimerd through most their social interactions». Aggiungiamo qui che la trama degli incontri, che Niedzielski chiama ‘interazioni sociali’, determina la esposizione alla «cultura popolare». In Michigan, la cultura popolare che entra in gioco nella costruzione dell’ideologia e delle rappresentazioni vuole che gli abitanti della regione siano i parlanti detentori della prestigiosa varietà standard dell’inglese americano; qui gli abitanti della comunità di Palermo diventano i protagonisti di una superimmagine della ‘volgarità’ e della ‘sguaiatezza’ linguistica, ma anche i detentori di un prestigio sociale conquistato soprattutto a discapito di Monreale42. Come i parlanti di Detroit rinforzano nelle ‘vicissitudini’ le auto ed etero rappresentazioni del possesso esclusivo della varietà alta e prestigiosa, così i parlanti di Monreale rinnovano negli ‘incontri’43 le rappresentazioni di Palermo e dei suoi 42 Oltre all’espansione urbana aggressiva e incontrollata di Palermo fino alle porte di Monreale (della quale abbiamo detto), altre vicende, da un lato testimoniano il radicamento temporale delle occasioni di scontro tra le due comunità, dall’altro danno conto del progressivo acuirsi del sentimento di ostilità determinatosi tra di esse. Sul piano storico, le fonti attestano la contrapposizione tra Gugliemo II e l’arcivescovo di Palermo Walter of the Mill, suo ex tutore. Guglielmo II, fedele alleato del papato, per affermare la superiorità di Monreale su Palermo promosse la edificazione del duomo della cittadina ottenendo la elevazione di Monreale a sede arcivescovile e sottraendo alla giurisdizione di Palermo una larga fetta di territorio e i connessi redditi. Walter of the Mill rispose facendo ricostruire la cattedrale di Palermo. Ancora oggi l’arcivescovado di Monreale è il più esteso della Sicilia e fra i più importanti. La Cattedrale di Palermo è uno dei monumenti più visitati in Italia. Le cronache recenti, a loro volta, raccontano la cosiddetta ‘guerra dei taxi’ che ha coinvolto e tutt’ora coinvolge gli addetti a tale servizio di entrambe le comunità. Ecco come racconta la vicenda l’edizione locale di un quotidiano nazionale: «Il sequestro di un taxi di proprietà di un tassista palermitano da parte dei vigili urbani di Monreale rischia di creare un incidente diplomatico con ripercussioni sull'ordine pubblico. Sul piede di guerra ci sono 3.200 tassisti di Palermo che da oggi sono in agitazione e domani le due cooperative che associano i taxi rimarranno chiuse per protesta. Da oltre un anno il Comune di Monreale vieta ai tassisti di Palermo di sostare nelle aree riservate ai taxi locali, obbligandoli ad accompagnare i turisti presi in consegna a Palermo solo fino alle porte della cittadina normanna. Una decisione criticata dai tassisti palermitani, alcuni dei quali, violando le disposizioni comunali, hanno rimediato diverse multe perché in passato hanno atteso a Monreale che i clienti ultimassero la visita della cittadina per riportarli indietro come pattuito. Oggi, però, il clima è diventato più pesante. I vigili urbani, infatti, hanno sequestrato l'auto a un tassista, Antonio Guagliardo di 25 anni, «colpevole» di avere trasportato cinque turisti a Monreale, che avrebbero voluto visitare dopo essere sbarcati da una nave da crociera» (“la Repubblica Palermo”, 12/05/2010). Inutile dire che la traversia, rinfocolata dai tassisti dei rispettivi Comuni, ha dato luogo a tavoli tecnici e riunioni politiche. Allo stesso modo dell’altra vicenda del collegamento Palermo-Monreale con bus della città capoluogo, occasione di scontro tra le due amministrazioni, che ha visto toni aspri soprattutto da parte di alcuni abitanti di Monreale, per un certo periodo privati del servizio per dissapori amministrativi. 43 Gli stessi informatori in più casi dimostrano di avere consapevolezza del ruolo degli incontri nella formazione dell’esperienza linguistica e sociale propria e degli altri. Eccone un esempio tratto dall’interazione dell’informatore GF4 di Valderice: «R1: eh: ad esempio / per quali paesi / tu noti delle differenze? I2: per esempio ci sono i paesi più interni della Sic+ || a pparte il fatto della cadenza. e di alcuni termini che sono specifici di quella zona e non sono: | eh: e non di questa dove viviamo noi. ma poi anche il fatto che ci sono ad esempio delle zone interne in cui la gente non viene a contatto spesso con:: altre persone:: -che so- come può avvenire in posti

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2.3 Un modello socio-culturale-interazionista utile alla DP

spazi e li relazionano alle proprie spazialità fisiche e cognitive. Interazioni, incontri, vicissitudini nel tempo di vita quotidiana, usi linguistici e contesti d’uso, negoziazione di significati e di spazi, si confermano parole chiave di un costruttivismo socio-culturale-interazionista. Si confermano nodi socio-cognitivi di rappresentazioni del sé e dell’altro intorno alle quali distanze e vicinanze di lingua e di cultura sono costruite e si costruiscono. Rappresentano e si rappresentano.

di mare, di villeggiatura, per cui tu vai a contatto con le persone che parlano una lingua diversa. per cui è cchiaro che ti rimane nell’orecchio questo e si può modificare il tuo modo di parlare. mentre nella zona interne / rimane quello di una volta. quella di una volta la lingua e non zi | non c’è questa trasformazione».

3. DIALETTOLOGIA PERCETTIVA E ATTEGGIAMENTI 3.1 PER UNA DEFINIZIONE DI ATTEGGIAMENTO ‘UTILE’ ALLA DIALETTOLOGIA PERCETTIVA Vi è accordo unanime nell’individuazione della nozione di atteggiamento come oggetto di studio precipuo della psicologia sociale in quanto disciplina che considera fondativo dei suoi interessi anche la realtà extra-cognitiva. Il concetto e le sue definizioni non hanno un inizio recente, ma è generalmente riconosciuta come costante la proprietà che lo qualifica quale relazione fra oggetti e valutazioni1. Questa matrice epistemologica è attestata negli autori che in particolar modo focalizzano la realtà esterna in quanto oggetto valutato, definendo gli atteggiamenti come tendenze (a favore o a sfavore) verso un oggetto (Thurstone 1928), o come insieme di categorie valutative (Sherif/Sherif/Nebergall 1965) o «complesso di sentimenti» (Arcuri/Flores/D’Arcais 1974) che l’individuo ha formato durante la sua interazione con persone e oggetti del mondo sociale o verso un «determinato problema, persona, evento». Un punto di partenza non dissimile troviamo in quegli studiosi che invece danno maggiore risalto alla “tensione” del soggetto verso l’oggetto, parlando ad esempio di “stato disposizionale” a valutare (Searle 1983), o di un orientamento, una disposizione, per quanto difficile da definire (Jervis 1991). In ogni caso l’atteggiamento è una relazione ed esprime le valutazioni dell’uomo sull’ambiente circostante. Tra la metà degli anni ottanta e novanta nella psicologia sociale accadono due cose. Nel 1985 J. McGuire pubblica Attitude and Attitude Change e nel 1993 A.H. Eagly e S. Chaiken mandano alle stampe The Psychology of Attitudes, testo considerato tra i più dettagliati resoconti mai scritti su questo argomento2. Con McGuire la relazione semplice diventa rete complessa che interrela processi cognitivi con valutazioni, mondi, uomini. Eagly e Chaiken danno degli atteggiamenti la definizione forse in assoluto più citata e comunque più famosa: «[attitude is the] psychological tendency that is expressed by evaluating a particular entity with some degree of favor or disfavor.» (Eagly/Chaiken 1993, 1). Nel 2005, Fabrigar/MacDonald/Wegener (2005, 79-115) definiscono l’atteggiamento “una struttura di conoscenza” e Albarracin/Johnson/Zanna (2005, 5), ma anche diversi altri psicologi sociali, una “rappresentazione mentale”.

1

2

«Although definitions may have varied somewhat across time, if one inspects how scholars have operationalized the concept of attitude across the filed’s history, evaluative aspects have always played a prominent role (e.g. Bogardus 1931; Fishbein/Aizen 1975; Petty/Cacioppo 1981; Petty/Wegener 1998)» (Albarracin/Johnson/Zanna 2005, 4). È sottolineato ad esempio in Albarracin/Johnson/Zanna 2005.

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3.1 Per una definizione di atteggiamento ‘utile’ alla dialettologia percettiva

La definizione di una teoria degli atteggiamenti utile alla DP non dovrebbe fermarsi alla mera sostituzione di una classe di parole con un’altra: valutazioni con opinioni dei parlanti, particolare entità con fatti di lingua e fatti di società, gradi di favore e disfavore con giudizio linguistico, pregiudizio, stereotipo. Farlo, significherebbe isterilire la dialettologia percettiva stessa, in quanto equivarrebbe a dire che essa si occupa (solo) di opinioni (atteggiamenti) e di fatti di lingua e di società (oggetti di atteggiamento), utilizzando una definizione assai banale che la impoverirebbe enormemente. Ma dato che, fin dalle origini, i fondatori della disciplina di scuola italoromanza, in coerenza con il filone socio-dialettologico dal quale provengono, si sono rifiutati di parlare solo di parlanti e solo di fatti che li riguardano, facendo anche riferimento a pratiche, rappresentazioni, comunità, reti, spazi, non ci è particolarmente complicato stilare una prima lista delle nozioni che una teoria delle opinioni dei parlanti può utilmente trarre per una teoria degli atteggiamenti; questa lista comprende perlomeno la dimensione ecologica della lingua, la rete sociale e la salienza. In cima alla lista va quindi inserita la cosiddetta dimensione ecologica della lingua, la cui origine nel punto minimo di Terracini ha, negli anni più recenti, seguito il passo delle cosiddette rivoluzioni mobiletiche e mediali. Essa è collegata con l’aspetto esternista della teoria degli atteggiamenti di marca psico-sociale, al quale va ricondotta la tendenza dell’uomo a valutare persone ed oggetti del mondo, ovvero i costituenti del “mondo della vita quotidiana” (Berger/Luckmann 1991), della «social life» (Labov 1966), della «social reality» (Ladegaard 1998). Questo primo elemento da spuntare nel nostro elenco si riferisce alla dimensione della dialettologia percettiva del contesto e della cultura, interpretato dalla varietistica degli usi, delle valutazioni e delle strategie discorsive per la considerazione dei dialetti (cfr. Grassi/Sobrero/Telmon 1997) e dalla dialettologia sociologica in particolar modo di Sornicola 2002 ma con il consolidato lascito dei molti lavori sulle trasformazioni economiche e culturali in Italia a cavallo degli anni sessanta e settanta. Applicazioni recenti e davvero stimolanti vanno segnalate: il «modello interazionale globale» (D’Agostino/Paternostro 2006, v. § 1.1.2.1), la definizione della «traduzione» standard vs. non standard come «personale interpretazione» «semantica» e «pragmatica» e quindi «interculturale» ed «etnografica» (Castiglione 2003) e una serie di contributi importanti inseriti negli atti del XXXVI congresso internazionale della SLI, Ecologia linguistica3, pubblicati nel 2003. Per quanto riguarda il secondo item della nostra lista dobbiamo partire dalla definizione classica di rete sociale (Milroy 1980, 2002a) con estensioni 'oltre” e contrazioni ‘dentro’ il punto. Nel primo caso la geografia linguistica ha costituito una buona base per nuovi tracciati gravitazionali di ordine geo-economico e culturale di area e sub-area, nel secondo la teoria della comunità di pratica (Wenger 1998,

3

In particolar modo: Dal Negro/Iannàccaro 2003, D’Agostino/Amenta/Amoruso/Paternostro 2003, Tabouret-Keller 2003.

3. Dialettologia percettiva e atteggiamenti

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Eckert 2000) ha trovato applicazione ‘puntuale’ anche nei centri rurali, recessivi, non dinamici e comunque non dotati delle caratteristiche dell’urbanità4. Questo livello investe la struttura del contesto e della cultura e, sul versante della psicologia sociale, è collegato al superamento delle ‘associazioni semplici’ fra atteggiamento e valutazione a favore delle ‘associazioni di rete’ fra processi cognitivi e mondo. Numerosissime, nel solo ambito italoromanzo, le esperienze di dialettologia percettiva che hanno lavorato con le reti sociali ed interazionali su scala areale, sub-areale e nei micro-punti oltre che nelle città. Salienza. E siamo al terzo elemento della lista. Se consideriamo l’atteggiamento nella sua classica definizione di tendenza a valutare con favore e/o disfavore un oggetto e la salienza come la «property of a linguistic item or feature that makes it in some way perceputually and cognitively prominent» (Kerswill/Williams 2002, 63), è facile vedere come i due concetti siano interrelati. Questo livello si riferisce alla qualità in senso stretto della percezione e in contesto italoromanzo i suoi costrutti più significativi sono lo spazio vissuto5 (D’Agostino 2002d, 2006; Krefeld 2002b, 2002c, 2006), i tratti bandiera, il pregiudizio e lo stereotipo linguistico (Ruffino 2006). Notevoli esperimenti sulla salienza dei tratti sono stati condotti con il metodo del matched-guise (per es., Calamai/Ricci 2005) e sulle variabili socio-demografiche della salienza con la presentazione «esterna e consapevole» (§ 4.1.3.1) di brani di testo (Telmon 2002a). Questo livello è collegato ai modelli cognitivi, molto in auge in psicologia sociale, che studiano l’accessibilità agli atteggiamenti, la forza delle associazioni e, nella sfera limitrofa alla cognizione, la capacità degli oggetti familiari e non familiari di suscitare in gradi diversi accessibilità e associazioni. In molti di questi modelli si distingue fra due diversi stadi del processo di valutazione: “memoria permanente” (permanent memory) relativa alla dimensione della non consapevolezza e “momentanei stati di consapevolezza”. Nei lavori più recenti di psicologia sociale, questi due stadi sono interpretati come rappresentazioni dell’uomo osservabili nel tempo di vita quotidiana ed elementi di un unico processo, ‘continuo’ e ‘pluridimensionale’. Questa prospettiva è un’ottima base di comparazione per tutti quegli interessi che i dialettologi percettivi hanno dedicato ai confini fisici, linguistici e cognitivi, che riuniamo nel quarto ed ultimo segmento dell’elenco, insieme alla disponibilità alla consapevolezza del parlante dei fatti linguistici e sociali, argomento forse un po’ trascurato negli studi metalinguistici di scuola italoromanza, ma con episodi tuttavia davvero interessanti (cfr. Binazzi 2009, D’Agostino 2002b; qui vedi soprattutto da § 4.2 a § 4.3.2).

4 5

Sui criteri di classificazione dei comuni nelle tipologie «Poli regionali», «Centri urbani», «Centri semi-urbani», «Centri rurali», cfr. D’Agostino (1995, 176-179). Ci occuperemo dello spazio vissuto nel quadro di questa ricerca in §§ 6.3.1 e nell’intero cap. 7.

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3.1 Per una definizione di atteggiamento ‘utile’ alla dialettologia percettiva

3.1.1 La proprietà relazionale interna dell’atteggiamento Fin qui abbiamo detto della natura relazionale esterna dell’atteggiamento. Ma è decisivo precisare che l’associazione fra valutazione e oggetto è relazionale nel senso che tanto i collegamenti istituiti fra i nodi della relazione (processo valutativo), quanto i nodi stessi (oggetto di valutazione), sono elementi pluridimensionali: risultano articolati infatti in dimensioni plurime, cognitive e socio-culturali. In psicologia sociale, con una formulazione che ci sembra molto convincente, questo tipo di rapporto è descritto dal modello del «network semantico a due nodi» (Fazio 1989) basato sulla «forza» delle associazioni fra oggetto e valutazione. La proprietà di essere elementi di rete definisce infatti la natura relazionale interna degli atteggiamenti come pluridimensionalità di struttura. In sostanza, la qualità plurale delle relazioni tra cognizione e realtà esterna non può che essere il riflesso della natura plurale delle strutture cognitive degli atteggiamenti, oltre che, com’è ovvio, della realtà sociale. Malgrado sia patrimonio condiviso l’individuazione dei tre livelli di “affettività”, “credenza”, “comportamento” come costituitivi dell’atteggiamento, la psicologia sociale più recente ha sottolineato la duttilità di tale classificazione che restituisce un concetto monolitico di atteggiamento, preferendo invece sostenere che affettività, credenza e comportamento hanno sì e in qualche modo a che fare con atteggiamento, ma non nelle forme del rapporto inclusione/comprensione. Il concetto di affettività «has been used to describe the positive and negative feelings that one holds toward an attitude object» (Fabrigar/Macdonald/Wegener 2005), anche se alcuni autori sostengono che esso può descrivere uno «stato emozionale» non necessariamente associato ad un ben definito oggetto: «[affects] entails the feelings that people experience and may not concern a partucular object or event» (Berkowitz 2000). La credenza (ma Fabrigar/MacDonald/Wegener 2005 preferiscono parlare esplicitamente di cognizione) esprime la «cognition about the probability that an object or event is associated with a given attribute» (Fishbejn/Ajzen 1975). Comportamenti «are typically defined as the overt actions of an individual» (Albarracin/Johnson/Zanna 2005, 3) o, con parole un po’ diverse: «behavior has been used to describe overt actions and response to the attitude object» (Fabrigar/MacDonald/Wegener 2005). Data quindi, in dialettologia percettiva, la situazione tipo di un informatore che dichiara che il dialetto parlato in un paese vicino al suo è rozzo e volgare, possono essere istituite le seguenti equivalenze: la dichiarazione dell’informatore è il suo comportamento e l’oggetto dell’atteggiamento (o attitude-object) sono il dialetto di quel paese ma anche i suoi parlanti o la comunità linguistica.

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Affettività e credenze possono essere invece elicitati attraverso un procedimento induttivo, ad essi si può cioè risalire a partire dal comportamento dell’informatore: verbalizzazioni e strategie pragmatiche più o meno consapevoli6. All’interno della psicologia sociale ci sono due prospettive diverse di intendere l’atteggiamento, una classica ed un’altra più recente. Lo scarto fra le due posizioni è riassumibile nell’opposizione ‘atteggiamento relazionale vs. atteggiamento non relazionale’. Il paradigma classico esplicita in termini di inclusione la relazione tra atteggiamento da un lato e affettività, credenza e comportamento dall’altro: «attitudes were comprised of these three components, which subsequent researchers demonstrated are distinguishable from each other» (cfr. Breckler 1984). È questa la cosiddetta «tripartite perspective» che in sostanza scompone gli atteggiamenti in tre distinte categorie (cfr. Smith 1947; Katz/Stotland 1959) o che, al limite, sostiene che tali categorie possono essere tre possibili risposte ad input di un qualunque tipo (Rosemberg/Hovland 1960). Gli orientamenti oggi largamente più diffusi rifiutano la prospettiva della scomposizione in parti discrete per guardare invece alla interrelazione («affect, belief, behaviors are seen as interacting with attitudes rather than as being their parts», Albarracin/Johnson/Zanna 2005, 5) di modo che l’atteggiamento è un’entità non distinguibile da affettività, credenza e comportamento ed un «general evaluative summary of the information derived from these bases» (Fabrigar/MacDonald/Wegener 2005, 82). Le componenti comportamentale, affettiva, e quella delle credenze, sarebbero quindi elementi di network semantici, retti da rapporti di interazione fra informazioni di base e giudizio, il quale non è solo somma di parti ma rappresentazione olistica di tutte le componenti. Queste caratteristiche si prestano bene a definire la “proprietà relazionale interna” dell’atteggiamento che, pensiamo, possa essere utile alla DP. Ecco un’applicazione al corpus ALS della “proprietà relazionale interna” dell’atteggiamento, che illustra i rapporti tra affettività, credenze e comportamenti: 11. R1: eh: allora lei eh: ha detto che | già un po’ l’ha accennato | ha notato quindi delle differenze tra il siçiliano che si parla a Catania [sì] e il siciliano che si parla nei paesi viçini? 6

In psicologia sociale questo argomento è studiato nei termini di misurazione (Krosnick/Judd Wittenbrik/ 2005, 20-23; 28-43) e di possibilità di misurazione degli atteggiamenti. Ad esempio, Marradi 1995, definisce l’atteggiamento una «proprietà continua non direttamente misurabile». La misurazione è possibile attraverso «scale di atteggiamento» che restituiscono variabili di tipo «ordinale» (espresse in numeri e affermano rapporti di uguaglianza, differenza, superiorità, inferiorità) oppure «semi-cardinale» (sono cioè espresse in forma numerica, ma non rappresentano valori numerici). La variabile semi-cardinale è lo strumento di misurazione di gran lunga più utilizzato in DP. Con più specifico riferimento alla DP, va ricordato che Preston già nel triangolo, e nel ‘quadrato’ in maniera più netta, chiarisce che stati e processi cognitivi sono materia della Folk Linguistics al pari delle attività esplicite (comportamento pragmatico linguistico). Constatazione, questa, decisiva ai fini di una teoria degli atteggiamenti in DP. Si tratta però di capire come strumenti tutto sommato esterni allo statuto della disciplina, possano dare una mano sul campo della ricerca.

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3.1 Per una definizione di atteggiamento ‘utile’ alla dialettologia percettiva I2: / sì R3: eh. per esempio qualche: | mi può dire qualche: paese (…) […] I20: no certo Cata+ | e: può essere anche: diciamo Adrano [occhei] c’ha un dialetto propia di paese un dialetto propia paisano però […] I28: siciliano? u sicilianu u pàrranu7 di più nei paesi. (NF2- CT)

Applicando lo schema tradizionale, l’atteggiamento dell’informatore può essere schematizzato nelle parti che lo costituiscono: COMPORTAMENTO:

«I20: no certo Cata+ | e: può essere anche: diciamo Adrano [occhei] c’ha un dialetto propia di paese un dialetto propia paisano però»; I28: «siciliano? u sicilianu u parranu di più nei paesi». OGGETTO DI ATTEGGIAMENTO: Adrano, paesi AFFETTIVITÀ: gli abitanti dei paesi parlano dialetto CREDENZA: paesi (oggetto di atteggiamento) = dialetto (attributo). Nel modello delle proprietà relazionali interne ed esterne dell’atteggiamento, invece, oggetti di atteggiamento sono sia la dimensione demografica (paesi, Adrano) che linguistica (il dialetto). In sostanza, gli elementi occupano livelli del network fra loro interrelati. Per lo stesso motivo, affettività e credenze non esauriscono la loro valenza semantica nel testo, ma sono associati con altri elementi del network che qui occupano il livello del pre-testo. La matrice di tali associazioni può essere trascritta come segue: paesi piccoli = paesi retrogradi rispetto alla città = + dialetto Come si vede, le associazioni in questo frammento di network si fondano anche su opposizioni, che noi denominiamo ‘dicotomie’ (v. cap. 6). Nell’esempio ne vanno individuate perlomeno due: ‘italiano vs. dialetto’, ‘città vs. paesi piccoli’. Esattamente, come già ripetuto, nella nostra prospettiva i networks dell’ideologia linguistico-sociale sono abitati da associazioni che riuniscono ma che anche oppongono. Il comportamento dell’informatore, a sua volta, è costituito non soltanto da reazioni esplicite ed atteggiamenti espliciti, ma anche da da reazioni implicite riferibili agli atteggiamenti impliciti (italiano = città). L’intero network è l’atteggiamento del Nonno della Famiglia 2 di Catania. E non è errato dire anche: è il network dell’ideologia linguistica, demografica, pragmatica, dell’informatore. Si pensi ad esempio ai concetti “rematizzazione (Gal 2005), iconizzazione (Irvine 2001), indessicalità di secondo ordine (Silverstein 2003)8. O a quei metodi e 7 8

Il siciliano lo parlano. Per questi concetti vedi v. § 4.1.

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teorie dediti ad elicitare e classificare gli stereotipi, molto attenti a non esaurire il campo della stereotipizzazione al tratto linguistico ma ad estenderlo anche alla sfera socio-culturale di informatore e comunità. 3.2 ATTEGGIAMENTI E DIALETTOLOGIA PERCETTIVA Nell’aprile del 2008, promosso da Dennis Preston e Tore Kristiansen, si è riunito ad Amsterdam il 17° Sociolinguistics Symposium- The macro/micro of language attitudes, ideologies, and folk perceptions. Promotori e relatori, di scuola danese ed americana, provengono da quegli orientamenti che già negli ultimi anni, e cioè all’indomani del costituirsi del ventaglio di interessi che in contesto italoromanzo è riunito sotto l’etichetta “dialettologia percettiva”, si erano in larga parte dedicati ad inchieste mirate su atteggiamenti, ma all’interno della ideologia linguistica e della Folk Opinion. La tradizione di Language Attitudes Studies (Lambert et alii 1960, Lambert 1967) ma anche i suoi sviluppi in scale di misurazione continue, avevano lasciato irrisolto il problema di come trasformare in unità quantitative attendibili la natura pluridimensionale ed estemporanea delle opinioni dei parlanti. Gli studiosi del Symposium sostengono l’esigenza che il valore numerico percentuale assegnato ad un dato atteggiamento, esito dell’operazione di trattamento del dato, rispecchi le percezioni e le rappresentazioni linguistiche e comunitarie e i livelli plurimi delle variabili in gioco. Essi muovono alla sociolinguistica l’obiezione di fondo di avere considerato gli atteggiamenti linguistici fenomeni valutativi stabili e in quanto tali indagabili e indagati con i cosiddetti metodi statistici e quantitativi, predisposti a validare la definizione di atteggiamento come struttura psicologica coerente e condivisa dalla maggior parte dei membri della comunità linguistica. Alla prospettiva tradizionale i documenti del Symposium contrappongono un insieme di pratiche di ricerca e impalcature teoriche qualitative in grado di cogliere la dimensione “micro” in termini di identificazione sociale e di relazioni ‘sempre negoziate’. Gli atteggiamenti sono, per l’appunto, ‘sempre al lavoro’ durante le pratiche dell’interazione sociale e linguistica e perciò incoerenti, instabili e sensibili al cambio. La stabilità o meno degli atteggiamenti è per la DP questione di non poco conto e la diversa impostazione della materia determina conseguenze che coinvolgono i concetti fondativi della disciplina. Primo fra tutti, quello delle cosiddette incoerenze dei parlanti. In contesto italoromanzo si deve a Tullio Telmon (2002b, V-XXXIV; 2003, 229-254) la problematizzazione di quella che egli chiama la «contraddittorietà del parlante», «una delle componenti più caratteristiche della percezione», da tenere però distinta dai casi di «contraddittorietà soltanto apparente» (ivi, 234). Nell’ultima parte del capitolo illustreremo alcuni apporti molto proficui della più recente psicologia sociale alla tematica dell’interpretazione delle incoerenze; in generale bisogna riconoscere che in DP l’argomento è stato trascurato o affrontato con una certa carica di autoreferenzialità. Ciò che per molte scuole di psicologia sociale è

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3.2 Atteggiamenti e dialettologia percettiva

regolarmente indagato con le domande di controllo delle dichiarazioni dell’informatore su input precedenti e solo in apparenza diversi, dai dialettologi percettivi è stato visto come comportamento del parlante non previsto, che fosse ottenuto sia con metodi imparentati al matched guise, sia con stimoli aperti per la raccolta di opinioni e di storie. Da qui un certo interesse per il tema della diversità delle risposte di uno stesso parlante, che in alcuni casi si è però limitato alla semplice registrazione delle stesse o ad una interpretazione solo in funzione della pressione ideologica della varietà di prestigio, per esempio a carico di chi non usandola vorrebbe convincere del contrario. Il temario del citato Symposium è articolato in sei argomenti e sette domande 9 tutte, come ci pare, ispirate ad una sola: “Quanto e come gli atteggiamenti sono stabili?”. Molto di recente, inoltre, lo stesso Preston, richiamandosi esplicitamente agli esiti del Symposium e al volume Handbook of Attitudes (2005), ha traghettato l’impostazione psico-sociale nel campo della Language Regard e dentro la medesima prospettiva ha proposto le sue risposte, abbastanza nette, sulla stabilità degli atteggiamenti: Such a network or connectionist approach allows consideration of a longstanding concern in attitude study: How stable are they? This question is both diachronic (Do attitudes change over time?, e.g., Jaccard / Blanton 2005: 163) and synchronic (Can different or even contradictory attitudes arise in the same individuals with regard to the same attitude object?, e.g. Kruglanski / Stroebe 2005: 324-26). In both cases the answer appears to be yes. (Preston 2010a, 12, nostri i corsivi)

Il nuovo corso di studi sugli atteggiamenti linguistici per la Language Regard, auspicato dai relatori del Symposium, fa affidamento alla nuova psicologia sociale (il riferimento è ovviamente alla pubblicazione dell’Handbook), alla Discourse Analysis e alla “fonetica acustica” (per quest’ultima, v. Preston 2005, 121-156). Riserveremo a ciascuno di questi settori una specifica trattazione, ma per intanto procederemo ad illustrare il modello cognitivo sulla “non necessaria stabilità” degli atteggiamenti e a dare conto della teoria degli atteggiamenti discorsivi (Discourse Analysis).

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1. Attitudes as ‘structure’ and ‘action’ (Does action presuppose structure? Do micro analyses make sense without macro analyses?); 2. The ‘reality’ of attitudes and beliefs (Does it make sense to say that some are more real, or truer, than others?); 3. Conscious and subconscious attitudes (Do they serve different social functions?); 4. Attitudes to whole varieties and to single variables (How can these approaches be combined?); 5. Attitudes, ideologies, beliefs and their relationship to social groups (What comes first in an exemplary study? How consistent is intragroup behavior?); 6. Attitudes, ideologies, beliefs and their relationship to language change (What prevailing attitudes or beliefs must be in play for changes to move forward? Must they always be positive?).

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3.2.1 La non necessaria stabilità degli atteggiamenti In fig. 3.1, il modello di formazione degli atteggiamenti proposto da Albarracín et alii (2005, 5-6); specificamente, il processo di memorizzazione di un nuovo giudizio, attraverso le influenze esercitate sull’atteggiamento da informazioni esterne, memoria di passati giudizi, conoscenza già acquisita (prior knowledge). Siamo convinti che Preston abbia iniziato da qui il percorso che lo ha portato alla specifica definizione di Language Regard e di atteggiamento linguistico.

Fig. 3.1 Modello di formazione degli atteggiamenti e dei giudizi (Albarracín et alii 2005)

Le teorie cognitive hanno proposto due modalità di rappresentare l’atteggiamento, corrispondenti ai diversi livelli mentali in cui esso può collocarsi. Per cui, un atteggiamento può essere rappresentato in “memoria permanente” o manifestarsi in “temporanei stati di consapevolezza”. Nel primo caso, il processo di formazione dell’atteggiamento si basa sul recupero o richiamo di memorie relative ad un oggetto di atteggiamento. Nel secondo, le memorie sono “tradotte” (ivi, 5) in una valutazione consapevole dell’oggetto dell’atteggiamento “in un particolare punto” delle interazioni sociali (cfr. Fabrigar/Macdonald/Wegener 2005, 83). Nel primo caso la valutazione è definita per l’appunto “memoria”, nel secondo si parla propriamente di “giudizio”. In entrambi i casi, alle componenti esterne al processo cognitivo, ovvero alla realtà del mondo circostante, è riconosciuto un ruolo fondamentale nel processo di costruzione delle rappresentazioni. Al livello extra-cognitivo delle rappresentazioni, difatti, in memoria permanente, il richiamo può attivarsi quando, durante le

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3.2 Atteggiamenti e dialettologia percettiva

interazioni sociali, per qualsivoglia motivo, un oggetto diventa rilevante: la rilevanza (o salienza) dell’oggetto innesca l’attivazione del richiamo della memoria che si ha di quello stesso oggetto. Nel caso dei momentanei stati di consapevolezza, il giudizio (o anche giudizio corrente) si forma sulla base delle informazioni temporaneamente disponibili su un oggetto di atteggiamento in quanto, in quel momento, questo è divenuto “esternamente saliente”. Facciamo un esempio. Stiamo discutendo con un collega d’ufficio ed egli produce un discorso che contiene la pronuncia metafonetica. Possono verificarsi due condizioni: a) recuperiamo la memoria su tale oggetto di atteggiamento direttamente dalla memoria permanente (“questa pronuncia è volgare”); b) poiché la memoria su quell’oggetto di atteggiamento non è disponibile alla memoria permanente o non si attiva il richiamo, pensiamo o diciamo che quella pronuncia è volgare sulla base delle informazioni a noi disponibili in quel punto e in quel momento dell’interazione sociale. Questo può essere descritto dicendo che in a) abbiamo attivato un pregiudizio linguistico, in b) abbiamo ‘costruito’ un giudizio. Siccome siamo convinti che le rappresentazioni metalinguistiche sono costruzioni sociali storicizzate, cioè negoziate e ricostruite in ogni momento ma dentro la storia e la tradizione e quindi anche con il concorso della memoria permanente, riteniamo che i due livelli di collocazione dell’atteggiamento e le dimensioni sociali rappresentate, si sovrappongono. Allo stesso modo riteniamo centrale il ruolo della realtà esterna e dei diversi gradi di salienza con cui si presenta e/o è percepita o rappresentata nelle interazioni sociali innescate dagli ‘incontri’. Questa prospettiva è confortata dal modello in Fig. 1. (dove le rappresentazioni già presenti in memoria, in quanto precedentemente conservate, sono indicate con i contorni puntinati, e quelle relative a giudizi consapevoli formatisi durante l’interazione, o in working memory, con contorni continui). Il “nuovo giudizio” è influenzato sia da un giudizio precedente ma non in memoria permanente (ad esempio, dopo alcuni minuti il nostro collega di lavoro esibisce nuovamente il tratto metafonetico), sia da un giudizio precedente già in memoria permanente. Sul versante extra-cognitivo, il nuovo giudizio è influenzato sia dalla realtà esterna esperita in quel momento, sia da quella già esperita (ovvero, dai diversi gradi di salienza con cui la realtà si presenta e/o è percepita o rappresentata)10. 10 Nella stessa direzione di un modello di atteggiamento che rispecchi la funzione non esclusiva di memoria permanente e costruzioni temporanee di giudizi, è in Fabrigar, Macdonald, Wegener 2005, sebbene con sfumature un po’ diverse: «This is not say that all attitudes must be stored and the construction never occurs. Rather, it seems likely that for any give attitude object, some people may have clearly formed global evaluations that are strongly linked to the attitude object representations. For these people, construction may often be unlikely. However, other people may lack well-deceloped global evaluations, and construction may be more likely» (Fabrigar/Macdonald/Wegener 2005, 81).

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In tal modo, l’atteggiamento è definito in un unico modello che prevede però sia valutazioni stabili basate sulle memorie, sia valutazioni instabili basate sui giudizi11. Il processo è chiaramente dinamico e i suoi elementi sono associati in un sistema che può connetterli tutti, cosicché l’instabilità è capace di colpire le valutazioni fino a quel momento stabili. Quando Preston (2010a) utilizza queste procedure e definisce l’atteggiamento instabile o comunque non necessariamente stabile, descrive allo stesso tempo la dinamica stabilità/instabilità delle valutazioni all’interno di un network connessionista. Con terminologia diversa, ma con un punto di vista simile, è possibile dire che le valutazioni sono ri-negoziate e ri-costruite nei momenti interazionali degli incontri ma dentro la storia e la tradizione. 3.2.1.1 L’atteggiamento instabile della ‘nuova’ psicologia sociale L’argomento della non stabilità dell’atteggiamento entra nella considerazione degli psicologi sociali già a partire dai primi anni settanta (Bem 1972). Fin dall’inizio, è motivato riconoscendo una forte influenza della realtà esterna su quanto la gente pensa in un determinato momento12. Ciò ha condotto ad un principio cognitivo fondamentale: lo stesso individuo può avere e dare valutazioni diverse su un medesimo oggetto di atteggiamento, non solo in occasioni diverse, ma anche in momenti diverse di una singola conversazione. Si è soliti riunire le scuole di psicologia sociale attestate su queste posizioni nel construal model. In effetti, gli studiosi ortodossi che vi si riconoscono13, ritengono la “costruzione on line dei giudizi” una modalità pressoché esclusiva. Ma vi sono posizioni più moderate che tuttavia ugualmente ritengono la non stabilità una delle proprietà caratterizzanti l’atteggiamento. Per esempio, il modello di Albarracín et alii 2005, come abbiamo visto (§. 3.2.1) riconosce un ruolo nel processo valutativo anche al nucleo di giudizio già acquisito e presente in memoria permanente, proposta a nostro parere più condivisibile14. Una posizione mediana è in Lord/Lepper 1999, che individuano le condizioni di stabilità dell’atteggiamento a partire dal concetto di rappresentazione. L’attività di rappresentazione agisce sulla realtà articolandola in categorie sociali e sotto-categorie o esemplari di categoria, secondo procedure regolate da una definizione e due postulati.

11 Per una molto utile discussione sulla necessità di definire gli atteggiamenti sia come memorie che come giudizi cfr. Albarracin/Johnson/Zanna 2005, 4; in particolare, sugli atteggiamenti «on line» cfr. Schwarz/Bohner 2001, sugli atteggiamenti «in memory», Fazio 1986. 12 Per una panoramica, si possono consultare: Tourangeau/Rasinski 1988, Schwarz/Bohner 2001. 13 Fra tutti, Bem 1972, Erber/Holdges/Wilson 1995, Tourangeau/Rasinski 1988. 14 La nostra prospettiva, infatti, come abbiamo già rilevato, utilizza la teoria del costruzionismo sociale che non disconosce il ruolo della storia e della tradizione durante gli atti di costruzione della realtà.

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3.2 Atteggiamenti e dialettologia percettiva

La definizione della “teoria della rappresentazione dell’atteggiamento” afferma che la stabilità o non stabilità di un atteggiamento su una categoria sociale dipende dagli esemplari che vengono in mente in tempi diversi su uno stesso oggetto di atteggiamento. Se l’esemplare è diverso dal precedente, l’atteggiamento sarà non stabile, e viceversa. Il “postulato della rappresentazione” qualifica la relazione fra categorie sociali ed esemplari come rappresentazione soggettiva: la reazione ad uno stimolo dipende non solo dalle proprietà percepite e dall’ambiente circostante allo stimolo, ma anche dalla rappresentazione soggettiva della persona. Il “postulato dell’equivalenza” fissa le condizioni di stabilità dell’atteggiamento: più esile è lo scarto fra rappresentazioni soggettive e stimoli percepiti in un’occasione rispetto a quelli di una occasione successiva o comunque diversa, più stabile sarà l’atteggiamento. Le posizioni di Lord e Lepper nei fatti conciliano modelli costruzionisti e teorie della non stabilità degli atteggiamenti. Ma al di là delle precise delimitazioni dei campi teorici che gli autori propongono e delle conseguenze più o meno esplicitate in definizione e postulati, ai nostri effetti non possono sfuggire i nuclei teorici imparentati con le rappresentazioni metalinguistiche dei parlanti. La “rappresentazione” di Lord e Lepper è un sistema dinamico a due livelli, retto da relazioni di appartenenza e di equivalenza. Difatti, la categoria è definita in quanto sistema di relazioni tra subordinati (esemplari) e sovraordinato (categoria sociale); ad esempio, parlante e comunità, lessema e lessico, lessico del lavoro e lessico della vita quotidiana. D’altro canto, la rappresentazione della categoria è sintesi e relazione fra rappresentazione personale e rappresentazione sociale. Sul piano delle equivalenze, la rappresentazione soggettiva afferisce agli esemplari, e la rappresentazione sociale alla categoria sociale15. 15 Una parte non trascurabile della psicologia sociale ha individuato nella stabilità una proprietà fondamentale per definire l’atteggiamento. Ad esempio, Cantril 1932, Allport 1937, Strack/Schwarz/ Wanke 1991. In Fazio/Williams 1986 gli atteggiamenti sono “strutture apprese”, risiedono in long-term memory e sono attivate dall’incontro con l’oggetto di atteggiamento. Alcuni studiosi conciliano la stabilità cognitiva con quella genetica per la quale gli atteggiamenti sono ereditabili. In tal modo l’atteggiamento sarebbe il risultato di fattori biologici e ambientali (cfr. Olson/Fazio 2001). In Krech/Crutchfield 1948 la stabilità è stata espressa in termini di “durata motivazionale, emozionale e percettiva”, in Ostrom 1984 di “predisposizione favorevole o sfavorevole verso un oggetto di atteggiamento”, in Marwell/Aiken/Demerath 1987 di “persistenza”. In termini più generali, la teoria della stabilità è stata ed in parte è ancora diffusa tra le correnti comportamentiste e cognitiviste, ovvero in quelle teorie che considerano l’atteggiamento, rispettivamente, un insieme di risposte acquisite attraverso un rinforzo, e una struttura cognitiva in grado di elaborare in azioni input esterni. Tutti quegli orientamenti che in un modo e nell’altro fanno riferimento all’ipotesi della stabilità, si rifanno alla matrice epistemologica della teoria dell’equilibrio cognitivo, un principio di psicologia sociale che sostiene la tendenza, connaturata all’uomo, di formare le proprie valutazioni sulla base di un insieme di credenze omogenee e coerenti (Heider 1946). Dato che la stabilità affranca dal cambio, affrancherebbe anche dalle incoerenze, visto che un’incoerenza va misurata rispetto ad una valutazione precedente. Altri argomenti a favore della stabilità dell’atteggiamento sono: influenza degli atteggiamenti già formati nella valutazione di nuovi fatti; familiarità; equilibrio. Quanto

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3.2.2 Contesto di discorso e oggetto di atteggiamento nella Discourse Analysis Con la Discourse Analysis16 il rifiuto, netto, del principio di stabilità, muove dalla negazione di «underlying theoretical category of attitude» (Potter/Wetherell, 1987, 45) e giunge alla precisa valorizzazione del contesto dei discorsi, individuato come il luogo dove le persone costruiscono gli atteggiamenti. La negazione di una struttura della cognizione di base a carattere valutativo non rimane cioè compressa all’interno di un modello psicologico con qualche addentellato ai fatti esterni, ma si fonda sulla convergenza sul contesto delle interazioni verbali. Da un punto di vista metodologico, ciò comporta abbandonare l’analisi delle risposte singole o anche di «brief isolated utterances» e considerare invece «extended sequences of talk» (ivi, 46) che costituiscono il contesto discorsivo capace di cogliere il contesto delle interazioni sociali. Il gioco dei rimandi dalla sfera cognitiva a quella sociale a quella discorsiva, si basa sulla costante negazione di “categorie valutative durature” che possano essere dedotte dai comportamenti verbali. L’atteggiamento difatti non è semplicemente riflesso nei discorsi ma è situato e contestualizzato nei discorsi perché lì costruito, anche incoerente se la situazione lo richiede (Mantovani 1998, 213). Questo insieme di questioni sono affrontate dalla psicologia sociale della Discourse Analysis, o «psicologia sociale cognitiva» (Kruglanski/Stroebe 2005, 325), all’inizio con l’opera fondativa di Potter e Wetherell (1987), poi con Edwards (in particolare: 1991) ed in ultimo con tutti quegli interessi riuniti intorno alla psicologia degli atteggiamenti, ma con solide sponde nella psicologia culturale (Jahoda 1992, Cole 1996) e nel costruttivismo e costruzionismo sociale. Tutti questi autori e queste scuole di pensiero si sono fatti promotori di un meta-discorso su ideologia e pregiudizio che, da un lato definirà l’atteggiamento contestualizzato e anche incoerente, dall’altro condurrà ad una netta revisione del concetto di oggetto di atteggiamento e dei processi di categorizzazione dei giudizi espressi dalle risposte degli informatori. Il discorso e l’oggetto categoriale diventano prioritari sul piatto delle inchieste sul pregiudizio che con solerzia la psicologia sociale degli anni settanta aveva realizzato intorno al tema del razzismo. alla familiarità, in considerazione del fatto che una larga parte delle interazioni sociali coinvolge fatti ed oggetti familiari, gli atteggiamenti sarebbero tendenzialmente stabili in quanto ciò che è familiare ispira reazioni positive e quindi predisposizione alla immutabilità. La sottolineatura che il sistema tende alla stabilità costituisce il caposaldo dell’ipotesi dell’equilibrio; difatti, secondo questa prospettiva, se e quando la condizione di equilibrio fosse rotta, lo squilibrio determinerebbe uno stato di tensione che non potrebbe che sfociare in un riequilibrio e quindi nella stabilità e quindi nella coerenza, tutte proprietà persistenti. 16 Argomento fondamentale della Discourse Analysis è il “discorso” come pratica sociale. Nata in reazione alle posizioni individualiste della psicologia sociale sostenitrice degli atteggiamenti stabili ed individuali, la Discourse Analysis trasferisce la negoziazione sociale come costruzione di significati all’interno delle pratiche discorsive; in tal modo, il discorso è sempre situato e costruito con il concorso di una pluralità di soggetti e quindi mai è individuale. Oltre a Potter e Wetherell, importanti esponenti della Discourse Analysis sono Derek Edwards e Teun van Dijk.

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3.2 Atteggiamenti e dialettologia percettiva

La procedura tipo stabiliva l’utilizzo di scale di “dimensione del giudizio” (McGuire 1985: 239) per la misurazione dell’“oggetto di pensiero” (ibidem). In Potter/Wetherell (1987, 43-45) si invita a riflettere su un’inchiesta di Alan Marsh (1976) condotta in ambiente britannico con un campione casuale di 1785 informatori, finalizzata all’elicitazione degli atteggiamenti sull’oggetto di pensiero “immigrato di colore”. La dimensione di giudizio proposta per l’escussione dei dati è segmentata in tre item, da “completamente simpatico” a “completamente antipatico”, passando per “nessun sentimento”. I dati vengono poi classificati dal ricercatore su una “scala logica” suddivisa in sette categorie, da “molto ostile” a “molto positivo”. Questa procedura, che focalizza il dato come risposta singola ed isolata, si fonda sulla «crucial assumption of [traditional] attitude researchers […] that there is something enduring within people which the scale is meauring – the attitude» (ivi, 45). L’analista del discorso, sostengono Potter e Wetherell, ha invece bisogno di tenere in conto le diverse componenti della variabilità insita nei discorsi, di chiedersi ad esempio se «people filling in an attitude scale are performig a neutral act of describing or expressing an internal mental state, their attitude or whether they are engaged in producing a specific linguistic formulation tuned to the context at hand» (ivi, 45). Il concetto di variabilità qui descritto va oltre l’individuazione delle singole varianti connesse alla sfera sociale. Nella prospettiva della Discourse Analysis la variabilità e la instabilità degli atteggiamenti sono dati di fatto riscontrabili nei discorsi ordinari della gente, restituiti dall’indagine nella forma di elementi discorsivi estesi: Put another way, if a certain attitude is expressed on one occasion it should no necessarily lead us to expect that the same attitude will be expressed on another. Instead there may be systematic variations in what is said, which cast doubt on the enduring homogeneus nature of the supposed internal mental attitude. (Potter/Wetherell 1987, 45)

Non è un caso che una fetta molto consistente del lavoro della Discourse Analysis è dedicato ad interpretare le cosiddette contraddizioni o incoerenze che i parlanti, non di rado, mostrerebbero di esprimere: l’informatore (e le persone) dicono prima una cosa e subito dopo un’altra contraria. In realtà questa semplice e regolare caratteristica delle interazioni sociali necessita di strumenti molto sofisticati per poter essere applicata all’analisi dei discorsi. Se, tutto sommato, la trasformazione delle risposte in indici quantitativi non pone grandi problemi metodologici, a parte ovviamente la preparazione delle matrici di equivalenza, ridurre la complessità dei discorsi a, perlomeno, fili di senso e a qualche regolarità, richiede sistemi capaci di accogliere la contraddizione come attività sociale ordinaria. Molta parte dei corpora della Discourse Analysis si riferisce a inchieste sulle opinioni di un gruppo simmetricamente egemone rispetto ad un’etnia ad esso subordinata. La differenziazione dei livelli deve però essere contenuta all’interno di un presente condiviso che implica fratture ideologiche ed identitarie, più o meno consapevoli.

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Ci soffermeremo qui su due esempi tratti dalla memorabile inchiesta di Potter e Wetherell (il già citato Potter/Wetherell 1987) sui discorsi dei neozelandesi sollecitati a verbalizzare opinioni sugli indigeni Maori, un’etnia insediata in un’isola del Pacifico dalla quale si spostano in flussi consistenti verso il più sviluppato territorio della Nuova Zelanda. I raccoglitori tendevano spesso a focalizzarsi sulle rivendicazioni dei Maori, così da sondare il pregiudizio in situazione di tensione identitaria. Si aggiunga che, d’altra parte, il sentimento Maori del riscatto è anche storicamente motivato, essendo stato il loro territorio sotto il protettorato coloniale europeo. Vedremo nei due esempi i metodi di cui si serve la Discourse Analysis per far emergere i differenti modi in cui i testi sono organizzati nel discorso, le conseguenze dell’uso di alcune forme di organizzazione piuttosto che altre, gli atteggiamenti e le ideologie che avrebbero potuto determinare le scelte discorsive, a volte anche incoerenti fra di loro. Il primo è una procedura di scavo delle opinioni ‘oltre’ il testo e dentro il discorso17. Ecco la «sequenza estesa di parlato» sotto osservazione: a. Respondent. I’m not anti them at all you know, I, if they’re willing to get on and be like us; but if they’re just going to come here, just to be able to use our social welfares and stuff like that, then why don’t they stay home? (ivi, 47)

Nell’analisi del testo la sequenza è ri-scritta come segue: a1. A1 If [they’re willing to get on and be like us] A2 then [I’m not anti them] but B1 if [they’re just going… to use our social welfares] B2 then [why don’t they stay home] (ibidem)

I connettivi e i condizionali esplicitano le molto sottili dinamiche ideologiche (io sono d’accordo se… ma / poi loro devono…). Hewitt e Stokes (1975) denominano questa strategia argomentativa «disclaimer» e la definiscono l’insieme degli accorgimenti utilizzati per evitare attribuzioni socialmente o specificamente detestabili. È molto probabile che un analista tradizionale, dovendo trasferire su una base di dati il discorso dell’informatore, si vedrebbe costretto a spuntare il quadratino di risposta “sì, sono d’accordo che gli immigrati Maori vivano e lavorino in Nuova Zelanda”. Un’indagine classica di psicologia sociale, inoltre, ridurrebbe la complessità individuando un item sulla scala di etichette gradatum stabilite dal ricercatore.

17 La finalità dell’analisi appartiene al tipico settore dell’individuazione dei pregiudizi, molto diffusa, ad esempio, nelle indagini di Linguistic Ideology finalizzate ad elicitare i «covert stereotipies», ma con tecniche diverse della Discourse Analysis.

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3.2 Atteggiamenti e dialettologia percettiva

In entrambi i casi, la produzione a latere di sequenze di discorso non attese da parte dell’informatore sfuggirebbe all’analisi18. Andiamo al secondo esempio. Potter/Wetherell (1987) propongono due stralci discorsivi di un unico informatore prodotti nel medesimo contesto elicitativo: b. Respondent. What I would li…rather see is that, sure, bring them [‘Polynesian immigrants’] into New Zealand, right, try and train them in a skill, and encourage them to go back again. (ivi, 49) c. Respondent. I think that if we encouraged more Polynesian and Maoris to be skilled people they would want to stay here, they’re not um as uh nomadic as New Zealanders are (Interviewer. Haha.) so I think that would be better. (ibidem)

Alcuni lettori potrebbero convincersi dell’incoerenza dell’informatore, dato che questi prima sostiene che i polinesiani dovrebbero specializzarsi in Nuova Zelanda e far ritorno alla loro isola, e poi che i medesimi polinesiani specializzati dovrebbero essere incoraggiati a restare in Nuova Zelanda. Inoltre, se fossimo analisti tradizionali o psicologi del sociale che utilizzano i metodi classici, non sapremmo proprio quale casella di risposta spuntare tra le due (Sì, No) abbinate alla domanda ‘Sei d’accordo che i Maori rimangano in Nuova Zelanda?’, o in quale dimensione di giudizio collocare la risposta dell’informatore (molto ostile? neutrale? positivo?). La cosa peraltro potrebbe anche non essere risolta dalla presentazione di ulteriori sequenze di parlato dentro cui si colloca lo stralcio di discorso presentato sopra. Tutto sommato, per un’analisi discorsiva potrebbe anche bastare questo contesto. E però, dato che al di là delle strategie discorsive «disclaimer» rimane un problema di presunta incoerenza del discorso, Potter e Wetherell decidono di estendere la cornice del contesto presentando le estensioni di discorso prima e dopo la sequenza presentata sopra. Per inciso, questa procedura pone oggettivi problemi di definizione del corpus, del quale, pena la dissoluzione del dato, non può essere detto che potrebbe essere allargato a dismisura. Per il corpus ALS, la questione ha consigliato già i fondatori dell’impresa atlantistica a considerare come primo stadio l’interazione nel suo insieme, capace di restituire il respiro dell’intervista, l’‘aria che soffia’, e poi procedere per stadi successivi mano a mano che il focus si specifica su particolari variabili tradizionali o non tradizionali, oppure su un particolare argomento, ad esempio ideologico o biografico. Per restare nella metafora del respiro, è un po’ quello che fanno gli editors quando continuano a leggere un manoscritto che li convince e del quale dovranno poi marcare dialoghi, focalizzare soggetti, spostare blocchi di testo. Ma torniamo a Potter e Wetherell. Di seguito i contesti di discorsi estesi all’interno dei quali rientrano gli stralci b e c (qui in corsivo) 18 Come abbiamo già accennato, ad esempio, nel corpus ALS è questa una regolarità adeguatamente trattata in sede di analisi ed interpretazione dei dati.

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b1 Interviewer. [Do] You think that, say, immigration from the Pacific Islands should be encouraged [ ] to a much larger extent than it is? It’s fairly restricted at the moment. Respondent. Yes. Um, I think there’s some problems in, in encouraging that too much, is that they come in uneducated about our ways, and I think it’s important they understand what they’re coming to. I, what I would li…rather see is that, sure, bring them [‘Polynesian immigrants’] into New Zealand, right, try and train them in a skill, and encourage them to go back again because their dependence on us will be lesser. I mean while the people back there are dependent on the people being here earning money to send it back, I mean, that’s very very negative way of looking at something. people really should be trying to help their own nation first. (ivi, 49 – 50) c1 Polynesian, they are doing jobs now that white people wouldn’t do. So in many sectors of community or life, um, we would be very much at a loss without them, I think. Umm what I would like to see is more effort being made to train them into skills, skilled jobs, because we are without skilled people and a lot of our skilled people, white people, have left the country to go to other places. I think that if we encouraged more Polynesian and Maoris to be skilled people they would want to stay here, they’re not um as uh nomadic as New Zealanders are (Interviewer. Haha.) so I think that would be better. (ivi, 50)

È chiaro come l’argomento del ritorno dei polinesiani alla terra d’origine è contestualizzato in ulteriori, differenti discorsi. In b1 l’auspicio che riconquistino casa è legato all’argomento della dipendenza da essi del gruppo familiare non emigrato, in c1 al tema sociale della forza lavoro neozelandese. Annotano Potter e Wetherell: «So the speaker’s two different versions […] can bee seen to flow logically and naturally from the formulations in the surrounding text» (ivi, 51). Le conseguenze ai fini della definizione degli atteggiamenti sono dirompenti: gli atteggiamenti non sono costanti nuclei valutativi, «general afunctional decontextual principles» (ivi, 54), stabili propensioni verso un oggetto, categorie coerenti ed isolabili, ma sono costruiti nei discorsi, situati nei contesti verbali, sociali, ideologici e identitari; il loro sistema di referenza non è univoco e riferito ad oggetti di atteggiamento discreti ed isolabili, bensì costruito e situato. Nella nostra prospettiva diremo: anch’esso rappresentato. In calce al paragrafo riportiamo la citazione con la quale Potter e Wetherell circostanziano questo delicato intreccio relazionale e formulano una indiretta definizione di atteggiamento davvero illuminante, oltre ché sintetica; nel prossimo paragrafo vedremo che ne è stato intanto dell’oggetto di atteggiamento, mano a mano che si è proceduto a smontare il sistema di referenze che, in un modo o nell’altro, continuano a reggerlo: The variability in people’s discourse cannot be explained merely as a product of a more complex multi-faceted attitudinal structure which a more complex scale can asses, because the views expressed vary so radically from occasion to occasion. It is impossible to argue that the claim, Polynesian immigration is desiderable and the claim that it is undesirable are merely facets of one complex attitude. The notion of enduring attitudes, even multidimensional ones, simply cannot deal with this. (ivi, 53)

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3.3 Oggetto di atteggiamento: dissoluzione o costruzione?

3.3. OGGETTO DI ATTEGGIAMENTO: DISSOLUZIONE O COSTRUZIONE? La messa in crisi dell’“oggetto di atteggiamento” omogeneo, duraturo e stabile è anche conseguenza dell’affermarsi della considerazione sempre più decisa del “contesto”, sia quando con esso, sul versante sociolinguistico, ci si è riferiti alla classica dimensione diafasica della variabilità (per es. Labov 1973), sia quando, negli studi su ideologia e stereotipi, lo si è definito luogo della produzione sociale di sequenze estese di parlato e quindi contesto di discorso (Discourse Analysis). La considerazione del contesto, nelle pratiche d’indagine e nell’interpretazione dei dati metalinguistici, non può risolversi in una procedura più o meno calibrata di inclusione progressiva di campi osservati e osservabili. È necessario che il processo vada oltre le prospettive dell’ampiezza orizzontale e della profondità verticale e che possa essere interpretato e realizzato con costrutti che prescindano dalle categorie, fossero anche pluridimensionali. L’irruzione del segno linguistico potrebbe garantire il salto al di là della categoria dell’inclusione, ma solo se collocata quest’ultima nella dimensione delle interazioni verbali estese. In tal modo, il contesto è il discorso narrativo nelle componenti pragmatiche e linguistiche. È giusto a fondamento di questa prospettiva che si pongono i richiamati approcci della Discourse Analysis e di Labov (il primo approccio più attento alle componenti pragmatiche, il secondo a quelle linguistiche). Date queste premesse, è da chiedersi che sorte ne discenda per l’oggetto di atteggiamento. Se le relazioni sono complesse fin oltre la pluridimensione, se l’irruzione del segno linguistico esaspera la complessità: cosa rimane del bersaglio reale ed oggettivo dei giudizi? A cosa sta esattamente pensando l’informatore mentre racconta che secondo lui i polinesiani dovrebbero essere rispediti alle loro case ma anche dovrebbero restare nella terra d’emigrazione? Uno degli aspetti è la definizione della categoria, per esempio «immigrati di colore», che Potter e Wetherell bollano come «bland descriptive category» (ivi, 44), in quanto «there are not objective criteria for category membership» (ibidem), ma anche delle sotto-categorie all’interno delle quali le risposte degli informatori vengono collocate, a posteriori, dal ricercatore. Le osservazioni a tal proposito di Potter e Wetherell, benché rilasciate 30 anni fa, sono ancora attuali19. La corrispondenza uno a uno tra parole ed oggetti (ivi, 54) non ha nessun senso nell’analisi dei discorsi. La variabilità non è comunque una variante impazzita ma riunisce modi diversi e alternativi (ibidem) con i quali gli uomini costituiscono gli oggetti dell’atteggiamento. Una sorgente molto prolifica di variabilità, ad esempio, è la diversa rappresentazione dei livelli in cui si collocano 19 Utilizzando gli strumenti della psicologia sociale dei prototipi, a partire da Rosch (v. cap. 6 e in particolare § 6.1.3), l’argomento va inquadrato nella messa in crisi delle procedure di appartenenza vs. non appartenenza, inclusione vs. esclusione, sì vs. no, per la definizione delle liste di elementi ed attributi che costituiscono le categorie. Dentro questa prospettiva, le categorie, infatti, si presentano con la struttura della sovrapposizione e non della elencazione. Benché la Discourse Analysis non sembra problematizzare l’insufficienza delle categorie come metodo nel quadro teorico della fuzziness dei confini, gli esiti sono affini.

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gli oggetti di atteggiamento. Il ricercatore vuole escutere l’opinione sugli immigrati di colore, Il ricercatore vuole escutere l’opinione sugli immigrati di colore, l’informatore elabora l’input proiettandolo nel suo vissuto e quindi probabilmente a quell’immigrato di colore che ha incontrato nel suo tempo di vita, il ricercatore registra ed interpreta la riposta dentro una dimensione astratta e non specifica. Leggiamo ancora Potter e Wetherell: The customer view is that attitudes are about distinct entities. Attitudes to immigrants, for instance, should concern an existing out-there-in-the-world-group of people. Yet when we examined actual discourse this simple ‘word and object’ view of attitudes became unworkable. It is clear that attitudinal object can be constituted in alternative ways, and the person’s evaluation is directed at these specific formulations rather than some abstract and idealized object. (ivi, 54)

Le posizioni di Potter e Wetherell sull’oggetto di atteggiamento ‘in contesto di vita’ e ‘in contesto di discorso’ hanno influenzato e ancora influenzano tanti studiosi. Ad esempio, tra i meriti della Discourse Analysis vi è quello di aver aperto sentieri verso la dimensione cognitiva e la salienza degli oggetti di atteggiamento che vanno anche oltre le sue stesse intenzioni. Le posizioni espresse nel Symposyum (di cui abbiamo detto al § 3.2 di questo capitolo) fanno continuo riferimento all’analisi discorsiva e si muovono all’interno del background teorico della Discourse Analysis, benché sottoposto a revisione con lo specifico obiettivo di focalizzare gli atteggiamenti linguistici della «gente reale». Preston 2009 sottolinea come nelle tradizionali esperienze di analisi del discorso, il contenuto, relazionato ad importanti fattori sociali, come il genere e la razza, consente “sottili analisi” dei significati individuali e comunitari, ma con il rischio che non si vada oltre la sensibilità di un lettore comune, che conosce le convenzioni espressive o retoriche di una comunità linguistica e degli argomenti che sono in gioco. Pertanto, in tali esperienze di ricerca, l’analisi linguistica coinvolgerebbe solamente significati potenziali del linguaggio e potrebbe rischiosamente condurre ad interpretare gli individuati livelli di struttura come “esclusivi codificatori di relazioni di potere”. In contrasto, il primo obiettivo per l’estrazione degli atteggiamenti dai discorsi sul linguaggio non è la struttura del discorso bensì l’argomento o «contenuto, da sottoporre poi all’analisi finalizzata ad individuare le relazioni con le strutture linguistiche e con gli stessi costrutti attitudinali20. Queste premesse sostanziano gli strumenti dell’approccio semantico e pragmatico agli atteggiamenti che con diversi livelli di consapevolezza la gente dimostra di avere nei discorsi sul linguaggio21.

20 Per un’applicazione di Preston al suo metodo basato su “asserzioni”, “presupposizioni”, “implicazioni”, v. § 4.1.3.1. 21 In Preston/Niedzielski 2003 c’è già un approccio non solo conversazionale (98-125) ma anche discorsivo (303-324) alla Folk Linguistics. Ci sembra molto illuminante il titolo del paragrafo (l’ultimo del volume) nel quale sono illustrate alcune tecniche di analisi dell’etnotesto-discorso:

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3.4. Contraddittorietà del parlante e ideologia

Al di là delle revisioni critiche e delle spinte in avanti, è palese il patrimonio di conoscenze teoriche e di metodo che i nuovi approcci discorsivi all’atteggiamento devono alla tradizione della Discourse Analysis. Tuttavia potrebbe albergare il timore che i metodi della Discourse Analysis restituiscano relazioni eccessivamente regolari ed automatiche tra codificazione testuale e stratificazione del potere nelle relazioni. Nel campo delle opinioni dei parlanti (che pure di tali relazioni sono riflesso, rappresentazione e costruzione) il focus sui dettagli di contenuto e significato delle interazioni, prima che sulle strutture, sembra loro garantire meglio la pluralità delle componenti identitarie ed ideologiche che interrelano su più livelli i rapporti fra “globale” e “locale”, dove vanno individuate le connessioni fra atteggiamenti e strutture linguistiche. E possono essere capaci di offrire, se non altro, un campo di analisi, una prospettiva di interpretazione, qualche ipotesi di ricomposizione, dell’oggetto di atteggiamento frammentato nei processi interazionali della costruzione sociale. 3.4. CONTRADDITTORIETÀ DEL PARLANTE E IDEOLOGIA Abbiamo fin qui sostenuto che instabilità valutativa e contesto di discorso sono le parole chiave per la comprensione del tema della contraddittorietà. Negli studi ma soprattutto nelle ricerche di DP il concetto è stato tradizionalmente collocato all’interno di una dimensione neutra coincidendo in tal maniera con la semplice ‘incoerenza logica’ del parlante rilevabile in sporadici episodi verbali sollecitati da input del tipo: ami o detesti il dialetto dei paesini? sei orgoglioso del tuo diletto o ti imbarazza? i montanari sono persone rozze o simpatici compagni di bevute? La natura dei dati di analisi in DP impone di abbandonare la dimensione della neutralità e di interpretare gli episodi verbali ai quali ci siamo appena riferiti (per nulla lontani da casi-studio di corpora di DP) come verbalizzazioni pragmatiche portatrici di pronunciata valenza ideologica, piuttosto che come segmenti di incoerenza. I sintomi dell’illogicità che parrebbero ammorbare i micro-discorsi, per gli analisti DP devono pertanto costituire il terreno aperto per lo studio dell’ideologia socio-linguistica addensata nei macro-discorsi. Là dove disordinata, inopinabile e illogica, in quantità rilevante, sembrerebbe annidarsi la contraddittorietà, deve qualificarsi invece come territorio privilegiato di conflitti e riassestamenti ideologici del parlante e della comunità, dal quale l’analista di DP non può prescindere.

«The discourse prospect» (314-324), come altrettanto significativi ci sembrano i seguenti commenti: «Folk linguistics is radically contextualized […] We believe […] that the discoursal investigation of folk linguistic matters is indispensable» (ivi, 323).

3. Dialettologia percettiva e atteggiamenti

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3.4.1 Motivazioni cognitive di incoerenza e contraddittorietà In psicologia sociale la contraddizione o incoerenza valutativa è definita in termini di «ambivalenza attitudinale». Un atteggiamento è ambivalente quando comprende al medesimo tempo e nella medesima occasione valutazioni positive e negative. Il rapporto fra le due valutazioni contrarie è chiamata «tensione» (Fabrigar/Macdonald/Wegener 2005, 84). L’ambivalenza è l’esito di tipi diversi di «inconsistenza» valutativa, raggruppati in base alla condivisione o meno del livello coinvolto nel conflitto. Con “ambivalenza all’interno della dimensione” (ivi, 85) è indicata la situazione di conflitto nello stesso livello cognitivo, ad esempio, positive e negative credenze verso uno stesso oggetto di atteggiamento, oppure positive e negative affettività. Il conflitto “fra dimensioni ambivalenti” (ibidem) coinvolge invece dimensioni diverse verso lo stesso oggetto di atteggiamento: positiva credenza e negativa affettività, e viceversa; oppure, coinvolge l’atteggiamento nel suo insieme in conflitto con le credenze oppure con le affettività che pure concorrono a determinarlo, sebbene nei modi dinamici e relazionali che abbiamo visto (v. § 3.1, 3.1.1 di questo capitolo). Per la dialettologia percettiva, e per i suoi strumenti, è molto complicato individuare esattamente quali dimensioni siano in gioco nel conflitto e soprattutto collegare rappresentazioni linguistiche e/o pragmatiche a credenze oppure ad effettività, tanto più se queste ultime si presentino iconizzate, stereotipizzate o ad esempio con le caratteristiche del pregiudizio. Si può definire la contraddittorietà o incoerenza del parlante come ambivalenza attitudinale (o inconsistenza valutativa) e dire che essa è riscontrata quando le risposte di un informatore comprendono valutazioni contraddittorie o comunque diverse in modo significativo su uno stesso oggetto di atteggiamento. Questa posizione è del resto confortata dal profilo di atteggiamento, ritenuto utile per la dialettologia percettiva, che lo definisce caratterizzato dalla proprietà relazionale interna ed esterna e non risultato dell’addizione di parti (v. § 3.1, 3.1.1). La psicologia sociale descrive i processi cognitivi ed esternisti dell’incoerenza. I due modelli più correnti individuano la possibilità della contraddizione nella capacità del vecchio atteggiamento di resistere al cambio che pure si verifica. Il Modello Duale (Wilson/Lindsey/Schooler 2000) definisce il nucleo valutativo, esito del rapporto tra cambio e persistenza, come atteggiamento duale. La relazione duale, e non dicotomica, è sorretta dai poli della consapevolezza e della non consapevolezza. La valutazione ad esempio positiva verso un oggetto di atteggiamento può essere consapevole, e quella negativa non consapevole. Il past model (Petty et alii 2006) motiva la contemporanea attivazione di nuovi atteggiamenti e atteggiamenti memorizzati in precedenza, con la procedura cognitiva del tag. Il tag etichetta il vecchio atteggiamento come falso, ma siccome entrambi (vecchio e nuovo) sono associati in memoria allo stesso oggetto di atteggiamento, entrambi possono attivarsi contemporaneamente. Il Past Model sottolinea molto più di quanto faccia il «Modello Duale» la probabilità che entrambi gli atteggiamenti siano disponibili alla consapevolezza.

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3.4. Contraddittorietà del parlante e ideologia

3.4.2. Le contraddittorietà del parlante. Sei raccomandazioni in forma di ragionamento Le incoerenze di cui ci occupiamo con il «principio di contraddittorietà del parlante» occupano la dimensione sincronica della variabilità. In effetti alcuni psicologi sociali (Kruglanski/Stroebe 200522, 327) preferiscono riservare il concetto di stabilità per indicare la «consistenza» nel tempo dell’atteggiamento e indicano invece l’inconsistenza rilevata in un’unica scansione sincronica con l’espressione “non-unicità”. Noi preferiamo mantenere termine e concetto di non-stabilità per indicare la contemporanea esistenza di differenti atteggiamenti verso un unico oggetto di atteggiamento, per cui la relazione fra atteggiamento e suo oggetto non è unica. È anche vero che, come ci ha spiegato Labov, la variazione avviene in diacronia e si presenta in sincronia, di modo che, sia la trasmissione, com’è lampante, ma anche la diffusione, sono processi della storia oltre che del presente (Labov 2007). La dialettologia percettiva di contesto romanzo e soprattutto italoromanzo è stata la più sensibile nella ricerca di strumenti teorici in grado d’andare oltre le polarità delle strutture e di cogliere la variabilità del parlante in modelli sì strutturati ma che fossero capaci di cogliere i flussi di lingua e di società. Siamo convinti che l’inizio di questo ‘andare oltre’, presente tuttavia con indizi di una certa consistenza negli atti di Bardonecchia, debba essere collocato nella pubblicazione della rassegna sullo spazio vissuto e nelle precise formulazioni del costrutto socio-linguisticocognitivo che lì ne fanno D’Agostino, Krefeld e Thun23. Tracce ancora molto evidenti poi, sul fronte della interpretazione dei dati sul campo, sono giusto nel principio di contraddittorietà del parlante, come abbiamo accennato sopra sottoposto a precisa formulazione e verifica da Tullio Telmon (2002b: V-XXXIV, 2003: 234-238) (v. § 3.2), un aspetto della percezione linguistica che, annota il dialettologo torinese, si presenta come una vera e propria regolarità. La prospettiva di Telmon è interessante perché comprende anche le false contraddittorietà. Ad esempio, coppie falsamente oppositive sono “italiano + dialettale vs. italiano – ibridato” (ivi, 234), in quanto il primo termine dell’opposizione si riferisce «all’italiano degli anziani […] costruito sull’impalcatura strutturale del dialetto che è stata la lingua materna di questa classe di età» [mentre] « con – ibridato […] ho reso il giudizio di un parlante che asseriva che l’italiano degli anziani possiede meno quantità di forestierismi» (ivi, 235). Secondo Telmon gli elementi («sottostanti») alla falsa contraddittorietà sono di natura «sociolingusti[ca] e pragmatic[a]» (ivi, 235). A noi pare che tali elementi coinvolgano anche la dimensione della categoria cognitiva. Individua difatti Telmon i rispettivi livelli dove i due giudizi sono collocati e rappresentati dai parlanti e le relazioni fra di essi. Il giudizio “+ dialettale” sta 22 Kruglanski e Stroebe affrontano l’argomento della stabilità dichiarando incompatibili con la ricerca scientifica contemporanea [sull’atteggiamento le] relazioni [semplicemente duali] di amore-odio (ivi, 327). I due psicologi sociali sono cioè alla ricerca di un terzo elemento frapposto o sovrapposto ai due poli della scala dell’affettività. 23 Krefeld 2002b, che contiene, tra gli altri: Krefeld 2002c, Thun 2002, D’Agostino 2002d.

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in un frame retto da relazioni asimmetriche fra gli “esemplari” (‘italiano vs. dialetto’); – “ibridato” in un frame con relazioni simmetriche o sincroniche (per esempio: ‘italiano e/o inglese’). L’individuazione dei livelli non è un’attività di formulazione scientifica ma la rappresentazione del parlante in quel dato momento dell’interazione sociale e linguistica. I livelli, cioè, li assegna il parlante e il ricercatore non ha altro compito che decifrarli; non certo sulla base dei propri modelli di stratificazione del repertorio linguistico, cioè delle proprie rappresentazioni, bensì sforzandosi di interpretare modelli e rappresentazioni di quel parlante, in quell’episodio interazionale, dentro la comunità linguistica, in quel contesto di repertorio. Sostenere, come l’informatore di Telmon fa, che l’italiano degli anziani è più dialettale ma anche che è meno ibridato, non significa quindi dimostrare di avere rappresentazioni contraddittorie. Ma Telmon propone anche un esempio di contraddittorietà. Alla domanda a risposta chiusa ‘sì vs. no’ n. 54 del questionario «Secondo Lei, esiste un italiano più vicino al dialetto?24» in 13 rispondono sì. Ma erano 22 gli informatori convinti che l’italiano degli anziani è diverso da quello dei giovani in quanto più dialettale. È questo, a parere di Telmon, uno dei casi di contraddittorietà, dato che «dovrebbero essere almeno [22] gli informatori che, richiesti se esista un italiano ‘più vicino al dialetto’ […] rispondano SI». E invece sono 13: che fine hanno fatto gli altri 9? Un ulteriore esempio di contraddittorietà, infine, viene riscontrato in alcune risposte alla domanda «Dal Suo italiano un forestiero capirebbe che Lei è piemontese?» se confrontate con quelle alla domanda 54 «Secondo Lei, esiste un italiano più vicino al dialetto?». «Coerenza imporrebbe infatti che la maggioranza dei rispondenti, dopo avere schiacciantemente sostenuto (35 NO contro 13 SI) che un italiano più vicino al dialetto a suo parere non esiste, rispondesse NO anche a questa domanda» (237). Ma i No sono solo 11; e i SI 36: «i rapporti si rovesciano» conclude Telmon. Tematizzare le incoerenze dei giudizi e delle valutazioni nelle indagini scientifiche e nelle interazioni sociali non si risolve nella mera perimetrazione di un campo teorico e nella messa a punto dei collegati strumenti per la raccolta e l’analisi del dato; siamo invece convinti che le supposte, apparenti ovvero reali contraddittorietà siano infine il vero oggetto di studio della dialettologia percettiva. Ci riferiamo sia alle incoerenze, o coerenze, ‘dentro’ il parlante, sia a quelle ‘fuori’ il parlante, fra ciò che il parlante pensa e dice sulla lingua e le sue varietà e quanto di esse ci hanno detto e dicono i linguisti. E dato che l’incoerenza pone la relazione fra almeno due elementi e, soprattutto, che la natura relazionale dell’atteggiamento è interna ma anche esterna, bisogna ammettere che quelle che indichiamo come contraddittorietà del parlante hanno senso solo se il territorio del confronto comprenda anche lo spazio che inizia un millimetro oltre il parlante.

24 La domanda, nel caso di risposta positiva, prevedeva un input successivo («In che cosa si differenzia dal dialetto»?) le cui risposte non sono prese in considerazione da Telmon per la discussione della contraddittorietà.

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È del resto ciò che fa la dialettologia percettiva quando confronta linee di confine, rileva vicinanze o distanze, traccia le perimetrazioni emiche ed etiche, scientifiche e popolari. Quando cioè cerca di capire se i dati del linguista e i dati del parlante si sovrappongano o siano piuttosto in contraddizione. E quando pone in relazione prospettive diverse sul mondo, diversi contenuti culturali e identitari, ideologie diverse. Un buon approdo nei termini di un concetto di contraddittorietà utile alla dialettologia percettiva, può indurci a sostenere che le linee di confine oltre le quali individuiamo le contraddizioni del parlante rispetto a quanto ci ha detto prima o in altra occasione, si riflettano nelle linee di confine oltre le quali poniamo le opinioni dei parlanti rispetto a quelle dei linguisti. In questo modo è probabile che riusciamo a capire un po’ meglio perché le incoerenze dentro il parlante non siano unicamente di natura cognitiva ma anche imbevute di socialità, e i motivi che hanno consigliato i dialettologi percettivi a chiamare “confini cognitivi” le linee che il parlante traccia fuori. Com’è anche intuitivo, non si tratta soltanto di due livelli che si compenetrano e rimbalzano uno sull’altro, piuttosto della natura situata delle opinioni. Seguendo la Discourse Analysis e i suoi sviluppi nella nuova Language Regard, abbiamo ribadito che gli atteggiamenti non sono decontestualizzati, ma situati. Situare significa porre qualcosa o qualcuno in un punto preciso, rappresentarlo lì, separarlo da tutto ciò che è situato altrove, vicino o lontano. Questo potrebbe essere molto rischioso e potrebbe condurre a demolire tutto quanto ci ha detto la dialettologia percettiva dei confini e del superamento della nozione di isoglossa. È questo il motivo per cui rappresentare in situazione le interazioni contestualizzate e le sequenze estese di parlato non può spingerci ad effettuare perimetrazioni che ci restituiscano, per l’osservazione, sezioni di mondo separati. Diremo, a tal proposito, che alla dialettologia percettiva è utile che le aree e le sovrapposizioni che i parlanti con le loro opinioni tracciano sullo spazio, siano interpretate nei modi della categorizzazione fuzzy (cfr. cap. 6). La contraddittorietà del parlante ci segnala la fuzziness dei confini fra sé e il mondo. Se l’oggetto di studio della dialettologia percettiva può essere ricondotto, come noi siamo convinti, alle questioni legate alla contraddittorietà o incoerenze del parlante ciò non può bastare a chi faccia ricerca empirica. L’attività sul campo è infatti scandita da testi sonori o trascritti, elicitati spesso da soggetti diversi con input di natura variegata, a partire dai quali si devono misurare opinioni, atteggiamenti, ideologie, identità. Sul terreno di ricerca si incontrano parlanti che sembrano contraddirsi, e si dovranno interpretare livelli della rappresentazione, oggetti di riferimento, natura degli input. Compito non facile, ridurre il flusso sonoro a schemi di interpretazione capaci di rintracciare un senso laddove esso sembrerebbe negato dallo stesso autore principale del flusso. Alla stessa maniera che per i questionari, i quali nelle migliori tradizioni consentono una certa liberalità dentro la schematizzazione, finalizzata anche all’imprevedibilità del dato, possiamo però individuare alcuni punti fermi da usare come canovaccio di orientamento per interpretazioni probabilmente non previste. Sono sei aspetti dell’incoerenza ideologica e linguistica, sei raccomandazioni, in forma di

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ragionamento, da utilizzare all’occasione, cioè quando e se la nostra rappresentazione della realtà ci allarmi sul fatto che il parlante sia inciampato in quelle vere e proprie regolarità, per usare le parole di Telmon, che sostanzierebbero il principio di contraddittorietà delle percezioni e rappresentazioni metalinguistiche. È necessario definire bene i livelli in cui si colloca l’oggetto di atteggiamento. In generale, si può ritenere che ha senso parlare di contraddittorietà e incoerenza del parlante se questi e il raccoglitore e/o analista dei dati si stanno riferendo al medesimo oggetto di atteggiamento. La relazione fra atteggiamento e i suoi oggetti è argomento molto presente nelle indagini di psicologia sociale, specie nelle elicitazioni di atteggiamenti ad alta criticità identitaria, ad esempio sul razzismo, utilizzate per snidare il pregiudizio. Feldman/Zaller 1991, in più inchieste, dimostrano come spesso gli informatori ostentino atteggiamenti fra loro in apparente contraddizione. Si tratta però di tipi di incoerenze molto particolari, che sono da riferire ai diversi livelli socio-cognitivi in cui le valutazioni si collocano. Sostenere che l’accettazione di principi generali (es: io sono antirazzista) sia in contraddizione con affermazioni che apparentemente li specificano (es: credo sia più probabile che gli immigrati commettano reati), secondo Feldman e Zaller è un modo fuorviante di affrontare l’argomento. Il concetto di contraddizione ha infatti senso solo all’interno degli stessi livelli di rappresentazione della realtà. Anche Legrenzi/Rumiati 1996 affrontano il problema dal punto di vista di opposizione tra «specifico» e «globale», invitando a stare molto attenti alle ingerenze fra i due piani. Un ulteriore risvolto di inchieste del genere, molto utile ai nostri effetti, fa riferimento a quanto l’informatore sia disposto a sostenere pubblicamente. Ad esempio, Crespi 1988 illustra gli esiti di un sondaggio sull’aborto condotto negli Usa. Il 62% si dice contrario all’aborto, mentre il 46% si dichiara d’accordo con la Corte Suprema che riconosce il diritto alla donna di abortire nei primi tre mesi. La fetta di campione degli intervistati che si dichiara contrario all’aborto in generale ma favorevole all’aborto in una dimensione situata, non ha dimostrato di avere atteggiamenti contraddittori. È invece interessante indagare i diversi livelli rappresentazionali e i conflitti identitari ed ideologici fra di essi. A questo proposito, sono molto pertinenti alla DP le osservazioni di Tourangeau/ Rasinski 1988 sull’habitat cognitivo dell’intervista, che la qualificherebbe, soprattutto durante le ultime domande del questionario, come interazione relativamente privata rispetto alle situazioni reali e quotidiane, e quindi idonea ad elicitare le covert opinions. Nell’ambito della dialettologia percettiva, la collocazione dell’oggetto di atteggiamento può essere chiarificato nel contesto delle riflessioni sulla disponibilità alla consapevolezza dell’oggetto delle opinioni in termini di accuratezza, dettaglio e controllo (Preston 1996). Infatti, alla diversa qualità e qualità di consapevolezza tra informatore e ricercatore rispetto ad un tratto linguistico, possono essere riferiti alcuni casi di contraddittorietà solo apparente. In casi come questi, l’input mira ad un determinato bersaglio-oggetto dell’inchiesta, l’informatore produce una risposta

OGGETTO DI ATTEGGIAMENTO

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sulla base delle proprie rappresentazioni, il ricercatore non se ne rende conto e interpreta la risposta associandola al proprio input, talvolta registrandolo come incoerente. Esempi molto chiari di questo genere di problema, che coinvolgono quindi i diversi livelli di rappresentazione raccoglitore-informatore, si hanno nel corpus dell’ALS quando il concetto di vicinanza spaziale è sottoposto nell’intervista a vera e propria trattativa25. Il raccoglitore, interpretando il protocollo, è interessato ad escutere le percezioni della differenza linguistica nei “paesi vicini”, l’informatore individua e riferisce i centri della diversità linguistica sulla base del proprio vissuto, il raccoglitore non si dichiara soddisfatto e inserisce input di avvicinamento spaziale-fisico, il raccoglitore, ma non sempre, sintonizza le percezioni di vicinanza a quelle del raccoglitore. Questa modalità interazionale è definita una vera e propria variabile della percezione linguistica e contribuisce a delineare i tre diversi modelli di spazialità degli informatori ALS. Diversi moduli di domanda del questionario ALS sono congegnati tenendo conto della distribuzione nei contesti socio-cognitivi globale e specifico. Da analisi di dati emergono reazioni di apparente segno opposto a due domande della seconda parte del questionario aventi ad oggetto le dichiarazioni d’uso degli informatori. Le domande sono così formulate, e più o meno nella stessa forma sono state restituite agli informatori: 1: «Lei in generale, parla soprattutto in italiano o soprattutto in siciliano? (Se la risposta è Entrambi) Ma di più in siciliano o di più in italiano?». 2: «Di solito Lei come parla con (sono elencati uno per volta 19 domini situazionali: amicali, familiari, lavorativi, occasioni non ordinarie di interazione) in siciliano o in italiano? (Se la risposta è Entrambi) Ma di più?». Il dato tendenziale fotografa una fetta significativa del campione che si autorappresenta tendenzialmente italofono se sottoposto all’input della domanda 1, ma tendenzialmente dialettofono all’input della domanda 2. Una parte della apparente contraddittorietà è da imputare certamente ai rispettivi livelli in cui si colloca l’oggetto di atteggiamento: generale domanda 1, particolare domanda 2. Bisogna però fare molto attenzione a non ridurre tutto ad uno schema di piani che si sovrappongono oppure restano separati, eliminando le molte facce della variabilità del parlante, dalle componenti ideologiche, identitarie, alle reti sociali di pertinenza, alle mobilità che più o meno direttamente lo riguardano. Facendo sempre riferimento alle due domande precedenti, l’atteggiamento degli informatori, sollecitati ad autorappresentarsi italofoni, è con ogni probabilità innescato anche dalla forte carica ideologica della prima domanda, che ha inibito, un po’ come nell’inchiesta di Crespi citata sopra, la loro disponibilità a dichiarare ad un terzo intruso nella propria routine quotidiana la reale consistenza del dialetto nel repertorio personale26. 25 La ‘trattativa sullo spazio’ tra raccoglitore e informatore sarà illustrata e discussa al §. 7.4. 26 Osserva Castiglione (2002, 136-137): «La risposta che possiamo attenderci [dalla domanda 1 della seconda parte del questionario ALS] dipende da una pluralità di variabili legate alle griglie interpretative della stessa fonte e del suo vissuto. Essa, dunque, può non essere immediata perché soggetta ad alcune interferenze. […]. La risposta potrebbe risentire dell’ideologia del parlante il quale, non essendo a conoscenza delle domande successive […] potrebbe ‘barare’ più

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Una buona via di mezzo, che ci pare vada nella stessa direzione di ampi settori della psicologia sociale alle prese con indagini sul pregiudizio, potrebbe prevedere una preliminare verifica dei livelli che coinvolgono l’oggetto di atteggiamento, che va però immancabilmente integrata con la presa d’atto delle tante altre componenti che definiscono il parlante plurale e sfaccettato, non ultima quella ideologica ed identitataria. Ad esempio, tornando al caso proposto da Telmon sulla supposta contraddittorietà dei 9 parlanti che si dicono convinti che l’italiano degli anziani è diverso da quello dei giovani in quanto più dialettale, ma poi negano che esista un italiano più vicino al dialetto, ci pare che probabilmente la verifica della dislocazione dell’oggetto di atteggiamento possa far propendere piuttosto per una falsa o perlomeno non appurata contraddittorietà. Nel primo caso l’oggetto si situa in una dimensione un po’ più specifica (l’italiano degli anziani) che a ben vedere sembra una componente dell’ italiano (dimensione generale). Ma questo potrebbe non bastare. Siamo certi che l’introduzione della coppia oppositiva ‘anziani vs. giovani’ abbia lo stesso valore e la stessa incidenza cognitivo-ideologica della enunciazione non connotata dell’esistenza dell’italiano? Questo punto di domanda ha anche a che fare con le condizioni di elicitazione dei dati. CONDIZIONI DI ELICITAZIONE Sulla base delle condizioni individuate per il ‘quadrato’ della DP (v. § 2.1.2) Preston (2010a, 10), richiamando Bassili/Brown (2005, 552) elenca le condizioni di elicitazione ricorrenti in un’inchiesta:

– – – –

setting forma degli stimoli tipo di prova richiesta all’informatore (task type) rappresentazione dell’oggetto di atteggiamento.

Tutt’e quattro concorrono a costituire l’architettura di base del network connessionista attitudinale di Bassilli e Brown (2005; v. § 2.1.2). Preston ricorda che la lista è familiare agli studiosi di sociolinguistica nelle forme di variabili della correlazione sociale. Il setting dell’inchiesta comprende partecipanti e dimensioni diacroniche e diatopiche della variazione. Tipo di task e forma degli stimoli fanno riferimento alla struttura del questionario e alla tipologia delle domande (a risposta aperta, chiusa, input finalizzati alla raccolta di brani di parlato spontaneo, indotto, semi-indotto); la rappresentazione dell’oggetto, ai suoi diversi gradi e modalità di ostensione. In linea generale, quanto più si equivalgono le condizioni di elicitazione degli input, tanto più sarà attendibile il confronto fra risposte, finalizzato ad individuare

o meno consapevolmente celando dietro alle informazioni che ci fornisce una percezione relativa allo status socio-economico che il dialetto comporta […] o fornendo un’autorappresentazione che egli ha di sé e che vuole che gli altri abbiano di lui. Il nostro informatore potrebbe, dunque, essere in balìa dei suoi stessi pregiudizi e dei suoi stessi atteggiamenti ideologici e affettivi verso la lingua.».

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ed interpretare le contraddittorietà del parlante. Particolarmente sensibile a determinare la variabilità dentro l’intervista è la struttura della domanda (e quindi i modi e le forme di presentazione dell’input), che riguarda soprattutto il grado di ostensione del suo oggetto all’informatore. Le condizioni degli input però non sono elementi neutri al contesto interazionale costruito da informatore e raccoglitore e non si comportano come semplici variabili della risposta rispetto ai diversi modi con cui un input può essere presentato. Nell’ultima parte del capitolo presenteremo un esempio e analizzeremo gli eventuali livelli di incoerenza delle risposte di un parlante agli input sulla percezione della differenza linguistica (domande 16, 17, 18) e alle domande ideologiche sul dialetto (domande da 31 a 34) e sottolineeremo che è consigliabile considerare anche le condizioni di elicitazione in termini di struttura di domanda ma anche come parte in causa ed esito dell’interazione. A questo proposito si pone un altro quesito: le coerenze o incoerenze vanno ricercate nella sintesi a posteriori delle risposte o nelle sequenze estese di parlato? Nel primo caso daremmo luogo ad un’analisi quantitativa dei dati, nel secondo ad un’analisi qualitativa. È certo che oggi nessuno sacrificherebbe la seconda per la prima. Difatti, non solo la risposta ma anche le reazioni dell’informatore sono da intendere come estensione interazionale, in larga parte non attesa e quindi non prevedibile né nella forma né nei contenuti. Input ed output, in forme diverse ma pari legittimazione, sono il luogo naturale dell’atteggiamento discorsivo. È molto probabile, infatti, che sia necessario trasferire le supposte incoerenze dei parlanti dalla prospettiva delle risposte a quella dei discorsi, e da quella delle domande a quella delle strategie messe in campo dal raccoglitore per ottenere quei dati che, tanto spesso, l’informatore sembrerebbe non volergli dare. Inoltre sembra necessario non solo guardare alle condizioni di elicitazione per come sono prima che tutto abbia inizio, ma anche vedere cosa sono diventati dopo, nel corpo dell’interazione. Chiamiamo, questa seconda raccomandazione, comparabilità delle condizioni di elicitazione delle risposte, oltre che delle domande. Abbiamo rilevato (§ 2.1.2) che l’idea di utilizzare la complessità delle reti neuronali per dare conto della complessità delle interazioni sociali, si basa sulla proprietà associazionista27. Così come, notiamo, i nodi interazionali si associano nella struttura della rete sociale, credenze, concetti e affettività sono associati nel cognitorium, con l’avvertenza già segnalata in margine al modello per l’interpretazione dei discorsi metalinguistici dei parlanti ALS (v- §§ 2.1.4, 2.1.5) che gli elementi ideologici, identitari e pragmatici di lingua e società si associano non solo per riunione ma anche per opposizione. NATURA CONNESSIONISTA DEL NETWORK NEURONALE DEL COGNITORIUM

27 Ricordiamo che il connessionismo è un ramo delle scienze cognitive che fonda le teorie sul funzionamento della mente sul presupposto che la struttura mentale è organizzata in reti neuronali. Ai fini della definizione di modelli per le scienze del linguaggio, l’idea di individuare delle similitudini fra funzionamento delle reti neuronali e interazioni sociali e linguistiche è applicata, come si è visto in, nel ‘quadrato di Preston’ (§ 2.1.2).

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La complessità del modello neuronale connessionista dà conto della tendenza alla variabilità sociale da un lato e della instabilità degli atteggiamenti dall’altro. Sappiamo inoltre che, nei termini del principio di contraddittorietà, siamo interessati alla non necessaria stabilità delle valutazioni su un oggetto di atteggiamento in sincronia più che in diacronia. È giusto a questo proposito che Preston risponde affermativamente alla fondamentale domanda: «Can different or even contradictory attitudes arise in the same individuals with regard to the same attitude object?». Ecco come argomenta: The complexity of the network detail itself allows for contradictory beliefs to be held, and the possibility of one or another being activated by different eliciting conditions is another source of variability. (Preston 2010a, 12)

La contraddittorietà dei parlanti perde in tal modo la sua patina di scandaloso corso degli eventi, per quanto non insolito. Le parole di Preston fanno riferimento a tre dimensioni interrelate della variabilità dei giudizi. Primo: il sistema è complesso, i suoi elementi sono complessi, i rapporti di rete fra di essi sono complessi, le relazioni sono plurime in dimensione e contenuti. Difatti, gli elementi del cognitorium sono concettuali ma anche affettivi e il sistema si regge sulla equanime possibilità di associazione fra di essi. Le procedure di valutazione hanno un’ampia componente di imprevedibilità. Secondo: è necessario prendere atto che la reale incidenza esercitata sulle risposte dalle condizioni che reggono l’intervista, possa sfuggire al controllo del ricercatore. Condizioni di elicitazione pensate per garantire la comparabilità dei dati, possono invece risultare tanto diverse da diventare fonte di variabilità. La diversità e la variabilità possono essere intrinseche alle domande in quanto tali, ovvero nelle interpretazioni che di esse ne danno gli informatori. Terzo: le condizioni di elicitazione sono anche le condizioni della variabilità nelle interazioni ordinarie e quotidiane: Finally, task type may seem to overemphasize experimental settings, but I have in mind also the task types people set for themselves in everyday life with regard to language attitudes as well as those set by an experimenter. (Preston 2010a, 11)

In tale prospettiva, le condizioni di elicitazione sono le variabili della correlazione sociale da cui dipendono le qualità situazionali e la costruzione e de-costruzione di identità e ideologia. Il tempo di vita quotidiana ostenta, dentro gli incontri, gli oggetti di giudizio con le loro diverse salienze, suscettibili o meno di essere cioè coinvolti nel setting. Il quale definisce il dominio. Abbiamo già argomentato (§§ 2.1.4, 2.1.5) che per un’interpretazione connessionista dei dati metalinguistici che possa anche dare conto delle incoerenze, apparenti o fondate, dei parlanti, è utile il modello di network cognitivo elaborato da Ungerer e Schmid (2006, 47-52), che ha il pregio di essere teoricamente morbido, nel senso che è un sistema aperto, ed è elementare, nel senso che muove dalle realtà semplici ma senza per questo essere atomistico.

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3.4. Contraddittorietà del parlante e ideologia

FALSO, VERO, CONTRADDITTORIO, INDEFINITO

A ben vedere, le cosiddette incoerenze dei parlanti ci conducono ai territori della vaghezza semantica nelle relazioni fra realtà e linguaggio. Siamo convinti che esso è uno dei temi fondanti del campo di interessi della dialettologia percettiva; la quale, peraltro, se ne è occupata fin dall’inizio e se ne occupa, ad esempio, nella teoria della rappresentazione oppure nella definizione degli stereotipi. Labov ha specificamente definito la vaghezza delle parole in relazione alla dipendenza dal contesto, in funzione di una teoria del significato che potesse essere spesa nella linguistica delle comunità e del contatto (cfr. §§ 6.1.5, 6.1.5.1). Le vaghezze semantiche, argomento consolidato negli studi sul lessico, si fondano sui principi della logica sfumata (fuzzy logic), scuola di pensiero di marca ingegneristica alla quale si deve la teoria degli insiemi sfumati (Zadeh, 1965, 1971; Kosko 2000). Tra Vero e Falso, esistono innumerevoli gradualità dell’ordine della verità e della falsità. Non è sufficiente quindi affermare che un elemento appartenga o meno ad un insieme, ma determinarne i vari gradi di appartenenza. Alla scala di Zadeh possiamo far riferimento quando interpretiamo le architetture delle varietà in contatto, organizzate in modelli continui e non polarizzati, con addensamenti dosati sulla gradualità di vicinanza o lontananza dal centro, ovvero dallo standard (Berruto 1987). Per altro verso, già a partire dalla fine del ‘900, la logica polifunzionale istituiva la categoria dell’indeterminato tra le relazioni di verità e falsità (cfr. Lukasiewicz [1920] 1970a, b28, e gli sviluppi della sua teoria in Trzesicki 1993, Schiapparelli 1994, Coniglione 1994). L’indeterminato e la vaghezza stravolgono il principio di appartenenza vs. non appartenenza per la definizione di una categoria (v.§ 6.1.2). E , di conseguenza, tutte le relazioni binarie, tipicamente rappresentate in logica con i valori O – 1: sì vs. no, vero vs. falso, presente vs. non presente, etc. Il capitolo 6 sarà per lunga parte dedicato ad una teoria della categorizzazione fuzzy utile alla dialettologia percettiva per l’interpretazione delle dicotomie ideologiche italiano vs. dialetto, degli stereotipi, dei deittici e delle sovrapposizioni delle varie forme di spazialità. Si tratta di una strada già in parte percorsa da recenti aree di indagine varietistica. La stessa dialettologia percettiva, gli studi sull’ideologia linguistica e per certi versi anche la sociolinguistica urbana, accanto alle variabili tradizionali, hanno via via perfezionato strategie teoriche di interpretazione dei fatti di lingua e di società

28 «It can assume one and only one of two truth-values: truth and falsity. I call this principle the principle of bivalence. […] Because it lies at the very foundation of logic, the principle under discussion cannot be proved. One can only believe it, and he alone who considers is self-evident believe it. To me, personally, the principle of bivalence does not appear to be self-evident. Therefore I am entitled not to recognize it, and to accept the view that besides truth and falsehood exist other truth-values, including at least more, the third truth-value. What is this thirdvalue? I have no suitable name for it. But after the preceding explanations it should not be difficult to understand what I have in mind. I maintain that there are propositions which are neither true nor false but indeterminate». (Lukasiewicz [1920] 1970b, 126).

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basate su relazioni complesse di presenza/assenza, mobilità/staticità, relazioni di rete/extra rete etc.. La nuova via rispetto all’approccio tradizionale alla variabilità è stato tuttavia sancito, forse non troppo consapevolmente, giusto dalla dialettologia percettiva attraverso la proposta di modelli riconducibili al rifiuto costante della logica binaria di appartenenza/non appartenenza, sì/no, vero/falso etc.. Per dare qualche cenno della consistenza del contributo, ricordiamo come le relazioni faccia a faccia siano diventate reti sociali e di pratiche; le lingue nella città, lingue dei territori; l’eterogeneità delle dimensioni, pluralità di segni e significati; la sfumatezza delle isoglosse, spazialità della differenza e della similarità; le dinamiche geosocio-economiche gravitazionali, mobilità vissuta di lingue e società e, infine, le sequenze-intervista, costruzione interazionale e puro parlato libero o al limite a codice bloccato. Faremmo fatica ad indicare un campo di studi che più della dialettologia percettiva, soprattutto di impronta italoromanza, abbia trovato modi alternativi alla logica binaria. Le contraddittorietà e incoerenze del parlante costituiscono uno dei banchi di prova più insidiosi ma allo stesso tempo produttivi intorno ai quali i dialettologi percettivi sono ogni giorno chiamati per confermare il superamento delle relazioni bipolari. Di esse, possono essere elaborate e coltivate due approcci diversi per fondamenti e pratiche d’inchiesta. L’uno interpretato da quei ricercatori che, calcolatore alla mano, compilano e compulsano elenchi a due colonne accanto alle quali segnare contraddittorietà sì vs. contraddittorietà no; l’altro, dalla DP che tra vero e falso, contraddittorio e non contraddittorio, bello e brutto, “io parlo non volgare” e “tu parli volgare”, è capace di intravedere, e di trattare adeguatamente, quella vaghezza di segni e di significati e quel caos di lingua e di società che è nelle ordinarie relazioni del tempo di vita quotidiana. La raccolta e l’interpretazione dei dati sono finestre sul mondo. L’osservazione è pre-ordinata in funzioni, modalità, scopi, i quali però, gettati nel flusso dell’intervista, diventano l’oggetto negoziato; non più input di partenza, ma oggetto di input e reazioni, dati destrutturati e costruiti. I ruoli previsti sono asimmetrici, poi la barra che divide gli elementi subordinati da quelli sovraordinati, scivola su e giù senza direzioni prestabilite. Anche raccoglitore, analista dei dati e parlante costruiscono loro stessi nell’intervista. Uno dei motivi per i quali il costruzionismo del dato evita la dissoluzione nel relativismo29 è che i partecipanti alla negoziazione non sono semplici interpretiesecutori di ruoli e funzioni, ma punti di vista sul mondo in quanto partecipi di comunità di pratiche e di lingue. Tutte le dialettologie e le linguistiche del contatto si sono interrogate sulla pressione intrusiva del sapere scientifico attraverso cui il dato non scientifico è raccolto. Esse hanno prima formulato il paradosso dell’osservazione la quale, in quanto parte in causa, diventa essa stessa oggetto di raccolta, e superando poi il conflitto (fra PUNTI DI VISTA SUL MONDO

29 Ma v. anche le argomentazioni di Crevatin 2007 (§ 2.2.1). L’altro motivo, lo abbiamo accennato ma ci torneremo, è che la costruzione avviene dentro la storia e la tradizione.

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3.4. Contraddittorietà del parlante e ideologia

partecipanti asimettrici) nella costruzione (fra autori dell’interazione)30; un debito con ogni probabilità incassato dal costruzionismo sociale di Gergen (§ 2.2.1). L’ultimo argomento del nostro percorso sulle incoerenze raccomanda il rispetto del mondo del parlante, l’umiltà che dovrebbe sconsigliarci di considerare gli informatori i tuttologi delle scienze del linguaggio. La gente di solito non parla della situazione linguistica della propria città o nazione. A nessuno dei fidanzati al primo incontro viene in mente di rispondere alla domanda “parlami di te” soffermandosi sulle proprie vicende linguistiche. Le inchieste di Labov a New York City ci hanno fatto rendere conto che, di solito, assente alla consapevolezza della gente non è semplicemente il nome del fenomeno linguistico, ma il concetto stesso (cfr. Labov 1966). «Nasalizzazione» non è un «folk term» e di esso i parlanti hanno un’idea scientificamente inappropriata; quando la «real people» ascolta un tratto linguistico nasalizzato, si fa un’idea di un qualcosa di eccessivo o di ridotto rispetto al proprio modo di pronunciare quel tratto. “Nasalizzazione” è invece un termine ed un concetto scientifico alla cui tassonomia appartengono anche denominazione e concetti di nasalizzazione e denasalizzazione (Niedzielski/Preston 2003, 3-7). Il recente filone d’inchiesta sulle autobiografie linguistiche (cfr. Telmon 2006, Canobbio 2006, D’Agostino 2012, 15-24) si fonda proprio sullo scarto fra non disponibilità all’elaborazione cognitiva spontanea del topic e disponibilità all’elaborazione cognitiva, affettiva e ideologica sotto sforzo. Fin quando le lingue proprie e degli altri non sono suggerite, scivolano via nelle pratiche quotidiane dell’abitudine e dell’adattamento. Dopo di che, fioriscono imitazioni, dileggi, pregiudizi, serenità, stereotipi, storie. La misura di questo scarto cognitivo dovrebbe consigliare cautela nell’applicare le categorie pronte per la scienza del linguaggio alle opinioni espresse dalla gente. Lo sanno bene, ad esempio, i ricercatori dell’ALS impegnati a lungo nell’ideare gli input utili ad elicitare i regionalismi con strategie sia onomasiologiche che semasiologiche. Come facciamo ad interrogare gli informatori su quella cosa che noi chiamiamo italiano regionale? Come interpretiamo le risposte a domande pensate e costruite su quel costrutto teorico? Nel settore di ricerca sulle contraddittorietà sarebbe disastroso non avere l’umiltà di rispettare le rappresentazioni che gli informatori fanno del sé e del mondo. L’oggetto d’atteggiamento non solo non sarebbe più frammentato per la sua predisposizione socio-cognitiva alla non distinzione (come abbiamo detto sopra), ma dissolto e annullato nell’incomprensione. Italiano regionale? Ma di cosa stiamo parlando? Tullio Telmon, per citare chi di contraddittorietà si è occupato con persistenza, è molto attento ad evitare questi rischi, come nel caso della coppia «+ dialettale vs.ibridato», bollata come falsa contraddittorietà: «Trattandosi di elementi che entrano tutti nella «scatola nera» del vocabolario italiano, si dovrebbe, a rigore, scorgere un’ibridazione sia negli apporti dialettali sia in quelli provenienti da altri codici. A 30 In D’Agostino/Paternostro (2006, 15-44) si parla specificamente di superamento del paradosso dell’osservatore.

3. Dialettologia percettiva e atteggiamenti

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questo livello d’analisi, l’opposizione tra [+dialettale vs. –ibridato] sarebbe contraddittoria». Ma non lo è, in quanto «meno ibridato è una formulazione con la quale ho reso il giudizio di un parlante (maschio ultrasessantenne) che asseriva che l’italiano degli anziani possiede una minor quantità di forestierismi (Telmon 2005, 235). Il punto di vista dello specialista delle lingue include «-ibridato» nella categoria «-dialettale»; il parlante ultrasessantenne, raccontando il suo punto di vista sul mondo, sostiene che gli anziani usano meno forestierismi quando parlano in italiano. Lo stesso parlante, aggiungiamo, che non ha la pur minima idea su concetti quali repertorio, contatto, regionalismo, etc. Eppure, essi, o se vogliamo i loro referenti metaforici, incombono nella vita di ciascuno di noi, inanellati nei discorsi e negli incontri del tempo ordinario di vita, probabilmente sotto il livello di conscia consapevolezza, probabilmente consapevolmente ascoltati e ripetuti ma iconizzati nelle dimensioni pragmatiche e demografiche dell’interazione, spesso caricaturati, o comunque oggetto di atteggiamento. E comunque immersi nei discorsi della gente. PAROLE NELLA VITA, PAROLE NELL’INCHIESTA

L’ultima raccomandazione invita difatti a riconoscere alle parole della vita quotidiana lo status di habitat scientifico per lo studio della contraddittorietà, e alle “sequenze estese di parlato” il luogo della migliore mediazione possibile fra il flusso dei discorsi nelle interazioni sociali e le esigenze di rappresentarlo nelle interazioni –intervista. 3.4.3 Incoerenze/non-incoerenze alla prova dei parlanti ALS: un altro case study

Abbiamo messo alla prova la nozione di coerenza/incoerenza con un primo esempio (§ 3.4.2 - OGGETTO DI ATTEGGIAMENTO). Vediamo qui un ulteriore caso di studio. Si riferisce alle interazioni alle domande metalinguistiche (16, 17,18) e a quelle ideologiche sulla trasmissione del dialetto ai figli o alle generazioni future (31-32)31 relative all’informatrice Nonno, Fam. 5, Capo d’Orlando, centro dinamico o comunque non recessivo della costa messinese, molto forte nel settore terziario, anche 31 Si tratta delle domande 31 e 32 della seconda parte del questionario. La domanda 31 è così formulata: «Preferisce (ha preferito, preferirà) che i Suoi figli imparino: Solo l’italiano; Solo il siciliano; Sia l’italiano che il siciliano; Non so». Il protocollo prevede la somministrazione dell’input principale («Preferisce etc.») immediatamente seguito dal primo sotto-input («Solo l’italiano»), una pausa per dare modo all’informatore di produrre una risposta che è spesso accompagnata da turni estesi di parlato. La modalità si ripete per gli altri sotto-input. La domanda 32 recita: «Secondo Lei, le generazioni future dovrebbero imparare: Solo l’italiano; Solo il siciliano; Sia l’italiano che il siciliano; Non so». La modalità di somministrazione è identica a quella prevista per la domanda 31. Alla domanda 32 seguono o la domanda 33 o la domanda 34. Domanda 33: «(A chi [alla domanda 32] risponde «solo l’italiano») Saprebbe dirmi perché (Sono ammesse più risposte)? - Perché il siciliano ostacola il bambino a scuola – Perché il siciliano è volgare, non mi piace – Altra risposta – Non so». Domanda 34: «(A chi [alla domanda 32] non esclude il siciliano) Saprebbe dirmi perché (Sono ammesse più risposte)? Perché il siciliano serve, è utile – Perché il siciliano rappresenta la nostra tradizione – Altra risposta – Non so».

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3.4. Contraddittorietà del parlante e ideologia

a ragione dei consistenti flussi stagionali del periodo estivo. Prima di presentare queste interazioni e di entrare nel merito, è opportuna una breve disamina della struttura delle domande. Primo livello di analisi. Le domande sulla trasmissione del dialetto presentano modalità elicitative diverse da quelle delle domande 16, 17,18. Difatti, queste ultime, dal punto di vista della struttura, contengono tre input con specifici obiettivi di elicitazione del dato: 1° l’esperienza percepita («Lei nota» in luogo di «Secondo lei») che rimanderebbe alle «opinioni» della «differenza» (e non della «similarità»), tra il proprio modo di parlare e quello degli altri (v. D’Agostino 2002c e anche D’Agostino/Ruffino 2005; e qui v. § 1.21); 2° la sua distribuzione diatopica, anche nella rappresentazione dei vissuti personali; 3° la sua particolarità linguistica (per quali tratti che lei non usa e gli altri usano). In tutte queste fasi il protocollo prescrive l’assoluto divieto per il raccoglitore di sollecitare risposte fornendo esempi di centri della differenza o di imitazione di tratti. Invece, le domande di contenuto ideologico circa la preferenza dell’informatore della varietà d’uso dei figli o delle generazioni future di cui egli ha già avuto esperienza o solamente auspicata, constano ciascuna di un input principale («Quale varietà preferisce che i suoi figli/le generazioni future imparino») al quale fanno seguito tre sotto-input («solo l’italiano», «solo il siciliano», «entrambi») con i quali l’informatore deve dichiararsi d’accordo o meno (è previsto subito dopo un ulteriore sotto-input del raccoglitore che chiede il motivo della scelta, al quale, di norma, segue l’output dell’informatore catalogato come risposta spontanea). In questo blocco di domande è in sostanza prescritto al raccoglitore ciò che nelle domande metalinguistiche è una violazione del protocollo. Infatti, se a queste ultime fosse applicato il protocollo delle domande 31 e 32, il raccoglitore dovrebbe formularle come segue: D. 17, input principale: «Saprebbe dirmi per quali paesi lei nota delle differenze?». Sotto-input: ad esempio, «Catania», «Acireale», «Grammichele». D. 18, input principale «Saprebbe indicarmi quale particolarità (pronuncia, parole espressioni) etc.?» Sotto-input: ad esempio, «Come dicono là pantaloni? Come dicono chiave? Come dicono io?». Procedure tassativamente vietate dal protocollo. Le differenti condizioni di elicitazione consigliano quindi la non perfetta comparabilità dei dati ricavati dalle domande 31 e 32 con quelli delle domande 16, 17 e 18, per costruire una ipotetica misura dell’incoerenza. E però, d’altro canto, le domande di entrambi i blocchi pongono l’informatore di fronte alla dicotomia ‘italiano vs. dialetto’, variabile molto potente nel campione ALS (come illustreremo in particolare nel capitolo 6), il che giocherebbe a favore dell’attendibilità per la verifica dell’incoerenza. E soprattutto, entrambe si sono dimostrate fonte di interazioni non previste di grande interesse, tanto da indurre i ricercatori dell’ALS a deciderne la trascrizione.

3. Dialettologia percettiva e atteggiamenti

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Per questa specifica interazione, tuttavia, consideriamo solo in parte la funzione di variabile delle condizioni di elicitazione delle domande. Queste, difatti, saranno sottoposte ad una osservazione piuttosto affrettata, poiché nel caso in discussione il secondo livello di analisi può suggerirci chiavi interpretative o comunque suggestioni molto significative. Ecco i turni interazionali relative al NF5, Capo d’Orlando: 12. domande 16-18 R1: lei nota delle ddifferenze tra il siciliano che si parla a Ccapo d’Orlando e il siciliano che si parla nei paesi vicini? I2: sì. [noto delle:::] R3: [e pper quali] paesi nota::: di ppiù delle ddiferenze? I4: non zo. io da molto ppiù non frequento Sant’Agata ma quando studiavo // sono stata due anni a Ssant’Agata guarda notavo una differenza enorme / fra Sant’Agata e Ccapo d’Orlando nel modo di esprimersi. perché notavo che::: a Ssant’Agata si::: esprimevano in un modo, in un ziciliano stretto, ma un ziciliano un po’::: tozzo. non zo::: nemmeno definirlo // come. mentre a Ccapo d’Orlando c’era più raffinatezza nella lingua / quello sì. e ccosì in tanti altri paesi, per esempio ai tempi antichi Castell’Umberto /// la gente:: inzomma si esprimeva proprio:: in un dialetto ma anche male. a mmio avviso ecco. // ci s+ | c’erano dei paesi dove:: inzomma:: […] R11: e non saprebbe identificarmi qualche particolarità, di un eh::: non so x… I12: no::: sono progrediti pure inzomma non eh::: non è possibile (EX: tono basso) e ppoi senta i paesi di Marina specialmente / tendono a progredire. /// quindi è ddifficile più ttrovare della gente::: che parla::: un ziciliano stretto. forse nell’interno sì. // ma nei paesi marini anche le persone anziane / si esprimono diversamente di come si esprimevano cinquant’anni fa. (NF5 Capo d’Orlando - ME) 13. domande 31-34 R1: e ccosa ha preferito che i suoi figli imparassero solo l’italiano, solo il siciliano o entrambe le lingue? I2: no entrambe le lingue. R3: entrambe le lingue. I4: sì sì. R5: e pper quale motivo non non ha escluso il siciliano? I6: perché è la lingua::: che io sono affezionata. // a mme piace il siçiliano, mi sento siçiliana e mmi sento orgogliosa di essere siçiliana. c’è ggente che se vva a Rroma non dice che viene della Siçilia // perché::: ha paura che:: la tacciono:: d’ignoranza. (P accenna a ridere) non zo di che ccosa. è vero. invece io cci tengo a ddire che sono siçiliana. la Siçilia mi fa onore. R7: ho ccapito. eh::: ascolti il eh:: il fatto che I8: è un’isola di sogni e di malie la cara terra di Siçilia mia. qui vissero pittori, naviganti eh:: artisti eh:: e quindi è una cosa grande la Siçilia. ci ha ddato santi, se vvai a Ppalermo c’è Santa Rosalia. eh dappertutto ci sono dei santi. a Ssiracusa c’è Ssanta Lucia, a Ccatania c’è Sant’Agata. quindi::: per noi io penzo per noi siçiliani è un orgoglio dire fuori andando in Italia che siamo siçiliani. invece c’è ggente che vva ffuori in Italia e non lo dice perché ha ppaura perché li chiamavano terroni. una volta::: R9: pure oggi si dice. spesso capita. ( P ride) I10: sì. R11: eh ascolti. lei non ha escluso il siciliano perché penza che il siciliano serve, è utile o no? secondo lei è utile il siciliano? è qquesto uno dei motivi per il quale lo ha inzegnato ai suoi figli? I12: no.

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3.4. Contraddittorietà del parlante e ideologia R13: no. I14: no. non è utile. però è la lingua madre per me. perciò… R15: ho ccapito. quindi rappresenta la nostra tradizione? I16: sì sì. / sì perché io sono attaccata alle tradizioni siçiliane. // mi piacciono (NF5 Capo d’Orlando - ME)

Queste interazioni costituiscano un buon campo d’esercizio sul principio di contraddittorietà. Le risposte alle domande 16-18 sono un esemplare della rappresentazione dicotomica della diversità linguistica e socio-pragmatica, una variabile molto potente del campione ALS, come abbiamo già accennato e come diffusamente illustreremo. Essa si fonda su un substrato ideologico delle due dimensioni della lingua e della società, rette da relazioni oppositive al loro interno, ma anche fra di loro. La prima è fondata sull’opposizione ‘italiano vs. dialetto’, la seconda su dicotomie socio-spazio-cognitive, tra le quali ‘mare vs. montagna’. I processi valutativi utilizzano queste due dimensioni, ma anche sono esplicitati in discorsi interazionali a loro volta valutativi e dicotomici, del tipo ‘progrediti vs. non progrediti’ (terza dimensione) (v. § 6.2.1). Le relazioni fra tutte le dimensioni e i loro elementi possono essere interpretate secondo il modello del network cognitivo, a partire dell’ipotesi di Ungerer, Schmid, del quale abbiamo detto sopra. Qui ci è sufficiente una rappresentazione sequenziale delle risposte e delle reazioni esplicite ma anche implicite alle domande 1618; e ricordare che nell’adattamento ai materiali ALS, il network prevede associazioni non solo per riunione ma anche per opposizione: io = paesi progrediti = -dialetto = +italiano = mio paese = io vs. paesi arretrati = altri = dialetto tozzo, male, stretto = cinquant’anni fa = altri paesi = altri da me Tutti gli elementi sono fra di loro associati, e le relazioni di riunione ed opposizione si danno anche fra gli item a destra e a sinistra del sintagma “vs.”. Le relazioni sono pluridimensionali, nel senso che ciascun elemento è associabile a ciascun altro per riunione o per opposizione. La scrittura sequenziale è quindi aperta. Durante il blocco di domande 31-34, sia quando è stimolata da input a risposta aperta, sia quando la risposta è confermativa di una delle opzioni proposte, l’informatrice esprime in gradi e forme diverse giudizi di gradevolezza per il dialetto storico-letterario e tradizionale e per la Sicilia che da esso è testimoniata ed interpretata. E difatti, il dialetto non è «utile» (al progresso sociale ed economico). Dovremo quindi integrare la scrittura sequenziale con l’aggiunta del termine che poniamo alla fine, sulla destra: io = paesi progrediti = -dialetto = +italiano = mio paese = io vs. paesi arretrati = altri = dialetto tozzo, male, stretto = cinquant’anni fa = altri paesi = altri da me = io

3. Dialettologia percettiva e atteggiamenti

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Riepilogando, l’informatrice prima si oppone ideologicamente al dialetto stretto di cinquant’anni fa, poi se ne dice, in quanto siciliana, orgogliosa e addirittura pienamente felice che entri a far parte del patrimonio dei figli. La scrittura sequenziale darebbe conto di tale contraddittorietà. Le dichiarazioni dell’informatrice sono responses sia espliciti che impliciti, collegati ad atteggiamenti espliciti ed impliciti. Dal primo blocco di risposte dell’informatrice emerge la rappresentazione del proprio spazio linguistico e di quello circostante su un continuum ‘dialetto italianizzato/italiano dialettalizzato vs. dialetto-vero-dialetto’, sul quale costruisce l’identità personale e comunitaria, opponendola ai comuni viciniori di montagna. Le sue dichiarazioni contengono, quindi, oltre ad atteggiamenti espliciti, atteggiamenti impliciti costruiti per opposizione, sia auto-referenziali (qui parliamo un dialetto vicino all’italiano), ma anche etero-referenziali (loro parlano un dialetto stretto, lì sono montagna). Del secondo blocco, possiamo con facilità individuare il nucleo valutativo implicito: il dialetto della tradizione non è utile alle funzioni socio-economiche dei centri progrediti, i miei figli, a patto che conoscano e padroneggino l’italiano, come del resto già fanno (sono figli della Sicilia del progresso) possono senz’altro imparare il dialetto della tradizione, testimonianza di questa terra dove «vissero pittori, naviganti eh:: artisti» (l’ammaliante Sicilia della tradizione). Piuttosto di convincerci che il Nonno, Fam. 5 di Capo d’Orlando si contraddice, noi preferiamo sostenere che raccoglitore-informatrice hanno costruito nelle interazioni habitat ideologici diversi. Nei turni interazionali metalinguistici, sulla base delle opposizioni dicotomiche ‘mare vs. montagna’ / ‘italiano vs. dialetto’, il focus che alimenta l’ambiente emotivo è la possibilità del progresso, la persistenza dell’emancipazione socio-economica, i mezzi socio-linguistici funzionalmente utili a garantirle. Durante i turni sulla trasmissione del dialetto ai figli, informatore e raccoglitore, anche a causa della somministrazione dei sotto-input (ma non solo) decostruiscono e ri-costruiscono l’ambiente emotivo trasferendolo nella sfera della tradizione e dell’orgoglio delle radici, innocua a far danni al progresso per coloro che già di esso padroneggiano mezzi linguistici e sociali.

4. CONSAPEVOLEZZA E NON CONSAPEVOLEZZA NELLE INTERAZIONI METALINGUISTICHE 4.1 INPUT E OUTPUT NELLE ELICITAZIONI METALINGUISTICHE ALS Una parte delle riflessioni sull’atteggiamento vanno dedicate alla capacità dell’input del raccoglitore di sollecitare, durante l’interazione, le sfere cognitive dell’informatore e ai diversi livelli di consapevolezza che si attivano. Ragioneremo su questo punto a partire dai dati ALS e in particolare dalle già ricordate domande 16, 17 e 18 della seconda parte del Questionario, che hanno come obiettivo di sondare: 1) l’esperienza percepita e/o rappresentata della differenza (e non della similarità) tra il proprio modo di parlare e quello degli altri; 2) la sua distribuzione diatopica, 3) la sua particolarità linguistica. Ovviamente questo schema quasi mai è presente ai protagonisti dell’interazione. In primo luogo, il punto 3) benché esplicitamente inviti l’informatore ad elencare i tratti «particolari» della differenza («pronunzia, parole, espressioni») ottiene anche rappresentazioni che chiameremo olistiche o gestaltiche1. Inoltre, non è per nulla detto che il sentimento del ‘mio parlare normale’ nei confronti di ‘un altro diverso’ sia processato dagli input distintivi linguistici della domanda e non costituisca invece la verbalizzazione di un ventaglio di esperienze di diversità demografiche ed extralinguistiche. Riflessioni in tal senso ci vengono da quei filoni di Folk Linguistics e Language Ideology che analizzano le dinamiche percettive fra gruppi o comunità linguistiche vicine anche quando le rappresentazioni delle distanze sono soprattutto cognitive. Preston 2010b richiamando Irvine 2001 ha parlato di iconizzazione per quei numerosi casi in cui gli informatori, interrogati su fatti linguistici, si riferiscono invece a fatti demografici. Per esempio: «quelli del paese A parlano in maniera diversa da me perché sono montanari2». In Silverstein 2003, questa associazione tra lingua ed elementi extra-linguistici è definita “indessicalità di primo ordine”, che costituisce la base per un nuovo collegamento di “secondo ordine” tra comportamento sociale (es.: «quelli di montagna sono arretrati») e tratto linguistico (es. «dittongo metafonetico»), cosicché il tratto

1 2

Per una discussione su percezione distinta vs. percezione olistica/gestaltica nel corpus ALS v. § 4.1.2. In Gal 2005 lo stesso processo è denominato “rematizzazione”.

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

linguistico stesso indica il comportamento: «La varietà con il dittongo metafonetico è una lingua arretrata3». 4.1.1 Imitazione globale e locale Riflessioni ulteriori su input ed elicitazione del dato vanno dedicate più in particolare alle risposte degli informatori. In inchieste come quelle ALS l’informatore è chiamato in definitiva ad una performance imitativa; infatti con la domanda 18 egli viene sollecitato a riferire tratti linguistici che non fanno parte del suo repertorio. Chi scrive è parlante di una varietà siciliana siciliana e può quindi auto-candidarsi ad un esperimento del genere4. Se egli fosse sottoposto alle domande di cui ci occupiamo, certamente direbbe che sì, nota delle differenze con i paesi vicini al proprio e molto probabilmente su richiesta del ricercatore direbbe che tutti i paesi del versante occidentale pronunciano /i/ e /u/ in modo diverso. Ma se il raccoglitore, saggiamente, non fosse ancora contento delle performance percettivo-linguistiche del suo informatore e lo sottoponesse alla richiesta di esempi come del resto previsto dal protocollo d’inchiesta, l’autore di queste pagine con ogni probabilità produrrebbe parole in cui, diversamente dal suo paese d’origine, le vocali palatali e velari alte vengono pronunciate senza apertura condizionata, produrrebbe cioè degli esempi di imitazione di tratti. In questi ultimi anni inchieste con imitazione dei tratti linguistici, riferibili alla tipologia “esterna e non consapevole” (§ 4.1.3, 4.1.3.1) hanno avuto una certa diffusione soprattutto come variante al matched guise (Lambert et alii 1960, 1967). Il protocollo di base di tale tipo di inchieste prevede che agli informatori siano date in lettura due versioni di uno stesso testo, una in varietà standard ed una in varietà dialettale con varianti tipiche di un’area socio-linguistica stigmatizzata5. È interesse dei ricercatori constatare se e come gli informatori imitino tratti non propri oppure se li evitino. In entrambi i casi si è al livello dell’imitazione per ripetizione. 3

4 5

Altri processi associativi tra fatti di lingua e fatti demografici sono descritti in Gal 2005 che parla di ricorsività quando piccole differenze linguistiche e sociali tra gruppi vengono enfatizzate così da istituire forti opposizioni; e in Irvine 2001, che indica con la parola erasure quei casi in cui le similarità fra gruppi vengono ignorate. Il protocollo ALS prevede la somministrazione del questionario anche ad un diciottesimo informatore: il raccoglitore. Tecniche di imitation speech sono utilizzate da un po’ di tempo nelle indagini sull’ideologia linguistica. Endres/Bambach/Flösser 1971 hanno confrontato le varianti di tratti fonetici in corpora letti con imitazione consapevole con quelli senza imitazione. Evans 2008, dà conto dell’analisi dei dati acustici, qualitativi e percettivi dell’informatore Noah, di Morgantown (Virginia occidentale) e di un campione di 69 studenti dell’Università della Virginia. In particolare, le imitazioni di Noah si riferiscono a tratti linguistici molto stereotipizzati e ad alta esposizione di evitamento. Zetterholm 2003 ha esteso il raggio della ricerca ad ascoltatori non imitanti, sottoponendo loro per la valutazione testi imitati da altri informatori. Le tecniche d’imitazione sono utilizzate anche in altri settori: nella linguistica forense, negli studi di patologia del linguaggio e soprattutto in quelli sull’apprendimento di L2/LS che considerano l’acquisizione un fenomeno imitativo (Markham 1997).

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Nei protocolli dello stesso tipo di quelli ALS l’imitazione è collegata all’ideologia linguistica, alle forme di iconizzazione degli spazi, alle attività di stereotipizzazione. Difatti, con domande aperte che invitano ad una riflessione sulla diversità linguistica, l’informatore non legge da un foglio tratti da imitare né ascolta voci campione che contemplano varianti distribuite in diatopia e in diastratia; egli è invece posto di fronte ad un pezzo di mondo costituito da ‘alcuni ‘altri’, del quale deve focalizzare una parte, del quale deve dire perché questo pezzo di mondo è diverso dal suo e del quale, infine, gli si chiede di imitare un altro pezzettino: per es.: «io dico chiavi, loro dicono ciavi». Quando fa tutto ciò, l’informatore, attinge al patrimonio uditivo-acustico distribuito in diatopia collegandolo poi ad un gruppo/comunità, oppure bersaglio della sua attenzione è quell’insieme di pratiche socio-linguistiche comunitarie che in un secondo stadio attiveranno l’elicitazione di quel particolare tratto linguistico della differenza (chiavi vs. ciavi)? L’occorrere dell’una invece che dell’altra modalità percettiva-rappresentazionale non è priva di conseguenze. Nel secondo caso potremmo confermare il modello che muove dall’atteggiamento e/o dallo stereotipo e giunge all’imitazione; nel primo il modello sarebbe sovvertito (dall’imitazione allo stereotipo) e questo genere di domande costituirebbe un eccezionale strumento metodologico per l’elicitazione degli atteggiamenti e degli stereotipi, ovvero per il disvelamento di essi senza partire da una loro presupposizione. Inoltre, nel secondo caso, il portato sociale e comportamentale del gruppo sarebbe più saliente dei tratti linguistici, in quanto l’associazione procederebbe dai fatti demografici ai fatti di lingua. Nel primo caso il processo seguirebbe la direzione inversa. Posto che non è adeguata la semplice presa d’atto che del profilo di pratiche comunitarie fanno anche parte le pratiche di lingua, il tema può essere proficuamente affrontato dentro la prospettiva dei rapporti che atteggiamento e stereotipo hanno con la realtà oggettiva, approccio che potrebbe essere d’aiuto anche per risolvere una delle domande più interessanti sugli oggetti di percezione: è più saliente il ‘tutto’ (Labov 1966) o gli ‘elementi’ che lo costituiscono? In una data comunità linguistica, in un momento storico dato e in una data situazione sociale, un parlante, rispetto ad una realtà ‘altra’, sta percependo un’immagine sintetica-olistica o gli elementi che potrebbero concorrere a costituirla? A tal proposito, è utile richiamare le riflessioni sul punto, per la verità un po’ scettiche, di Penelope Eckert: Thus whether ideologies about groups lead to the perception of their linguistic differences or whether a perception of a linguistic difference calls for a perception of the group makes little difference: the two are indistinguishable. (Eckert 2008, 473)

Seguendo tale griglia problematica, l’argomento delle due diverse forme di percezione coinvolge anche all’universo extra-linguistico e può essere riassunta interrogandoci ulteriormente: nelle procedure di iconizzazione si presentano e sono avvertiti con preminente salienza gli elementi linguistici o i fatti sociali? Si presentano con superiore salienza i fatti sociali sotto forma di tratti linguistici o i fatti sociali nelle sembianze di un patrimonio comunitario condiviso?

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

Questo insieme di questioni linguistiche ed extralinguistiche meriteranno specifica trattazione sia nel livello teorico che in quello dell’analisi dei dati6. Esso tuttavia ha anche una filiazione terminologica che ci consiglierebbe, a rigore, di non parlare indistintamente di “atteggiamenti” e di “opinioni” né tanto meno di “valori”. Secondo Marradi/Arculeo (1984, 292) a differenza degli atteggiamenti che sono «relativi ad oggetti specifici», i valori sono «convinzioni intorno ai giusti ruoli e comportamenti altrui […], generali (cioè non relativi ad oggetti specifici), sistematici (cioè interconnessi), profondi e durevoli, anche se modificabili […] trasmessi all’individuo dall’ambiente sociale fin dalla sua prima infanzia». In Homer/Kahle (1988, 638) è spiegato questo diverso rapporto di rappresentazione dell’oggetto di atteggiamento, riconoscendo ai valori la funzione di «prototypes from which attitudes, as well as behavior, are derived». Potremmo così sostenere che i due diversi livelli dello specifico e del generale, degli atteggiamenti e dei valori, funzionino come elementi di un network neuronale con rapporti integrati ma non gerarchici fra aree semantiche dalle più semplici alle più ampie (in un certo senso un po’ come le relazioni fra iponimo ed iperonimo) Ecco lo schema di queste relazioni dinamiche che abbiamo individuato per i dati ALS, ipotizzando quale tratto linguistico esemplare l’esito palatale dei nessi latini CL e PL (diffusi principalmente nell’area sud-orientale, v. § 5.3.4.2) posizionato su un continuum pluridimensionale orientato, da ‘consapevolezza del tratto’ vs. ‘non consapevolezza del tratto’: «Io dico chiavi loro dicono ciavi» → atteggiamento «Dicono le parole in modo strano» → atteggiamento «La loro lingua è strana» → valore È chiaro che i tre livelli hanno senso solo all’interno di un sistema ben definito di cui abbiamo già piena conoscenza, del quale cioè sappiamo dove i diversi livelli si situano nel continuum. Dati diversi del sistema potrebbero infatti condurre non solo, com’è del tutto ovvio, ad individuare elementi diversi, ma soprattutto ad istituire fra di loro ben differenti rapporti gerarchici e relazioni di appartenenza ai livelli gestaltici oppure a quelli cognitivo-distintivi. 4.1.2 Percezione distinta vs. percezione olistica? Il modello Gestalt Si sarà notato che il titolo di questo paragrafo ha un punto interrogativo forse perché a volte le domande sono più illuminanti delle risposte. Se dovessimo isolare un aspetto che reclami l’irrisolutezza del punto di domanda non possiamo che riprendere le fila del dato linguistico nella sua caratteristica che gli è essenziale: l’immersione nel discorso interazionale. Abbiamo rilevato tante volte che una semplice procedura induttiva dal dato al testo sarebbe scriteriata. Abbiamo visto (e avremo ancora modo di osservare) il dato 6

L’argomento sarà approfondito nel Cap. 5 dedicato alla salienza.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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agire nella dimensione quanti-qualitativa di marcatore di differenze; oppure elemento non irriducibile delle storie, constatando che muovere dal luogo che contiene le modalità di spazio individuate cioè il testo, risolve molte delle incertezze che pure si presentano di continuo. L’analisi nel testo implica però osservazioni puntuali per l’individuazione puntuale dei diversi livelli: a partire da qui, è possibile definire tipologie di estensione ampia ma non onnivore, pena la dissoluzione del dato. La questione posta al paragrafo precedente va dunque affrontata in maniera specifica per la dimensione dei livelli linguistici percepiti e/o rappresentati dall’informatore e alle modalità della percezione e della rappresentazione. Abbiamo già utilizzato la terminologia della Gestalttherorie7 per classificare e distinguere la percezione distinta dei tratti dalla dichiarazione di differenza generica nei confronti di una varietà e di diversità nella cantilena, accento, pronuncia, tono/intonazione, strascico. Per indicare questa seconda tipologia rappresentazionale utilizziamo l’etichetta ‘olistica’ o ‘gestaltica’. Su un continuum, gli addensamenti percettivi-rappresentazionali che occorrono nel testo potrebbero essere rappresentati come segue, con un addensamento intermedio tra i due orientamenti estremi: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ 

no tratti

soprasegmentale +

tratti

accento + strascico gestaltico-olistico

vs.

distinto

Lo schema però non coglie per intero la realtà del discorso interazionale. Ma se entriamo dentro il testo, possiamo prevedere i diversi modi di successione nel discorso degli elementi distinti oppure non distinti: i. ii. iii. iv.

percezione olistica percezione distinta percezione olistica → distinta percezione distinta → olistica

Sebbene questo schema sia ancora insufficiente, costituisce una buona sintesi analitica di ciò che accade nel testo costruito nell’interazione, ponendoci dalla parte dell’informatore. Talora il parlante indica una differenza generica e indifferenziata 7

La Gestalpsychologie, o psicologia della forma, sviluppatasi in Germania nel 1912 intorno alla rivista “Psychologische Forschung”, afferma la precedenza assoluta della struttura percettiva rispetto ai singoli elementi degli oggetti di percezione. Si basa sulla Gestalttheorie che considera la struttura dell’ oggetto di percezione una configurazione di elementi in cui la funzione delle parti è determinata dall’organizzazione dell’intero. Da ciò consegue che l’oggetto di percezione è un tutto irriducibile alla somma delle parti e che l’atto di percezione è “struttura autonoma” e non giustapposizione di elementi singoli (cfr. Kanizsa 1980).

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

o differenze che noi etichettiamo come prosodiche (i.), talaltra fornisce subito esempi della differenza nei diversi livelli linguistici (ii.), altre volte alterna o sovrappone le due modalità percettive (iii e iv.). La modalità di risposta ii. segue il protocollo d’inchiesta iscritto nella domanda. La modalità iv. è la meno diffusa nel corpus. Le modalità i. e iii. sono le più diffuse. Accade cioè che diversi informatori, sottoposti ad input finalizzati all’elicitazione di specifici tratti linguistici («pronunzia, parole, espressioni»), o persistono nell’affermazione di una differenza generica, oppure giungono alla individuazione di elementi specifici di lingua grazie agli input con funzione distintiva proposti dai raccoglitori dopo l’iniziale indicazione della diversità olistica. Le modalità i. e iii. riflettono la nozione di percezione olistica formulata dalla Gestalpsychologie sostenitrice della precedenza della struttura percettiva “nel suo insieme” rispetto ai singoli elementi o contenuti dell’oggetto percezione. È vero che la gestalt lavora sulla percezione della forma e dei costituenti linee e punti, ma qualche corrente cognitivista8 ha applicato con molto profitto le sue teorie a tutti gli oggetti della vita quotidiana, anche nella loro funzione di referenti linguistici9. L’approccio degli uomini agli oggetti di percezione è così descritto: We simply take in an overall picture of the whole and use it for a first assessment of its goodness. The consideration of specific attributes can then be left until later. (Ungerer/Schmid 2006, 35)

e il processo percettivo è articolato in due fasi: the initial assumption that categorization and goodness rating may indeed involve two stages: the perception of an object as a whole as the first step (the so-called holistic perception), and a kind of decomposition of the perceived whole into individual properties or attributes as a second (optional) step».10 (ivi, 36)

La procedura percettiva non nega la salienza dei singoli elementi o comunque il loro attivo contributo nella percezione dell’oggetto olistico: if you look at some everyday object […] you will realize that the salient parts make an important contribution to the whole without at first being noticed as individual parts». (ivi, 37)

In alcuni testi mano a mano proposti abbiamo visto realizzata questa procedura. Ne presentiamo altri due a titolo esemplificativo, scelti quasi a caso dal corpus. 8

Sulle differenze tra i modelli gestalt e cognitivista dell’atto di percezione, v. Kanizsa 1980, 8388. Da consultare anche le pagine dedicate alla specificità del modello atomistico e associazionista rispetto a quello gestalt (ivi, 38-40). 9 Secondo Ungerer e Schmid, i giudizi degli informatori dei naming tests di Labov (cfr. cap. 6.1.5, 6.1.5.1) seguirebbero questa procedura, in quanto «it does indeed make sense to assume that informants’ judgements are based on the overall impression of a cup or bowl», sebbene non bisognerebbe scartare del tutto l’ipotesi che essi possano basarsi «on an internal computation of the width/height ratio, material and context» (Ungerer/Schmid 2006, 35). 10 I due stadi del processo sono individuati nell’ambito di una serie di indagini illustrate in Schmid (1993, 121ss).

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Nell’interazione 14. ai turni I14 e I16 l’informatore indica due differenze generiche (tonalità e parole dette in maniera diversa), al turno R17 l’informatore propone l’input distintivo non solo sulla lingua (previsto dal protocollo d’inchiesta) ma anche sulla diatopia (non previsto dal protocollo), al turno I20 l’informatore esprime una percezione distinta della differenza che svilupperà nei turni successivi: 14. R13: mi sai alcune, | perché sono diversi perché dici che il dialetto di Delia, o di Ravanusa, o di Riesi, o di Canicattì è diverso da quello di Sommatine qual è la cosa che ti fa capire che è un altro | è il dialetto di un altro paese, I14: a pparti ca annu naṭṛa tonalità. R15: la tona | , I16: la tonalità.poi cci sù ttantu di chiḍḍi paroli ca dìcinu ddiversi di nuaṭṛi. R17: ti ti nni rricurdi per esempio na parola ca a Ssommatino si dici di na manera… I18: mintimmu a Rriesi= R19: , I20:= nun dicimmu nuaṭṛi la tazza,= R21:, I22:= ḍḍa dìcinu la scurrùggia, non [ora, nun crìu ca]= R23: [certo anticamente]. I24: [nun crìu, anticamente], R25:[ ma può essere pure], quindi xxx I26: e la tazza a Ssummatinu sempri tazza sâ dittu, R27: no. la cìcara11. (NF1 Sommatino - CL)

In 15. la dinamica interazionale raccoglitore/informatore illustrata per l’interazione precedente si ripete nei turni I2 e I4 (informatore: differenza generica), R5 (raccoglitore: input distintivo previsto dal protocollo), I6 (informatore: output distintivo): 15. R1: nota delle differenze tra il siciliano che si parla a [Villalba], I2:[qua a Villalba] e chiḍḍu ca si parla a Ppalermo o chiḍḍu ca si parla a Ccatania. sunnu cchiù mmarcati, annu n’accentu particolare12, che noi non l’abbiamo. R3: noi non abbiamo. E rimanendo in zona magari paesi [vicini? Qualche…] I4:[ma anche anche ], na ddifferenza c’è con Rresuttano. C’è la b+ | na cantalena differente dalla nostra. Per esi+ | nuaṭṛi parlammu cchiòssà senza cantilena x ca avi lu rresuttanisi.13 R5: qualche [parola], I6:[o anchi] lu mussumilisi, o: per esempio non so xxx ana diri ‘sei’, nuaṭṛi dicimmu sei, e iḍḍi dìcinu ‘sia’.

11 I14: a parte il fatto che parlano con un’altra tonalità R15: la tona … I16: la tonalità, poi ci sono tante parole che dicono in modo diverso rispetto a noi R17: te ne ricordi per esempio una parola che a Sommatino si dice in un modo …I18: ad esempio a Riesi R19: eh eh I20: noi diciamo “la tazza” R:21: eh I22: là dicono la “scurrùggia”, ora credo non più R23: certo anticamente I24: non credo [oggi] ma anticamente R25: ma può pure essere I26: e la tazza a Sommatino sempre tazza si è chiamata R27: no la “cicara”. 12 E quello che si parla a Palermo e quello che si parla a Catania sono più marcati, hanno un accento particolare. 13 Una differenza c’è con Resuttano. C’è la … una cantilena differente dalla nostra. Per ese … noi parliamo più senza cantilena rispetto a quella che ha il resuttanese.

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS R7: u mussumilisi14. (GF3 Villalba-CL)

Come si vede, la relazione di riferimento con un’alterità muove da una rappresentazione olistica via via decomposta negli elementi costitutivi. Ancora nella prospettiva della proficuità del dialogo tra settori disciplinari diversi, va ricordato che i principi che secondo la Gestalttheorie regolano le relazioni tra le parti e un tutto-oggetto e definiscono la “pregnanza” di un oggetto di percezione olistica, si confanno alla percezione e rappresentazione linguistica e metalinguistica: SIMILARITÀ:

i singoli elementi simili tendono ad essere percepiti come un unico

segmento PROSSIMITÀ: tanto minore è la distanza tra i singoli elementi, tanto più essi sono percepiti ciascuno relazionato a ciascun altro CONTINUITÀ: i singoli elementi non interrotti tendono ad essere percepiti come un tutto.

L’argomento meriterebbe senz’altro una trattazione più circonstanziata, rileviamo però che i tre principi sono speculari ai classici fattori di salienza linguistica: distanza articolatoria, opposizione fonetica, interruzione della continuità segmentale15. E difatti, la pregnanza è l’oggetto “ben formato”. La salienza fonetica è l’interruzione di una serie e la giustapposizione di elementi che non appartengono alla serie, in termini gestaltici è un oggetto “mal formato”, in termini di salienza linguistica è un oggetto difforme alla ‘bontà comunitaria’. Riepilogando, la Gestalttheorie può esserci utile in tre livelli: a) descrive le due modalità percettive-rappresentazionali che nell’elenco abbiamo indicato con i. e iii; b) i principi che regolano e definiscono la pregnanza confermano quei fattori fonetici di salienza16 sostenuti da un’ampia letteratura del contatto linguistico; c) contribuisce ad interpretare la relazione tra consapevolezza degli oggetti di rappresentazione e stereotipo (argomento sul quale ci soffermeremo al § 4.3.3).

14 I6: o anche il mussomelese o per esempio, non so, devono dire “sei”, noi diciamo “sei”, e loro dicono “sia” [‘mussomelese’: “di Mussomeli”, piccolo centro distante km. 40 ca. da Caltanissetta alla cui provincia appartiene] R7: eh, i mussomelesi. 15 Ricordiamo che approfondiremo salienza e fattori di salienza al cap. 5. 16 Senza andare molto per il sottile, qualche volta utilizzeremo in luogo di “salienza”, ora “rilevanza”, ora “prominenza”. Specifichiamo che in psicologia della percezione, “salienza” viene riferita alla caratteristica fisica che fa sì che un oggetto sia notato, “rilevanza” al contenuto di significato, “prominenza” alla proprietà cognitiva.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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4.1.3 L’elicitazione dei dati. Concetti e percezioni fra consapevolezza e non consapevolezza Ponendoci il problema se l’informatore noti prima i tratti linguistici e poi le aree, siamo entrati nel tema dei concetti e dei percetti. Non è materia esclusivamente cognitiva in quanto si riferisce anche ai diversi livelli di consapevolezza con i quali l’oggetto di indagine giunge alla disponibilità del parlante. La dialettologia percettiva si è molto basata su metodi di inchiesta che sollecitano le risorse ‘interne’ degli informatori, cioè le zone culturali e cognitive dei concetti. Le hand drawn map di Preston ne sono un esempio lampante: esse raggiungono direttamente il mondo concettuale dei parlanti in quanto questi si trovano di fronte ad una carta vuota di un’area sulla quale devono segnare i confini delle varietà, riproducendo in tal modo le proprie mappe mentali. In uno stadio successivo diversi filoni di DP hanno utilizzato la tecnica della ostensione dei tratti linguistici sollecitando così percezioni. La differenza con le tradizionali tecniche di Language Attitude Study (LAS), alle quali tuttavia sono associate, è che la somministrazione del dato linguistico attraverso voci campione non mira ad ottenere valutazioni da misurare su scale differenziali di gradevolezza, ma mappe valutative di distribuzione diatopica delle varietà ascoltate. L’ipotesi di fondo, che per certi versi rispecchia lo stato delle cose nelle interazioni ordinarie, è che dall’individuazione del tratto operata dal parlante discenda la collocazione diatopica della varietà. Nella pratica di ricerca la separazione fra tecniche d’indagine orientate ora sui concetti, ora sulle percezioni, è superata interpretando i due settori come parte del continuum ‘credenze/valutazioni’. La domanda 16 dell’ALS che (lo abbiamo rilevato) utilizza l’espressione «Lei nota» invece di «Secondo lei», ne è un esempio. La prima sollecita le percezioni dell’informatore, la seconda le sue opinioni (v. §§ 1.2.1, 3.5.1) ma questo non ha impedito affatto anche l’elicitazione di opinioni valutative le quali, assieme alle credenze, costituiscono la struttura socio-cognitiva delle storie linguistico-autobiografiche riferite dai parlanti. Si aggiunga che i progetti atlantistici hanno portato a fondo l’integrazione fra geografia linguistica e sociolinguistica, cosa che ha sollecitato a muovere direttamente dal parlante e dai sui universi concettuali e valutativi, ricostruiti partendo non dalle metodologie ma dai corpora che le tecniche d’indagine avevano restituito (cfr. D’Agostino/Ruffino 2005, D’Agostino/Paternostro 2006, Krefeld 2007a, D’Agostino/Pinello 2010). In Preston 2010c l’argomento è affrontato in termini di consapevolezza/non consapevolezza. Il nuovo campo d’indagine della Language Regard viene difatti sottoposto ad una classificazione che incrocia i due fondamentali «modi» dell’inchiesta: «produzione» e «regard». Sul versante della produzione vengono distinti i metodi d’indagine che presentano campioni linguistici agli informatori (“esterni”), da quelli che non lo fanno (“interni”). Sul versante della regard, la distinzione è tra i metodi d’indagine dove c’è esplicita richiesta di informazioni sul linguaggio (“consapevoli”), da quelli che invece tentano di distogliere l’attenzione dell’informatore sul fatto che si cercano informazioni sul linguaggio e le sue varietà (“non consapevoli”) (ivi, 24; v. Tab. 4.1).

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

TWO MODES OF PERCEPTUAL DIALECTOLOGY

Production Source External

Concious Regard Type

Subconscious

Internal

1. Identification 2. Discrimination & Comprehension 3. Discourse

1. Same-different 2. Hand-drawn 3. Evaluations 4. Imitations 5. Discourse

1. Misdirection 2. Matched-guise 3. Discourse

1. Discourse

Tab. 4.1 Le tecniche di Perceptual dialectology nella tassonomia di «production» e «regard» (Preston 2010c)

4.1.3.1 La tassonomia della Language Regard Le tecniche di indagine “interne e consapevoli” sono quelle che interrogano direttamente gli informatori, sia quando esse danno luogo a carte di punti collegati in funzione della similarità di percezione (carte delle piccole frecce, Weijnen 1946), sia quando procedure di quantificazione della similarità consentono di rappresentare confini dialettali soggettivi o di area (Mase [1964] 1999), sia quando al pari della somiglianza si vuole testare la percezione di differenza attraverso sofisticate tecniche statistiche17 (Hartley 1999; v. Fig. 4.1). “Interne e consapevoli” sono anche tutte quelle inchieste di scuola prestoniana che hanno mutuato dalla psicologia sociale la misurazione di atteggiamenti linguistici su scale bipolari ma in contesto elicitativo esplicito18, e le hand draw maps inaugurate dallo stesso Preston sulla base della geografia della mental map di Gould e White (Gould/White 1974). Una applicazione di queste ultime è in Montgomery 2006, un’indagine che utilizza diverse metodologie. In questa ricerca sono indagate le relazioni tra le aree nord e sud dell’Inghilterra. Le percezioni e rappresentazioni 17 L’inchiesta di Hartley ha sondato le percezioni della similarità e della differenza di informatori dell’Oregon nei confronti dei 50 stati degli Usa e di New York City e Washington D.C. La Fig. 4.1 mostra la rappresentazione dei dati su una scala multidimensionale, aggregati in cluster sulla base di valori percentuali che misurano la “differenza”. Sulla dimensione orizzontale, Oregon (OR) e la confinante Washington (WA) sono percepiti “gli stessi” (cluster a sinistra del diagramma); a est (area destra) si costituisce un cluster (significativamente prossimo a New York City, NYC) formato da Mississippi (MS), Georgia (GA), Texas (TX), Louisiana (LA) e Alabama (AL). È interessante osservare, nota Preston, che New York e New York City costituiscono un unico cluster, vicino al cluster degli stati del sud, eccetto però il New Jersey (che fa cluster a sé) solitamente stereotipizzato in associazione con New York City. Sulla dimensione verticale, il cluster isolato di Hawai può essere dovuto a «the suspicion that English is not spoken there, or, as many hand-drawn maps in US PD research reveal, [at] the awareness of a pidgin-creole variety of English.» (Preston 2010c, 9). 18 Un’ampia rassegna di queste inchieste è in Preston 1999, 147-373 e in Niedzielski/Preston 2003 (soprattutto, 41-96).

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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delle aree dialettali più salienti sono state elicitate attraverso la compilazione di hand draw maps richiesta agli informatori di tre località del nord (Crewe, Carlisle, Kingston upon Hull). Montgomery 2008 (v. Fig. 4.2) utilizza la tecnologia cartografica G.I.S. per rappresentare con addensamenti areali di differenti colori le mappe realizzate a mano da 9 informatori di Crewe ai quali era stato chiesto di posizionare sulla carta dell’Inghilterra la parlata di Londra.

Fig. 4. 1 Percezione del grado di differenza linguistica dei parlanti dell'Oregon riguardo a 50 stati dell'Usa, New York City e Washingtono DC. Tecnica della k-means cluster analysis (Hartley 1999)

Pearce 2011 (ma v. anche 2009) presenta i risultati di un’indagine che ha coinvolto 1600 informatori del nord-est dell’Inghilterra nella contea di Tyne and Wear attraverso questionari inviati per email. Le domande sollecitavano gli informatori a riflettere sulle differenze o similarità nel modo di parlare nella propria area rispetto a 15 aree della contea individuate tra le più grandi e tra quelle dotate di maggiore salienza locale. Pearce ha rappresentato i risultati con carte delle piccole frecce, dove le frecce più larghe indicano un alto livello di similarità19. Fanno parte di tale tipologia anche le inchieste che utilizzano la tecnica della imitation speech fondamentalmente basate sulla interpretazione dei successi o dei fallimenti degli informatori ad imitare le varietà ‘altre’, in chiave di stereotipo linguistico o di strategie dell’evitamento e dell’adesione. E, infine, l’esperienza at-

19 Gli informatori dovevano scegliere un item della scala differenziale “lo stesso – molto simile – quasi simile – un po’ diverso – molto diverso – completamente diverso”. Pearce ha utilizzato una scala di punteggio da 1 a 6 assegnando 1 alle risposte “lo stesso” e 6 alle risposte “completamente diverso”.

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

lantistica sociovariazionale dell’ALS, che utilizza domande a risposta aperta sull’avvertimento della diversità in genere, globale, specifica e nella dimensione della diatopia. La situazione in cui vi sono degli stimoli dei quali l’informatore ha consapevolezza, costituisce la tipologia dei metodi “esterni e consapevoli”; in questo genere di inchieste spesso agli informatori è chiesto esplicitamente di associare una voce registrata ad un’area. La metodologia sfrutta la possibilità di distribuire gli input linguistici delle voci campione lungo dimensioni che vanno dal ‘più tipico-saliente’ dell’area di inchiesta al ‘più neutro’ o prossimo allo standard. L’alto grado di consapevolezza del parlante sulla natura dell’inchiesta lo sollecita a stabilire delle dicotomie del tipo ‘normale vs. non normale’, ‘gradevole vs. rozzo’, etc. Questi elementi, uniti alla situazione di ascolto molto attenta e formalizzata, sono condizioni ideali per l’elicitazione degli stereotipi. Risultati molto utili possono essere ottenuti quando gli stimoli si basano sull’assenza/presenza di tratti salienti o comunque tipici di un’area. In questa direzione, un’indagine (Gooskens 2005) ha somministrato campioni di dialetti ad informatori norvegesi ed olandesi provenienti sia dalle medesime aree delle varietà ascoltate (informatori endogeni), sia da aeree diverse (esogeni). Come prevedibile, le più alte percentuali di riconoscimento e corretta collocazione geografica della varietà si sono registrate tra gli informatori endogeni. Successivamente, gli stessi informatori hanno ascoltato le medesime voci campione, però ripulite dai tratti tipici locali (voci monotone). Le percentuali di corretto riconoscimento hanno subito soltanto un lieve decremento tra gli informatori olandesi e, al contrario, una vistosa diminuzione tra gli informatori della Norvegia. Posto che, conclude Gooskens, in contesto norvegese gli accenti variano molto da regione a regione, l’indagine mostra che essi sono importanti marcatori di identificazione regionale, cosa che non avviene tra i parlanti olandesi. Alla categoria della ‘immedesimazione’ ci pare invece debbano essere ricondotti quei casi in cui gli informatori tendono ad avvicinare ai propri confini spazialicognitivi anche stimoli linguistici che contengono tratti estranei al proprio repertorio (Montgomery 2006, 260; Fig. 4.3 e Fig. 4.4)20. Un esempio di questa tipologia di indagine è l’esperimento illustrato in Plichta/ Preston 2005 che ha confermato la forte associazione di un tratto stereotipizzato, la resa monottongale di /ay/, all’area meridionale degli Stati Uniti a sua volta oggetto di caricature linguistiche più volte rilevate da inchieste sul campo. Gli informatori hanno ascoltato due voci, di un uomo e di una donna, pronunciare la parole guise in sette modi differenti: con dittongo pieno; con cinque varianti intermedie progressivamente sempre più vicine al monottongo; con monottongo pieno. Gli informatori 20 L’inchiesta è stata condotta somministrando agli informatori otto voci campione di altrettante località (v. Fig. 4.3). È stato loro chiesto di indicare con una x, su una mappa, l’area che volta a volta associavano alla voce campione. I dati per gli informatori di Carlisle (fig. 3.4) mostrano come questi tendano ad avvicinare al proprio sito la voce campione di Barnsley, località che si trova molto più a sud.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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dovevano associare ciascuna di queste realizzazioni del tratto ad una località, scegliendola tra nove. Le località prescelte per l’inchiesta sono disposte sull’asse nord (a partire da Saginaw) verso l’estremo sud (Dothan). I risultati mostrano che le attribuzioni del monottongo sono via via più alte per i centri che si allontanano dal nord, fino a raggiungere il valore massimo per Dothan.

Fig. 4. 2 Addensamenti percettivi sulla collocazione della parlata di Londra (Montgomery 2008)

Preston chiama misdirection la terza tipologia della sua classificazione che comprende le inchieste “esterne e non consapevoli”, essenzialmente basate su strategie di inganno degli informatori. Esse sono molto utili per sondare l’ideologia linguistica coperta, a dispetto delle dichiarazioni esplicite che i soggetti sotto inchiesta credono di riferire ad un oggetto di atteggiamento che però non coincide con i reali interessi del ricercatore. È forse la tipologia dove l’oggetto dell’inchiesta raggiunge il più alto livello di non consapevolezza. Molte di questo tipo di indagini sono condotte con varianti del matched guise. In Kristiansen 2007, informatori danesi di tutte le aree, sottoposti a domande esplicite (consapevolezza), hanno dichiarato la loro preferenza per la varietà locale. Il successivo test nei modi del matched guise (non consapevolezza) ha invece regi-

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

strato percentuali di apprezzamento molto alte per le varietà “conservative” e “moderne” entrambe vicine al modello di prestigio di Copenaghen21. Dato che gli studi di linguistica del contatto registrano un deciso livellamento alla varietà della città capitale, Kristiansen ha ipotizzato che le covert attitudes22 segnalino con maggiore affidabilità la direzione del cambio. Niedzielski 1999 ha dimostrato che è sufficiente scrivere in cima ai fogli distribuiti per i test le denominazioni delle località artificiosamente associate ai tratti, per perturbare l’esito delle elicitazioni. La ricercatrice ha chiesto ad informatori del sud-est del Michigan di individuare i tratti della propria varietà dopo averli sottoposti all’ascolto di tre token fonetici risintetizzati della parola last: un’etichetta dell’hyperstandard diffusamente associata al British American, una seconda dell’American English e una terza della varietà del Michigan. Le percentuali di opzioni per hyperstandard salivano negli informatori che avevano ricevuto i fogli con la scritta in rosso «Michigan» e scendevano sensibilmente per la sezione di campione a cui erano stati distribuiti i fogli con su scritto «Canadian»23.

Fig. 4.3 Localizzazione delle voci campione (Montgomery 2006)

21 Il test è stato condotto con scala ad item differenziali del tipo «intelligent—stupid, conscientious—happy-go-lucky, cool—uncool». 22 È un’ipotesi certo molto stimolante ma che va considerata anche in relazione alla teoria dello stereotipo (v.§§ da 5.2 a 5.3.4.3). 23 Il token risintetizzato della varietà del Michigan conteneva il «raised and fronted version of the vowel», esito del Northern Cities Chain Shift. Il cambio resta non disponibile alla consapevolezza degli informatori del Michigan che continuano ad auto-rappresentare la propria parlata come unica e vera varietà standard. I risultati dell’indagine sono in controtendenza con Kristiansen 2007.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Fig. 4.4 Risultati per gli informatori di Carlisle. Il punto nero indica la collocazione di Barnsley sulla carta dell’Inghilterra. La parte terminale di ciascuna linea indica dove gli informatori di Carlisle hanno posizionato la voce campione di Barnsley (Montgomery 2006).

Postlep 2010 è il resoconto di un’indagine condotta nei Pirenei spagnoli, nella “Franja oriental de Aragòn”, area a forte tensione ideologica a causa della compresenza di castigliano, aragonese e catalano e della sovrapposizione soprattutto tra queste due ultime varietà. Il ricercatore ha utilizzato il matched guise per somministrare registrazioni nelle quali informatori locali raccontano una storia a partire da una serie di immagini. Gli attributi della scala differenziale sono distribuiti all’interno della dicotomia “colloquiale” vs. “ufficiale”. I risultati sono rappresentati in ‘carte ideologiche’ a tre dimensioni molto perspicue dalle quali emergono le percezioni distribuite nello spazio. I dati aggregati consentono di individuare le omogeneità e le rotture nel comportamento percettivo degli informatori. Dato che le delimitazioni percettive non sono nette, il ricercatore tedesco, utilizzando il concetto introdotto dalla scuola tedesca di Thomas Krefeld, precisa che sono individuate “soglie percettive” piuttosto che confini. Particolarmente interessante il risultato rappresentato nella carta di tutte le soglie percettive in cui emerge la non corrispondenza in area tra confini percepiti dai parlanti e confini tracciati dai linguisti. Veniamo all’ultima tipologia, le inchieste “interne e non consapevoli” con oggetto i “discorsi”, metodo di indagine che si prefigge di escutere brani di parlato. Sono esse qui catalogate, ma, in considerazione del fatto che i ‘discorsi della gente’ si riscontrano come esito non atteso con regolarità reiterata e in ogni tipo di indagine, è previsto che possano occorrere anche nelle altre tre metodologie di inchiesta,

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4.1 Input e output nelle elicitazioni metalinguistiche ALS

come mostra la Tab. 4.1. L’esperienza ci dice infatti che oltre ai corpora prodotti in inchieste finalizzate alla raccolta di brani di parlato, i discorsi sono elicitati anche accidentalmente e con una certa costanza. Le interazioni raccoglitore-informatore nelle domande del questionario ALS ne sono un classico esempio. Gli input previsti dalle domande innescano negli informatori fasci di richiami mnemonici che essi restituiscono in brani di racconto che a loro volta possono suscitare la selezione di ulteriori argomenti e di ulteriori racconti a questi associati. In casi simili accade che il parlante si astrae dal contesto-intervista e che un argomento si trasferisca dal livello della consapevolezza a quello della non consapevolezza. La stessa procedura è rilevata anche nella elicitazione dei parlati indotti a codice bloccato italiano e dialetto, dove l’astrarsi dell’informatore dalla situazione intervista e dall’argomento della domanda a livello di repertorio, è segnalata, da un lato dalla violazione della regola d’uso posta dal raccoglitore sulla varietà da utilizzare e, dall’altro, dalle associazioni autobiografiche attuate dall’informatore. Ancora in sede italiana Tullio Telmon 2002b ha invitato a riflettere sulle sconfinate possibilità di elicitazione di dati di natura ideologica e linguistica che potrebbe offrire un ambiente-intervista costituito da un raccoglitore, un informatore e un magnetofono che registra conversazioni libere su qualsivoglia argomento. Va ricordato che la Discourse Analysis è stata utilizzata per la prima volta in DP dalla scuola prestoniana, a partire dall’assunto che movendo da “ciò che è detto” è possibile giungere a presupposizioni24, associazioni e implicazioni (Preston 1994, 286-87). Per citare un celebre esempio, l’informatore che al raccoglitore che gli chiede del suo dialetto risponde «The world’s getting smaller» (Niedzielski/Preston 2003), sta presupponendo che nel mondo della modernità, scolarizzato, mediatico e mobiletico, i dialetti sono molto poco diffusi, che egli fa parte di tale mondo, e che pertanto non parla dialetto. In questa prospettiva andrebbe collocata la sottolineatura di Preston della stretta relazione fra teoria della presupposizione e teoria della salienza: lo stesso informatore che alcuni turni dopo afferma «I’m-happen - not to be - from the South» (ibidem), associa il sud al dialetto, pone il sud fuori dal mondo modernizzato, presuppone la salienza dell’area meridionale statunitense. Ricomporre le presupposizioni frammentate nei discorsi significa anche ricostruire l’ideologia dei parlanti. Ciò a cui sempre queste tecniche di indagine mirano è il patrimonio di credenze che, alla fine dell’analisi dei dati d’inchiesta, va organizzato in modelli culturali di ideologie linguistiche personali e comunitari 25. 24 In Levinson (1983: 178-85) le presupposizioni pragmatiche sono trigger lessicali e strutturali. Ad esempio, il verbo start nella frase «Bill started smoking» presuppone che in un tempo diverso dal presente Bill fumava. Un caso interessante di trigger è la costruzione pseudo-cleft la quale in frasi negative svolge la funzione sintattico-lessicale di presupporre che il soggetto ha compiuto un’azione. Ad esempio «Bill didn’t flunk Algebra» non presuppone che Bill non sia stato bocciato in altri esami (cioè, non lo esclude) ma afferma che in Algebra Bill non è stato bocciato. 25 Nuove riflessioni sulla prospettiva conversazionale-attitudinale sono in Preston 2009 che utilizza un approccio linguistico, pragmatico e semantico ai “tipi di presupposizione. Un esempio: la raccolta di discorsi con oggetto l’area di residenza degli informatori, mette in luce strategie

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Imprevedibilità di occorrenza e causalità distribuzionale depongono per un’attenzione massima alle tecniche conversazionali (nell’intervista) e ai metodi interpretativi pragmatici e testuali (dopo l’intervista): questo flusso di parole e storie è troppo significativo perché ci si possa permettere di sottrarlo alle nostre possibilità di osservazione nei diversi livelli delle interazioni sociali, e le sue strutture interne cognitive, consapevoli e non, preziosissime per poter rinunciare alla sfida della loro misurabilità. Una misurabilità che deve essere certo ‘continua’ ma anche distribuita in livelli plurimi, esigenza questa oramai patrimonio anche di tanta parte della psicologia sociale26. A questo, alla sfida di poter pensare una categorizzazione continua e pluridimensionale, sarà data specifica trattazione nel capitolo 6. 4.2. UN MODELLO COGNITIVO PER I DIVERSI LIVELLI DI CONSAPEVOLEZZA DEGLI ATTEGGIAMENTI Il rapporto fra parlante e fatti di lingua e di società trasferito nel campo teorico della psicologia sociale può trovare un adeguato profilo nelle teorie per l’interpretazione delle procedure valutative. La psicologia sociale è interessata a capire se e in quali segmenti del processo, entrambi gli elementi della relazione (parlante, fatti di lingua) siano o non siano nella consapevole disponibilità di un osservatore. Al centro dei modelli teorici sono posti il tipo di relazione fra soggetto e oggetto di percezione/rappresentazione e la natura del collegamento fra l’oggetto e gli atteggiamenti. Per il campo della DP occorre sostituire soggetto con parlante, oggetto con fatti di lingua e di società, associazioni con credenze. In questa sezione illustriamo il modello con il quale tre psicologi del sociale, Krosnick, Judd e Wittenbrik (2005, 21-76), occupandosi delle procedure che generano gli atteggiamenti e, tramite questi ultimi, i giudizi verbalizzati, propongono la distribuzione dei diversi livelli di consapevolezza all’interno del processo valutativo. Il processo valutativo non verbalizzato è descritto nelle due fasi della attivazione automatica (Automatic Activations Phase) e della deliberazione (Deliberation Phase). La prima è il luogo delle procedure non consapevoli, la seconda di quelle consapevoli. A questi due stadi segue la verbalizzazione delle valutazioni nella fase della risposta/reazione (Response Phase). Distinguiamo quindi la consapevolezza cognitiva che si riferisce alle due prime fasi, da quella discorsiva propria delle risposte e dei turni interazionali (Response Phase). Se la fase dell’attivazione automatica e la fase della deliberazione sono entrambe attivate, nel modello di Krosnick, Judd e Wittenbrik si susseguono secondo pragmatico-linguistiche e identitarie, molto orientate verso la non consapevolezza. Gli informatori che dichiarano di volersi emancipare socialmente dalla propria comunità utilizzano un tipo di varietà emendata dai tratti fonetici locali; coloro che affermano e rivendicano il sentimento di lealtà socio-comunitaria utilizzano tratti linguistici marcati localmente. 26 Vedi ad esempio le variabili semi-cardinali (Marradi 1995) del quale si è detto in cap. 3 nota 6.

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4.2 Un modello cognitivo per i diversi livelli di consapevolezza degli atteggiamenti

l’ordine definito, ma in certi casi può accadere che dalla automatica attivazione si giunga direttamente alla verbalizzazione. Durante la fase dell’attivazione automatica l’oggetto di atteggiamento, per esempio un lessema oppure un tratto fonologico, suscitano una associazione automatica di contenuti già presenti in memoria perché precedentemente acquisiti (ivi, 24). L’attivazione è veloce, richiede poche risorse cognitive, non deriva dalla ricerca di contenuti rilevanti e il parlante non ha consapevolezza né dell’oggetto di atteggiamento né dell’attivazione dell’associazione. I contenuti di memoria che possono essere attivati dipendono da due fattori: dalla forza (o potenza) dell’associazione; dalla natura dell’oggetto di atteggiamento ovvero se essa è nota al parlante perché la ha già ‘incontrata’ nelle ordinarie interazioni. In quest’ultimo caso, riferendoci ai dati ALS, diremo che l’oggetto di atteggiamento è ‘pronto per l’uso’. La ricerca di informazioni rilevanti che caratterizza la fase della deliberazione non può invece prescindere dalla conscia consapevolezza che il soggetto-parlante deve avere dell’oggetto di atteggiamento e delle associazioni: «As long as the object remains outside of conscious awareness, no deliberation can take place» (ibidem). Le informazioni possono essere recuperate o perché già conservate in memoria («I liked the spinach at dinner last week», ivi 25) oppure in quanto associazioni in quel momento rilevanti o salienti («spinach- it’s healty», ibidem). Il recupero dell’informazione dipende dalla cronica accessibilità, concetto che indica le condizioni situazionali che favoriscono o penalizzano l’accesso alle informazioni27. Situazioni che agiscono come forti sollecitatori di deliberazione sono le interazioni asimmetriche finalizzate alla valutazione oppure al rispetto delle norme da parte del soggetto subordinato. L’elicitazione dei dati attraverso un questionario rispecchia questo tipo di relazioni. Le procedure di valutazioni cognitive (e non ancora discorsive) fin qui descritte possono suggerire alcune riflessioni se applicate ai dati ALS. Il corpus dell’intervista va concepito come contenuto verbale che potrebbe contenere in un certo numero e in una certa qualità delle presupposizioni. Queste possono essere ricostruite a partire dal testo in quanto elementi della fase dell’attivazione automatica (non consapevoli) o della fase della deliberazione (consapevoli). Il modo più diffuso è la ricerca controllata di informazioni, situazione cognitiva sollecitata all’informatore dallo scopo dell’indagine e dalle domande del questionario, ma l’attivazione automatica di contenuti cognitivi non è per nulla estranea alla situazione intervista. Nel caso dei dati metalinguistici la richiesta di riferire su paesi e tratti della differenza sollecita l’informatore alla deliberata ricerca di informazioni rilevanti, condizione cognitiva che può però molto spesso sfuggire al suo controllo e diventare attivazione automatica durante la quale egli perde consapevolezza sia dei fattori situazionali, sia, più in particolare, dei contenuti degli input del raccoglitore (perde 27 Riflessioni sul contesto come moderatore o inibitore della cronica accessibilità durante le fasi della raccolta dei dati sono in Tourangeau et alii 1989. Le domande del questionario, il loro ordine, le diverse formulazioni che possono evidenziare o mimetizzare specifici aspetti dell’oggetto dell’atteggiamento, sono considerati fra i più importanti elementi della chronic accessibility.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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cioè consapevolezza dell’oggetto dell’interazione e delle associazioni che gli vengono richieste). Le condizioni più ricorrenti in ambito ALS che perturbano la deliberata ricerca di informazioni sono il già ricordato fattore emotivo (v. § 1.1.2.1) (D’Agostino et alii 2002, 17728, Lo Nigro/Paternostro 2006, 4929) e la ‘spazialità vissuta’ o i ‘saperi ideologici’. Essi indicano rispettivamente l’astrazione emotiva e l’allontanamento spaziale-cognitivo dell’informatore dal momento intervista, dal suo oggetto e dalle sue modalità. Di solito, interpretando il protocollo d’inchiesta, il raccoglitore avverte il dovere di ricondurre l’intervista a quelle condizioni che possano favorire le risposte puntuali alle domande del questionario: paesi e tratti linguistici. Gli input che egli produce a questo scopo hanno l’effetto di ‘abbassare’ il livello emotivo («sì, ma adesso mi dica: queste persone di cui mi racconta, di quali paesi erano, e come parlavano?») e di ‘accorciare’ le distanze spaziali («e nei paesi più vicini al suo come parlano?»). In questo modo l’informatore è sollecitato a ri-trasferirsi nell’ambiente cognitivo della fase della deliberazione. Le ‘trattative’ fra raccoglitore e informatore per il rispetto dell’uso della varietà richiesta nel parlato indotto a codice bloccato sono un ulteriore esempio. Soprattutto fra i parlanti prevalentemente dialettofoni si rileva la diffusa tendenza a commutare dalla varietà d’uso richiesta (italiano) a quella più vicina emotivamente ai vissuti espressi dal racconto, il dialetto (fase dell’attivazione automatica). Segue l’input del raccoglitore finalizzato a far rispettare il codice bloccato. Tale input è non esplicito, con il raccoglitore che interviene con riformulazioni in italiano, oppure esplicito: «me lo può raccontare in italiano?». Tante volte l’informatore raccoglie l’input (fase della deliberazione), anche se, in non pochi casi, solo per pochi turni (fase dell’attivazione automatica). Di seguito un esempio dal corpus ALS con riformulazioni in italiano del raccoglitore. L’informatore è il NF1 di Termini Imerese: 16. R1: signora lei perché ora non non mi racconta- in italiano- che so- tipo- qualche cosa che: | di quando era giovane- quando si è [sposata] qualche cosa- che ne so- qualche cosa che vuole lei oppure qualche ricetta che fa di [cucina- ] I2: [no.] di cucina (un nni fazzu [io.]30 R: [niente.] I: io i fazzu a mmuzzu.31) […] R5: che ne so. mi: | quando sono nati i suoi figli- / uno dei suoi figli- / quando stava a Porto Empedocle. che differenze ci sono tra qua e Porto Empedocle. 28 «Momento che prescinde dal rapporto creatosi durante l’intervista e fa parte veramente tutto della storia della storia del parlante, il quale rivive un pezzo della sua vita, in forme che noi controlliamo pochissimo». 29 «La domanda favorisce l’attivazione del fattore emotivo, che, man mano che l’anziana informatrice va avanti nel raccontare la sua storia, prende il sopravvento, tanto che la signora sembra quasi dimenticarsi della particolare situazione comunicativa nella quale si trova». 30 No, di cucina non ne faccio io [io non cucino]. 31 Io li faccio a caso [io cucino i cibi senza perizia].

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4.2 Un modello cognitivo per i diversi livelli di consapevolezza degli atteggiamenti I6: c’è la differenza. R7: e qual è. me ne | perché non me la [racconta.] I8: ḍḍà lavorava- usciva- sempri ccà inveci mi mettu dinṭṛa, e un vàiu in nessuna bbanna. 32 R: [no.] I8: no. non esco propria. R: [ho capito.] I8 picchì poi ci fu a morti di me maritu, e:: mi secca uscire. 33 […] R13: ho capito. che ne so. mi vuole parlare che | del matrimonio di sua figlia- che si è sposata e poi ha avuto i bambini. I14: avi un maritu- signora! / mariti lari::…34 R15: / e quando si è sposata il matrimonio come è stato. glielo ha fatto lei? I16: no. (u) matrimonio || io ho sposato una figlia che: ci ho fatto io il vestito che c’è. appizzatu è. poi: capitò u maritu che: si drogava / un po’- poi u paṭṛi u finò, e cci fici livari u vìzziu di: ddrogàrisi. e cci pari sempri avi ḍḍu vìzziu. cci pari ca sû leva? guai- guai àiu vistu- signorae mmègliu un cuntarli.35 R17: e una minima cosa bella della [sua vita mai niente ha avuto!] I18: [no no no no niente niente.] no niente. niente. signora sempre guai. / sempre guai. (NF1 Termini Imerese - PA)

In tutta l’interazione il raccoglitore interviene nel tentativo di sollecitare l’informatore ad utilizzare l’italiano. In R5 ed in R13 le riformulazioni del raccoglitore sono decise. L’informatore in un primo momento sembra riconoscere ed accogliere gli input del raccoglitore ma dopo poche parole in italiano ritorna alla sua L1. Abbiamo fin qui descritto il livello cognitivo del modello. Veniamo adesso alla successiva fase della risposta/reazione, cioè alla consapevolezza/non consapevolezza discorsiva, in quanto sede delle produzioni verbali in senso lato. In questa fase vanno distinti i casi nei quali i parlanti sono consapevoli delle connessioni fra atteggiamento e giudizio verbalizzato (influenze esplicite) o piuttosto non consapevoli (influenze implicite). Nel secondo caso si danno le due seguenti possibilità: a) l’oggetto di atteggiamento (che può essere un gruppo sociale o un fatto di lingua) rimane fuori dalla consapevolezza del parlante; b) il parlante è consapevole dell’oggetto di atteggiamento ma non lo è delle valutazioni che può innescare e che possono influenzare il giudizio: ne sono tipici esempi i pregiudizi linguistici.

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Là lavoravo uscivo sempre qua invece mi metto dentro e non vado in nessun posto. Perché poi è morto mio marito e mi scoccia uscire. Ha un marito signora mia …! Mariti cattivi …! Io ho dato in sposa una figlia e l’ho fatto io il vestito che le stava a pennello, poi capitò un marito che si drogava un po’, poi suo padre gli ha fatto togliere il vizio di drogarsi, ma che le pare … sempre ce l’ha quel vizio, secondo lei se lo è tolto!? Guai guai ho visto signora meglio non raccontarli!

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I casi del punto a) sono molto diffusi nelle percezioni/rappresentazioni della differenza linguistica che abbiamo chiamato olistiche (cantilena, accento, strascico, intonazione) e nei giudizi di merito, come ad esempio: «parlano volgare». L’informatore ha una percezione della varietà altra ‘nel suo insieme’ e non distingue i tratti fonetici-fonologici e prosodici che in effetti, in quanto oggetti di atteggiamento, stimolano il determinarsi dei suoi atteggiamenti. Questi tratti non sono disponibili alla sua consapevolezza, un argomento che affronteremo in questo capitolo a partire dal prossimo paragrafo. La più tipica tipologia del punto b) è quella che può presentarsi nell’attività di categorizzazione oppositiva che chiamiamo ‘dicotomia’. Il parlante ha consapevolezza dei tratti linguistici dell’‘altro’ ma non ne ha delle associazioni cognitive che egli ha istituito e che restituisce verbalizzandole, ad esempio, fra ‘paese di montagna’ e ‘lì parlano in dialetto e volgare’. Includiamo nel campo della dialettologia percettiva non solo la fase della risposta/reazione ma anche la procedura di attivazione automatica e la deliberazione controllata. Certo, le reazioni implicite ed esplicite costituiscono la parte più scoperta dei livelli sociali e cognitivi e sono osservabili più o meno direttamente, ma a partire da esse possono essere ricostruite quelle procedure valutative coperte molto utili ad informaci sulle ideologie linguistiche e sociali dei nostri parlanti. 4.3 CONSAPEVOLEZZA/NON CONSAPEVOLEZZA NEGLI STUDI METALINGUISTICI Per i dialettologi percettivi l’ambito privilegiato per la verifica dei diversi livelli di consapevolezza è il contenuto linguistico dell’interazione inteso come oggetto di atteggiamento. In particolare, una lunga tradizione della sociolinguistica del contatto ha individuato nell’assunzione al livello della piena disponibilità del tratto linguistico la soglia oltre la quale è lecito parlare di stereotipo. Sulla stessa falsariga, i cosiddetti tratti bandiera della comunità di lingua hanno svolto la funzione identitaria dell’appartenenza e del riconoscimento in quanto atti espliciti e consapevoli di esibizione delle proprie marche comunitarie. Di pari passo, tuttavia, la compattezza dell’oggetto di percezione in quanto unità o sintagma linguistico si è presentato sempre più frantumato, mano a mano che i dati raccolti sul campo hanno restituito non un parlante ma diversi livelli interazionali e, già con Terracini, non un luogo monodimensionale ma un punto in equilibrio tra conservazione e innovazione. Nei due prossimi paragrafi presentiamo due esempi paradigmatici di questa corrispondenza speculare fra moltiplicazione dei livelli di analisi del parlante e della comunità di lingua da un lato, e dell’oggetto linguistico negoziato dai parlanti nella comunità dall’altro.

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

4.3.1 Consapevolezza sociale e consapevolezza dei saperi Con le indagini di Labov (1966) a New York City l’estensione della consapevolezza dal parlante alla società ha fornito strumenti per comprendere i motivi della bassa disponibilità alla consapevolezza del dettaglio linguistico nei processi di formazione dei giudizi. Del lavoro a New York City, in qualche modo fondativo degli studi sugli atteggiamenti linguistici, ci sembra notevole che siano direttamente i dati a consigliare Labov ad una interpretazione in chiave di reazioni ‘consapevoli vs. non consapevoli’, al cui centro sono posti i parlanti. Dopo avere avvertito che «It is therefore necessary to extend the study of linguistic structure to include…unconscious subjective reactions» (Labov 1966, V), il linguista americano nota come il deficit di capacità distintiva degli elementi linguistici, in specie fonetici-fonologici, non ha impedito nei suoi informatori lo stratificarsi di solidi giudizi sugli oggetti di percezione: Reactions to phonological variables are inarticulate responses, below the level of conscious awareness. They occur as part of an over-all reaction to many variables. There is no vocabulary of socially meaningfull terms with which our informants can evaluate speech for us, [infatti] the great majority of respondents show no conscious awareness of the variable we have been studying. In the discussions of linguistic attitudes which took place at the end of our interviews, many respondents showed strong opinions about New York City speech in general, but only a few were able to mention specific word. (ivi, 405-406)

Constatato che gli informatori di New York hanno dunque chiara percezione della differenza linguistica rispetto alla ‘alterità’, si tratta di capire cosa hanno in mente i parlanti quando vengono sottoposti ad elicitazione di atteggiamenti, ovvero quale oggetto hanno in mente per la valutazione, e se esso coincide con il sapere specialistico del linguista: Very few of the informants perceive or report their own variant usage of the phonological variable, and fewer still perceive it accurately. This does not mean that the New Yorkers do not give a great deal of conscious attentions to their language. Most of the informants in our survey have strong opinions about language, and they do not hesitate to express them. But their attention focuses only on those item which have risen to the surface of social consciousness and have entered the general folklore of language…so most perception of language is not perception of sense experience, but of socially accepted statements about language. (ivi, 482)

L’oggetto di percezione non è allora il singolo tratto individuato ed elencato ma il patrimonio comune e condiviso di giudizi riferiti e ascoltati; entrati, in un certo momento del processo di relazione, nella sfera della accettabilità sociale. Tale patrimonio condiviso, molto probabilmente, ha avuto la forza di cristallizzare e categorizzare i tratti linguistici distinti in immagini di un “tutto-insieme” dove i singoli elementi sono fagocitati dalla forza della consapevolezza sociale. Solo così l’alterità può essere ricomposta nella formulazione di opinioni su gruppi e stratificazioni sociali (linguistiche, etniche e di cultura) all’interno di una macro-comunità di lingua, piuttosto che verso singoli item linguistici isolati nell’attività di elicitazione.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Labov non è tanto interessato a stabilire se gli informatori abbiano effettivamente consapevolezza dei singoli tratti della differenza e non invece la disponibilità della parole per indicare i referenti linguistici. Il suo ragionamento è già oltre questo e dentro un problema di interpretazione dei dati, in quanto asserire che la formulazione di opinioni e di giudizi sui fatti di lingua del mondo ‘a portata di mano’ possa fare a meno dei «socially meaningfull terms», significa istituire una opposizione fra percezione di «part of an over-all reaction to many variables» e percezione «able to mention specific words»; fra percezione del tutto e percezione di elementi distinti; fra processi valutativi olistici e processi valutativi distintivo-cognitivi. All’interno di una lunga tradizione di linguistica del contatto, riconducibile a quegli orientamenti ai quali ci siamo riferiti sopra basati sull’oggetto di percezione e di rappresentazione come semplice oggetto linguistico, la consapevolezza è stata definita in termini di mere reazioni del parlante di fronte ad un universo linguistico dato. In tal modo, ad esempio, si è potuto instaurare un rapporto di diretta dipendenza ed interconnessione fra consapevolezza e salienza, fondato su uno dei principi che stanno all’origine della teoria della relevance: «linguistically untrained speakers can identify (and list) primary but not secondary dialect features» (Schirmunski 192836). L’attività linguistica del parlante era metaforizzata nell’attività linguistica di elicitazione dei dati durante la quale un informatore si dimostrava o no capace di identificare ed elencare tratti linguistici. Al contrario, la teoria della consapevolezza sociale delle opinioni e degli atteggiamenti quali «accepted statements about language», apre nei perimetri della metodologia una falla attraverso la quale è facile l’irruzione non solo e non tanto dei fatti sociali, ma più decisamente delle relazioni fra di essi e con i fatti di lingua. L’equilibrio per l’assunzione al livello della consapevolezza e della negoziazione sociale è assicurato dal consenso. Atteggiamenti, giudizi, pregiudizi, opinioni, conoscono così quell’ispessimento ideologico che li fa pronti ad essere materia possibile e probabile per le attività di stereotipizzazione. Le relazioni di consapevolezza/non consapevolezza saranno reinterpretate all’interno della sociolinguistica di scuola italoromanza valorizzando proprio il segmento del processo di valutazione che i dati avevano consigliato Labov di sacrificare. È già chiaro come, in tale contesto, il focus delle relazioni dei parlanti abbandoni il ristretto ambito del rapporto univoco, o nel migliore dei casi biunivoco (agente-elemento linguistico) e soprattutto chiami in causa i livelli plurimi di organizzazione degli spazi esperienziali e di lingua, anticipando alcune linee di interpretazione che matureranno all’interno della prospettiva degli studi sociovariazionali. Le immagini, làscito dei sociologi francesi della rappresentazione, sono l’elemento che si forma o è già formato negli incontri interazionali, contenuti di spessori di ideologia e di identità innescati dal sentimento di alterità.

36 Ma v. anche Schirmunski 1930. La consapevolezza è il quarto principio di salienza e rientra, secondo Auer/Barden/Grosskopf 1998, nei principi soggettivi insieme a scrittura e mutua comprensibilità. I principi oggettivi individuati da Schirmunski sono invece distanza articolatoria, lessicalizzazione e dicotomia fonetica vs. continuum fonetico.

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

4.3.2 Indizi da “costruire” L’assunzione della consapevolezza al livello di una socialità condivisa di lingua e di cultura ha conosciuto, soprattutto dopo il primo Labov, diverse applicazioni ed approfondimenti anche nell’ambito di inchieste sul campo della dialettologia percettiva. Ad esempio Binazzi 2009 in una importante inchiesta analizza e classifica le diverse dimensioni di consapevolezza riscontrabili all’interno delle storie di vita degli informatori 37. Con la lingua, sostiene Binazzi, gli uomini costruiscono ed organizzano il “mondo della vita quotidiana38” (Berger/Luckmann 1991); queste attività di costruzione sono definite di orientamento pragmatico e si esplicano nella «proclamazione linguistica» attraverso la «tematizzazione» di elementi dialettali utili ad «individuare e isolare le componenti significative dell’esperienza biografica, linguistica e socio-antropologica […] altrimenti indistinta» (ivi, 58). L’analisi dei «flussi di parlato» è il momento più alto della ricerca delle modalità «puntuali e ricorrenti» (ivi, 59) dell’organizzazione e della costruzione, in quanto è con essi che il parlante da un lato denuncia l’impellenza di organizzare le lingue e la società in quanto «vita quotidiana», e dall’altro esprime il senso di appartenenza comunitaria. È necessario però stabilire se e quali tratti linguistici del «parlare dialetto» rappresentino meglio la dualità pragmatica e se ad essi possano essere riferiti con una certa regolarità specifici livelli di consapevolezza. Binazzi è convinto che nelle modalità di organizzazione della trama del parlato gli informatori distribuiscono indizi di appartenenza e di orientamento e le suggestioni della metafora lo consigliano ad immaginare la situazione interazionale come «scena del delitto» dove si annidano gli indizi linguistici (suscettibili di poter essere o diventare prove) ai quali un buon ‘investigatore’ deve sapere attribuire il rango di «pistola fumante», oppure solamente di «tracce» sebbene «vistose» o invece di «impronte digitali» mimetizzate suoi luoghi del delitto. Al primo estremo della tipologia (pistola fumante) stanno «i singoli elementi vissuti ed esibiti consapevolmente dal parlante come tratti bandiera» e all’estremo opposto («impronte digitali») gli elementi percepiti per nulla come tratti bandiera (perché «la loro specificità in senso locale sfugge alla percezione del parlante») ma dove invece agiscono in maniera decisiva le forze emotive. Al centro, ma decisamente orientati verso il polo della consapevolezza, «gli elementi che il parlante utilizza come chiavi per verificare e manifestare l’appartenenza del tratto al tessuto socio-linguistico dialettale specifico», costituiscono per l’appunto la tipologia delle «tracce vistose», espresse in prevalenza in forma di discorso diretto riportato. 37 Vi sono analizzati dichiarazioni di parlanti raccolte in area toscana per la redazione del Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo e stralci di parlato spontaneo rilevato a Firenze nel 1965 facenti parte del corpus Stammerjohann (1971). 38 Binazzi (2009, 58), riferendosi a Berger/Luckman (1991, 209), definisce «il mondo della vita quotidiana…[l’] insieme organizzato e coerente di “oggettivazioni” a cui si sente messo di fronte ogni componente di una determinata comunità, e che –appunto come se fossero oggettivengono vissute come dati di fatto, routines di un mondo dato per scontato».

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I tratti della pistola fumante sono fonetici e fonologici, le citazioni delle impronte digitali colgono l’aspetto morfosintattico (e si basano sulla frequenza)39, le tracce vistose consistono «nella proposta di particolari modalità di contestualizzazione di voci […] che consent[ono] al parlante di controllare, e di esibire al tempo stesso, la propria competenza dei tratti lessicali» (ivi, 63), attuate con il «discorso diretto riportato, usato perlopiù come citazione espressiva»40. Nel robusto armamentario teorico, stilizzato come una vera e propria valigetta da detective, Binazzi contempla il fattore emotivo41, e poco importa che egli sia convinto che le astrazioni che lo fondano sembrerebbero «favorire comportamenti sostanzialmente non marcati a livello di consapevolezza», ipotesi che non possiamo condividere, per i motivi di cui si siamo occupati nel paragrafo precedente e sui quali torneremo sotto (§ 4.3.5 ). Difatti il modello generale, in apparenza molto rigido, prescrivendo che dentro la scena della pistola fumante il parlante ha il controllo di ciò che sta facendo e dicendo per testimoniare appartenenze e competenze42 in quanto affrancato dalle astrazioni dal contesto, funziona fintanto che «il dialogo cooperante» fra informatore e raccoglitore non inneschi «la progressiva immersione di chi racconta –magari 39 Labov 1972, il famoso studio sul cambio nell’Isola di Martha’s Vineyard, individua i caratteri di una variabile che la renderebbero un potente indicatore per lo studio di una comunità linguistica: oltre all’essere strutturata nel sistema linguistico, stratificata in diastratia e saliente per il linguista, è necessario che essa occorra con frequenza nella comunicazione spontanea. 40 E dunque la classificazione di Binazzi mette in luce anche la superiore salienza auto-percettiva in area dei tratti fonetici fonologici. È interessante confrontare questo risultato con gli esiti di un’altra inchiesta (Calamai/Ricci 2005, 63 e segg), sempre in area toscana ma con focus sulla salienza, che ha rilevato la forte incidenza della prosodia. L’inchiesta è stata condotta nelle località di Firenze, Pisa e Livorno con il metodo del matched-guise. «I fenomeni osservati riguardano il particolare vocalismo tonico di area livornese e pisana, che si manifesta in un consistente abbassamento delle vocali medio-basse e nella velarizzazione di /a/, e che appare un tratto ‘bandiera’ ben percepito dagli stessi parlanti» (Calamai 2002). «Gli aspetti acustici in gioco non si limitano all’abbassamento della prima formante (peraltro concentrato su alcuni foni vocalici e non esteso a tutto il sistema), ma coinvolgono anche il dominio prosodico: nel parlato meno controllato si osserva una maggiore durata per alcune vocali (in special modo quelle colpite da abbassamento) e – soprattutto nelle parole prominenti – una maggiore modulazione della frequenza fondamentale. […] Questo primo risultato spingerebbe anche a fare qualche speculazione sulla priorità di indici prosodici rispetto a quelli segmentali nei compiti di riconoscimento: del resto è noto come le caratteristiche prosodiche siano il primo tratto fonetico che viene acquisito dal bambino e come i parlanti siano in grado di riconoscere le lingue sulla base della sola prosodia». (Calamai/Ricci 2005, 63 e segg.). 41 L’apparato metodologico proposto, oltre al fattore emotivo comprende altri tre concetti. Le “tradizioni del discorso” (dialettali) che conservano «alle comunità nello spazio geografico la dialettalità che le contraddistingue nei loro discorsi. Quasi sotto la coperta, a livello della concezione mentale dei discorsi, continua ad agire il dialetto di base» (Stehl 1995). Il “costume linguistico” (Marcato 2001) «componente fondamentale nel processo di rivelazione e di riconoscimento della propria esperienza di vita affidato al racconto di sé» e adottato con «puntuali e ricorrenti modalità di organizzazione del materiale linguistico» (Binazzi 2009, 59). Gli “atti linguistici”, nella prospettiva tracciata in Le Page/Tabouret-Keller 1985 atti di identità e manifestazione linguistica di appartenenza a una specifica tradizione linguistica locale. 42 Il controllo è elevato sia quando la disponibilità all’attenzione del parlante riguarda i tratti linguistici ma anche le modalità di utilizzo (pistola fumante), sia quando la disponibilità è circoscritta al solo contenuto della proclamazione linguistica (tracce vistose) (cfr. ibidem).

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

con un sostegno di un fattore emotivo in altrettanto progressiva attivazione– nella realtà che si propone di evocare» (ivi, 61). Da quel momento in poi, se possiamo completare la precisazione di Binazzi, gli oggetti della cooperazione comunicativa, benché ancora disponibili alla consapevole attenzione dell’informatore, si trasferiscono nelle spazialità cognitive e vissute che quel tratto linguistico ha avuto la capacità di innescare attraverso i processi di ‘richiamo mnemonico’ e di ‘avvicinamento’ spaziale. Questo processo cognitivo-ideologico è segnalato nello schema di Binazzi (ivi, 62) con il cambiamento di stato del fattore emotivo (“- > +”) e con il mantenimento di stato della consapevolezza del riconoscimento (“+”) . L’astrazione dal contesto, peraltro, non è mai un’attività neutra, ma parte integrante, e non solo esito, del processo di costruzione dei significati e delle realtà. Binazzi sottolinea chiaramente come competenze e appartenenze siano «costruite», citando espressamente Berger e Luckmann (1991)43. Le sue scene del delitto e le tracce che le affollano possono infatti con coerenza essere definite nel seno delle teorie del costruzionismo sociale, sia quando è il parlante ad essere inchiodato alle sue funzioni di testimonianza e di rivendicazione del sé, sia quando è lui ad inchiodare la realtà alle proprie aspirazioni metacomunicative e metacognitive che lo allettano a costruire e rappresentare senso e significato nel mondo della vita quotidiana. 4.3.3 Stereotipo e consapevolezza nella (socio)linguistica del contatto e nella psicologia sociale Il tema della disponibilità alla consapevolezza del parlante dei fatti linguistici non può essere sottratto alle riflessioni su atteggiamenti, giudizi e stereotipi. Negli studi tradizionali di linguistica del contatto e del cambio è diffuso il paradigma secondo il quale solo un tratto salito alla consapevole attenzione del parlante può essere oggetto di stereotipo. Questo assunto motiva alcuni principi di salienza, dato che un tratto notato e stereotipizzato ha senz’altro le caratteristiche per essere definito saliente. In questa sezione proveremo a dimostrare come, dentro la nostra prospettiva, tale assunto non possa essere considerato del tutto adeguato, perlomeno per l’interpretazione dei dati ALS. Schirmunski lo accennavamo sopra (§ 4.3.1), è il primo che si è occupato di salienza linguistica individuando sei principi o condizioni. Il quarto dei quali, sotto il capitolo «Awareness», recita: Linguistically untrained speakers can identify (and list) primary but not secondary dialect features. Therefore, only the first may become dialect stereotypes and may be used in mimicry and teasing. (Schirmunski 1928)

43 «Io sono costantemente attorniato da oggetti che proclamano le intenzioni soggettive dei miei consimili». È una citazione tratta da La realtà come costruzione sociale, opera fondamentale dei sociologi costruzionisti americani Peter L. Berger e Thomas Luckmann.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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È una definizione un po’ complessa che coinvolge più livelli di analisi. La salienza viene ricondotta alla possibilità di un tratto di entrare nella consapevole attenzione del parlante: se ciò avviene quel tratto è ad alto rischio di salienza; e (presupposto: dato che si può dare stereotipo solo di quei tratti saliti alla consapevolezza del parlante) solo i tratti salienti posso dare luogo a stereotipo. Una conclusione che segnala un rapporto diretto fra consapevolezza e processo di stereotipizzazione linguistica. Trudgill (1986, 11), movendo dalla classificazione di Labov, sostiene che solo i “marcatori” sono salienti in quanto presenti alla consapevolezza del parlante, a differenza degli “indicatori”. Auer, Barden, Grosskopf (1998, 175) sono ancora più espliciti: « Stereotipying implies that a dialect feature is conscious». Non solo: lo stesso Schirmunski, come abbiamo letto, non limita la sfera dell’attenzione consapevole verso i tratti alla loro percezione ma anche alla loro restituzione. Questi studiosi tendono a riconoscere un patrimonio culturale-comunitario acquisito che, senza che se ne debba necessariamente avere consapevolezza e se opportunamente innescato (salienza), concorre alla formazione degli stereotipi; però l’oggetto di questi ultimi è sempre consapevolmente presente alla conscia attenzione del parlante affinché questi lo possa stereotipizzare. In sintesi, si finisce per ammettere il ruolo dell’inconsapevolezza nella formazione dei giudizi ma non nell’individuazione dell’oggetto di atteggiamento. Riepilogheremmo questa posizione come in Tab. 4.2.

oggetto di atteggiamento giudizi (meta giudizi)

consapevolezza

non consapevolezza

+

-

+ oppure ˗

+ oppure ˗

Tab. 4. 2 La posizione della linguistica del contatto sullo statuto dello stereotipo

La psicologia sociale che si occupa degli atteggiamenti e dei loro rapporti con la realtà esterna può fornire qualche utile riferimento sulla disponibilità ai parlanti degli oggetti di percezione44. Sono tre le posizioni che vi si delineano: a) Non ci sono nella mente atteggiamenti acquisiti in precedenza e memorizzati. Gli atteggiamenti sono delle costruzioni sfuggenti e sfuggevoli e la costruzione svanisce subito dopo sostituita da un’altra, senza che fra la prima e la seconda si possa istituire un rapporto di dipendenza e di influenza (Schwarz/Strack 1991, Tourangeau/Rasinski 1988, Wilson/Lijndsey/Schooler 2000). Le valutazioni (summary evaluation) possono determinarsi solo quando le associazioni con l’oggetto sono molto forti, oppure 44 Qui ci interessa considerare in particolare gli oggetti di percezione linguistica. Un’altra tipologia di oggetti che interessano la DP, come più volte sottolineato, sono i parlanti, i gruppi sociali e le comunità.

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

quando le interazioni quotidiane rendono temporaneamente disponibili al giudizio alcune informazioni esterne (Wilson/Hodges 1992, Schwarz/Bohner 2001). Chiamiamo queste teorie, in letteratura indicate come constructionist view, la prospettiva del ‘soffio del vento’. b) Molte associazioni sono acquisite e conservate in memoria e hanno carattere valutativo e latente. È molto probabile che diverse di esse facciano riferimento ad un particolare oggetto di atteggiamento. E si dà anche il caso che queste pluralità di associazioni a volte non siano cristallizzate in uno specifico sommario valutativo conservato in memoria (non c’è «summary evaluation of the object»). Questo non impedisce di poter già considerare atteggiamenti tali associazioni. Le quali associazioni o “valutazioni latenti”, o atteggiamenti impliciti, possono cristallizzarsi in quelle occasioni in cui il mondo (la vita quotidiana, la comunità linguistica, il gruppo dei pari, etc.) richiede ed attiva un incontro, in questo caso un «behavioral encounter». La possibilità di attivare una «summary evaluation of the object» dipende anche, ma in modo decisivo, dalla salienza di tutto ciò che accade intorno, cioè dalla capacità di un oggetto di atteggiamento (ancora potenzialmente tale) di determinare la cristallizzazione delle associazioni in una valutazione (Krosnick/Judd/ Wittenbrik 2005, 23). Chiamiamo questa, teoria della ‘pluralità delle associazioni’, più moderata rispetto alla seguente: c) Non può escludersi che esista un singolo atteggiamento nella mente di una persona: la rete di valutazioni associate con l’oggetto (ibidem). I dati elicitati in un’inchiesta possono sì variare in relazione ad uno specifico contesto (e aggiungiamo: in relazione alle diverse vicende di salienza) ma i prioritari, basilari ingredienti che costituiscono “dato” e “atteggiamento” sono relativamente stabili nel tempo. Chiamiamo questa, teoria delle ‘associazioni già in memoria’ (ivi, 24). Oltre alla stimolante suggestione contenuta nel punto b), e cioè di un «behavioral encounter» decisivo per far innescare un’associazione, quando si pensa che all’interno di incontri di tale genere si determina la elicitazione dei dati (posizione estrema della ipotesi di co-costruzione dei dati durante i momenti-intervista), diciamo che la teoria del ‘soffio del vento’ potrebbe non essere compatibile con una teoria degli stereotipi. Sostengono questi studiosi che, dato che l’atteggiamento in un dato momento è il risultato di un processo di costruzione (Wilson/Hodges, 1992) gli uomini formano i loro giudizi solo sulla base delle informazioni in quel momento disponibili. Senonché, come abbiamo in più punti specificato, siamo convinti che la costruzione cognitiva e sociale non si pone al di fuori della storia e delle storie e non si pone affatto al di fuori del peso della tradizione, la quale difatti, com’è banale rilevare, concorre ai processi della costruzione sociale, siano essi focalizzati sulla sfera idiolettale che su quella comunitaria.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Nitidamente compatibili con la teoria dello stereotipo sono le posizioni b) e c) le quali, con esiti un po’ diversi, fanno in ogni caso riferimento ad una qualche associazione, a dei contenuti culturali e concettuali sedimentati nella mente, potenzialmente in grado di entrare a far parte dei processi valutativi. È a questo contenuto culturale che si fa riferimento quando, nelle ricerche di DP o di ideologia linguistica, si parla di pregiudizio. Ad esempio è ciò a cui Preston si riferisce quando si occupa di “esperienza già acquisita” (prior experience), il luogo delle associazioni della “memoria permanente” (permanent memory), le quali associazioni si esprimono nella modalità di rappresentazioni latenti e già in memoria anche quando la gente non ne è consapevole. Esse sono parte del caos sconfinato e non asserito di credenze e presupposizioni che, se condiviso a livello di comunità, è oggetto di studio per la DP come fenomeno di «Metalanguage 2» (Niedzielski/Preston 2003). Questo nucleo culturale, comunitario e personale e quindi anche idiolettale, sta alla base delle procedure di categorizzazione in genere e dello stereotipo o, come anche noi siamo convinti, è esso stesso stereotipo. D’altro canto, è abbastanza diffusa l’idea che la formazione dei pregiudizi e dei pregiudizi linguistici possa essere influenzata da sostrati culturali acquisiti per vissuti personali e comunitari dei quali non si ha consapevolezza a volte anche a causa di processi di rimozione. È questo come si sa un campo privilegiato dagli studi sugli atteggiamenti linguistici che si incaricano di scovare i cosiddetti stereotipi coperti. 4.3.4 Consapevolezza sociale e globale a confronto Preston, oltre che in Language Regard, si è occupato con specificità dell’argomento in più occasioni. Ne diamo un succinto excursus, iniziando dagli scritti dove egli lo ha più o meno sfiorato. Sappiamo che nella sua ultima edizione del triangolo, prima della svolta verso il ‘quadrato’, il problema del tipo di attenzione verso l’oggetto della valutazione è risolto in termini di continuità delle condizioni dell’essere e/o non essere consapevole: uno stimolo linguistico («what the people say») raggiunge la riserva di credenze e concetti e attiva la verbalizzazione, senza che sia possibile né che importi più di tanto, stabilire dove esattamente inizino i territori della Folk Linguistics e della Language Attitude Study. E sappiamo anche che egli ha altre volte incontrato l’argomento, come quando, con Niedzielski, ci ha dato un interessante elenco di condizioni di salienza dell’oggetto di atteggiamento (2003), esplicitamente rubricato sotto il titolo: tipo di attenzione che il parlante presta all’oggetto di atteggiamento. O nei suoi ultimi scritti, applicandolo però alla consapevolezza che il parlante può avere o non avere dell’utilizzatore piuttosto che del linguaggio e riferendosi quindi alla iconizzazione («the attitude object may be directly perceived […] but in many cases of so-called language attitude study, the object appears to be the language user rather than the language itself» (Preston 2010a, 11); o trattando delle reazioni consapevoli o non consapevoli, e quindi dopo che il tratto linguistico è

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

stato notato; o sostenendo che l’oggetto di atteggiamento attiva «through a conscious or subconscious routine (or both), a set of interconnected beliefs from the cognitoriu» (ivi, 13). È in Whaddayaknow?: The Modes of Folk Linguistics Awareness (1996)45 che il rapporto fra commenti dei parlanti e consapevolezza diventa oggetto di trattazione molto accurata. La definizione di consapevolezza (awareness) è data in nota 2: «I mean, by ‘awareness’, the ‘degree’ of consciousness nonlinguists have in general about language». È in realtà una definizione un po’ tautologica, visto che Preston nello stesso saggio specifica l’equivalenza dei termini awareness, consciousness, overt knowledge. Ma sottigliezze a parte, sembra chiaro del perché Preston impalchi questa prima definizione intorno al concetto di gradualità, se si tiene in conto una delle conclusioni più importanti del saggio: «In short, the folk awareness of language is not only a matter of degree but also one of mode» (Niedzielski/Preston 2003, 24). Quindi: modo e gradualità, o modi graduali, e non fenditure discrete dei modus sociali dei parlanti. La tassonomia dei modi della consapevolezza linguistica dei parlanti non linguisti, è articolata in quattro tipi di consapevolezza dei quali però qui ci interessa considerare soprattutto «Dettaglio» e «Disponibilità»46. Un topic è disponibile alla consapevolezza del parlante quando questi lo discute dopo che il raccoglitore lo abbia esplicitamente sollecitato e descritto con precisione47. Il livello di dettaglio della discussione del topic si basa sulla coppia globale/specifico48. Difatti la raffigurazione dei tipi di consapevolezza è data su 4 linee continue con estremi a coppie polarizzate49 (in fig. 4.5, un esempio di posizionamento sui quattro continua dei modi della consapevolezza linguistica). La tassonomia di Preston si colloca nella generale tendenza in ambiente americano a considerare il dettaglio fonetico e fonologico difficilmente disponibile alla consapevolezza del parlante. Lo stesso Preston afferma: What is interesting about just these examples is that, although phonology is the area referred to in the account, specific item are usually not available for folk comment. (Preston 1996)

Ma sappiamo che l’orientamento viene da lontano, esattamente dalle inchieste di Labov sugli atteggiamenti di New York City (v. § 4.3.1) che lo avevano convinto del diffuso deficit di consapevolezza delle varianti fonologiche nei suoi informatori. Una conclusione riscontrata in studi successivi (Labov 1993) e in parte confortata 45 Ripreso in Niedzielski/Preston 2000, 2003. 46 Le altre due tipologie sono «Accuratezza» e «Controllo». La «Disponibilità» comprende anche «Non disponibile» e «Suggeribile». 47 «Available: Nonlinguists will discuss some matters carefully described by a fieldworker (e.g., some ‘deviant sentences’ of syntactic research), but they do not normally do so». 48 La percezione specifica è così descritta: «In some cases, linguistic characterization is detailed (e.g., accounts of speakers who are said to ‘drop their g’s’ in -ing forms)». 49 Preston sottolinea che tutte le combinazioni sono possibili: «the above modes of awareness are apparently relatively indipendent of one other; a ‘setting’ in one will not determine the setting in another […] a wide variety of combinations is possible».

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anche in inchieste di DP in contesto europeo, dove la questione è posta non soltanto per i fatti fonetici e fonologici: Specific experimental tasks show that actually much more extensive knowledge50 or awareness remains covert in linguistic ability. (Léonard 2002, 220)

Nella prospettiva di Preston, però, non avere disponibilità del dettaglio non equivale necessariamente a non essere consapevoli. È una considerazione che Preston trae dall’osservazione diretta di quegli informatori che descrivono male e in generale o imitano alla perfezione ma non dettagliano gli elementi linguistici: «When people characterize (however generally, however badly) linguistic facts, we cannot say they are unaware». (Preston 1996)

In questi casi la disponibilità alla consapevolezza non viene negata tout court ma definita come generale o globale. È il caso, ad esempio, dell’informatrice che è vanamente sollecitata dal raccoglitore a fornire esempi e a dettagliare l’accento polacco da lei notato e commentato: è un parlante che ha consapevolezza di un topic che caratterizza solo globalmente. E coerentemente Preston può asserire: «In some other cases [it] may be available to folk awareness, but […] only in general o ‘global’way» (ibidem).

Fig. 4. 5 I quattro continua dei modi della consapevolezza linguistica. Esempio di posizionamento di una variabile (Preston 1996)

La ‘consapevolezza globale’ di Preston, in qualche modo riferibile al sapere intuitivo sulla lingua che orienta l’informatore anche quando alla sua attenzione mancano pezzi specifici di mondo, ha delle affinità con la ‘consapevolezza sociale’ di 50 Con «extensive knowledge» si intende il complesso delle percezioni di tratti linguistici attese in un’area. I fattori che nel dialettologo determinano queste aspettative sono denominati da Léonard «Extended Dialect Awareness (EDA)». Vengono individuati due elementi che tendono ad ostacolare l’accesso alla EDA: «Observers’ Artifact» (il medium utilizzato per l’ascolto della varietà –per es. il registratore- e lo stile di vita dei parlanti che determina o non determina i contatti con le varietà vicine) e «First Hand Constraint» (la disponibilità all’ “ego” del parlante degli idioletti di “specifici” individui con i quali entra in contatto). « Observers’ Artifact» («ability naturally boundless») è riferita all’abilità a posizionare le varietà; «First Hand constraint» all’abilità ad imitarle. Per l’analisi dettagliata e la dicussione, v. Léonard 2002: 239-242.

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

Labov (1966) di cui abbiamo discusso. Entrambi negano che un qualcosa di commentato e descritto (non importa se bene o male) possa essere non disponibile alla consapevolezza del parlante: in una forma o in un'altra, lo sarà sempre. Negli studi di Labov però, come sappiamo, i parlanti sono in grado di valutare gli item linguistici dei quali non hanno consapevolezza perché (e solo perché) questi sono saliti in superficie sotto la forma di consapevolezza sociale, quindi non di percezioni di «sense of experience, but of socially accepted statements about language» (Labov 1966). Solo allora, ricordiamo, solo quando essi hanno perso la loro condizione di essere non-consapevoli e sono diventati consapevolezza sociale e «have entered the general folklore of language», possono costituire oggetto di quelle «strong opinions about language», che tanto spesso ha contribuito alla ricca stereotipizzazione della parlata di New York City. 4.3.5 Livelli di non consapevolezza dello stereotipo. Un caso dal corpus ALS Le interazioni metalinguistiche ALS e i dati quantitativi suggeriscono riflessioni sulla natura della consapevolezza globale e sociale e sul principio della necessaria disponibilità alla consapevolezza del parlante dei tratti oggetto di stereotipo. Una fetta di campione esprime una percezione di differenza linguistica del tipo ‘olistica’ o ‘gestaltica’51. Non è un’etichetta esclusivamente quantitativa ma si articola anche in contenuti qualitativi emersi dall’ascolto del materiale d’inchiesta. In effetti, abbiamo esplicitato l’etichetta ‘percezione olistica’ in sotto-dimensioni che raggruppano tratti linguistici della differenza valutati come non distinti cognitivamente, tutti parte di un continuum per addensamenti della qualità delle percezioni e rappresentazioni ALS dal punto di vista cognitivo. Le sotto-dimensioni della percezione olistico-gestaltica individuate sono le seguenti: accento, cantilena, cadenza, tono o intonazione, generalità di differenza, strascico52. Definiamo questo tipo di percezione metalinguistica ‘parafrasi dei tratti’. Lo strascico è un caso un po’ particolare. Nel campione ALS è attestato 32 volte. Nella prospettiva macro dell’intero campione le 32 occorrenze probabilmente potrebbero rappresentare una percentuale poco significativa. Invece da un punto di vista più meramente quanti-qualitativo il fenomeno è di sicuro interesse ed è risultato molto utile considerarlo per la chiarificazione dei livelli di consapevolezza in rapporto ai fenomeni linguistici individuati dagli infornatori. Infatti è emerso che il più delle volte il parlante con l’espressione “strascico” (strascino, dialetto a strascico, parlano strascinati, trascinano, straschichìo) segnala fenomeni prosodici e fono-prosodici dei quali non ha piena consapevolezza. 51 Ne approfittiamo per segnalare che questo tipo di percezione può per molti aspetti essere ricondotta alle produzioni verbali con influenze implicite, previste dal modello di Krosnick/Judd/Wittenbrik 2005 (v. § 4.2). 52 Il corrispondente inglese di ‘strascico è creacky, attestato da Kristiansen/Pharao 2008 come un probabile tratto molto saliente della varietà parlata a Næstved, una cittadina del versante meridionale danese, posta a poco più di 80 chilometri da Copenhagen. Nell’etichetta ALS ‘strascico’ è stata anche compresa la ‘pronuncia (s)trascinata’.

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A tal proposito l’analisi dei dati sugli informatori di Monreale è un’interessante caso di studio. 10 informatori di questo comune indicano Palermo quale centro della differenza e quasi tutti indicano il dittongamento non condizionato di /e/, /o/ toniche e l’allungamento vocalico, tratti effettivamente diffusi nel repertorio del capoluogo di regione. La prima colonna della Tab. 4.3 elenca questi informatori. La seconda colonna contiene gli elementi linguistici indicati da ciascuno di essi. Nella terza colonna il simbolo “+” segnala i 6 informatori che hanno rilevato lo strascico (trascinato, più trascinato, strascichìo …). Il dittongamento non condizionato di /e/, /o/ toniche e l’allungamento vocalico53 a Palermo sono tratti di alta salienza, dotati di grande notorietà tra i parlanti di Monreale (come anche attestato dalla tabella), fino a giungere al livello di sapere comunitario non globale ma distintivo e concorrere alla forte stigmatizzazione del dialetto del capoluogo54 (v. § 2.3.3). Ovviamente i parlanti non hanno disponibilità delle etichette dei linguisti e si lanciano in imitazioni, peraltro spesso condite di ironia e sarcasmo. Tornando ai dati della tabella, emerge lo stretto collegamento di dittongazione e allungamento vocalico con strascico. Infatti dall’ascolto delle interazioni emerge che 5 informatori che lo indicano per segnalare la differenza con Palermo, allo stesso tempo utilizzano imitazioni del dittongo non condizionato e dell’allungamento vocalico per esemplificarlo. In questi parlanti la consapevolezza del dettaglio linguistico è piena e palese. Al contrario, l’informatrice GF4, nell’individuare lo strascico come elemento centrale della differenza con Palermo, non fornisce alcun dettaglio linguistico distintivo, malgrado gli input dell’informatore. In questa informatrice la parlata di Palermo è ‘raffigurata’ come una super-immagine olistica dalla quale prende le distanza, peraltro rivendicando che il dialetto di Monreale non ha inflessione dialettale, la pronuncia è più «pulita», il suono è meno «sboccato», rispetto a quello di Palermo che, per l’appunto, ha il «trascinato». Se consideriamo anche i parlanti che non hanno indicato lo strascico, si nota che FF4 individua la generica differenza di “intonazione della frase”, una percezione/rappresentazione di tipo olistico. Nella tipologia di Preston questo gruppo di 2 informatori, GF4 e FF4, va ricondotto alla consapevolezza globale: «For example, the phonological detail of an accent might be unavailable; that does not limit comment on the accent» (Preston 1996). Sempre secondo il modello di Preston, inoltre, tali informatori non hanno la disponibilità del dettaglio fonologico del dittongamento non condizionato e hanno 53 A Monreale il dittongo non condizionato è presente solo in maniera molto sporadica, l’allungamento vocalico è del tutto assente. 54 In questo ambito, un’interessante linea di ricerca sviluppatasi in Francia studia il rapporto tra identità e caratteristiche articolatorie della lingua d’uso. In Meyer 2011 le componenti articolatorie sono osservate nella loro funzione di marche identitarie. È il resoconto di un’indagine condotta a Rennes, città francese capoluogo della Bretagna, tra le lavoratrici nel settore dell’abbigliamento attraverso un questionario valutativo e il matched-guise. Intendimento della ricerca è verificare l’ipotesi che esista una discriminazione fondata non sulla competenza professionale delle addette al settore ma sul loro accento. Sempre in questo ambito, Petitjen 2008 analizza le correlazioni tra rappresentazioni linguistiche e accenti regionali francesi. Un’interessante discussione sul concetto di accento tra senso comune e sociolinguistica è Gasquet-Cyrus 2010.

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

la consapevolezza globale della parlata di Palermo espressa (anche) dall’affermazione: «parlano con lo strascico» o anche: «hanno l’intonazione». INFORMATORE ELEMENTI DI LINGUA STRASCICO dittongo GF1 + FF1 dittongo + NF2 allungamento vocalico + GF2 allungamento vocalico + FF2 dittongo/allungamento vocalico NF4 dittongo GF4 + FF4 intonazione delle frasi GF5 dittongo/allungamento vocalico Adol1 allungamento vocalico + Tab. 4.3 Percezioni degli informatori di Monreale su Palermo: strascico e dittongo non condizionato

Applicando invece il modello di Labov, diciamo che è la consapevolezza sociale che i parlanti di Monreale hanno della realtà palermitana a far affiorare alla superficie la percezione «as part of an over-all» del dettaglio fonologico che rimane comunque non disponibile ai parlanti (Labov 1966, 405-406). Tornando al nostro esempio, quindi, sulla base del modello di Preston il livello in cui si colloca l’oggetto dei commenti e degli stereotipi dei parlanti di Monreale è quello globale. Secondo Labov l’oggetto è l’insieme delle affermazioni socialmente accettate sul ‘linguaggio’ di Palermo. In entrambi i casi il dettaglio fonologico che rimane fuori dalla consapevolezza del parlante non costituirebbe l’oggetto del commento o dello stereotipo. In termini di psicologia sociale: non è oggetto di atteggiamento. I dati ALS consigliano invece di considerarlo oggetto di atteggiamento e di stereotipo, ancorché non consapevole. Tale principio è motivato dal procedimento di ricostruzione induttivo che il ricercatore ALS ha ritenuto efficace per quelle risposte che rilavano bassa o assente consapevolezza. Tale procedura si fonda sull’interrogativo: quali specifici elementi linguistici costituiscono input del giudizio metalinguistico, senza che il parlante ne sia consapevole? Nel caso sotto esame è evidente che, per gli informatori GF4 e FF4, si tratta del dittongo non condizionato e dell’allungamento vocalico. La fattispecie peraltro non è limitata a Monreale e Palermo. Infatti le interazioni ALS e i parlati a codice bloccato ci fanno constatare con facilità come, dicendo ad esempio che in un tal paese/città si parla con «accento volgare», l’informatore in realtà si stia riferendo a specifici tratti fonetici (presenza o meno del dittongo, sonorizzazioni, assordamenti, metafonesi, etc.), ma anche prosodici, dei quali non ha consapevolezza.

4. Consapevolezza e non consapevolezza nelle interazioni metalinguistiche

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Secondo i dati ALS, ciò accade senza che necessariamente questi tratti sottostanti siano in qualche modo emersi in forme sintetiche di giudizi comunitari collettivizzati (Labov) né che della varietà bersaglio si abbia una percezione o finanche una rappresentazione globale (Preston). Il caso degli informatori di Monreale è lampante. Gli output di due informatori non giungono al livello del dettaglio non certo perché essi non abbiano o possano avere la disponibilità del termine, ma perché non hanno piena consapevolezza dell’oggetto dei loro commenti. In casi come questi si verificano le condizioni per le quali un tratto linguistico è oggetto di stereotipo senza che esso sia nella piena disponibilità della consapevolezza del parlante. 4.3.6 L’ambiente cognitivo nelle relazioni di consapevolezza/non consapevolezza dello stereotipo linguistico Anche i modelli cognitivi possono dirci alcune cose sull’argomento e motivare la non necessaria estromissione di pezzi di mondo processati con associazioni automatiche e non consapevoli dalle attività di costituzione e di utilizzo degli stereotipi; anche se la loro considerazione muta il focus del tema. A differenza degli strumenti messi in campo dalla dialettologia della percezione, infatti, essi non problematizzano l’oggetto esterno, bensì gli ambienti cognitivi che partecipano e/o sovrintendono ai processi di valutazione. Ma dato che la mente e la cultura devono stare in tutti e due i posti (‘dentro’ la persona e ‘fuori’ nella situazione) o in nessuno dei due (Shweder 1995), e che «ciò che per convinzione chiamiamo strumenti e ciò che per convenzione chiamiamo segni sono due aspetti diversi dello stesso fenomeno [che] partecipano ad un’unica danza» (Cole 1995), dovremmo convincerci del far danzare insieme tratti linguistici e metacognizione55. Delle procedure di formazione degli atteggiamenti abbiamo illustrato un modello nella proposta di Krosnick/Judd/Wittenbrik 2005, 21-76 (§ 4.2). Se la fase della deliberazione non pone alcun problema ad essere associata al concetto classico di stereotipo (un tratto linguistico e/o una comunità di pratiche e di lingue, è oggetto di stereotipo solo se disponibile alla conscia consapevolezza dei suoi membri), la fase dell’attivazione automatica, in quanto ambiente cognitivo delle associazioni automatiche e non controllate, potrebbe in apparenza suscitare ispide difficoltà. Ma noi non ne siamo convinti. Non escludiamo infatti questa fase dall’insieme degli ambienti cognitivi potenzialmente capaci di sollecitare formazione ed uso degli stereotipi per tutta la serie di elementi che Krosnick, Judd e Wittenbrik ritengono costitutivi dell’attivazione automatica (dentro) e che, secondo la nostra prospettiva, definiscono anche il concetto di stereotipo (fuori)56. Far dialogare allora teorie 55 Allo stesso modo, ha poco senso erigere separazioni fra il contenuto consolidato di giudizi che può influenzare o guidare l’attivazione degli stereotipi (dentro) e le attività di individuazione dell’oggetto linguistico (fuori). 56 È appena il caso di ricordare che le associazioni automatiche investono contenuti già presenti in memoria e il loro recupero dipende dalla potenza dell’associazione e dalla natura dell’oggetto di atteggiamento ovvero se esso è ‘pronto per l’uso’. Allo stesso modo, lo stereotipo si

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4.3 Consapevolezza/non consapevolezza negli studi metalinguistici

della/sulla lingua e teorie della/sulla cognizione e metacognizione, può certo proporre punti di vista e livelli diversificati di ragionamento su nodi concettuali propri alla DP e agli studi sulle ideologie linguistiche, come abbiamo tentato di dimostrare con lo stereotipo. Ma più decisamente, questa sovrapposizione di ambiti potrebbe contribuire a definire la natura di quel confine, incerto e fuzzy, fra il dentro e il fuori nelle ordinarie e quotidiane interazioni socio-linguistiche, già sottoposto in questi anni a ragionamenti davvero rigorosi sulle opinioni dei parlanti rispetto alle separazioni etiche ed emiche (cfr. Telmon 1983, Iannàccaro/Dell’Aquila 2001, Iannàccaro 2002, D’Agostino 2002c, 2006, Auer 2005, Regis 2010). Può cioè contribuire a farci vedere da vicino come sia una la danza che si balla sotto il sole che batte per ciascuno. Ne faremo tesoro nel prossimo capitolo, pensato per precisare e definire più ampiamente il concetto di stereotipo nelle rappresentazioni metalinguistiche.

basa su associazioni molto potenti (istituite dal parlante fra comunità, fatti di lingua, fatti sociali) che danno luogo a strong attitudes e ad oggetti di atteggiamento ‘pronti per l’uso’. Questi sono entrati nel patrimonio collettivo in forza della salienza sociale e linguistica del gruppo, costruita negli ‘incontri’ durante i quali i parlanti hanno maturato il sentimento di alterità che è pronto per essere attivato automaticamente in quanto disponibile alla memoria.

5. SALIENZE, STEREOTIPI: LE RAPPRESENTAZIONI DEGLI SPAZI FISICI, SOCIALI E DI LINGUA 5.1. CONTATTO E FATTORI DI SALIENZA LINGUISTICI E NON LINGUISTICI Nel definire il principio della non necessaria disponibilità alla consapevolezza del parlante dei tratti linguistici oggetto di stereotipo (§ 4.3.5) abbiamo anche stabilito un rapporto diretto tra stereotipo e salienza. Tutti i tratti oggetto di stereotipo, abbiamo sostenuto, sono salienti, anche se non tutti i tratti salienti diventano necessariamente stereotipo. Queste nostre riflessioni hanno preso le mosse da Schirmunski (1928, 1930) e dalla linguistica del contatto1 che di salienza si occupa fin dalle origini2. Infatti la linguistica del contatto è in prima istanza interessata ad interpretare e descrivere il cambio e i fenomeni di livellamento o divergenza; ma dato che, essa sostiene, i tratti cambiati (e acquisiti) sono necessariamente salienti, i principi del cambio sono espressi dai fattori di salienza. Da qui, le numerose ipotesi di modelli

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Oltre a Schirmunski, ci riferiamo in particolar modo a Trudgill 1986, Auer/Kerswill/Hinskens 2005. Una interessante linea di ricerca sulla salienza si è sviluppata di recente all’interno della glottodidattica delle lingue seconde con il fine principale di osservare le caratteristiche dell’input linguistico e di individuarne le proprietà che lo hanno reso o lo potranno rendere pronto per l’acquisizione. Proponiamo una qualche indicazione bibliografica che, in considerazione della sede, non può che essere oltremodo ridotta e a titolo esemplificativo. Una prospettiva pone al centro dell’analisi da un lato le caratteristiche dell’input a cui un apprendente di italiano L2 è esposto (frequenza, trasparenza e salienza), dall’altro il concetto di noticing, «attenzione (indotta) verso uno stimolo linguistico» (Valentini 2016, 10). In contesto anglosassone si è data molta attenzione all’ordine di acquisizione del morfema grammaticale. Per esempio, in uno studio sono analizzati i dati raccolti in 25 anni da diversi ricercatori, con un corpus di produzioni orali di 924 apprendenti di inglese lingua seconda (Goldschneider/DeKeyser 2005). È risultato il ruolo molto incisivo di cinque “determinanti” (salienza percettiva, complessità semantica, regolarità morfologica, frequenza e categoria sintattica) tutti legati a doppio filo ai concetti di salienza. A tal proposito, lo studio delle “prominenze” in linguistica è un campo di esercizio molto proficuo per la glottodidattica delle lingue seconde. Si segnala il numero speciale di “Lingue e Linguaggio” a cura di De Dominicis (2015) dedicato al concetto di prominenza con particolare riguardo a fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, pragmatica, tecnologie vocali. Per quanto riguarda invece gli interessi determinatisi all’interno degli studi sulla salienza linguistica, è senz’altro da ricordare Kerswill/Williams 2002 dove viene sottolineato molto opportunamente che alla salienza dei tratti frequenti nella varietà d’apprendimento concorre la loro assenza o bassa frequenza nella varietà dell’apprendente.

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5.1. Contatto e fattori di salienza linguistici e non linguistici

di salienza all’interno della disciplina. Tutte, a partire dalle meno recenti, interessate a descrivere non solo i fattori strettamente linguistici di salienza, ma anche quelli non linguistici, o oggettivi. Questa bipartizione è già presente nei sei principi di salienza di Schirmunski (1928, 1930): Fattori linguistici a) grado di distanza articolatoria b) opposizione fonetica c) lessicalizzazione Fattori non linguistici d) consapevolezza e) assenza di un sistema ortografico normalmente utilizzato f) incomprensione Anche proposte molto più recenti conservano la bipartizione in elementi linguistici ed extralinguistici. Come nel modello di Trudgill 1986, tra i più conosciuti e utilizzati, nel quale accanto ai fattori interni (sostanzialmente gli stessi di quelli di Schirmunski3), permane la considerazione delle componenti esterne per la definizione dei profili di salienza o, come egli precisa, di un tratto marcatore: g) presenza di una variante apertamente stigmatizzata h) presenza di una variante di alto prestigio4. Per finire, Kerswill/Williams 2002 propongono una sintesi dei modelli di salienza elaborati a partire dalla metà degli anni ottanta, allo stesso modo basati sulla distinzione tra fattori interni (distanza tipologica tra le varietà in contatto, trasparenza dell’equivalenza tra i costrutti coinvolti, marcatezza vs. naturalezza) e fattori extralinguistici: relazioni sociali tra le comunità linguistiche coinvolte, età dei parlanti, ampiezza temporale e intensità del contatto. Oltre alla coesistenza tra motivazioni linguistiche e non linguistiche, questi modelli, compreso quello di Schirmunski, condividono la natura attitudinale e valutativa dei fattori del cambio. Inoltre, proprio perché osservata in situazione di contatto linguistico, la salienza è sempre l’esito del rapporto oppositivo tra varietà alta o di prestigio vs. varietà bassa stigmatizzata, all’interno di un repertorio con relazioni asimmetriche. 3 4

Trudgill non include la lessicalizzazione. Kerswill/Williams (2002,73) sottolineano i rischi di circolarità del paradigma di Trudgill, dato che «we are attempting to explain both awareness of features (salience) and their “polarity” (i.e. whether negative or positive association are involved) it is not enough to say that speakers are aware of features because they have stigma or prestige (negative or positive polarity)». Questa dinamica polare è fondata sulla qualità consapevole della salienza in quanto espressione di tratti stigmatizzati o apprezzati e quindi presenti alla consapevolezza del parlante, e dunque suscettibili di diventare oggetto di stereotipo, ovvero di stigma o prestigio condiviso. È questo il motivo che porta Trudgill a sostenere che tali tratti sono markers alla maniera di Labov.

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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5.1.1 Contatto e salienza nel repertorio siciliano Nel contatto linguistico, quindi, la salienza regola il principio generale del cambio. La dialettologia percettiva è interessata all’aspetto esplicativo della salienza e a costruire un apparato linguistico e socio-cognitivo capace di chiarificare quali siano le componenti che fanno sì che un tratto si dimostri saliente, ad un dato punto del discorso interazionale e per un certo numero di parlanti ben individuati. Schematizzando, i due diversi percorsi possono essere sintetizzati in questo modo: la linguistica del contatto muove dai tratti ‘cambiati’ e li interpreta attraverso la salienza; la dialettologia percettiva constata nell’inchiesta la salienza dei tratti e ne cerca le ragioni. Per la linguistica del contatto i tratti sottoposti al cambio sono già salienti, la dialettologia percettiva osserva le prominenze d’area all’interno del campione e stabilisce se esse siano motivate da salienze, intrinseche al tratto e/o esterne alla lingua. In questo capitolo, in sede di analisi di alcuni dati, verificheremo la produttività dei fattori strettamente linguistici dell’opposizione fonetica e della distanza articolatoria, sostanzialmente contemplati in tutti i modelli del cambio. Ma più in generale, una prima analisi va dedicata all’organizzazione delle varietà in contatto nel repertorio. In contesto italoromanzo, e in Sicilia in particolare, la dialettologia percettiva della salienza è impegnata con il contatto tra il dialetto locale e gli italiani regionali. Si è in presenza quindi di un contatto di tipo dialettale. L’esigenza di considerare il contatto dialettale5 l’ambiente naturale del concetto di salienza, è un’altra costante degli studi sul cambio (ve n’è già traccia perfino nelle prime indagini di Schirmunski sul livellamento in atto in un’enclave germanofona in Russia). Questo spiega perché molti dei principi utilizzati già a partire dagli anni trenta dalla linguistica del contatto possono essere con buone ragioni applicati alla realtà siciliana. Trudgill 1986 e Kerswill 1994 affrontano l’argomento dal punto di vista della distanza strutturale e della mutua comprensibilità, che fa da specchio all’incomprensione (v. sopra § 5.1 punto f dell’elenco) fra le varietà in contatto che debbono essere minime affinché una teoria del cambio possa anche essere teoria della salienza. Per quel che ci riguarda, è opportuno riferire la misurazione della distanza più che ai livelli formali dei costrutti linguistici (punti a) e b)) alla pratica ordinaria di interazione bilingue (o se si vuole dilalica) che ha determinato consuetudine, e quindi vicinanza rappresentazionale e d’uso, tra varietà locali siciliane e italiano regionale di Sicilia6. Quanto alla mutua comprensibilità tra i parlanti impegnati nell’ordinario contatto orizzontale (tra varietà locali) e verticale (varietà locale e italiano regionale), il paradigma più utile sembra l’attestata competenza passiva del dialetto, da parte 5

6

Ci riferiamo qui alle osservazioni di Trudgill 1986 sulla necessità di distinguere il contatto dialettale da quello linguistico. Il contatto dialettale coinvolge parlanti che non stanno acquisendo od apprendendo una lingua straniera ed è, quindi, la situazione di normalità nel repertorio italiano di contatto tra le varietà locali e le varietà regionali e/o neostandard. Per l’italiano regionale di Sicilia, cfr. Amenta/Castiglione 2003; Germanotta 2006.

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5.1. Contatto e fattori di salienza linguistici e non linguistici

dei parlanti prevalentemente italofoni, e dell’italiano, per i parlanti prevalentemente dialettofoni. Il contatto dialettale applicato alla situazione linguistica e metalinguistica siciliana offre spunti di riflessione anche nel settore dell’opposizione stigma vs. prestigio. Discutendo e, in alcuni punti, contestando i principi di salienza di Trudgill, Hinskens 1996 sostiene che molti fattori che portano i parlanti a notare e adottare un tratto, sono gli stessi che fanno sì che quel tratto sia evitato. L’obiezione di Hinskens muove dal concetto di extra-strong-salience che Trudgill annovera tra le tre eccezioni ai suoi cinque principi. Riepiloghiamo brevemente le posizioni di Trudgill; sono cinque i fattori che fanno sì che un tratto sia un marcatore e quindi saliente: stigma, prestigio, coinvolgimento nel cambio, opposizione fonetica, contrasto fonologico (1986, 11), e tre le condizioni che possono determinare eccezione ai cinque fattori di salienza: il tratto è difficile da acquisire; c’è un conflitto omonimico tra il tratto nelle due varietà in contatto; il parlante riconosce al tratto della varietà altra una extra-strong salience e il tratto quindi è overly strong marker. Dicendo che alcuni tratti hanno extra-strong salience7 Trudgill vuole sostenere che essi sono salienti in una misura superiore alla accettabilità psico-cognitiva e sociale, in quanto possiedono contenuto attitudinale stigmatizzato e sono presenti alla consapevolezza in modi eccezionali per intensità e quantità. L’obiezione di Hinskens sui tratti extra-strong salience sollecita una riflessione sul modo in cui gli studiosi creano categorie di analisi basate apparentemente su criteri misurabili. Presa alla lettera, essa potrebbe costituire confutazione, non già alla sola proposta di Trudgill, ma ad ogni principio generale di salienza in quanto si traduce, all’interno delle ordinarie interazioni linguistiche, nella possibilità che le condizioni di salienza di un tratto agiscano anche in direzione della sua non salienza8. L’utilizzo del concetto di tratti marcatori molto forti per spiegare le eccezioni ai fattori di salienza, inoltre, comporta difficoltà di ordine metodologico. Come facciamo a stabilire la soglia oltre la quale la forza psico-cognitiva di tali tratti comporti che la salienza diventi contestazione comunitaria? E oltre la quale la salienza non è più saliente? Tuttavia le eccezioni proposte da Trudgill possono essere utilizzate con profitto se la forza emotivo-cognitiva della strong-salience è collegata anche al prestigio, oltre che allo stigma, e dunque, a rigore, non si dovrebbe più parlare di eccezioni.9 7 8 9

Quali esempi di tratti con caratteristiche della extra-strong salience del corpus ALS, possono essere indicati il dittongo non condizionato di /e/ /o/ aperte toniche (tratto sul quale ci siamo soffermati, v. § 4.3.5) e la palatizzazione di /r/ preconsontica, entrambi presenti a Palermo. Ad esempio, Soriani 2006 attesta la tendenza degli informatori più giovani di Palermo ad evitare il dittongo non condizionato di /e/ /o/ toniche e la resa [j] di /r/ preconsonantica. Vanno in questa direzione quelle indagini di Language Regard che, mediante l’approccio discorsivo, documentano le strategie non consapevoli di evitamento oppure di accettazione consapevole e/o non consapevole di tratti associati da un parlante alla comunità di appartenenza se, rispettivamente, da questa vuole emanciparsi o al contrario se sente questa vicina. E anche

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In ambito ALS, l’azione di una forza individuale e di comunità, di natura linguistica, sociale, e cognitiva, superiore in ogni modo alle altre di direzione diversa, è stata individuata nel ‘super-stereotipo italiano vs. dialetto’ (§ 6.2.2). Inoltre, nulla può escludere che certi tratti, siano essi veicoli di conflitto o invece di condivisione, suscettibili di essere stereotipizzati o già stereotipi, risultino nelle rappresentazioni dei parlanti associati ad una salienza ‘relativa’ superiore a tutte le altre in un modo straordinariamente denso e significativo, tali da essere rappresentati nelle forme di una super-immagine collettiva (intra-areale oppure territoriale-regionale nel caso siano essi oggetti di ‘sapere ideologico’. È, tale prominenza, ‘relativa’, e quindi in contesto, e dunque verificabile in situazione, ovvero con il concorso di ogni elemento di salienza e di atteggiamento. Più o meno, tali tratti possono essere definiti “bandiera”, giusto come la dialettologia percettiva li intende. Uniscono nel rappresentare l’altro, uniscono nel sentirsi rappresentati, attestano e costruiscono conflitto inter-comunitario e intra-comunitario. Anche le altre due condizioni che nel modello di Trudgill motivano le eccezioni ai cinque principi di salienza (tratto difficile da acquisire; conflitto omonimico tra il tratto nelle due varietà in contatto) ci sono utili per alcune osservazioni non secondarie. Quanto alla difficoltà dell’item linguistico, in area siciliana sembra questa spingere piuttosto verso la salienza del tratto, visto che un tratto difficile è certamente un tratto che si pone, quanto meno, in opposizione fonetica-articolatoria con il patrimonio fonetico/fonologico del parlante. Il conflitto omonimico è una condizione di elicitazione delle domande metalinguistiche dell’ALS, più esattamente è condizione di elicitazione della domanda. Sul versante dell’informatore è espresso dall’‘incomprensione. Esso inoltre attesta l’importanza della referenza e del significato, rispetto alla forma. Le eccezioni del tratto difficile e del conflitto omonimico segnalano discontinuità tra teoria della salienza del tratto adottato e teoria della salienza del tratto notato. Il loro utilizzo per spiegare i comportamenti non attesi dei parlanti sovverte il principio dei tratti salienti in situazione di contatto, dato che i tratti sono notati ma non entrano nella dinamica del cambio. Non sempre, quindi, strumenti di analisi propri alla linguistica del contatto si rilevano produttivi per la dialettologia percettiva della salienza. Tuttavia, dalle teorie del contatto linguistico possono venire utili suggestioni, se non indicazioni, in merito alle pre-condizioni di salienza, la cui efficacia va poi misurata con i fattori intra ed extra linguistici.

le tecniche di imitazione, specie quelle che utilizzano testi in Allegro Speech o Eye-Dialect (Preston 1985, 328-336), le quali, allo steso modo, registrano atteggiamenti e/o comportamenti di conflitto o di condivisione. In entrambi i casi, l’informatore che, rispettivamente, non utilizza o non imita tratti dalla forte valenza identitaria, potrebbe segnalare una sorta di divergenza o di advergenza cognitiva; comportamenti di segno opposto potrebbero essere spie di livellamento cognitivo al sentimento e alla coscienza comunitaria.

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5.1. Contatto e fattori di salienza linguistici e non linguistici

5.1.2 Un modello di salienza ALS a partire dalla linguistica del contatto La precisa considerazione delle dinamiche ideologiche ed identitarie intorno all’opposizione ‘stigma vs. prestigio’ rendono le relazioni tra gli elementi di salienza un po’ più complesse rispetto alla definizione bipartitica proposta nei modelli che abbiamo visto, e che pure la contemplano. Una revisione è in Kerswill/Williams 2002. Dopo aver definito acquisizione e cambio “fenomeni linguistici dinamici” propri della salienza (ivi, 81), propongono un modello esplicativo che tiene conto della interconnessione fra tre componenti o condizioni di salienza (ivi, 104-105): 1) La presenza di un fenomeno linguistico la cui spiegazione, si sospetta, sia dovuta alla salienza del tratto o dei tratti coinvolti. Il fenomeno, di solito, sarà osservato nelle seguenti situazioni: cambio, variazione, comportamento del singolo parlante, acquisizione. Nei primi due casi il tratto sarà trasferito da una varietà ad un’altra attraverso la diffusione. 2) Fattori linguistici interni: contrasto fonologico, distanza fonetica, trasparenza semantica, naturalezza interna, particolare ambiente sintattico o prosodico. 3) Fattori extra-linguistici: cognitivi, pragmatici, interazionali, psicologico-sociali, demografici. Nel modello hanno una posizione di rilievo le componenti pragmatiche, cognitive interazionali, demografiche, fattori non di lingua ma strettamente e funzionalmente correlati ad essa. Infatti, la presenza di almeno un fenomeno del punto 2) è precondizione di salienza. Ma causa di salienza sono solo le condizioni del punto 3): Component 3 is essential if we are to avoid circularity, and is ultimately the cause of salience. […] it is the extra-linguistic factors of component 3 that in the end directly motivate speakers to behave in a certain way, and are therefore central to the salience notion. (ivi, 105-106)

La proposta di Kerswill e Williams, in apparenza arbitrariamente sbilanciata sulle dimensioni cognitive, nella pratica prevede una procedura d’analisi ben strutturata e calibrata di tutti gli aspetti di salienza, compreso quello linguistico. Il modello è fondato sulla premessa, di notevole importanza, che la superiore influenza dei fattori sociolinguistici rispetto a quelli linguistici è da considerare normale (e per nulla eccezionale) modalità di salienza (e di cambio): We shall argue […] that sociolinguistic factors, including those arising from contact situation, can outweigh structural linguistic factors in influencing the adoption of a particular features. (ivi, 85)

Inoltre, la proposta di Kerswill e Williams fa appello alla necessità inderogabile di individuare puntualmente, con precisione, caso per caso, il “posizionamento sociale” dei tratti e le valutazioni ad esso associate (ivi, 73), tanto più che il posizionamento e il grado di condivisione all’interno della comunità sono soggetti a mutamenti non prevedibili anche nel breve periodo.

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Allo stesso modo della quasi totalità dei modelli di salienza, Kerswill e Williams riconoscono la centralità della differenza fonetica e del contrasto di superficie, ma solo se relazionati agli elementi extra-linguistici. Difatti, precisano, sarebbe molto avventato sostenere con certezza che la distanza fonetica e l’opposizione fonologica siano causa e non risultato di una salienza che potremmo definire ‘potenziale’. Questo contribuisce ad interpretare due cose: a) perché non sempre tratti linguistici con le caratteristiche strutturali espresse dai fattori della distanza fonetica e dell’opposizione fonologica, siano salienti; b) perché due tratti con pari salienza linguistica (o addirittura una coppia di tratti di cui uno presenti una superiore salienza potenziale) non siano notati allo stesso modo, o perché siano percepiti e rappresentati molto in un punto linguistico e nulla o quasi per niente nel centro vicino o anche confinante10. Per il corpus ALS, contrasto fonologico, distanza fonetica, naturalezza interna, interpretano la pre-salienza linguistica (o salienza potenziale) dei fenomeni fonetici; trasparenza semantica (e ‘ricorrenza’), la salienza degli item lessicali all’interno del paradigma cognitivo- pragmatico ‘italiano vs. dialetto’. I fenomeni del punto 2) del modello Kerswill e Williams ci spiegano perché un tratto è saliente, ma non i motivi per cui, a parità di condizioni linguistico-strutturali, non lo è. Ci spiegano la salienza linguistica del tratto, e non quella socio-pragmatica. L’analisi del fenomeno sotto esame dal punto di vista del suo posizionamento rispetto agli elementi del punto 3) è condizione non rinunciabile per la definizione dei profili di salienza. Gli elementi del punto 3) sono definiti in ambiente ALS dal concetto di ‘spazio vissuto’ e dalle sue declinazioni di ‘spazio avvicinato’ e ‘saperi ideologici’. 5.1.3 La salienza ‘relazionale’ Definendo l’atteggiamento dotato di proprietà relazionale interna ed esterna (v. §§ 3.1, 3.1.1) di fatto attribuiamo la stessa proprietà alla salienza. Il più importante dei motivi è che i due concetti sono stati e flussi di un unico processo valutativo: l’atteggiamento è predisposizione a valutare un oggetto della realtà esterna e la salienza è la capacità di quell’oggetto di farsi notare e valutare in modi diversi. Ciò avviene sia nel caso in cui l’atteggiamento venga rappresentato nella memoria permanente e quindi si attiva un richiamo di memoria se un oggetto per qualsivoglia motivo diventa saliente; sia quando il processo valutativo si sostanzia in temporanei stati di consapevolezza, e il giudizio, in un particolare punto delle interazioni sociali, è innescato da informazioni esternamente salienti (v. § 3.1). Quanto alla salienza, conosciamo il profilo dei fattori interrelati che concorrono a determinarla, distinti nel modello di Kerswill e Williams, in linguistici interni ed extra-linguistici. 10 Notano Thomason/Kaufman (1988, 59), poiché anche il cambio più naturale spesso non si verifica, è sempre opportuno chiedersi perché un particolare cambio non è accaduto.

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5.1. Contatto e fattori di salienza linguistici e non linguistici

Possiamo immaginare la situazione tipo di un ricercatore che deve verificare l’associazione tra tali dimensioni fattoriali e le salienze emerse all’interno della base di dati. È ragionevole che in prima istanza l’analista verifichi le qualità strutturali che potrebbero spiegarne la salienza intrinseca. Occorrerà poi che la dimensione linguistica diventi parte interrelata di un sistema di livelli sovrapposti via via più ampi, capace di contenere dinamiche e intensità del contatto linguistico e frequenze e stili di vita reticolari. Occorre cioè che la salienza, anche la salienza, sia definita come proprietà relazionale interna ed esterna. Ora, se atteggiamento e salienza sono singolarmente motivati da relazioni tra fattori che concorrono a determinarli e da relazioni co-costruite con la realtà esterna, e se entrambi sono strettamente legati ed interdipendenti nel processo valutativo, questo significa che ciascuna delle componenti di entrambi i concetti può relazionarsi con tutte le altre ed influenzare ed esserne influenzata simultaneamente. Più o meno lo schema dovrebbe restituire questa rete relazionale:

Fig. 5.1 Modello relazione di atteggiamento e salienza

Lo schema si presta bene ad essere matrice di un modello connessionista (v. §§ 2.1.2, 2.1.4); dà conto della natura valutativa della salienza, la motiva come processo valutativo e, infine, come atteggiamento. Infatti, nello schema, l’elemento comportamentale è presente sia in forma esplicita, nell’area sinistra, ma anche nella forma implicita nei tre fattori che articolano la dimensione della salienza. Il comportamento del parlante, d’altro canto, è costituito da “ciò che è detto” ma investe anche i livelli socio-demografici e pragmatici. Il parlante impegnato in una interazione sta realizzando un comportamento ma ne sta anche narrando altri, sta rappresentando e percependo atteggiamenti e salienze, sia linguistiche che sociali. L’analista dei dati chiamato ad interpretare le salienze linguistiche espresse dai parlanti, in realtà sta misurandosi anche con le salienze sociolinguistiche e sociali, le quali non sono supportate da dati astratti ma costituiscono in definitiva il contesto culturale e cognitivo dell’area sotto osservazione. Sta anche misurandosi e sta rilevando le salienze sociali.

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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5.2 DALL’ATTEGGIAMENTO ALLO STEREOTIPO PASSANDO PER LA SALIENZA Si è più volte sottolineata la necessità di una lettura simmetrica dei concetti di atteggiamento e salienza (predisposizione del parlante a valutare e predisposizione dell’oggetto linguistico ad essere valutato). Abbiamo già sostenuto che tale relazione è uno dei nodi della dialettologia percettiva e adesso aggiungiamo che lo è anche in ragione del fatto che l’atteggiamento è il punto d’inizio per la definizione dello stereotipo. Posto un nucleo valutativo su un oggetto linguistico e/o sociale, diciamo che esso può divenire stereotipo se è coinvolto in processi di estensione e semplificazione, condivisi a livello comunitario. In questo caso il nucleo valutativo ha assunto le caratteristiche di un super-atteggiamento, ed è quindi uno stereotipo. La procedura di estensione si svolge su due livelli: all’interno della comunità che stereotipizza, attraverso la condivisione; verso la comunità stereotipizzata. Ruffino 2006 richiamando Allport 1937 descrive così questo secondo livello: Lo stereotipo può essere considerato […] un modo di classificazione rigido e persistente, perché si basa su una estensione, a tutti i membri di un determinato gruppo sociale, di caratteristiche –fisiche, morali, sociali, culturali o politiche- che vengono ritenute tipiche, caratterizzanti o addirittura costitutive di gruppo sociale». (Ruffino 2006, 39)

Il volume di Ruffino è il resoconto di un’indagine sul pregiudizio dialettale nei bambini italiani dove lo stereotipo è definito in termini di «differenziazione categoriale», procedura valutativa che associa «idee fisse standardizzate ad una categoria». Per esempio, gli oggetti di percezione/rappresentazione “parlanti”, investiti dal giudizio indicale “questi sono campagnoli”, vengono parimenti associati a giudizi di valore della sfera sociale (“i campagnoli sono rozzi”) e linguistica: “i campagnoli parlano in dialetto”. Nella proposta di Ruffino, ci sembra, l’attribuzione degli elementi alle categorie segue il seguente schema: ELEMENTO parlanti → VALORE DI ATTRIBUTO campagnoli pagnoli → VALORE DI ATTRIBUTO rozzi and dialettofoni

→ SUB-ELEMENTO cam-

Ma la scrittura è aperta: ‘parlanti’ può anche essere valore di ‘ELEMENTO dialettofoni’, nel senso che nella mente del parlante potrebbe esserci anche questo tipo di gerarchizzazione. Ciò è possibile perché le associazioni si basano sulla procedura ideologica oppositiva e polarizzata «lingua vs. dialetto» (ivi, 53) e si esprimono in giudizi «acquisiti a prescindere dall’esperienza diretta o nonostante essa e trasmessi dalla famiglia, dalla scuola, dai mezzi di comunicazione di massa» e quindi in pregiudizi o stereotipi. Nella proposta di Ruffino sono stereotipi sia gli elementi associati nel giudizio (es.: campagnoli = dialettofoni) sia la matrice di tali associazioni: lingua vs. dialetto.

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

Le caratteristiche della persistenza e della rigidezza non escludono di riconoscere allo stereotipo la possibilità del cambio e quindi della instabilità, individuata dalla sociolinguista americana Isabelle Buchstaller (2006)11 nella dimensione della vita quotidiana: attraverso l’utilizzo, lo stereotipo, i suoi contenuti e referenti linguistici e sociali, possono essere “ricollocati”12. Tuttavia, proprio a motivo delle proprietà della persistenza e della rigidezza che lo definiscono, rispetto agli altri nuclei valutativi e all’atteggiamento in particolare, lo stereotipo è la forma di rappresentazione più resistente al cambio. 5.2.1 Profilo del pregiudizio Utilizziamo una definizione ampia di pregiudizio che lo qualifica come generica tendenza a valutare e giudicare i gruppi sociali a prescindere dai dati empirici. È da chiarire come esso entri in relazione con lo stereotipo. La diffusa tendenza a considerare lo stereotipo il nucleo cognitivo del pregiudizio, o comunque materia affettiva, psicologica e cognitiva precedente alla costituzione del pregiudizio, risulta poco proficua all’interno della dialettologia percettiva, se intendiamo per essa lo studio degli atteggiamenti e dei comportamenti dei parlanti in riferimento a fatti di lingua, fatti di società, fatti di territorio. Infatti, il pregiudizio, anche il pregiudizio linguistico, è certamente un atteggiamento; lo stereotipo linguistico è un super-atteggiamento, un atteggiamento cioè sottoposto da un gruppo socio-linguistico alle procedure di estensione e semplificazione all’interno di un processo categorico e di associazione connessionista tra livello linguistico, pragmatico, socio-culturale. 5.3 IDEOLOGIA, RAPPRESENTAZIONE, IMMAGINE E STEREOTIPO Ciascuno di questi temi è presente nella teoria dell’immagine e della rappresentazione della sociolinguistica francese, soprattutto in Boyer 2003, senz’altro fra i suoi più incisivi esponenti. In Fig. 5.2 il suo modello dell’ “immaginario comunitario”, uno schema gerarchico, in quanto, dall’alto verso il basso, ciascuno degli elementi è la specificazione del precedente. In cima sta l’ideologia, «una rete di rappresentazioni e interconnessioni» (Mannoni 1998, 54), un corpo più o meno chiuso di rappresentazioni a tenore coercitivo, costruzione socio-cognitiva, capace, all’interno di una comunità, di legittimare un potere nella prospettiva della sua conquista e del suo mantenimento, contro o rispetto ad una comunità ‘altra’ (cfr. Boyer 2001).

11 Buchstaller rileva la ri-collocazione di tratti oggetto di stereotipo in un’indagine con informatori inglesi condotta con una variante del matched guise. Per il concetto di ricollocazione dello stereotipo Buchstaller si rifà a quello di ricollocazione dell’atteggiamento (Meyerhoff/Niedzielski 2003). 12 Tale possibilità è riconosciuta allo stereotipo in quanto categoria sociale “di alto contesto”, ovvero partecipe di relazioni sociali di elevata intensità (Buchstaller 2006).

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Le rappresentazioni, rispetto all’ideologia, istituiscono la relazione di «parte rispetto al tutto», di «visione specifica» rispetto alla «struttura d’insieme» (Mannoni, ibidem). Del medesimo genere è il rapporto tra rappresentazione e immagine che oppone una visione generica (rappresentazione sociale) a una visione specifica (immagine sociale) (Boyer 2003, 18)13, in forza del quale la rappresentazione può essere espressa in immagini multiple su oggetti multipli14.

Fig. 5.2 Le componenti dell'«immaginario comunitario» (Boyer 2003)

La struttura gerarchica dello schema consente di definire l’immagine sociale rispetto all’ideologia come il suo aspetto performativo, mediato dalle rappresentazioni. A loro volta, queste ultime sono espressioni della struttura ideologica, esplicitate in immagini sociali. Il concorso tra un patrimonio ideologico soggiacente e l’insieme di atti concreti ed esplicativi che lo realizzano nel contesto della vita quotidiana, determina la natura duale del concetto di rappresentazione sull’asse stabilità vs. non stabilità. Infatti la rappresentazione sociale è definita come insieme di tratti costitutivi («cognèmes») distribuiti in due sotto-insiemi: il sistema o nucleo centrale, che dà alla rappresentazione stabilità e contenuto semantico fondamentale per le rappresentazioni;

13 Boyer muove dalle definizioni dello psicologo sociale Pascal Moliner (1996) e dalla esigenza sostenuta da quest’ultimo di distinguere i concetti di rappresentazione sociale e immagine. 14 Boyer propone l’esempio della rappresentazione sociale dell’azienda che tra gli studenti di economia può dare luogo a immagini come venditore, responsabile delle relazioni umane, etc.

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

il sistema periferico aperto e instabile, dove i tratti si adattano al contesto e qui si associano, dando luogo alla diversità nelle situazioni (ivi, 12)15. Il paradigma generale della rappresentazione sociale può anche essere detto paradigma della comunicazione. Esso illustra la struttura rappresentazionale dentro la quale si innesta la “competenza etnosocioculturale” (CESC), luogo delle identità e dei conflitti (ivi, 25) e sistema di “pre-codifica” della realtà che alimenta lo stratificarsi del “senso comune”. I costituenti essenziali della CESC sono schematizzati in tipi rappresentazionali distribuiti in due strati, anch’essi dal più duttile e stabile al più effimero: dall’“immaginario patrimoniale” (le grandi mitizzazioni storiche, nazionali, culturali e i tratti di identità collettiva), all’“immaginario culturale” (le rappresentazioni del “vero comunitario”, che riguardano di solito gli altri popoli o gli stranieri immigrati, e l’“aria dei tempi” o “mitologia del presente”) (ivi, 26-30). 5.3.1 Lo statuto rappresentazionale dello stereotipo Lo stereotipo è una forma particolare ed autonoma di rappresentazione. Come tutti i tipi di rappresentazione esso è essenzialmente normativo («l’un de ses fonctionnements naturels… [est] d’affecter une évaluation ») e «partagée» (Jodelet 1989, 49) perchè la valutazione stereotipizzata è sempre «admise per l’ensamble de la Communauté ou tel groupe au sien del la Communauté, et donc indiscutable, à un type d’individu, un type d’object, un type de fait, un type de trait» (Boyer 2003, 15). Tuttavia, il consenso16 condiviso all’interno della comunità che legittima lo stereotipo, non è un semplice riconoscimento collettivo, ma il prodotto di «figement répresentationnel» (ivi, 13), caratterizzato da uno statut exceptionnel, […] nettement différent de celui de la représentation […]: le stéréotype est bien une représentation qui a mal tourné, ou qui a trop bien tourné, victime, à n’en pas douter à la suite d’un usage immoderé dû à une grande notoriété, d’un processus de figement, [caractérisé par un] fonctionnement simplificateur et donc univoque et à stabilité de contenu rassurante pour les membres du groupe/de la communauteé concerné(e). (ibidem)

15 A Parere di Abric (2002, 85) all’interno del nucleo centrale agiscono sia elementi normativi derivati dal sistema di valori della comunità con ruolo valutativo, sia elementi funzionali o pragmatici «associées aux caractéristiques descriptives et à l’inscription de l’object dans des pratiques sociales ou opératoires [… ] la coexistence de ces deux types d’éléments permet […] au noyau central de jouer son double rôle: évaluatif et pragmatique». 16 Doise 1985 sostiene che non necessariamente il consenso è caratteristica essenziale delle rappresentazioni, dato che opinioni ed atteggiamenti manifestano la diversità delle prese di posizione. Per Boyer 2003 invece rimane difficile non accettare che tutte le rappresentazioni sociali tendono per natura a essere consensuali nel gruppo e nella comunità.

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In quanto attività di categorizzazione, identificazione e definizione17, lo stereotipo è quindi struttura socio-cognitiva che accentua i processi di semplificazione, schematizzazione e riduzione della realtà, rendendola così più rassicurante e comunque ‘a portata di rappresentazione’ (ivi, 15-16). I processi di «figement representationnel», che semplificano e schematizzano le immagini, spiegano perché lo stereotipo è l’unico genere di rappresentazione sociale in cui nucleo centrale e sistema periferico coincidono, per cui l’immagine sociale si presenta in «un unique ensemble fermé de traits immuables» (ivi, 15). La conseguenza è che lo stereotipo sarebbe caratterizzato dall’assenza della dinamica stabilità/mutamento e si presenterebbe quindi alla comunità come immagine e rappresentazione statica, indiscutibile e duratura. Questa precisazione è fondamentale perché Boyer riconosce allo stereotipo il ruolo più importante nella costituzione dell’immaginario comunitario, la superstruttura formata dall’insieme delle rappresentazioni di una comunità e declinata da diverse sotto-strutture: dell’arte, della giustizia, dell’attività linguistica … Infatti, nello schema in Fig. 5.2, «le constituants fondamentaux de l’imaginaire communautaire», che partecipino o meno a una costruzione ideologica, sono gli stereotipi in quanto ispiratori degli atteggiamenti i quali, a loro volta, in forza del loro essere ‘predisposizioni a’, determinano le pratiche verbali e non verbali e soprattutto le opinioni per loro natura votate all’enunciazione18. 5.3.2 Lo stereotipo tra sapere linguistico e atti enunciativi In Krefeld/Pustka 2010a (v. Fig. 5.3) la rappresentazione è distinta sia dagli atteggiamenti che dagli atti enunciativi. In questo senso, essa è il sapere del parlante sulla lingua e le sue varietà, ma privo della dimensione valutativa: Rifacendoci alla terminologia della psicologia abbiamo deciso di adottare di seguito il termine rappresentazione per riferirci all'“organizzazione del sapere dell'individuo” (Dorsch 2009, 853) e ai suoi cambiamenti. (Krefeld/Pustka 2010a, 323)

17 “Definizione” e “categorizzazione-identificazione” sono individuate come le “manifestazioni discorsive” dello stereotipo che segnalano la sua “prossimità” con tre altri tipi di figements représentationnels: sémiotisation verbo-culturelle (più o meno il blasone popolare); emblématisation; mythification, terreno fertile per il fiorire di toponimi e patronimi attraverso le modalità dell’antonomasia (ivi, 15-16). 18 Boyer 2003 (ma v. anche 1997) applica questo modello all’«imaginaire communautaire de la/des langue(s)». L’ideologia qui influenza ed è influenzata in maniera più diretta da immagini e stereotipi. Questi ultimi («collectivemenent intériorisées par la communauté linguistique») producono le opinioni che non chiedono altro d’essere «proférees on le sollicite (à travers sondages et enquêtes, débatas…)». Boyer individua le tre seguenti tipologie di manifestazioni verbali sulla langue dove anche albergano le opinioni: attività epilinguistiche a natura normativa (scuola, media, etc.); pratiche metalinguistiche (lessici, glossari, grammatiche, dizionari, trattati di lingua, di ortografia etc.); interventi glottopolitici (ivi, 43-45). Boyer, in sintonia con la psicologia sociale, sostiene che sono le opinioni a permetterci di rilevare ciò che un individuo o un gruppo sociale pensano della langue.

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

Il campo d’interesse della dialettologia percettiva dovrà prevedere, allora, le dimensioni interrelate (si vedano le frecce curve della produzione e della percezione in Fig. 5.3) ma concettualmente distinte (si veda la linea verticale spezzata) del “sapere linguistico” non ancora verbalizzato e degli “atti enunciativi” espressi dai giudizi. Il primo, racchiuso nel quadrante sinistro dello schema, comprende tutto ciò che va riferito alle rappresentazioni metalinguistiche, sia quando concorrono a determinare produzioni verbali, sia quando sono dedite alla loro comprensione: Risulta quindi sensato postulare, analogamente alle rappresentazioni fonologiche, sintattiche e semantiche che, oltre a creare realizzazioni linguistiche, ne permettono la comprensione, l'esistenza di rappresentazioni metalinguistiche. (Krefeld/Pustka 2010a, 324)

Al di fuori dell’area del sapere linguistico stanno i fattori extralinguistici; motivano anch’essi e danno luogo a rappresentazioni, che però non sono basate su fatti di lingua ma su pregiudizi, dato che prescindono dal reale stato delle cose (per esempio, l’attribuzione che i parigini fanno della polivibrante apicoalveolare [r] a tutto il sud della Francia, mentre essa è ormai usata solo dai parlanti più anziani delle zone rurali di quell’area). I due atti enunciativi fondamentali (quadrante destro) si differenziano per grado di esplicitazione dell’oggetto: [le rappresentazioni] possono essere verbalizzate (giudizi metalinguistici) e ciò facilita di gran lunga il loro studio e, di conseguenza, anche quello delle diverse varietà. Nei casi in cui il parlante non riesca a (o non voglia) descrivere a parole la marcatezza diasistematica di un dato enunciato, può far ricorso ad imitazioni o caricature che gli permettano di esplicitare le rappresentazioni. (Krefeld/Pustka 2010a, 324)

Fig. 5.3 Sapere linguistico e atti linguistici (Krefeld/Pustka 2010a)

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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Nella proposta di Krefeld e Pustka i giudizi metalinguistici sono i commentari espliciti sui fatti di lingua; ma qualora il parlante, per assenza della denominazione o vaghezza del concetto, non riesca o non voglia dimostrare di avere individuato con precisione l’oggetto di atteggiamento, ricorre ad imitazioni dei fenomeni linguistici o a caricature19. Queste ultime, insieme alle rappresentazioni extralinguistiche, sono, sempre nella prospettiva di Krefeld e Pustka, l’area privilegiata per individuare gli stereotipi, osservabili attraverso il comportamento linguistico (versante destro) e basati sui pregiudizi (versante sinistro). La delimitazione delle sfere del sapere e della realizzazione linguistica ha la precisa funzione di risolvere quello che gli autori considerano un grave malinteso teorico onnipresente negli studi delle opinioni dei parlanti su lingua e varietà: Per quanto riguarda il termine “percezione”, esso viene usato spesso in maniera inflazionata e viene distinto solo raramente in maniera sistematica dal concetto di “rappresentazione”. Lo stesso Dennis Preston scrive esplicitamente di considerare folk e perceptual come sinonimi […] In questo senso, le cartine dialettali disegnate dai parlanti (che dovrebbero quindi rappresentare le loro mental maps) vengono da lui denominate: ‘folk perceptions of space’ (Preston 1989, 14; cfr. anche “perceptual mapping”, Kuiper 1999) nonostante esse non siano frutto di alcuna ‘percezione’, in quanto prodotte in assenza di un confronto con dati linguistici reali. Anche leggendo i due volumi del Handbook of Perceptual Dialectology (Preston 1999, Long/Preston 2002) si finisce per constatare con delusione che nessuno degli articoli in essi contenuti si basa su ricerche che siano strettamente ‘percezionali. Analogamente, la bibliografia dell'opera Dialettologia percettiva di Cannobbio e Iannàccaro 2000 fa riferimento a moltissimi studi sulla coscienza linguistica che, però, di percezionale hanno ben poco. [Invece] ciò che qui ci proponiamo è di distinguere in maniera netta il concetto di ‘percezione’ da quello di ‘rappresentazione’. Tra i due esiste infatti una differenza essenziale: mentre la ‘percezione’ è propria di un contesto comunicativo reale (parole), le rappresentazioni sono parte del sapere linguistico (langue) e ad esse si può quindi fare riferimento anche indipendentemente da percezioni concrete. (Krefeld/Pustka 2010a, 326)

In effetti il focus metodologico di cui Krefeld e Pustka si occupano non è nuovo alla dialettologia percettiva. Telmon, nel distinguere tra «riconoscimento generico, asserito dai parlanti» e «riconoscimento effettivo, riscontrato da prove oggettive o semi-oggettive», entrambi parte del «grande contenitore della dialettologia soggettiva», ha chiarito: Il primo viene ad aggiungersi ai molti altri segnali che contribuiscono a delineare ciò che potremmo chiamare l’immaginario linguistico popolare ed è più propriamente di pertinenza di una etnolinguistica soggettiva […]; il secondo si avvale di uno strumentario metodologico più tradizionale che appartiene alla dialettologia “scientifica”, oggettiva, e che si avvicina all’uso di marcatori, e al loro trattamento quantitativo, in sociolingusitica. (Telmon 2002a, 41)

19 Per quanto riguarda il corpus ALS, chiamiamo ‘parafrasi dei tratti’ questo tipo di risposte degli informatori.

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

Anche Preston ha precisato denominazioni e campi di indagine, associando, come abbiamo considerato, le tecniche di inchiesta esterne ai percetti e quelle interne ai concetti (v. § 4.1.3). La questione posta da Krefeld e Pustka non è una neutra delimitazione di campi teorici ma investe il livello metodologico e l’efficacia di strategie diverse di elicitazione dei dati. Seguendo la loro impostazione, ad esempio, i dati elicitati dalle domande a risposta aperta 16, 17 e 18 della seconda parte del questionario ALS non sarebbero percezioni ma rappresentazioni linguistiche della differenza, in quanto risposte ad input privi di ostensione di dati reali. Secondo Ladegaard tecniche come quelle dell’ALS (esterne e consapevoli) sarebbero inefficaci al fine di far emergere gli stereotipi: In ‘matched guise’ attitude studies we assume that people’s private, uncensored attitudes (Lambert, 1967) or their covert, subconscious preconceptions of social groups in society, are exposed. The problems associated with direct attitude questionnaires are obvious. Subjects may not report their honest opinions but only what is politically correct, or they might tell you what they think they are expected to believe, rather than what they actually believe. (Ladegaard 1998, 190)

È vero che Preston, nel saggio citato sopra assegna lo studio degli atteggiamenti consapevoli alla Folk Linguistics e di quelli inconsapevoli alla Language Attitude Study, liquidando come sottigliezze le sovrapposizioni fra i due campi, ma non trascura di sottolineare, nel nuovo triangolo, nel ‘quadrato’ e in ultimo nello schema della tipologie d’indagine di Language Regard, come in effetti sia impossibile oltreché improduttivo stabilire il punto esatto dove la consapevolezza finisce e inizia la non consapevolezza e dove i percetti non sono più tali ma concetti. I dati metalinguistici ottenuti con il «direct attitude questionnaires» dell’ALS sono una nitida smentita delle preoccupazioni di Ladegaard, visto che esso si è dimostrato un formidabile elicitatore ed escavatore di stereotipi. Ciò può accadere in quanto, se è scontato che le risposte degli informatori non sono mai solo percetti, allo stesso modo esse non sono mai solo concetti: è forse banale ripeterlo, ma domande e risposte non sono una successione isolata di input e output ma co-costruzione di un discorso interazionale dentro il quale anche la prevedibilità dell’input non è affatto scontata. Il raccoglitore chiede genericamente dei tratti linguistici della differenza, l’informatore ne enumera alcuni, il raccoglitore invita alla riflessione su di essi («come dicono esattamente quelli di lì?»; «come dite voi?”), l’informatore riconsidera i tratti linguistici: il secondo input del raccoglitore raggiunge i concetti o i percetti dell’informatore? Con ogni probabilità il discorso interazionale annulla alla base la sensatezza di una domanda di questo tipo. Bisogna però tenere a mente che le considerazioni di Ladegaard si formano in pieno contesto teorico-metodologico dominato dal matched-guise che, con tutte le innovazioni delle correnti costruttiviste e cognitiviste, insieme ai tanti pregi risente ancora dell’antica debolezza di un ‘mondo reale’ edificato nel ‘laboratorio’ dello psicologo sociale.

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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In ogni caso, Krefeld e Pustka si tengono ben lontani dagli estremismi di Ladegaard ed hanno il merito di aver introdotto l’argomento della precisa collocazione dei rispettivi livelli di riferimento ai concetti e ai percetti all’interno di un più generale modello di rappresentazione. 5.3.3 Lo stereotipo e il suo rapporto con la realtà La funzione di referenza espone lo stereotipo al mondo. Lo stereotipo è infatti nel medesimo modo nucleo ideologico di consenso intra-comunitario e di opposizione con ‘un altrove che sta fuori’. Dal punto di vista di chi stereotipizza, la persistenza dell’alterità è vitale e fa sempre riferimento ad una precisa realtà. In dialettologia percettiva il fattore referenza è la distanza oppure la sovrapposizione fra stereotipo linguistico e fatti reali di lingua; il primo termine della relazione ha assunto la denominazione di confine cognitivo (emico, soggettivo) il secondo di confine del linguista (e isoglossa). Ma sappiamo che le due dimensioni non esauriscono il campo rappresentazionale dello stereotipo che va completato con i referenti socio-pragmatici, ed è ciò che hanno fatto e fanno (anche) i dialettologi della percezione. In effetti l’argomento della soggettività e dell’oggettività negli stereotipi non è per nulla recente ed è stato affrontato, ad esempio, registrando come non raramente accada che percezioni e autopercezioni si avvicinino ad una data realtà oggettiva (Katz/Braly 1952) o comunque ad un “nocciolo di verità”, in quanto quasi sempre “a portata di mano dei parlanti” (Triandis/Vassiliou 1967, 324). In generale, in psicologia sociale e in anni molto più recenti l’argomento è trattato in termini di accuratezza e viene messa in rilievo la problematicità della coincidenza tra percezione e dato reale, sebbene più volte rilevata nelle inchieste sul campo: Suffice it to say that there is a good kernel of truth to most group beliefs—there is a correlation between perception and reality (Swim, 1994). Whether stereotypes are in general over- or underestimated is not so clear. (Stangor 2009, 2)

Altri ancora hanno sostenuto che è assurdo parlare di percezioni vere, false o distorte o chiedersi se uno stereotipo sia o meno “corretto”, in quanto questo presupporrebbe l’esistenza di un vero oggettivo nei confronti del quale istituire un confronto e la possibilità di dotarsi di unità di misure in grado di segnalare le eventuali distanze da esso (Bredella 1991). 5.3.4. La referenza costruita Abbiamo sostenuto che per materiali metalinguistici come quelli dell’ALS è opportuno tenere distinti i due livelli di riferimento dello stereotipo alla realtà: i tratti

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

linguistici della differenza e i giudizi socio-demografici su di essi e sugli utilizzatori. Non avrebbe senso, infatti, interrogarsi sul rapporto con la realtà di affermazioni del tipo «a Palermo parlano volgare». È questa la dimensione dei giudizi di merito rispetto ai quali il confronto con la realtà sarebbe del tutto improduttiva. Rientra invece tra gli scopi dell’analisi dei dati metalinguistici indagare sul perché gli informatori sostengono che «a Palermo parlano volgare», su quali potrebbero essere, cioè, i tratti linguistici e/o gli aspetti demografici e pragmatici che hanno sollecitato il giudizio, e verificare se i fatti di lingua associati al giudizio corrispondano o meno agli usi reali e alle ipotesi dei linguisti. Diciamo allora che le differenti relazioni di referenza dello stereotipo (o il suo essere sempre ‘in riferimento’) reclamano all’interno del nostro corpus strategie metodologiche diverse: Le proprietà della semplificazione, della schematizzazione, della riduzione, fanno lo stereotipo ‘pronto per l’uso’ e in forza del consenso esso è già vero nella comunità. Questi fattori costituiscono il nucleo di verità acquisita dello stereotipo. Ma non è una proprietà stabile ed isolata. Difatti, l’essere sempre ‘in tensione’ determina l’importante conseguenza che solo nelle interazioni del tempo di vita quotidiana lo stereotipo possa sussistere, in quanto ogni volta ri-usato e ri-attualizzato ed eventualmente ricollocato. La ‘verità’ dello stereotipo è sempre ricostruita. È questo uno dei motivi per cui le attività di costruzione sociale e interazionale sono temi per la dialettologia percettiva ed esplicitano quelle procedure per cui lo stereotipo non è né vero né falso, ma ‘fatto vero’ da chi lo usa, cioè dalla comunità riunita nel consenso ad un certo punto del processo sociale. Dato che la sopravvivenza dello stereotipo è legata alla sua negoziazione interazionale e, in definitiva, al suo utilizzo comunitario, chiamiamo ‘consenso d’uso’ l’equilibrio tra ‘consenso acquisito’ e ‘consenso costruito’; è esso l’artefice della ‘sorte dello stereotipo: 1) dello stereotipo si può perdere memoria; 2) lo stereotipo può essere ricollocato, spesso perché si perde memoria della sua motivazione originaria e viene caricato di altre, a causa di nuove motivazioni ideologiche (per es., nuovi oggetti di antagonismo), che possono anche stratificarsi sulla precedente senza che se ne abbia consapevolezza; 3) lo stereotipo resiste e resistono anche le motivazioni. Tutti e tre i casi coinvolgono la sorte della salienza dello stereotipo che: può svanire; può perdere o guadagnare forza; può resistere. VERITÀ COSTRUITA

L’associazione che i parlanti fanno fra tratti linguistici e aree d’uso va confrontata con le aree dei linguisti ma anche con gli usi reali. Un campione abbastanza attendibile degli ‘usi reali’ del corpus ALS è il parlato a codice bloccato. Per quanto riguarda invece i dati metalinguistici ALS abbiamo attestato il principio della sovrapposizione tra posizionamento nello spazio degli oggetti linguistici di stereotipo e usi reali; il principio può essere espresso anche in questo modo: più il

TRASPARENZA DIATOPICA

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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tratto linguistico ha le caratteristiche per essere stereotipizzato, maggiore sarà la possibilità che esso sia collocato con nitidezza in diatopia. Nel prossimo paragrafo constateremo come tale principio sia stato riscontrato dentro i dati. Considereremo un tratto linguistico oggetto di forte stereotipizzazione (la resa affricata post-alveolare dei nessi latini PL CL) e la sua distribuzione in diatopia sulla base delle perimetrazioni areali tracciate, in anni diversi, dai linguisti. Il confronto con il posizionamento diatopico degli informatori contenuto nelle interazioni metalinguistiche, mostrerà, sostanzialmente, la totale coincidenza tra confine linguistico e confine dei parlanti. 5.3.4.1 Stereotipi e linee dei linguisti: l’affricata post-alveolare in Sicilia Riepilogando: i fattori che fanno di un tratto un oggetto di stereotipo sono gli stessi che consentono ai parlanti di ben collocarlo diatopicamente. E, dato che la salienza è una pre-condizione dello stereotipo, anche i tratti salienti seguono il principio della ‘nitidezza in diatopia’; ma non tutti i tratti salienti diventano stereotipi20. Nell’ultima parte del cap. 7 discuteremo di come nel corpus metalinguistico ALS gli usi reali coincidano quasi sempre con il posizionamento che gli informatori hanno fatto di tratti da noi classificati salienti sulla falsariga dei fattori della linguistica e della sociolinguistica del contatto e della Folk Opinion. Adesso constateremo tale coincidenza per quei tratti che, sulla base delle interazioni metalinguistiche, possono essere anche riconosciuti oggetto di stereotipo. In Sicilia è prevalente la pronuncia occlusiva velare sorda degli esiti dei nessi latini CL e PL, ad esempio [[[Nella parte sud-orientale dell’Isola e in due enclavi in area centro-meridionale, esiste però l’ esito affricato postalveolare: L’isoglossa è stata tracciata da Piccitto (1951) e (Ruffino 1991a, 109). Come riporta lo stesso Ruffino, l’isoglossa «raggiunge Vittoria, Chiaramonte Gulfi, Giarratana, Palazzolo Acreide, Solarino, Floridia, Cassibile, [il fenomeno è anche presente a] Vizzini a Nord e [a] Licata e Palma di Montechiaro nell’agrigentino (Piccitto 1951, 31)». 44 informatori ALS, corrispondenti al 13% della fetta di campione che individua tratti di tipo fonetico, indicano per 63 volte il tratto quale marca della differenza. Nella quasi totalità dei casi vengono indicati le varianti locali per “chiave” [. La Carta 2 mostra la percezione in area sud-orientale dell’esito affricato postalveolare dei nessi latini. Nella carta, ciascuna freccia collega il centro dell’informatore che dichiara la percezione del tratto linguistico con il centro al quale il tratto è attribuito. Il numero accanto alla freccia quantifica le occorrenze. 20 Questo non esclude affatto che taluni processi di stereotipizzazione avvengano senza che il parlante abbia consapevolezza dell’oggetto di atteggiamento (§ 4.3.5); cosa che ci porta a riconoscere una certa parte di non consapevolezza anche nella salienza.

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

La Carta 2 mostra che il riconoscimento del tratto della differenza è quasi interamente giocato in area: tra i centri che percepiscono e quelli che sono percepiti vi sono ordinarie relazioni all’interno di una sezione geo-fisica parecchio contratta, non particolarmente egemonizzate da poli con significative funzioni attrattive; unica eccezione, la linea proveniente da Trapani. Due informatori di Catania21 associano la differenza all’area del “ragusano” senza indicare centri e perciò non possono entrare in questa carta. Un ulteriore sguardo alla carta ci mostra con facilità che le percezioni dei parlanti coincidono perfettamente con le descrizioni dei linguisti: le parti terminali delle frecce si trovano tutte oltre l’isoglossa, dentro quindi l’area classificata quale sede dell’esito affricato post-alveolare. Come già specificato, Piccitto e Ruffino hanno anche individuato gli esiti postalveolari dei due nessi latini in area centro meridionale e, precisamente, nei comuni di Palma di Montechiaro e di Licata. La Carta 322 mostra come anche in questo caso i due livelli percettivi si sovrappongano: 20 parlanti indicano Palma di Montechiaro quale centro della paletizzazione fornendo 27 esempi e 3, solo 3, indicano Licata (su questo torneremo) con 4 esempi. Sia in area sud-orientale, sia in area centro-meridionale, le percezioni dei tratti si distribuiscono pressoché omogeneamente tra tutte le tipologie di informatore e di famiglia, quindi non si registra l’incidenza né delle variabili tradizionali né di quelle da campione, né di variabili più complesse, come la mobilità. Unica variabile che sembra avere incidenza è la tipologia dei centri: quasi il 50% degli informatori (21) appartengono a capoluoghi di provincia23 e il 25% a centri dinamici o comunque non recessivi né rurali24. L’esito affricato post-alveolare dei nessi latini CL, PL è un tratto molto saliente. La salienza è riscontrabile sia in fase di prognosi a ragione del fattore linguistico interno della distanza articolatoria, sia a posteriori sulla base dell’elevata ricorrenza. Una prima conclusione deve riconoscere la coincidenza totale tra posizionamento diatopico e tratto saliente (attestata appunto dalle Carte 2 e 3). Una seconda non può che farci rilevare nel tratto la presenza di tutte le caratteristiche dello stereotipo (l’uso linguistico del tratto ha raggiunto una sua forma cristallizzata, schematizzata, semplificata, condivisa e ‘pronta per l’uso’) e constatare la sovrapposizione tra usi reali e posizionamento di un tratto linguistico oggetto di stereotipizzazione. In diverse aree della Sicilia è attestata la stessa fattispecie in relazione a tratti linguistici diversi, per l’appunto stereotipizzati e collocati nitidamente in diatopia:

21 Nonno e Figlio della Fam. III. 22 L’elaborazione tecnica delle carte 2 e 3 è stata realizzata dal consorzio Ticonzero di Palermo operante nel campo dell’informatica territoriale, in particolare da Andrea Borruso e Carmelo Fazio. 23 11 informatori sono di Siracusa, 7 di Agrigento, 2 di Caltanissetta, 1 di Trapani. 24 9 di Gela, 1 di Caltagirone, 1 di Canicattì.

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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dittongo condizionato, metafonesi, esito approssimante laterale alveopalatale dei nessi latini LJ, B(U)L, GL etc.25. 5.3.4.2 Dinamiche d’area e fattori di salienza: il blasone “ciavi” Abbiamo chiarito che i fattori linguistici interni sono da considerare pre-condizioni di salienza che si attivano in presenza di condizioni extra-linguistiche (v. § 5.1.2). Per un quadro completo dell’area ciò consiglia di individuare, oltre le salienze potenziali e realizzate, anche quelle eventualmente attese ma non riscontrate nei parlanti. L’area ragusano-siracusana contempla altri tratti che allo stesso modo dell’affricata post-alveolare rispondono ai fattori di salienza della distanza articolatoria. Per esempio, in alcuni centri del versante nord siracusano è presente l’assimilazione di /r/ preconsonantica (es.: carta vs. catta) (Ruffino 1991a), tratto potenzialmente saliente ma indicato con sporadicità da qualche informatore. E, fatto di straordinaria rilevanza, solo in un caso viene indicato quello che Ruffino (1991a, 110) definisce lo sviluppo inverso della palatizzazione che riguarda la sonora26, per cui l’evoluzione è affricata postalveolare > occlusiva palatale: ‘leggero’ invece di fenomeno presente nella medesima area interessata dalla palatizzazione (Ruffino 1991a, 110). La mancanza di salienza dell’assimilazione della vibrante e dello sviluppo inverso della palatizzazione non è però spiegato da nessuno dei fattori extra-linguistici. Siamo cioè in presenza di uno di quei casi che chiamiamo di ‘ricorrenza relativa’: poste delle regole di carattere generale e di ampia efficacia, le eventuali eccezioni ad esse in specifiche situazioni contestualizzate sono da ritenere esiti di fattori ideologico-identitari, interazionali e pragmatici. In questo specifico caso, è molto probabile che la straordinaria salienza dell’opposizione articolatoria tra l’affricata palatale e l’affricata post-alveolare abbia saturato il range delle disponibilità percettive dei parlanti annullando il restante spazio saliente dell’area. Inoltre, attraverso il processo di rappresentazione olistica (viepiù espresso anche da percezioni distinte della differenza), tale forza eccezionale ha raggiunto il livello della stereotipizzazione comunitaria nell’opposizione tra le varianti locali del lessema ‘chiave’: chiavi/ciavi, indicata dagli informatori come esempio di tratto della differenza 28 volte in area sud-orientale e 20 volte in area centro meridionale, che perciò possiede tutte le caratteristiche per essere qualificata blasone di entrambe le aree.

25 Per il quadro completo dei tratti v. §. 8.3. 26 Si tratta del GF2 di Siracusa che attribuisce il tratto al comune di Avola fornendo come esempio sèggia vs. sègghia. In altra area lo stesso fenomeno è attribuito dal FF2 delle isole Linosa e Lampedusa.

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5.3 Ideologia, rappresentazione, immagine e stereotipo

5.3.4.3 Stereotipo del prestigio, stereotipo dello stigma In area sud-orientale il blasone popolare non è mai associato a giudizi ideologici nella dimensione della lingua in quanto tale (per es.: volgare, rozzo etc.), né è mai iconizzato con fattori pragmatici e demografici. In area, l’affricata post-alveolare non è stereotipo dello stigma. Per altro verso, gli informatori che usano il tratto dimostrano di avere nei suoi confronti un sentimento di serenità ideologica che, in non pochi casi, li fa sentire liberi di esibirlo come ‘bandiera’ dell’appartenenza e del radicamento territoriale27. In area, l’affricata post-alveolare è stereotipo del prestigio. Le dimensioni ideologiche si dispongono ben diversamente nell’area di Palma di Montechiaro e Licata. La carta mostra come le percezioni del tratto si concentrino quasi esclusivamente su Palma (16 informatori contro i 3 che indicano Licata) e il numero accanto alla freccia esplicita che esse provengono in massima parte da Agrigento, comune capoluogo di provincia. Agrigento dista 25 chilometri da Palma di Montechiaro e 45 da Licata, una distanza percorribile attraverso la SS15, unico asse viario della zona. I fattori geo-fisici darebbero ragione quindi alla disposizione delle frecce sulla carta e alla loro intensità. Però Licata è certamente uno dei comuni meno recessivi dell’area e la stessa Palma di Montechiaro dipende da essa per svariati servizi. Inoltre Licata, sempre in area, è polo forte per il pendolarismo in entrata con flussi molto consistenti proprio da Palma di Montechiaro e consistenti da diversi altri centri (Ravanusa, Agrigento, Favara, Campobello) (D’Agostino/Ruffino 2005, 240-242). Alla luce di questi dati si può affermare che Licata detiene in area una relativa salienza sociale. I fattori socio-gravitazionali non spiegano quindi la disposizione delle frecce. Rimane perciò da capire come mai la salienza linguistica, ovvero la pre-condizione di salienza costituita dalla distanza fonetica, resta potenziale per Licata e perché è divenuta effettiva per Palma. I fattori extra-linguistici (cognitivi, pragmatici, interazionali, psicologico-sociali, demografici), condizioni di salienza, del modello di Kerswill e Williams (§ 5.1.2), determinano la ‘salienza sociale’. Com’è noto, alla salienza sociale di un gruppo o di una comunità non concorrono esclusivamente fattori demografico-gravitazionali, quali il livello dei servizi e il tasso di pendolarismo. Questi ultimi vanno associati ad altri elementi di tipo ideologico, pragmatico ed identitario. In realtà il concetto di salienza sociale è un costrutto molto complesso che la più recente linguistica del contatto dedita alla salienza nel cambio definisce con fattori dimensionati a livello comunitario. Ad essi è assegnato sostanzialmente il compito di catturare tutto quanto sfugge ai classici parametri di dinamicità e recessione, nella dimensione della storia e del presente, nella sfera del gruppo e delle interazioni puntuali, con procedure d’analisi molto contestualizzate

27 In area sud-orientale dichiarano di utilizzare l’affricata post-alveolare: GF5 e Adolescente 2 di Pachino; NF3, FF3 e GF5 di Ragusa; GF2, NF3 e Adolescente 2 di Vittoria; FF4 e FF3 di Chiaramonte Gulfi.

5. Salienze, stereotipi: le rappresentazioni degli spazi fisici, sociali e di lingua

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per singole situazioni ma capaci di restituire ipotesi generali su ideologie e sentimenti identitari. Per spiegare, appunto, quello che i dati linguistici e non linguistici non possono spiegare. L’analisi dei fattori pragmatico-demografici ci informa che Palma di Montechiaro è un comune fortemente stigmatizzato, soprattutto a causa della presenza storica di fenomeni di criminalità mafiosa molto radicati e dediti al controllo invasivo e violento del territorio. Basta leggere alcuni degli straordinari e coraggiosi reportage giornalistici di Pippo Fava per rendersi conto dell’intollerabile condizione di degrado che ha devastato il centro e che ancora vi si ripercuote28. Tali condizioni sono ben note in area e si presentano nella forma cristallizzata e condivisa di superimmagine. La super-immagine è l’altra faccia della salienza sociale del comune. Le precondizioni linguistiche di salienza sono identiche per Licata e Palma di Montechiaro, ma sono iconizzate solo se riferite a quest’ultima a ragione della natura della sua salienza sociale, la quale fa emergere i tratti linguistici potenzialmente salienti. L’affricata post-alveolare è stereotipo dello stigma linguistico e socio-demografico di Palma di Montechiaro. È questo uno dei molti casi in cui i fattori extra-linguistici, in particolare di natura ideologica, pragmatica ed interazionale, sono causa di salienza. Non è un caso che la più della metà (11 su 20) degli informatori che individuano a Palma l’affricata post-alveolare sono di Agrigento, il comune capoluogo di provincia, (auto)rappresentato dai parlanti che vi risiedono come polarità forte da opporre al polo negativo più saliente dell’area. E nemmeno è un caso che nessuno degli agrigentini indichi Licata. Questo tipo di opposizione ricorre con significativa frequenza nel corpus con questo specifico profilo cognitivo e pragmatico.

28 «Ogni anno a Palma di Montechiaro, nascono mille bambini. Più di cinquanta muoiono prima dell’età scolare, cinquanta si ammalano e restano deformi e stupidi, cinquanta resteranno analfabeti e altri cento in media diventeranno delinquenti. Centocinquanta di loro riusciranno a sopravvivere lavorando la terra, altri cento lavorando da muratori, manovali, falegnami, fabbri, maestri elementari, droghieri, avvocati, medici e professori. Altri cinquecento dovranno andare emigranti. Come a Palma di Montechiaro in tanti altri paesi della Sicilia, della Calabria e del napoletano». Fava (1983).

6. CATEGORIE, DICOTOMIE, IDEOLOGIA, SPAZI 6.1 PER UNA DEFINIZIONE DI ‘CATEGORIA CONTINUA’ 6.1.1 Qualità e quantità, in forma di rappresentazione e in bocca di parlante Definendo le tendenze degli informatori ALS a rappresentare i fatti di lingua e i fatti di società con opposizioni dicotomiche, abbiamo più volte fatto riferimento al concetto di categoria. Allo stesso modo, abbiamo constatato come lo stereotipo sia una forma di categorizzazione, semplificazione e cristallizzazione, costituita intorno ad un consenso comunitario. D’altro canto, abbiamo sostenuto che gli oggetti di queste forme di categorizzazione sono le storie del tempo di vita quotidiana, flussi di persone, di cose, di sentimenti, di identità, di parole. Dunque, quando si è parlato di categoria abbiamo dovuto riferirci ad un costrutto stabile, con confini rigidi e netti, tutto sommato monolitico; quando ci siamo riferiti al suo oggetto siamo stati ricondotti, invece, alla dimensione plurima delle pratiche sociali, alla cultura quale agente di mutevolezza, di imprevedibilià, di costruzione interazionale. Questa dualità, basata sulla dialettica tra categorizzazione e flusso, rende insidioso l’utilizzo del concetto di categoria e impone che se ne definiscano con precisione natura e ambiti. Impone la definizione di ‘categoria continua’, un modello di categoria, dunque, che contenga al suo interno gli strumenti capaci di superare l’apparente ossimoro che sarebbe determinato dal coagulo dei due termini. È quanto ci proponiamo di fare in questa parte, prima di illustrare più precisamente come e in quali forme le categorizzazioni dicotomiche siano presenti nelle interazioni metalinguistiche ALS, anche in quanto espressioni di salienze linguistiche, pragmatiche e demografiche. 6.1.2 Oltre il principio di appartenenza/non appartenenza: condivisioni e fratture di comunità Dicendo della dualità tra categoria e flusso esibiamo consapevolmente un approccio un po’ naive, assumendo il ruolo di un dialettologo che deve interpretare ciò che i suoi informatori gli raccontano. Ma in effetti è necessario ripercorrere il dibattito sulle attività di categorizzazione e sulla natura e l’organizzazione degli elementi della categoria. All’interno di tale dibattito, approdato ad un un apparato teorico oggi abbastanza definito, vanno in primo luogo poste due precisazioni propedeutiche.

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6.1 Per una definizione di ‘categoria continua’

Prima. Quando parliamo di categoria ci riferiamo ad un processo mentale. Sono questi processi mentali con funzione classificatoria che sono denominati “categorizzazioni” e i loro prodotti “categorie cognitive”. Seconda precisazione. La psicologia cognitiva opera un’importante differenziazione degli oggetti coinvolti nel processo mentale. Esistono dunque attività di categorizzazione con elementi privi di materialità, oppure dotati di materialità. Gli elementi del primo tipo (lunghezza, larghezza, altezza, colori, etc.) hanno una natura puramente percettiva, diversi da quelli del secondo tipo che sono con minor evidenza puramente percettivi. Il dibattito scientifico sui processi mentali di categorizzazione può essere storicamente ricondotto a quattro fasi teorico-metodologiche e ad uno snodo finale rappresentato dalla decisa enfatizzazione degli aspetti socio-cognitivi della dipendenza dal contesto. Ecco uno schema analitico: 1° zone di transizione e logica binaria di appartenenza/non-appartenenza ad una categoria (Black 1949); 2° colori focali (Berlin/Kay 1969) e somiglianze di famiglia (Wittgenstein [1953] 2009); 3° prototipi, salienza percettiva-cognitiva (Rosch, 1973, 1975); 4° profili di consistenza e dipendenza dal contesto (Labov 1973,1978); 5° dipendenza dal contesto e modello cognitivo. Nella teoria delle zone di transizione va individuato il punto di superamento della prospettiva sì/no, appartenenza/non appartenenza, a favore dell’apertura ad un terzo elemento della relazione. Black (1949, 32) è infatti interessato a stabilire se e come un elemento (“reperto”) da classificare sia oppure non sia un oggetto o un concetto, e in quali misura e fino a che punto. Egli propone l’esempio della sedia: le migliaia di elementi “sedia” sono disposti lungo la linea immaginaria chiusa ai due estremi, rispettivamente, dalla sedia Chippendale1 e dall’ indistinto pezzo di legno. Le posizioni di ciascun elemento sulla linea sono determinate dalla distanza dai due poli: più l’area occupata da un elemento sulla linea è lontana dalla sedia Chippendale, meno qualità2 di sedia tale elemento possiede, e viceversa. Gli elementi distribuiti sulla linea non sono separati da confini netti e l’area che determina il passaggio, poniamo, dall’elemento x all’elemento x1, è una zona di transizione. Black oltre che alla natura delle zone di transizione è interessasto anche a stabilire (esercizio “estremamente difficile”) quale potrebbe essere il punto sulla linea al di qua del quale gli elementi sono sedia e oltre il quale non sono sedia. In questo modo, probabilmente per la prima volta, la vaghezza dei confini viene applicata non solo agli oggetti di natura puramente percettiva, ma anche a quelli con minor evidenza puramente percettivi. 1 2

Chippendale è il cognome di una famosa dinastia inglese di creatori e produttori di mobili. Black utilizza i concetti di “qualità” e “quantità”: più quantità di sedia contiene un oggetto, più qualità di sedia esso possiede. La quantità è proprietà meno evidente rispetto alla qualità che esprime.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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Il modello di Black costituisce un passo in avanti non trascurabile in direzione della natura fuzzy dei confini, se si tiene soprattutto in conto che esso, in realtà, più che alla sfumatezza dei confini degli elementi, si riferisce a quella delle categorie cognitive. La scoperta che parlanti di lingue diverse condividono una struttura di punti di riferimento e di orientamento sul continuum dei colori va oltre la prospettiva di Black. Le ricerche degli antropologi Berlyn e Kay sono conosciute come fra le più efficaci confutazioni dell’arbitrarietà della denominazione dei colori (cfr. Brown/Lenneberg 1954). Berlyn e Kay hanno sottoposto ad informatori, parlanti 98 diverse varietà di lingue e distribuiti in svariate parti dell’emisfero, il Munsell colour chip, una tavola di colori3 composta da 3204 chips (rettangolini) rappresentativi di 40 colori diversi; i chips sono ottenuti incrociando i gradi di luminosità (lato verticale) e di sfumatura (lato orizzontale)5. Dell’esperimento di Berlin e Kay prendiamo qui in considerazione solo i test orali condotti su parlanti di 20 lingue differenti. A questi è stata mostrata la tavola dei colori ed è stato chiesto di individuare un colore x utilizzando un solo termine nativo, che potesse essere utilizzato in svariate situazioni e che fosse di uso comune, cioè noto alla maggior parte dei parlanti. Uno dei risultati dell’esperimento di Berlin e Kay è stato scoprire che nella categorizzazione dei colori tutti i soggetti si orientano basandosi sulle medesime aree del continuo della tavola dei colori; detto in altre termini, i soggetti indagati individuano i migliori esempi (si tenga bene a mente: “migliore esempio”) di determinati colori. Queste aree sono state definite “foci” o “colori focali”. Questo è accaduto anche per le altre 19 lingue diverse dall’inglese. Inoltre, all’interno di tali aree quasi tutti gli informatori hanno indicato il medesimo punto con riferimento ad un dato colore (ovviamente denominato con termini diversi nelle diverse lingue sotto esame). Questi sono stati denominati “punti focali” e sono dotati di grande salienza. Perfino per lingue che hanno un minor numero di termini per i colori di base, gli esempi più rappresentativi di queste categorie coincidono con i punti focali di lingue più articolate, come appunto l’inglese. Berlin e Kay concludono sottolineando che la categorizzazione dei colori non è affatto arbitraria: i confini tra le categorie di colori varia da lingua a lingua e anche tra parlanti una stessa lingua, mentre i colori focali e i punti focali sono condivisi dai parlanti una stessa lingua ma anche tra parlanti di lingue differenti6. Le categorie 3

4 5 6

Il campione di colori standardizzati è ottenuto incrociando nella tavola i livelli di luminosità (asse verticale, da lucente a scuro) con i livelli di sfumatura (da rosso a rosso-viola, passando per rosso-giallo, giallo, verde-giallo, verde, verde-blu, blu, blu-viola, viola). Ovviamente i nomi dei colori non compaiono sulla tavola. I colour chips testati sono in tutto 329: 320 rappresentati nella tavola e 9 in una barra verticale che contiene bianco, nero e 7 livelli di grigio. La terza delle fondamentali dimensioni dei colori, la saturazione, non è inserita nella tavola. Un aggiornamento con utilizzo di modelli computazionali delle ricerche di Berlin e Kay è in Belpaeme/Bleys 2005, che giungono a risultati sulla categorizzazione dei colori che confutano l’ipotesi innatista.

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6.1 Per una definizione di ‘categoria continua’

quindi hanno un centro e dei punti periferici, gli elementi della categoria occupano posizioni diverse e quindi hanno status diversi. 6.1.3 La teoria dei prototipi. Una prima lista per un apparato utile per la DP e la definizione di categoria continua Dai colori focali teorizzati da Berlin e Kay muovono le teorie di Eleanor Rosch (1973, 1975). Il percorso che conduce la cognitivista americana a definire per la prima volta il concetto di prototipo si fonda sulla teoria dell’alta salienza percettivocognitiva dei colori focali, peraltro non di esclusiva competenza del settore visivoculturale dei colori, ma estendibile a tutti quegli elementi che Black chiamava reperti e che costituiscono gli oggetti di percezione. La salienza dei colori focali7 è individuata in tutti e tre i tradizionali processi che costituiscono la categorizzazione. Ecco uno schema essenziale: 1° selezione degli stimoli: gli informatori preferiscono i colori focali (tecnica del show me colour game)8; 2° identificazione e classificazione: gli informatori scelgono con molto maggiore incidenza e trattengono in memoria i colori focali (tecnica del colour matching task)9; 3° denominazione: gli informatori denominano più velocemente i colori focali10. L’integrazione fra i concetti di prototipo e di tipicità (goodness) dei costituenti della categoria (Rosch 1975) definisce il profilo della categoria. Posta una categoria (uccello, veicolo, arredamento, frutto, etc.), gli informatori dimostrano di avere una larga condivisione dei miglior esempi (pettirosso e passero, automobile e vagone ferroviario, sedia, arancia, etc.) e dei cattivi esempi. La disposizione continua degli elementi lungo l’area concettuale della categoria, dal migliore al cattivo esempio, 7

L’obiezione che la salienza dei colori focali sarebbe dovuta alla loro posizione centrale (e dunque non periferica) nella serie dei colori, e che quindi la salienza già operante a priori invaliderebbe la deduzione della Rosch, consiglia la ricercatrice a ripetere gli esperimenti posizionando i focal sia in posizione centrale che periferica e dimostrando che i risultati dell’indagine non cambiano (Rosch 1973). Ne diamo qui conto perché il termine “prototipo”, ancora oggi utilizzato da parecchie scuole di psicologia sociale e in altri diversi campi di ricerca, nasce dalla necessità di neutralizzare la connotazione semantica di “focale”. E dato che la Rosch aveva attinto la parola prototipo dalle prime indagine sui modelli di riconoscimento con input di natura geometrica, era necessario distinguere quel tipo concettuale di prototipo troppo sbilanciato sull’artificiosità dei fenomeni sotto osservazione, con quello riferito ad oggetti di percezione meno arbitrari: da qui la denominazione “prototipo naturale” per la quale protende Rosch (1973), espressione in verità poco usata. 8 Una gamma di colour chips riferiti ad un colore focale e altri sette chips della stessa sfumatura sono stati sottoposti a bambini di 3 anni ai quali è stato chiesto di indicare il colore che più piaceva loro. 9 Il campione era costituito da bambini di 4 anni ai quali sono stati mostrati chips focali e non focali in ordine casuale e una sola volta. 10 L’esperimento ha anche mostrato che i colori focali sono appresi prima dei quelli non focali.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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dimostra che l’appartenenza o meno degli item alle categorie non si basa su processi cognitivi del tipo sì/no, appartenenza/non-appartenenza, ma su modelli fondati sulla differenza di grado della tipicità, cioè sulla loro distanza da un nucleo semantico centrale o prototipico. La tipicità è qualificata dagli attributi, ovvero dalle proprietà condivise dalla maggior parte dei membri della categoria (per esempio, nel caso degli uccelli: ali, piume, capacità di volar, etc.11). Gli attributi tendono a presentarsi in fasci di occorrenze aggregate secondo i principi di somiglianza (es.: le ali normalmente non occorrono con le ruote dell’auto). Gli attributi, cioè, tendono in natura a correlarsi. Determinano la capacità di un elemento della categoria di essere saliente rispetto agli altri elementi. Non sono necessariamente condivisi da tutti i membri della categoria. I contenuti fondamentali dei concetti di prototipo e di categoria suggeriscono, a loro volta, la griglia delle cose utili all’approccio metalinguistico su ciò che la gente dice e pensa sulle lingue e sulle varietà (storie, interazione, stereotipo, qualità vs. quantità dei dati). Una prima lista di concetti ai quali la DP potrebbe attingere con molto utilità, dunque, potrebbe comprendere i seguenti punti fermi della teoria dei prototipi: i processi di categorizzazione dell’uomo si fondano sul riconoscimento del prototipo della categoria; il prototipo svolge la funzione di punto di riferimento e di orientamento cognitivo nelle procedure di categorizzazione; le categorie non sono omogenee; i confini delle categorie sono fuzzy; gli attributi tendono a sovrapporsi; le liste sono organizzate in matrici secondo i principi di ciò che c’è, ciò che manca, ciò che è deviante; gli elenchi di attributi sono aperti12. Questo ventaglio di concetti può essere ulteriormente sciolto come segue: a) b) c) d)

salienza dei prototipi nelle procedure di categorizzazione; relevance a priori e relevance di contesto; alta condivisione dei migliori esempi (e dei cattivi esempi); disposizione continua degli elementi lungo l’area concettuale della categoria, dal buono al cattivo esempio; e) superamento del modello di processo cognitivo sì/no, appartenenza/nonappartenenza; modello dei differenti gradi di tipicità; attributi come fasci di occorrenze; f) non-omogeneità delle categorie, fuzziness dei confini delle categorie; g) predisposizione degli attributi a sovrapporsi e delle le liste di attributi ad essere aperte.

I punti dell’elenco riguardano nodi cruciali cui la DP si dedica e nel loro insieme costituiscono l’apporto decisivo della psicologia sociale: a) è utile per la riflessione 11 Rosch compila le liste degli attributi sulla base dei dizionari e degli usi correnti. 12 Procedendo per opposizioni, stiliamo la lista che invece definisce le categorie in senso aristotelico, o meglio degli orientamenti che si ispirano al post-aristotelismo: gli attributi non si sovrappongono ma sono proprietà essenziali per la definizione; gli attributi sono costituiti da condizioni necessarie discrete; gli attributi sono elementi essenziali per la definizione di una categoria secondo il principio dell’assenza/presenza o del sì/no; i confini delle categorie sono discreti e non continui.

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6.1 Per una definizione di ‘categoria continua’

sugli stereotipi; b) per il rapporto fra salienza sociale e linguistica (es: iconizzazione, indessicalizzazione di primo e di secondo ordine); c) per le relazioni fra realtà oggettiva e fatti di lingua, e ancora per lo stereotipo; d) per i concetti di repertorio linguistico e di contatto linguistico (già ampiamente utilizzato nella sociolinguistica del repertorio); e) ed f) per la dinamica cognitivo-linguistica fra confini dei parlanti e confini dei linguisti e tra fasci di tratti linguistici versus isoglosse; per la natura emica dei confini; per lo stereotipo e le dicotomie oppositive (es: mare vs. montagna); g) per i confini cognitivi, linguistici e amministrativi e per il modello del neuronal network aperto applicato ai processi di percezione e rappresentazione metalinguistica13. Tutti quanti i punti, poi, forniscono materia utile per la definizione e l’interpretazione delle opposizioni dicotomiche pragmatico-linguistiche alle quali dedicheremo particolare attenzione nella seconda parte di questo capitolo. E quindi anche per la definizione di categoria continua. 6.1.4 Somiglianze di famiglia, relazioni di rete, analogia Quando abbiamo rilevato l’importanza che Rosch riserva alle co-occorrenze e/o fasci di attributi per la qualificazione dei membri delle categorie e alla possibilità che non tutti gli attributi siano condivisi all’interno della categoria (e non siano quindi essenziali nel significato della definizione aristotelica), avevamo ben presente che queste considerazioni contenevano già, benché in nuce, un qualche riferimento alle somiglianze di famiglia teorizzate da Wittgenstein. Il filosofo austriaco utilizza la ben nota categoria dei giochi per dimostrare che alcune forme di categorizzazione sono costituite da elementi fra di loro parecchio dissimili, in quanto condividono pochi attributi o addirittura soltanto qualcuno. Com’è allora possibile che un gruppo di elementi che poco hanno in comune costituiscano una categoria, come di fatto avviene nelle interazioni quotidiane? Wittgenstein conclude che i giochi hanno un qualcosa in comune, che va oltre la singola configurazione degli elementi, in grado di identificarli come categorie. Si tratta di una rete di complicate somiglianze che si sovrappongono e si intrecciano vicendevolmente. Un network di similarità sovrapposte, al quale dà il nome di somiglianze di famiglia: I mean board-games, card-games, ball-games, Olympic game, and so on. What is common to them all? […] For if you look at them you will not see something that is common to all, but similarities, relationships, and a whole series of them at that. [In that games] you find many corrispondences […] but many common features drop out, and others appear […] much that is common is retained, but much is lost. Are they all amusing? […] Or is there winning and losing, or competition betwee player? Think of patience. In ball-games there is winning and losing; but when a child throw his ball at the wall and catches it again, this features has disappeared. […] And we can go through the many, many other groups of games in the same way; we see how similarities crop up and disappear. (Wittgenstein [1953] 1999, 171)

13 Ne abbiamo discusso i particolare nei §§ 2.1.4, 2.1.5, 3.4.2.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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Wittgenstein sostiene che le somiglianze di famiglia sono caratterizzate da un certo numero di attributi che si sovrappongono e si intrecciano ma senza per questo essere condivisi da tutti gli elementi della categoria. Questa rete di rapporti ricorda le relazioni tra gli appartenenti ad un nucleo familiare. Il figlio, ad esempio, può avere il naso della madre, l’andatura del padre, gli occhi del nonno, ma non c’è un insieme di attributi comuni a tutti i membri della famiglia; cosa che però normalmente non impedisce a chiunque di poter individuare quel nucleo familiare (categoria) e i suoi elementi (figlio, madre, padre, nonno). In buona sostanza la somiglianza di famiglia segue lo stesso schema di relazione tra attributi che Rosch/Mervis 1975 rappresenteranno con la catena AB-BCCD-…, esplicitata dall’equazione logica: ciascun item ha almeno un elemento in comune con un altro item della serie, ma non c’è un item uguale ad un altro; ma questo non compromette la potenza dello schema di relazione. Tra il modello di Wittgenstein e quello di Rosch c’è però una differenza fondamentale. Anche il modello proposto da Wittgenstein contempla la procedura di ‘perdita/guadagno/perdita’ di attributi, ma pone la relazione anche tra giochi e partecipanti, coinvolgendo in tal modo le dimensioni interazionale e pragmatica: vincitori, sconfitti, gruppi, singolo, etc. Il punto di snodo che impone la somiglianza di famiglia di Wittgenstein, quindi, non sta nel fatto che questi elementi abbiano diritto di cittadinanza nel modello, bensì nel poterli pensare come nodi di rete in virtù del loro costitutivo ‘tendere alle relazioni’ di somiglianza. Difatti le relazioni non sono strutture vuote ma connessioni interazionali della vita quotidiana, concrete e imminenti ai vissuti esperenziali. Detto in altro modo, molti dei costituenti per esempio delle categorie “gioco di carte” e “facciamo a lanciare la palla sul muro”, hanno nei fattori umano ed emotivo quel qualcosa che li definisce come nodi predisposti alle relazioni che va oltre il loro essere soltanto attributi. Strettamente legato alla somiglianza è il concetto di analogia. Infatti, tecnicamente, le analogie sono atti creativi che istituiscono relazioni fra elementi appartenenti a domini diversi (Holyoak/Thagard 1997). L’attività creatrice che individua le corrispondenze è orientata dalle somiglianze riconosciute da un soggetto in estensioni temporali e situazionali variegate. Le somiglianze, che coerentemente alla nostra prospettiva sono attività relazionali cognitive, coinvolgono fasci di relazioni individuabili nei tre diversi livelli di analogie definiti da Holyoak/Thagard 1997: il primo è il livello fondato su somiglianze fisiche di attributi; il secondo è il livello delle analogie fondate su relazioni fra gli elementi; il terzo livello, la mappatura di sistema, è quello delle somiglianze strutturali fra i domini coinvolti nell’analogia. Le attività di mappatura strutturale sono le relazioni di somiglianza più diffusamente utilizzate nelle relazioni umane e costituiscono i sistemi culturali. La sovrapposizione di elementi appartenenti a domini diversi è una delle forme più produttive della rappresentazione metalinguistica. La prima relazione, che si presenta con regolarità, istituisce i rapporti fra fatti di lingua e fatti demografici e pragmatici. Ma se, a rigore, potrebbe essere non condivisa la scissione fra sfera delle varietà e sfera della socialità, il modello delle reti di somiglianza e di analogia interpreta in ogni caso le sovrapposizioni che il parlante fa negli stereotipi, nelle

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6.1 Per una definizione di ‘categoria continua’

iconizzazioni, nelle indessicalizzazioni e in tutte le forme di rappresentazione ideologicamente connotate, ovvero quando egli sovrappone o associa più o meno consapevolmente i propri vissuti all’interazione che sta adesso vivendo, reinterpretando e ricostruendo lo spazio fisico nello spazio cognitivo. Denunciando la natura interazionale delle somiglianze e delle analogie. La nostra esigenza era quella di intercettare modelli e connessioni che potevano risolverci il problema di intravedere un filo di senso a quanto andavamo trovando nei dati ALS. Le categorie dei parlanti (mare vs. montagna, città vs. paesi, etc..) si presentano nella forma di nette separazioni spaziali ma allo stesso tempo si contestualizzano nei flussi fuzzy delle storie alimentate dalle evocazioni e dalle emozioni. Come possiamo conciliare la rigidezza della categorizzazione con la sfumata vaghezza delle narrazioni? Il problema richiede una soluzione con qualche rischio ossimorico, dato che, non volendo rinunciare a riconoscere né la categoricità del giudizio metalinguistico né la sua fluidità nelle narrazioni, impone di pensare ad un modello di ‘categoria continua’. Le categorie prototipiche cognitive di Rosch e i punti da a) a g) elencati sopra, si avvicinano alle esigenze di questa formulazione. Con le somiglianze di famiglia di Wittgenstein dobbiamo allungare la nostra lista: h) pragmatica comunicativa e meta-comunicativa e componenti affettive relazionali poste in relazione mediante rapporti di similarità nelle reti sociali. Questo ultimo elemento ci è utile per la riflessione su categorie continue e momento intervista quali funzioni interazionali di co-costruzione sociale. La riflessione su quelle che adesso chiamiamo, con un coagulo concettuale, categorie continue, trova conforto anche nei punti e) ed f) dell’elenco. 6.1.5 L’uomo categorizzante e l’attività linguistica di categorizzazione In Labov 1973 il problema delle categorie e dei confini diventa essenzialmente il problema dei rapporti e delle associazioni fra segno linguistico e mondo extra-linguistico (ivi, 36) e delle loro relazioni negli atti di denotazione o referenza. Labov muove dai ragionamenti di Weinreich 1962 su segno, significato, situazione e referenza. Dato un segno L, questo denota un oggetto x se e solo se tutte le condizioni C1, C2, Cn sono soddisfatte; un concetto così riscritto in versione sequenziale: «L(x) if C1 and C2 and Cn» (cit. in Labov 1973, 36-3714). La natura continua e non discreta di tali condizioni è il presupposto per l’interpretazione del campo semantico di segno e referente: «We are dealing […] with the knowledge of ability to apply a term to a range of objects in way that reflects the 14 Labov specifica che le condizioni che fanno sì che un segno L denoti un oggetto x sono “criteriali”. Le condizioni criteriali hanno molto in comune con i tratti distintivi definiti in Jakobson/Fant/Halle (1952, 37).

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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communicative system utilized by others» (ivi, 36). La parola sta in relazione non con una unità o una realtà compatta (o diremmo olistica nella sua struttura percettiva che si ostenta al mondo) ma con un range di referenti per molti dei quali è difficile dire cosa esattamente essi siano (ivi, 29), in quanto le parole e con maggiore rapidità gli oggetti della referenza cambiano nel tempo e nello spazio15(ibidem). Accanto a questa eterogeneità straordinaria degli elementi della referenza, c’è la straordinaria capacità degli uomini di applicare le parole agli oggetti (ivi, 30). Se le cose stanno in questi termini, gli agenti e le relazioni che ruotano intorno all’universo ‘referenza/denotazione’ si qualificano in quanto non semplicemente parti ma caratteristiche del mondo e dei mondi che li accolgono e dei quali contribuiscono allo strutturarsi delle interazioni nei diversi livelli di organizzazione sociale. E siccome applicare una parola ad una serie possibile di cose impone di dover riflettere su un certo modo di tassonomizzare il mondo, bisogna presupporre che insito all’uomo e alla sua natura relazionale siano le attività di categorizzazione, che Labov qualifica “di base” (ibidem). Infatti, l’uomo è un essere categorizzante e il linguaggio è un’attività di categorizzazione (ivi, 32). Le indagini di Labov, che consistono nella ostensione di oggetti con richiesta di denominazone finalizzate ad esplorare il mondo del linguaggio e dei referenti, sono ben note. Ciò che qui interessa con maggior rigore è che esse siano motivate dalla forte esigenza euristica di trovare un modo alternativo al tradizionale punto di vista sulla categorie o categorial view16, cioè una ipotesi che nello stesso momento in cui valorizzi le attività di categorizzazione, su di esse si interroghi rischiando anche di metterne in crisi lo statuto. Un po’ lo stesso lavoro che in quegli anni Rosch faceva sui nuclei cognitivi di significato e che Labov dedica alla semantica delle parole. È probabile che nell’asserire l’inadeguatezza del categorial view, Labov intercetti le esigenze di un linguista che ha necessità di guardare oltre uno strumento metodologico che, se può fornire utili punti di riferimento teorici, risulta inadeguato di fronte all’eterogenea complessità dei fenomeni di lingua, siano essi riscontrati nei modi della distribuzione nel mondo (diatopia) che nelle forme della composizione interna (struttura-funzione). Come potremmo mai spiegare dentro la prospettiva del categorial view, si chiede Labov, fenomeni come il cambio linguistico e le variazioni di strutture linguistiche? O ancora: se, al limite, potrebbe essere facile asserire che Francese e Inglese sono due differenti sistemi, come la mettiamo con le linee di confine fra diverse varietà di una lingua (ivi, 31-32)? Come facciamo a perimetrare, all’interno delle varietà urbane, i sub-sistemi caratterizzati, ad esempio, dalle variabili classe sociale ed etnicità (ivi, 35)? È vero che questi interrogativi oggi sono molto diffusi tra gli studiosi di ogni settore di studi su lingua e varietà e sono anche parte consolidata dello statuto della dialettologia percettiva, ma è probabile che alcune volte essi lo siano nelle sembianze di parte emersa di quelle teorie 15 Cfr. Ruffino 1991a, 2001, 2008. 16 All’interno del categorial vew le unità linguistiche sono categorie: discrete; invariabili; qualitativamente distinte; definite congiuntivamente (ovvero da proprietà essenziali e non accidentali); composte di atomi primi (ivi, 31).

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6.1 Per una definizione di ‘categoria continua’

cognitive forse un po’ sommerse che hanno spezzato le linee continue della categorizzazione classica a vantaggio delle categorizzazioni fuzzy17. A vedere alcune matrici di Labov dei rapporti nelle categorie fra item («languages, dialects, villages, parts of speechs, words, phonemes», ivi 32) e proprietà, è evidente quanto esse somiglino alle carte con isoglosse. Ad esempio, in Fig. 6.1 le due categorie X+ e X- non sono sufficienti a descrivere il campo della categorizzazione, perché c’è un gruppo, formato dagli elementi da e a h, caratterizzati dalle proprietà da 1 a 3, per il quale dobbiamo prevedere un’ulteriore categoria.

Fig. 6.1 Categoria, elementi, proprietà (Labov 1973)

Se fossimo nel campo della geografia dei dialetti (ivi, 36), seguendo Labov dovremmo dire che all’interno della comunità linguistica X e fuori dalla comunità linguistica Y, si definisce la categoria X’ i cui item, e solo questi, condividono quelle precise proprietà. Ma le comunità linguistiche non sono il prodotto spaziale di una linea che passa, non sfuggono al caos di lingua e di società. E il caos possiamo interpretarlo con gli strumenti che consentono di non annullarlo in teoria e ai quali non sia estranea qualche particella concettuale di caos. Gli strumenti che, per esempio, hanno motivato il ragionare su concetti come isoglosse, aree, confini e fasci18, arealità, fuzziness.

17 Una sintesi molto efficace e illuminante della pluralità di problemi e dimensioni coinvolti nelle relazioni fra variazione linguistica e continuum cognitivo, soprattutto all’interno della sociolinguistica, è in Berruto (2003, 152-158). 18 Labov nel suo saggio utilizza più volte la parola bundle (fascio).

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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6.1.5.1 Le “semantic fringe areas” nell’elicitazione dei dati e nella “social life” Nel saggio di Labov di cui ci occupiamo il nucleo motivazionale delle indagini è l’analisi della corrispondenza tra processo di categorizzazione e attività linguistica: il confine è vago o indistinto o sfumato. Al centro dell’analisi, come abbiamo già detto, stanno le riflessioni sulla polisemia: la stessa parola che in potenza ha la proprietà di potere indicare più referenti, in una situazione comunicativa data può davvero far riferimento ad un solo referente? E siamo sempre certi della natura del referente, visto che Labov mette in guardia sulla difficoltà di dire cosa esattamente esso sia nel contesto della social life? È anche vero che le inchieste di Labov sulla polisemia sono entrate nella considerazione successiva come la prova della fuzziness dei confini delle categorie. Ma si farebbe torto a sottovalutare i connessi nuclei concettuali che associano la denominazione alla vaghezza e i parlanti alla vaghezza soggettiva ovvero alla capacità di un termine, attestata in un campione di parlanti, di denotare o non denotare. Le inchieste di Labov hanno ricevuto approcci diversificati di attenzione19, ma esplicitarne i dettagli originali è utile. L’indagine qui sotto esame consiste nel sottoporre agli informatori gli elementi della serie cup-like objects qui in Fig. 6.2. Gli oggetti che, come si può rilevare dalla figura, differiscono per larghezza, altezza, estensione dello stelo, forma (concava o cilindrica, triangolare o quadrata), vengono presentati uno per volta, in due ordini casuali, chiedendo agli informatori di denominarli (neutral context). In un secondo tempo, la richiesta di denominazione avviene in dependence-context in quanto gli informatori sono invitati ad immaginare l’oggetto in relazione ad altri oggetti e a precise funzioni e situazioni20. Labov definisce “consistenza” di un termine quante volte gli informatori del campione lo utilizzano per denominare l’oggetto proposto. I valori percentuali che esprimono tale quantità e gli oggetti a cui fanno riferimento sono rappresentati in un diagramma cartesiano qui mostrato in Fig. 6.3 e che si riferisce ai risultati relativi ai primi cinque oggetti in ordine crescente di larghezza; Labov denomina questo diagramma “profilo di consistenza”21. Invitiamo a considerare i risultati dell’indagine in neutral context, segnalati dalla linea spessa. Per gli oggetti 1 e 2 tutto il campione utilizza la denominazione cup. Le opzioni per cup scendono lievemente in corrispondenza dell’oggetto 3 e poi precipitano a meno del 25% per l’oggetto 4. 19 Per una discussione sulla ricerca di Labov si possono per esempio consultare Keith (1986, 107109), Ungerer/Schmid (2006, 20-23). In Petrucco 2006 un’originale interpretazione. 20 Di seguito i contesti (anche situazionali) dell’indagine. Coffee context: immaginare di tenere l’oggetto nella propria mano, di mescolare lo zucchero con il cucchiaino, di bere il caffè dall’oggetto (per alcune lingue, il tè). Food context: immaginare di essere a cena da qualcuno è vedere gli oggetti sul tavolo, immaginare che gli oggetti siano ricolmi di purè di patate. Flower context: immaginare l’oggetto su uno scaffale, con dei fiori. Inoltre gli oggetti vengono presentati senza manici e poi con due manici. In un’altra serie vengono indicati i diversi materiali degli oggetti: porcellana, vetro, carta, metallo (cfr. ivi, 44 e segg.). 21 La Fig. 6.3 mostra alcuni i risultati relativi agli informatori del Gruppo A: undici soggetti per i 19 oggetti della serie di Fig. 6.2.

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6.1 Per una definizione di ‘categoria continua’

Fig. 6.2 Serie di «cup like objects» sottoposti agli informatori (Labov 1973)

Fig. 6.3 Profilo di consistenza per «cup» e «bowl» (Labov 1973)

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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Le percentuali di denominazione per bowl seguono un andamento in larga misura inverso: assenti dove cup ha valore 100, salgono lievemente quando si incomincia a registrare la discesa di cup, salgono decisamente quando cup scende decisamente. Il punto nello spazio semantico che accoglie l’intersezione fra le linee dei due oggetti, fra le spinte di cup e di bowl, rispettivamente, ad indebolirsi e a rinforzarsi, è propriamente il luogo dove Labov colloca il ‘problema’ dei confini tra le categorie. Difatti qui le probabilità che l’oggetto sia denominato cup ovvero bowl sono più o meno le stesse e «it is possible to assert with equal truth that the object is a cup and that it is not a cup»22 (ivi, 46). Labov definisce questo luogo fringe area, l’area periferica fra categorie adiacenti che qualifica “vaghi” i confini delle attività di categorizzazione. Lo stesso fenomeno si presenta per i dati ottenuti con la somministrazione degli oggetti in contesto (nell’esempio qui considerato food) anche se, ed è molto significativo, la situazione in contesto determina notevoli modifiche alle attività di denominazione degli informatori, come dimostra l’andamento della linea meno spessa. Le posizioni di Labov, che non smentiscono quelle di Rosch, sottolineano la compatibilità fra campo semantico e vaghezza (o fuzziness): quest’area, che in senso roschiano è il confine fuzzy delle categorie, segnala la capacità degli uomini di poter disporre di una serie di nomi o denominazioni e di poterne scegliere uno o più d’uno quando essi sono sottoposti alla prova ordinaria di discernere fra categorie vicine, sia nelle situazioni intervista di rilevamento dei dati, sia nella realtà quotidiana della social life. Tale vaghezza lessicale, che ovviamente oltre che al segno linguistico si riferisce anche al referente, è secondo Labov una delle proprietà costitutive del linguaggio. Delle posizioni di Labov ci sono utili: i) confini fra categorie adiacenti: vaghezza, aree periferiche; j) vaghezza semantica del referente e della parola; i) concorre alla definizione delle dicotomie ALS e dello stereotipo; j) concorre alla definizione ancora delle dicotomie ALS. 6.2 LE CATEGORIE CONTINUE PER L’INTERPRETAZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI OPPOSITIVE ALS L’impianto teorico di categoria continua delineato sopra, nel corpus ALS va applicato a tre tipi specifici di rappresentazione di elementi linguistici ed extra-linguistici individuati:

22 Qui Labov richiama il concetto di «vaghezza» di Black che è riferito a quegli oggetti per i quali è impossibile dire che il «termine» denota o non denota. Labov ricorda che la teoria di Black è definita tenendo conto di: utilizzatore del linguaggio; situazione nella quale si tenta di applicare un termine L ad un oggetto x; «consistenza» di applicazione di L ad x.

178

6.2. Le categorie continue per l’interpretazione delle rappresentazioni oppositive ALS

a) ‘dicotomia oppositiva’, o ‘dicotomia interazionale, o ‘opposizione categoriale linguistico-pragmatica’, coinvolge i livelli di lingua, spazio/territorio, società (v. § 6.2.1 e segg.). Diffusa in maniera molto signifcativa nel corpus, ne presenteremo un’ampia rassegna (§ 6.4 e segg.); b) ‘ideologia linguistica di primo livello’: si differenzia dalla dicotomia in quanto è priva dell’aggancio spaziale (v. § 6.5); c) ‘i (italiano) vs. d (dialetto)’, va differenziata dall’‘ideologia linguistica di primo livello’ in quanto contiene una indicazione analitica dei tratti linguistici della differenza, in prevalenza di tipo lessicale (62,31%) (quella fonetica incide per il 22,76%). Ci occuperemo di questo tipo di categoria rappresentazionale in sede di analisi dei dati linguistici (v. § 8.3.1). La Tab. 6.1 mostra le percentuali di incidenza tra gli informatori dei tre tipi elencati sopra. I dati sono stati ottenuti verificando per ciascun informatore la presenza o meno di almeno uno dei tre tipi nell’interazione alle richiamate domande 16, 17 e 18. I rapporti percentuali sono stati calcolati sulla base del numero degli informatori del campione che sono entrati a far parte dell’indagine: 839. La tabella mostra che sul totale di 839 informatori, 320 (38,14%) hanno messo in atto comportamenti verbali di opposizione categoriale. Con la Tab. 6.2, è interessante considerare anche il totale delle opposizioni categoriali prodotti dai 320 informatori individuati in tab. 6.1. Infatti in alcuni casi uno stesso informatore ha indicato più paesi e/o più tipi: dati, questi, che sono stati analiticamente catalogati.

assoluti

Dicotomie 58

%

6,91

Ideologia linguistica di I livello 103

Lingua i vs. d. 159

Totali 320

12,28

18,95

38,14

Tab. 6.1 Tipi di categoria rappresentazionale ALS. Informatori

Dicotomie

Ideologia linguistica di I livello

Lingua i vs. d.

Totali

139

118

284

541

Tab. 6.2 Tipi di categoria rappresentazionale ALS. Output informatori

6.2.1 Gli ‘spazi’ dicotomizzati ALS: definizione Procediamo ad analizzare da vicino le tipologie di attività di categorizzazione presenti nel corpus ALS elencate nel paragrafo precedente che interpretiamo all’interno del paradigma della categoria continua (con eccezione come detto dell’opposizione nel livello linguistico i vs. d). Va qui precisato che le specifiche attività del parlante

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

179

che iniziamo ad analizzare sono atti di rappresentazione. In questa sede ci basta definire la rappresentazione l’idea che ci si fa su un oggetto e come questa idea viene reduplicata, cioè riprodotta, e comunicata. Vedremo come l’oggetto di rappresentazione è costituito da più livelli. Incominciamo con l’opposizione che abbiamo denominato ‘dicotomia oppositiva’. Alcuni informatori nel rispondere alle domande 16, 17 e 18 della seconda parte del questionario e nel costruire quindi i momenti interazionali dei loro vissuti e nel raccontare dunque le ‘storie’, interpretano la radicata esigenza di categorizzare lo spazio per opposizioni. Il fenomeno si presenta come processo socio-cognitivo rappresentazionale, rilevato in risposte basate su dicotomie oppositive. Le dicotomie ALS si fondano su un substrato ideologico costituito dai due livelli di ‘lingua’ e ‘spazio/territorio’ i quali risultano associati; il primo si basa sull’opposizione principale ‘italiano vs. dialetto”; il secondo, su opposizioni che focalizzano l’articolazione morfologica del territorio, ad esempio ‘mare vs. montagna’. Nel seguente stracio d’interazione le opposizioni nei livelli della linga (‘siciliano più elegante’ vs. ‘siciliano meno elegante’) e dello spazio-territorio (‘paese di mare’ vs. ‘paese di montagna’) sono associate nella rappresentazione ‘montagna = siciliano meno elegante’: 17. per esempio nta sti paesi di montagna23 si parla un ziciliano diverso dal nostro. noi lo parliamo più:: con eleganza diciamo così (P e R accennano a ridere). (NF4 Capo d’Orlando24 - ME)

Sono quindi due i livelli costitutivi della dicotomia ALS: lingua e spazio/territorio. L’accumulo di questi due livelli, evidentemente, ha una forte caratterizzazione ideologica che colpisce la comunità linguistica obiettivo. Nello stralcio di interazione seguente (di tipologia simile a quella del Nonno di Capo d’Orlando riportata sopra) 18. nta ssi muntagnë. / nta ssi muntag+ | nta ssi paisi di muntagnë. / Gibbelina, Salaparuta25 […] u-nni li capimu. sì: la noto la differenza.26 (NF2 Campobello di Mazara27 - TP)

le opposizioni nel livello dello spazio (‘paese di mare’ vs. ‘paese di montagna’) e nel livello della lingua (‘dialetto comprensibile’ vs. ‘dialetto non comprensibile’) contengono autonoma carica ideologica; tuttavia, il processo di associazione dei

23 In questi paesi di montagna 24 Comune della provincia di Messina posto sulla costa nord-orientale siciliana. È un centro dinamico (D’Agostino/Ruffino 2005, 291-294). 25 Gibellina e Salaparuta sono due piccoli comuni della provincia di Trapani posti nell’area interna della Sicilia sul versante centro-occidentale. 26 In queste montagne in queste montagne in questi paesi di montagna: Gibellina, Salaparuta […] non li capiamo, sì noto la differenza. 27 Comune della costa sud-occidentale della provincia di Trapani.

180

6.2. Le categorie continue per l’interpretazione delle rappresentazioni oppositive ALS

due livelli rende ipertrofica l’opposizione ideologica, qualificando il profilo pragmatico della dicotomia. I processi di rappresentazione si esplicitano anche in verbalizzazioni valutative e dicotomiche del tipo ‘progrediti vs. non progrediti’ (società), nella forma di indessicalità di secondo ordine: 19. I2: [per esèmpio] Çìnisi / | con Cìnisi cc’è una çerta ddifferenza. / perché hanno un accento ddiverso, / dal nostro e:: anche: usano dei vocàbboli molto più arretrati / [ora non di più]= […] R5: per esempio si rricorda qualche vocàbbolo, mi sa ffare qualche:: esèmpio? di Çìnisi di qualche pparola che [a Tterrasini non si usa ppiù.] I6: [ io per esempio] mi ricordo un’espressione che avevano::: | che ricordava anche mia madre sempre. cc’è stato sempre questo senzo di critica tra Çìnisi e Tterrasini28. perchè Terrasini è stata sempre una meta agognata dalla:: | dai:: villeggianti di Palermo e qquindi ha subbito sempre un: certo influsso. mentre Çìnisi è rrimasto sempre più indietro. / mi ricordo che mmia madre diçeva questo che la musica di Terras | di Çìnisi // la musica di Çìnisi non façeva altro che ffare “ru ru”. R7: [cioè xxx] I8: [“çinta nanà”] | ripetèvano continuamente “çinta nanà Faru ru ru zìttuti tu”. (NF5 Terrasini - PA)

Nello stralcio di interazione appena letto dell’informatore NF5 di Terrasini, vanno individuate tre opposizioni nei rispettivi livelli: linguistico («usano vocaboli molto arretrati»); spazio-territorio (centro dinamico vs. paese); socio-culturale («Cinisi è rimasto sempre più indietro»). La forma rappresentazionale è popolata dalle seguenti associazioni: paese = vocaboli arretrati = paese arretrato. I tre livelli interrelati della dicotomia illustrati sopra si basano su corrispettive dimesioni di salienza espresse dalle seguenti matrici opposizionali: SALIENZA LINGUISTICA: es: italiano raffinato, elegante, etc. vs. dialetto, volgare, rozzo, etc. SALIENZA SPAZIO/TERRITORIO: es: città di mare vs. paese di montagna; città vs. paese; etc. SALIENZA SOCIO-CULTURALE: es: progrediti vs. arretrati; etc.

Una prima conclusione sullo statuto dell’attività di dicotomizzazione pone in rilievo alcune delle caratteristiche essenziali: vi sono costitutivi i livelli di lingua e di spazio; lo spazio assume decisa fisionomia cognitiva; è attestata l’incidenza del livello della società; è processo metaforico, analogico e di similarità; può ben essere interpretata dal modello di network neuronale connessionista al cui interno le relazioni per ‘associazione’ riuniscono ma anche, va sottolineato, oppongono gli elementi.

28 Cinisi e Terrasini sono due comuni della provincia di Palermo, situati sul versante costiero nord della Sicilia, al confine con la provincia di Trapani. Distano l’uno dall’altro pochi chilometri.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

181

6.2.2 Due potenti super-stereotipi comunitari Le categorie oppositive degli informatori ALS sono, a un tempo, potenti sollecitatori di stereotipi per i gruppi sociali che li percepiscono e stereotipi esse stesse; a loro volta, sono motivate da due potenti ‘super-stereotipi comunitari’: a) ‘la mia lingua e la lingua della mia comunità è meglio della ligua degli altri’, una matrice interazionale che proclama il dialetto degli altri caratterizzato innanzitutto da pronuncia, accento, tono e lo qualifica ’ncarcatu; rozzu; viḍḍanu, paesanu antico arretrato cupo incomprensibile misterioso pesante strano stretto volgare (con) difetto di dizione. Questi item apeena elencati motivano e sono motivati dall’ulteriore super-stereotipo: b) ‘io e la mia comunità parliamo italiano vs. altri parlano dialetto’ Dai due super-stereotipi discendono tutte le forme di dicotomizzazione. La Tab. 6.3 dà conto delle percentuali di incidenza di ciascuno dei livelli linguistici nelle opposizioni dicotomiche. Tratto linguistico

Valore assoluto

%

Senza tratto

58

41,72

Soprasegmentale

31

22,30

Incomprensione

31

22,30

Tot. senza tratti

120

86,32

Fonetico

9

6,49

Lessicale

8

5,75

Morfologico

2

1,44

Tot. con tratti

19

13,68

Tot. complessivo

139

100

Tab. 6.3 Dicotomie oppositive. Livelli linguistici

182

6.2. Le categorie continue per l’interpretazione delle rappresentazioni oppositive ALS

Come si evince dalla Tab. 6.3, l’86,32%29 del sottocampione nello spazializzare la relazione con l’alterità nelle forme della dicotomia oppositiva, non vi associa tratti linguistici distintamente percepiti e/o rappresentati. Sembra che la carica di attenzione ideologica di tipo stigmatico alla lingua e alla comunità oggetto di dicotomia, risulti così forte tanto da omogeneizzare la varietà bersaglio in una super-immagine privata dalle singole particolarità linguistiche. Tutto questo, e a maggior ragione, malgrado l’attesta salienza nel campione dei tratti lessicali e fonetici. Presentiamo la descrizione, ciascuna corredata da un esempio, per le opposizioni categoriali senza tratto, soprasegmentale, incomprensione. Comprende i valori che qualificano il super-stereotipo ‘la mia lingua e la lingua della mia comunità è meglio della ligua degli altri’, che abbiamo già elencato: ’ncarcatu, rozzu, viddanu; paesanu; antico; arretrato; cupo; incomprensibile. Segnala l’atteggiamento e il comportamento più diffuso tra i parlanti che dicotomizzano le rappresentazioni: invece che i singoli tratti linguistici, essi colgono la salienza olistica della varietà bersaglio. L’altra caratteristica fondamentale di questo tipo di salienza è la sua forte caratterizzazione ideologica. L’esito è una rappresentazione di ‘tutto in uno’, dove i tratti linguistici sono appiattiti e fagocitati dalla forza del giudizio e del pregiudizio linguistico. Nello stralcio d’interazione che segue le opposizioni categoriali sono città vs. paesi dell’entroterra, pronuncia e parlata della città vs. pronuncia più stretta, parlata più cupa:

SENZA TRATTO

20. poi chiaramente i paesi dell’entroterra dove sono più stretti che possono essere Adrano Bronte: Randazzo30: eccetera sono già con una pronuncia più stretta ecco cioè l+ l+ o+ | secondo me ogni paese c’ha la sua poi ehm: poi si: si vede si: si nota più: | di meno se sono più viçini alla alla città di Catania appena si allontanano già si vede di più se poi cambi provincia ancora di più […] perché: secondo me ce l’hanno più cupa la parlata [mh.] nei paesi dell’entroterra (GF4 Catania) SOPRASEGMENTALE Al pari della opposizione categoriale priva di esplicitazione di specifici tratti linguistici che abbiamo appena illustrato, anche questa etichetta è una declinazione del super-stereotipo ‘la mia lingua e la lingua della mia comunità è meglio della ligua degli altri’ e segnala una percezione/rappresentazione della differenza linguistica di tipo olistico. Nello stralcio d’interazione seguente vanno individuate le seguenti opposizioni categoriali: città vs. paesi, accento di città vs. accento di paesi:

21.

29 Ovvero i livelli linguistici senza tratto, soprasegmentale, incomprensione. In merito a quest’ultimo Telmon (2002a, 41-42) sottolinea come i quesiti sulla comprensione delle varietà siano stati generalmente trascurati: «Soltanto Yoshio Mase, quando aveva fatto il piccolo atlante sulla provincia di Nagano e Gifu sulle Alpi olandesi, aveva aggiunto alle tradizionali domande sulla similarità e la differenza, anche il quesito “Quale villaggio ha una parlata così diversa da non potersi comprendere?”». 30 Piccoli paesi della provincia di Catania in posizione internata rispetto a Catania.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

183

I4: sì sì vabbe’ cambia molto l’accento. comunque si sente subito quando mh: provengono dai paesi. R1: per esempio quali sono questi paesi dove pensi ci siano delle differenze. I2: vabbe’ io posso dire le persone che ho conosciuto= R3: certo. I4: =magari tipo Belmonte Mezzagno, oppure che ti so dire, Piana degli Albanesi, cioè cambia molto, sì ci sono molte parole | proprio gli accenti sono diversi [perché]= R5: [altri paesi?] I6: =le parole spesso sono le stesse. poi è proprio l’accentuazione che danno che cambia. R7: [o per altri pae+] I8: [o che ti] posso dire eh:: / Misilmeri, insomma questi paesi qua.

È la dichiarata incapicità di discernimento riferita alla varietà bersaglio per segnalare la differenza linguistica. Nell’interazione seguente l’informatrice Rosa di Tusa31, settantenne, attribuisce alla propria comunità il fenomento della italianizzazione della varietà dialettale ed oppone a quest’ultima le varietà incomprensibili di certi paesi e dei «tortoriciani» (abitanti di Tortorici)32 i quali sono «persone di montagna»:

INCOMPRENSIONE

22. R1: (ora lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla a Tusa e il siciliano che si parla nei paesi vicini.) I2: certi paisi mancu si capìsciunu nzocchi dìçiunu. quannu pàrrunu n-dialettu pròpia:: chiḍḍu sua. cu i capisci? nuaṭṛi macari ammischiamu sia l’italianu, sia… R3: e per quali paesi nota delle differenze. I4: se una va a Ssan Fratello, cu i canusci comu pàrrunu? R5: qualche altro paese. I6: issi a Ccastiḍḍuzzu, issi a Ggangi, sempri aṭṛi dialetti annu. R7: e poi? i paesi me li può dire tutti quelli che sa. dove sa che ci sono… I8: turturiciani, sti::: genti: cchiù: mmontagna, chissi con il dialetto suo pàrrunu33 (NF4 Tusa - ME)

Va peraltro rilevato (in I4 e I6) il reiterato utilizzo della deissi del verbo ‘andare’34. Sempre per questa tipologia dicotomica, interessante il caso attestato dall’interazione dell’informatrice di Aragona35: il fenomeno dell’incomprensibilità, diversamente dall’esempio precedente, è marcato come incapacità a comprendere il siciliano da parte degli abitanti dei paesi «ritirati», i quali utilizzano «parole antiche». In questo caso il siciliano è concepito come koiné sovra territoriale affrancata dai 31 Comune ricadente nella provincia di Messina, situato sulla costa centro-Nord dell’Isola al confine quindi con il palermitano. La sua zona di mare, Tusa Marina, è sede di flussi turistici consistenti durante il periodo estivo. 32 Piccolo comune della provincia di Messina 33 Certi paesi nemmeno si capisce cosa dicono quando parlano in dialetto … il loro [dialetto], chi li capisce?! Noi almeno mischiamo sua l’italiano sia … R3: e per quali paesi nota delle differenze I4: se uno va a San Fratello, chi lo sa come parlano?! R5: mmh … qualche altro paese I6: vada a Castel di Lucio, vada a Gangi, tutti altri dialetti hanno R7: e poi? i paesi me li può dire tutti quelli che sa, dove sa che ci sono… I8: tortoriciani [abitanti di Tortorici] queste persono più di montagna, questi con il loro dialetto parlano. 34 Della deissi nelle opposizioni dicotomiche ci occuperemo in maniera specifica nei §§ 6.4.5, 6.4.5.1. 35 Aragona e Santa Elisabetta sono piccoli centri posti nell’entroterra dell’agrigentino.

184

6.2. Le categorie continue per l’interpretazione delle rappresentazioni oppositive ALS

tratti locali ed arcaici. La dicotomia nel livello linguistico è declinata dall’opposizione ‘siciliano vs. ‘dialetto con lessico antico e nel livello dello spazio/territorio paese’ vs. ‘campagna’: 23. R 1: e per esempio per quali paesi ci su sti differenzi. fammi n'esèmpiu di quacchi paisi ccà vicinu ca c'è ddifferenza di parlari: sicilianu? I 2: a ttutti i paisi. va a Elisabetta: e tti parlanu di na manera = R 3: dove? I 4: = va a Ssant'Angelu e parlanu di nanṭṛa manera, va a Rraffadali e ti parlanu di nanṭṛa maneraetc. R 5: quindi mi li po' rripètiri quali su sti paisi ca dicisti? I 6: a ttutti bbanni. Santa Elisabetta, Rraffadali, Sant'Angilu, a: ttutti bbanni. su sti paisi rritirati. su paisi rritirati questi. R 7: chi vuol ddiri rritirati? I 8: che non vanno mai in paese e sanno l'antichità parola antica e dìcinu sempri chiḍḍi antichi. e quannu cci dici na cosa nunn-â capìscinu. “nemmeno u sicilianu capìscinu”

36 (NF3 Aragona - AG).

Anche qui va rilevato l’uso della deissi del verbo ‘andare’ (I2, I4). 6.2.3 Lo spazio/territorio: i tipi dicotomici Lo stretto intreccio tra rappresentazione dello spazio e rappresentazione della lingua rilevato nel campione ALS, era emerso già in forme molto pronunciate in Ruffino 2006, un’idagine sul pregiudizio linguistico negli alunni delle ultime tre classi delle scuole elementari italiane. Attraverso la collaborazione di direttori didattici e insegnanti di classe, i bambini hanno scritto un testo estemporaneo per rispondere alla seguente domanda: «Qual è secondo te la differenza tra lingua italiana e dialetto?». All’indagine hanno aderito 167 scuole distribuite in tutta Italia per un totale di oltre 9.000 elaborati. Anche nelle rappresentazioni di questi giovanissimi informatori, gli stereotipi ‘dialetto urbano vs. dialetto rurale’ e ‘città vs. campagna’, esprimono le seguenti associazioni: città = italiano paese/campagna = dialetto L’opposizione dicotomica è sciolta nella lista dei costituenti delle forme stereotipizzate, orientate dalla matrice «urbanicità/rusticità» (ivi, 82): 36 R1: e per esempio per quali paesi ci sono queste differenze? Fammi un esempio di qualche paese qua vicino dove c’è differenza nel modo di parlare siciliano I2: in tutti i paesi. Vai a Santa Elisabetta e ti parlano in una maniera R3: dove? Vai a Sant’Angelo [Sant’Angelo Muxaro] e parlano in un’altra maniera, vai a Rafadali e ti parlano in un’altra maniera R5: quindi me li puoi ripetere quali sono questi paesi che hai detto? I6: dovunque, Santa Elisabetta, Raffadali, Sant’Angelo, dovunque, sono questi paesi ritirati, sono paesi ritirati questi R 7: che vuol dire “ritirati”? I 8: eh che non vanno mai in paese e conoscono la parola antica e dicono sepre quelle antiche e quando dici loro qualcosa non la capiscono, nemmeno il siciliano capiscono

.

185

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

Città vs.Campagna, Paese, Paese di campagna, Paesi arretrati, Frazioni, Borghi e borgate, Località casarecce, Contadini Grandi città vs. Piccoli paesi Metropoli vs. Piccole città, paesi Ancora in Ruffino, associati al dialetto emergono l’«ambiente geografico montagna»37, però come forma «compresente» e non «polare» (ivi, 101) e la «categoria sociale contadini (campagnoli, pastori, montanari)» legata alla rappresentazione della dialettalità (ivi, 104-105). Nel corpus ALS sono presenti anche le forme stereotipizzate del polo dello stigma presenti in Ruffino (anche se con denominazioni ed estensioni semantiche leggermente diverse) ma “ambiente geografico montagna” ha funzione polare, come abbiamo già visto. In tab. 6.4 la classificazione delle dicomie interazionali ALS con focalizzazione sulla stigma. GRADO DI URBANITÀ

POSIZIONE

DIMENSIONE

paese di montagna/ (zona di) montapaese/paesi gna paesini paesi interni/internati entroterra interno della Sicilia isolato lontano dalla città provincia

ECONOMIA

paesi di contadini campagna/campagne

paesi piccoli paesetti picagricoltura coli frazioni borgate contrade

Tab. 6.4 Dicotomie interazionali ALS. Spazio/territorio

Gli elementi di ciascun gruppo classificato in tabella fanno sempre riferimento ad un polo positivo che l’informatore attribuisce a sé e/o alla propria comunità linguistica, ad esempio: città (vs. paese); città di mare (vs. paese di montagna); etc. In taluni casi il polo positivo rimane implicito nel dettato interazionale dell’informatore, come anche abbiamo potuto rilevare negli stralci riportati sopra. L’opposizione è quindi costruita sempre sulla base di un ‘riferimento a’. Nella sotto-tipologia “paese/paesi” è messa in gioco la densità di urbanità percepita dall’informatore, massima nel proprio centro, minima nel centro bersaglio: quasi tutti gli informatori che rientrano in questo gruppo del campione vivono infatti in centri urbani o semi-urbani38. Per la tipologia “posizione” i riferimenti oppositivi 37 Nei testi i giovanissimi informatori di Ruffino fanno più volte riferimento alla tipicità dialettale dei paesi interni o dell’interno. 38 Per la definzione di centri urbani e semi-urbani cfr. D’Agostino1995, 2006.

186

6.2. Le categorie continue per l’interpretazione delle rappresentazioni oppositive ALS

sono di tipo geografico/spaziale e anche di direzione: verticale, su vs. giù (paese e zona di montagna); orizzontale, mare/costa vs. interno (tutti gli altri sotto-tipi: paesi interni e internati, entroterra, interno della Sicilia …). In questa tipologia è attestato negli informatori il significativo utilizzo di deittici. Ciascuna delle tipologie “economia” e “dimensione” esplicitano al loro interno il gradatum bipartito dentro/fuori il centro abitato, i cui sotto-tipi agricoltura e frazioni’, borgate, contrade, campagna, posseggono l’attributo della ruralità. Le narrazioni interazionali dicotomiche presentano le seguenti costanti strutturali39: OGGETTO io/mia comunità [esplicito o implicito] vs. sotto-tipi in tab. 2 [sempre esplicito]; DIREZIONE io/mia comunità [polarità positiva] vs. altri/altra comunità [polarità negativa]; TRATTI LINGUISTICI olistici; distinti; IDEOLOGIA esplicita; esplicita nei tratti; implicita; IDEOLOGIA SPAZIO/TERRITORIO (COGNITIVA) spazio vissuto e altre spazialità cognitive.

6.2.4 Variazione diatopica? Per quanto riguarda le variabili da campione (età, livello di istruzione, prima lingua, tipologia famiglia), tra gli informatori che dicotomizzano c’è una prevalenza di Nonni rispetto ai Genitori e soprattutto ai figli; la tipologia familiare che dicotomizza meno è la Famiglia 140. La variabile forte, però, sembra essere la diatopia, in relazione sia ai soggetti attivi della dicotomia, sia ai centri bersaglio. La Carta 4 è la rappresentazione concettuale della variazione diatopica delle dicotomie oppositive interazionali. La carta, realizzata per pesare la forza della variabile diatopia, non rappresenta distanze diatopiche ma vicinanze concettuali. La posizione dei nodi nel rettangolo della carta è casuale, non sono casuali le relazioni tra nodi (ad esempio, Catania) e satelliti (Treccastagni, Troina, Linguaglossa, etc.). L’atomo concettuale che sovrintende alla carta, dunque, è la relazione tra gli elementi e non la posizione di ciascuno nello spazio geografico. Lo spazio concettuale è strutturato in ‘famiglie dicotomiche’ all’interno delle quali i ‘nodi’ agganciano i ‘satelliti’ attraverso la tensione delle corde: più alto è il flusso di categorizzazione dicotomica che dal nodo muove verso il satellite, più tesa 39 Costanti, o modelli standard, o plot, sono individuati in particolare nell’analisi dei discorsi. Johnstone (2007, 63-66) distingue tra due fondamentali tipologie di incontri differenziati per situazione iniziale (il parlante è pittsburghese; il parlante non è pittsburgese) e per spostamento (il parlante si trova fuori dalla propria comunità, cioè Pittsburgh; il parlante non vive a Pittsburgh ma si trova lì) (ivi, 63-64). In Johnstone il plot di una storia è il suo modello degli eventi (ivi, 63). L’autrice definisce narrativi gli incontri (ivi, 59). 40 Nemmeno la variabile mobilità sembra avere una forte incidenza; infatti solo una sparuta minoranza di coloro che dicotomizzano occupa i poli estremi della variabile (es., ‘mobili’: NF4 Capo d’Orlando, FF3 Giarratana; ‘immobili’: GF1 Custonaci, FF2 Misilmeri).

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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è la corda. La tensione della corda è rappresentata sia dalle dimensioni di nodo e satellite, sia dallo spessore della corde41. Sulla scala aritmetica che conta il numero delle categorizzazione dicotomiche, in un certo punto il sistema si eccita e trasmette l’input al nodo, al satellite e alla corda, le cui dimensioni si dilitano su dimensione proporzionale. Classifichiamo i nodi della carta in base alla grandezza del diametro del cerchio. Consideriamo i primi 4 livelli: LIVELLO 1 LIVELLO 2 LIVELLO 3

Palermo, Catania Caltanissetta Agrigento, San Giovanni la Punta, Termini Imerese, Vittoria, Campobello di Mazara, Raffadali LIVELLO 4 Castelvetrano, Misilmeri, Tusa I centri che dicotomizzano di più sono i poli regionali Catania e Palermo. Subito dietro c’è Caltanissetta, capoluogo di provincia. Nel livello 3 stanno quattro centri di rilievo economico e sociale di area (Agrigento, San Giovanni la Punta, Termini Imerese, Vittoria). Nel livello 4 centri di una qualche importanza di micro-area, sia per i servizi che per l’economia. Questa prima ricognizione darebbe l’impressione che l’asserto sulla forza della variabile diatopica andrebbe precisato nell’ambito del continuum ‘dinamicità vs. recessione’ del centro. Il ruolo della variabile appena individuata trova conferma dall’analisi puntuale delle relazioni all’interno di ciascuna famiglia dicotomica. Consideriamo una porzione delle numerose relazioni individuate nella ‘famiglia Palermo’ e le relazioni nella ‘famiglia Termini Imerese’ (dalla carta si vede che quest’ultima è allo stesso tempo satellite di Palermo e nodo di famiglia). Da entrambi i nodi muovono flussi dicotomici verso i centri Caccamo e Petralia Sottana, il primo situato a pochi chilometri da Termini Imerse, il secondo nell’etroterra delle Madonie. A sua volta, il nodo di Termini Imerese è epicentro gravitazionale di flussi dicotomici verso Cerda, Sciara, Montemaggiore, comuni distanti pochi chilometri. Palermo e Termini Imerese sono sede di porti e di importanti stazioni ferroviarie. La rilevanza economica e nel settore dei servizi di Palermo è attestata da tutti gli indicatori Istat. Termini Imerese è centro economico di rilievo d’area, soprattutto per il terziario e le industrie. Caccamo e Petralia Sottana dipendono per i servizi essenziali da Palermo e Termini Imerese. Da quest’ultima, per altri servizi essenziali tra i quali l’istruzione superiore, dipendono i satelliti Cerda, Sciara, Montemaggiore. Castelbuono dipende da Termini Imerese per il tribunale (cfr. D’Agostino/Ruffino 2005). Palermo e Termini Imerese, infine, sono comuni capofila dei rispettivi Sistemi Locali del Lavoro (idem). 41 La rappresentazione cartografica del grado di tensione della corda attraverso il solo spessore metteva a rischio la leggibilità della carta.

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6. 3 La qualità diatopica delle dicotomie: lo spazio avvicinato

Le dinamiche appena illustrate per due specifiche famiglie dicotomiche si ripetono nelle altre ‘famiglie’ della carta, a conferma del ruolo della variabile individuata. Due ultime precisazioni. Per il nodo di Vittoria, la matrice dinamicità vs. recessione sembra essere specificamente connaturata dal rilievo economico del centroinvece che dai servizi tout court: infatti Vittoria è un’importante realtà del settore primario con commercializzazione dei prodotti su scala internazionale. Infine, la consistenza di Raffadali come nodo e le relazioni con i 5 paesi satelliti42 all’interno della famiglia, presentano un profilo marcatamente ideologico, sia nel livello della lingua che in quello della società. Si tratta, dunque, di uno di quei casi in cui le spazialità cognitive, a prima vista, agirebbero come una sorta di variabile incline a far saltare il banco dell’analisi e dell’interpretazione. Ma casi del genere non sono affatto atomi del sistema sfuggiti al controllo dell’analista ALS, piuttosto hanno sollecitato con decisione a dosare ognuna delle plurime componenti del dato, nello specifico quello cognitivo, all’interno di un modello generale di analisi e di interpretazione. 6. 3 LA QUALITÀ DIATOPICA DELLE DICOTOMIE: LO SPAZIO AVVICINATO La variabile delle dicotomie appena individuata, elemento forte della variazione, è espressa quindi dal grado di urbanità e di dinamicità del centro nodo, al quale si agganciano lo spazio/territorio e l’ideologia linguistica e sociale. Questa variabile può essere indicata anche con il sintagma ‘spazio delle dicotomie’ o con maggiore connotatività ‘spazio avvicinato’ il quale sottolinea la corta gittata della retta che collega idealmente il centro nodo al satellite. Difatti, le dicotomie sono uno dei casi più nitidi di dinamica percettiva-rappresentazionale in cui i centri abitati oggetto di percezione sono limitrofi o, comunque, non distali. Questo può accadere perché nello spazio avvicinato le caratteristiche geo-socioeconomiche del centro bersaglio alimentano negli informatori del centro nodo un patrimonio di rappresentazioni comunitarie che ha la caratteristica di essere legato al territorio da una serie di relazioni molto strette. Tali informatori, pertanto, dimostrano di possedere, a livello di struttura cognitiva, la competenza di discernimento delle strutture spaziali di una fetta di territorio ‘pronto per l’uso’. Caratteristiche che, peraltro, non escludono affatto l’innesco delle astrazioni del fattore emotivo e l’irruzione dello spazio vissuto. In Fig. 6.4 proviamo a ricucire i cocci dello spazio avvicinato delle dicotomie. Il rapporto di inclusione spaziale o nesting (Winograd/Neisser 1992), o spazio fisico, sollecita l’attivazione del richiamo mnemonico ovvero il recupero di informazioni biografiche che conferisce un’impronta “egocentrica” (Quinlan 2005) all’interazione, ancorata al vissuto personale. Richiamo e

42 Santa Elisabetta, Aragona, Santo Stefano di Quisquina, Grotte, Canicattì.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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connotazione egocentrica stanno sul versante cognitivo-ideologico. Entrambi possono essere segnalati dai deittici la cui funzione più importante, nella nostra prospettiva, è legare lo spazio fisico allo spazio vissuto. I deittici sono atti linguistici in quanto atti di identità e di appartenenza ad una specificità locale, allo stesso modo in cui le tradizioni del discorso (TDD) (§ 4.3.2) conservano il sentimento di dialettalità in un preciso spazio geografico. Deittici e tradizione del discorso occupano il versante linguistico-ideologico. Lo spessore fisico degli elementi cognitivo-ideologici e linguistico-ideologici fa sì che l’informatore possa astrarsi da esso nei momenti interazionali con le modalità del fattore emotivo (§§ 1.1.2.1, 4.2) il quale va collocato sul versante cognitivo-ideologico.

Fig. 6.4 Lo spazio avvicinato delle dicotomie

6.3.1 Gli altri ‘prototipi’ dello spazio ‘Spazio avvicinato’, ‘spazio vissuto’, ‘saperi ideologici’ sono le tipologie della spazialità ALS, o ‘prototipi dello spazio’. Intendiamo per spazio vissuto: immagini mentali associate da un individuo o da un gruppo di individui ad un determinato spazio focalizzando l’importanza che nella creazione di tali immagini mentali hanno la componente affettiva, le sensazioni e le percezioni rispetto all’astratta struttura spaziale. (D’Agostino 2006, 59)

Allo spazio vissuto dedicheremo l’intero capitolo 7. Ci occupiamo adesso dell’ulteriore modalità di spazializzazione cognitiva rilevata nel campione ALS e che abbiamo denominato ‘saperi ideologici’. I dati su Palermo e Catania ci mostreranno che i due centri sono tra i più indicati nell’intero

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6. 3 La qualità diatopica delle dicotomie: lo spazio avvicinato

campione, anche da informatori di aree geograficamente molto distanti. Casi emblematici, le isole di Lampedusa43 e Pantelleria44 per le quali le indicazioni della differenza sui due grandi comuni metropolitani costituiscono un dato di rilievo molto significativo (v. § 7.2.3). Si tratta di un caso particolare di spazialità congitiva nel quale le «immagini mentali» dello spazio vissuto si basano su un sapere ideologico che risulta così articolato: rilevanza socio-economica dell’oggetto di atteggiamento (salienza), che attrae un sapere su base affettivo-ideologica (predisposizione a riconoscere l’oggetto saliente). Gli oggetti di atteggiamento (Palermo o Catania) si costituiscono nelle forme di super-immagine di tipo olistico, che tuttavia è scomponibile in unità di immagini con referenti linguistici distinti (es.: il lessema ‘carusu’ attribuito a Catania da parecchi informatori del trapanese). All’interno della struttura narrativa del campione metalinguisitco ALS e della negoziazione interazionale con gli altri agenti dell’intervista, si riconoscono due modalità di elicitazione “dei saperi ideologici’ a seconda del momento dell’innesco: 1) Come progetto già ben presente al consapevole programma narrativo dell’informatore. 2) Nel corso di una elicitazione che in nulla richiama la modalità dei ‘saperi ideologici’ ma è invece costruita nelle forme delle spazialità avvicinata o dello spazio vissuto. Spesso accade che l’informatore a) sviluppa successivamente il progetto narrativo della modalità 1; b) l’informatore non sviluppa un progetto narrativo perché il raccoglitore lo sollecita ad attenersi alle modalità di elicitazione del dato secondo un’interpretazione letterale del sintagma «paesi vicini» espresso nella domanda 16 del questionario. Tale dinamica interazionale costituisce una variabile (v. § 7.4). Va specificato fin da adesso che la modalità rappresentazionale del ‘sapere ideologico’ segue un percorso diverso dal principio di prossimità teorizzato in DP (Montgomery 2006, v. § 4.1.3.1); secondo questo principio, parlanti insediati a distanza da un confine dimostrano di dare poca importanza a chi ci vive o ci vive vicino. La devianza di atteggiamento e di comportamento del campione ALS rispetto a tale principio, è da noi formulata con l’‘ipotesi percettivo-rappresentazionale dei saperi ideologici’: i.

Il crescere della distanza fisica fra un punto A che percepisce/rappresenta ed un punto B che è percepito/rappresentato, non determina necessariamente la perdita di salienza del punto B, ma comporta casomai il decrescere della distinzione percettiva dei tratti linguistici;

43 L’isola di Lampedusa fa parte della provincia di Agrigento, dista km. 200 ca. dalla costa meridionale della Sicilia. 44 L’isola di Pantelleria fa parte della provincia di Trapani. Dista km. 100 ca. dalla costa occidentale della Sicilia.

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i.a

i.b

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Nei dati ALS, questo principio si declina nel seguente modo: Palermo e Catania sono percepiti e rappresentati in quantità altamente significative dagli informatori; col crescere della distanza fra i punti che percepiscono/rappresentato e Palermo e Catania, diminuisce l’indicazione specifica di tratti linguistici della differenza ma la rappresentazione, lungi dall’indebolirsi, si connota sempre più di tipo olistico; Le percezioni/rappresentazioni dei poli regionali Palermo e Catania secondo le modalità del ‘principio percettivo/rappresentazionale dei saperi ideologici’, danno luogo al ‘super-stereotipo di Palermo’ e al ‘super-stereotipo di Catania’. 6.3.1.1 Il sentimento della diacronia

Una particolare modalità di spazialità cognitiva con spiccata tendenza alla categorizzazione oppositiva si colloca nella dimensione temporale. Definiamo questa modalità “sentimento della diacronia”. Con questo concetto, che è riferito sia alla lingua che alla comunità di parlanti, intendiamo la disposizione ideologica a segmentare lo spazio linguistico e lo spazio sociale in un ‘prima’ e un ‘dopo’ secondo uno schema dicotomico associativo. Il sentimento della diacronia quindi è quella predisposizione intuitiva che colloca sulla linea del tempo gli atteggiamenti ideologici nei confronti della lingua e della società. Sopra tale linea le polarità oggi vs. ieri sono elementi dell’opposizione. Le associazioni con un tempo passato o trapassato investono le dimensioni della lingua (sentimento della diacronia linguistica: «parlavano male», «parlavano volgare», «parlavano il dialetto antico», etc.) e della società (sentimento della diacronia sociale: «erano più arretrati», «meno progrediti», «meno emancipati», etc.). In taluni casi il tempo passato o trapassato viene espresso nelle forme del tempo apparente in quanto è individuato nel tempo presente degli anziani. In questo capitolo incontreremo più volte il “sentimento della diacronia” nelle interazioni che proporremo. Di seguito ne proponiamo un esempio: 24. I19: eh:: noi per esempio la “sedia” la:: chiamiamo a “sèggia” . in termini nostri. eh:: nella zona di Castellammare invece hanno un altro::: | eh: la “caṭṛega”. ecco. “caṭṛega”. ma questi sono gente che ormai: anziana, molto eh: | che ancora ricordano questi: piccole cose. chiamiamole piccole cose. che poi / per loroetc. (GF1 Custonaci - TP)

Nell’interazione all’arcaismo dialettale associato agli anziani (catrega), è opposta la variante oggi più diffusa (seggia). Ma come detto, altri esempi saranno riportati nei testi che proporremo di seguito. 6.4 DICOTOMIZZARE L’IDEOLOGIA Presentiamo adesso una serie di modalità con le quali gli informatori ostentano l’ideologia nei processi di categorizzazione dicotomica.

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6.4 Dicotomizzare l‘ideologia

In questi casi, gli informatori, oltre alle dicotomie dei fatti di lingua, danno luogo a dicotomie con referenti socio-pragmatici. È opportuno specificare che il processo cognitivo è un po’ diverso dalla iconizzazione o rematizzazione dove fatti di lingua sono trasferiti e associati alla dimensione dei fatti sociali Nel corpus ALS fatti di lingua e fatti demografici sono piuttosto l’iconizzazione linguistica e comunitaria dei due super-stereotipi. Quanto alla procedura rappresentazionale della indessicalità di secondo ordine, occorre tenere presente che essa segnala una sovrapposizione fra tratti linguistici e comportamento sulla base di tre processi cognitivi: individuazione di comportamento stereotipizzato di un gruppo: «Gli abitanti del paese A sono sgradevoli e arroganti»; individuazione di tratti linguistici: «Gli abitanti del paese A parlano mangiandosi l’ultima parte delle parole»; processo cognitivo-ideologico di indessicalità di secondo ordine: «La parlata di chi si mangia l’ultima parte delle parole è sgradevole e suona arrogante». Vediamo questi tre passaggi applicati ad un’interazione ALS con opposizione dicotomica del NF 5 di Capo d’Orlando: - individuazione di comportamento stereotipizzato di un gruppo: 25. I12: […] e ppoi senta i paesi di Marina specialmente / tendono a progredire; (NF5 Capo d’Orlando - ME)

- individuazione di tratti linguistici e processo cognitivo-ideologico di indessicalità di secondo ordine (in ambiente di sentimento della diacronia linguistica): 26. I 4 : […] a Ccapo d’Orlando c’era più raffinatezza nella lingua / quello sì. e ccosì in tanti altri paesi, per esempio ai tempi antichi Castell’Umberto 45 /// la gente:: inzomma si esprimeva proprio:: in un dialetto ma anche male. a mmio avviso ecco. // ci s+ | c’erano dei paesi dove:: inzomma:: (NF5 Capo d’Orlando - ME)

- individuazione di «linguistic feature» e processo cognitivo-ideologico di «indessicalità di secondo ordine»: 27. I12: […]) /// quindi [nei paesi di Marina] è ddifficile più ttrovare della gente::: che parla::: un ziciliano stretto. forse nell’interno sì. (NF5 Capo d’Orlando - ME)

C’è qualche problema ad applicare il modello di Silverstein (di cui abbiamo parlato al § 4.1) alle dicotomie ALS. Nell’interazione 25 il giudizio sul comportamento sociale di un’alterità ha anche una componente implicita: i paesi non di marina sono arretrati. L’individuazione della caratteristica linguistica in 26 appartiene già al livello descrittivo della 45 Capo D’Orlando è un centro costiero della provincia di Messina. Castell’Umberto dista da esso km. 19 ca., è posto nell’immediato entroterra ma ad un altezza di m. 660 slm.

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verbalizzazione dell’atteggiamento: a Castell’Umberto parlavano un dialetto male (diacronia linguistica). Accade cioè che l’individuazione del tratto è fagocitata dal processo di indessicalizzazione: chi non è progredito perché non vive in marina, parla un siciliano male. La modalità si ripete in interazione 27. Il seguente percorso pensato per le interazioni ALS potrebbe probabilmente funzionare meglio: Ideologia linguistica (con sentimento della diacronia linguistica): 26. I4 […] a Ccapo d’Orlando c’era più raffinatezza nella lingua / quello sì. e ccosì in tanti altri paesi, per esempio ai tempi antichi Castell’Umberto /// la gente:: inzomma si esprimeva proprio:: in un dialetto ma anche male. a mmio avviso ecco. // ci s+ | c’erano dei paesi dove:: inzomma:: (NF5 Capo d’Orlando - ME)

Ideologia sociale: 25. I12: […] e ppoi senta i paesi di Marina specialmente / tendono a progredire. (NF5 Capo d’Orlando - ME)

Esplicitazione del collegamento fra ideologia linguistica e ideologia sociale: 27. I12: […] /// quindi [nei paesi di Marina] è ddifficile più ttrovare della gente::: che parla::: un ziciliano stretto. forse nell’interno sì (NF5 Capo d’Orlando - ME)

ma quest’ultimo capoverso potrebbe anche essere omesso senza compromettere la relazione di co-occorrenza fra ideologizzazione degli spazi linguistici e sociali. E difatti, più che di esplicitazione, si tratta di verbalizzazione di un sottostante processo cognitivo-ideologico con referenza biunivoca: la sfera sociale ha il referente nella sfera linguistica e la sfera linguistica ha il referente nella sfera sociale. Non deve inoltre sfuggire che l’interazione 26 contiene anche il giudizio dell’informatore sulla lingua» del proprio centro «a Ccapo d’Orlando c’era più raffinatezza nella lingua» (affermazione che, stando ai principi di Silverstein, molto probabilmente non eravamo autorizzati a riportare in 26) il che ci consente di individuare il quadro delle associazioni dicotomiche dell’informatore NF5 di Capo d’Orlando: raffinatezza della lingua vs. dialetto «male», stretto paesi di mare/mare vs. montagna/interno Infine, la dicotomia innesca un tiepido accenno allo ‘spazio (vissuto) avvicinato’: 28. I8: [no. oggi vedi] non sono più::: mh:: | non frequento molto questi paesi 46 come le frequentavo da giovane quindi non le so dire l’espressione che usano oggi. (NF5 Capo d’Orlando - ME), 46 L’informatore si riferisce ad alcuni paesi vicini a Capo d’Orlando.

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6.4 Dicotomizzare l‘ideologia

il che in via di principio non escluderebbe l’attivazione pure dei richiami mnemonici dello spazio vissuto anche nella modalità dei saperi ideologici, cosa che però in questo caso non avviene; così come non accade che la fisicità dello spazio sia legata ai vissuti spaziali attraverso la funzione indessicale dei deittici. 6.4.1 I tratti ‘linguistici’ dell’opposizione ‘sociale’ In questo paragrafo presenteremo un esempio attraverso il quale osserveremo anche la capacità del token del lessema di restituire la dimensione qualitativa dell’interazione. È una procedura preliminare indispensabile per verificare se i dati stanno dentro la dimensione linguistica dell’opposizione dicotomica. Vedremo che si porrà un problema di interpretazione dei tratti restituiti dall’informatore nel contesto della dicotomia oppositiva. Alla richiesta del raccoglitore di elencare quei paesi dove si parla un siciliano diverso, l’informatore NF3 di Castelvetrano (Tp), al secondo turno di risposta, sostiene 29. I2: ora ce lo dico io. perchè: in | nel paese dove vivo io / diciamo chiamiamola così -che già sarebbe come una cittadina- già siamo più emancipati. nei paesi che ancora vivono / di agricoltura, di campagna di cos+ ancora sono un pochettino / più | non è uguale come quello dove sono io. (NF3 Castelvetrano – TP)

Segue uno scambio interazionale con un input di avvicinamento spaziale-fisico formulato dal raccoglitore (la già richiamata trattativa raccoglitore/informatore): 30. R5: fra Castelvetrano e i paesi vicini. I6: il nome dei paesi? R7: sì. I8: come Santa Ninfa. come: Partanna. anche come Campobello. / eh:: c+ | in: questi paesi ancora la lingua è ddifferente da dove sono io. (NF3 Castelvetrano - TP)

e il ventaglio dei tratti linguistici della differenza: 31. I12: ecco! a Ccastelvetrano niaṭṛi li chiamiamo li “bbabbaluçi47”. invece c’è una signora di Partanna che li chiama li “iudischi”. (NF3 Castelvetrano - TP)

La scrittura sequenziale e semplificata del modello connessionista potrebbe essere: io = mio paese = cittadina = +emancipati = bbabbaluci vs. altri = paesi di agricoltura = campagna = iudischi. 47 Lumache.

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Gli item a sinistra si associano per riunione ciascuno con l’altro (es.: cittadina = bbabbaluci = io, etc.), così come quelli a destra (es.: paesi di agricoltura = iudischi = campagna, etc.). Gli item a sinistra si associano per opposizione con quelli a destra e viceversa (es: mio paese vs. campagna vs. iudischi vs. emancipati vs. paesi di agricoltura, etc.). Nella nostra prospettiva il modello è connessionista in quanto le associazioni per riunione possono sussistere solo perché ciascuno degli elementi e tutti complessivamente (tutti-in-un-uno) si reggono sulle associazioni per opposizione; ‘cittadina’ senza l’opposizione con ‘campagna’ ci direbbe poco e comunque non quello che l’informatore sembra pensare. L’informatore NF3 di Castelvetrano ha elicitato una percezione/rappresentazione dicotomica, senza innesco di spazio vissuto e richiamo mnemonico, specificando l’‘oggetto’ (‘città vs. paesi/campagna’) individuando tratti linguistici (bbabbaluci vs. iudischi), esprimendo una ideologia esplicita («già siamo più emancipati. nei paesi che ancora vivono / di agricoltura, di campagna»). Le distanze con poli altri della dicotomia si reggono sulla spazialità avvicinata48. L’opposizione nel livello della lingua istituita dall’informatore bbabbaluci vs. iudischi è costituita da due lessemi dialettali; le due parole non ricorrono quindi in opposizione italiano vs. dialetto, del tipo «noi diciamo lumache vs. voi dite bbabbaluci/iudischi». Potrebbe sembrare quindi che le opposizioni dicotomiche città vs. paesi/campagna e +emancipati vs. -emancipati non investano la dimensione dell’ideologia linguistica, visto che entrambi i lessemi sono dialettali. È però necessario aggiungere altre considerazioni. Bbabbalùci è «l’unico tipo lessicale [in Sicilia] che designa la lumaca (o la chiocciola) con il suo gran proliferare di varianti: vavaluci etc.» (Ruffino 1991a, 42). Fra di esse, aggiungiamo, non possiamo però contemplare iudischi perché tale lessema indica una tipologia specifica della famiglia dei molluschi invertebrati. La nostra ipotesi è che il tratto del dialetto siciliano percepito “strano” quindi “appariscente” (Schirmunski 1928), in contesto di sicurezza sociale possa essere rappresentato come ‘arcaico’ e associato a gente ‘non progredita’. In questa prospettiva, potremmo dire che bbabbalùci sarebbe sussunta alla dimensione della koiné regionale e iudischi sarebbe la variante di tipica e stereotipizzata di una microarea. Il processo cognitivo parrebbe essere: noi siamo progrediti perché abitiamo in una cittadina e parliamo il dialetto normale, loro sono arretrati perché sono ‘campagna’ e usano termini locali ‘strani’. I due livelli di salienza sociale e linguistica risultano associati e la dicotomia investe anche la dimensione della lingua.

48 Campobello di Mazara (110 m. slm., 11.270 ab.) è a quindici minuti dalla costa sud-occidentale della Sicilia, in provincia di Trapani; solo un po’ più internato è Castelvetrano (187 m. slm., 30.518 ab.), km. 9 circa da Campobello di Mazara. Santa Ninfa (410 m. slm., 5.178 ab.) e Partanna (414 m. slm., 11.247 ab.) distano da Castelvetrano km. 14 ca, e occupano una porzione di territorio decisamente più arretrato rispetto alla costa.

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6.4 Dicotomizzare l‘ideologia

6.4.2 Ideologia, lingua e dipendenza dal contesto Un esempio fra i tanti di quanta parte giochi nella percezione delle differenze linguistiche la specificità dei vissuti esperenziali anche in situazione di estrema prossimità fisico-spaziale, è nell’interazione dell’informatore FF5 di Campobello di Mazara (v. nota 48), il quale nell’elicitare i tratti della differenza istituisce l’opposizione mare vs. montagna implicito il primo termine esplicito il secondo: 32. I2: mah. paesi che ad esempio:: | ppiù di montagna. / ad esempio: -che so- Santa Ninfa, Gibellina sono: dialetti diversi rispetto al nostro. (FF5 Campobello di Mazara – TP)

individua le affinità con un centro vicino: 33. e qquello [il dialetto] di Castelvetrano invece siamo paesi vicini», (NF5 Capo d’Orlando - ME)

caratterizzandolo linguisticamente: 34. I5: [ ad esempio] a Ccampobello e a Ccastelvetrano “io” si dice “iè”. invece -che so- a Gibellina, si dice “eo”. / già è una differenza / notevole. (FF5 Campobello di Mazara - TP)

Riepilogando: l’informatore di Campobello di Mazara associa al proprio paese Castelvetrano, comune che, nell’interazione 30 che abbiamo visto prima, l’informatore di Castelvetrano oppone ad alcuni paesi di campagna, non emancipati, tra i quali anche Campobello di Mazara. La dicotomia che in 29 e 30 è città vs. paesi/campagna, in 32 si esplicita in ‘mare vs. montagna’. Santa Ninfa, in 30 polo ideologizzato, in 32 è elemento ideologicamente neutro di una coppia oppositiva. La diversità linguistica, sottilmente caratterizzata dal Nonno di Castelvetrano (interazioni 29, 30, 31), nell’informatore più giovane (interazioni 32, 33, 34) è neutra ovvero e non oppositiva. Difatti il Figlio di Campobello di Mazara attribuisce a sé, alla propria comunità e alla comunità di Castelvetrano l’esito iè al quale oppone la variante eo attribuita al comune di Gibellina. È vero che la variante eo in linea è più arcaica in quanto derivata dalla forma latina ego, ma questa è un’informazione del linguista difficilmente disponibile alla consapevolezza dei parlanti non specialisti di scienze del linguaggio, e comunque certamente non interiorizzata in una coscienza comunitaria basata sull’ l’opposizione ‘arcaica/volgare vs. italianeggiante/gradevole’49.

49 E infatti così etichettiamo il dato: ‘morfologico dialettale’.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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6.4.3 Ancora dentro i testi Restiamo a Capo d’Orlando e alla Fam. 5 ma consideriamo il Genitore, in questo caso vediamo come sia lo spazio vissuto nella sua modalità ‘avvicinata’ ad innescare la dicotomia. Leggiamo quindi l’interazione con il GF5 sempre di Capo d’Orlando: 35. R1: lei nota delle ddifferenze tra il siciliano che si parla a Ccapo d’Orlando e il siciliano che si parla nei paesi vicini? I2: / mh:: se pparliamo di:: di zone:: mh:: costiere poca. / se pparliamo dell’entroterra sì. R3: e pper quali paesi soprattutto nota delle ddifferenze? I4: quali sono i paesi in cui [noto…] R5: [sì.] I6: San Fratello, // mh: Tortrici, // mh:: Fluresta50, /// già::: noti | ecco per esempio io sono::: | ho inzegnato a Ttortorici io avevo difficoltà a capire= R7: il dialetto. I8: =il dialetto. R9: e pper quali::: | qualche particolarità magari di Tortorici saprebbe… I10: ma::: per esempio::: io ricordo allora | eh: non ricordo più tante cose comunque ricordo che i primi tempi ho avuto dei problemi. perché sentivo sti ragazzini eh:: -premetto che era una frazione di Tortorici dove:: erano tutti figli di mandriani- e allora eh::: «maestro mea pa ìu a ppinnina.51» R11: mh. che ccosa significa? I12: eh:: non capivo che voleva dire. eh::: «mea pa puttò i vacca a mmuntana» e chi::: è52 R13: ah! ho ccapito la parte [bassa…] I14: [allora] “a ppinnina” pianura. montagna. e ppoi eh:: mh:: quando diceva “montana” e allora ho ccapito che era zona di montagna. “ppinnina” avevo ddifficoltà a ttrovarlo. dice «i purtò â tavulìcchia di Siracusa.53» perché allora andavano e facevano la::: - come si chiama:: - // eh:: non mi viene il termine eh:: | la transumanza. // quindi portavano gli animali eh:: d’inverno nelle zone di pianura eh:: nel | vicino al mare dove c’era un po’ di erba perché inzomma nella zona di montagna non zi trova. e qquesta è una cosa che ricordo. e pproprio mi colpì: eh:: ppoi c’erano tante: altri: termini ma questo::: mh:: è dda tanti anni ormai che:: mh:: non ci st+ (P accenna a ridere) non ci sono più lì. quindi non non ricordo. R15: qualche altro paese, non zo, qualche particolarità, quando::: magari associa, non zo u::: un determinato detto, [un’espressione,] I16: [il parlato] strett+ | no::: pa+ mh:: un determinato detto no. ma in questo momento non mi sovviene eh:: ma per esempio Floresta il parlare eh:: chiuso, stretto. // per cui hai ddifficoltà a ccapire le parole. R17: cioè dire molte parole anche in una volta che non [zi possono…] I18: [eh:::] sì perché il dialetto è un po’ eh::: | lo si dice con i::: i denti stretti eh:: mh::: quella | soprattutto le persone anziane fai::: | hai difficoltà a ccapire cosa dicono / perché parlano mh:: stringendo la bbocca // come se non volessero fare capire tante volte. no? R19: ho ccapito. sì. ho ccapito. I20: eh. quindi hai ddifficoltà a ccapire i loro::: termini. R21: ho ccapito. (GF5 Capo d’Orlando - ME)

50 51 52 53

Floresta, paese della provincia di Messina. Maestro, mio padre è andato in pianura. «Mio padre ha portato le mucche in montagna», e che cosa è! Li ha portati nella piana di Siracusa.

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6.4 Dicotomizzare l‘ideologia

La dicotomia zone costiere vs. entroterra coinvolge, oltre a Tortorici54, due centri dell’entroterra; ma i richiami mnemonici e lo spessore egocentrico dell’interazione, che determinano l’irruzione dello spazio vissuto avvicinato e riconducono l’informatore alla sua esperienza di insegnante, determinano la prominenza autobiografica della frazione di Tortorici. Più precisamente, lo spazio vissuto agisce qui su due livelli: “io insegnante in una frazione di Tortorici (I livello), sentivo i miei alunni figli di mandriani raccontare la transumanza dei genitori” (II livello, o ‘spazio vissuto riferito’). L’incomprensione («I10: ho avuto dei problemi. perché sentivo sti ragazzini eh::»; «I12: eh:: non capivo che voleva dire.») è il prezzo della distanza sociale («I10: erano tutti figli di mandriani») e linguistica. Quest’ultima percepita nella frazione di Tortorici («a pinnina», «a mmuntana», «a tavulìcchia ») e confermata a Floresta («I:16 il parlare eh:: chiuso, stretto»; «I18: lo si dice con i::: i denti stretti»), disvela la forza del super-stereotipo italiano vs. dialetto declinato con l’attribuzione di termini dialettali arcaici (e per questo incomprensibili) e di una parlata dialettale «chiusa, stretta», con la «bocca chiusa» (e per questo incomprensibile). È evidente come l’opposizione italiano vs. dialetto disconosca i confini meramente linguistici e solleciti le associazioni ideologiche degli stigmi sociale e dialettale, contrassegnati per di più dall’incomprensione. Il sentimento della diacronia linguistica fa capolino nella parte conclusiva dell’interazione: «I18: soprattutto le persone anziane fai::: | hai difficoltà a ccapire cosa dicono». Proponiamo adesso l’interazione dell’informatore GF4 di Valderice55: 36. R1: eh: ad esempio / per quali paesi / tu noti delle differenze? I2: per esempio ci sono i paesi più interni della Sic+ || a pparte il fatto della cadenza. e di alcuni termini che sono specifici di quella zona e non sono: | eh: e non di questa dove viviamo noi. ma poi anche il fatto che ci sono ad esempio delle zone interne in cui la gente non viene a contatto spesso con:: altre persone:: -che so- come può avvenire in posti di mare, di villeggiatura, per cui tu vai a contatto con le persone che parlano una lingua diversa. per cui è cchiaro che ti rimane nell’orecchio questo e si può modificare il tuo modo di parlare. mentre nella zona interne / rimane quello di una volta. quella di una volta la lingua e non zi | non c’è questa trasformazione. R3: e sapresti indicarmi qualche pparticolarità a esempio di:: pronunzia, parole, | determinate parole, determinate espressioni, che non è usata ad esempio nel nostro paese ma che è usata | tipica del dialetto invece di paesi [vicini.] I4: mah. e qquesto. R5: per adessoetc. I6: per adesso non mi viene. però alcune frasi / le le sapevo ma non non le ricordo. R7: mh. I8: il catanese56 ad esempio è ccompletamente diverso. R9: mh. I8: però eh: le espressioni: R9: mhmh. I10: non mi vengono in in questo momento. non riesco (GF4 Valderice - TP) 54 Centro dell’immediato entroterra, posto a 23 chilometri da Capo d’Orlando. 55 Valderice è un centro di circa 11.000 abitanti, contiguo a Trapani. 56 Catania si trova sulla costa orientale quindi sul versante opposto rispetto al trapanese.

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Il cuore dell’interazione è il piccolo trattato socio-geo-linguistico del turno I2, uno stralcio da manuale di sociolinguistica formulato con il lessico del parlante non specialista. La posizione geografica dei centri gioca un ruolo importante in termini di dinamiche economiche; come già rilevato, in genere i centri costieri sono più dinamici, e dinamicità economica significa dinamicità linguistica a causa della mobilità demografica e quindi del contatto linguistico. La successione dei turni dell’interazione, impalcata in uno sviluppo narrativo tutto sommato lineare, gode molto delle liberalità del sentimento e del sapere personale e vissuto. Ecco una griglia della ‘tensione’ ideologica dell’informatore per come emerge da questa interazione: OGGETTO DELLA DICOTOMIA (paese di) mare/mare/costa vs. montagna/interno PROTOTIPO DELLO SPAZIO saperi ideologici (I7), successivo alla rappresentazione

dello spazio avvicinato (I2); parlare italianizzato vs. dialetto arcaico (diciamo ‘italianizzato’in quanto è molto probabile che “la lingua diversa che parlano le persone con cui tu vieni a contatto” sia l’italiano con la funzione di lingua veicolare); RAPPRESENTAZIONE DELLA DIMENSIONE LINGUA olistica. Infatti, «completamente diverso» (I7) è da etichettare come differenza generica. Esso si colloca sul polo orientato estremo del continuun individuato per i dati ALS percezione/rappresentazione distinta vs. percezione olistica. Inoltre, decisamente orientate verso l’area olistica del continuum (benché non sul polo estremo) collochiamo quelle percezioni/rappresentazioni della differenza verbalizzate dagli informatori con pronuncia, cadenza, intonazione, strascico, etc. È il caso rilevato nel turno I2 dell’interazione sotto esame: «per esempio ci sono i paesi più interni della Sic+ || a pparte il fatto della cadenza. e di alcuni termini che sono specifici di quella zona». DIMENSIONE LINGUA

6.4.4 Il sentimento della lingua e la lealtà sociale All’interno di questo quadro teorico va anche individuato un certo grado di competenza sociolinguistica dei parlanti (o almeno di alcuni di essi), tanto più significativa se espressa in forme linguistiche estemporanee con referenti nella sfera della cultura e dell’immaginario popolare, spesso rivelatasi cultura e immaginario del tempo e dello spazio presente a colui che racconta e costruisce le interazioni. Le quali, molto spesso, ci testimoniano che i fenomeni riconducibili al contatto sono disponibili al parlante in forme rappresentazionali di sistemi linguistici gerarchizzati, sebbene con diversi gradi di consapevolezza. Abbiamo espresso questo sentimento dell’egemonia linguistica e sociale con gli stereotipi ‘io parlo bene vs. tu parli male’, ‘io parlo italiano vs. tu parli dialetto’; inoltre abbiamo sottolineato che la direzione procede da un ‘alto’ a un ‘basso’ sociolinguistico-demografico e pragmatico Quando questo schema viene rotto e l’opposizione italiano vs. dialetto si esprime in forme non attese, agisce sempre una peculiare componente identitaria e ideologica propria di uno specifico contesto areale e

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6.4 Dicotomizzare l‘ideologia

focalizzata sulla abilità a distinguere l’alto e il basso nel repertorio e a dettagliare il contatto tra italiano e dialetto. Ne illustriamo un caso davvero interessante riscontrato nell’informatore FF3 di Giarratana, emblematico della variabilità delle rappresentazioni dicotomiche all’interno di strutture di base molto stabili. Giarratana è un piccolo comune dell’area sud-orientale, distante 23 chilometri dalla citta di Ragusa capoluogo di provincia dalla quale dipende per un’ampia fetta di servizi e verso cui muovono rilevanti flussi lavorativi e scolastici. La subalternità gravitazionale fa parte del vissuto dell’informatrice come si evince dalle interazioni alla dom. 16 della prima parte del questionario57: 37. R1: e tti sposti per: lavorare? I2: sì. R3: e ddove… I4: tutti i ggiorni a Rragusa. R5: a Rragusa. in passato ti spostavi per lavorare? I6: per studiare:! R7: per studiare. I8: sì sì sì [sempre.] R9: [e ddove?] I10: sempre a Rragusa. R11: sempre a Rragusa. I12: qqui non… (FF3 Giarratana - RG)

Inoltre, nitida appare la rappresentazione della qualità dello spazio urbano del proprio centro: un piccolissimo paese caratterizzato da fenomeni recessivi. È quanto emerge dalle interazioni alle domande 23 e 24 della seconda parte del questionario58: 38. R1: ora immagina di trovarti per strada qqui a: Ggiarratana / e di parlare in ziciliano penzi che saprebbero | saprebbe riconoscere il quartiere da cui provieni?): […] I6: non: non ci sono queste differenze. Ggiarratana è ttroppo piccolo per esserci tutte queste differenze. capisci? R7: quanti abbitanti fate? I8: siamo tremmila conziderando però pure le colombe, sai tutte…=

R9:

I10: in genere siamo. | dovremmo essere tremmila però a mmano a mmano cce ne stiamo andando un po’ tutti. (FF3 Giarratana - RG)

57 «Si sposta (o in passato si spostava) abitualmente per lavorare/studiare?» 58 Dom. 23: «Immagini di trovarsi per strada e di sentire parlare qualcuno in siciliano. Lei pensa che saprebbe riconoscere il quartiere dal quale proviene?». Dom. 24 (Se risponde sì) «Saprebbe indicarmi qualche particolarità (pronunzia, parole, espressioni) tipica di altri quartieri?»

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Leggiamo adesso uno stralcio dell’interazione relativa alle domande 16, 17 e 18 seconda parte del questionario, che costituisce la seconda parte di questa lunga interazione: 39. I54: a Rragusa loro / | quelli sono diciamo quelli ppiù altezzosi della provincia no? e qquindi praticamente loro parlano in italiano allora si portano le parole siciliane e ssono convinti di parlare in italiano. tipo «questa sera non ho potuto studiare perché sono andata a fforestieri» R55: a ffare? I56: “a fforestieri” R57:“a fforestieri” I58: invece di dire sono sono uscita no? sono andata fuori. siccome in siciliano si dice “a ffrustieri” iḍḍi [dicono] “a fforestieri” R59: e “ffrustiere” si dice anche qqua a Ggiarratana? I60: sì. a vvolte sì. si u+ | non tantissimo però:: si usa per dirti. quindi loro hanno tutto un: un: un ziciliano italianizzato. ecco. R61: sì sì. I62: forse è questo il termine esatto? R63: quelli di Rragusa dici? I64: sì sì quelli di Rragusa perché hanno tutta questa:: | loro sono tutti arricchiti capisci? perché in precedenza erano tutti dei:: dei villani. giusto? R : I64: lavoravano tutti in campagna e qquindi | adesso hanno voluto tutti. R65: soprattutto pastori. I66: sì sì. e infatti. hanno voluto rrinnegare completamente queste origini che hanno. e qquindi:: loro sono tutti: | infatti os+ | necessariamente con il | sono molto curati nel vestire. quanto spende un rragusano nel vestirsi [forse neanche tutta una famiglia.] R67: [tu che llavori nel xx] I68: sì. mmi rrendo conto perfettamente. / anche i ragazzi sai è una cosa molto particolare= R69: sì. I70: propio perché hanno tutta questa: questa aurea di bellezza. che ppoi magari quando parlano= R71: certo. I72: =«sono uscito con la moto, con la zzita» questo non è italiano. R73: certo. I74: se ddovete parlare in italiano quanto meno bbene. / però:: è ccosì. R75: e cche vvolevo dire? I76: dimmi. scusami. R77: no. figurati. l’ho dimenticato vuol dire che non era importante (FF3 Giarratana RG)

Le rappresentazioni metalinguistiche e pragmatiche dell’informatrice ruotano intorno alla dicotomia oppositiva paese piccolo vs. città grande (e in alcuni passaggi l’‘io che abito a Giarratana’ sembra predominare sul ‘noi comunitario’). Il super stereotipo dell’italiano opposto al dialetto ha invece uno sviluppo inatteso: italiano parlato bene vs. italiano parlato male perché interferito con il dialetto59 59 I72 «sono uscito con la moto, con la zzita» con lessema (“zzita”) dialettale panregionale. La stessa infomatrice chiosa: «questo non è italiano».

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dialetto parlato bene vs. dialetto parlato male perché interferito con l’italiano60 Le dicotomie sono coese in un sentimento di lealtà linguistica e sociale contrapposto a coloro che “hanno voluto rinnegare le loro origini di villani”: sentimento di lealtà lingustica e sociale vs. infedeltà dal quale deriva la peculiare declinazione del super-stereotipo linguistico sentimento della dialettalità vs. italiano dialettizzato e dialetto italianizzato. FF3 di Giarratana, ancora, è informatrice con lingua di primo apprendimento italiano, varietà che a suo dire utilizzava in maniera esclusiva, come leggiamo in risposta alla domanda 5 della seconda parte del questionario61: 40. I8: io praticamente ricordo | ho qquesto ricordo propio nitido: nella memoria che quando io ero piccola propio parlavo sempre in italiano. io non zapevo neanche come fosse il siciliano. (FF3 Giarratana - RG)

fino a quando ha varcato la soglia della scuola materna, dove 41. I8: ho avuto questo trauma perché loro [i compagni di scuola] parlavano una lingua che io non conoscevo. e qquindi: da quel momento in poi: quando sono stata in genere con i miei: amichetti, con: i compagni, son+ | ho ssempre parlato in ziciliano un po’ per sentirmi uniformata a lloro (FF3 Giarratana - RG)

Tracce di vita pescate nella memoria che la autorizzano a sostenere, quando le viene chiesto: «Come parla oggi? 62»: 42. «I2: soprattutto: non: non saprei dirti questo di preciso. perché quando sono a lavoro, giustamente parlo soprattutto in italiano, poi a ccasa magari un po’ mi rilasso e pparlo soprattutto in ziciliano. quindi diciamo mettà e mettà un cinquanta e ccinquanta. R3: e: di ppiù magari se… I4: sì di ppiù credo in italiano ormai» (FF3 Giarratana - RG)

Dalle interazioni 39, 40, 41, si evince che l’informatrice fa parte della fetta di campione che dimostra elevata capacità di auto-rappresentare la distribuzione dei propri usi linguistici nei domini e nelle situazioni. Ecco la ricostruzione della sequenza diacronica per come emerge dalla autobiografia linguistica dichiarata in queste interazioni:

60 I58 «siccome in siciliano si dice “a ffrustieri” iddi [dicono] “a fforestieri» segnala un adattamento alla fonetica dell’italiano (a fforestieri) della forma dialettale (a ffrustieri). Così la stessa informatrice sintetizza in I60: «loro [gli abitanti di Ragusa] hanno tutto un: un: un ziciliano italianizzato. ecco». 61 «Lei da piccolo ha incominciato a parlare in siciliano oppure in italiano?». 62 Dom. 1 Parte II «Lei, in generale, parla soprattutto in italiano o soprattutto in siciliano?».

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italiano → infanzia, famiglia dialetto e italiano → scuola; italiano e anche dialetto → oggi e la odierna distribuzione nei domini: situazione formale → italiano situazione non formale rilassata → dialetto. La padronanza del concetto di “siciliano italianizzato” raggiunge il livello del dettaglio del fenomeno (come visto nelle note 60 e 61). Trasparenza nell’auto-rappresentare gli usi e a rappresentare contatto e divergenze tra varietà dialettale e standard, motivano il sentimento della dialettalità che richiede una certa dose di sicurezza ideologica, appannaggio di una parlante con buona competenza sia della varietà locale che dell’italiano, che sa muoversi nelle dimensioni della lingua e dei domini e associarli ai referenti della vita quotidiana e dei vissuti. E infatti il sentimento della dialettalità, speculare a quello di lealtà e di sicurezza, ha un’eclatante conferma nei primi turni dell’interazione metalinguistica quando la dicotomia con Ragusa non si è ancora innescata. L’informatrice appartiene all’area dell’affricata post-alveolare dove si usa dire, ad esempio, ciavi invece che la variante dialettale regionale chiavi (v. §§ 5.3.4.2, 5.3.4.3). L’alta salienza della distanza articolatoria ha dato luogo, abbiamo visto, a processi di stereotipizzazione dell’area ma anche di auto-stereotipizzazione intracomunitaria; nel primo caso, allo stereotipo del prestigio o comunque del non stigma, nel secondo alla bandiera dell’orgoglio e dell’appartenenza, e comunque del non-auto-stigma. L’affrancamento dall’auto-stigma rispetto a tratti esclusivi della propria area si regge su delicati equilibri cognitivi. La distanza articolatoria è un fattore di salienza fondato su opposizioni del tipo naturale vs. non naturale, consueto vs. insolito, etc. Essa è però pre-condizione di salienza in quanto non v’è alcun motivo linguistico in forza del quale ciavi dovrebbe essere saliente (non naturale, implicito) per chi usa ‘chiavi’, e non dovrebbe invece esserlo o esserlo meno chiavi per chi usa ciavi. Il motivo è caso mai non linguistico. I fattori di salienza extra-linguistici (v. § 5.1.2) suggeriscono che, in generale, l’area dove ricorre il tratto più diffuso è l’agente attivo dello stereotipo, e l’area dove ricorre l’esito meno diffuso o di microarea è il polo passivo e ricevente lo stereotipo. Ma quando tale asimmetria ideologica non si determina e il principio non si dà applicato, significa che l’area di bassa diffusione sa riconoscersi nel sentimento di sicurezza linguistica e sociale, come nel caso della nostra informatrice di Giarratana nella quale agiscono anche in maniera notevole lealtà linguistica, sentimento della dialettlità e dell’italianità, consapevolezza degli usi in relazione ai domini. In una espressione, agisce la sicurezza ideologica con riferimento alla lingua e alla società. Per lei, il tratto fonetico regionale affricato palatale (come in cucchiara invece della variante locale cucciara; in acchiana invece della variante locale acciana) è buffo e divertente e a Monterosso,

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dove è diffuso, parlano un dialetto pesante completamente diverso dal proprio. Ecco la prima parte dell’interazione alle domande 16, 17, 18 dove emergono questi elementi (abbiamo riportato la seconda parte in 39). 43. R1: tu noti delle differenze tra il siciliano che si parla a Ggiarratana e il siciliano che si parla nei paesi ppiù vicini? I2: sì!sì! tantissimo. soprattutto Ggiarratana e Mmonterosso guarda una lingua a pparte. […] I6: =“a cucchiara63” ste cose…

[…] I12: infatti li prendiamo sempre in giro

per questo: dialetto qqui. R13: e invece altri::… I14: altri vocaboli? o Ddio che è? cche ddicono“a cucchiara” forse? ma ppoi lo dicono così strano che qqua non ci riesco neanch’ io a ddirlo. R15: e invece a Ggiarratana? I16: a Ggiarratana… R17: per dire cu+ I18: “cucciara” a Cchia+ | [“a cucciara”.] R19: “a cucciara”. I20: sì sì sì sì. […] I24: no. non rico+ | però: sì cci sono delle parole. poi sai mi sembra molto pesante come dialetto. [molto…] R25: [quello di Monterosso.] […] I40:

e: allora. / loro cosa dicono? per esempio:“ncianu”dicono“ncianu”“ nchianu” R41: per dire fuori. I42: sì. che nnoi non: non la usiamo::= R43: [a Cchiaramonte] I44: [completamente] sì. anche Monterosso forse la dicono adesso che cci penzo. R45:“nciano” I46:“chiano”sempre iḍḍi. R47: “nchiano” I48: “chiano” hanno tutto questo vocabolario particolare (FF3 Giarratana - RG)

Con questo esempio si conclude la rassegna di esemplari delle opposizioni dicotomiche interazionali. Nei due paragrafi successivi, tuttavia, resteremo ancora all’interno di questo specifico tipo di categorizzazione e rappresentazione. Infatti, prima di procedere ad analizzare l’ulteriore tipo, ovvero l’ideologia linguistica di primo livello64 (§ 6.5), ci occuperemo in maniera specifica della deissi, atto linguistico che ricorre con significativa incidenza all’interno delle dicotimie oppositive e che abbiamo già incontrato in alcune delle interazioni presentate fino ad adesso.

63 Il cucchiaio. 64 Come già specificato, dell’opposizione italiano vs. dialetto con descrizione analitica dei tatti linguistici della differenza, terza ed ultima tipologia di categorizzazion rilevata, ci occuperemo nel cap. 8.

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6.4.5 Le dicotomie deittiche Il modello dello spazio avvicinato ALS (Fig. 6.4) aspira a tenere insieme gli strati pluridimensionali dell’ideologia e della cognizione, in movimento nelle relazioni di referenza tra vissuto e spazialità. Ci pare che esso dimostri, tra le altre cose, che i livelli si compenetrino nelle storie. Al centro del modello abbiamo posto lo spazio fisico, individuando nell’uso dei deittici le strategie con le quali il parlante, lo sappia o no, lega lo spazio fisico al suo vissuto e a quello della sua comunità. Pertanto i deittici possono essere considerati atti di identità ideologico-linguistica. In particolare, nei nostri informatori65 l’ancoraggio deittico è una forma di contestualizzazione spaziale che sembra assolvere a due funzioni: orientamento cognitivo, con il fine di dare coerenza testuale all’indicazione dei luoghi e dei tratti linguistici; aggancio o ancoraggio al contesto reale, sia extra-linguistico che linguistico. Il classico campo indicale determinato dall’accumulo degli elementi “persona-luogo-tempo” nelle interazioni ALS è completato dell’elemento “lingua” e si presenta come ancoraggio tra il livello cognitivo della situazione intervista e la rappresentazione dello spazio circostante. “Circostante”, come sappiamo, ha sia spessore “fisico”, sia “densità esperienziale” o “vissuta”, declinata nei fatti extralinguistici ma anche linguistici66. Il rapporto fra parlante, tempo, spazio, o “ancoraggio deittico” (Rommetveit 1968, 1973, Fillmore 1975) nelle interazioni ALS è l’ancoraggio fuzzy, non distinto, talvolta consapevole talaltra non consapevole, tra spazio vissuto, spazio vissuto avvicinato e spazio fisico. La deissi dei parlanti ALS, quindi, è un atto di riferimento tra un qui e un altrove. Ci sono alcune buone ragioni per occuparci della deissi: a) la domanda 16 la contiene («paesi vicini»); b) gli informatori la usano, anche e soprattutto quando dicotomizzano; c) gli informatori usano molto spesso la deissi spaziale o topodeissi (avverbi di luogo, dimostrativi, verbo andare); d) la deissi temporale è il ‘sentimento della diacronia’; e) la deissi personale incarna nella dicotomia la dimensione egocentrica dell’interazione; f) il campo indicale della deissi fantasmatica (o modo analogico) è evocato dal ricordo ed è di pertinenza della memoria e dell’immaginazione. Nelle interazioni dicotomiche l’attività deittica fantasmatica è rappresentata non solo dalla compresenza dell’ancoraggio deittico e dell’astrazione dal contesto che innesca le narrazioni di un altrove, ma anche dalla prospettazione 65 Sulla deissi nel corpus ALS v. anche Pinello (2016, 161-168). 66 Il sintagma “espressione indicale” si deve a Peirce che lo ha utilizzato per quei segni (come i pronomi dimostrativi) la cui funzione unica è indicare qualcosa. Bühler ([1934] 1965) aveva chiamato «origo» il centro di un «campo indicale» occupato dal parlante quando fa un’enunciazione. Il «campo indicale» è la somma di «persona, spazio, tempo» ai quali si riferiscono le «parole indicali» «io, qui, adesso». Da ciò deriva il famoso schema del «campo indicale del linguaggio umano», la croce marcata da un cerchio che contiene le tre «parole indicali».

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di una situazione socio-lingusitica ipotetica del tipo: «Se tu vai a …». Soggetto e oggetto sono spostati dal campo indicale strettamente deittico in uno spazio altro popolato da oggetti esterni ad esso (Bühler [1934] 1965). g) La deissi fantasmatica co-occorre alla deissi spaziale, temporale e personale, nelle forme di prototipi dello spazio, astrazione emotiva dal contesto, richiami biografici. Tutti questi elementi compongono la dimensione discorsiva delle storie. 6.4.5.1 La deissi dentro il discorso interazionale. Alcuni esempi Con le schede da 1 a 7 (proposte integralmente al § 6.8) presentiamo una raccolta esemplare dell’uso dei deittici in interazioni con dicotomie oppositive. In ciascuna scheda specifichiamo: prima lingua dell’informatore; codice utilizzato in prevalenza dall’informatore; deissi; oggetto della dicotomia; super-stereotipo; prototipo dello spazio; ambiente ideologico della dicotomia; modalità di percezione/rappresentazione della lingua. In alcune voci, quando contribuisce alla chiarezza, sono riportate le stringhe interazionali. Dalla lettura delle schede emergono perlomeno tre cose: 1° il deittico ricorre quasi sempre all’interno della frase che esprime l’oggetto della dicotomia e l’ambiente ideologico. Questo non significa solo che l’elemento deittico esprime ideologia e dicotomia; 2° la rappresentazione e dei tratti lingusitici è spesso olistica. Però in alcuni casi la modalità olistica segue il seguente sviluppo: olistica – input distintivo – distinta – (a volte) olistica; 3° gli informatori che dicotomizzano appartengono soprattutto alla tipologia dei Nonni. Il punto 3 può essere interpretato all’interno della generale predisposizione degli informatori più anziani del campione all’«orientamento verso la rievocazione». Ne parla una ricerca realizzata in ambito ALS: Una forte motivazione […] spinge gli anziani a partecipare attivamente alla costruzione del dato […] L’orientamento verso la rievocazione giunge a punte estreme […] L’intervista si presta inoltre ad attivare ricordi non soltanto personali, ma linguistici strictu sensu […]. Al contrario degli adolescenti67, spesso caratterizzati da una catatonica laconicità, gli anziani affermano e ribadiscono in corso d’opera i proprio giudizi […]. Questa loquacità ‘media’, oltre che nelle digressioni personali che più spesso emergono nella prima parte dell’intervista, è avvertibile anche nella sezione più propriamente linguistica dove gli anziani ostentano un sapere dialettale (e, negli anziani della V famiglia, sia dialettale che italiano) superiore rispetto a quello del raccoglitore […]. L’attributo spesso stereotipo dei vecchi, cioè la capacità di ‘raccontare storie’, viene confermato dai nostri dati, come viene confermata la sostanziale omogeneità di questi racconti, che hanno come perno l’autobiografismo. (Castiglione/Giammanco/Tomasello 2006, 211-216) 67 La poca «loquacità» degli informatori adolescenti del campione ALS è attestata in Germanotta/ Lo Nigro/Scarpello 2006.

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È molto probabile che l’astrazione dal contesto, segnalato dalla progressione narrativa, inneschi nel parlante la necessità ri-equilibratrice dell’ancoraggio ad un presente temporale e spaziale, anche incoraggiata dalla pressione delle spazialità avvicinate e dalla concretezza della situazione intervista. Come se il parlante, pena la deriva nel caos, avesse bisogno di segnali di orientamento per riferirsi a spessori di fisicità, nello stesso tempo in cui da questi sente la necessità di astrarsi. Secondo questa nostra prospettiva, la deissi spaziale è dotata di salienza e il fattore di salienza è il riferimento ad oggetti fisici e distinti della quotidianità. Nelle dicotomie l’elemento deittico rappresenta il punto massimo di equilibrio tra la fuga dallo spazio e dal tempo e il ritorno allo spazio e al tempo. 6.5 IDEOLOGIA LINGUISTICA DI PRIMO LIVELLO Questa modalità di categorizzazione oppositiva si differenza dalla dicotomia perché è priva dell’ancoraggio spaziale. Inoltre esprime rappresentazioni olistiche della differenza, caratteristica che la distingue dall’opposizione linguistica ‘italiano vs. dialetto’ (v. § 6.2). Di seguito un esempio di ideologia linguistica di primo livello: 44. I4: il siciliano che si parla a Gangi, mi sembra un siciliano:: | anche se:: // non lo so, c’è qualcuno che dice che è pesante, secondo me invece::, rispetto agli altri paesi qui attorno è molto più:: delicato:: // perché a Petralia proprio è | io ogni tanto ci vado, così, per lavoro qualche volta, ed è orrendo! a Geraci, non ‘ne parliamo!’

da questo lato di qua verso Nicosia, così non::, cioè non lo so. po+ | secondo me, tra queste:: paesi delle Madonie, quello di Gangi è un dialetto che si capisce, anche molto facilmente rispetto agli altri. non ci sono molte parole trasformate come:: tutti gli altri paesi vicini 68 (FF4 Gangi - PA)

L’informatore istituisce l’opposizione tra un attributo positivo che associa al dialetto del proprio paese e un attribuito individuato in due paesi vicini: delicato vs. orrendo. Non mancano opposizioni ideologiche con centri non vicini, in questo caso Palermo a cui viene associato un dialetto rozzo: 45. I8: ma paesi che noto differenze, l’ho detto::, andando verso Palermo::, andando verso Palermo ecco spostandoti un po’ verso la provincia di Palermo tu senti parlare un po’ un altro tipo di dialetto. un altro tipo di dialetto magari con accenti diversi insomma::. l’ho detto, per me è più rozzo. sempre andando verso Palermo, è un siciliano più rozzo rispetto al nostro sicuramente69. (GF2 Tusa - ME)

68 Va notato il deittico «da questo lato di qua». 69 Va rilevato l’utilizzo reiterato del verbo “andare” deittico (3 volte) e del deittico “spostandosi” a sua volta riconducibile all’area semantica del verbo andare.

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6.5 Ideologia linguistica di primo livello

Nelle due interazioni appena lette è evidente (oltre al ripetuto utilizzo della topodeissi con il verbo andare) la salienza attribuita al comportamento lingusitico che, nei casi illustrati in tanti altri censiti nel corpus, raggiunge il livello della stereotipizzazione. Spesso si tratta di stereotipi di micro-area, più raramente l’ideologia linguistica raggiunge Catania e con maggiore frequenza Palermo (GF5 Tusa - Me, NF1 Casteldaccia -Pa, GF5 Misilmeri - Pa, FF2 Gela - Cl, NF5Agrigento, etc.) In ogni caso, rispetto al processo di iconizzazione l’ideologia linguistica di primo livello non presenta la procedura di associazione con fatti socio-demografici70. Gli attributi rilevati nel campione qualificano la varietà bersaglio: aggressiva antica assurda brutta che fa innervosire che fa pena curiusa + dialettale grezza maleducata marcata ncarcata offensiva orrenda parlata male pesante a sonfasò strana stretta terribile volgare L’attributo dell’incomprensione a volte risulta incassato in questo tipo di categorizzazione rappresentazionale, come nella prima interazione presentata in questo paragrafo.

70 A differenza della procedura descritta da Silverstein, sono assenti sia la stereotipizzazione di un comportamento sociale del gruppo, sia l’associazione di indessicalità di secondo livello, invece è presente l’individuazione della componente linguistica ed esclusivamente di tipo olistico.

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6.6 IL MODELLO GENERALE DELLE INTERAZIONI METALINGUISTICHE ALS Ciascuno degli elementi che hanno concorso alla determinazione dei discorsi metalinguistici, e ciascuna delle dimensioni in gioco, vanno ricomposti in un modello generale delle interazioni: un’architettura analitica dei discorsi interazionali innescati da input metalinguistici (Fig. 6.5). Come ogni modello, questo che presentiamo è pensato per una generalità, ma come abbiamo constatato ciascuna interazione ha una vicenda, propria e collettiva, di cognizione, socialità, pragmatica. Il modello che qui si propone potrebbe tuttavia costituire un buon quadro di orientamento. Il COGNITORIUM e lo SPAZIO sono i due territori in gioco nella costruzione delle interazioni. La linea di separazione sfrangiata segnala la sfumatezza della delimitazione tra le due aree. Lo SPAZIO è il luogo dei comportamenti linguistici, cioè degli enunciati71 e dei comportamenti sociali. Lo spazio sociale non è la rappresentazione dello spazio fisico ma il luogo delle pratiche sociali, degli incontri e delle interazioni: famiglia, scuola, luoghi di lavoro, associazioni, etc. È il luogo dei comportamenti (e non delle rappresentazioni) innescati dagli incontri72 e dalle interazioni. Quindi incontri ed interazioni avvengono nello spazio fisico e sociale. Incontri ed interazioni costruiscono le rappresentazioni (della realtà, del mondo, dei significati). Difatti le costruzioni sociali (versante destro) sono costruzioni cognitive della realtà. In definitiva diciamo che le costruzioni sociali sono processi cognitivi di costruzione delle rappresentazioni. I deittici hanno la funzione linguistica (versante sinistro) e cognitiva (versante destro) di agganciare le spazialità fisiche e sociali alle tre forme di spazialità cognitiva: spazio avvicinato, spazio vissuto, saperi ideologici. Lo stesso fanno i richiami mnemonici i quali a differenza dei deittici sono privi dell’ancoraggio (spaziale o cognitivo) all’elemento e alla rappresentazione deittica. Questo processo bidirezionale e sempre in sovrapposizione nelle ordinarie interazioni73, innesca le attività di categorizzazione. Le attività di richiamo mnemonico agiscono con regolarità nelle attività di rappresentazione dei parlanti ALS. Esse sono presenti nell’enunciato dell’informatore in forma più o meno esplicita, così come le tre forme di spazialità cognitiva. L’attività deittica, come abbiamo visto, è diffusa in quantità significativa nelle interazioni metalinguistiche, anche se non ha la regolarità dei richiami mnemonici. In linea di principio potrebbe essere possibile, anche se poco verosimile, che in un corpus con caratteristiche analoghe all’ALS l’ancoraggio deittico possa innescare

71 Utilizziamo “enunciato” nel significato generico definito da De Mauro (1980, 33): elemento che realizza un segno. 72 Per la classificazione degli ‘incontri’ ALS, v. § 7.2.2. 73 È appena il caso di sottolineare che la freccia di direzione nello schema assolve ad una funzione puramente descrittiva.

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6.6 Il modello generale delle interazioni metalinguistiche ALS

anche le attività di categorizzazione omogenea; ma nei nostri dati, come abbiamo ampiamente discusso, ciò non emerge. Questo significa che le tre forme di spazialità cognitiva possono innescare e/o essere innescate da richiami (sempre) e attività deittica (a volte ma con significativa ricorrenza). Fra le categorie omogenee ma stereotipi ed atteggiamenti, non le dicotomie come ampiamente discusso. Diciamo cioè che l’attività cognitiva di opposizione dicotomica è tipica delle categorie fuzzy. Siamo giunti a questa definizione di dicotomia con il contributo della teoria dei prototipi e delle fringe areas, delle somiglianze di famiglia e con il superamento delle relazioni duali di appartenenza/non appartenenza, peraltro ampiamente consolidati nelle scienze del pensiero e della mente. In questo quadro teorico, gli oggetti di dicotomia, ovvero gli spazi fisici (mare, montagna, città, paese, urbano, rurale, etc.) sociali (giovani, anziani, collega di lavoro, compagno di scuola, alunno, amico, parente, etc.) linguistici (distinti od olistici), associati a ideologie e identità mediante i processi di iconizzazzione e di indessicalità di secondo ordine, risultano organizzati in fasci di attributi che si sovrappongono. Le opposizioni dicotomiche ‘a disposizione’ nel tempo di vita quotidiana si presentano come cristallizzazioni categoriche, ma sono l’esito di processi cognitivi dentro i quali gli spazi sono sovrapposti, le ideologie sottoposte a contrattazione, oggetti e attributi condivisi. Sono quindi categorie fuzzy con sovrapposizione di oggetti e attributi. Da ciò discende che gli oggetti delle dicotomie sono prototipi, o meglio: ‘rappresentazioni prototipiche della realtà’. Questo è vero sia per la dimensione fisica (es.: montagna) e sociale-pragmatica (es.: arretrati), ma anche per quella linguistica (es.: rozzo). «Parlano volgare» è il “miglior esempio” della rappresentazione della varietà di «quelli là» che «stanno sulla montagna», quando si è attivato il processo di dicotomizzazione oppositiva o dicotomia interazionale. Brevi ma essenziali notazioni sulla natura di deittici, richiami mnemonici, categorie, dicotomie. Essi molto spesso sono già conservati in memoria ma possono anche risultare da processi on line (v. § 3.2.1.1). L’attività on line, che si attiva in presenza di particolari stimoli (es. una situazione fisica e/o cognitiva imprevista o mai o poco esperita) prescinde, anche parzialmente, dai contenuti già presenti in memoria. La più tipica attività on line è quella che, durante il consenso d’uso, influisce sulla ‘sorte dello stereotipo’ (v. § 5.3.4). In questo caso, nuove associazioni possono avere luogo, determinando il riposizionamento dell’oggetto dello stereotipo, o un rafforzamento o un indebolimento. Oppure possono determinarsi estensione o contrazione dei confini fuzzy della categoria, con l’inserimento o la perdita di alcuni attributi. Riteniamo una interessante sottolineatura l’intervento anche della componente on line per la sorte dello stereotipo, la quale, correlata con la natura non consapevole

Fig. 6.5 Modello generale delle interazioni metalinguistiche ALS

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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6.7 Alcune parole conclusive su stereotipo e atteggiamento

di alcuni oggetti o elementi linguistici dello stereotipo, contribuisce a indebolire la tesi che solo i tratti saliti alla consapevolezza del parlante possono essere stereotipizzati74. Gli oggetti delle categorie possono essere consapevoli o non consapevoli, senza che questo comporti una modifica del processo illustrato nello schema. Un’ultima precisazione sull’attività cognitiva di categorizzazione. Il modello esplicita che è una costante delle rappresentazioni metalinguistiche. Essa può dare luogo a corpora verbali (cioè a comportamenti linguistici) nei quali le attività dicotomiche siano molto, abbastanza o un po’ esplicite. O a risposte ordinarie nelle quali le narrazioni non ne presentino vistose tracce o ne siano prive. 6.7 ALCUNE PAROLE CONCLUSIVE SU STEREOTIPO E ATTEGGIAMENTO Crediamo che la categorizzazione sia una forma di rappresentazione delle spazialità. Queste categorizzazioni possono essere fuzzy o non fuzzy. Sta nei fatti, perché i dati ce lo hanno richiesto, che qui ci si è occupati e ci si occuperà delle prime; le quali sono motivate da atteggiamenti che possono o non possono diventare stereotipi. Nel capitolo dedicato allo stereotipo ne abbiamo dato una definizione, provando a fare una sintesi delle teorie di alcuni degli studiosi delle immagini sociali e del pregiudizio linguistico e utilizzandola per i dati ALS. In sintesi, abbiamo sostenuto che lo stereotipo è un processo di rappresentazione che semplifica una fetta di realtà cristallizandola e categorizzandola di modo che essa diventi immediatamente riconoscibile ed individuabile, condizione affinché possa suscitare consenso massimo e riconosciuto, attestato da un suo uso ricorrente da parte di un gruppo sociale il quale è anch’esso individuabile nella sua interezza (cioè ‘olisticamente’) e quindi a sua volta interessato dai processi di riduzione, semplificazione, schematizzazione. La dimensione quotidiana dell’uso provvede non solo a motivare lo stereotipo ma anche a rinnovarvi consenso, condivisione, notorietà. Questo profilo dello stereotipo può essere condensato in tre nodi concettuali che ne spiegano la natura pluridimensionale e che, ovviamente, sono interrelati: 1) cristallizzazione – riduzione – semplificazione - estensione 2) consenso – condivisione – notorietà 3) uso – consenso d’uso Ciò che abbiamo definito consenso d’uso è responsabile della sorte dello stereotipo cioè della sua “ricollocazione”, il che equivale a dire che lo stereotipo (anche lo stereotipo) è un processo di costruzione sociale nei modi del construal model che si sono visti.

74 Argomento ampiamente illustrato e discusso in §§ 4.3.3-4.3.6.

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Abbiamo anche sottolineato che il contatto lingua/dialetto è l’ambiente ideale per la stratificazione dei conflitti e delle convergenze ideologiche e abbiamo sintetizzato queste dinamiche nel super-stereotipo italiano vs. dialetto, una vera e propria costante delle rappresentazioni metalinguistiche ALS. E inoltre, il polimorfismo, direttamente connesso con il fenomeno del contatto, dà conto del perché il lessico sia una componente davvero importante del corpus ALS. Asserito che lo stereotipo è anche un atteggiamento (e non viceversa), la differenza fra i due concetti va ricercata nella qualità della tendenza a valutare, cioè ad apprezzare o a deprezzare, un oggetto di atteggiamento. È però una qualità un po’ strana che ha a che fare con la gradualità e quindi, in teoria, può anche essere misurata quantitativamente. A questo proposito, abbiamo detto che lo stereotipo è un super-atteggiamento, dotato, aggiungiamo, di ‘un di più’: un di più di credenze e affettività e, soprattutto, un di più di cristallizzazione, semplificazione, estensione, consenso, notorietà, uso. Un di più, insomma, ideologico e identitario, patrimonio di una comunità di lingua e di pratiche, che allo stereotipo conferisce le caratteristiche dell’incontrovertibilità, i cui territori sono tagliati da precise linee di demarcazione, costruite e poi rappresentate, ‘a disposizione della comunità’: ‘pronte per l’uso’. Abbiamo anche chiarito come il consenso d’uso, condizione necessaria affinché lo stereotipo viva, lo liberi anche da questa logica binaria del ‘dentro o fuori’ i confini omogenei. Anche sulla base di questo, abbiamo sostenuto che le relazioni di verità/falsità riferite allo stereotipo sono infine un falso argomento. Sostenendo che lo stereotipo potrebbe essere misurato quantitativamente, abbiamo inteso dire che è la comunità che assegna la misura e che questa è rilevabile dallo studioso che osserva e decide: è atteggiamento, ma è anche stereotipo? Questa prospettiva predilige l’osservazione comunitaria fondata su procedure di campionamento e di elicitazione dei dati molto attente e distribuite su più livelli linguistici ed extralinguistici, avvertita sulle dinamiche di repertorio e di contatto, tutti elementi su cui si basa la ricerca ALS. Forse si fa abuso del concetto e si rischia di ridurre tutto ad esso, ma davvero ci piace proporre questi rapporti come collocati su un continuum nel quale addensamenti ed estremi non polarizzati coincidono: atteggiamento – stereotipo – atteggiamento – stereotipo – etc. Non visualizzato, ma presente ad ogni livello delle relazioni (un po’ come avviene con la dimensione diatopica nell’architettura dell’italiano contemporaneo di Berruto), sta il consenso d’uso che negozia la sorte dello stereotipo. Non va poi sottovalutato che lo stereotipo tende a presentarsi come rappresentazione olistica della realtà, soprattutto per effetto di due forze con direzioni in apparenza opposte: estensione e semplificazione. Facciamo un esempio. C’è il diffuso comportamento fra gli informatori di Caltagirone a stereotipizzare la parlata della vicina Grammichele75, comportamento segnalato soprattutto dall’attribuzione di 75 Attraverso la SS 124, da Caltagirone si raggiunge Grammichele in poco più di 25 minuti ca. (km. 15 ca.). La mobilità fra i due centri è caratterizzata da un denso movimento pendolare in

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6.7 Alcune parole conclusive su stereotipo e atteggiamento

tratti dialettali o dialettali arcaici, riconducibile al super-stereotipo italiano vs. dialetto e ad alcune declinazioni di esso76. Il processo di estensione può essere così sintetizzato: dai parlanti grammichelesi alla comunità e al paese di Grammichele nel suo insieme; da uno o da alcuni tratti linguistici ricorrenti e salienti77, percepiti con o senza distinzione, alla parlata di Grammichele; dai fatti di lingua ai fatti sociali; dalla varietà alla socialità e viceversa. Le rappresentazioni sono cioè raggrumate in un’immagine sociale e linguistica. Questo può avere luogo solo con i concomitanti processi di semplificazione e riduzione di ideologie e atteggiamenti della comunità ‘altra’ ad elementi riconoscibili con facilità da tutti e per tutti immediatamente ‘a disposizione’. Il linguaggio dello stereotipo deve essere semplice e ad alto contenuto comunicativo, capace di indicare la storia e l’ideologia di una comunità con attività consensuali costituite da poche parole o da una sola. L’estensione e la semplificazione, ovvero la storia riscritta dell’altro, possono collocarsi nei diversi livelli del sentimento e della coscienza del parlante, di consapevolezza o non consapevolezza dei tratti linguistici, e presentarsi nelle forme verbalizzate dei blasoni popolari e degli etnici o anche prive di un significante fossilizzato. Per restare al nostro esempio, negli informatori di Caltagirone il super-stereotipo italiano vs. dialetto nei confronti della vicina Grammichele non ha trovato la sintesi verbale di un lessema identitario, cosa che è invece avvenuta nei parlanti di Misilmeri che chiamano batiùoti/batiùati gli abitanti della vicina Villabate. È necessario ancora focalizzare le relazioni dello stereotipo con gli atti collettivi di identità che, da un lato, coagulano le vicinanze intracomunitarie e, dall’altro, riconoscono le diversità e decidono le distanze sociali e cognitive. Questo essere lo stereotipo, allo stesso tempo, atto di identità e di auto-identità, è qui interpretato secondo i modi suggeriti dalla dialettica dentro/fuori, definita dal consenso intracomunitario, con il quale la comunità che stereotipizza costruisce e rafforza la propria identità, e dal conflitto verso l’altro che sta fuori, o meglio che è cognitivamente posto fuori. L’analisi delle caratteristiche dello stereotipo e gli atti di comunità linguistici e sociali che lo interpretano, ci hanno consigliato di sostenere che esso è una rappresentazione ‘in tensione’ della realtà (v. § 5.3.4). La conquista d’una sembianza di forma stabile e di categoria omogenea che arride alla logica binaria del sì/no è la cima del dirupo, la cui stabilità è assediata da nulla di più che la normalità delle

uscita da Grammichele (688 spostamenti). L’insediamento di servizi per l’istruzione, la cultura e la pubblica amministrazione fanno di Caltagirone un polo micro-areale attrattivo per i «centri vicini del catanese, dell’ennese e del ragusano» (D’Agostino/Ruffino 2005, 332). 76 Il fenomeno è attestato nella quasi generalità degli informatori di Caltagirone. Si presenta sia nella opposizione ‘italiano vs. dialetto’ (piselli vs. ciciḍḍi, mamma vs. ma o ma, Aidone vs. Daruni, Mirabella Imbaccari vs. Imaccari, sulla montagna vs. a muntata, sei vs. sia, tavolo vs. tavvolo), sia nell’opposizione ‘forme italianeggianti vs. dialetto’: apri a porta vs. scilanca a porta, nca preciso vs. nca allura, a gamba vs. anca, prune vs. piruni. Il Genitore e il Figlio di Fam. 5 attribuiscono a Grammichele, rispettivamente, cadenza e dialetto «più marcato». 77 E tutti gli altri tratti sono “ridondanti”, cfr. Iannàccaro 2002.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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interazioni quotidiane dove si negozia la realtà e si creano e si ricollocano le rappresentazioni. È a causa delle forze, concentriche ma sempre ben pronte a schizzare via, del consenso e del conflitto, che definiamo lo stereotipo come l’esito sempre negoziato e costruito nelle interazioni sociali, di sentimenti, ideologie, identità, pratiche, contesti; tutti elementi espressi nei processi di relazione e di sintesi fra semplificazione ed estensione, consenso e conflitto, convergenza e divergenza, dentro e fuori comunitario, cristallizzazione e confini fuzzy. La natura di tali forze concentriche può essere resa dal concetto di flusso; un flusso di giudizi, atteggiamenti, esperienze, incontri, punti di vista, pregiudizi nei confronti di un’alterità che ha bisogno di essere fermata, cristallizzata in una forma di rappresentazione chiara, intelligibile, condivisa. Il flusso ha bisogno di essere fermato perché la comunità lo possa sentire un punto di orientamento, parola o super-atteggiamento di riconoscimento collettivo con il quale si assolve la propria identità e la propria lingua contro gli altri che stanno fuori. Lo stereotipo, quindi, per essere tale, ha bisogno di essere confortante. Ma nello stesso istante in cui il flusso è cristallizzato nella sua forma linguistica o ideologica, per tutti e a portata di mano, e soprattutto proprio quando le interazioni confermano l’esistenza dello stereotipo, esse stesse lo rimettono in discussione perché creano e chiudono pezzi di mondo, calibrano ideologie e sentimenti, spostano appartenenze e allontanamenti: rappresentano neo-realtà. Abbiamo restituito questa dinamica tra forma cristallizzata e frattura dei confini con l’espressione uso dello stereotipo. E allora: se è vero che lo stereotipo è confortante in quanto struttura fermata a favore della fruibilità comunitaria, esso è anche flusso decomposto in ogni momento degli usi sociali, e quindi anche sconfortante. Abbiamo individuato il punto d’incontro fra queste forze ‘in tensione’ nel consenso d’uso. Dentro questa prospettiva il problema delle relazioni di verità/falsità è annientato non solo dall’irruzione degli elementi terzi nelle coppie binarie (sì/no, appartenenza/non appartenenza, somiglianza/diversità, presenza/assenza, etc.) ma soprattutto dalla natura interazionale e costruzionista dello stereotipo che non è né falso né vero ma fatto vero ogni giorno dalla comunità che lo ha costruito socio-cognitivamente e vi si riconosce (§ 5.3.4). Se queste nostre righe, da intendersi come compendio di alcune delle cose dette sullo stereotipo e sulle categorie, proviamo ad applicarle al concetto di prototipo, vedremo come a valle dei ragionamenti un po’ tutto si tiene. È il prototipo identificato come ricorrenza dei migliori e dei cattivi esempi e quindi legittimato dal consenso. È esso elemento formato da un sentire condiviso (negli esperimenti dei cognitivisti, da un campione di informatori) ma identificato da confini fuzzy. I suoi attributi lo caratterizzano ma anche si sovrappongono con quelli di altre categorie e sono context-dependendent, ovvero costruiscono sé stessi e sono costruiti nelle relazioni di contesto e dentro un sistema di cultura. Ed è la categoria fuzzy (come la abbiamo descritta e fatta nostra) prototipo e rappresentazione.

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6.8 Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus

Suggestioni e riferimenti più o meno espliciti ma comunque utili a questa caratteristica dell’essere ‘in tensione’, il cui ambiente naturale è da noi individuato nelle interazioni quotidiane che costruiscono la realtà e quindi la rappresentano, si rinvengono in diversi studiosi che si sono occupati dei rapporti fra lingue e società. A questo proposito solo due citazioni, per concludere. In Boyer 2003 la competenza etnosocioculturale (CEC), che abbiamo visto essere il sistema principe di pre-codifica della realtà e il luogo delle rappresentazioni partagé e dello stereotipo (v. § 5.3, 5.3.1), viene definita dalla coesistenza tra stabilità e movimento dei contenuti di opinione e di giudizio: gli atteggiamenti, dal più lourde e stable al più éphémère; le rappresentazioni dei grandi miti nazionali storicizzati e consolidati come tratti di identità collettiva (lo “strato patrimoniale”) e l’immaginario culturale della mitologia del presente soggetta alla precarietà mutevole dell’aria dei tempi (“strato socio-culturale”). E difatti, come già sostenuto, se lo strato patrimoniale, oggetto unico e compatto, è il luogo delle rappresentazioni del consenso massimo e delle identità pronte a differenziarsi, nello strato socio-culturale agiscono le rappresentazioni che non soltanto sono instabili ma più decisamente riflettono e muovono le piccole e grandi lacerazioni identitarie nei piccoli e grandi gruppi o comunità, sia al proprio interno che rispetto alle realtà altre. Le relazioni tra «forme stabili, o strutture» e «fenomeni di flusso [ovvero] di mutamento incessante […] esistenti in natura così come nella cultura» (Remotti 2007, 3) sono da poste al centro delle riflessioni sull’identità «spesso (quasi inevitabilmente) concepita come qualcosa che si sottrae al mutamento, che si salva dal tempo […], ciò che rimane al di là del fluire delle vicende e delle circostanze» (ivi, 4). In tal modo, la forma stabile della struttura diviene necessaria per la costruzione di identità avvertite come indispensabili dall’uomo per dare un senso al flusso continuo e disordinato che scorre tra il tempo e lo spazio78. 6.8 DICOTOMIE DEITTICHE INTERAZIONALI. SCHEDE DI ANALISI DI ESEMPLARI DEL CORPUS Come anticipato al § 6.4.5.1 presentiamo una raccolta esemplare dell’uso dei deittici in interazioni con dicotomie oppositive. Come già detto, in ciascuna scheda specifichiamo: prima lingua dell’informatore; codice utilizzato in prevalenza dall’informatore; deissi; oggetto della dicotomia; super-stereotipo; prototipo dello spazio; ambiente ideologico della dicotomia; modalità di percezione/rappresentazione della lingua. In alcune voci, quando contribuisce alla chiarezza, sono riportate le stringhe interazionali.

78 Secondo Remotti lo scarto fra ciò che dal mondo l’uomo vuole e ciò che può prenderne, è motivato dall’essere egli «un animale biologicamente carente. Affidato alle sue sole capacità biologiche, ben difficilmente saprebbe sopravvivere. La sua stessa sopravvivenza fisica - a quanto pare - richiede, e fin da subito, l'intervento della cultura» (Remotti 2007, 2).

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R1: eh: lei nota delle ddifferenze tra il siciliano che si parla a Ccapo d’Orlando e il siciliano che si parla nei paesi vicini? I2: // ntâ sti paesi di montagna si parla un ziciliano diverso dal nostro. noi lo parliamo più:: con eleganza diciamo così (P e R accennano a ridere) R3: ho ccapito. eh:: pper quali paesi lei nota delle differenze? I4: eh? R5: per quali paesi // nota delle ddifferenze? I6: eh:: io penzo in questi paesi di montagna che si parla… R7: ma gliene viene qualcuno in mente oppure… I8: non lo so. // io non è cche li conosco tanto sti paesi. io per esempio San Salvatore -perché mio marito era di San Salvatore inzomma:::- | ma ancha a Ssan Salvatore ora si si parla il dialetto ma si parla pure l’italiano. perché c’è molta gente:: laureata, molta ggente | tutti professionisti e qquindi si parla stu siciliano misto (NF4 Capo d’Orlando- ME) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE italiano in prevalenza con commutazioni e mistilinguismo DEISSI I2: ntâ sti paesi di montagna; I6: io penzo in questi paesi di montagna OGGETTO DELLA DICOTOMIA centro di mare vs. paesi di montagna SUPER STEREOTIPO: la mia lingua e la lingua della mia comunità è meglio della lingua degli altri: dialetto elegante vs. dialetto non elegante PROTOTIPO DELLO SPAZIO spazio vissuto, spazio avvicinato AMBIENTE IDEOLOGICO

I2: I2: ntâ sti paesi di montagna si parla un ziciliano diverso dal nostro. noi lo parliamo più:: con eleganza diciamo così I8: ma ancha a Ssan Salvatore ora si si parla il dialetto ma si parla pure l’italiano. perché c’è molta gente:: laureata, molta ggente | tutti professionisti e qquindi si parla stu siciliano misto SENTIMENTO DELLA DIACRONIA LINGUISTICA

I8: ma ancha a Ssan Salvatore ora si si parla il dialetto ma si parla pure l’italiano. perché c’è molta gente:: laureata, molta ggente | tutti professionisti e qquindi si parla stu siciliano misto. PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA: olistica NOTE NON MARGINALI: la deissi in I2 è una commutazione di codice. San Salvatore di Fitalia dista 20 km. da Capo d’Orlando. Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 1

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6.8 Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus

R1: ecco mi saprebbe dire diciamo in quali paesi lei ha nnotato queste differenze. I2: forse nei paesi:: | nei nei paesi più che altro. R3: e in quali? I4: nei paesi. R5: // per esempio dove? I6: per esempio:: // possiamo dire nelle bborgate. nelle borgate. nelle bborgate. R7: e nei paesi? I8: ecco paesi e bborgate. paesi e bborgate. R9: per esempio? I10: mentre nelle vie più residenziali // nelle vie residenziali allora questo siciliano non esiste. R11: ehm: di+ diciamo e in quali paesi lei ha notato queste differenze. io ti parlo comunque di differenze di siciliano. cioè lei ha notato differenze tra il siciliano che si parla qui [a Ppalermo,] I12: [nei paesi] interni. R13: e per esempio quali? I14: per esempio Petralia, eh:: Villabate, ehm: / Altofonte, questi. R15: e che tipo di differenza ha notato? I16: la differenza che loro l’italiano proprio non lo | lo [sconoscono.] R17: [io parlo] il siciliano il siciliano. I18: l’italiano lo scono+ lo sconoscono e proprio parlano per natura [siciliano.] R19: [un siciliano] diverso rispetto [al nostro?] I20: [diverso] sì sì sì. R21: e perché è diverso. I22: perché: /// perché abitanti in queste:: borgate ehm: [che sono,] R23: [no dico] perché lei dice [così.] I24: [che] sono poco istruite, R25: ah ecco. I26: è per questo. R27: e perché lei pensa che sia diverso. cioè che cosa le fa dire che il palermi+ | il siciliano che si parla per esempio a Villabate= I: eh. R27: =è diverso rispetto al siciliano che si parla qui a Palermo. I28: perché qui a Palermo eh: sono più modernizzati mentre là sono rimasti:, R29: e le differenze in cosa le vede. cioè sentendoli parlare in base a che cosa dice «ma sta parlando in modo diverso.» I30: diverso. R31: in base a cosa. I32: perché: per me è un siciliano: / volgare diciamo così. (NF5 Palermo) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE italiano in prevalenza DEISSI I28: perché qui a Palermo eh: sono più modernizzati mentre là sono rimasti OGGETTO DELLA DICOTOMIA città (di mare) vs. paesi interni; vie residenziali vs. borgate SUPER-STEREOTIPO italiano vs. dialetto; la mia lingua e la lingua della mia comunità è meglio della lingua degli altri: non volgare (italiano) vs. volgare (siciliano) PROTOTIPO DELLO SPAZIO

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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AMBIENTE IDEOLOGICO

I16: la differenza che loro l’italiano proprio non lo | lo [sconoscono.] R17: [io parlo] il siciliano il siciliano. I18: l’italiano lo scono+ lo sconoscono e proprio parlano per natura [siciliano.] I22: perché: /// perché abitanti in queste:: borgate ehm: [che sono,] R23: [no dico] perché lei dice [così.] I24: [che] sono poco istruite,; I28: perché qui a Palermo eh: sono più modernizzati mentre là sono rimasti: PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA: olistica NOTE NON MARGINALI spazio vissuto e avvicinato non esplicitato Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 2

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6.8 Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus

R1: e qquindi eh:: proprio a proposito di chiḍḍu ca mi stava dicennu, lei nota ddifferenzi fra u sicilianu ca si parra a Sciḍḍato e chiḍḍu ca si parra nei paisa vicini? cc’è differenza. I2: cc’è. sì. penzo di sì. R3: [xxx] I4: [picchì] cc’è ppropria chiḍḍa chi cci-avi ḍḍa cadenza= R*: eh I4: =di esseri propria cchiù ncarcata. R5: e pper esempio: quarchi ppaisi unni u senti cchiossà sta ddifferenza sû rricorda magari? I6: / vabbè per esèmpiu cci sunnu i Pulizza+ | di Pulizzi, puru annu sta cosa di èsseri:: = R7: eh: quindi I8: =ḍḍa cosa pulizzana i cartavutrisi cci su ppuru = R: eh. I8: =di èssiri |nn’è ca su tutti chi parra+ | e cci su cchiḍḍi chi su ḍḍa ntê muntagni mi pari a mmia ca sunnu cchiù ncarcati= R9: sì sì. I10: =ḍḍa [ḍḍa parola chi]= R11: [e per esempio] I12: =chi ddìciunu. R13: lei antura ggià mi facìa n’esempio. mû sapissi fari quarchi esèmpiu di di occhi cosa particolari ca lei nota nnâ l’aṭṛi paisi, a Ccaltavuturu o anche a Ppolizzi, rispetto a Sciḍḍatu ca [è ddiversa?] I14: [a Polizzi ] io sulu per esempio ci pozzu diri per esempio “picciriḍḍi” ô postu di chiamalli “picciriḍḍi”, “i chiàmanu “aḍḍivuzzi. “ R: mh. I14: l’aḍḍièvulu, chistu, sti cosi ma poi io nn’è ca [pozzu…] R15: [e ppoi] come altre differenze non… I16: non lo so. R17: cioè qualche parola [a lei cci pari diversa.] I18: [no no no. no] accussì. R19: e poi u fattu ca su cchiù ncarcati [diciemu.] I20: [su cchiù] ncarcati. si senti ḍḍa cosa di Polizzi ca è ppropria pulizzana. R: mh. I20: cci n’è ca l’hanno propria… (NF2 Scillato - Pa) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE dialetto DEISSI I8: e cci su cchiḍḍi chi su dda ntê muntagni OGGETTO DELLA DICOTOMIA centro di mare vs. paesi di montagna SUPER-STEREOTIPO la mia lingua è meglio di quella degli altri: dialetto elegante vs. dialetto ‘ncarcatu PROTOTIPO DELLO SPAZIO spazio avvicinato AMBIENTE IDEOLOGICO

I8:: = ḍḍa cosa pulizzana i cartavutrisi cci su ppuru = di èssiri |nn’è ca su tutti chi parra+ | e cci su cchiḍḍi chi su ḍḍa ntê muntagni mi pari a mmia ca sunnu cchiù ncarcati=; si senti ḍḍa cosa di

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Polizzi ca è propria pulizzana ncarcati=; I20: [su cchiù] ncarcati. si senti ḍḍa cosa di Polizzi ca è propria pulizzana I20: [su cchiù] ncarcati. si senti ḍḍa cosa di Polizzi ca è propria pulizzana PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA Il primo output esprime una rappresentazione di tipo olistico (I4: cc’è propria chiḍḍa chi cci-avi ḍḍa cadenza=). È un output spontaneo ovvero non determinato dall’input distintivo del raccoglitore. Quest’ultimo interviene in R11 e in R13 e sollecita l’informatore alla percezione distinta («picciriḍḍi vs. aḍḍvuzzi ») NOTE NON MARGINALI: Caltavuturo dista da Scillato 9 km ca., entrambi i comuni con Sclafani Bagni fanno parte della stessa micro-area ALS. Polizzi Generosa è comune dell’entroterra Madonita, dista 18 km ca. da Scillato. Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 3

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6.8 Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus

R1: e ntâ quali paisi nota sta ddifferenza cchiossà? I2: in ntâ sti paisi di muntagna: / per esempio. / eh: nta: // ntâ li paisi / eh:: a Piana di Greca. / di: Grica mi pari chi si chiama. R: eh:: I2: sì. pàllanu lu so ddialettu / grecu. c’un zi capisci nenti. R3: eh: e dicemu, ntâ sti paisi | chissi chi disse –diciamu– chi ci su ccà [vicinu] I4: [sì.] R5: nota cacchi differenza, cacchi cosa, chi niaṭṛi per esempio unn usamu e cchiḍḍi usano? I6: sì. anchi: a: | anche a Ppalermu. puru = R7: eh: [e ccà vicinu] I8: =[c’è sta] ddifferenza. R9: e ccà vicinu dicemu / ni nota:: cose: chi: | differenze che magari per esempio certi paisi ccà vicinu ùsanu e niaṭṛi nvece campubbiḍḍisi unn zi usa. I10: unn-i li capimu. sì: la noto la differenza. per esempio. niaṭṛi ccà / a li: | chiḍḍi chi nèscinu quannu chiove | a li muntuna. eh: e ḍḍa cci dìcinu: naṭṛa cosa. / um-mi rricordu comu cci dìcinu. nta stu momentu. / eh: “cappiḍḍuzzi” R11: e cchissu agghiri dunni signora? I12: ntâ ssi muntagnë. / ntâ ssi muntag+ | ntâ ssi paisi di muntagnë. / Gibbelina, Salaparuta, ntâ sti paisi accussì (NF2 Campobello di Mazara – TP) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE dialetto DEISSI I2: in ntâ sti paisi di muntagna:.; I12: ntâssi muntagnë. / ntâ ssi muntag+ | ntâ ssi paisi di muntagnë. / Gibbelina, Salaparuta OGGETTO DELLA DICOTOMIA centro di mare vs. paesi di montagna SUPER-STEREOTIPO: la mia lingua e la lingua della mia comunità è meglio della lingua degli altri PROTOTIPO DELLO SPAZIO Sapere ideologico (I6: anchi: a: | anche a Ppalermu. puru) Spazio vissuto (I2; in ntâ sti paisi di muntagna: / per esempio. / eh: ntâ: // ntâ li paisi / eh:: a Piana di Greca. / di: Grica mi pari chi si chiama.) Piana dei Greci adesso è Piana degli Albanesi Spazio avvicinato I12: ntâ ssi muntagnë. / nta ssi muntag+ | nta ssi paisi di muntagnë. / Gibbelina, Salaparuta AMBIENTE IDEOLOGICO

Incomprensione associata alle comunità e ai parlanti di montagna PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA Il primo output esprime

una rappresentazione di tipo olistico (incomprensione associata a Palermo e Piana dei Greci). È un output spontaneo ovvero non determinato dall’input distintivo del raccoglitore che interviene a partire da I10 e determina la percezione distinta distinta (I10: muntuna vs. cappidduzzi) NOTE NON MARGINALI: Campobello di Mazara è sulla costa sud-occidentale dell’isola. Gibellina vi dista 28 km ca., Salaparuta 40 km ca. Piana degli Albanesi è in provincia di Palermo, a 22 km ca. dal capoluogo di regione. Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 4

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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R1: c’è. e pper quali paesi nota / dicemu sta differenza. qua vicino. a Ccastelvetrano. I2: mah: chi è:: ntâ sti muntagnë, di Partanna, Salemi, tutti sti:: [Ex: una terza persona parla] Campobello pure. c’è qualche parola / che non:: R3: eh! eh: e m+ magari mi sape dire qualchi particolarità di pronunzia, o di parola, chi per esempio è ttìpica di sti paisi chi ddissi ora e cchi unn zi usa a Ccastelvetrano. I4: ma come:: / pronunzia forse. p+ può darsi magari. R5: di parole unn zi nni rricorda [di::] I6: [no!] perchè non è che sono:: addentrata. qualche: | qualcuno che capita così si capisce che c’è: | che è di [fuori.] R7: [xx] pronunzia. I8: sì. (NF4 Castelvetrano - TP) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE prevalente italiano ma con pronunciato mistilinguismo DEISSI I2: mah: chi è:: ntâ sti muntagnë, di Partanna, Salemi, tutti sti:: OGGETTO DELLA DICOTOMIA centro di mare vs. paesi di montagna SUPER-STEREOTIPO: PROTOTIPO DELLO SPAZIO spazio avvicinato AMBIENTE IDEOLOGICO non è presente ideologia esplicita PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA: olistica NOTE NON MARGINALI: Castelvetrano dista da Partanna 15 km. ca, Salemi 24 km ca. Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 5

224

6.8 Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus

R1: noti delle differenze tra il siciliano che si parla qui a Mmisilmeri e il siciliano che si parla nei paesi qui vicini? I2: sì. R3: in quali paesi? I4: eh::: Prizzi::, Bivona::, Bisaqquino:::, paesi ppiù internati diciamo. R5: eh: mantenendoci invece qui nel: | nei dintorni? I6: sempre cambia l’accento. R7: eh. dove? in quali paesi? I8: Bolognetta, Marineo:, Villafrati::, eh:: Villabbate::. tutti i paesi qui vicino. R9: me la fai qual+ | me la dici una particolarità che ttu hai notato. / che ne so un modo di dire a Villabbate e invece come si dice qqui a Misilmeri. // cioè che cos’è che ttu noti di diverso? I10: “mi sveglio” tipo: noi diciamo:: «mi sveglio.» loro dicono:: «mi struvigghiavi.» (P ride) R11: // non lo sai. I12: non lo so. non lo so. R13: vabbè noi quando diciamo in italia+ in ziciliano “mi sveglio”, non è che diciamo “mi sveglio”. diciamo [“mi ṣṭṛuvigghiavi”.] I14: [“mi ṣṭṛuvigghiavi”.] R15: non lo sai loro come dicono? I16: no. non lo so di preciso. R17: eh:: qualche altra partic+ | cioè cos’è che ti fa ddire cessò / a Vilvlabbate parlano l’italiano in maniera | il siciliano in maniera diversa dal nostro. da cosa te ne accorgi? I18: quando li sento parlare più che altro me ne accorgo. R19: e cche cos’è che nnoti? I20: noto gli accenti diversi::, // un po’ di tutto. R21: mhmh. poi | quindi non: non ti ricordi, non: non hai magari in mente proprio una particolarità ben precisa. I22: no (FF2 Misilmeri - PA) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE italiano DEISSI la deissi è espressa dal raccoglitore al turno R5 per sollecitare l’informatore a una percezione spaziale «vicina79» (R5 eh: mantenendoci invece qui nel: | nei dintorni?»). L’informatore ripete la deissi (I8: «tutti i paesi qui vicino») utilizzandola per l’ancoraggio fisico-spaziale con i centri che elenca (I8: «Bolognetta, Marineo:, Villafrati::, eh:: Villabbate::. tutti i paesi qui vicino.») OGGETTO DELLA DICOTOMIA centro non internato vs. paesi dell’interno SUPER-STEREOTIPO: italiano vs. dialetto (I10: “mi sveglio” tipo: noi diciamo:: «mi sveglio.» loro dicono:: «mi ṣṭṛuvigghiavi») PROTOTIPO DELLO SPAZIO spazio avvicinato AMBIENTE IDEOLOGICO

implicita nell’espressione del tratto linguistico della differenza PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA Il primo output esprime

una rappresentazione di tipo olistico È un output spontaneo ovvero non determinato dall’input distintivo del raccoglitore

79

Questa dinamica interazionale sarà discussa al § 7.4.

6. Categorie, dicotomie, ideologia, spazi

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(R1: noti delle differenze tra il siciliano che si parla qui a Mmisilmeri e il siciliano che si parla nei paesi qui vicini? I2: sì. R3: in quali paesi? I4: eh::: Prizzi::, Bivona::, Bisaqquino:::, paesi ppiù internati diciamo. R5: eh: mantenendoci invece qui nel: | nei dintorni? I6: sempre cambia l’accento.). L’input distintivo del raccoglitore interviene in R9 e ottiene dall’informatore la percezione distinta (R9: «me la fai qual+ | me la dici una particolarità che ttu hai notato. / che ne so un modo di dire a Villabbate […] » I10: “mi sveglio” tipo: noi diciamo:: «mi sveglio.» loro dicono:: « mi ṣṭṛuvigghiavi»). Si noti che l’intervento distintivo del raccoglitore giunge fino all’indicazione esplicita di un centro, modalità che viola il protocollo d’inchiesta. L’ulteriore input distintivo del raccoglitore (R17: «eh:: qualche altra partic+ | cioè cos’è che ti fa ddire cessò / a Villabbate parlano l’italiano in maniera | il siciliano in maniera diversa dal nostro. da cosa te ne accorgi?») non ottiene la percezione distinta (: I18: «quando li sento parlare più che altro me ne accorgo.» R19: «e cche cos’è che nnoti?» I20: «noto gli accenti diversi::, // un pò di tutto.». Lo schema si ripete nell’ultimo scambio interazionale (R21: «mhmh. poi | quindi non: non ti ricordi, non: non hai magari in mente proprio una particolarità ben precisa.» I22: «no.» NOTE NON MARGINALI: Misilmeri è centro dell’area metropolitana del capoluogo, dista km 9 ca. da Palermo. Tutti i centri citati nell’interazione si trovano a sud di Misilmeri e possono essere ricondotti a due ambiti territoriali, uno più vicino a Misilmeri, l’altro sensibilmente più lontano: Bolognetta (dista 9 km ca. da Misilmeri)-Marineo (13 km ca.)- Villafrati (19 km ca); Prizzi (56 km. ca)-Bisacquino (63 km. ca.)-Bivona (77 km ca.). Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 6

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6.8 Dicotomie deittiche interazionali. Schede di analisi di esemplari del corpus

R1: ora lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla a Tusa e il siciliano che si parla nei paesi vicini. I2: certi païsi mancu si capìsciunu nzocchi dìciunu. quannu pàrrunu in dialettu pròpia:: chiḍḍu sua. cu i capisci? nuàṭṛi macari ammischiamu sia l’italiànu, sia… R3: e per quali paesi nota delle differenze. I4: se una va a Ssan Fratello, cu i canusci comu pàrrunu? R5: qualche altro paese. I6: issi a Ccastiḍḍuzzu, issi a Ggangi, sempri aṭṛi dialetti annu. R7: e poi? i paesi me li può dire tutti quelli che sa. dove sa che ci sono… I8: turturiciani, sti::: genti: cchiù: mmontagna, chissi con il dialetto suo pàrrunu (NF4 Tusa ME) PRIMA LINGUA DELL’INFORMATORE dialetto CODICE USATO DALL’INFORMATORE dialetto DEISSI : I6: « issi a Ccastiḍḍuzzu, issi a Ggangi, sempri aṭṛi dialetti annu.;, sempri atri dialetti hannu.; I4: se una va a San Fratello, cu i canusci comu pàrrunu?» Si tratta di una deissi con il verbo andare che esprime un’ipotesi reale: «se andasse lì si renderebbe conto che …» (Pinello 2016, 161-168) OGGETTO DELLA DICOTOMIA paese di mare vs. paesi di montagna SUPER-STEREOTIPO: italiano vs. dialetto PROTOTIPO DELLO SPAZIO spazio avvicinato AMBIENTE IDEOLOGICO

Incomprensione associata alle comunità sociali e ai parlanti di montagna PERCEZIONE/RAPPRESENTAZIONE DELLA LINGUA olistica

Tusa è centro costiero della provincia di Messina, al confine con la provincia di Palermo. Si danno le distanze e le caratterizzazioni territoriali dei centri citati: Castel di Lucio, 29 km ca., interno; Tortorici, 68 km ca., interno; Gangi, 51 km ca., montagna. San Fratello, posto a 58 km ca. da Tusa è un’isola alloglotta gallo-italica. La percezione/rappresentazione dell’incomprensione, assieme alla diversità generica molto diffusa nei dati ALS per i centri alloglotti, qui pare diluita nella forza dell’opposizione mare vs. montagna. La percezione di San Fratello quale centro interno o comunque non di mare è accentuata dall’opposizione San Fratello vs. Acquedolci; quest’ultimo è un centro di mare di nuova urbanizzazione nato in seguito alla trasmigrazione di una buona fetta di abitanti dal sito di San Fratello NOTE NON MARGINALI

Deissi nelle dicotomie oppositive - Scheda 7

7. SPAZIO VISSUTO 7.1 IL PROBLEMA DELLE VARIABILI. LO SPAZIO VISSUTO A prima vista sembrerebbe molto complicato istituire delle correlazioni tra quantità e qualità di percezione e variabili cosiddette tradizionali o anche con altre più sofisticate; questo pare vero anche a fronte di un campione multisfaccettato come quello ALS, strutturato in modo da ottenere, dall’incrocio di variabili sociolinguistiche, profili di parlanti agganciati alla dimensione comunitaria e intra-familiare. A tali profili di status, tuttavia, le risposte al questionario consentono di sovrapporre strati di spessore socio-culturale con particolare riferimento alla mobilità e all’ambiente familiare, dimostratisi molto produttivi nella composizione dei profili dei parlanti1. Di fronte al materiale prevedibile ma complesso (variabili da campione), al quale va sovrapposto materiale non prevedibile e complesso (risposte puntuali e testi interazionali), l’analisi dei dati oggetto della ricerca ha dovuto individuare quei nuclei concettuali, o fasci di componenti disomogenei, o variabili complesse, che potessero concorrere a dare un senso alle rappresentazioni dei parlanti, ed escluderne altri. È stato quindi necessario definire in maniera più stringente i tipi qualitativi delle variabili coinvolte nella varietà metalinguistica. Quelle condizioni cioè che, poste specifiche pre-condizioni linguistiche interne di salienza, siano capaci di essere parte dell’universo dei fattori extra-linguistici della rappresentazione metalinguistica e della salienza. Come più volte chiarito, abbiamo riunito tali fattori nel concetto di spazio vissuto e nelle sue declinazioni di spazio avvicinato e saperi ideologici. Sono questi, lo abbiamo detto, il risultato della costruzione interazionale e storicizzata dei fattori linguistici non interni, i quali si basano sugli ‘incontri’ e sono riscontrati nei testi discorsivi dei parlanti, maturati intorno agli input metalinguistici. La sovrapposizione dei livelli socio-demografici e linguistici nell’ambito delle dimensioni degli atteggiamenti discorsivi, degli incontri, delle interazioni e delle rappresentazioni metalinguistiche, come pure abbiamo sottolineato, è chiarificata dai concetti di iconizzazione e indessicalità di secondo ordine, adattati al corpus ALS. Ma questo ancora non basta: è un dato di fatto che gli informatori ALS, sottoposti a input cognitivi finalizzati ad ottenere paesi e tratti linguistici della differenza, hanno finito nella quasi totalità per raccontarci storie. Abbiamo dovuto quindi procedere a circoscrivere un concetto complesso di spazio vissuto che contenesse anche la pluralità degli elementi esterni alla lingua e 1

Si veda per intero D’Agostino/Paternostro 2006.

228

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia

che fosse allo stesso tempo dimensionato nel tempo quotidiano di vita, vocato alla contestualizzazione. 7.2 SPAZIO VISSUTO E MOBILITÀ, DINAMICITÀ, DIATOPIA Il concetto di spazio vissuto è co-essenziale al concetto di mobilità; il questionario ALS è un ottimo strumento per la precisa definizione delle vicende mobiletiche degli

informatori del campione rilevate da alcune domande del questionario. Con la domanda 62 della prima parte del questionario sono stati rilevati i trasferimenti verso altri centri della Sicilia, dell’Italia o altre nazioni, di durata uguale o superiore a un anno. La domanda 163 ha registrato i movimenti pendolari (qualitativi e non quantitativi) nelle classiche sfere del lavoro e della scuola. La domanda 174, anch’essa della prima parte, ha indagato le pratiche nel settore dei consumi esorbitanti le necessità quotidiane. La domanda 6 si è dimostrata utile come variabile per le competenze linguistiche, elicitate nella terza parte del questionario. Le altre due domande afferiscono molto più decisamente all’ideologia, alla rappresentazione e alla percezione metalinguistica. La domanda 6, da sola, fornisce già un profilo abbastanza attendibile sull’asse mobilità vs. immobilità, benché squisitamente quantitativo. Il suo incrocio con la domanda 16, dimostratosi produttivo, costituisce la sovrapposizione del livello di mobilità residenziale con quello praticato nel tempo di vita passato o più o meno recente che prevede un ritorno quotidiano e consumato. L’incrocio tra le due domande, quindi, restituisce una mobilità storica a lungo termine arricchita dalla mobilità pendolare. La matrice degli informatori ‘immobili’ della tipologia Famiglia 15 (Tab. 7.1, risposte «no» alle domande 6 e 16) mostra la sostanziale insufficienza di questa sola variabile a cogliere ideologia e rappresentazione. A parte l’importante considerazione circa il contenimento della mobilità all’interno delle tipologie familiari, non già, riteniamo, in quanto patrimonio trasmesso tra generazioni, ma come risultante della condivisione inter-generazionale di pratiche familiari e di spazio urbano, la correlazione con i dati metalinguistici non ci ha consentito di individuare regolarità da riferire alla variabile indipendente6. 2

3 4 5 6

«Ha abitato altrove per un periodo continuativo di almeno un anno?». Qualora l’informatore risponda affermativamente, è prevista la somministrazione della domanda 7: «Dove? Quando, Per quanto tempo? Per quale motivo (lavoro, studio, servizio militare, per seguire un familiare, altro)?». «Si sposta (o in passato si spostava abitualmente) per lavorare/studiare?». «In quali centri si reca per le spese importanti?». La domanda è stata somministrata solo agli informatori che non vivono nelle città. La tipologia Famiglia 1 comprende il numero più elevato di informatori immobili. Ecco il riepilogo dei dati per tipologia familiare: Famiglia 1: 41 informatori immobili; Famiglia 2: 39; Famiglia 3: 32; Famiglia 4: 21; Famiglia 5: 16. Si noti anche che nessuno degli informatori immobili vive a Catania e Palermo.

229

7. Spazio vissuto

TIPOLOGIA INFORMATORE COMUNE

N

G

F

Custonaci Casteldaccia Agrigento 1 Agrigento 2 Racalmuto Trapani 1 Trapani 2 Monreale Sommatino Agira Mascalucia Caltagirone Siracusa Campobello di M. Poggioreale Comitini Licata Caltanissetta Tusa Ficarra Pachino Ragusa Chiaramonte G. Tab. 7.1 Tipologia Famiglia 1 – Informatori ‘immobili’. La tabella mostra che in 5 centri tutti i 3 informatori del nucleo familiare sono ‘immobili’; in 8 centri lo sono 2 informatori; nei restanti 10 lo è 1 informatore.

L’ulteriore incrocio la domanda 17 si è dimostrato non solo improduttivo ma anche insensato. Questo significa che la mobilità è una variabile non interessante ai fini dell’analisi ed interpretazione dei dati? Sostenerlo sarebbe non solo riduttivo ma addirittura assurdo, perlomeno per un dialettologo percettivo che oltre a cercare la correlazione aspiri ad essere «funzionalista» (Sobrero 2006, 11). Per altro verso, rimane comprovata la parziale inadeguatezza di variabili come classi di età, livello di istruzione, prima lingua, tipologia familiare, rete sociale, mobilità, servizi, reti di comunicazione, pendolarismo, etc. Dunque bisognerebbe ipotizzare che anche queste varietà siano segnate da insufficienza interpretativa? Ovviamente una simile ipotesi sarebbe quanto meno non fondata.

230

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia

Si ricorderà che nel presentare la Carta concettuale delle dicotomie ALS (v. § 6.2.4) abbiamo individuato nelle procedure di categorizzazione dicotomica il ruolo decisivo svolto dalla variabile qualità dei punti linguistici sull’asse dinamicità vs. recessione7. La dinamicità (o all’opposto, la recessione) di centro è un parametro un po’ complicato da calcolare. La sua definizione occupa una parte sostanziosa del più volte richiamato volume 16 della collana “Materiali e ricerche” dell’ALS (D’Agostino/Ruffino 2005) che contiene anche una classificazione di tutti i punti della rete di rilevamento in dinamici o recessivi. Le proprietà individuate per la classificazione sono le variabili elencate sopra. Tali variabili, come già sottolineato, considerate singolarmente risultano sostanzialmente inadeguate, al contrario abbiamo verificato la loro formidabile potenza se considerate tutte quante all’interno di un sistema di interpretazione e di analisi, il quale, certo, va pesato e commisurato alle singole procedure interazionali. Questo sistema è una variabile molto potente delle interazioni metalinguistiche e lo abbiamo già individuato, definito e denominato come “spazio vissuto”. Però è anche vero che se tutto è spazio vissuto, niente lo è. Nei prossimi paragrafi dovremo risolvere questi problemi teorici e metodologici, vera e propria insidia per la non circolarità dei concetti. Muoveremo da una definizione di spazio vissuto ai fini del corpus metalinguistico ALS; proveremo a constatare come essa dovrà essere retta da tipologizzazioni relative agli incontri interazionali e alle spazialità costruite nelle interazioni. 7.2.1 Incontri e spazialità discorsive. Lo spazio vissuto fattore di salienza extra-linguistica Una versione molto semplificata e sequenziale del nostro modello di spazio vissuto andrebbe così scritta: la mobilità, determina incontri, suscita spazio vissuto. Vedremo nella seconda parte di questo paragrafo come questi item schematici si rinvengono con diversi gradi di unitarietà nei testi discorsivi dei parlanti. La nozione di uno spazio non più «indifferente, lasciato alla misura e alla riflessione del geometra» (Bachelard 1957, cit. in D’Agostino 2006, 59) ma vissuto nell’esperienza e nell’immaginazione, risale alla «Geografia francese degli anni 7080» ed è poi «raccolta in forma diversa da filoni disciplinari i più disparati…[quali per esempio la] psicologia ambientale, [la] psicologia architettonica [l’] antropologia culturale» (D’Agostino, 2006, 59)8. Nel settore più proprio ai fatti di lingua, essa viene individuata nel superamento dei modelli gravitazionali e al suo avvio si prospetta come fase iniziale del processo di «umanizzazione dello spazio» (Grassi 1981, 65) propugnato da Gilliéron: 7

8

Va ricordato che il profilo qualitativo dell’opposizione dinamicità vs. recessione muove dalla classificazione di D’Agostino (1995, 176-179) in Poli regionali, Centri urbani, Centri semiurbani, Centri rurali che ha costituito la base sulla quale è stata edificata la rete dei punti sociovariazionali ALS e per alcuni di essi l’articolazione in micro-aree (v. § 1.2). Su strumenti, metodi, bibliografia dello spazio vissuto a partire dall’esperienza ALS, v. anche D’Agostino/Paternostro/Pinello (2013, 751-755) e Pinello 2016.

7. Spazio vissuto

231

Ciò che rimane fuori [dai modelli gravitazionali] è l’idea che un aspetto essenziale della spazialità è costituito dal diverso modo di percepire l’ambiente da parte degli individui, in rapporto alle loro differenti modalità esperienziali; una riflessione che cominciava a farsi strada negli anni a cavallo fra la fine dell’800 e l’inizio del secolo successivo. (D’Agostino, ibidem)

Siamo d’altra parte convinti che il frangersi del piano retto e «indifferente», luogo delle «riflessioni del geometra», a vantaggio delle spazialità soggettive (Telmon 2002a), etnodialettologiche (Auer 2005), etiche (Iannàccaro/Dell’Aquila 2001), fuzzy9, coincide con il progressivo affermarsi degli studi sull’ideologia linguistica e sulle opinioni dei parlanti. Quando cioè, a partire da una linguistica essenzialmente delle produzioni e delle competenze, la dialettologia si è aperta alla linguistica dei vissuti esperienziali. L’orientamento più estremo, che ci sembra denso di stimoli, richiama l’attenzione sulla dannosa inutilità della demarcazione tra confini dei linguisti e confini dei parlanti dato che i primi, disegnando le aree delle regolarità dei fenomeni e registrando le varianze, raccolgono in definitiva pratiche e vissuti linguistici. In prospettiva ALS, una prima definizione di spazio vissuto va riscontrata dentro il corpus e si concreta nel sovvertimento degli elementi storiografici e sociogeo-economici che, pur gravitando sull’area, impediscono nei fatti la formulazione di regolarità assolute con valore predittivo sulle percezioni linguistiche dei parlanti. Ai nostri effetti, la costruzione narrativa dei fattori esterni alla lingua riscontrabile nelle sequenze estese di parlato interazionale, costituisce la ‘spazialità discorsiva’. Ecco lo schema di una situazione tipo diffusa nel corpus: il comune A del parlante x ha intensi rapporti pendolari con i comuni B, C, D; dipende da questi per i servizi ordinari; per i servizi di livello superiore dipende dai comuni D, E; è agevolmente collegato ai comuni citati da assi viari (strada intercomunale e/o provinciale), tratta ferroviaria, linea bus intra-urbana; è legato alle vicende storiche dei comuni B, C; è vicinissimo a B, vicino a C, D, meno vicino ma non lontano da E; il parlante x individua i comuni X e/o Y e/o Z quali centri della differenza linguistica; il comune X è il paese di nascita di un familiare del parlante x (marito, moglie, genitore, etc.) e ogni tanto questi vi si reca, ad esempio per una festività o un compleanno (spazio vissuto); il comune Y è Catania o Palermo (saperi ideologici); il comune Z è l’immediato entroterra della costa della quale fa parte il comune A (spazio avvicinato). L’intero apparato delle componenti sociali e cognitive che fanno significativa un’alterità, ad un certo punto della costruzione interazionale e nelle condizioni di elicitazione date, costituisce la salienza sociale o vissuta che il parlante x riconosce, negozia, costruisce e ricostruisce rispetto ai comuni X e/o Y e/o Z. Di tale costruzione socio-cognitiva dello spazio vi sono ampie tracce nella già citata definizione di spazio vissuto di Mari D’Agostino, sostanzialmente basata sul corpus ALS (V. § 6.3.1). 9

A ciascuna di queste denominazioni connesse alla spazialità, possono fare riscontro altrettante denominazioni connesse ai confini; così, i confini possono essere: soggettivi, etnodialettologici, etici, fuzzy.

232

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia

Un modello che è anche una tappa importante in direzione della sintesi non analitica tra la miriade di elementi in gioco indicati sopra, è nella tipologia delle spazialità illustrata in Krefeld (2002c, 158-159). La proposta aspira a contenere il globale nel locale ed è una bella applicazione della teoria degli insiemi allo spazio, alla lingua, alle sue varietà e al parlante. La «spazialità della lingua», cioè i «luoghi specifici, [gli] spazi geografico-culturali e sociali» ai quali «gli idiomi sono legati direttamente» nella «graduazione topografica dal locale allo statale», comprende arealità della lingua (rilevata geolinguisticamente) e territorialità delle lingue ufficiali (rilevate dalla sociologia linguistica). La «spazialità del parlante» è definita da «mobilità» e «provenienza» e si colloca all’interno della «spazialità della lingua» (livello macro) e della «spazialità del parlare» (livello micro), terza ed ultima categoria tipologica. Essa è stabilita dalla «posizione reciproca dei locutori, cioè, dalla loro vicinanza / distanza relativa» sotto due aspetti: «vicinanza sociale» e «vicinanza pragmatica» (ibidem). Come si vede, il parlante che ‘vive lo spazio’ è il parlante collocato nelle dimensioni nazionali e sovranazionali della lingua e in quelle puntuali, nelle dimensioni areali e intra-areali, nelle dimensioni comunitarie e pragmatico-interazionali. Ciascun insieme (con componenti socio-geo-pragmatiche cognitive) fa riferimento ad un sovra-insieme e a più sotto-insiemi contemporaneamente, i confini dei quali sfumano nelle lingue che ‘si fanno’ e ‘sono fatte’ vissuti di pratiche ordinarie e quotidiane. Le tre spazialità di Krefeld abbracciano tutto il ventaglio dei fattori di salienza extra-linguistici. La caratteristica comune a tutte queste forme di spazialità applicate allo studio dei fatti di lingua alle quali abbiamo fin qui fatto riferimento, è l’abbandono del modello centro/periferia10 e l’introduzione del concetto di spazio cognitivo o rappresentazionale11. 10 Nota Auer (2005, 6-7) che nelle hand drawn maps le rappresentazioni etnodialettologiche degli informatori tendono a focalizzare il cuore dell’area e di conseguenza seguono il modello centro/periferia. Auer utilizza le hand drawn maps per indagare le opinioni dei parlanti sui dialetti tedeschi. 11 A parlare esplicitamente di “atto cognitivo-mentale” era stato Simmel ([1903] 1995) riferendolo ai processi di costruzione che la mente fa di “coloro che stanno dall’altro lato del confine in quanto diversi da coloro che stanno nel mio lato” (cfr. Auer 2005, 11-14). I confini ai quali si riferisce Simmel sono le perimetrazioni territoriali della Germania stato-nazione, nel pieno fermento nazionalista del diciannovesimo secolo. La funzione divisoria del limite, in prima istanza, più che derivare dai processi di distinzione rispetto alla realtà extra-tedesca, esplicita l’auto-affermazione di uno stato e una nazione, in un territorio e dentro uno spazio. Nota difatti Simmel che nell’approccio nazionalista il rapporto tra area geografica e forma istituzionale non è di inclusione ma univoco ed esclusivo: una nazione ed un territorio e nessuna nazione senza territorio, è lo slogan nazional-patriottico di quegli anni. Auer utilizza la prospettiva di Simmel applicando al rapporto di interdipendenza tra stato-nazione e spazio la relazione tra spazio e lingua-alta nazionale-standard, il che spiega il monolitismo linguistico all’interno dell’uniformità territoriale-statuale: uno stato, una lingua, nessuna varietà. Questa rappresentazione della realtà diffusa negli anni del nazionalismo tedesco è anch’essa un processo di costruzione mentale e psicologica fondata sulla negazione della fisicità dello spazio (ivi, 12). A partire dalle attività della mente che elabora i contenuti mentali e rappresenta così lo spazio cognitivo,

7. Spazio vissuto

233

Tali modelli, nel farsi interpreti dei fattori extra-linguistici e trasmutando lo spazio fisico nelle spazialità vissute e interazionali, intagliano una cesura rispetto ai processi tradizionali di distribuzione in diatopia delle parole e delle varietà. Il modello gravitazionale e della diffusione linguistica per frequenza di contatti, la teoria delle onde, le stesse norme areali di Bartoli, lo stesso punto minimo di Terracini che pure, per certi versi, è da riconoscere alle origini delle riflessioni della dialettologia percettiva, la sociolinguistica a-spaziale di Labov, risultano insufficienti a coprire le diverse dimensioni in cui l’atto di parola e di opinione, interrelato e rinnovato attraverso la rete interazionale, si presenta nel tempo di vita quotidiana e si riflette nei corpora dei primi dialettologi percettivi. Benché i motivi della cesura non richiamino soltanto l’esigenza di adeguare gli strumenti di analisi alla nuova modernità mobiletica e mediale ma stanno dentro la natura stessa dei dati, è innegabile l’influsso delle neo-pratiche interazionali-comunicative nei confronti della presa di coscienza delle nuove spazialità. Gli studi sulle opinioni e sulle ideologie dei parlanti hanno fin da subito avuto ben chiaro il contesto socio-culturale emergente e le vaste implicazioni cognitive, ma bisogna ammettere che su questo fronte la dialettologia percettiva è un po’ in ritardo12. La messa in conto di ognuna delle componenti extra-linguistiche ma che riguardano la lingua molto da vicino e a cui più volte ci siamo riferiti, è comunque una buona strada verso tale direzione. Abbiamo sostenuto che la procedura di messa a fuoco delle salienze in un’area ben precisa deve prevedere il dialogo tra fattori extra-lingusitici e pre-condizioni di lingua strettamente strutturali e sistemiche. Tutto ciò partecipa a definire la salienza e, di converso, lo spazio vissuto, ovvero i fatti interazionali salienti innescati dagli incontri attraverso procedure delle quali abbiamo proposto alcuni saggi al cap. 513. Ma per arginare il rischio che la complicata pluralità si dissolva nell’ingovernabilità dei dati, si rende necessario precisare quelle condizioni linguistiche ed extralinguistiche che, compenetrandosi nel discorso interazionale, formano l’ambiente sensibile alle rappresentazioni della spazialità vissuta. Occorre in definitiva individuare una griglia di fattori, interni ed esterni alla lingua, che possano definire lo spazio vissuto e le sue declinazioni nei saperi ideologici e nella spazialità avvicinata. Diciamo allora che siamo autorizzati a parlare di ‘spazio vissuto’ quando

l’uomo si dispone a tracciare i confini della differenza con l’altro ignorando la concreta funzione sociologica nelle relazioni di vicinanza e lontananza: «It is not the states […] which limit each other, but the inhabitants […]. However, as soon as [the order] has become a spatialsensual phenomenon which we draw into nature independent of its practical sociological function, it has strong repercussions on the mental representation of the parties’ relationship. […] It then becomes a living energy» (ivi, 141). 12 Un utile contributo potrebbe venire dalla Neo-geografia (cfr. Farinelli 2009), il cui ampio campo di interesse comprende anche la rappresentazione dei nuovi spazi, sia fisici che simbolici. 13 Si vedano modelli, procedure e case studies in §§ 5.1.2-5.1.3, 5.3.4.1-5.3.4.3.

234

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia talune esperienza di vita, che per l’informatore sono o diventano salienti, è dimostrato siano legate alle sue esperienze linguistiche (‘vissuto linguistico’), devono cioè essere capaci di suscitare recall linguistici e quindi associazioni fra dimensione sociale e dimensione linguistica. Tali esperienze linguistiche si rendono disponibili alla attenzione dell’informatore in funzione dell’abbandono della spazialità fisica; tuttavia la spazialità fisica continua a svolgere la sua funzione di orientamento, deittico o non deittico; anzi, la funzione di orientamento rende possibile l’abbandonarsi nel cognitivo. L’“attenzione” invocata sopra può connaturarsi e presentarsi con gradi diversi di consapevolezza e può giungere all’inconsapevolezza. Lo spazio vissuto può presentarsi associato o non associato ad atteggiamenti di apprezzamento o deprezzamento sociale e linguistico. Se l’informatore dimostra di esprimere esplicitamente tale atteggiamento, oppure possiede nei confronti dell’oggetto un atteggiamento implicito, gli atteggiamenti, siano essi espliciti che impliciti, rientrano negli interessi della DP. Sul versante del ricercatore e della possibilità di sondare la densità di spazio vissuto in un’interazione, è necessario postulare la pressione costante delle spazialità cognitive sull’ideologia socio-linguistica dell’informatore, la quale, però, diventa significativa per la DP solo quando le esperienze di vita salienti siano associate, consapevolmente o anche inconsapevolmente, attraverso atteggiamenti espliciti o impliciti, al vissuto linguistico o linguistico e sociale. Per questo motivo, le strategie-input di elicitazione dei dati metalinguistici sono un argomento fondamentale della DP e possono essere ricondotte alla necessità di individuare quei topic capaci di sollecitare l’elicitazione delle salienze. Lo spazio vissuto può innescare dicotomie oppositive o interazionali, come può essere innescato da queste. Quando accadano entrambe le condizioni, si determina un processo di grande interesse per la DP. La tendenza ad associare i vissuti salienti con i vissuti sociali e linguistici è un atteggiamento.

7.2.2 Gli incontri interazionali Centrali per la definizione di spazio vissuto sono gli ‘incontri’, esito delle mobilità14. Sulla base delle dimensioni di posizionamento socio-diatopico, funzione, frequenza, tempo, in Tab. 7.2 proponiamo la classificazione degli ‘incontri’ più ricorrenti nelle interazioni metalinguistiche ALS.

14 Gli stessi informatori in più casi dimostrano di avere consapevolezza del ruolo degli incontri nella formazione dell’esperienza linguistica e sociale propria e degli altri. Ecco un esempio tratto dall’interazione del GF5 di Valderice (Tp): «R1: eh: ad esempio / per quali paesi / tu noti delle differenze? I2: per esempio ci sono i paesi più interni della Sic+ || a pparte il fatto della cadenza. e di alcuni termini che sono specifici di quella zona e non sono: | eh: e non di questa dove viviamo noi. ma poi anche il fatto che ci sono ad esempio delle zone interne in cui la gente non viene a contatto spesso con:: altre persone:: -che so- come può avvenire in posti di mare, di villeggiatura, per cui tu vai a contatto con le persone che parlano una lingua diversa. per cui è cchiaro che ti rimane nell’orecchio questo e si può modificare il tuo modo di parlare. mentre nella zona interne / rimane quello di una volta. quella di una volta la lingua e non zi | non c’è questa trasformazione».

7. Spazio vissuto

235

Posizionamento - INTRA-COMUNITARI

- QUARTIERI - CON NON RESIDENTI

- INTER-COMUNITARI - GRUPPO COMUNITARIO - INTER-GRUPPI

Funzione -

LAVORO NEGOZI ISTRUZIONE ISTITUZIONI FAMIGLIA AMICI SENTIMENTALI TEMPO LIBERO VICINATO OSPEDALE

Frequenza -

PERIODICI OCCASIONALI ECCEZIONALI

Tempo -

PRESENTE RIFERITO PASSATO RIFERITO

Tab. 7.2 Incontri ALS. Classificazione

Queste dimensioni, rilevabili nel discorso interazionale, si intersecano in modi diversi dando luogo ai profili degli incontri nei quali il parlante è coinvolto. Gli incontri intra-comunitari, in base alla provenienza dei soggetti coinvolti, sono stati distinti in incontri tra appartenenti alla stessa comunità ma di quartieri diversi, e incontri nella comunità di appartenenza del parlante con estranei alla comunità. Quanto alle due tipologie di posizionamento inter-comunitario, si sono distinti i casi di ambiente omogeneo al gruppo comunitario di destinazione da quelli caratterizzati da pluralità all’interno del gruppo (inter-gruppi). Ad esempio: una scuola con docenti e/o studenti provenienti da centri diversi.

236

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia

Per quanto riguarda la funzione ci limitiamo a illustrare le voci che potrebbero non risultare trasparenti attraverso la sola denominazione. La funzione ‘istituzione’ si riferisce ai numerosi casi di incontri innescati da mobilità indotta dall’alto, ad esempio servizio militare o episodi bellici. La funzione ‘sentimentale’, tipica negli informatori più giovani del campione, è stata prevista per i diffusi casi di incontri con fidanzati e fidanzate di centri vicini o non molto lontani, tuttavia sono frequenti anche i casi di informatori più anziani che rievocano fidanzamenti e matrimonio. Con ‘frequenza occasionale’ vengono classificati gli incontri determinati da viaggi, festività, sagre, fiere etc., tutti accomunati dall’essere estranei ad un progetto sistematico del tempo di vita. Gli incontri eccezionali (es. matrimonio, guerra, nascita, etc.) sono di alto contenuto emotivo e il protocollo di inchiesta ALS utilizza questi topic quali input di rinforzo per la elicitazione del parlato spontaneo a codice bloccato15. La funzione ‘passato riferito’ esprime il sentimento della diacronia. 7.2.3 Rappresentazione dello spazio vissuto Con le Carte 5 e 6 presentiamo la rappresentazione della mobilità e degli incontri dell’intero campione. Infatti esse contemplano tutte le risposte alla domanda 17 la quale, lo ricordiamo, chiede all’informatore di individuare e riferire i centri della differenza linguistica. In sostanza le carte rappresentano, con modalità diverse, l’intensità di spazio vissuto espressa dall’intero campione. La Carta 5 rappresenta la ‘densità delle rappresentazioni metalinguistiche’. Le cinque sfumature del colore base (marrone) segnalano le indicazioni dei centri prodotte dagli informatori: più alto è il numero di occorrenze, più intenso è il colore. I cinque gradi di intensità sono stati ottenuti con i valori soglia specificati in legenda. È quindi una carta costruita con metodi quantitativi però finalizzata a presentare un quadro generale della qualità della rappresentazione metalinguistica. I poli regionali di Catania e Palermo risultano i centri più indicati, seguiti dai capoluoghi di provincia Messina, Trapani, Agrigento. La carta delle linee di spessore delle rappresentazioni metalinguistiche (Carta 616) rispetto alla precedente dettaglia i centri da cui muovono le indicazioni. É stata ottenuta con una metodologia cartografica classica molto in auge soprattutto nei primi studi di dialettologia percettiva. Le linee collegano il centro dell’informatore ai centri che egli ha indicato in risposta alla domanda 1717. Tante più volte il centro 15 Una classificazione di mobilità utile per un raffronto con le tipologie degli incontri ALS è in Van Den Avenne (2005, 15-33) e Kaufmann (1999, in particolare 7-10). 16 L’elaborazione tecnica delle carte 5 e 6 è stata realizzata dal consorzio Ticonzero di Palermo operante nel campo dell’informatica territoriale, in particolare da Andrea Borruso e Carmelo Fazio. 17 Sono state considerate anche le indicazioni di centri in corrispondenza delle domande 16 e 18 fornite spontaneamente dall’informatore (di numero considerevolmente inferiore rispetto a quelle prodotte nella domanda 17). Questa scelta è coerente con l’impostazione interazionale dell’interpretazione dei dati.

7. Spazio vissuto

237

bersaglio della freccia è stato indicato dall’informatore, tanto più spessa sarà la freccia.18 Posto che rappresentazioni di queste genere colgono aspetti soprattutto quantitativi, emerge un quadro sugli effetti della distanza/vicinanza fisica nelle rappresentazioni socio-demografiche e linguistiche d’area: a) in diversi casi, centri vicini praticano regolari attività di rappresentazione metalinguistica (es.: diversi comuni della cinta metropolitana su Palermo; Acireale su Catania); b) in alcuni casi, centri vicinissimi o contigui sembrano ignorarsi vicendevolmente (es.: gli informatori di Gravina di Catania, Mascalucia, San Giovanni La Punta non indicano mai Catania). c) le frecce lunghe ‘colpiscono’ i poli regionali di Palermo e Catania. Tali frecce muovono dalle Isole, e in particolare: da Pantelleria e Lampedusa verso Palermo; da Lampedusa verso Catania. Infine, Catania e Palermo sono collegate da frecce abbastanza spesse; più spessa è la freccia che muove da Palermo verso Catania. Schematicamente: il punto a) può essere interpretato dal principio di ‘prossimità19 (Montgomery 2006, 2008); il punto b) dal fattore ‘extra-strong proximity’20; il punto c) dai concetti di spazio vissuto e saperi ideologici. Discuteremo specularmente il principio di prossimità e il fattore extra-strong proximity attraverso due esempi che mettono a confronto i diversi comportamenti degli informatori di centri vicini a Catania. Acireale dista da Catania 18 chilometri. L’Istat registra 2754 movimenti pendolari da Acireale a Catania e 501 da Catania ad Acireale. Il centro è abbastanza autonomo nel settore dei servizi ma dipende dal capoluogo per le grandi infrastrutture urbane. 12 informatori su 17 di Acireale individuano Catania come centro della differenza. Questo comportamento è interpretato dal principio di prossimità. I comuni di San Giovanni La Punta, Mascalucia, Gravina di Catania (facenti parte di un’unica micro-area ALS) costituiscono «l’orbita più vicina dell’asse periurbano-metropolitano di Catania […] l’area […] fruisce in maniera caratterizzante del terziario urbano del capoluogo. Quasi un quinto della popolazione residente dell’area (che complessivamente conta 72676 abitanti) si sposta quotidianamente 18 Alcuni dati: Agrigento → Favara 25; Trapani → Marsala 17; Palermo → Catania 15; Acireale → Catania 12; Pantelleria → Palermo 9; Lampedusa → Palermo 11; Pantelleria → Trapani 11; Lampedusa → Catania 8. Non sono stati cartografati i valori inferiori a 5. 19 «The proximity or ‘closeness’ to an area than will positively affect informants ability to distinguish the area or boundary, and those further away will find a negative effect on their ability to do te same» (Montgomery 2006, 127). 20 L’espressione è ovviamente un calco di extra-strong salience (v. § 5.1.1) concetto, come si ricorderà, utilizzato per descrivere quegli stati di salienza nei quali un oggetto è evitato perché troppo notato. Una prossimità troppo elevata, allo stesso modo, può determinare spinte in direzione dell’evitamento, come nei casi che presentiamo.

238

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia

verso Catania per studio o lavoro; se si aggiunge che quasi 1600 persone si spostano ogni giorno da Catania verso l’area, si chiarifica il quadro di un contesto marcatamente periurbano.» (D’Agostino/Ruffino 2005, 324-325). I dati sull’andamento demografico dell’area registrano incrementi dall’800% al 1300% di popolazione residente: «tali dati spiegano la efficace immagine di paesi dormitorio o appendici di Catania» (ivi, 326). Nessun informatore di San Giovanni La Punta, Gravina di Catania, Mascalucia, indica Catania come centro della differenza. Questa irregolarità rispetto al principio dell’effetto-distanza si riscontra in altri contesti areali per centri che, alla stregua di Catania e dei comuni della micro-area, sembrerebbero legati da extra-strong proximit per esempio, Capo d’Orlando dal 1925 ha ottenuto l’autonomia amministrativa da Naso21 e gli stessi informatori testimoniano un soggiacente conflitto identitario tra i due centri22, ma Naso è indicato solo tre volte dagli informatori di Capo d’Orlando.23 In casi come questi è molto probabile che l’extra-strong proximity sia più potente dei fattori sociali e storici, tuttavia presenti in maniera significativa nella coscienza delle due comunità. I dati in uscita dalle Isole nei confronti dei due poli regionali Catania e Palermo e la reciproca carica rappresentazionale tra Catania e Palermo costituiscono limpidi esempi di saperi ideologici. Si aggiunga che questi dati vanno anche nella direzione del principio secondo il quale le informazioni su un’area decrescono insieme alla distanza da essa. È il caso delle rappresentazioni su Palermo provenienti dalle Isole di Pantelleria e Lampedusa e da ampie fette del trapanese e del catanese, molte delle quali di tipo olistico. La distanza dal capoluogo di regione non annulla o indebolisce

21 Capo d’Orlando e Naso distano 13 chilometri. Capo d’Orlando sta sulla costa. Naso è nell’immediato entroterra, a m. 490 slm. 22 Ce ne dà conto una bella interazione dell’informatore NF3 di Capo d’Orlando sulla ‘disputa del cimitero’, della quale proponiamo gli stralci più significativi (e gustosi): «I62: […] e ccosì si bisticciavano fra loro [quelli di Capo d’Orlando con quelli di Naso]. perché antichi pure li facevano queste cose. perché:: quando:: il paese di Naso:: | quando si formao u pae+ u paese di Naso che:: quando moriva qualcuno la notte si doveva tenere eh::: proprio là: perché:: scendevano quelli di Naso, e si venivano a pprendere qquesti qqua e se li portavano a Nnaso, non li facevano andare al cimitero di::: di Capo d’Orlando. perché ancora non c’era un cimitero. c’era / un pezzo di terreno così / | eh: cc’è una storia qua+ quando è mmorto il primo // | che ha ffatto qquesto non lo so. (EX: tono basso) […] I66: […] loro cci facevano la veglia la notte. se::: non c’era qualcuno se lo prendevano e se lo portavano / a Nnaso. e invece quelli di Capo d’Orlando lo volevano che si che si seppelliva a Ccapo d’Orlando […] I74: e si sono bisticciati là. che il mmorto lo tiravano uno per Naso, uno per Capo d’Orlando. (R ride) e ha vvinto Capo d’Orlando che il morto l’hanno portato a Ccapo d’Orlando. questo mi ricordo è la verità. […] I78: questo circa fa cinquant’anni sicuro. […] I: 80 perché ancora la comune era tutta || non cc’era Capo d’Orlando, Naso, contava tutto Naso. perciò Naso era ppiù / si sentiva padrone di tutto. poi invece si sono ddivisi e hanno ddiviso Capo d’Orlando con Naso e ccome infatti noi siamo Capo d’Orlando e ppoi ppiù avanti, qqua ssopra conta Naso». 23 Il NF2 oppone il lessema pignata a pignato attribuito a Naso. Nel NF1 e nel FF1 nei confronti di Naso è presente il super-stereotipo italiano vs. dialetto. Il FF1 istituisce anche l’opposizione mare vs. montagna.

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7. Spazio vissuto

l’immagine di Palermo quale centro della differenza, ma rende meno distinte le informazioni linguistiche. 7.2.4 Classificazione funzionale dello spazio vissuto Le tabelle 7.3 e 7.4 presentano la distribuzione dello spazio vissuto all’interno delle due variabili del campione tipologia famiglia e tipologia informatore. Il calcolo è stato effettuato sulle 350 interazioni (pari al 38% del totale) delle domande 16, 17 e 18 nelle quali sono stati rilevati fattori di salienza extra-linguistica. Come si vede, i valori risultano distribuiti, all’interno delle variabili considerate, senza significativi scarti quantitativi, fatta eccezione per la tipologia tipologia Famiglia 1 e la tipologia Informatore Nonno. Quest’ultimo dato va interpretato nel quadro della generale predisposizione degli informatori più anziani del campione all’«orientamento verso la rievocazione» (v. § 6.4.5.1). La più alta incidenza percentuale relativa della Famiglia 1 conferma il dialetto e la dialettalità dimensioni ad alto valore ideologico e identitario. Tuttavia, in generale, il ruolo delle variabili da campione non si dimostra efficace per l’interpretazione di tutti i dati e tutt’al più conferma caratteristiche di alcuni informatori e dinamiche identitarie proprie delle varietà locali già ampiamente verificate. Fam. 1 Fam. 2 Fam. 3 Fam. 4 Fam. 5 27%

23%

20%

18%

Tab. 7.3 Spazio vissuto/Famiglie

12%

Nonno Genitore Figlio 38%

34%

28%

Tab. 7.4 Spazio vissuto/Informatori

La Fig. 7.1 mostra l’incidenza dello spazio vissuto per tipologia-funzione. Quest’ultima è il contesto in cui è avvenuto l’incontro narrato dall’informatore e si è determinata l’esperienza del comportamento linguistico. Dal grafico risulta evidente la forza di questa variabile. La tipologia-funzione più diffusa è la famiglia, cosa che attesta l’alta densità sociale, economica ed affettiva delle reti familiari in Sicilia. Per lo più si tratta di incontri con familiari trasferitisi in altri comuni per motivi lavorativi o in seguito al matrimonio. La significativa percentuale della tipologia-lavoro si deve soprattutto agli spostamenti pendolari di tipo lavorativo. C’è l’insegnante che insegna in un altro paese, l’infermiera, l’impiegato pubblico e di banca, il pastore che si sposta in relazione al periodo dell’anno, e via dicendo. Ben salde risultano le reti amicali, come attesta la percentuale del 17%. La tipologia-funzione ‘istruzione’ è costituita soprattutto dagli incontri determinati dagli spostamenti per frequentare le scuole secondarie di secondo grado insediate nei centri più dinamici delle aree e le sedi universitarie regionali soprattutto quelle di Catania e Palermo. Su quest’ultima tipologia-funzione è interessante rilevare che lo spazio domestico condiviso con coetanei universitari provenienti da diverse parti della Sicilia tante volte diventa il laboratorio di incontri e di esperienze linguistiche differenziate (Scarpello 2009). Con

240

7.2 spazio vissuto e mobilità, dinamicità, diatopia

‘militare’ indichiamo gli incontri maturati durante il servizio militare e, per i Nonni del campione, durante l’ultima grande guerra. Le tipologie-funzioni sono quindi i contesti di spazio vissuto. La loro significativa incidenza nel differenziare qualitativamente i fattori di salienza extra-linguistica conferma l’importanza dello spazio vissuto per l’analisi e l’interpretazione dei dati sulla percezione e rappresentazione delle differenze linguistiche diatopicamente distribuite. Il modello, tuttavia, come abbiamo dimostrato, sia in sede di presentazione teorica, sia in sede di descrizione metodologica, risulta adeguato solo se comprende tutti i fattori e fenomeni linguistici ed extra-linguistici: comportamenti linguistici, pragmatici, cognitivo-ideologici; salienze linguistiche ed extra-linguistiche. Tali fattori e fenomeni, inoltre, devono essere adeguatamente distribuiti all’interno delle dimensioni micro e macro dell’analisi. Un modello, quindi, pluridimensionale a vocazione quanti-qualitativa.

35%

20% 17%

17%

3%

3%

2%

Fig. 7.1 Spazio vissuto/Tipologie-funzione

1,50%

1,50%

7. Spazio vissuto

241

7.3 I MODI DELLO SPAZIO Abbiamo proposto la situazione tipo che descrive genericamente gli snodi demografici, pragmatici e cognitivi individuati in un informatore che vive lo spazio esperienziale (v. § 7.2.1). Tale situazione costituisce una buona mappa generale dello spazio vissuto nel corpus ALS e ci fa capire come i parlanti interpretano i sentimenti di differenza e di alterità nella dimensione spaziale. Posto che sarebbe impossibile congegnare una classificazione capace di contenere nel discorso interazionale le pluralità di rappresentazioni dello spazio, tipologie di incontri, fattori linguistici interni ed extra-linguistici, l’individuazione di alcune frequenti modalità può servire da utile griglia di orientamento. Proponiamo di seguito quattro modalità tipologiche alle quali possono essere ricondotte molte delle interazioni metalinguistiche (ovviamente ciascuna con le proprie specificità). Le modalità contengono elementi della spazialità fisica e cognitiva diffuse nel corpus e che possono ricorrere all’interno della cornice dei prototipi dello spazio: vissuto, avvicinato, saperi ideologici. SPAZIALITÀ VISSUTA-RIFERITA

Nicola S., NF3, di professione macellaio, è un informatore di 77 anni di Gangi, un piccolo comune montano dell’entroterra madonita, nel punto di confine tra le province di Palermo, Caltanissetta ed Enna, a circa 130 chilometri dal capoluogo di regione. Il trascrittore ci informa che le interazioni alle domande dalla 6 alla 16 della seconda parte del questionario non si sono svolte in quanto l’informatore ha risposto a tutte con un secco “no”; egli quindi è un parlante ad asserita ‘immobilità personale’. Tutta l’interazione si svolge in dialetto, l’elicitazione del parlato spontaneo in italiano è risultata molto difficoltosa e puntellata da continui input del raccoglitore finalizzati ad arginare la commutazione di codice. L’informatore è quindi un dialettofono dichiarato e riscontrato negli usi linguistici dell’intervista. Ecco l’interazione alle domande sulla diversità linguistica: 46. R1: mi dicissi na cosa. // vossìa nota na picca di ddifferenzi ca cci sunnu, tra u sicilianu ca si parra a Ggangi e u sicilianu ca si parra nnê paisa o nnê città vicini. I2: ca certu ca cc’è a ddifferenza! R3: // cc’è a ddifferenza. e ad esèmpiu, ccu quali paisa chi+ cchiossà vossìa nota sta ddifferenza? I4: / ca puru ca vai a Sperlinga= R5: I6: =e chiḍḍu tantu ppi diri // l’acqua a chiàmanu “l’egua.” R7: I8: u:: | nuaṭṛi cca chiamamu, tantu ppi ddiri “u bbùmmulu” e chiḍḍi u chiàmanu “u cuccumetu.” R9: a Spillinga? I10: a Spillinga. [vai a San] R11: [cumu u chiàmanu] u bbùmmulu? I12: “u cuccumetu!” R13: I14: vai a San Fratiḍḍu, nun nni capìsciu completamenti. sû pàrranu tra iḍḍi! suḍḍu pàrranu pui qualchi parola accussì, ma no, nu nni capisci complet+ | ia ci iiu âccattari maiali, fari e ddiri, nun ni capìa completamente!

242

7.3 I modi dello spazio R15: a San Fratiḍḍu. // e paisa di sta latata? Spillinga è di ḍḍa latata. paisa | cchi paisa di sta latata ni nni [nota ddifferenze.] I16: [va bè!] paisa di sta latata no, picchì supergiù pui sunnu cumu Pitralia, Casteḍḍibbuni, e:: cchissi sunnu quasi | ma ssi paisi chissi ssi fratiḍḍani, [ssi cosi,] R17: [cchiossà i nota] | quindi ccu ccu paisa cumu Pitralia, cosa, unn-i nota [tanti ddifferenzi.] I18: [no no.] chiḍḍi si | nni capimu precisi. R19: vi capiti. ma:: vi vi nni capimu, ma nota // qualchi qualchi ddifferenza [particolare] I20: [ddifferenza] picchì u dialettu di unu: | di un paisi e u dialettu di naṭṛu [a ddifferenza c’è.] R21: [ad esèmpiu] qualchi ddifferenza di pronunzia, di | cchi ssàcciu o di paroli tra ad esìmpiu u gangitanu e sti paisa | u pitralisi, u iragisi [sa ricorda:.] I22: ma:: ia:: um-mi rrićordo xx24 (NF3 Gangi - PA)

L’interazione inizia con una aperta dichiarazione di differenza linguistica (I2) precisata nei turni immediatamente successivi con l’individuazione di due lessemi riferiti all’isola alloglotta galloitalica di Sperlinga (Ruffino 1991a): in I6 una variante locale dell’alloglossia (acqua vs. egua) e in I8 una variante siciliana arcaica (cuccumetu) alla quale è opposta il lessema arcaico del proprio dialetto (bbùmmulu). Una percezione della differenza non distinta associata all’incomprensione si riscontra in I14 con San Fratello, anche questa comunità linguistica galloitalica. In entrambi i casi i turni interazionali che individuano i centri sono retti dal verbo andare con funzione deittica (I4, I14). Malgrado il raccoglitore maldestramente produca25 un input di orientamento spaziale-cognitivo avente ad oggetto i centri del versante opposto a Sperlinga (R15), riguardo a questi la percezione dell’informatore rimane nella dimensione olistica della differenza, senza distinzione di tratti (I22: ma:: ia:: um-mi rrićordo). San Fratello è un comune dell’entroterra costiero messinese, raggiungibile dal paese dell’informatore in due ore buone d’automobile attraverso l’autostrada Palermo-Messina e le statali di snodo. I dati non attestano alcun significativo rapporto

24 R1: mi dica un po’, vossia [sincope da “vostra signoria”] nota un po’ di differenze che ci sono tra il siciliano che si parla a Gangi e il siciliano che si parla nei paesi o nelle città vicine? I2: e certo che c’è la differenza! R3: eh! c’è la differenza, e per esempio con quali paesi vossia nota di più questa differenza? I4: anche se vai a Sperlinga R5: mmh I6: e quelli tanto per dire l’acqua la chiamano “l’egua” R7: ah! I8: il … noi qua chiamiamo tanto per dire “u bbùmmulu” [recipiente di terracotta] e quelli lo chiamano “u cuccumetu” R9: a Sperlinga? I10: a Sperlinga. Vai a San … R11: come lo chiamano “u bbùmmulu”? I12: “u cuccumetu”! R13: ah! I14: vai a San Fratello e non capisci niente se parlano tra loro! Se parlano poi qualche parola così … se no non capisci niente, io ci sono andato per comprare maiali, fare e dire, non capivo niente! R15: a San Fratello, e paesi di questo versante? Sperlinga è di quel versante, paesi … con paesi di questo versante ne nota differenze? I16: vabbé! Paesi di questo versante no, perché su per giù poi sono come Petralia, Castelbuono, e quelli sono quasi … ma questi paesi questi fratellani [abitanti di San Fratello] … R17: di più le nota … e quindi con con paesi come Petralia … cosa, non ne nota molte differenze? I18: no no, quelli sì ci capiamo precisamente R19: vi capite ma vi vi ci capiamo, ma nota qualche differenza particolare? I20: differenza … perché il dialetto di un paese e il dialetto di un altro, la differenza c’è R21: per esempio qualche differenza di pronuncia, di … che so o di parole ad esempio tra il gangitano [dialetto di Gangi] e questi paesi, il petralese [dialetto di Petralia Sottana e Petralia Soprana], il geracese [dialetto di Geraci Siculo], se la ricorda? I22: mah … io non mi ricordo. 25 Si tratta di una tardiva meta-accusazione, dato che il raccoglitore dell’intervista è chi scrive.

7. Spazio vissuto

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tra Gangi e San Fratello, né per quanto riguarda gli spostamenti pendolari e il consumo dei servizi, né in riferimento alle zonizzazioni territoriali, lavorative ed economiche26. Allo stesso modo, le vicende storiche non registrano particolari dinamiche di prossimità o di condivisione di istituzioni amministrative ed ecclesiastiche. Un po’ diverso il caso di Sperlinga, comune della provincia di Enna distante poco meno di 18 chilometri da Gangi. I dati ufficiali su tutti i fronti non attestano rapporti particolarmente significativi, ma il suo centro abitato si snoda lungo la statale 120, via d’accesso ai centri ennesi del versante orientale e, soprattutto, verso Nicosia. Quest’ultimo è un centro galloitalico distante 25 chilometri da Gangi e 7 da Sperlinga. Nicosia è il centro più dinamico dell’area di confine tra Gangi e la provincia di Enna e destinatario del flusso pendolare più consistente in uscita da Gangi, di carattere lavorativo (terziario) ma anche scolastico. Sul versante occidentale, con tutti i comuni delle alte Madonie, Petralia Soprana, Castellana Sicula e in particolar modo con Petralia Sottana, Geraci Siculo, Polizzi Generosa e Alimena, sono attestati consistenti flussi pendolari e rapporti molto significativi in tutti i settori economici e dei servizi alla persona. Il segmento ovest della SS 120 è l’asse viario privilegiato di collegamento. Integriamo adesso questi fattori extra-linguistici dell’area con i fattori linguistici, in modo da avere il quadro completo delle salienze sociali e di repertorio potenzialmente a disposizione per le percezioni e le rappresentazioni dell’informatore NF3 di Gangi. Le varietà di San Fratello, Sperlinga e Nicosia in sede di prognosi rientrano nei casi attesi di alta salienza, sia quando le varietà alloglotte hanno generalmente conservato lessico e strutture linguistiche, sia quando sono invece intervenuti evidenti processi di interferenza della koiné regionale e dell’italiano, come nel caso di Nicosia. Le rappresentazioni metalinguistiche verso le isole alloglotte hanno molto dell’«immaginario linguistico popolare […] di pertinenza di una etnolinguistica soggettiva [del] riconoscimento generico» (Telmon 2002, 41). Dal punto di vista della teoria della rappresentazione di Boyre, esse potrebbero configurarsi come super-immagini sociali emerse al di sopra del contesto normativo e regolare del repertorio italoromanzo; inoltre, è verosimile che la potenza della rappresentazione tenda ad annullare le differenziazioni interne, anche quelle che insidiano l’identità linguistica alloglotta. La varietà parlata a Gangi si presenta con caratteri autonomi rispetto ai centri del versante occidentale (Sottile 2002). I tratti della differenza salienti in sede di prognosi (e rivelatisi tali nelle interazioni metalinguistiche ALS dell’area) sono i seguenti: monottongo metafonetico; apertura condizionata di /i/ e /u/ davanti /i/ e /u/ in sillaba finale; propagginazione di /u/; affricata palatale, prevelare con soluzione palatale; paragoge sillabica eghi che si presenta nelle parole ossitone in /è/ e nella forma del verbo essere terza persona singolare (per l’appunto: eghi, da è+ghi), 26 Per i profili gravitazionali l’ALS utilizza le seguenti fonti: Atlante della Società per la Matematica e l’Economia (Somea) 1987; Piano Territoriale Paesaggistico Regionale 1996; Sistemi Locali del Lavoro 2001; Matrici del Pendolarismo. Una descrizione di questi strumenti è in D’Agostino/Ruffino (2005, 129).

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7.3 I modi dello spazio

La specificità linguistica, inoltre, spiega le diversità lessicali rispetto alle aree circostanti. Ciascuno di questi tratti si presenta con varianti diverse nei centri occidentali delle Madonie con i quali Gangi, come illustrato, intrattiene relazioni d’area significative. Ad esempio, ad Alimena è diffusa l’approssimante laterale alveopalatale e a Petralia Sottana l’interiezione “alè”, tratti molto stigmatizzati e stereotipizzati in zona. In nessun centro è presente l’apertura condizionata delle vocali alte, né la propagginazione di /u/. Inoltre, e per concludere, la disomogeneità del sistema fonologico caratterizza e diversifica la prosodia. Tutti questi fenomeni sono puntualmente rilevati come marche della differenza da molti degli informatori del campione presente in area, anche da informatori di Gangi, ma non dal NF3: la rappresentazione del mondo socio-linguistico del sign. Nicola prevede Sperlinga e Sanfratello, questi e solo questi. Quando il raccoglitore lo invita a concentrarsi sui paesi «più vicini», l’informatore afferma che sì, tutto sommato ogni paese ha il suo dialetto, ma con questi «nni capimu precisi». Nicola, lo dicevamo, è un informatore sostanzialmente ‘immobile’, sia dal punto della mobilità personale, sia da quella linguistica. Alla domanda 15 della seconda parte del questionario («Cosa intende Lei per siciliano parlato male?») in un turno di risposta successivo al sotto-input «È un dialetto con molte parole e frasi italiane?» Nicola risponde: «ma difficili mi pari a mia. u sicilianu | quannu unu parra sicilianu, ncumencia sicilianu e speḍḍi sicilianu». Questa tipologia di informatori dimostra di possedere processi cognitivi molto nitidi: la mia lingua è il siciliano, poi c’è un italiano; il mio mondo è il mio paese, poi c’è un altro mondo. L’immobilità personale e linguistica alimenta la rappresentazione di un mondo monolitico oggettivo, proiezione del mondo monolitico soggettivo, dove è difficile individuare le particolarità che fanno gli altri diversi. La difficoltà si colloca sul piano ideologico-identitario ma investe anche la competenza percettiva: come potrebbe Nicola dissezionare un mondo che per lui è compatto? Gli unici paesi indicati dall’informatore sono San Fratello e Sperlinga. Secondo la nostra prospettiva, questi due centri sono per Nicola fattori soggettivi salienti di spazio vissuto, basati su incontri inter-comunitari, periodici, lavorativi, nella dimensione del passato riferito. In informatori immobili con rappresentazioni soggettive ed oggettive monolitiche è interessante notare come proprio e solo i vissuti esperienziali divenuti significativi sono in grado di spezzare la compattezza monolitica delle rappresentazioni; sono come dei piccoli anfratti che perforano l’uniformità di superficie. Della salienza soggettiva di San Fratello ci informa lo stesso Nicola, esplicitando i vissuti esperienziali significativi (I14 …ia ci iiu accattari maiali, fari e diri). Nulla aggiunge su Sperlinga, ma sappiamo che numerose aziende gestite da allevatori gangitani sono insediati da tempo nel suo territorio: è molto probabile quindi che la salienza sociale soggettiva di Sperlinga abbia le stesse caratteristiche di quella di San Fratello. In realtà, l’informatore avrebbe avuto molti motivi per indicare Nicosia. È questo come Sperlinga un centro alloglotto (fattori linguistici) e i dati in nostro possesso

7. Spazio vissuto

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ci hanno informato della particolare intensità delle relazioni che esso intrattiene con Gangi (fattori extra-linguistici). Di più, oramai da diversi decenni, l’apertura al traffico della strada intercomunale Sperlinga-Nicosia ha eliminato il transito di passaggio su Sperlinga. Inoltre basta solo consultare i registri parrocchiali per rendersi conto dell’alta frequenza di matrimoni tra abitanti di Gangi e di Nicosia. Come abbiamo constatato, Nicosia e i centri madoniti del versante occidentale (Petralia Sottana, Geraci, Alimena, etc.) sono per la comunità linguistica di Gangi salienti in fase di prognosi, sia dal punto di vista dei fattori linguistici interni, sia dal punto di vista dei fattori extra-linguistici. Ma per Nicola, per il suo spazio cognitivo, non lo sono. La salienza di San Fratello e Sperlinga è la risultante dei fattori extra-linguistici; le pre-condizioni di salienza linguistica, che pure sono molto precise, non sembrano significative nel processo rappresentazionale, sia nel suo stadio primario di individuazione di una prominenza, sia nella sua esplicitazione. Chiamiamo spazio vissuto-riferito il tipo di rappresentazione della spazialità riscontrata nell’informatore NF3 di Gangi, proposto come esemplare. Ci spostiamo a Pantelleria, una delle due isole del campione, posta a circa 100 chilometri dalla costa trapanese, nelle acque del Mediterraneo. Vogliamo capire se e in che modo la frattura spaziale agisce sulle rappresentazioni dei confini fisici ed amministrativi. L’Isola fa parte della provincia di Trapani ed è collegata con i porti di Palermo e di Mazara del Vallo; dal locale aeroporto sono inoltre attive tratte per Trapani e Palermo (oltre che verso alcune tra le più importanti località della Penisola). La posizione geografica influenza notevolmente la frequenza dei contatti d’area e la dislocazione dei servizi. I movimenti pendolari risultano ovviamente molto limitati e i servizi fondamentali, benché il territorio sia «privo di infrastrutture nodali», garantiscono una certa «autosufficienza» ai residenti (D’Agostino/ Ruffino 2005, 162). Per seguire l’istruzione universitaria i giovani lasciano l’isola per periodi relativamente lunghi. L’informatore NF2, impiegato scolastico, prevalentemente dialettofono, riferisce di non essersi mai spostato da Pantelleria, tranne per un periodo di tre o quattro anni, quando ha dovuto trasferirsi per motivi di lavoro a Vita, comune a circa 40 chilometri da Trapani (nel corso dell’inchiesta egli rimarca il disappunto per l’abbandono del comune di nascita, dovuto, a suo dire, per una ritorsione nata in ambiente lavorativo). E puntualmente, nell’interazione, Vita è individuato quale unico centro della differenza, al quale viene associato, senza alcun tratto di confronto, il disfemismo lessicale turdu, una marca distintiva all’interno del gruppo amicale: INTRA-SPAZIALITÀ VISSUTA

47. R1: lei nota ddifferenze fra il dialetto che si parla nna stu paisi27 e quello che si parla in altri paesi? I2: sì. ho nnotato differenza. 27 In questi paesi.

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7.3 I modi dello spazio R3: per esempio? I4: perché ho fatto servizio un:: tre, quattro anni a Vvita. R5:

Vita dunni s’aṭṭṛova28? I6: è:: fra Salemi e:::

(sic) R7: e qquindi lei nota sti ddifferenze per esempio tra [un]= I8: sì. R9: =pantiscu e unu chi àbbita a Bbita?29 I10: sì. una parola / pròprio… R11: mi ricissi?30 I12: di loro, “turdu!” -facìa31- però non a mme. fra loro amici. ed era una parola di scherzo magari. anzicchè dìrici32 “Giovanni, Francesco, Turdu!”. siccome sta parola gliela gliela dicevano spesso quello sapeva già che chiamavano a llui.

R13: ho ccapito. I14: ma non era un “turdo” come offenderlo. un “turdo” così…quel modo d’espressione= R15: e sta st’espressione = I16: = fra di loro paesani. R17: = “turdu”a Ppantelleria si usa? I18: no. no. no. (NF2 Pantelleria - PA)

I dati ALS attestano tra gli informatori di Pantelleria la forte incidenza delle rappresentazioni olistiche della differenza, genericamente associate ad un’alterità che sta fuori l’Isola (molte volte nelle forme di saperi ideologici) o, tutt'al più, a centri facenti parte del vissuto lavorativo o scolastico, talora riferito e quindi non sperimentato direttamente nel tempo di vita quotidiana. Ad esempio, l’informatrice NF1 individua generiche differenze linguistiche e li associa a poli urbani forti e dinamici che però non appartengono al suo vissuto ordinario33. La percezione della differenza del NF2 di Pantelleria è un tipico caso di spazialità vissuta profondamente caratterizzata e influenzata dalla frattura spaziale, dal sentimento ideologico dell’autosufficienza socio-identitaria e dal particolare tipo di immobilità personale. Tranne che per la parentesi a Vita, il vissuto sociale e lavorativo dell’informatore da sempre ha coinciso con l’isola di nascita: Pantelleria è la normalità socio-linguistica, Vita rappresenta la differenza rispetto all’alterità. In situazioni di contenimento spaziale così estreme risulta parecchio interessante verificare come i parlanti rappresentino le spazialità intra-urbane e le ideologie linguistiche sottese a tali rappresentazioni, al fine di capire se l’estrema limitatezza del raggio percettivo verso le realtà extra-urbane si rifletta all’interno della

28 29 30 31 32 33

Dove si trova? Pantesco (abitante di Pantelleria) e uno che abita a Vita? Mi dica. Diceva. Dirgli. Il caso è illustrato in D’Agostino/Pinello 2010. I centri indicati dall’informatrice sono quei luoghi che, in forza delle rispettive funzioni politiche, geografiche e culturali, costituiscono patrimonio condiviso da ogni abitante del trapanese: Palermo e Trapani, punti di riferimento provinciale e regionale; Marsala e Mazara del Vallo, punti di riferimento di sub-area con i quali l’isola di Pantelleria ha rapporti anche per il consumo di alcuni servizi del settore pubblico e, con la sola Mazara del Vallo, per le tratte via mare di collegamento stagionale.

7. Spazio vissuto

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comunità34. Se così non fosse, si dovrebbe indicare anche lo spazio fisico come forte fattore percettivo e rappresentazionale della differenza linguistica. A questo fine presentiamo l’interazione sempre dell’informatore NF2 di Pantelleria alla domanda 26 «Secondo Lei, c’è un quartiere della Sua città dove si parla di più il siciliano?». È un po’ lunga ma vale la pena leggerla per intero: 48. R1: secondo lei cc’è un quartiere di stu paisi dunni si parla chiossài lu dialetto? c’è na conṭṛada runni si parra chiossài dialetto35? I2: contrade più arretrate. R3: e ttipo quali sù sti contrade cchiù arretrate36? I4: R5: mi li ricissi37? I6: pròprio nella profondità delle isole. piccole paesetti di = R7: tipo? I8: = campagna. capito? R9: comu si chiamano sti paesetti38? I10: e:se lei va a Sibà. per esempio. Sibà. / quasi quasi no│si rifiutano di: dare tanta cosa. perché dice «ma questa cosa vuole?» xx. R11: a:: ho ccapito. quindi si nni ricorda:: poi aṭṛi conṭṛade39? I12: e:: contrade c’è Kufirà. per esempio. na conṭṛada è Kufirà40. R13: Kufirà? I14: sì. R15: I16: e: per andare a Kufirà prima arriva S.Vito. che c’è una chiesetta piccola. R17: S.Vito è n’aṭṛa conṭṛada41? I18: sì. no. no. è la strada │ sulla strada per andare a Kufirà. S.Vito. R19: = I20: però… R21: =quindi nna sti conṭṛade ccà si parra cchiossài lu…42 I22: sì. sono ppiù::│fra::│no+│non c’è un linguaggio come ci stiamo esprimendo attualmente. R23: quindi… I24: c’è un linguaggio tutto… R25: com’è stu linguaggio? I26: no. no. tutto…

34 Le due domande sulla percezione linguistica intra-urbana sono precedute da altrettanti quesiti preliminari a risposta chiusa (sì/no) circa l’esistenza o meno dell’eterogeneità linguistica all’interno del proprio centro. Tali quesiti sono stati posti solo nelle località con significative divisioni per quartiere. 35 Secondo lei c’è un quartiere di questo paese dove si parla di più il dialetto? C’è una contrada dove si parla di più dialetto? 36 E tipo quali sono queste contrade più arretrate? 37 Me le dica. 38 Come si chiamano questi paesetti? 39 Se ne ricorda poi altre contrade? 40 Una contrada è Kufirà. 41 È un’altra contrada? 42 Quindi in queste contrade che si parla di più il …

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7.3 I modi dello spazio R27: tutto dialetto. ricemu43. I28: tutto dialetto. sì. R29: I30: c’è chi ha un dialetto più pulito, c’è chi magari… R31: e llei co+│come si lu spiega per esempio chi nna sti zzoni tipo Sibbà44, tipo:: anche Tracino -per dire- o Kufirà, parlano più in dialetto e pparlano meno per esempio in italiano? / comu si lu spiega? I32: come me lo spiego? R33:

I34: sappiamo che di zzona a zzona cc’è sempre uno strascico nel modo di parlare. e:c’è una zona più evoluta un’altra zona meno evoluta. dice «ma sono contrade. sempre Ppantelleria è.» sì. è sempre Pantelleria. ma stare al centro e stare nelle varie zzone… R35: e. cche ddifferenza cc’è? I36: c’è. c’è ddifferenza. qualche differenza si nota. specialmente con la ggente grande. perché / con la scuola obbligatoria che cc’è stata e il magistrale e tutto gratuìto. e: allora… R35: sì. ho cca+│io stu│ ho ccapito.│stu fatto dell’istruzione I36: xx i ggiovani vanno bbene e parlano bbene. però i ggenitori e… R37: e llei comu si lu spiega chi per esèmpiu:: sti ggenitori, sti persone anziane,ma anche ggiovani. parrano cchiossài in dialetto nna sti | nna sti piccole conṭṛade ccà per esempio lu parlano di meno45? I38: pperché sono radicati llà. co+│con quei dialetti. R39: I40: e:: si hanno una certa età…= R41: c’è diciamo una xx I42: =non possono cambiare. R43: ho ccapito. quindi dicemu chi ssù cchiù attaccati a lu dialettu. dicemu46. I44: sì. sì. e si sforzano se eventualmente ci vai tu o io. R45: ho ccapito. I46: si sfòrzanu di di pallari47 un po’ più… ma non riescono. (NF2 Pantelleria - TP)

La struttura urbana di Pantelleria è articolata in un insediamento principale, di solito indicato come il centro dell’Isola, e da undici frazioni a carattere prevalentemente rurale che conservano ancora i toponimi arabi, disperse nell’ampio territorio. L’isola difatti è molto estesa (kmq. 83) e qualunque guida sufficientemente attendibile raccomanda di prendere accordi per tempo per l’affitto di un’automobile in loco. L’interazione del nostro informatore è molto esplicita e davvero non sarebbe necessario annotarla. Proponiamo tre semplici chiose (e rileviamo anche in questo caso l’utilizzo del verbo andare con funzione deittica: I10, I16). Primo. È del tutto evidente l’agire del super-stereotipo italiano vs. dialetto (salienza ideologico linguistica) associato al significato pragmatico dei lessemi: il siciliano è parlato nell’isola più profonda (I6) nelle contrade più arretrate (I2, I34) che sono piccoli paesetti (I6) e campagna (I8), dove non parlano certo come stiamo 43 Diciamo. 44 Come se lo spiega che in queste zone tipo Sibba. 45 …e lei come se lo spiega che per esempio questi genitori, queste persone anziane, ma anche giovani, parlano di più in dialetto in queste piccole contrade? 46 Diciamo che sono più legati al dialetto, diciamo. 47 Si sforzano di parlare.

7. Spazio vissuto

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parlando noi adesso (I22). Inoltre, all’interno delle contrade è individuato il sentimento della diacronia linguistica (I36). Secondo. La realtà intra-urbana, e il comune di Vita, concorrono a far parte dello spazio vissuto dell’informatore. Fanno cioè parte delle salienze sociali significative a disposizione del parlante. Terzo. La dimensione fisica della spazialità intra-urbana modella la percezione cognitiva. È questa una modalità ampiamente riscontrata pure, e in particolare, nei centri medi e costieri nei confronti delle comunità circostanti. Di seguito, due esempi di rappresentazione della differenza di ascrivere a quella che abbiamo denominato modalità-tipo. Collochiamo questa modalità al punto di snodo tra le due proposte sopra e l’ultima che proporremo (spazio vissuto-praticato) in modo che possano essere confrontate ed emergere le loro specificità. Di seguito, quindi, l’interazione dell’informatore FF5 di Casteldaccia, comune dell’area metropolitana di Palermo:

SPAZIO VISSUTO

49. R1: e: mi sai dire quale:: | quali paesi? I2: sì. per esempio io andavo a scuola::: a Termini Imerese, e lì c’è un dialetto::, e anche un modo di parlare secondo me molto diverso. [tipo:::] R3: [mi fai] qualche= I4: [sì.] R5: =[esempio?] I6: per dire il:: “il polpo morto al porto” -per dire- “u:: poppu mottu ô ppottu.48” cioè questa propria senza erre senza::… R7: e a Casteldaccia invece come [si dice?] I8: [no. va bè] per esempio “u pùippu mòittu o pòitt+ | o pòittu49” pure se in realtà non: è una frase | è per farti proprio l’esempio che è particolare. oppure “iò,” invece di “io.” usano questa:: | questo accento:: diverso che proprio ti cambia::… “iò ivu.50” per dire. e invece “io ivu.” qua. potremmo dire. ecco. R9: poi con altri paesi:… I10: no::. più che altro ricordo questo perché, sono stato appunto sette anni della mia vita lì

e ho avuto modo di:: di ascoltare diverse frasi anche dei compagni, o degli insegnanti. ma:::… R11: con altri paesi [non te li ricordi?] I12: [paesi non non po+ | ] no. non mi viene in mente subito un esempio perché più o meno / è simile. R13: va bene (FF5 Casteldaccia - PA)

I turni I2 e I10 esplicitano le mappe mentali forgiate dal vissuto di Clemente. Notate come il tratto linguistico saliente, l’assimilazione regressiva della vibrante, sia in realtà una pre-condizione di salienza. 48 Il polipo morto al porto. 49 Il polipo morto al porto. 50 Io sono andato.

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7.3 I modi dello spazio

Nell’informatore GF4 di Ragusa, capoluogo di provincia dell’area sud-orientale della Sicilia, i vissuti spaziali seguono il ritmo della mobilità tipica del centro urbano di grande dimensioni, bacino d’utenza dei servizi e del terziario per i comuni dell’area: 50. R1: lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla nella sua città / e il siciliano che si parla nei paesi vicini.

I2: sì sì. noto delle differenze sia come: inflessione dialettale, eh. sia come:: // come dei dei vocaboli che noi non usiamo. R3: [e qual+…] I4: [che ssò,] mettere la “cci”. nella “cci” la “acca”o non metterla. questo avviene anche all’interno: della nostra città tante volte. ci sono dei vocaboli che a Ibla51 sic usiamo e cche a Rragusa alta:: non si usano. in certe cose cc’è: differenza. R5: per quali paesi | mi potrebbe per quali paesi nota delle differenze? I6: e per quanto ne so già a Còmiso hanno un: | un’altra inflessione. anche a Mmodica. | cioè noi che: siamo nel negozio / ce ne accorgiamo. appena entra una persona dal: suo modo di parlare. se:: della ragus+ | se è di Rragusa o se è della provincia. è raro che non ce ne accorgiamo. specialmente || certo i giovani ormai non si nota ma specie: le persone della nostra età: lo notiamo. lo notiamo questa differenza. n+ | se cci parlano: in dialetto. […] I12: sì sì il circondario sì ppiù cche altro per nominare: le persone cche conosco con le quali sono: più a contatto (GF4 - Ragusa)

Il negozio nella zona di nuova espansione della città (I6) è lo spazio degli incontri che scorrono nella vita di Stefania (è il nome dell’informatrice) e della sua famiglia che la espongono al contatto con varietà diverse. L’informatrice può ascoltare il flusso delle varietà che convergono verso il centro, varietà che è capace sia di differenziare (“alcuni dicono ci, altri chi”52, I4), sia di uniformare nella condivisione di «un’inflessione dialettale» (I2), che è invece estranea alla città. La condizione di soggetto facente parte di un sistema urbano al centro di un insieme variegato di contatti raggiunge anche il livello di conscia consapevolezza (I12). Pure in questo caso l’attenzione alla differenza, benché suscitata da input diversi da quelli visti sopra, coinvolge la realtà intra-urbana (parte bassa nuova vs. parte alta vecchia) e la dimensione della salienza pragmatica del tratto linguistico, peraltro caratterizzato da fortissima presalienza. SPAZIO VISSUTO PRATICATO-CONDIVISO

Gaetana, Leonarda e Anna Maria vivono a Valderice, piccolo comune contiguo a Trapani. Il marito di Leonarda è originario di Nubia, frazione di Trapani. Anna Maria è loro figlia. Gaetana (informatrice Nonna) è mamma di Leonarda (informatrice Genitore), Anna Maria è l’informatrice Figlia53.

51 Importante quartiere del centro storico di Ragusa. 52 È evidente che l’informatrice parafrasa l’affricata palatale e l’affricata post-alveolare. 53 Dalle interazioni apprendiamo che i tre informatori non hanno mai lasciato Valderice, fatta eccezione per la Nonna la quale 45 anni fa si è trasferita per un breve periodo a Trapani. Il

7. Spazio vissuto

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Presentiamo di seguito gli stralci delle loro rispettive interazioni alle domande 16, 17 e 18 nelle quali emerge che tutte e tre le informatrici indicano due tratti della differenza individuati a Nubia: l’opposizione tra la forma italiana moderna piggiama vs. la forma dialettale arcaica bbiggiama54 e l’opposizione del tratto fonetico frutta vs. fiùttula55. Leggiamo alcuni brevi stralci delle loro interazioni: 51. I2: […] || a Nùbbia: eh: a Nùbbia: hanno: -c’è la sòggira di me fìgghia:- e hanno ancora:: alcuni:: cose dei tempi antichi proprio:. R: mhmh. I3: ppi dìrisë hannu a dirë forchetta e dìcinu “bbuccetta” […] I11: ppi ddìrisi:: u: “ piggiama ”. niaṭṛi riçemu “ piggiama ”. / anche rittu italianu “ piggiama ”. no? R12: sì. I13: ḍḍa invece ci mèttinu a “b”. R: mh. I14: “ bbigiama ” a niaṭṛi cci vene di rrìrirë. I16: eh::: ah! pi d+ | dic+ | annu a ddire “ frutta”: R: eh. I17: la “ frutta” / niaṭṛi riçemu “ frutta”. anche se parru siçilianu ricu «talìa quantu accattu antìcchia ri frutta.» R18: sì. I19: loro dicono invece: a “ fiùttula ” R20: sì. I21: “ fiùttula ” (P ride) mi vene di rrìrirë56 (NF3 Valderice - TP) 52. I17: / per esempio mia suocera / la “frutta” pi+ | dice “frùttura”. // tipo: / anticamente forse da: loro si diceva così. R18: e ssua suocera di dov’è. / sua suocera. I19: Nùbbia. R20: di Nùbbia. I21: // il “piggiama” / “bbigiama”. tipo: alcune parole: così che sono ddiverse. // per me. R22: certo. (I ride) no. per il nostro dialetto. ricorda altro?

Genitore è casalinga, la Figlia lavora in uno studio dentistico a Trapani e vi si reca quotidianamente. Gli usi linguistici dichiarati sono i seguenti: Nonna, più in Siciliano; Genitore più in Siciliano; Figlia più in italiano. Gli usi linguistici nell’interazione attestano, per la Nonna ottima competenza attiva del dialetto e per Genitore e Figlia buona competenza attiva dell’italiano. 54 L’assenza di sonorizzazione in altri contesti dell’occlusiva bilabile sorda sconsiglia di classificare di tipo fonetico l’opposizione piggiama vs. bbiggiama. 55 Frutta vs. fiùttula passaggio, in [j] di /r/ preceduta da consonante. La variante frùttura riferita dall’informatrice Genitore è una imitazione della variante fiuttula attestata a Nubia. 56 I2: a Nubia eh a Nubia hanno … c’è la suocera di mia figlia, e hanno ancora alcune cose dei tempi antichi proprio R: mmh I3: per dire, devono dire forchetta e dicono “bbuccetta” […] I11: per dire il pigiama non diciamo “piggiama” anche detto italiano “piggiama” no? R12: sì I13: là invece ci mettono una “b” R: mh. I14: “bbiggiama”, a noi viene da ridere I16: eh … ah! Devono dire frutta R: eh I17: la frutta noi diciamo, frutta, anche se parlo siciliano dico «talia quantu accattu anticchia ri frutta [senti, compro un po’ di frutta]» R18: sì I19: loro dicono invece “a fiùttula” R20: sì I21: fiùttula (P ride) mi vene da ridere.

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7.4 Vicino e lontano: la trattativa sullo spazio I23: // ah! poi: / le “forchette” le “posate” / “buccette”. (GF3 Valderice - TP) 53. I7: vabbò. ad esempio:: anche a Ccustonaci o:: a Nnùbbia stesso / perché bene o maleetc. I10: ad esempio mia nonna il: “ppigiama” dice “bbigiama”. o:: la “frutta” “fìùttula” tipo. una cosa: alquanto strana perché noi non lo usiamo. R11: eh: tua nonna paterna? I: mhmh. R12: la madre di tuo padre. I13: sì. R14: quindi. che è di Nùbbia. I15: sì. (FF3 Valderice - TP)

Le indicazioni convergenti delle tre informatrici appartenenti alla stessa famiglia, più che esempio di semplice trasmissione del sapere sembrano caratterizzarsi come costruzione locale all’interno di un cluster, originata dalla condivisione di uno spazio percettivo-rappresentazionale. L’accettazione e il consumo di pratiche intragruppali si basa sulla condivisione di un’alterità (la signora di Nubia, consuocera, suocera, nonna degli informatori) e di marche della distinzione che assumono valore di coesione ideologica e identitaria solo all’interno del cluster. I marcatori si riferiscono alla dimensione linguistica57 e al processo di iconizzazione di fatti sociali e di lingua58. Le pratiche costruiscono rappresentazioni che tendono ad essere molto stabili in quanto la negoziazione avviene tra appartenenti ad una micro-rete molto fitta. Si noti come, benché simili modalità contemplino elementi linguistici patrimonio di un sentimento comunitario della differenza, all’interno del cluster questi vengono ri-costruiti con valore identitario autonomo. 7.4 VICINO E LONTANO: LA TRATTATIVA SULLO SPAZIO La domanda 16 («Lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla nel Suo paese/città e il siciliano che si parla nei paesi/città vicini?») invita esplicitamente a riflettere sulle differenze linguistiche rispetto ad una alterità “vicina”. In sostanza si serve di un sintagma con funzione deittica per orientare il parlante nella ricerca delle informazioni che si vuole egli riferisca. Abbiamo visto come tanto spesso chi è sollecitato ad elencare paesi e fenomeni di lingua, finisca invece col raccontare persone e fatti. Ma la dislocazione di elementi cognitivi, emotivi, ideologici, nelle

57 Frutta vs. fiùttula e piggiama vs. bbiggiama. 58 Nell’interazione dell’informatrice Nonna ai turni I2 e I3 leggiamo: «Hanno ancora:: alcuni:: cose dei tempi antichi proprio» e «hannu a dirë forchetta e dìcinu bbuccetta», quest’ultima è un’opposizione tra il lessema italiano o italianeggiante (forchetta) con la variante arcaica (bbuccetta). Inoltre la variante frùttura che, come già specificato, l’informatrice Genitore attribuisce a Nubia, è considerata dalla stessa informatrice “antica” («la “frutta” pi+ | dice “frùttura”. // tipo: / anticamente forse da: loro si diceva così»). Ancora l’informatrice Genitore attribuisce a Nubia il lessema buccette (plurale di buccetta), un adattamento alla fonetica dell’italiano del lessema dilettale arcaico bbuccetta.

7. Spazio vissuto

253

diverse prospettive, nel mondo del raccoglitore e dell’informatore, è però particolarmente attiva anche sul piano dell’orientamento psico-fisico. Difatti, l’input deittico della domanda 16 è stato pensato per raggiungere i campi sia della spazialità fisica che cognitiva. Nella pratica d’inchiesta diversi raccoglitori, probabilmente per un’interpretazione letterale del protocollo, hanno somministrato l’input principale della domanda e i successivi dell’interazione associandoli alla sola vicinanza fisico-spaziale, ma l’informatore ha prodotto turni di interazione che riflettono la propria idea cognitiva della vicinanza, personale e vissuta. Questa dinamica input/output ha dato luogo a discorsi interazionali in cui le differenti forme e rappresentazioni della spazialità sono sottoposte a vera e propria trattativa, con al centro differenti prospettive sul mondo, dimensioni cognitive ‘lontane’, diverse affettività, identità, ideologie. Nei capitoli che precedono abbiamo rilevato come in realtà il focus della negoziazione raccoglitore/informatore sia l’individuazione dell’oggetto di atteggiamento nei rispettivi livelli delle condizioni di elicitazione della domanda e delle risposte. Abbiamo anche sottolineato come l’attenta considerazione dell’esatto posizionamento dell’oggetto di atteggiamento possa limitare, in sede di analisi dei dati, i rischi delle false contraddizioni. Discutendo poi dei processi cognitivi (e non ancora discorsivi) che presiedono ai momenti interazionali, abbiamo associato l’allontanamento dell’informatore dalla dimensione della concretezza dell’intervista, alla perdita di consapevolezza e quindi all’attivazione automatica. Inoltre abbiamo associato gli input fisico-spaziali del raccoglitore alla deliberata ricerca di informazioni rilevanti (fase della deliberazione) (v. § 4.2). In entrambi i casi si è segnalato come la modalità interazionale dell’allontanamento cognitivo dalle condizioni di elicitazione della domanda (molto diffusa nel corpus ALS) sia una vera e propria variabile della percezione linguistica e contribuisca a delineare i tre prototipi di spazialità (spazio vissuto, spazio avvicinato, saperi ideologici). Uno schema base potrebbe seguire il seguente percorso sequenziale: R input fisico (neutro) → I59 vicino vissuto → R vicino fisico → I spaesamento fisico-cognitivo; si potrebbe meglio esplicitare: (R) vicino fisico → (I) vicino vissuto → percezione della differenza → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) disorientamento → (I) non distinzione della differenza. In D’Agostino/Pinello 2010 le relazioni tra dimensioni linguistica, della diatopia e dello spazio fisico all’interno della trattativa raccoglitore/informatore, sono state illustrate in termini di «allargamento» della spazialità fisica (Fig. 7.2).

59 R sta per Raccoglitore. I sta per Informatore.

254

7.4 Vicino e lontano: la trattativa sullo spazio

Rappresentazione della variabilità linguistica Rappresentazione della variabilità in diatopia

Allargamento dello spazio fisico

Fig. 7.2 ALS. Dallo spazio fisico allo spazio vissuto (D’Agostino/Pinello 2010)

L’allargamento della rappresentazione dello spazio fisico è una di quelle forme di contestualizzazione cognitiva, messe in atto dall’informatore, che emerge nell’interazione quando egli compie il balzo nello spazio vissuto. Dati alla mano e interazioni sotto gli occhi, il modello base della trattativa dato sopra in scrittura sequenziale e la conflagrazione della diatopia nella variabilità linguistica e nell’allargamento fisico come in Fig. 7.2, costituiscono il modo più diffuso nel corpus. Ma ecco la serie di ulteriori esemplari ricorrenti. Sopra ciascuno di essi segniamo la ricostruzione sequenziale che analizza i turni estesi di parlato; in corpo di testo sono sottolineati i turni dove individuiamo l’intrusione di elementi della vicinanza fisica da parte del raccoglitore. 54. (R) input fisico (neutro) → (I) spazio fisico-vissuto60 → (I) saperi ideologici → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) livellamento fisico-cognitivo R1: c’è. ecco. e per quali paesi tu noti delle differenze. I2: per i paesi di mare, per Castel di Lucio, / Motta e Pettineo un po’ meno. poi boh per tutti gli altri paesi sì. […] I4: boh non lo so. anche Reitano, Santo Stefano, malgrado siano così vicini comunque la differenza si sente ed è anche notevole. soprattutto non so nelle:: nelle desinenze dei verbi. per esempio. non lo so. anche l’accento è diverso. R5: altri paesi. ti ricordi altri paesi in cui il siciliano è diverso? I6: Nicosia. Caronia. R7: Caronia. e altri paesi? I8: Capizzi. Sant’Agata. Palermo. cioè quelli già sono più lontani. R9: no. Palermo no. altri paesini vicino Mistretta. sempre del messinese. I10: Tusa. Capo d’Orlando. (FF4 Mistretta - ME) 55. (R) input fisico (neutro) → (I) spazio fisico-vissuto → (I) spazio vissuto → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) livellamento fisico-cognitivo → (I) spazio vissuto 60 Ai fini dell’estrema chiarezza precisiamo che per ‘spazio fisico vissuto’ intendiamo l’output dell’informatore che soddisfa la richiesta del raccoglitore a riferire differenze con i “paesi vicini” e quindi non distanti.

7. Spazio vissuto

255

R1: nota delle differenze tra il siciliano che si parla qqui a Mmisilmeri e il siciliano invece che si parla nei paesi qui vicino? I2: sì. esistono le differenze. abbastanza. R3: saprebbe dirmi in quali centri | in quali paesi? I4: eh. per esempio Villabbate parla un dialetto diverso da quello di Misilmeri. R5: poi? I6: eh:: mh: ma anche andando verso Marineo è ccompletamente diverso. se ppoi ci allontaniamo dalla provincia e andiamo verso Prizzi eh:: addirittura si parlano l’agrigentino il dialetto si avvicina ppiù | il siciliano si avvicina ppiù al all’agrigentino che al palermitano come:: R7: teniamoci qui [nelle vicinanze.] I8: [sì. nelle vicinanze] sì. esistono le differenze. per esempio eh:: il bagherese:, il::: villabbatese parlano un dialetto completamente diverso da quello che si [parla a Mmisilmeri.] R9: [quindi Villabbate,] Bagheria, Marineo… I10: Bagheria, Marineo si diversificano tutti. non hanno:… R11: mhmh. potrebbe farmi qualche esempio? qualche pparticolarità che llei ha nnotato. I12: e la particolarità è qquesta. R13: solo di pronunzia? | ma anche [una parola:, un’espressione::,] I14: [di pronunzia soprattutto] no. no. lasciamo stare l’espressione ma riferendoci alla pronunzia mentre il bagherese si avvicina molto al palermitano come: in un certo senzo | come si avvicina al palermitano il villabbatese, il mmisilmerese, parla un dialetto che si avvicina all’interno della Sicilia ppiù vicino al: ai paesi dell’entroterra della Sicilia. (GF5 Misilmeri - PA) 56. (R) input fisico (neutro) → (I) spazio vissuto → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) spaesamento R1: sì. e sapresti dirmi per quali paesi / specialmente tu noti queste differenze? / di siciliano. fra Custonaci e i paesi vicini. I2: / ad esempio:: / fino all’altro giorno sono andata:: a Mmessina / e già si vedevano alcune parole dette: ddiversamente:. oppure a Ppalermo::. [si usano] R3: [e ppaesi più] vicini. I4: eh. ppiù vicini? // come ad esempio Ssalemi. R: [eheh.] I5: [si] usano pure: / pure a Ccastellammare:. più vicino. R6: mhmh. / e [altri sec+] I7: [e poi] altri: / pure a Ssan Vito. però l’accento cambia: più che altro.= R8: [e sapr+] I9: =[gli] accenti sono sempre diversi da paese a ppaese. si: si nota la differenza. R10: e sapresti dirmi qualche particolarità di pronunzia, di parole:, oppure di espressioni, che non è ttipica di: Custonaci ed è ttipica invece del: dialetto di: qualche paese vicino? I11: / per esempio:: a Mmarsala. noi diciamo “io” “iò” . per esempio a Mmarsala: “eo” mh: / pure:: a Ccastellammare lo dicono diversamente. però in questo momento : non:: || sempre: “io” lo dicono con un altro: con un altro accento. poi altre parole:: R: eh. I12: boh. per adesso: R13: non ti ricordi altro. I14:eh! non: mi ricordo. R: mh. I15: vabbè. però ce ne sonoetc. (FF1 Custonaci - TP) 57. (R) input fisico (neutro) → (I) saperi ideologici (o spazio vissuto) (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) spazio vissuto (o saperi ideologici) R1: eh: noti delle differenze tra il siciliano che si parla a Mmascalucia e qquello dei paesi vicini?

256

7.4 Vicino e lontano: la trattativa sullo spazio I2: sì. vabbè normale. R3: e con quali paesi? I4: tipo:: vabbè paesi: dipe+ | cioè io bisogna vedere dei posti che sono stata. R5: sì. certo. I6: tipo Palermo. R7: ah. troppo lontano. ti chiedo zone più vicine | forse con il fatto che llavori possibilmente li senti arrivare anche da altri paesi qui vicino cioè che ti posso dire: da Ppaternò sino a Ccatania, sino:: a Giarre, I8: vabbè sì. da Ppaternò normale sì. quell’accento: paternese che sembra: strano. R9: vabbè tu fai conto che io non lo so potrei anche | cioè sei tu che ddevi spiegarmi appunto com’è. qua la situazione cioè quali paesi qqui vicino hanno un dialetto più strano, diverso rispetto a [questo.] I10: [sì.] tipo: Paternò è strano. oppure eh: Mmessina. R11: troppo lontano. ti chiedo | troppo lontano. ppiù vicino. I12: mh:: R13: proprio nella provincia di Catania. I14: provincia di Catania (P ride) che so. R15: ma co+ | ad esempio con Paternò tu q+ | mi sai dire una parola proprio diversa che ttu dici «mi guarda qqua la diciamo in una maniera là la dicono in un’altra maniera.» I16: tipo: parola diversa: // R17: ma mi disp+ su che ccosa | allora tu senti questa differenza? I18: sull’accento. R19: ah. vabbene. (FF1 Mascalucia - CT) 58. (R) input fisico (neutro) → (I) spazio fisico-vissuto → saperi ideologici → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) risposta/reazione giustificativa → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) risposta/reazione autonormativa → spazio fisico-vissuto R1: quindi il siciliano è diverso. // e lei mi sa dire qualche | ecco per quali paesi lei nota delle differenze. cioè in quali paesi vicino Mistretta il siciliano è diverso. I2: e noi per esempio:: | dunque Castel di Lucio è:: diverso. Motta d’Affermo è diverso. Pettineo è diverso. Tusa è diverso. Santo Stefano diverso. tranne Reitano che hanno:: una cadenza diversa però le parole sono quasi uguali. R3: [a quello di Mistretta.] I4: [sì a quello di Mistretta.] io:: ritengo che quello di Mistretta non lo so forse come cadenza e come cosa è più siciliano di tutti gli altri. gli altri:: cioè non usano:: delle:: | la cadenza oppure le parole proprio, sono completamente diverse. alcune parole. R5: e altri paesi in cui il siciliano è diverso. sempre vicino Mistretta. I6: Nicosia. R7: ecco. e altri paesi ancora? I8: Capizzi. Caronia. poi andiamo sulle | noi siamo praticamente a Mistretta che, sta nel mezzo fra Messina e Palermo quindi, se ci allontaniamo verso Messina, e allora c’è una::: una cadenza. Palermo ne ha un altro dialetto. R9: no. no. Palermo no. I10: cioè andando verso Palermo io dico. cioè verso Tusa::: a Finale, e poi andando verso Enna. a Nicosia, Leonforte, Agira, Troina, Cerami tutti (stì paisi). e:: sono diverse le cadenze le:: | poi Nicosia non ne parliamo. Nicosia ha un dialetto tutto suo particolare. R11: e altri paesi vicino Mistretta, che hanno un dialetto diverso. I12: San Fratello. R13: e altri paesi se ne ricorda lei? I14: altri paesi:: // no. poi:: cioè sono distanti diciamo. non so Capo d’Orlando, poi c’è Naso, // e poi questi paesini Raccuia, Ucria:: questi hanno una cadenza più:: un accento più Messinese ecco.

7. Spazio vissuto

257

R15: e lei mi sa dire qualche particolarità, qualche parola, espressione che qui nel dialetto di Mistretta non viene usata, però è usata un questi dialetti. […] I16: adesso no. (GF4 Mistretta - ME)

Nell’interazione dell’informatore NF1 di Palermo (sotto riportata), in più parti l’informatore insiste con pervicacia a raccontare le proprie esperienze di immigrato lavoratore fuori dall’Isola non sottraendosi ad associarle a fatti di lingua. Gli scambi interazionali, dei quali proponiamo soltanto una parte, si risolvono in un aperto conflitto tra le rappresentazioni del vissuto dell’informatore e gli input messi in campo dal raccoglitore per il rispetto delle condizioni di elicitazione della domanda, abbondantemente disattese dalla foga narrativa del parlante. 59. (R) input fisico (neutro) → (I) spazio vissuto → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → (I) spazio vissuto → (R) intrusione di elementi del vicino fisico → spazio vissuto etc. I128: [quando lavoravo a Milano]=pi+ | /// io appi puru /// | unu ri Valguarniera pure lavorava con mme ma un si capeva niente quannu parrava. // quannu avìanu a ppigghiari na tàvula, / una tavola: [eh:] R129: [sì.] I130: // a a chiamàvanu “a bbira”. R131: una tavo+, a bbi+ I132: a bbira. R133: a bbira. I134: a bbira, a bbira, e io cci riçìeva «ma chi è:» cci rissi «a penna a bbira» R135: cierto. I136: «pìgghiami a bbira», picchì na vota mi capitò puru a mmìa. mi rissi [riçi] R137: [una tavola] di chi ccùosa / ri compenzato. I138: ri [lignu.= R: [ah.] I138: =[na tàvula]= R: ah. I138: =ri quaṭṭṛu mìeṭṛi. R139: eh. una tavola di legno. I140: riçi «Spinnato mâ pigghi una bbidica»,«ma chi cos’è sta bi+», diçi « ca chissi comu i chiami» «ma chissi i chiàmamu tàvuli» ci rissi a Mmilanu i chiàmanu i: // comu i chiàmanu a Mmi+, // xxx. R141: no. no vabbè a Mmilano non ci interessa. non… I142: no a Mmilano i chiamàvanu i naṭṛa manìera // i i tàvulë, um-mi rricùordu p’accamora. R143: mh: vabbè non zi preoccupi per i | di Milano. vabbene. eh: altre altre frasi, parole e: non: non… I144: no no. R145: vabbene61 (NF1 Palermo) 61 I128: quando lavoravo a Milano io ho avuto anche uno di Valguarnera, lavorava con me ma non si capiva niente quando parlava, quando dovevano prendere un’asse di legno, un’asse di legno eh R129: sì I130: la chiamavano “a bbira” R131: una tavo … a bbi .. I132: a bbira R133: a bbira 134: a bbira, a bbira, e io gli dicevo “ma che cos’è?!!” gli ho detto: “la penna biro?!” R135: certo I136: “pigghiami a bbira” [prendimi a bbira] R137: una tavola [un’asse] di che cosa … di compensato I138: di legno R: ah I138: un’asse R: ah I138: di quattro metri R139: eh una tavola di legno I140: dice: “Spinnato [cognome dell’informatore] mi prendi una bbidica?”, “ma che cosa è questa bi …, e lui dice: “perché tu come li chiami?, “ma queste io le chiamo tavole” gli ho detto, a Milano li chiamano .. come li chiamano a Mi …R141: no no vabbè a

258 7.5 Isoglosse della produzione e pratiche linguistiche: il confine condiviso e co-costruito 7.5 ISOGLOSSE DELLA PRODUZIONE E PRATICHE LINGUISTICHE: IL CONFINE CONDIVISO E CO-COSTRUITO La Carta 762 e la Tab. 7.5 danno conto delle indicazioni della diversità linguistica di quegli informatori che hanno individuato le varianti picciriḍḍu vs. carusu per i lessemi ‘bambino, ragazzo’. In particolare, la carta mostra che c’è un addensamento percettivo per carusu in corrispondenza dell’area delimitata dall’isoglossa per lo stesso lessema63; e la lettura incrociata con la tabella evidenzia che solo due risposte degli informatori non coincidono con il confine linguistico (GF2 Alcamo; NF5 Mazara del Vallo). Questi dati suggeriscono di formulare il principio generale su confini cognitivi e confini scientifici, già verificato per altri tratti oggetto di stereotipo (v. §§ 5.3.4.15.3.4.3): quando il marcatore della differenza linguistica è un tratto saliente, confini dei parlanti e confini dei linguisti tendono a coincidere. La tendenziale sovrapposizione è riscontrata nel corpus per numerosi altri tratti salienti in ciascuno dei livelli linguistici: fonetico (es.: metafonesi; dittongamento non condizionato; palatizzazione) morfologico (es.: pronomi personali, pronomi possessivi) e per numerose varianti lessicali all’interno di ciascuna area di distribuzione (v. § 8.3). La rappresentazione cartografica delle indicazioni degli informatori sovrapposte al confine tracciato dal linguista (Ruffino 1991a), per le varianti locali di “bambino, ragazzo”, merita alcuni spunti di riflessione. Le occorrenze percettive del tratto sono 24: 18 volte gli informatori indicano carusu (esito diffuso in un’area più estesa) e una volta la sua variante caruseḍḍu, 1 volta “picciottu”, 4 volte le varianti aḍḍevu/aḍḍivuzzi. Il trapanese istituisce un’opposizione generale con carusu e 5 informatori di tre punti diversi (Trapani, Alcamo, Poggioreale) indicano Catania, centro metropolitano dell’opposto versante orientale. Questi comportamenti vanno ascritti alla rappresentazione spaziale-cognitiva dei saperi ideologici che in un caso (Poggioreale) viene condivisa all’interno del nucleo familiare (tipologia 2) dall’informatore più anziano e dal più giovane (Nonno e Figlio). Alla spazialità avvicinata riferiamo invece le percezioni di un informatore di Salaparuta e di due di Poggioreale, i quali indicano Agrigento, capoluogo della provincia centro-meridionale dell’Isola, distante non meno di due ore di macchina. Si tratta di una forma specifica di ‘avvicinamento spaziale-cognitivo’, mediato dai limitrofi comuni dell’agrigentino che delimitano il confine nord-ovest della provincia e da qui rimbalzato verso la città-capoluogo, a causa della relativa evidenza ideologica di quest’ultima, benché di estensione micro-areale. Milano non ci interessa non … I142: no a Milano li chiamavano in un altro modo le tavole, non mi ricordo adesso R143: mmh vabbè non si preoccupi per i … di Milano, va bene eh altre frasi, parole e non I144: no no R145: va bene. 62 L’elaborazione tecnica della carta 7 è stata realizzata da Francesco Macaluso collaboratore del Centro di studi filologici e linguistici siciliani di Palermo. 63 «Carusu non raggiunge le zone occidentali delle province di Palermo ed Agrigento ed è del tutto assente nel trapanese, essendo qui stabilmente usati picciriḍḍu/picciutteḍḍu» (Ruffino 1991a, 115).

7. Spazio vissuto

259

Con il corredo di queste precisazioni, possiamo tranquillamente affermare che le indicazioni etero-percettive dei parlanti coincidono in larghissima parte con il confine del linguista. L’analisi dei dati è un po’ più complessa sul piano delle auto-attribuzioni (o auto-percezioni). La tabella mostra che il NF5 di Casteldaccia attribuisce picciottu a Bagheria64, comune della costa settentrionale ad est di Palermo e nettamente dentro l’area individuata da Ruffino per il geosinonimo picciriḍḍu/picciutteḍḍu. Il problema è nell’auto-attribuzione della variante: l’informatore dice carusu ma la linea del geolinguista passa proprio ad un soffio da ovest classificandola così area con prevalente esito del geosinonimo picciriḍḍu/picciutteḍḍu. I dati sugli usi linguistici nello stesso centro, Casteldaccia, riscontrati nei parlati a codice bloccato per la Famiglia 1 confermano il confine tracciato dal linguista: Nonno 2 volte picciuttieḍḍa, 5 volte picciottu; Genitore 4 volte picciriḍḍa, 1 volta picciuttieḍḍi; Figlio 2 volta picciutti. Quanto all’informatore in questione, egli non utilizza mai le varianti dialettali ma nemmeno il lessema dell’italiano nell’elicitazione a codice bloccato, la quale, come si annota non casualmente, si risolvono in un corpo a corpo intentato dal raccoglitore per ottenere un minimo di testo in dialetto. A differenza del figlio della stessa famiglia che produce una volta picciuttieḍḍa e una volta picciriḍḍa. L’autopercezione dell’informatore NF5 di Casteldaccia, forse dovuta alla bassa competenza attiva del dialetto, va classificata difforme rispetto sia al confine del linguista che agli usi comunitari. Ancora la tabella ci dà conto che il GF4 di Termini Imerese, contrariamente alla delimitazione del linguista (l’isoglossa passa abbondantemente ad ovest del comune) attribuisce la variante picciliḍḍu alla propria comunità, e i parlati indotti degli altri informatori termitani sono in linea con la sua percezione. Ecco un caso in cui le percezioni di un parlante non conformi alla classificazione del linguista sono conformi agli usi linguistici degli altri appartenenti alla comunità. Nella stessa tipologia di coincidenza tra percezione dell’informatore e uso comunitario, ma non di conformità all’isoglossa, va inserito il caso dell’informatore NF2 di Scillato il quale, peraltro, auto-attribuisce alla propria comunità l’esito picciriḍḍu, variante da lui utilizzata anche nel parlato spontaneo. Ci sono già molte evidenti ragioni che sconsigliano di classificare, in una carta del tipo che proponiamo, la convergenza con gli usi comunitari attestati e la divergenza rispetto alle isoglosse, come un caso di mancata sovrapposizione tra confini cognitivi e linguistic reality. Ma ulteriori considerazioni di carattere geolinguistico possono rafforzarle e confermare la tendenziale nitidezza percettiva dei nostri informatori.

64 Va però precisato che per ogni punto d’indagine, in special modo in aree di confine, è più opportuno parlare di prevalenza d’uso piuttosto che di tratto di comunità. Una interessante conferma è in Soriani 2006 dove si rileva che i diversi esiti del dittongo correlano alle variabili del campione e delle connesse componenti ideologiche anche all’interno del punto d’indagine. Ad esempio, l’esito ascendente del dittongo non condizionato a Palermo è diffuso quasi esclusivamente fra le porzioni di campione meno istruite e con prima lingua dialetto.

260 7.5 Isoglosse della produzione e pratiche linguistiche: il confine condiviso e co-costruito Alcuni recenti studi maturati sempre in ambito ALS (Sottile, in preparazione), basati su rilevamenti sul campo, sembrano difatti attestare non tanto la semplice diffusione oltre il limite occidentale di picciriḍḍu, quanto la sua contemporanea occorrenza con carusu ma marcata semanticamente. Cosicché picciriḍḍu sarebbe il lessema che designa “bambino”, e carusu designerebbe “giovane, giovanotto”. La delimitazione di campo semantico avrebbe lasciato spazio alla diffusione del lessema occidentale. La diffusione avrebbe Palermo come epicentro e si estenderebbe verso i centri della costa palermitana e verso l’interno sud, fino all’entroterra palermitano-agrigentino, per poi indebolirsi, secondo il classico schema geolinguistico del modello delle onde. Da questi elementi -viene ancora rilevato- si può inferire il principio generale che laddove l’isoglossa segnala carusu potrebbe esserci picciriḍḍu, e laddove l’isoglossa segnala picciriḍḍu non si trova mai carusu. Informatore

Centro informatore

Lessema Provincia

auto-attribuito

Centro della differenza

Lessema Provincia

della differenza

FF1

Trapani

Capoluogo

picciottu

vs. Catania

Capoluogo

carusu

FF1

Alcamo

Trapani

picciottu

vs. Catania

Capoluogo

carusu

GF2

Alcamo

Trapani

picciruu

vs. Carini

Palermo

carusu

FF3

Alcamo

Trapani

picciottu

vs. Catania

Capoluogo

carusu

NF5

Mazara del Vallo

Trapani

picciriḍḍu

vs. Trapani

Capoluogo

carusu

GF2

Salaparuta

Trapani

piciriḍḍu

vs. Agrigento

Capoluogo

carusu

NF1

Poggioreale

Trapani

picciutteḍḍu

vs. Catania

Capoluogo

carusu

GF1

Poggioreale

Trapani

ragazza

vs. Agrigento

Capoluogo

carusu

FF1

Poggioreale

Trapani

picciutteḍḍu

vs. Catania

Capoluogo

carusu

FF1

Poggioreale

Trapani

picciriḍḍu

vs. Agrigento

Capoluogo

aḍḍevu

NF1

Palermo

Capoluogo picciuttieḍḍu

vs. Cerda

Palermo

carusu

FF5

Palermo

Capoluogo

picciotto

vs. Catania

Capoluogo

carusu

NF4

Cinisi

Palermo

picciriḍḍu

vs. Agrigento

Capoluogo

carusu

NF5

Casteldaccia

Palermo

carusu

vs. Bagheria

Palermo

picciottu

GF2

Misilmeri

Palermo

picciriḍḍu

vs. Vicari

Palermo

carusu

GF2

Misilmeri

Palermo

picciriḍḍu

vs. Bivona

Agrigento

aḍḍevu

FF4

Misilmeri

Palermo

picciriḍḍu

vs. Campofelice R

Palermo

carusu

NF4

Misilmeri

Palermo

picciriḍḍu

vs. il catanese

Catania

carusu

GF4

Termini I.

Palermo

picciliḍḍu

vs. Castelbuono

Palermo

carusu

NF2

Scillato

Palermo

picciriḍḍi

vs. Polizzi Generosa

Palermo

aḍḍivuzzi

GF1

Sommatino

Caltanissetta

carusu

vs. Ravanusa

Agrigento

aḍḍevu

GF2

Caltagirone

Catania

carisittu

vs. Grammichele

Catania

carused)d))u

FF2 NF5

Vittoria Vittoria

Siracusa Siracusa

bambini ragazzi

vs. Gela vs. Chiaramonte

Caltanissetta Ragusa

carusi carusi

Tab. 7.5 Indicazioni della differenza delle varianti dialettali per ‘bambino, ragazzo’

7. Spazio vissuto

261

L’ipotesi troverebbe una certa conferma (oltre dagli usi attestati nei parlati ALS) dai rilevamenti di Cannizzaro e Genchi che nel loro lessico di Castelbuono64 (Cannizzaro/Genchi 2000) registrano le forme carusu e picciriḍḍu in due diverse entrate dagli stessi campi semantici trovati da Sottile. Torniamo ai dati del nostro case study e riepiloghiamo: le varianti dialettali per “bambino ragazzo” ricorrono 25 volte nel corpus, 23 delle quali perfettamente collocate dagli informatori nell’area di distribuzione. In due casi, parlanti del trapanese attribuiscono la variante carusu in difformità agli usi comunitari e alle isoglosse dei linguisti; ad essi va al limite aggiunto il Nonno di Casteldaccia, che in solitudine attribuisce carusu alla propria comunità, anche se mai lo utilizza. Se torniamo alle etero-percezioni e ci concentriamo sul lessema aḍḍevu e la variante aḍḍivuzzi, possiamo cogliere un’ultima conferma della nitidezza percettiva dei nostri informatori. Si tratta infatti di esiti lessicali a forte salienza a motivo della diffusione areale molto ristretta (Hinskens 1996, van Bree 1992) e attestati dai rilevamenti etnodialettali ALS soltanto a Polizzi Generosa e in alcune ‘isole’ dell’agrigentino (Bivona e Ravanusa). 7.6 IL PRINCIPIO GENERALE DEI TRATTI SALIENTI SOVRAPPOSTI Le diverse forme del relazionarsi tra dato scientifico del linguista e percezione e rappresentazione del parlante sono oggetto di costante riflessione in tutti i settori di Language Regard. I metodi di indagine e le prospettive teoriche hanno dovuto fare i conti con un ‘vero oggettivo’ della lingua da mettere a confronto con il racconto soggettivo e/o comunitario della lingua e con la ricerca dei modi più appropriati per individuarlo. Tale esigenza è stata sistematizzata all’interno del campo di studi della sociofonetica (Preston 2005, 121-123), volta essenzialmente a garantire i dialettologi che ciò che ascoltano è realmente ciò che è stato detto e gli studiosi di Language Attitude Study che la voce campione è rappresentativa degli usi reali (ivi, 122). L’intento della disciplina è di andare oltre il matched-guise della tradizione di Lambert dove, per dirla con Preston, «more o less influential elements of the stimulus signal were not determined» (ivi, 121) e di proseguire nelle tendenze più recenti a selezionare con precisione e sintetizzare segnali-stimolo che possano consentire ai ricercatori di indicare «the specific linguistic elements that trigger attitudinal responses» (ibidem). All’interno del comune interesse per il reale stato delle cose, vanno distinte quelle esperienze di indagine i cui risultati registrano prevalentemente distanze tra realtà dei fatti di lingua e rappresentazioni dei parlanti, e quelle che attestano il contrario. 64 Castelbuono (11 mila abitanti circa, 400 metri circa slm, provincia di Palermo) si trova nell’immediato entroterra centro-settentrionale della Sicilia, e quindi all’interno dell’area che l’isoglossa associa a carusu.

262

7.6 Il principio generale dei tratti salienti sovrapposti

Fanno parte del primo gruppo una larga parte di inchieste di ideologia linguistica e Language Attitude Study con utilizzo di voci campione, che si occupano di rilevare come e dove vengono collocate le varietà nello spazio. Esse si affidano ad apparati molto precisi per calcolare la distanza fisica tra il punto indicato dall’informatore sulla carta e l’area dove il fenomeno linguistico realmente ricorre65. Sullo stesso fronte si muovono le indagini di imitazione dei tratti e delle varietà o quelle che riscontrano le auto-percezioni di parlanti appartenenti a comunità linguistiche attraversate da fenomeni di cambio (cfr. Labov 1972); o chi sostiene che solo le covert attitudes sono in grado di rilevare la reale direzione del cambio (Ladegaard 1998, Kristiansen 2010). Sempre all’interno di questo primo gruppo bisogna inserire le indagini che utilizzano le teorie costruzioniste per interpretare la difformità tra stato dei fatti di lingua e rappresentazione costruita della realtà (Niedzielski 2002) e quelle che segnalano la distanza tra usi reali e rappresentazioni metalinguistiche o “pseudo-sapere linguistico” (Krefeld/Pustka 2010a)66 motivata da ragioni extra-linguistiche67. Del secondo gruppo, al contrario, fanno parte quelle esperienze che attestano una larga convergenza tra il posizionamento diatopico reale dei fatti di lingua e le collocazioni che ne fanno i parlanti. In una indagine Johanna Vaattovaara (2010) ha segnalato che la elevata sensibilità degli informatori dell’area rurale finlandese della Valle del Tornio nei confronti della variazione fonologica del tratto /h/ in sillabe non iniziali, può essere dovuta non tanto a motivi linguistici o geografici, ma al senso collettivo dei confini spaziali e della storia. Il tratto /h/ è un mezzo per esprimere la lealtà locale, non solo all’interno della comunità ma anche rispetto (o contro) gli altri. Oppure, la sovrapposizione tra fatti di lingua e rappresentazioni o collocazioni dei parlanti potrebbe essere motivata da quel «sentimento intuitivo» espresso da 65 L’esistenza di un ‘vero oggettivo’ dei fatti di lingua da individuare con esattezza è il presupposto di questo tipo di indagini. Infatti i tratti linguistici da inserire nelle voci campione, rappresentativi della realtà linguistica, vengono selezionati attraverso pre-indagini con micro-campioni di parlanti e ascoltatori rappresentanti del repertorio linguistico di una comunità. Quanto inferiore sarà la distanza tra il token prodotto e il suo riconoscimento quale tratto di comunità, tanto più esso sarà attendibile per l’indagine vera e propria. 66 Krefeld e Pustka riferiscono alcuni esempi sui parlanti della capitale francese: «Così, per esempio, i parlanti di Parigi immaginano che gli accenti nel Massiccio Centrale e in Alvernia differiscano da quelli delle zone meridionali di Guascogna, Languedoc e Provenza (Kuiper 1999), ma, confrontati con dati linguistici reali, non sono in grado di riconoscerli […] Inoltre, le rappresentazioni possono riferirsi a tratti linguistici ormai in disuso. I parigini, per esempio, continuano a pensare che la pronuncia della /r/ come polivibrante apicale sia una caratteristica tipica del sud della Francia, sebbene essa venga realizzata ormai solo dai parlanti più anziani nelle zone di campagna» (Krefeld/Pustka 2010a, 326). 67 Non viene peraltro ignorato che una certa parte dello scarto tra come veramente si parla e come l’analista dei dati crede si parli, è da collocare fuori dalla lingua e dentro la raccolta del dato e può essere colmato avendo contezza dei diversi livelli dei modi della consapevolezza. Preston 1996 individua tre livelli: accuratezza e disponibilità: quanto la gente dice di sapere sulla lingua potrebbe non corrispondere con il sapere scientifico; accuratezza e dettaglio: la non accuratezza potrebbe in realtà essere una semplice differenza tra il vocabolario popolare e il vocabolario scientifico; accuratezza e controllo: una varietà può essere comunemente imitata ma inaccuratamente, cioè un informatore può avere il controllo di una varietà ma in maniera non accurata.

7. Spazio vissuto

263

modalità percettive «telescopiche» nella «dimensione quartiere» (Telmon 2002a: XXVIII), o dal «nocciolo di verità» presente nei processi di stereotipizzazione quando sono riferiti a gruppi o comunità «a portata di mano»68 (Triandis/ Vassiliou 1967, et alii 1972). Ciascuna delle ipotesi va tuttavia collocata all’interno del perimetro dell’indagine in cui è maturata. Ad esempio, noi non sappiamo come reagirebbero gli informatori ALS ad una prova d’indagine di Language Attitude Study con utilizzo di voci campione che contenessero quegli stessi tratti che essi hanno attribuito alla propria comunità e quegli stessi tratti che essi hanno attribuito ai poli della diversità. Né anche come si comporterebbero gli informatori di una inchiesta condotta col matched-guise se interrogati con le domande aperte 17 e 18 del questionario ALS. Vanno poi tenuti in conto, evidentemente, i fattori geografici, sociali e culturali. Ad esempio Vaattovaara nell’articolo appena citato ci informa della vistosa differenza tra conoscenza scientifica (fatti linguistici) e percezione popolare della variazione emersa in un’indagine condotta nella capitale Helsinki, al contrario di quanto rilevato in parlanti di un’area rurale finlandese. Vaattovaara riconduce tale differenza non tanto al contesto fisico-geografico abitato dagli informatori ma a differenti “valori culturali, cambio culturale e consapevolezza sociale69”. Per quanto riguarda i dati ALS, la constatata sovrapposizione tra fatti di lingua e posizionamenti geografici, che abbiamo chiamato trasparenza diatopica, va correlata funzionalmente alla salienza del tratto e quindi alla pre-salienza linguistica e alla salienza extra-linguistica. Con maggiore precisione, l’analisi dei dati qualitativi e il confronto tra dati quantitativi e isoglosse ed usi reali, ci consiglia di formulare il principio generale dei confini sovrapposti nel corpus ALS: più il tratto è saliente, con maggiore probabilità la collocazione di chi lo osserva coinciderà con gli usi reali e i dati scientifici.

Aggiungiamo che osservazione, riconoscimento di salienza, collocazione, sono attività comunitarie condivise. Esse possono dar luogo a processi ideologici e cognitivi di associazione tra lingua e comportamento sociale. Gli atteggiamenti linguistici e sociali coinvolti possono approdare al livello della stereotipizzazione qualora

68 Triandis/Vassiliou 1967 e Triandis et alii 1972 si basano sul concetto di “cultura soggettiva” (modo caratteristico dei gruppi sociali di percepire l’ambiente strutturato dagli uomini: percezione di regole, norme, ruoli e valori) e sulla individuazione delle somiglianze e delle differenze delle diverse culture soggettive dei gruppi sociali nel mondo. Dall’indagine sulla stereotipizzazione reciproca di greci americani e sugli stereotipi che essi hanno di loro stessi, è derivata la teoria della frequenza dei contatti interpersonali fra i gruppi: alta frequenza equivale a contenuti e condizioni favorevoli al costituirsi degli stereotipi. Relazioni ad alta frequenza si istituiscono tra gruppi che si trovano a condividere condizioni ambientali delle quali hanno conoscenza a portata di mano. 69 Consapevolezza sociale, valori e cambio culturale sono influenzati dai media attraverso i quali i parlanti hanno accesso a stili e varietà diverse utilizzati per stereotipizzare e costruire identità sociali (Vaattovaara 2010).

264

7.6 Il principio generale dei tratti salienti sovrapposti

raggiungano le dimensioni di stabilità, semplificazione funzionale e universalità di consenso. Le ultime parole di questo capitolo vogliono abbandonare il campo per necessità duttile delle definizioni e propugnare la presa d’atto della distribuzione sociodiatopica e cognitiva delle pratiche, tutte le pratiche, non solo quelle linguistiche. Se infatti si è d’accordo che la dialettologia si è rinnovata e ha riacquisito senso teorico e motivazione metodologica quando ha riconosciuto che disegnando isoglosse non si rappresentano altro che pratiche reali, con ogni probabilità potremmo evitare di stupirci quando i dati ci raccontano che linee e opinioni tendono a stare vicini. O quando dobbiamo prendere atto che raccogliendo pratiche nel luogo e nel tempo a noi contemporaneo, stiamo anche raccogliendo pratiche storicizzate, superimmagini, rappresentazioni, stereotipi, atteggiamenti, strati di cognizione precedenti all’atto di inchiesta.

8. I DATI QUANTITATIVI NELLA DIMENSIONE METALINGUISTICA 8.1 QUALITÀ E QUANTITÀ NEI MODELLI DI ANALISI E INTERPRETAZIONE In questo capitolo presenteremo i dati relativi a tutte le risposte puntuali alla domanda 18 del questionario, con la quale, come più volte ricordato, è stato chiesto agli informatori di specificare gli elementi linguistici della differenza («pronuncia, parole, espressioni»). Quindi proporremo soprattutto rappresentazioni tabellari nel quadro metodologico dell’approccio quantitativo. Vogliamo dire più esattamente che analisi e interpretazione del dato qui sono più sbilanciati verso la quantità. Per questi motivi, a ragione dei travasi costanti della quantità nella qualità e della qualità nella quantità, è opportuno ricordare che analisi e interpretazione meritano di essere determinate all’interno del quadro generale teorico e metodologico di natura quanti-qualitativa, e che nell’ambito dei territori tracciati da tale quadro l’approccio può orientarsi con più decisione verso la qualità oppure verso la quantità come faremo in quest’ultima parte. 8.2 DAL PARLATO DELL’INFORMATORE AL RAPPRESENTATO DEL LINGUISTA Lo schema in Fig. 8.1 dà conto del collegamento istituito tra il processo di trattamento dati relativi alle domande 16, 17 e 18 della terza parte del questionario, con l’intero database ALS1. Quest’ultimo raccoglie una pluralità di dati derivanti da tutte le risposte di tutti gli informatori a tutte le domande del questionario. Ci sono domande chiuse e aperte. Le prime, di tipo quantitativo, sono interrogabili con un sistema di interrogazione relazionale strutturato in nuclei concettuali. Le altre, propriamente qualitative, sono state sottoposte a procedura di trascrizione fono-ortografica e conversazionale.

1

L’implementazione della banca dati è stata effettuata attraverso un gruppo addestrato di «immissori» (v. D’Agostino/Paternostro 2006, 43-44). Una panoramica su tutte le fasi di costruzione della banca dati, dall’addestramento per la raccolta del dato, alla somministrazione del questionario, all’immissione e revisione dei dati, è in Castiglione et alii (2006, 185-194).

266

8.2 Dal parlato dell’informatore al rappresentato del linguista

Fig. 8.1 Architettura del processo di etichettatura e interrogazione della banca dati ALS

Il corpus della nostra ricerca quindi comprende i dati quantitativi e qualitativi associati alle domande 16, 17, 18 della terza parte del questionario. I dati quantitativi sono sono stati etichettati con linguaggio di markup XML e successivamente agganciati ad un sistema di interrogazione. Il linguaggio XML ha la caratteristica di raggruppare i fenomeni per categorie e di istituire rapporti gerarchici di inclusione, infatti, com’è noto, è un’applicazione della teoria degli insiemi. Le relazioni gerarchiche e gli item che associano sono iscritti in uno Schema di tipo relazionale. In Fig. 8.2 le “Classi” di fenomeni creati per i nostri dati e i “Tipi” associati alla “Classe” lessicale. Classi e tipi, nell’architettura markup XML, sono “attributi”2. Lo schema contempla anche tre Tipi di Elementi che consentono di etichettare l’opposizione booleniano italiano vs. dialetto: “i”; “d”; “vs.” (“italiano”, “dialetto”, “versus”). Ciascuno dei gruppi (classi, tipi, elementi) rappresenta una pluralità di dati reali, o “valori”, ovvero ciò che si è scelto di etichettare di quanto gli informatori ci hanno detto: costituisce in sostanza la rappresentazione quantitativa delle storie. Per fare un esempio chiarificatore, nel nostro corpus dentro il gruppo lessicale, insieme ad altre centinaia di dati, c’è l’opposizione dei lessemi “tazza” vs. cìcara. Questo significa che un informatore ci ha detto che nel suo centro si dice “tazza” ed invece in un altro paese lo stesso oggetto viene indicato con il lessema cìcara. A questo dato è stata in prima istanza associata l’etichetta ‘lessicale’ e successivamente l’etichetta che rappresenta l’opposizione tra i due lessemi o elementi: “i vs. d”.

2

Per chiarezza riportiamo un esempio: lo stralcio di interazione “A Canicattì quando parlano dicono sempre ccé invece noi non lo diciamo” è stato etichettato con le seguenti etichette: classeFenomeno ‘lessicale’; tipo Fenomeno ‘interiezione’.

8. I dati quantitativi nella dimensione metalinguistica

267

Anche i centri sono contemplati nello Schema XML, più precisamente sono valori dell’attributo di Tipi di Fenomeno. Lo schema segnala anche la distinzione tra centro dell’informatore (attributo “origine luogo”) e centro da questi individuato (attributo “differenza luogo”).

Fig. 8.2 Dati ALS. Classi di Fenomeni e tipi per la Classe “lessicale”

Tutte le etichette XML del nostro corpus sono agganciate ad un sistema di interrogazione capace di elaborare query con più variabili. In Fig. 8.3 il foglio di markup XML, rappresenta le risposte dell’informare NF1 di Caronia alle domande 16, 17 e 18 del questionario. Il foglio XML e valori, attributi, classi, tipi che lo costituiscono, sono la rappresentazione di dati reali costruita dall’analista. I dati qualitativi sono le trascrizioni fono-ortografiche e conversazionali delle interazioni innescate dalle domande 16, 17, 18, le quali, infatti, in sede di prognosi, erano già state selezionate per tale procedura. Un veloce sguardo al foglio markup XML in Fig. 8.3, relativo appunto all’informatore NF1 di Caronia (Me) segnala due campi di dati per la risposta alla domanda 16 (campo “luoghi”) e ancora due per le risposte alle domande 17 e 18 (campo “Particolarita”). L’informatore quindi in risposta alla domanda 16 indica i comuni di Messina e Santo Stefano di Camastra, in risposta alle domande 17 e 18 sostiene che a Caronia (il suo comune) si dice “io” e a Santo Stefano di Camastra dicono “iò”. Un altrettanto veloce sguardo alla trascrizione dell’interazione delle tre domande (che riportiamo in fondo al paragrafo) è sufficiente a far rendere conto che il trascrittore ha avuto bisogno di compilare 48 turni conversazionali. Il foglio XML in figura contiene solo i dati etichettabili estrapolati dai 48 turni, per la precisione i dati iscritti nei turni I24, I36-I38: questi e solo questi. Tutto il resto sfugge alla rappresentazione quantitativa delle etichette: la mobilità personale dell’informatore, la sua rete familiare, la deissi verbale, lo spazio vissuto familiare, la trattativa raccoglitore/informatore sulla vicinanza spaziale, la deissi dell’informatore, e altro ancora.

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8.2 Dal parlato dell’informatore al rappresentato del linguista





io





Fig.8.3 Foglio Markup XML delle risposte del NF1 Caronia domande 16, 17, 18

Le trascrizioni fono-ortografiche e conversazionali sono rappresentazioni narrative; le etichettature in linguaggio XML markup sono rappresentazioni descrittive; i processi e gli strumenti individuati e definiti in questa sede per il trattamento delle plurime dimensioni qualitative (spazio vissuto, dicotomie, deissi, trattativa sui confini, etc.) sono rappresentazioni interpretative. Nel livello della pura teoria, le procedure di interpretazione e descrizione dovrebbero muovere da ‘discorsi-narrazioni-storie’ per giungere ad ‘item-linguisticigiustapposti’ descritti da etichette di analisi. E affinché il processo sia altamente produttivo, occorrerebbe poter tornare al testo interazionale a partire dagli itemetichette. Ma questa esigenza solo in parte può essere soddisfatta dall’etichettatura dei dati che, per quanto relazionale, è pur sempre una classica attività di riduzione a token per la quale non vale il principio che la somma delle parti sia uguale al ‘tutto’ (la somma delle etichette sarebbe uguale al discorso interazionale). Partire dagli item linguistici isolati (valori) e dalle etichette ad essi associate (attributi) e giungere al discorso interazionale (storie), vorrebbe dire che fra queste dimensioni viga una relazione rappresentazionale; ma così non è. L’orientamento più diffuso in DP è far dialogare le dimensioni della qualità (analisi testuale e costrutti socio-cognitivi) con quelle della quantità (dimensionamento percentuale di tipologie di fenomeni linguistici e di correlazioni a variabili). È evidente che la suddivisione tra i livelli ‘narrazione’ e ‘struttura’ è del tutto arbitraria e immotivata, ma la complessità delle componenti sul campo e l’interdipendenza fra di esse, può però essere recuperata distribuendo con rigore le specifiche funzioni le quali vanno utilizzate come strumenti metodologici e non considerate finalità dell’indagine.

8. I dati quantitativi nella dimensione metalinguistica

269

All’interno del quadro teorico e metodologico sopra delineato abbiamo lavorato alla dimensione quantitativa dei dati linguistici che presenteremo nelle pagine che seguono. 60. R1: ora/ lei / signora nota ddifferenzi tra u sicilianu ca si parra a Carunìa e u sicilianu ca si parra nê paesi vicinu Carunìa I2: ccà sempri nti Carunìa si parra sicilianu R3: sì ma se lei per esempiu si nesci fora di Carunìa lei nota quarchi ddifferenza tra u sicilianu ca si parra ccà I4: [cettu se tu vai] R5: [e u siciliano chi si palla] I6: se tu vai ǁ per esèmpiu si vai a Missina cc'è n’aṭṛu … R7: no no ne paisi vicinu Carunia I8: [e qual è] R9: [ne paisi vicinu] I10 e qual è Mmarina? ǀ [e qual è] R11: [no no] chiù luntanu ǀ setti uottu chilomeṭṛi I12: no ia sempri fori sti zzoni ǀ unn àiu nisciutu per ddìriti a virità sempri ccà àiu statu R13: ecco I14: sempri ccà R15: ma lei qquannu nesci fo:ra::, tipo::: n’auṭṛi [paisi vicino] I16: [no sempri a stessa] vuci sintu per ora picchì simu ne st’ambienti di Caronìa R17: eheh ma se lei avissâ gghiri nne paesini vicinu Carunìà? I18: ǁ e ccu cc’è, Santu Stèfanu? R19: eh I20: a Santu Stèfanu cc’è naṭṛa parlata R21: eccu e lei a nota qualchi ddifferenza I22: ca certu ca cc’è ddifferenza pàrranu di n’aṭṛa manera e::: / i stifanara R23: e auṭṛi paisini vicinu:? / paesini che [lei] I24: [e basta] a Santu Stèfanu àiu iutu:: eh Messina chi cci abbitava mia sorella / e questo R25: quindi paisi vicinu Carunìa lei Santo Stèfanu lei I:26 sì sì Santu Stèfanu picchì cc’era me fìgghia / R27: eh I28: basta R: 29 [ripete domanda 17] I30: certu / Santu Stèfanu / a Marina di Carunìa? no quasi u stessu u dialettu cu Ccarunìa ǁ ma ddiversu Santu Stèfanu R31: ddiversu Santu Stèfanu I32: sì R33: auṭṛi paesini I34: Σ R35: vicinu Carunìa no lei dici || e lei mi sapissi indicari quarchi pparticolarità parola pronunzia ca no noṣṭṛu no noṣṭṛu sicilianu | no noṣṭṛu dialettu unn è usatu ccà a Ccarunìa però è usatu nô ddialettu di paisi / di paisi vicinu Carunìa / per esèmpiu lei mi nnominà Santu Stèfanu ecco quarchi parola? ca è ddiversa? rispittu ô nuṣṭṛu dialetto? I36: “iò” dicìunu ḍḍa per esèmpiu R37: “iò” I38: nuaṭṛi ccà comu dicimu “io” R39: “io” / pi ddiri pi ddiri “io” I40: ḍḍa dìcinu “iò” R41: iò I42: iò

270 8.3 I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici R43: e qquarchi aṭṛa cosa quarchi aṭṛa parola sâ rricorda? I44: “iò” chista sì / mi rricordu“iò” / a Ssantu Ste+ dicìunu “iò 3” (NF1 Caronia - ME)

8.3 I TRATTI DELLA DIFFERENZA LINGUISTICA. DATI QUANTITATIVI E SALIENZE NEI LIVELLI LINGUISTICI In questo paragrafo analizzeremo le risposte alla domanda 18 del questionario (la ricordiamo: «Saprebbe indicarmi qualche particolarità (pronunzia, parole, espressioni) che non è usata nel dialetto del Suo paese/città ed è invece tipica del dialetto di qualche paese/città vicini?». In Tab. 8.1 il quadro generale delle risposte. Come specificato al paragrafo precedente, si tratta di una rappresentazione quantitativa del dato, ottenuta associando ai turni interazionali le etichette illustrate in Tab. 8.1. Come si vede, più salienti sono i fenomeni soprasegmentali, il lessico e il livello fonetico. Mediamente percepiti i tratti morfologici; sostanzialmente assente la percezione della differenza delle strutture sintattiche. Diamo adesso il profilo per ciascun settore con le occorrenze più diffuse. Sono stati individuati i tipi di fenomeni linguistici più ricorrenti e a ciascuno sono stati associati centri e varianti che presentano la maggiore incidenza. Ci sembra molto significativo che tali tratti linguistici rientrino nelle tipologie individuate come prevalenti nella letteratura di settore: riportiamo in nota i riferimenti bibliografici per ciascun fenomeno, utilizzando soprattutto le ipotesi di diffusione areale di Ruffino 1991a e 2001. 3

R1: ora, lei signora nota differenze tra il siciliano che si parla a Caronia e il siciliano che si parla nei paesi vicino Caronia? I2: qua sempre a Caronia si parla siciliano R3: sì ma se lei per esempio va fuori Caronia lei nota alcune differenze tra il siciliano che si parla qua … I4: certo se tu vai … R5: e il siciliano che si parla … I6: se tu vai per esempio se vai a Messina c’è un altro … R7: no no nei paesi vicino Caronia I8: e qual è R9: nei paesi vicini I10: e qual è Marina [Marina di Caronia, frazione di Caronia]? e qual è R11: no no più lontano sette otto chilometri I12: no io sempre queste zone … non sono uscito per dirti la verità, sempre qua sono rimasto R13: ecco I14: sempre qua R15: ma lei quando va fuori … tipo… in un altro paese vicino I16: no sempre la stessa voce sento per ora perché questo ambiente di Caronia … R17: eh ehe ma se lei dovesse andare nei paesini vicino Caronia? I18: e chi c’è? Santo Stefano [Santo Stefano di Camastra]? R19: eh I20: a Santo Stefano c’è un’altra parlata R21: ecco e lei la nota qualche differenza I22: e certo che c’è differenza, parlano in un’altra maniera e i stifanara [abitanti di Santo Stefano di Camastra] R23: e altri paesini vicini? Paesini che lei … I24: e basta, a Santo Stefano sono andato eh Messina che ci abitava mia sorella, e questo R25: e quindi paesi vicino Caronia lei Santo Stefano lei I26: sì sì Santo Stefano perché c’era mia figlia R27: eh I28: basta R 29 [ripete la domanda 17] I30: certo, Santo Stefano, a Marina di Caronia? no quasi lo stesso il diletto con Caronia ma diverso Santo Stefano R31: diverso Santo Stefano? I32: sì R33: altri paesini I34: Ʃ R35: vicino Caronia no lei dice, e lei mi saprebbe indicare alcune particolarità, parola, pronuncia, che nel nostro nel nostro siciliano, nel nostro dialetto non è usata qua a Caronia però è usata nel dialetto di paesi, di paesi vicino Caronia? Per esempio lei ha nominato Santo Stefano, ecco, qualche parola che è diversa rispetto al nostro dialetto? I36: “iò” dicono la per esempio R37: “iò” I38: noi qua come diciamo, “io” R39:”io”, per dire per dire “io” I40: la dicono “iò” R41: “iò” I42: “iò” R43: e qualche altra cosa, qualche altra parola se la ricorda? I44: “iò”, questa sì, mi ricordo “iò”, a Santo Stefano dicono “iò”.

8. I dati quantitativi nella dimensione metalinguistica

tratto

conteggio

%

Soprasegmentale Lessicale Fonetico Morfologico AGL4 Lessicale generale Generico5 Morfosintattico Mimica Totali

1003 669 659 297 177 119 20 11 3 2958

34 22,65 22,33 10,07 6 3,8 0,68 0,37 0,1 100

271

Tab. 8. 1 Distribuzione quantitativa dei tratti della differenza nei livelli linguistici

Il quadro dei fenomeni linguistici maggiormente percepiti è anche il quadro dei tratti più salienti all’interno del corpus ALS. Alla salienza del lessico sarà dedicata specifica attenzione nel paragrafo successivo. Per ciascun fenomeno indicheremo: descrizione del tratto; punto dell’informatore vs. punto in cui il fenomeno è collocato (tranne che per il caso degli esiti dei nessi latini CL PL già illustrati al § 5.3.4.1-3); esemplari. TRATTI SOPRASEGMENTALI O PROSODIA

Con ‘prosodia’ sono stati etichettati i tratti contrastivi di natura soprasegmentale e, nello specifico, quelle indicazioni che riferiscono differenze nella ‘cadenza’, ‘cantilena’, ‘accento’, ‘tono’ o ‘intonazione’. Per quanto riguarda l’asserita diversità di ‘pronuncia’, si è verificato che molto di rado l’idea che del concetto ha il parlante coincida con quella del linguista. Si è così proceduto ad etichettare questo tipo di indicazioni caso per caso, assegnandolo alla tipologia fonetica o, molto più spesso, a quella prosodica, sulla base del contenuto complessivo dell’interazione. In questa tipologia è stato anche inserito lo ‘strascico’, le cui occorrenze si è preferito tuttavia considerare specificamente, visto la peculiare importanza del fenomeno nella sezione Palermo-Monreale dell’area metropolitana. Come abbiamo già argomentato (§ 4.3.5) siamo convinti che, in molti casi, gli informatori con questo tipo di indicazioni si riferiscano in realtà a specifici tratti fonetici percepiti sotto

4

5

“AGL” è l’etichetta per quelle interazioni dove viene espresso un esplicito giudizio linguistico, ad esempio: “il dialetto di Palermo sembra più volgare”; “hanno un accento molto più marcato”. Ovviamente l’etichetta non rileva per intero il fenomeno del pregiudizio e delle procedure di stereotipizzazioni (sulle quali ci siamo a lungo soffermati) ma ha lo scopo di restituire un dato meramente quantitativo a fronte di fenomeni molti caratterizzati sul versante qualitativo. L’etichetta “Generico” è stata utilizzata per giudizi generali privi di esplicita caratterizzazione ideologica, del tipo “il dialetto mi pare un francese”; “somiglia all’agrigentino”.

272

8.3 I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici

il livello della conscia consapevolezza, anche quando alla rappresentazione acustico-lessicale del parlante dovessero anche concorrere gli input articolatorioprosodici di durata, intensità, tonalità. FONETICA

- Esito affricato post-alveolare dei nessi latini CL e PL Area dell’agrigentino (Palma di Montechiaro, Licata) ed area sud-orientale del ragusano e del siracusano: [ˈcçavi] vs. [ˈtʃavi]: “chiave”; [ˈcçovu] vs. [ˈtʃovu]: “chiodo”; [kuˈcːçara] vs. [kuˈtːʃara]: “cucchiaio”. - Palatizzazione in [j] di /r/ preceduta da consonante6 Trapani e area del trapanese vs. Alcamo [ˈfrati] vs. [ˈfjati]: “frate”; [ˈbːrokːolo] vs. [ˈbːjokːolo]: “broccolo”; Mazara del Vallo vs. Marsala, Petrosino [ˈbːroru] vs. [ˈbːjoru]: “brodo”; Valderice vs. Nubia (frazione di Paceco - TP) [ˈfrutːa] vs. [ˈfjutːula]: “frutta”. È molto diffusa in area la ‘parafrasi del tratto’: “non dicono la “r”. - Rotacizzazione di /d/ in posizione intervocalica e iniziale7 Nel trapanese, Campobello di Mazara vs. Gibellina [ˈpeð̞ i] vs. [ˈperi]: “piede”; Castelvetrano vs. Partanna [paˈreɖːa] vs. [paˈð̞ eɖːa]: “padella”; Poggioreale vs. Castelvetrano [kwaˈð̞ ara] vs. [kwaˈrara]: “caldaia” (recipiente in rame di grande dimensione usato per farvi bollire liquidi). Nel palermitano, Misilmeri vs. Marineo [kaˈriʃti] vs. [kaˈð̞ iʃti]: “cadesti”; Misilmeri vs. Marineo [ˈviri] vs. [ˈvið̞ i]: “vedi”; Misilmeri vs. Marineo [ruˈmani] vs. [ð̞uˈmani]: “domani”. Nel messinese, Sinagra vs. Brolo [cçuˈð̞ imu] vs· [cçuˈrimu]: “chiudiamo”. Nell’area sud-orientale, Chiaramonte Gulfi vs. Ragusa [paˈreɖːa] vs. [paˈteɖːa]: “padella”; Giarratana vs. Acate [ro] vs. [ðo]: “dal(la) prep.”. - Dittongamento incondizionato di /e/, /o/ toniche8 Attribuzioni molto diffuse su Palermo (v. § 2.3.3. 4.3.5), Altavilla Milicia, Carini. - Dittonghi e monottonghi metafonetici9 Nell’agrigentino, soprattutto a Canicattì; nell’agrigentino-nisseno, soprattutto a Delia e Sommatino. - Opposizioni tra approssimante laterale palatale, affricata palatale, approssimante laterale alveopalatale come esito dei nessi latini LJ, B(U), GL (cfr. Sottile 2002: 2728, 31).

6 7 8 9

Ruffino 1991a, 112. Ivi, 104. Ivi, 100-101. Ivi, 94-100.

8. I dati quantitativi nella dimensione metalinguistica

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Nei centri delle Madonie e a Chiusa Sclafani [ˈpilːa] vs. [ˈpiɟːʝa]: prendi; [ˈpiɟːʝala] vs. [ˈpilːala]: “prendila”; [ˈoʝːu] vs. [ˈoʎːu]: “olio”; [ˈfilːu] vs. [ˈfiʝːu]: “figlio”. Segnaliamo, specie per Alimena, il blasone paremiologico [ˈpilːa a ˈpalːa di nːaˑ paˈlːera] “prendi la palla dalla pagliera”. Gli informatori di Bompietro, che pronunciano l’approssimante laterale alveopalatale, istituiscono opposizioni con gli altri due esiti dei vicini centri madoniti. Nell’area sud-orientale, Vittoria vs. Comiso e vs. Ragusa [ˈfiʎːa] vs. [ˈfiʝːa]: "figlia”. - Assimilazione regressiva della vibrante10 Abbastanza notata a Termini Imerese, per es.: Casteldaccia vs. Termini Imerese - Propagginazione di /u/11 Tra i centri interni delle Madonie; in particolare, a Gangi. - Apertura di /i/ e /u/ in presenza di /i/ e /u/ in sillaba finale12 A Gangi e nell’area nissena di confine con le province di Palermo ed Agrigento, soprattutto Vallelunga vs. Villalba. - Pronuncia postalveolare non retroflessa di (-)STRNell’agrigentino, diffusissima vs. Grotte: [fiˈneʂːa] vs. [fiˈneʃːa]: “finestra”; [ˈmaʂːu] vs. [ˈmaʃːu]: “mastro” (maestro); [miˈneʂːa] vs. [miˈneʃːa]: “minestra”. Nell’area sud-orientale, Siracusa vs. Avola; Vittoria vs. Comiso [ˈmaʂːu] vs. [ˈmaʃːu]:“mastro” (maestro); Chiaramonte Gulfi vs. Gela . Tutti i fenomeni sopra specificati condividono le proprietà di distanza articolatoria e opposizione del tratto fonetico tra l’esito auto-attribuito e l’esito etero-attribuito. La salienza di questa tipologia di tratti è attestata: dal primo principio soggettivo di Schirmunski (1928, 1930): sono salienti varianti con alto grado di distintività articolatoria rispetto ai corrispondenti tratti strutturali; da Trudgill (1986): sono salienti varianti radicalmente differenti nel livello fonetico (§ 5.1). In più, distanza articolatoria e opposizione del tratto fonetico sono indicate come potenti pre-condizioni di salienza da Kerswill/Williams 2002 (v.§ 5.1.2). Dal punto di vista della prominenza cognitiva, la salienza di questi tratti si basa sulla rappresentazione mentale ed acustica ‘continua’ (normale) del proprio esito opposta a quella ‘discontinua’ (strana, insolita) dell’esito individuato estraneo al proprio patrimonio linguistico. Infatti, la dicotomia tra due tratti linguistici presuppone sempre che all’elemento auto-attribuito siano riconosciute le caratteristiche della normalità e dell’alta frequenza per essere capace di opporsi e di essere opposto al polo dicotomico altro. Tale prominenza cognitiva è espressa anche dal principio

10 Ivi, 112; Soriani 2006. 11 Ruffino 1991a, 93-94. 12 Ivi, 101-103.

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8.3 I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici

della salienza dei tratti ricorrenti nella propria varietà ed assenti nella varietà bersaglio (Kerswill, Williams 2002), molto utilizzato in linguistica acquisizionale. MORFOLOGIA

- Pronome personale di prima persona, opposizione tra le varianti riconducibili al tipo arcaico eo del latino ego (eu, ieu, e, iè) e al tipo italiano io (ì, iu, ìa, iò)13. Area del trapanese, Trapani vs. Marsala iò vs. eo; Alcamo iè, iò, iù vs. varianti di zona; Marsala eo vs. varanti di zona; Mazara del Vallo iè vs. varianti di zona; Pantelleria (Isola) iò vs. varianti di zona. Nell’agrigentino: Giuliana vs. Burgio ieu vs. iu; Giuliana ieu vs. Sambuca di Sicilia iò. Nel palermitano, Villafrati, Mezzojuso, Vicari iò vs. variante di zona iè; Vicari vs. Lercara Friddi iò vs. ì; Sclafani Bagni ìa vs. varianti di zona; Caltavuturo iò vs. varianti di zona; Blufi ì vs. varianti di zona; Alimena ì, iè vs. varianti di zona; Gangi ìa vs. varianti di zona. Nel nisseno, Nissoria iò, iu, vs. varianti di zona. Nell’area messinese di confine con la propaggine orientale della provincia di Palermo: Mistretta iò, iu, vs. varianti di zona; Caronia iu vs. varianti di zona; Sant’Agata di Militello iò vs. varianti di zona; Sinagra iò vs. varianti di zona; Ucria ìa vs. varianti di zona. Nell’area sud-orientale, Giarratana iu vs. varianti di zona. - Pronomi possessivi14, soprattutto di prima persona, ma non solo. Nel palermitano: Termini Imerese vs. Cerda me vs. ma; Sclafani Bagni vs. Cefalù mia, tua vs. mià, tià; Caltavuturo so vs. Termini Imerese, Aliminusa sa; Caltanissetta vs. San Cataldo me vs. mo; Sommatino vs. Caltanissetta ma vs. me. Nell’area di confine tra la propaggine orientale della provincia di Palermo e il Messinese: Tusa mo vs. varianti di zona. Nel nisseno, Enna vs. Calascibetta me vs. ma; Acireale mo vs. varianti di zona; San Giovanni La Punta, Mascalucia, Gravina di Catania me vs. varianti di zona. Segnaliamo che a Catania solo due informatori (su 34) oppongono il proprio esito me alle varianti di zona. Sambuca di Sicilia natri, vatri vs. varianti di zona. Nella quasi totalità dei casi, e tranne che per Sambuca di Sicilia, il possessivo è riferito ai lessemi patri (“padre”), matri (“madre”), fìgghiu (“figlio) e varianti, es.: ma patri (“mio padre“), me fìgliu (“mio figlio”), to ma’ (“tua madre”) (v. § 8.3.2). - Italianizzazione della terza persona singolare del passato remoto dei verbi con infinito in ari15.

13 Ivi, 162 (carta 28). 14 Ivi, 61. 15 Ivi, 155 (carta 21).

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Nel palermitano: Misilmeri vs. Villafrati e Misilmeri vs. Campofelice di Roccella, Palermo, Marineo manciau vs. manciò (“mangiò”); Misilmeri vs. Villabate pigghiau vs. pigghiò (“prese”). - Esti, terza persona singolare del verbo essere16 Trapani vs. Marsala, Salemi17. 8.3.1 La salienza del lessico In Fig. 8.4 il grafico illustra i pesi percentuali all’interno della tipologia lessicale. I singoli dati sono espressi in percentuali su base 669 che è il numero di tutti gli item lessicali presenti nel campione (v. Tab. 8.1). Il grafico in Fig. 8.4 mostra che più della metà degli item (il 55%) è costituita da lessemi dialettali. Le interiezioni lessicali incidono per il 9% e la fraseologia (ovvero le cosiddette frasi idiomatiche o frasi fatte) per il 4,9%. La voce “altri” comprende i casi residuali e numericamente trascurabili (onomastica, toponomastica, geomonimia, regionalismo, italiano popolare). Un quarto degli item (23,47%) sono lessemi italiani opposti a lessemi dialettali. Abbiamo già evidenziato le caratteristiche che definiscono l’opposizione italiano vs. dialetto e la caratterizzano rispetto alle altre categorie rapprentazionali18 (v. § 6.2). Inoltre sappiamo che tale opposizione incide per il 18,95% nell’intero corpus e che investe in prevalenza il livello del lessico (62,31%) (v. ancora § 6.2) e che è rappresentata con la relazione booleniana ‘i vs. d’, un’etichetta che abbiamo individuato dopo l’analisi dei dati, chiaramente dettata dalla significativa incidenza quantitativa del fenomeno. Senza la sua considerazione il dato sarebbe gravemente incompleto. Ricordiamo che si tratta di una declinazione del potente super-stereotipo comunitario ‘‘io e la mia comunità parliamo italiano vs. gli altri parlano dialetto’’ (6.2.2). Di seguito un quadro delle diverse modalità con cui i parlanti verbalizzano tale opposizione con alcuni esempi: a) lessema italiano vs. lessema dialettale, quasi sempre nella variante arcaica: borsa vs. burza; calzette vs. casettë; pinza vs. crocca; terrazza vs. làsṭṛacu; tazza vs. scurrùggia/çìcara; forchetta vs. burgetta; bambino vs. carusu; ragazzi vs. carusi; agave vs. giummara; tacchino vs. pipìu; tramonto vs. vispërata; amore mio/gioia mia vs. çiatu; etc.

16 Ivi, 159 (carta 25) 17 La salienza di questo tratto va ricondotta anche al principio di distribuzione areale (Hinskens 1996, van Bree 1992): tratti usati in aree geografiche molto ristrette tendono a risultare salienti. 18 Non non presenta ancoraggio spaziale (a differenza delle dicotomie oppositive) ed esprime una indicazione analitica dei tratti linguistici della differenza (a differenza dell’idologia linguistica di primo livello).

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8.3 I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici

b) italianizzato/non arcaico vs. non italianizzato/arcaico: pìnnula vs. badḍḍuzza (“pillola”); cuscinu vs. chiumazzu (“cuscino”); fiammifiri vs. pròsparë (“fiammiferi”); sìcchiu vs. catu (“secchio”); orològiu vs. rugghi (“orologio”); pomerìggiu vs. vesprë (“pomeriggio”); spagu vs. rumaniḍḍu (“spago”); etc. c) regionalismo vs. lessema dialettale: toco vs. spacchiusu (“persona di gran classe”, “fatto o evento molto bello e interessante”, “cosa molto piacevole”); fiato mio vs. çiatu miu (“gioia mia”); tamarro vs. grezzu (“rozzo”, “volgare”, spesso attribuito a persone che vivono in periferia); etc. d) italiano vs. dialetto (generico), parole italiane vs. parole dialettali. In questo caso, gli informatori asseriscono che nel proprio centro sono utilizzate parole italiane mentre negli altri centri parole dialettali. La tipologia più produttiva è a), ma molti item di tutte le quattro tipologie appena illustrate spesso sono esplicitati da aggettivazioni a forte carica ideologica, del tipo non volgare vs. volgare, non rozzo vs rozzo etc., e, fatta eccezione per il punto d), segnalano una percezione distinta dei tratti lessicali. Invece la generica dichiarazione di utilizzare parole italiane vs. dialettali (tipo d) ha molto di quel tipo di rappresentazione che definiamo olistica e può essere proficuamente interpretata come un aspetto della diglossic attitude rilevata da Léonard nei suoi informatori dell’isola di Noirmoutier 200219.

Fig. 8.4 Fenomeno ‘lessicale’. Distribuzione quantitativa dei Tipi

19 Ricordiamo che nelle ricerche dello studioso francese l’elicitazione di tratti non attesi viene interpretata come esito della pressione del prestigio del francese standard o regionale. Infatti tale prestigio, secondo Léonard, orienterebbe i parlanti ad individuare come tratti della differenza, rispetto alle alterità diffuse, quegli item lessicali distanti dalla lingua nazionale.

8. I dati quantitativi nella dimensione metalinguistica

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8.3.2 Le salienze lessicali dal punto di vista cognitivo, ideologico e linguistico-strutturale La diffusa e compenetrata attività del super-stereotipo oppositivo italiano vs. dialetto spiega perché il lessico è il livello strategico per l’osservazione dei pregiudizi linguistici; e la forte salienza dei lessemi è motivata anche dalla configurazione del repertorio in Sicilia, attraversato da spinte bi-direzionali verso l’italianizzazione o la dialettalità in tutte le strutture linguistiche e in quelle lessicali in particolare. Infatti, le implicazioni ideologiche del contatto fra le varietà dell’italiano (italiani regionali, dei mass media, del web, degli immigrati, degli outsider sporadicamente in comunità, etc.) e le varietà locali siciliane (contatto intrarepertorio e diatopico) e il contatto fra il dialetto di oggi e il dialetto di ieri (contatto diatopico ma anche diacronico e sincronico) vanno ad arricchire ulteriormente il polimorfismo lessicale, fra l’altro ravvivato sul versante identitario dallo spessore sia fisico che vissuto del referente. Tutti questi elementi, di natura ideologica, linguistica, cognitiva, determinano la consistente salienza del lessico per gli informatori ALS, che è anche una conferma del determinarsi di spinte identitarie in situazione di contatto diversificato e polimorfico. Da un punto di vista più strutturale-formale, inoltre, l’alto grado di salienza degli item lessicali può essere ascritto alla maggiore disponibilità per i commenti di contenuti e scopi piuttosto che della forma. «Recanati (1991 [1989]) states explicity that the levels of language below what is said and communicated (his terms for what we might call the “literal” and “conversational” meanings) are not available to consciousness.» (Niedzielski/Preston 2003, 303). Seguendo questa impostazione, i processi di utterance meaning, che fanno cioè riferimento al contesto comunicativo e alle componenti pragmatiche, sarebbero più disponibili ai commenti di quanto lo siano quelli sentence meaning (indipendenti dalle circostanze nelle quali avviene l’atto comunicativo). In ambito ALS, questa può costituire una prospettiva per spiegare da un lato l’alta salienza non tanto del lessico in quanto tale ma dei contenuti delle unità di lessico e, dall’altro, la bassissima salienza dei costrutti sintattici. Schematicamente, la salienza del lessico è dunque da ascrivere alla concorrente pressione di due fattori di salienza: SALIENZA IDEOLOGICO-LINGUISTICA

Lessemi dell’italiano o comunque in qualche modo riferibili o vicini alla varietà standard vs. lessemi dialettali o comunque in qualche modo riferibili o vicini al dialetto. SALIENZA COGNITIVA Ricorrenza del referente nella vita quotidiana, all’interno dell’universo socio-culturale della dialettalità comunitaria. I due tipi di salienza qui sopra tipologizzati possono essere sovrapposti con utilità alla teoria dell’alto grado di disponibilità alla consapevolezza delle forme caratterizzate da “referenzialità inevitabile” (Silverstein 1981). In sintesi, sono forme inevitabilmente referenziali quegli elementi linguistici che contengono in sé il riferimento a un qualcosa del mondo reale o ideale. Ma dato che alcune di esse, oltre a

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8.3 I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici

svolgere funzione di riferimento, allo stesso tempo veicolano significati pragmatici, è molto probabile che un alto grado di disponibilità alla consapevolezza sia caratteristica di quegli item linguistici caratterizzati da entrambe le funzioni. Ad esempio, i costituenti linguistici dell’opposizione fra i pronomi personali tu e lei, oltre ad essere espressione del sistema pragmatico dell’italiano solidarietà vs. deferenza, si riferiscono ad individui ben precisi. Al contrario, i tratti fonologici, pur segnalando informazioni pragmatiche (es.: status sociale) non svolgono alcuna funzione referenziale20. Siamo così in grado di estendere la griglia dei fattori della salienza lessicale alle componenti pragmatica e referenziale: SIGNIFICATO PRAGMATICO DEI LESSEMI Opposizioni di status linguistico: italiano vs. dialetto; non volgare vs. volgare / rozzo; non arcaico vs. arcaico; etc. LESSEMI INEVITABILMENTE REFERENZIALI Riferimento ad oggetti ben precisi delle aree semantiche.

Per completezza del quadro sulla referenzialità e sul suo ruolo nella salienza del lessico, va anche tenuto in conto il principio di trasparenza semantica. Tale principio ha interessato non pochi studiosi della salienza i quali lo hanno interpretato in termini di relazione tra la parola ed il suo referente. Tanto più alta è la trasparenza di referenza, tanto più alta sarebbe la salienza di quel tratto linguistico. Ad esempio, ha notato Gilquin 2007, l’accezione più concreta e prototipica è saliente. Mufwene 199121 aveva già sottolineato la “caratteristica semantica” degli item salienti, ovvero la trasparenza semantica nella relazione tra forma e significato, sottolineando il ruolo della specificità di significato. Ancora prima, Silverstein 1981 individuava i cinque fattori di consapevolezza dei fatti linguistici, tre dei quali possono essere considerati elementi di trasparenza semantica: 1) “Presupposizionalità relativa”, si riferisce al grado col quale una funzione pragmatica del linguaggio dipende da un altro fattore per la realizzazione del suo significato. Più alta è la presupposizionalità relativa, più alta è la consapevolezza che si ha dell’item linguistico, più alta è la salienza di quest’ultimo. Al grado più alto di presupposizionalità relativa Silverstein colloca i pronomi this e that: il successo della loro funzione pragmatica è legata indissolubilmente alla realtà fisica cui fanno riferimento (e dalla quale, quindi, dipendono). Essi esprimono anche funzione deittica, elemento che confermerebbe la salienza delle procedure spazio-cognitive della deissi (§ 6.4.5). L’attestata salienza dei pronomi personali (anch’essi dotati di presupposizionalità relativa) potrebbe d’altro canto spiegare la loro significativa incidenza nei dati morfologici metalinguistici ALS. 2) “Deducibilità decontestualizzata”, è la proprietà degli item linguistici grazie alla quale i parlanti possono associare ad essi un significato senza necessità di far riferimento ad un contesto. Più l’item dipende dal contesto, più basso 20 Alcune significative eccezioni sono presentate in Preston 1996 che tuttavia in generale sem-bra sposare la proposta di Silverstein. 21 Mufwene 1991 è un’inchiesta sulle salienze all’interno delle dinamiche di contatto fra creoli, pidgin e lexifier (la varietà dalla quale creoli e pidgin derivano gran parte del vocabolario).

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sarà il livello della sua disponibilità alla consapevolezza. Non si tratta esattamente di un fattore opposto al precedente, in quanto il contesto tipico della deducibilità decontestualizzata è di carattere più generale. Ad esempio, la specificazione dei contesti “mare”, oppure “comuni italiani”, oppure “campagna”, oppure “festa”, è utile per disambiguare il lessema “canna” che può indicare la canna da pesca, il comune della Calabria, la pianta graminacea, la sigaretta di marijuana o hashish. 3) “Trasparenza metapragmatica”, definisce la proprietà delle risposte/reazioni di essere significative in maniera diretta, trasparenti e quindi pronte alla consapevolezza. È questo un fattore molto produttivo nell’analisi del discorso. Ecco un esempio molto semplice da Preston 1996: Wanda e Karla sono in una stanza; Wanda ha freddo, Karla è vicino un termosifone spento. Wanda potrebbe dire diverse frasi: a) «Brrrrrr!»; b) «Ho freddo»; c) «Non c’è freddo? Chissà se il termosifone è rotto…»; d) «Si potrebbe avere un po’ più di caldo?»; e) «Accendi il termosifone». “Accendi il termosifone” è l’enunciato con il più alto grado di trasparenza metapragmatica in quanto è un atto di parola diretto. In conclusione, l’esame dei dati lessicali ALS conferma la salienza percettiva dei lessemi con referenti ben distinti, concreti e individuabili con nettezza. Infatti, com’è noto, i referenti dei lessemi dialettali perlopiù sono oggetti e pratiche dell’universo dialettale i quali fanno capo alla sfera funzionale-materiale del mondo della vita quotidiana. Tutte caratteristiche che le qualificano come altamente disponibili alla consapevolezza attiva e vissuta dei parlanti. In questa prospettiva definiamo la ‘ricorrenza22 del referente’ in relazione alla salienza come la sua capacità di tenuta all’interno delle norme consuetudinarie e di base delle interazioni sociali elementari. I referenti lessicali fanno parte generalmente dei campi semantici degli oggetti domestici e del lavoro, alberi, piante, animali e della dimensione affettiva familiare ed amicale. Molto presenti, difatti, sono i campi semantici ‘ambiente domestico’, ‘lavoro’, ‘affettività’, ‘mondo vegetale’, ‘animali’, etc. Tutte queste aree di significato condividono la concorrente pressione di ricorrenza, elevata referenzialità, alto contenuto pragmatico, che le definiscono cognitivamente salienti. Si spiega così inoltre la non elevata salienza delle interiezioni lessicali. Esse, in fase di prognosi, avrebbero tutte le caratteristiche per essere ipotizzate a rischio di elevata salienza. Sono difatti molto diffuse nel repertorio dialettale siciliano ed estese in diatopia (es: alè Petralia Sottana, gnadà Canicattì, ah! Favara, u-nca Mistretta, nerra San Giuseppe Jato, etc.). Ma soprattutto, hanno un alto contenuto pragmatico e, dal punto di vista strutturale, la loro attività di interpunzione spezza la continuità

22 Negli studi sulla salienza si preferisce parlare di frequenza piuttosto che di ricorrenza. Noi preferiamo il termine “ricorrenza” per evidenziare l’adesione dei referenti all’universo socio-culturale della dialettalità comunitaria retto da pratiche rituali quotidiane e consuetudinarie. La salienza è definita in termini di «alta frequenza» ad esempio in Bardovi-Harlig 1987, in uno studio sull’acquisizione dell’inglese come lingua straniera. La ricercatrice rileva che la co-struzione marcata della proposizione “to” posposta in fine di frase, è appresa prima di quella non marcata in quanto più frequente nella lingua che si sta apprendendo.

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8.3 I tratti della differenza linguistica. Dati quantitativi e salienze nei livelli linguistici

segmentale e prosodica della frase23. È però molto probabile che l’assenza di “referenzialità inevitabile” giochi a sfavore della relevance di questi item. Per altro verso la “referenzialità inevitabile” può invece spiegare, all’interno della morfologia, l’eccezionale salienza dei pronomi personali e possessivi, soprattutto nei casi, molto diffusi, in cui la combinazione di questi ultimi con lessemi dell’affettività familiare, conferisce al sintagma un doppio valore referenziale (es: la combinazione tra pronome personale e lessema con referente della sfera affettiva, ma mamma, ma patrë, to frati, etc.).

*** L’insieme dei dati quantitativi analizzati in questo capitolo, le ipotesi di interpretazione proposte e le costanti linguistiche e pragmatiche rilevate, così come, d’altro canto, irregolarità e dati non previsti e forse non prevedibili osservate e discusse in special modo nelle parti precedenti di questo lavoro, ma che tuttavia ci hanno accompagnato fino alla fine, confermano la pressione di variabili differenziate ed eterogenee sui comportamenti dei parlanti: indicazioni puntuali di dimensioni e tratti linguistici, giudizi, commenti, discorsi interazionali. In effetti la pluriformità dell’universo pragmatico-linguistico è emersa in ogni punto di questa trattazione, di pari passi al tentativo di mettervi ordine attraverso modelli pluridimensionali di analisi ed interpretazione. I modi della costruzione sociale e cognitiva di tutte queste componenti, il loro essere oggetto di negoziazione, segni di vicinanza e distanza, significati di storie vissute, trattativa, consenso e conflitto di punti di vista sul mondo, si sono dimostrati contenuti altamente sensibili della DP, indispensabili per indagare l’universo della lingua.

23 In Silverstein 1981 il principio della “segmentabilità continua” suggerisce invece che le unità linguistiche non interrotte da altro materiale hanno più possibilità di essere presenti alla consapevolezza del parlante. Si tenga però in conto che nella tipologia proposta da Silverstein l’interruzione è determinata dal materiale frapposto a due singole unità linguistiche. Nel caso nostro delle interiezioni lessicali il cotesto di riferimento per l’interruzione è la sequenza estesa di parlato. Inoltre, nell’ipotesi di Silverstein l’interruzione della continuità è di natura solo segmentale, nella nostra è anche di natura pragmatica.

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APPENDICI

II

Appendici

ALS. STRUTTURA DEL CAMPIONE 1ª famiglia NONNI (>60)

GENITORI (40-50)

FIGLI (18-26)

Istruzione Bassa

Istruzione Bassa

1ª lingua DIALETTO

1ª lingua DIALETTO

1ª lingua DIALETTO

2ª famiglia NONNI (>60)

GENITORI (40-50)

FIGLI (18-26)

Istruzione Media/Bassa 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Media 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Media 1ª lingua DIALETTO

3ª famiglia NONNI (>60)

GENITORI (40-50)

FIGLI (18-26)

Istruzione Media/Bassa 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Media 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Media 1ª lingua ITALIANO

4ª famiglia NONNI (>60)

GENITORI (40-50)

FIGLI (18-26)

Istruzione Media/Alta 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Alta 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Alta 1ª lingua DIALETTO (o buona competenza dialettale)

5ª famiglia NONNI (>60)

GENITORI (40-50)

FIGLI (18-26)

Istruzione Alta 1ª lingua DIALETTO

Istruzione Alta 1ª lingua ITALIANO

Istruzione Alta 1ª lingua ITALIANO

Istruzione Bassa

Adolescenti (15-16 anni e dello stesso sesso) 1° adolescente

2° adolescente

Istruzione dei Genitori Bassa Licenza media 1ª lingua Genitori: DIALETTO

Istruzione dei Genitori Alta Frequenza scuola superiore 1ª lingua Genitori: ITALIANO

Appendici

LEGENDA Istruzione Bassa = da analfabeta a licenza elementare compresa Istruzione Media = da 1ª media ad alcuni anni di superiore Istruzione Alta = Diploma o Laurea

III

IV

Appendici

CONVENZIONI DI TRASCRIZIONE

TRASCRIZIONE FONO-ORTOGRAFICA Si segnalano le principali caratteristiche fonetiche e fonosintattiche delle varietà dialettali siciliane e dell’italiano regionale. In particolare: -

oltre a quelli fonosintattici, vengono segnalati i raddoppiamenti delle consonanti intervocaliche sia ad inizio sia all’interno della parola; negli elementi in siciliano, l’accento grafico viene posto su tutte le parole non piane (es: sònanu) e su quelle terminanti in -ia e -iu, anche se piane (es: fìgghia; finìu); nei dittonghi, l’accento viene segnalato solo nei dittonghi discendenti (es: a pìeri); per segnalare le assimilazioni totali progressive e regressive viene utilizzato il trattino unificatore (es: um-muru. ug-gnocu); le assimilazioni e coalescenze vocaliche si segnalano con l’accento circonflesso (es. a + u > ô; a + i >ê; i + u > û - pi +( l)u pani = pû pani).

Si segnalano i seguenti fenomeni consonantici: -

deaffricazione dell’affricata (pre)palatale sorda intervocalica /c/: ç (es: siçiliano) affricazione della fricativa postnasale, anche a inizio di parola (es: nziçilianu, ‘in siciliano’) retroflessione: ḍd;̣ t ̣ṛ; s ̣t ̣ṛ;̣ l ̣l;̣ ṛr;̣ ṇtṛ palatalizzazione di /s/ preconsonantica: š (es: šcopa, pašta, šti)

Trascrizione conversazionale Fenomeni legati al ‘turn taking 1. Attribuzione del turno di parola. R1: abcd I2: efgh Ogni turno viene contrassegnato dalla lettera maiuscola che indica l’interlocutore (R per il raccoglitore, I per l’informatore) e da un numero progressivo seguito da due punti e uno spazio. La numerazione del turno non viene indicata nei seguenti casi: interventi fatici o puntellamenti; mancato cambio del turno (vedi sotto il latching). 2. Sovrapposizioni [abcde] [abcde] 3. Latching

Appendici

V

= Si utilizza quando il parlante di turno mantiene la parola non tenendo conto dell’inserimento dell’interlocutore. Il turno è diviso in due per facilitare la lettura. Se l’unità di turno risente in qualche maniera dell’inserimento dell’interlocutore, si dovrà segnalare un cambio di turno. 4. Pause abc / def // ghi /// /: pausa breve (fino a circa un secondo); //: pausa media (fino a circa due secondi); ///: pausa lunga (superiore ai due secondi). Nel caso di pause molto lunghe la durata è indicata in secondi fra parentesi tonde. Attribuzione del codice 1. Elementi appartenenti a varietà dell’italiano (morfologia italiana) abcd (carattere tondo) 2. Elementi appartenenti a varietà del siciliano (morfologia siciliana) abcd (carattere corsivo) Elementi lessicali, semilessicali e testuali 1. Parole interrotte abcd+ 2. Elementi incomprensibili xx xxx xx se la parola incomprensibile è solo una; xxx se le parole sono più di una. 3. Non parole (malapropismi, lapsus, ecc.) abcd (sic) 4. Cambiamento di progetto morfosintattico abcd | efgh Corrisponde alla sostituzione, all’interno della stesso enunciato, di una costruzione morfosintattica con un’altra 5. Cambiamento di progetto semantico abcd || efgh Corrisponde a un cambiamento nella progettazione semantica sia a livello micr- sia a livello macro-strutturale.

VI

Appendici

6. Discorso diretto «abcde» Intonazione 1. Discorso sospeso abcd…. Il parlante lascia cadere il discorso ritenendolo concluso. 2. Incisi -abcdSospendono la linearità del discorso per introdurre precisazioni e approfondimenti. 3. Intonazione discendente abcd. 4. Intonazione ascendente-discendente abcd, 5. Enunciati interrogativi ed esclamativi abcd? abcd! 6. Domande a completamento abcd, Si chiede all’informatore, con intonazione discendente-ascendente di completare una parola o un enunciato. 7 Allungamenti della vocale finale abcde: fghi:: fghil::: 8. Enfasi abcde: fghi:: lmno::: abcd abcd Allungamenti vocalici in fine di parola (il numero dei due punti corrisponde alla durata dell’allungamento; enfasi sulla sillaba tonica; enfasi su una parola intera o su un segmento più lungo. Elementi non verbali e non vocali 1. Click dentale di negazione Σ

Appendici

VII

2. Risate, colpi di tosse, abbassamento del volume o aumento/diminuzione della velocità dell’eloquio (P/I/R ride) (P/I/R tossisce) (P/I/R a voce bassa) (P/I/R a voce alta) (P/I/R scandendo) Con P si identifica il parlante di turno. La sigla R o I attribuisce la risata al raccoglitore nel turno dell’informatore e viceversa. Interventi e commenti del trascrittore 1. Eventi esterni all’interazione (Ex: intervento di una terza persona) (Ex: rumore esterno) 2. Delimitazione del segmento di parlato a cui si riferisce il commento ‘abcde’ 3. Espunzione di brani di cui si fa il riassunto e si indica la durata (ER: abcde; 3m) 4. Parola o parole ricostruite *abcd *abcd efegh*

VIII

Appendici: Carte

APPENDICI: CARTE*

*

L’elaborazione tecnica delle Carte 2, 3, 4, 5, 6, è stata realizzata dal consorzio Ticonzero di Palermo operante nel campo dell’informatica territoriale, in particolare da Andrea Borruso e Carmelo Fazio. Le Carte 1 e 7 si devono a Francesco Macaluso, collaboratore del Centro di studi filologici e linguistici siciliani di Palermo.

Fig. 2. 8 Modello di network cognitivo, Ungerer/Schmid 2006, nostra elaborazione

Appendici

IX

Carta 0 Punti di inchiesta. Numerazione ALS

X Appendici: Carte

XI

Appendici

RETE DEI RILEVAMENTI SOCIOVARIAZIONALI: PUNTI E MICROAREE – NUMERAZIONE ALS 101. 104. 109. 110. 112. 113. 118. 124. 201. 204. 214. 218. 232. 235. 234. 243. 254. 261. 267. 272. 277. 301. 306. 319. 322. 330. 333. 336. 342. 343.

Trapani Valderice – 106. Custonaci – 107. San Vito lo Capo Alcamo Marsala Mazara del Vallo Castelvetrano – 114. Campobello di Mazara Gibellina – 119. Salaparuta – 120. Poggioreale Pantelleria

416. 421.

Caltanissetta Mussomeli – 410. Vallelunga Pratameno – 411. Villalba Delia – 417. Sommatino Gela

501. 507.

Enna Àssoro – 508. Nissorìa – 509. Agira

601. 602. 607. 615. 628. 632. 662. 695.

Messina Tusa Reitano – 608. Mistretta – 609. Caronia Sant’Agata di Militello Capo d’Orlando Ficarra – 636. Sinagra – 637. Ucrìa Milazzo Letojanni – 697. Taormina – 698. Giardini Naxos

701. 721. 729. 731. 739.

Catania Paternò Acireale San Giovanni la Punta – 733. Mascalucia – 736. Gravina di Catania Aci Castello

263. Scillato Cefalù Blufi – 273. Alimena – 274. Bompietro Gangi – 278. Geraci Siculo

750.

Caltagirone

801. 802. 818.

Siracusa Lentini Noto

Agrigento Sciacca Siculiana – 320. Realmonte – 321. Porto Empedocle Joppolo Giancaxio – 323. Raffadali – 324. Santa Elisabetta Aragona – 331. Comitini – 332. Grotte Racalmuto Canicattì Licata Lampedusa – 344. Linosa

901. 903. 906.

Ragusa Vittoria Chiaramonte Gulfi – 907. Monterosso Almo – 908. Giarratana

Palermo Terrasini – 205. Cinisi – 210. Carini Monreale Giuliana. – 219. Bisacquino – 305. Sambuca di Sicilia Bagheria Misilmeri Casteldaccia – 236. Altavilla Milicia Villafrati – 245. Mezzojuso – 247. Vicari Termini Imerese Sclafani Bagni – 262. Caltavuturo –

401. 403.

Carta 1 Sicilia. Comuni citati in questo volume

XII Appendici: Carte

XIII

Appendici 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.

Acate - ME Acireale - CT Adrano - CT Agrigento - AG Alcamo - TP Alimena - PA Aliminusa - PA Altavilla Milicia - PA Aragona - AG Avola - SR Bagheria - PA Belmonte Mezzagno - PA Biancavilla - CT Bivona - AG Blufi - PA Bompietro - PA

48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63.

Gangi - PA Gela - CL Geraci Siculo - GE Giarratana - RG Gibellina - TP Giuliana - PA Grammichele - CT Gravina di Catania - CT Grotte - AG Lercara Friddi Licata- AG Lampedusa e Linosa - AG Marineo - PA Marsala - TP Mascalucia - CT Mazara del Vallo - TP

90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105.

17.

Brolo - ME

64.

Messina - ME

106.

18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47.

Bronte - CT Burgio - AG Calascibetta - EN Caltagirone - CT Caltanissetta - CL Caltavuturo - PA Campobello di Mazara - TP Campofelice di Roccella - PA Canicattì - AG Capizzi - ME Capo d’Orlando - ME Carini - PA Caronia - ME Castelbuono - PA Casteldaccia - PA Castel di Lucio ME Castellana Sicula - PA Castell’Umberto - ME Castelvetrano - TP Catania - CT Cerda - PA Chiaramonte Gulfi - RG Chiusa Sclafani - PA Cinisi - PA Comiso - RG Custonaci - TP Delia - CL Enna - EN Favara - AG Floresta - ME

65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89.

Mezzojuso - PA Misilmeri - PA Mistretta - ME Modica - RG Monreale –PA Monterosso Almo - RG Motta Sant’Anastasia - CT Naso - ME Nicosia - EN Pachino - SR Palermo - PA Palma di Montechiaro - AG Pantelleria - TP Partanna - TP Paternò – CT Petralia Soprana - PA Petralia Sottana - PA Petrosino - TP Pettineo - ME Piana degli Albanesi - PA Poggioreale - TP Polizzi Generosa - PA Raffadali - AG Ragusa - RG Randazzo - CT

107. 108. 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. 127. 128.

Ravanusa - AG Reitano - ME Resuttano - CL Riesi - CL Salaparuta - TP Salemi - TP Sambuca di Sicilia -AG San Cataldo - CL San Fratello - ME San Giovanni la Punta - CT San Giuseppe Jato - PA San Mauro Castelverde - PA Sant’Agata di Militello - ME Sant’Angelo Muxaro - AG Santa Elisabetta - AG Santa Ninfa - TP Santo Stefano di Camastra ME Scillato - PA Sclafani Bagni - PA Sinagra - ME Siracusa - SR Sommatino - CL Sperlinga - EN Termini Imerese - PA Terrasini - PA Tortorici - ME Trapani - TP Troina - EN Tusa - ME Ucria - ME Valderice - TP Vallelunga Pratameno - CL Vicari - PA Villabate - PA Villafrati - PA Villalba - CL Vita - TP Vittoria - RG Zafferana Etnea - CT

Carta 2 Percezione in area sud-orientale dell’esito affricato postalveolare dei nessi latini CL e PL

XIV Appendici: Carte

Carta 3 Percezione in area centro meridionale (Licata e Palma di Montechiaro) dell’esito affricato postalveolare dei nessi latini CL e PL

Appendici

XV

Carta 4 Rappresentazione concettuale della variazione diatopica delle dicotomie interazionali

XVI Appendici: Carte

Carta 5 Densità della rappresentazione metalinguistica

Appendici

XVII

Carta 6 Carta delle linee di spessore delle rappresentazioni metalinguistiche

XVIII Appendici: Carte

Carta 7. Sovrapposizione tra l’isoglossa rilevata dalle inchieste sul campo e l’isoglossa percepita dai parlanti. La linea di colore blu indica l’isoglossa che separa l’area del tipo picciriḍḍu dall’area del tipo carusu, rispettivamente variante occidentale e orientale per b̒ ambino’. La linea rossa indica l’isoglossa di caruso così come percepita e indicata dai parlanti che presentano il tipo picciriḍḍu.

Appendici

XIX

Philipp Barbarić

Che storia che gavemo qua Sprachgeschichte Dalmatiens als Sprechergeschichte (1797 bis heute)

kommunikative räume – Spazi comunicativi – band 12 In diesem Band wird erstmalig die Sprachgeschichte der Region Dalmatien für den Zeitraum von 1797 bis heute skizziert. Durch die genuin regionale Anlage – denn Dalmatien konstituierte sich in diesem Zeitraum als Kronland Österreich-Ungarns, Exklave des faschistischen Italiens, Teil des sozialistischen Jugoslawiens und seit 1992 als Region des modernen Kroatiens – werden die Grenzen der nationalfokussierten Sprachhistoriographie überwunden, und dynamische Mehrsprachigkeits- und Sprachkontaktkonstellationen zwischen romanischen, slawischen, albanischen und deutschen Varietäten rücken in den Vordergrund. Philipp Barbaric führt Kommunikationsraummodelle, wissenssoziologische Lebensweltkonzepte und eine sprachbiographische Herangehensweise zusammen und eröffnet so neue methodische Perspektiven: Sprachgeschichte wird zu Sprechergeschichte – und umgekehrt. Der romanistische Beitrag des Bandes wird dadurch bedeutend erweitert, dass der Autor auf die (wohl) letzten Sprecher einer Varietät ‚gestoßen‘ ist, die die Sprecher selbst als zaratino konzeptualisieren und die in erster Linie als seit Jahrhunderten isoliertes venezianisch-basiertes Idiom zu identifizieren ist.

280 Seiten mit 15 Abbildungen, 14 Tabellen und 4 Farbkarten. 978-3-515-11165-2 kart. 978-3-515-11166-9 e-book

Hier bestellen: www.steiner-verlag.de

Carolin Patzelt

Sprachdynamiken in modernen Migrationsgesellschaften Romanische Sprachen und romanisch­basierte Kreolsprachen in Französisch­Guayana

kommunikative räume – Spazi comunicativi – band 13 Plurilinguale, von komplexem ethnischen Miteinander geprägte Gesellschaften, wie man sie oftmals außerhalb Europas und in Zeiten zunehmender Mobilität in immer höherem Maße findet, gelten gemeinhin als chaotische, nicht vorhersagbare sprach­ liche Konglomerate. Obwohl die gängigen, aus eurozentrischem Blickwinkel konzipierten Sprachwandeltheorien ihnen starke Konvergenzprozesse prognostizieren, lässt sich hier häufig eine erstaunliche Stabilität der Vielsprachigkeit beobachten. Carolin Patzelt zeigt am Beispiel der hochkomplexen Sprach­ situation Französisch­Guayanas, wie die Stabilität der Mehr­ sprachigkeit gerade durch eine hohe Dynamik in der Kultivierung sprachlicher Identitäten befördert wird. Auf Basis einer umfas­ senden empirischen Studie zur Sprachselektion in Französisch­ Guayana analysiert sie den Ablauf soziolinguistischer Dynamiken in modernen Migrationsgesellschaften. Mit ihrem multidimen­ sionalen Ansatz leistet die Autorin einen wichtigen Beitrag für die Theoriebildung der modernen Sozio­ und Migrationslinguistik.

XXVIII, 346 Seiten mit 82 Abbildungen 978-3-515-11360-1 kart. 978-3-515-11363-2 e-book

Hier bestellen: www.steiner-verlag.de

Susanna Gaidolfi

Die Italianisierung des Sardischen

kommunikative räume – Spazi comunicativi – band 14 Obwohl das Sardische als eigenständige Sprache anerkannt ist, bleibt sein Wert in der Gesellschaft häufig hinter dem des Italieni­ schen zurück. Susanna Gaidolfi leistet mit dieser Studie einen Beitrag zur Erforschung der gegenwärtigen Situation der ge­ sprochenen sardischen Sprache. Die Arbeit fügt sich damit in das aktuelle Interesse für Minderheitensprachen ein, das in den letzten Jahren nicht nur auf romanischem Territorium als Gegen­ bewegung zur Globalisierung in gesteigertem Maße zu beobach­ ten war. Im Fokus steht die Italianisierung des Sardischen. Grundlage der Untersuchung bildet eine empirische Studie, die die Autorin in zwei Orten auf Sardinien durchgeführt hat. Das Fortschreiten der Italianisierung untersucht Gaidolfi anhand verschiedener Themen der Lexik und der Morpho­Syntax, die sie auf Verände­ rungen gegenüber grammatischen Beschreibungen dahingehend analysiert, ob sie den Angaben in Lexika und deskriptiven Gram­ matiken des Sardischen entsprechen oder sich den Gegebenheiten des Italienischen angepasst haben. Im Bereich der Lexik werden Monatsnamen, Verwandtschaftsbezeichnungen und Gesprächs­ wörter untersucht, in der Morpho­Syntax die Konditionalformen, die Differentielle Objektmarkierung und Possessivphrasen.

2017 265 Seiten mit 27 Abbildungen und 97 Tabellen 978-3-515-11559-9 kart. 978-3-515-11563-6 e-book

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La Dialettologia Percettiva, disciplina che si occupa dello studio delle opinioni dei parlanti sulle varietà di lingua, nell’ultimo decennio ha rinnovato i propri fondamenti. Il volume da un lato intende ripercorrere criticamente tali profonde innovazioni, dall’altro propone una serie di modelli originali per l’analisi e l’interpretazione dei dati. Il corpus della ricerca è costituito dalle risposte di circa 900 informatori distribuiti in 60 punti d’inchiesta a tre domande del questionario dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS ) pensate per rilevare la percezione e rappresentazione della differenza

linguistica. Una mole imponente di dati che sono stati trattati con un approccio quanti-qualitativo dimensionato al corpus e dialogando con un complesso eterogeneo di settori di studio che in un modo o nell’altro riguardano le scienze del linguaggio. Il volume offre anche un quadro completo dei principali fenomeni linguistici che caratterizzano l’articolato repertorio della Sicilia contemporanea. Di quest’ultimo vengono analizzate pure le dinamiche di contatto italiano vs. dialetto e le implicazioni ideologiche e identitarie. In appendice, un apparato cartografico a colori.

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ISBN 978-3-515-11871-2