Progettazione geotecnica [2 ed.] 9788820391362

Il volume vuole essere una guida pratica all'interpretazione e all'uso dell'Eurocodice 7 (EC7) e delle nu

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Sommario
Prefazione
Capitolo 1: Questioni introduttive
1.1. Stati limite e valori caratteristici dei parametri
1.2. Gli approcci di progetto
1.3. Gli approcci DA1 e DA2 e i relativi coefficienti parziali stabiliti dai documenti di applicazione nazionali (NAD)
1.4. Requisiti di progetto
1.5. Richiami di meccanica dei terreni
1.5.1. Resistenza al taglio dei terreni a grana grossa
1.5.2. Resistenza al taglio delle argille
1.5.3. Resistenza al taglio delle argille in condizioni non drenate
1.5.4. Deformabilità
1.6. Verifiche sismiche
1.6.1. Azione sismica
1.6.2. Metodi pseudostatici
1.6.3. Cenni relativi alla progettazione prestazionale e alle analisi di interazione terreno-struttura
Capitolo 2: Fondazioni dirette
2.1. Generalità
2.2. Meccanismi di collasso
2.3. Capacità portante in condizioni drenate
2.4. Capacità portante in condizioni non drenate
2.5. Capacità portante in condizioni sismiche
2.6. Verifiche di sicurezza alla luce dell’EC7 e delle NTC18 ed esempi applicativi
2.7. Introduzione al calcolo dei cedimenti
2.7.1. Decorso dei cedimenti nel tempo
2.8. Calcolo dei cedimenti di fondazioni su argille e relativi esempi
2.9. Calcolo dei cedimenti di fondazioni su sabbie e relativi esempi
2.9.1. Metodo di Burland e Burbidge
2.9.2. Metodo di Schmertmann
Capitolo 3: Pali e fondazioni su pali
3.1. Introduzione
3.2. Tipologie costruttive
3.3. Capacità portante del palo singolo: approcci analitici
3.3.1. Terreni a grana fine
3.3.2. Terreni a grana grossa
3.3.3. Pali che raggiungono un basamento roccioso
3.4. Capacità portante del palo singolo: approcci basati sull’uso diretto delle prove in sito
3.5. Cedimenti del palo singolo
3.6. Pali soggetti a carichi trasversali
3.7. Prove di carico
3.8. Pali in gruppo
3.8.1. Stato limite ultimo
3.8.2. Cedimenti di pali in gruppo
3.9. Piastre su pali riduttori di cedimenti
3.10. Pali in zona sismica
3.11. Applicazione dell’EC7 e delle NTC18 alle fondazioni su pali
3.11.1. Verifiche di capacità portante verticale per il palo singolo
3.11.2. Schede sinottiche
3.12. Verifiche di SLE
3.13. Prove di verifica e di collaudo
Capitolo 4: Opere di sostegno e ancoraggi
4.1. Generalità
4.2. Richiami sul calcolo della spinta attiva
4.2.1. Teoria di Coulomb
4.2.2. Teoria di Rankine
4.2.3. Metodo di Mononobe-Okabe
4.3. Verifiche di SLU dei muri di sostegno
4.3.1. Stato limite per scorrimento sul piano di fondazione
4.3.2. Stato limite per raggiungimento del carico limite della fondazione
4.3.3. Stato limite ultimo per ribaltamento
4.4. Verifiche dei muri di sostegno in condizioni sismiche
4.5. Paratie
4.5.1. Criteri di dimensionamento e verifiche in campo statico
4.5.2. Verifica delle prestazioni in presenza di azioni sismiche
4.6. Tiranti di ancoraggio
Capitolo 5: Stabilità dei pendii
5.1. Premessa
5.2. Metodi per le analisi di stabilità
5.2.1. Metodo semplificato di Bishop
5.2.2. Metodo semplificato di Janbu
5.3. Scelta dei parametri di resistenza al taglio
5.4. Analisi di stabilità in condizioni sismiche
5.4.1. Instabilità di tipo inerziale
5.4.2. Instabilità per degradazione ciclica
5.5. L’analisi di stabilità dei pendii naturali alla luce dell’EC7 e delle NTC18
5.6. Analisi di stabilità dei fronti di scavo alla luce dell’EC7 e delle NTC18
Bibliografia
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Progettazione geotecnica [2 ed.]
 9788820391362

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PROGETTAZIONE GEOTECNICA

Renato Lancellotta Andrea Ciancimino Daniele Costanzo Sebastiano Foti

PROGETTAZIONE GEOTECNICA Secondo l’Eurocodice 7 e le Norme Tecniche per le Costruzioni 2018 SECONDA EDIZIONE

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO

Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2020 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886 e-mail [email protected] Seguici su Twitter: @Hoepli_1870

www.hoeplieditore.it Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali ISBN EBOOK 978-88-203-9136-2 Realizzazione digitale: Promedia, Torino

Sommario Prefazione

Capitolo 1

Questioni introduttive 1.1 Stati limite e valori caratteristici dei parametri 1.2 Gli approcci di progetto 1.3 Gli approcci DA1 e DA2 e i relativi coefficienti parziali stabiliti dai documenti di applicazione nazionali (NAD) 1.4 Requisiti di progetto 1.5 Richiami di meccanica dei terreni 1.5.1 Resistenza al taglio dei terreni a grana grossa 1.5.2 Resistenza al taglio delle argille 1.5.3 Resistenza al taglio delle argille in condizioni non drenate 1.5.4 Deformabilità 1.6 Verifiche sismiche 1.6.1 Azione sismica 1.6.2 Metodi pseudostatici 1.6.3 Cenni relativi alla progettazione prestazionale e alle analisi di interazione terreno-struttura

Capitolo 2

Fondazioni dirette 2.1 Generalità 2.2 Meccanismi di collasso 2.3 Capacità portante in condizioni drenate 2.4 Capacità portante in condizioni non drenate 2.5 Capacità portante in condizioni sismiche 2.6 Verifiche di sicurezza alla luce dell’EC7 e delle NTC18 ed esempi applicativi 2.7 Introduzione al calcolo dei cedimenti 2.7.1 Decorso dei cedimenti nel tempo 2.8 Calcolo dei cedimenti di fondazioni su argille e relativi esempi 2.9 Calcolo dei cedimenti di fondazioni su sabbie e relativi esempi

2.9.1 Metodo di Burland e Burbidge 2.9.2 Metodo di Schmertmann

Capitolo 3

Pali e fondazioni su pali 3.1 Introduzione 3.2 Tipologie costruttive 3.3 Capacità portante del palo singolo: approcci analitici 3.3.1 Terreni a grana fine 3.3.2 Terreni a grana grossa 3.3.3 Pali che raggiungono un basamento roccioso 3.4 Capacità portante del palo singolo: approcci basati sull’uso diretto delle prove in sito 3.5 Cedimenti del palo singolo 3.6 Pali soggetti a carichi trasversali 3.7 Prove di carico 3.8 Pali in gruppo 3.8.1 Stato limite ultimo 3.8.2 Cedimenti di pali in gruppo 3.9 Piastre su pali riduttori di cedimenti 3.10 Pali in zona sismica 3.11 Applicazione dell’EC7 e delle NTC18 alle fondazioni su pali 3.11.1 Verifiche di capacità portante verticale per il palo singolo 3.11.2 Schede sinottiche 3.12 Verifiche di SLE 3.13 Prove di verifica e di collaudo

Capitolo 4

Opere di sostegno e ancoraggi 4.1 Generalità 4.2 Richiami sul calcolo della spinta attiva 4.2.1 Teoria di Coulomb 4.2.2 Teoria di Rankine 4.2.3 Metodo di Mononobe-Okabe 4.3 Verifiche di SLU dei muri di sostegno 4.3.1 Stato limite per scorrimento sul piano di fondazione 4.3.2 Stato limite per raggiungimento del carico limite della fondazione 4.3.3 Stato limite ultimo per ribaltamento 4.4 Verifiche dei muri di sostegno in condizioni sismiche 4.5 Paratie 4.5.1 Criteri di dimensionamento e verifiche in campo statico 4.5.2 Verifica delle prestazioni in presenza di azioni sismiche 4.6 Tiranti di ancoraggio

Capitolo 5

Stabilità dei pendii 5.1 Premessa 5.2 Metodi per le analisi di stabilità 5.2.1 Metodo semplificato di Bishop 5.2.2 Metodo semplificato di Janbu 5.3 Scelta dei parametri di resistenza al taglio 5.4 Analisi di stabilità in condizioni sismiche 5.4.1 Instabilità di tipo inerziale 5.4.2 Instabilità per degradazione ciclica 5.5 L’analisi di stabilità dei pendii naturali alla luce dell’EC7 e delle NTC18 5.6 Analisi di stabilità dei fronti di scavo alla luce dell’EC7 e delle NTC18 Bibliografia Informazioni sul Libro Circa l’autore

Prefazione Lo scopo di questo volume è quello di fornire agli studenti e ai professionisti, soprattutto attraverso una serie di esempi svolti, una guida all’interpretazione e all’uso dell’Eurocodice 7 (EC7) e delle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC). Per rendere il volume di immediata e semplice consultazione, si è rinunciato a commentare i vari punti dell’EC7 e si è partiti dal presupposto che il lettore abbia le conoscenze dei principi di Geotecnica impartite nei corsi universitari di base. Per questo motivo, gli argomenti sono stati trattati seguendo un criterio di comodità espositiva, senza preoccuparsi dell’ordine con il quali gli stessi argomenti sono presentati nelle NTC o nell’EC7. Molti Autori hanno già affrontato questo tema in diverse sedi e hanno avuto modo di evidenziare dubbi e perplessità interpretative su alcuni punti di una materia così complessa, che ha l’ambizioso disegno di disciplinare la misura della sicurezza e delle prestazioni attese delle strutture geotecniche. A questi contributi, richiamati in bibliografia, si rimanda per un approfondimento dei concetti introduttivi riguardanti la filosofia degli stati limite e i principi fondanti della misura della sicurezza. In questo nostro volume, per non tradire lo spirito e le finalità della collana nella quale esso si colloca, ci siamo limitati a un obiettivo meno ambizioso, quale quello della trattazione dei casi più ricorrenti, con l’auspicio che gli esempi svolti possano contribuire a far acquisire familiarità con le nuove procedure di verifica. Rispetto alla prima edizione, oltre all’adeguamento alle prescrizioni della versione del 2018 delle NTC, sono stati aggiunti alcuni elementi che riguardano la progettazione geotecnica in zona sismica, limitando volutamente la trattazione agli approcci semplificati, correntemente utilizzati per la progettazione delle opere di ordinaria rilevanza.

GLI

AUTORI

Eventuali aggiornamenti e complementi al volume cartaceo sono consultabili e scaricabili on line all’indirizzo www.hoeplieditore.it

1 Questioni introduttive

1.1 Stati limite e valori caratteristici dei parametri Le norme tecniche sono lo strumento attraverso il quale le aspettative della società in materia di costruzioni (sicurezza, funzionalità, durabilità e sostenibilità) vengono tradotte in principi e regole, o, se si preferisce, in requisiti di progetto. Il formato che le norme tecniche hanno acquisito negli anni più recenti a livello internazionale (EC7, 2004; Japanese Code 21, 2006; AASHTO LRFD Bridge Design Specifications, 2008) è quello degli “stati limite”, intendendosi con un’accezione ampia di tale terminologia il verificarsi di uno scenario che non consente più il soddisfacimento dei suddetti requisiti di progetto. Gli errori del passato, anche se a volte privi di rilevanti ricadute, e gli eventi di collasso, talora caratterizzati da tragiche conseguenze, sono fonte primaria di insegnamento e costituiscono emblematici esempi di stati limite. Per questo motivo le norme richiamano, nell’ambito dei vari capitoli, i meccanismi che possono dar vita ad uno scenario di stato limite ultimo (SLU) e raccomandano procedure di verifica che, tenendo conto delle diverse fonti di incertezza attraverso coefficienti di sicurezza parziali, assicurano che la probabilità di occorrenza dello stato limite sia estremamente ridotta. I coefficienti di sicurezza parziali possono comunque avere scarso significato, soprattutto in campo geotecnico, se non viene chiarito come dev’essere scelto il valore caratteristico dei parametri. In campo geotecnico questo aspetto del problema, non disgiunto dalla definizione del modello geotecnico del sito, risulta particolarmente rilevante

e giova qui richiamare, sia pure brevemente, quanto raccomandato dall’EC7 e dalle NTC18 (in particolare nell’ambito della Circolare Applicativa delle NTC18, C.S.LL.PP., 2019) in materia di programmazione delle indagini e scelta dei parametri. L’EC7 e le NTC18 definiscono il valore caratteristico come una stima ragionata e cautelativa del valore del parametro che risulta pertinente allo stato limite considerato. Si noti come questa definizione ponga innanzitutto l’enfasi sul giudizio del progettista nella scelta di un valore rappresentativo, che non si riferisce solo al parametro in quanto tale, ma allo stato limite considerato. Il passaggio successivo dal valore rappresentativo al valore caratteristico rimanda necessariamente alla qualità e alla quantità delle indagini geotecniche ed è questo certamente l’aspetto più rilevante, giacché esso condiziona tutto il processo. Vanno infatti tenuti ben presenti nella programmazione delle indagini quanto influenti possano essere fattori quali: a) la dipendenza della risposta meccanica dei terreni dalla storia pregressa e dai percorsi di carico che caratterizzano il problema in esame; b) il carattere non lineare del legame costitutivo, anche a piccole deformazioni; c) il comportamento instabile dei materiali consistenti; d) le differenze tra la risposta dell’elemento di volume e quella dell’ammasso alla scala dell’opera; e) la variabilità spaziale dei depositi naturali.

1.2 Gli approcci di progetto Una volta operata la scelta del valore caratteristico, i coefficienti di sicurezza parziali in campo geotecnico possono essere applicati ai parametri di resistenza al taglio o alla resistenza (capacità) del sistema strutturaterreno. Con riferimento per esempio al calcolo del carico limite di una fondazione diretta, i coefficienti di sicurezza possono essere applicati all’angolo di resistenza al taglio e alla coesione, oppure possono essere applicati alla fine del processo al valore del carico limite.

Questi possibili e tra loro diversi modi di procedere vengono configurati nell’ambito dell’EC7 sotto forma di Approcci di Progetto (anche se forse andrebbero ridefiniti più propriamente come approcci di verifica), sovente presentati in alternativa. E’ chiaramente possibile addurre motivazioni a favore dell’uno o dell’altro approccio, basate sia su argomentazioni scientifiche, sia sulla tradizione radicata nella cultura tecnica, che fonda le proprie radici nell’esperienza che nel tempo ha consentito di validare e consolidare un determinato approccio. La nuova versione delle nostre norme tecniche ha eliminato la possibilità degli approcci alternativi alla progettazione, conseguendo una sostanziale semplificazione delle procedure resa possibile dall’esperienza progressivamente accumulata nell’applicazione delle precedenti norme tecniche (NTC08). In particolare, l’Approccio 1 viene oggi riservato alle paratie, alle opere in sotterraneo e a tutte le categorie di opere e interventi non previste esplicitamente nella Norma. L’Approccio 2 è invece riservato alle fondazioni e ai muri di sostegno. Va inoltre osservato come per tutte le opere e gli interventi la progettazione debba rispettare le prescrizioni contenute sia nel Capitolo 6, esplicitamente dedicato alla progettazione geotecnica, sia nel Capitolo 7, in particolare nel paragrafo 7.11, per quanto riguarda gli aspetti sismici.

1.3 Gli approcci DA1 e DA2 e i relativi coefficienti parziali stabiliti dai documenti di applicazione nazionali (NAD) L’Eurocodice 7 e le NTC18 prevedono diverse categorie di Stati Limite Ultimi (SLU) per ognuna delle quali sono prescritti specifici gruppi di coefficienti parziali: – stato limite ultimo per raggiungimento della resistenza degli elementi strutturali (compresi gli elementi delle fondazioni); – stato limite ultimo per raggiungimento della resistenza del terreno interagente con la struttura, con sviluppo di meccanismi di collasso

dell’insieme terreno-struttura; – stato limite ultimo per perdita di equilibrio della struttura o del terreno dovuta alla sottospinta dell’acqua (verifica a sollevamento); – stato limite ultimo causato dall’erosione e dal sifonamento del terreno per elevati gradienti idraulici di filtrazione. Per ogni stato limite ultimo i requisiti di sicurezza sono soddisfatti se viene rispettata la condizione:

dove Ed è il valore di progetto dell’azione (o dell’effetto dell’azione) e Rd è il valore di progetto della resistenza del sistema (Scheda 1.1). SCHEDA 1.1

VERIFICHE DI STATO LIMITE ULTIMO 1. Valore di progetto dell'azione o dell'effetto dell'azione

2. Valore di progetto della resistenza del sistema geotecnico

3. Verifica

Entrambe le grandezze dipendono dai valori di progetto delle azioni (γFFk), dai valori di progetto dei parametri dei materiali (Xk/γM) e dalla geometria di progetto (ad), per cui simbolicamente si pone:

Come si può notare, per gli SLU-GEO è stato introdotto un coefficiente di sicurezza parzialey γR che opera direttamente sulla resistenza del sistema, mentre l’effetto delle azioni può essere valutato anche applicando un coefficiente parziale γE = γF direttamente al valore ottenuto considerando le azioni con i loro valori caratteristici. La combinazione delle azioni da adottare per le verifiche agli stati limite ultimi è definita combinazione fondamentale ed è espressa dalla scrittura:

dove i coefficienti di combinazione ψ, che moltiplicano le azioni variabili Q, sono elencati nella Tabella 1.1 (Tabella 2.5.I delle NTC18) e tengono conto della ridotta probabilità che le diverse azioni agiscano contemporaneamente con il loro valore massimo. La scelta dei gruppi di coefficienti di sicurezza parziali per le azioni (A1 e A2), per i parametri geotecnici (M1 e M2) e per le resistenze (R1, R2 e R3) dipende dall’approccio progettuale. Tabella 1.1 Valori dei coefficienti di combinazione (Tabella 2.5.I delle NTC18).

I valori da impiegare sono riportati nelle Tabelle 1.2 e 1.3 (rispettivamente Tabelle 6.2.I e 6.2.II delle NTC18). Appare opportuno precisare che i carichi permanenti G2 che danno un contributo favorevole ai fini delle verifiche dovranno essere trascurati nel caso di situazioni transitorie, che prevedano la possibilità di assenza dei carichi G2 a seguito di alterazioni e modifiche dell’opera. L’approccio progettuale da adottare è definito in base alla tipologia di opera e alla verifica da eseguire, contestualmente ai coefficienti parziali per la resistenza R1, R2 e R3: per esempio, per le fondazioni superficiali l’approccio proposto è il DA2 e i coefficienti parziali R3 proposti sono elencati nella Tabella 1.4 (Tabella 6.4.I delle NTC18). Tabella 1.2 Coefficienti parziali per le azioni (Tabella 6.2.I delle NTC18).

Tabella 1.3 Coefficienti parziali per i parametri del terreno (Tabella 6.2.II delle NTC18).

I due approcci progettuali, distinti e alternativi, presentano differenti peculiarità. Il primo approccio (DA1) prevede due diverse combinazioni: la prima è generalmente più severa nei confronti del dimensionamento strutturale delle opere a contatto con il terreno, mentre la seconda è generalmente più severa nei riguardi del dimensionamento geotecnico. Tabella 1.4 Coefficienti parziali γR per le verifiche agli stati limite ultimi di fondazioni superficiali (Tabella 6.4.I delle NTC18). Verifica

Coefficiente parziale (R3)

Carico limite

γR =2,3

Scorrimento

γR =1,1

I gruppi di coefficienti di sicurezza parziali da impiegare vengono indicati con la scrittura:

dove si intende che nella prima combinazione si adottano per le azioni i coefficienti della colonna A1, per i parametri geotecnici i coefficienti della colonna M1 e per la resistenza globale i coefficienti della colonna R1, mentre per la seconda combinazione si adottano i coefficienti delle colonne A2, M2 e R2. Nel secondo approccio (DA2) è prevista una sola combinazione:

sia per le verifiche geotecniche, sia per le verifiche strutturali.

1.4 Requisiti di progetto La realizzazione di una qualunque opera richiede che siano soddisfatti alcuni requisiti generali di progetto. In particolare, con riferimento alle opere di fondazione, i principali requisiti di progetto si possono così riassumere: – accertare la sussistenza di prefissati margini di sicurezza nei confronti della rottura dell’insieme fondazione-terreno; SCHEDA 1.2

VERIFICHE DI STATO LIMITE DI ESERCIZIO 1. Determinazione del valore di progetto dell'azione di calcolo Fd valutato con una delle combinazioni previste per lo SLE. Ad esempio per effetti a lungo termine, combinazione quasi permanente:

2. Calcolo dell'effetto delle azioni:

(ad esempio: cedimento totale o differenziale, spostamento orizzontale,...) 3. Definizione del valore limite dell'effetto delle azioni:

in funzione delle caratteristiche e della destinazione della struttura. 4. Verifica

– verificare che i cedimenti assoluti e differenziali garantiscano la funzionalità della struttura (Scheda 1.2). Per le opere di fondazione quasi sempre la limitazione dei cedimenti costituisce il principale requisito di progetto; – accertare che lo stato di sforzo nella struttura di fondazione sia compatibile con i requisiti strutturali riguardanti la resistenza dei materiali, l’insorgere di stati di fessurazione, la durabilità; – garantire che la soluzione progettuale sia realizzabile in modo sicuro e, per quanto possibile, agevole e rispondendo a criteri di economia. Pur nel rispetto di questi requisiti, la soluzione progettuale conserva comunque un suo carattere di soggettività, poiché la scelta di una tipologia anziché di un’altra dipende da molti fattori, tra i quali assumono rilevanza: le specifiche condizioni del sito (accessibilità, presenza di altri edifici, vincoli imposti da servizi di varia natura), la posizione della falda, il tempo disponibile per l’esecuzione dei lavori, le incertezze connesse con la realizzazione di ciascuna possibile soluzione. Tutto ciò porta a configurare il progetto come una successione delle seguenti fasi: – definizione ed esecuzione del programma di indagini;

– scelta della tipologia della fondazione e predimensionamento della stessa, sulla base dei dati acquisiti e sulla base delle esigenze funzionali della struttura; – verifica dei requisiti di sicurezza e di funzionalità e ottimizzazione della soluzione; – studio delle modalità esecutive. Questa fase è particolarmente delicata per le strutture di fondazione per le sue implicazioni nell’organizzazione del lavoro (interventi di scavo, eventuale abbassamento della falda, presidio di strutture esistenti). Riguardo al primo aspetto, vale la pena osservare quanto segue. Non c’è dubbio che l’ideazione e la realizzazione di un’opera di ingegneria debba partire dal quadro di riferimento nel quale l’opera stessa si inserisce, che si concretizza nella relazione geologica e che fornisce al progettista utili elementi di riferimento per la definizione dei modelli geotecnici da porre a base delle verifiche di sicurezza e delle prestazioni dell’opera. Per definire i suddetti modelli geotecnici il progettista deve comunque utilizzare altri dati, che scaturiscono dalla natura e dalle caratteristiche dell’opera e dalle prestazioni ad essa richieste. Occorre pertanto impostare la campagna di indagini geotecniche mirata alla caratterizzazione dei terreni compresi nel volume significativo, con indagini e prove riferite esplicitamente alle opere in progetto e ai corrispondenti stati limite. Si comprende dunque come le indagini geotecniche siano distinte dalle indagini geologiche (per le diverse scale di interesse e per le finalità) e queste ultime devono necessariamente precedere quelle geotecniche, in quanto, come esplicitamente richiamato dalle norme, il quadro geologico costituisce elemento di riferimento. Infine, in relazione alle modalità esecutive, va ricordato come in presenza di opere importanti o in presenza di criticità sia necessario predisporre un programma di misure e controlli che consentano di appurare, in fase di realizzazione, la rispondenza tra configurazione reale e previsioni progettuali, soprattutto in relazione ai possibili scenari di rischio.

Figura 1.1 Criterio di resistenza al taglio di Mohr-Coulomb.

1.5 Richiami di meccanica dei terreni Tenuto conto delle precisazioni fatte nel paragrafo 1.1, relativamente alla definizione di valore rappresentativo dei parametri geotecnici, appare chiaro quanto sia propedeutica una conoscenza adeguata dei fondamenti della meccanica delle terre. Naturalmente, esula dagli obiettivi del presente volume una sistematica ed esaustiva trattazione di questo tema, sviluppato in molti testi di base (Berardi, 2019; Burghignoli, 2018; Colombo e Colleselli, 1996; Lancellotta, 2012; Nova, 2002; Viggiani, 2002), ai quali si rimanda per ogni approfondimento. Tuttavia si è ritenuto opportuno richiamare ugualmente almeno alcuni concetti fondanti e riassumere gli aspetti peculiari del comportamento meccanico dei terreni. Anzitutto va ricordato che, benché i terreni siano mezzi particellari, l'approccio usato per descriverne e predirne il comportamento meccanico li assimila ad un mezzo continuo, se si è in presenza di una sola fase, o a continui sovrapposti, nel caso siano presenti due o più fasi. Un esempio

ricorrente è quello del mezzo poroso saturo di acqua, il cui comportamento può immaginarsi equivalente a quello di un continuo, che rappresenta lo scheletro solido, al quale si sovrappone un secondo mezzo continuo che rappresenta la fase liquida. I due continui occupano simultaneamente la stessa regione spaziale e, sulla scorta di tale assunzione, è possibile definire in ogni punto di tale regione un tensore degli sforzi e la pressione dell’acqua interstiziale, senza preoccuparsi se il punto corrisponda ad una particella solida o ad uno dei pori interstiziali. Le due fasi esibiscono un comportamento differente, come può intuirsi osservando che la fase fluida non sopporta sforzi di taglio, ha una compressibilità significativamente diversa da quella della fase solida e può muoversi attraverso i pori interstiziali; al contrario, la fase solida è in grado di sopportare sforzi di taglio e conferisce resistenza e rigidezza al mezzo poroso. Ne consegue che ogni analisi, riguardante variazioni di volume, cambio di forma o mobilitazione della resistenza al taglio, presuppone che sia acquisito quel principio fondante, formalizzato da Terzaghi (1923, 1936), noto come principio delle tensioni efficaci: il comportamento meccanico dei terreni, inteso come ogni effetto misurabile in termini di deformazione o di resistenza, dipende solo da una variazione delle tensioni efficaci , definite dalla differenza tra le tensioni totali σij e la pressione interstiziale u:

Alla luce di tale principio, il criterio di rottura di Mohr-Coulomb, va espresso in termini di tensioni efficaci e, nel caso di un mezzo puramente attritivo, assume la forma:

nella quale φ' rappresenta l’angolo di resistenza al taglio. Com’è noto, la (1.9) individua nel piano delle variabili tensionali, definito piano di Mohr (Figura 1.1), due rette che inviluppano gli stati tensionali fisicamente possibili e, poiché lo stato di sforzo in un punto è graficamente rappresentato dal cerchio di Mohr, la condizione di rottura è

raggiunta se il cerchio di Mohr delle tensioni efficaci risulta tangente alle suddette rette. La validità del criterio di rottura espresso dalla (1.9) risulta provata dalle evidenze sperimentali disponibili per le sabbie sciolte e le argille tenere non sensitive, che manifestano comportamento duttile. Risulta invece più complesso il comportamento meccanico di una sabbia densa, caratterizzato dal raggiungimento di una condizione di picco, alla quale segue una riduzione del deviatore degli sforzi con il procedere delle deformazioni (comportamento meccanicamente instabile). L’inviluppo di rottura corrispondente alle condizioni di picco mostra ora una curvatura, che risulta tanto più evidente quanto più ampio è l’intervallo tensionale considerato, con un valore secante dell’angolo di resistenza al taglio di picco che dipende dal grado di addensamento iniziale della sabbia e dal livello tensionale. Analoghe considerazioni si possono fare per le argille consistenti, perché anche in questo caso l’inviluppo di rottura risulta caratterizzato da una marcata curvatura soprattutto in prossimità dell’origine (Figura 1.2). Se viene linearizzato nell’ambito dell’intervallo tensionale di interesse, l’inviluppo rottura può essere rappresentato dall’equazione:

Al contributo “attritivo”, rappresentato dal termine σ'·tanφ', si somma il contributo che esprime la resistenza in assenza di tensioni efficaci normali, rappresentato da c'. Questo secondo contributo è solitamente indicato con il termine coesione, ma in realtà tale componente andrebbe più semplicemente considerata come un’intercetta che individua geometricamente la posizione dell’inviluppo di rottura linearizzato, per i motivi che saranno richiamati nel seguito. Ritornando sulla natura multifase dei terreni, va osservato come i problemi affrontati nella meccanica delle terre si presentino come problemi accoppiati, che richiedono la contemporanea descrizione del campo di moto dell’acqua interstiziale e del campo deformativo della fase solida.

Figura 1.2 Inviluppo di rottura curvilineo.

È tuttavia possibile individuare delle circostanze nelle quali si può evitare la risoluzione del problema accoppiato e che corrispondono a due configurazioni estreme, definite condizioni drenate e non drenate alle quali si farà riferimento in seguito. Per condizione drenata si intende la circostanza in cui, in ogni punto di un volume di terreno, ossia localmente, la variazione delle tensioni efficaci coincide con la variazione delle tensioni totali. Nei terreni a grana grossa (sabbie e ghiaie), caratterizzati da elevata conducibilità idraulica, le condizioni drenate sono di norma sempre soddisfatte in problemi statici, perché un eventuale moto transitorio dell’acqua, derivante da una qualsiasi causa perturbatrice, avviene in tempi brevissimi e può quindi essere trascurato. L’acqua interstiziale si trova quindi costantemente in quiete o in moto stazionario e la sua pressione dipende solo dalle condizioni al contorno. Nei terreni a grana fine (limi e argille), considerata la loro bassissima conducibilità idraulica, solo se la velocità di applicazione dei carichi è estremamente lenta si può pensare che siano soddisfatti i requisiti richiesti dalla definizione di condizione drenata. In pratica però l’applicazione delle sollecitazioni avviene di norma in condizione non drenata, intendendosi come tale la circostanza nella quale, localmente, l’elemento di volume non scambia massa di acqua con l’esterno (ossia l’acqua interstiziale è quindi supposta ferma nei pori). Se il materiale è saturo e si introduce l’ipotesi, usuale nella meccanica delle terre, che le particelle solide e l’acqua

interstiziale possano considerarsi incomprimibili, la suddetta definizione coincide con quella di assenza di variazioni di volume. L’assenza di variazione di volume costituisce un vincolo cinematico interno e, come reazione a tale vincolo, si genera una sovrappressione interstiziale, che rende le tensioni efficaci non più coincidenti con le tensioni totali.

1.5.1 Resistenza al taglio dei terreni a grana grossa Al fine di comprendere i fattori che maggiormente influenzano la resistenza al taglio dei materiali a grana grossa, è utile osservare il comportamento a rottura di campioni della stessa sabbia in prove triassiali di compressione per diverse condizioni di stato, intendendosi con tale locuzione la combinazione dello stato di addensamento e dello stato di sforzo. Nella Figura 1.3 sono schematizzati i risultati di prove eseguite su campioni aventi differente grado di addensamento a parità di tensione di confinamento e, insieme alla classica relazione sforzi-deformazioni, sono rappresentate le deformazioni di volume che si sviluppano nella fase di taglio. Mentre il campione più sciolto raggiunge un valore asintotico di resistenza con una progressiva diminuzione di volume, il comportamento dei campioni più addensati è caratterizzato dal raggiungimento di un valore di picco della resistenza, che precede la fase asintotica finale. A questo differente comportamento è associata una differente tendenza delle variazioni di volume, che si manifestano con un aumento di volume tanto più pronunciato quanto più denso è il materiale. Le variazioni di volume che si manifestano durante la fase di taglio, indicate con il termine dilatanza (introdotto da Reynolds, 1885), costituiscono un’importante peculiarità dei materiali granulari, giacché è possibile dimostrare che l’incremento di resistenza al taglio è direttamente associabile a tale fenomeno.

Figura 1.3 Andamenti tipici di tensioni e deformazioni in prove triassiali di compressione su campioni di terreni a grana grossa caratterizzati da diverso stato di addensamento iniziale a parità di tensione di confinamento.

Superato il picco, la resistenza al taglio dei campioni addensati tende asintoticamente ad una stessa condizione stazionaria, caratterizzata da deformazioni in assenza di variazioni di volume, che prende il nome di condizione di stato critico, e, per questo motivo, il corrispondente valore dell’angolo di resistenza al taglio è definito angolo a volume costante o angolo di stato critico. A tale condizione è associato un indice dei vuoti, anch’esso definito critico (Casagrande, 1936). In modo analogo in Figura 1.4 viene schematizzato il comportamento di campioni aventi lo stesso indice dei vuoti ma differente tensione di confinamento in cella. Si osserva che al crescere di quest’ultima la tendenza all’aumento di volume viene inibita e la ridotta dilatanza è associata a valori dell’angolo di resistenza al taglio di picco inferiori. Questa osservazione implicitamente porta ad un criterio di resistenza curvilineo, aspetto spesso trascurato nelle applicazioni ingegneristiche. Si può dunque concludere che l’angolo di resistenza al taglio a volume costante rappresenta una proprietà intrinseca di un determinato terreno,

mentre il valore di picco rappresenta un parametro influenzato non solo dalla mineralogia e morfologia delle particelle, ma anche dalle condizioni di stato in cui si trova il materiale.

Figura 1.4 Andamenti tipici di tensioni e deformazioni in prove triassiali di compressione su campioni di terreni a grana grossa soggetti a diversa tensione di confinamento a parità di stato di addensamento iniziale. Tabella 1.5 Valori indicativi dell’angolo di resistenza al taglio a volume costante. Sabbia con ghiaia a spigoli vivi

φ′cv = 35°

Sabbia silicea a grani arrotondati

φ′cv = 33°

Sabbia limosa

φ′cv = 30°÷32°

Sabbia carbonatica

φ′cv = 38°÷40°

Valori indicativi dell’angolo di resistenza a volume costante sono riportati nella Tabella 1.5. Tenendo conto delle difficoltà esistenti per il campionamento indisturbato dei terreni a grana grossa, nella pratica si fa spesso riferimento

a relazioni empiriche o semi-empiriche per ottenere una stima dell’angolo di picco della resistenza al taglio. La relazione proposta da Bolton (1986) introduce un parametro di dilatanza DI, che traduce la suddetta dipendenza dalla densità relativa DR e dallo stato tensionale, per cui il valore di picco φ′ risulta stimabile nel modo seguente:

in cui m è un coefficiente che tiene conto delle condizioni di deformazione (pari a 3 in condizioni assialsimmetriche e 5 in condizioni di deformazione piana) e p'f rappresenta la tensione media efficace a rottura, espressa in kPa. La stima della densità relativa del materiale può essere ottenuta facendo riferimento a correlazioni empiriche basate sui risultati di prove penetrometriche in sito. A titolo di esempio si riportano due delle correlazioni più frequentemente utilizzate, una basata su prove penetrometriche dinamiche di tipo standard SPT (Figura 1.5) e l’altra su prove penetrometriche statiche CPT (Figura 1.6). Al riguardo si formulano le seguenti considerazioni di carattere generale: – l’utilizzo di correlazioni empiriche appare giustificato in questo caso dal fatto che si tratta di un parametro (la densità relativa) difficilmente misurabile per altra via;

Figura 1.5 Correlazione proposta da Gibbs e Holtz (1957) per la stima della densità relativa a partire dai risultati di una prova penetrometrica standard SPT.

– le correlazioni sono riferite a prova standardizzate, quindi non possono essere applicate a risultati di prove non-standard (per esempio utilizzando i risultati di una prova penetrometrica dinamica senza preforo); – le correlazioni sono ricavate a partire da dati sperimentali omogenei e la loro estensione ad altre situazioni deve essere effettuata con cautela (per esempio nel caso delle Figure 1.5 e 1.6 le correlazioni sono state tarate su sabbie silicee e quindi non possono essere applicate a sabbie carbonatiche); – viene spesso trascurata l’incertezza associata alla stima. Sovente i dati sperimentali utilizzati per ricavare la correlazione non sono riportati e quindi è difficile stimarne l’affidabilità. La correlazione riportata in Figura 1.6 presenta il vantaggio di consentire anche una stima delle incertezze. Infatti oltre alla linea di tendenza media sono riportate le bande corrispondenti a due deviazioni standard. Per

esempio un valore di resistenza alla punta normalizzata pari a 60 corrisponde ad un valor medio di densità relativa pari al 50%, ma, tenendo conto dell’incertezza, si può osservare come il dato sperimentale oscilli tra il 40% ed il 60%.

Figura 1.6 Stima della densità relativa da prove penetrometriche statiche CPT (Lancellotta, 1983).

1.5.2 Resistenza al taglio delle argille Anche nel caso dei materiali argillosi il comportamento meccanico è fortemente condizionato dai parametri di stato e la distinzione tra classi di comportamento può essere fatta differenziando le argille tenere dalle argille consistenti. Queste ultime sono caratterizzate, secondo la classificazione introdotta da Terzaghi (1936), da un indice di consistenza superiore a 0.5,

ovvero da un contenuto d’acqua naturale più vicino al limite plastico che al limite liquido. Tenendo conto delle tensioni geostatiche agenti alle profondità di interesse ingegneristico, la distinzione tra argille tenere ed argille consistenti può essere ricondotta alle categorie di argille normalconsolidate o debolmente sovraconsolidate da un lato e argille sovraconsolidate dall’altro (con riferimento al quadro italiano, si consultino per un inquadramento generale Calabresi, 2004; Esu et al., 1971). A differenza di quanto avviene nei materiali a grana grossa, la ridotta permeabilità causa nelle argille l’insorgere di regimi transitori di sovrappressioni interstiziali indotte dai carichi esterni. Diventa quindi importante la distinzione tra comportamento a breve termine e comportamento a lungo termine, rispettivamente in condizione non drenata o in condizione drenata. Nella Figura 1.7a sono schematizzati gli andamenti attesi per un’argilla tenera nel corso di una prova di compressione triassiale consolidata isotropicamente drenata (CID), con la fase di rottura eseguita con drenaggio aperto e con una applicazione dei carichi sufficientemente lenta da evitare l’insorgere di sovrappressioni interstiziali. L’andamento delle deformazioni volumetriche indica una tendenza del materiale ad una progressiva riduzione di volume nel corso della prova, e, corrispondentemente, la tensione di taglio cresce fino ad un valore asintotico (comportamento duttile).

Figura 1.7 Tipico comportamento di argille tenere in prove triassiali di compressione in condizioni drenate (CID) e non drenate (CIU) e corrispondente luogo di rottura.

Al contrario, in una prova di compressione triassiale CIU, consolidata isotropicamente con fase di rottura non drenata, condotta sulla stessa argilla tenera (Figura 1.7b), si ha un accumulo di sovrappressioni interstiziali positive. I cerchi di Mohr delle tensioni efficaci a rottura sui due campioni individuano lo stesso inviluppo di rottura, a riprova dell’unicità del luogo dei punti a rottura e della sua indipendenza dalle condizioni di prova. Tale luogo è esprimibile con il criterio di Mohr-Coulomb, precedentemente introdotto con l’equazione (1.10). Nel caso delle argille consistenti, il comportamento meccanico in prove drenate risulta essere dilatante e, come aspetto duale, tale comportamento si traduce in uno sviluppo di sovrappressioni interstiziali negative nel caso in cui la fase di rottura sia condotta in condizioni non drenate (Figura 1.8). Come già osservato per le sabbie dense, ad una fase di picco segue una fase di post-picco che corrisponde al comportamento a volume costante. Nuovamente, l’inviluppo di picco risulta marcatamente curvilineo (Burland et al., 1996). Spesso, nelle applicazioni ingegneristiche, l’inviluppo di rottura curvilineo delle argille consistenti viene approssimato con una retta (Figura 1.9), caratterizzata dalla relazione (1.10), nella quale compare il contributo della coesione efficace c'. I parametri di resistenza al taglio (c',φ') così ottenuti, sono dunque frutto di una linearizzazione che dev’essere effettuata con molta attenzione in funzione del livello tensionale significativo per il problema in esame.

Figura 1.8 Tipico comportamento di argille consistenti in prove triassiali di compressione in condizioni drenate (CID) e non drenate (CIU) e corrispondente luogo di rottura.

Figura 1.9 Linearizzazione del criterio di rottura curvilineo di una argilla consistente.

Utilizzando apparecchiature che consentono l’osservazione del comportamento del materiale lungo preesistenti superfici di scorrimento, quale ad esempio il taglio diretto (con opportuni accorgimenti, come evidenziato da Calabresi e Manfredini, 1973) o il taglio torsionale anulare, è possibile osservare il raggiungimento di una condizione residua, caratterizzata da un isorientamento delle particelle argillose di forma lamellare. A tale condizione corrisponde il valore residuo dell’angolo di resistenza al taglio (Figura 1.10).

Figura 1.10 Resistenza al taglio residua di materiali a grana fine e confronto con gli inviluppi di picco e post-picco.

Questo valore rappresenta la resistenza disponibile lungo preesistenti superfici di scorrimento, lungo le quali si siano già prodotti significativi spostamenti relativi, come per esempio avviene nel caso di fenomeni di riattivazione di movimenti di versante (già manifestatisi). Nel caso invece di movimenti franosi di primo distacco, la valutazione della resistenza al taglio disponibile lungo la potenziale superficie di scorrimento deve tener conto del fenomeno della rottura progressiva: l’innesco del movimento avviene tipicamente al piede e, quando si arriva alla mobilitazione della resistenza di picco nelle zone a monte, si sono già verificati spostamenti tali da portare le zone al piede in condizioni di postpicco (Figura 1.11). Risulta quindi improbabile che la resistenza operativa possa essere quella di picco (si veda il Capitolo 5).

1.5.3 Resistenza al taglio delle argille in condizioni non drenate Sebbene il comportamento meccanico dei terreni sia sempre governato dalle tensioni efficaci, è talvolta conveniente fare riferimento ad analisi in termini di tensioni totali. Tale necessità è legata alla difficoltà di previsione delle sovrappressioni interstiziali in un problema al finito, in considerazione anche dell’influenza delle eterogeneità e dell’anisotropia dei terreni e dei fenomeni di plasticizzazione locali.

Figura 1.11 Rottura progressiva in un pendio.

L’interpretazione di prove triassiali non consolidate e non drenate (UU) eseguite sullo stesso materiale a parità di condizioni di stato iniziali in termini di tensioni totali porta all’individuazione di un inviluppo di rottura descritto dal criterio di Tresca (Figura 1.12a):

Si noti che la resistenza al taglio non drenata viene correntemente indicata nella letteratura scientifica con il simbolo su (dall’inglese “undrained strength”); per congruenza con l’EC7 e le NTC18, nel presente volume viene invece conservato il simbolo cu (che deriva dal termine coesione non drenata, scelta poco felice e per certi versi fuorviante rispetto all’effettivo comportamento fisicomeccanico del materiale). Gli stessi dati sperimentali interpretati in termini di tensioni efficaci porterebbero il campione a rottura in corrispondenza di quello che rappresenta il “vero” criterio di rottura del materiale (Figura 1.12b), peraltro non pienamente identificabile sulla base di questo insieme di prove UU, che di fatto corrispondono ad un singolo cerchio di Mohr a rottura in termini di tensioni efficaci (cerchio a tratto continuo nella Figura 1.12b).

Figura 1.12 Interpretazione di prove triassiali non consolidate – non drenate (UU) su terreni a grana fine saturi: a) interpretazione in termini di tensioni totali con il criterio di Tresca; b) effettivo comportamento del materiale governato dalle tensioni efficaci e dal criterio di Mohr-Coulomb.

Va ancora ricordato che la resistenza al taglio non drenata non è una proprietà del materiale, ma esprime un comportamento dipendente dalle condizioni di stato e dai percorsi di carico ai quali è assoggettato il materiale, come mostrano i risultati riportati in Figura 1.13, ottenuti da prove caratterizzate da diversi percorsi di sollecitazione. Questo aspetto riveste una grande rilevanza applicativa se si considerano i diversi percorsi tensionali seguiti da diversi elementi di terreno in un problema al finito (Figura 1.14). Per tener conto dei suddetti aspetti, operativamente, una stima preliminare della resistenza al taglio dedotta da analisi a ritroso di casi reali, può essere ottenuta con la relazione proposta da Koutsoftas e Ladd (1985):

nella quale OCR rappresenta il grado di sovraconsolidazione.

Figura 1.13 Dipendenza della resistenza al taglio non drenata dalle condizioni di prova (Jamiolkowski et al., 1985).

Figura 1.14 Percorsi di sollecitazione seguiti da diversi elementi di volume.

1.5.4 Deformabilità La relazione sforzi-deformazioni dei terreni risulta marcatamente non lineare, anche a livelli deformativi relativamente modesti. Il manifestarsi delle deformazioni plastiche richiederebbe in linea di principio l’adozione di modelli costitutivi relativamente complessi per la valutazione degli stati di esercizio delle opere geotecniche. Nella pratica corrente, in presenza di carichi monotoni, è tuttavia usuale fare ricorso a modelli semplificati che

utilizzano moduli elastici operativi, che in qualche misura tengono conto del decadimento del modulo con il livello deformativo. In particolare, nel caso delle argille, la possibilità di utilizzare dati sperimentali ricavati da prove di laboratorio su campioni indisturbati consente la valutazione dei cedimenti utilizzando approcci semplificati che trasferiscono le osservazioni effettuate tramite prove di laboratorio alla scala dell’opera. Nel caso dei terreni a grana grossa, le difficoltà di campionamento e l’importanza della struttura del terreno nel determinarne la deformabilità comportano l’adozione di metodologie empiriche basate su prove in sito (penetrometriche, pressiometriche o dilatometriche). In alternativa, misure geofisiche in sito consentono una stima dei moduli elastici a piccolissimi livelli deformativi, che possono essere utilizzati come punto di partenza per ricavare moduli operativi per i diversi problemi ingegneristici, tenendo conto dell’andamento del modulo in funzione della deformazione a taglio (Figura 1.15).

Figura 1.15 Variazione del modulo di taglio in funzione del livello deformativo e livelli deformativi tipici di opere geotecniche (Atkinson, 2000).

1.6 Verifiche sismiche Le differenti peculiarità che caratterizzano la progettazione e la verifica di opere e sistemi geotecnici sottoposti ad azione sismica, comportano la necessità di introdurre, nell’ambito delle norme tecniche internazionali

(Eurocodice 8) e nazionali (NTC18, Cap. 7.11.) una trattazione specifica del problema. Le NTC18 prevedono, innanzitutto, una differente combinazione delle azioni da adottare per le verifiche agli stati limite ultimi e di esercizio connessi all’azione sismica E:

dove i coefficienti di combinazione ψ sono elencati nella Tabella 1.1 (Tabella 2.5.I delle NTC18). Per ogni stato limite ultimo considerato, le verifiche di sicurezza possono ritenersi soddisfatte nel caso in cui sia rispettata la condizione (1.1). La differenza sostanziale rispetto alle verifiche in condizioni statiche è data dai coefficienti parziali sulle azioni e sui parametri geotecnici dei materiali, posti in questo caso unitari (Scheda 1.3). Per quanto concerne le resistenze di progetto, i coefficienti parziali γR sono generalmente indicati in funzione del tipo di opera e della tipologia di verifica. SCHEDA 1.3

VERIFICHE SISMICHE DI STATO LIMITE ULTIMO 1. Valore di progetto dell'azione o dell'effetto dell'azione

2. Valore di progetto della resistenza del sistema geotecnico

3. Verifica

Le motivazioni alla base di tali disposizioni vanno ricercate nella complessa risposta dei terreni sotto l’effetto di carichi dinamici. A differenza delle situazioni tipiche della progettazione in campo statico, nelle analisi in campo dinamico non sempre è semplice una stima cautelativa dei parametri pertinenti allo stato limite considerato. Una stima per difetto dei parametri di resistenza e rigidezza caratteristici del comportamento dei materiali non comporta necessariamente una scelta progettuale cautelativa, così come non risulta immediato definire quali azioni statiche concorrano favorevolmente o meno alla verifica del sistema struttura-terreno. Basti pensare come un incremento del livello deformativo, causato ad esempio dall’impiego di coefficienti parziali sulle azioni o da una stima in difetto dei parametri di rigidezza, comporti una maggiore dissipazione di energia e quindi una maggiore attenuazione del moto sismico. L’adozione di coefficienti parziali unitari sulle azioni e sui parametri geotecnici permette invece di cogliere adeguatamente l’effettiva risposta meccanica dei terreni, tenendo comunque in conto le incertezze insite nel modello di calcolo mediante l’impiego di coefficienti parziali sulle resistenze. SCHEDA 1.4

VERIFICHE SISMICHE DI STATO LIMITE DI ESERCIZIO 1. Determinazione del valore caratteristico dell'azione di calcolo Fk valutato con la combinazione sismica. 2. Calcolo dell'effetto delle azioni:

(ad esempio: cedimento totale o differenziale, spostamento orizzontale,...) 3. Definizione del valore limite dell’effetto delle azioni:

in funzione delle caratteristiche e della destinazione della struttura. 4. Verifica

Analogamente a quanto indicato per le verifiche statiche, le verifiche sismiche in condizioni di esercizio sono condotte in relazione agli effetti delle azioni agenti (Scheda 1.4). In particolare, la funzionalità della struttura deve essere garantita a seguito di eventi meno severi, ma più frequenti, caratteristici degli stati limite di esercizio.

1.6.1 Azione sismica L’approccio prestazionale adottato dalle nuove norme tecniche prevede, come già evidenziato, la considerazione di diversi scenari di stato limite riferiti alle prestazioni complessive della struttura. Nella fattispecie sia l’EC8, sia le NTC18 fanno riferimento a quattro possibili stati limite: due di esercizio (Stato Limite di Operatività, SLO e Stato Limite di Danno, SLD) e due ultimi (Stato Limite di salvaguardia della Vita, SLV e Stato Limite di Collasso, SLC). D’altra parte si precisa che, nel caso di opere e sistemi geotecnici in condizioni sismiche, le norme prevedono che si faccia riferimento esclusivamente allo SLV per le verifiche agli Stati Limite Ultimi, e allo SLD nel caso di verifiche agli Stati Limite di Esercizio. In relazione dello stato limite considerato, l’azione sismica è definita in funzione della probabilità di superamento PVR di un evento sismico avente periodo di ritorno TR, nel periodo di riferimento VR. I valori definiti dalla normativa per la probabilità di eccedenza sono riportati nella Tabella 1.6 (Tabella 3.2.I delle NTC18). Il periodo di riferimento VR è invece ottenibile moltiplicando la vita nominale di progetto VN per il coefficiente d’uso CU dell’opera (definiti in rispettivamente in Tabella 1.7 e Tabella 1.8, corrispondenti alle Tabelle 2.4.I e 2.4.II delle NTC18).

Tabella 1.6 Probabilità di superamento Pvr in funzione dello stato limite considerato (Tabella 3.2.I delle NTC18). Stati Limite Stati limite di esercizio Stati limite ultimi

Pvr : probabilità di superamento nel periodo di riferimento SLO

81%

SLD

63%

SLV

10%

SLC

5%

Fissati il periodo di riferimento e la probabilità di eccedenza è possibile calcolare il periodo di ritorno TR, identificativo dell’azione sismica, assumendo un processo di accadimento degli eventi sismici di tipo Poissoniano:

Per costruzioni con livelli prestazionali ordinari (VN pari a 50 anni) associate ad una classe d’uso II (CU pari a 1), il periodo di riferimento VR sarà pari a 50 anni e, conseguentemente, il periodo di ritorno risultante sarà 50 anni per lo SLD e 475 anni per lo SLV. Le azioni sismiche di progetto sono valutate, in riferimento ad uno specifico periodo di ritorno, a partire dalla pericolosità sismica di base del sito di costruzione. Quest’ultima è definita in condizioni ideali di campo libero su sottosuolo rigido (VS≥800m/s) e con superficie topografica orizzontale, in termini di accelerazione orizzontale massima attesa e di spettro di risposta elastico in accelerazione ad essa associato. Le forme spettrali identificative della pericolosità sismica di base sono funzione di tre parametri di riferimento: – ag accelerazione massima attesa su sito rigido e superficie topografica orizzontale; – F0 valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione orizzontale; – TC* valore di riferimento per la determinazione del periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazione

orizzontale. Tabella 1.7 Valori minimi della Vita nominale VN di progetto per i diversi tipi di costruzioni (Tabella 2.4.I delle NTC18). Tipi di costruzioni

Valori minimi di VN (anni)

Costruzioni temporanee e provvisorie

10

Costruzioni con livelli prestazionali ordinari

50

Costruzioni con livelli prestazionali elevati

100

Tabella 1.8 Valori del coefficiente d’uso CU (Tabella 2.4.II delle NTC18).

Tali parametri, ottenuti a partire dall’analisi probabilistica di pericolosità condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Meletti e Montaldo, 2007; Montaldo e Meletti, 2007), sono disponibili nell’Allegato B delle precedenti norme (NTC08) per tutti i nodi del reticolo di riferimento nel quale è suddiviso il territorio nazionale, per 9 prefissati valori del periodo di ritorno. Nel caso in cui il sito considerato non corrisponda ad uno dei nodi del reticolo, è possibile determinare i tre parametri mediante una media pesata dei valori relativi ai nodi della maglia contenente il sito, adottando come peso l’inverso delle distanze. I parametri corrispondenti a periodi di ritorno differenti rispetto ai 9 di riferimento sono invece ottenibili mediante interpolazione logaritmica, come indicato nell’Allegato A delle NTC08. La pericolosità sismica di base deve opportunamente essere modificata per tenere conto delle variazioni che il moto sismico subisce in relazione alle condizioni lito-stratigrafiche e topografiche del sito in oggetto (Lanzo e Silvestri, 1999; Lai et al., 2009). Tali variazioni, identificate come effetti locali, modificano l’azione sismica in termini di ampiezza, contenuto in frequenza e durata. Gli effetti locali sono generalmente suddivisi in fenomeni di amplificazione (o deamplificazione) lito-stratigrafica e topografica. In particolare, la propagazione verticale delle onde in depositi

di terreno eterogenei caratterizzati da diversa impedenza meccanica genera effetti di sito stratigrafici 1D, mentre la presenza di configurazioni geologiche sepolte particolarmente complesse comporta fenomeni di diffrazione e formazione di onde superficiali, inducendo effetti stratigrafici 2D/3D. Infine particolari condizioni topografiche di sito possono indurre fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche. Le variazioni che il segnale sismico subisce in relazione alle caratteristiche del sito possono essere valutate mediante specifiche analisi di risposta sismica locale. Tali analisi permettono di simulare il processo di propagazione del moto sismico, descritto in termini di storia temporale in accelerazione, dal substrato sismico alla superficie, considerando in maniera rigorosa gli effetti locali. Il comportamento del terreno in campo dinamico viene modellato adottando opportune relazioni sforzideformazioni, basate sui parametri geotecnici dei terreni derivanti da specifiche indagini in sito e prove di laboratorio. Naturalmente il presupposto fondamentale è la definizione di un adeguato modello di sottosuolo, capace di cogliere i principali fenomeni amplificativi. Considerando gli scopi del presente manuale si rimanda a testi specifici di dinamica dei terreni per una trattazione esaustiva di tali analisi (Lanzo e Silvestri, 1999; Lai et al., 2009). Di conseguenza nei prossimi capitoli si farà riferimento ai metodi semplificati proposti nelle NTC18 per la valutazione degli effetti locali. Si ritiene comunque opportuno precisare che le analisi di risposta sismica locale costituiscono la via maestra nella definizione dell’input sismico. I metodi semplificati non sono infatti capaci di cogliere i reali fenomeni che inducono le variazioni nel moto sismico di input e ne forniscono solo una stima approssimata mediante i coefficienti di amplificazione. Si basano inoltre sulla definizione di classi di sottosuolo e categorie topografiche e andrebbero quindi applicati a rigore nel caso in cui le caratteristiche del sito in oggetto siano facilmente riconducibili alle categorie identificate dalle norme, come d’altronde precisato al punto 3.2.2 delle NTC18. Il loro utilizzo non è ammesso, ad esempio, nel caso in cui le proprietà meccaniche dei terreni, in termini di velocità di propagazione delle onde di taglio, siano eccessivamente scadenti o nel caso in cui le condizioni morfologiche, superficiali o sepolte, siano particolarmente complesse.

Nei casi in cui sia possibile ricorrere ai metodi semplificati, bisogna comunque considerare l’elevata variabilità che caratterizza i fenomeni di amplificazione (Foti et al., 2018). Siti caratterizzati da condizioni stratigrafiche e topografiche apparentemente simili possono presentare risposte sismiche significativamente differenti. Risulta quindi particolarmente complesso definire dei coefficienti di amplificazione effettivamente rappresentativi di intere categorie. Pertanto, specialmente nel caso di opere di rilevante importanza, è opportuno eseguire analisi specifiche di risposta sismica locale allo scopo di definire adeguatamente l’input sismico. Nell’approccio proposto dalle NTC18, l’influenza degli effetti di sito nella definizione dell’azione sismica viene considerata moltiplicando l’accelerazione di picco al suolo attesa in condizioni di riferimento per un coefficiente di amplificazione, definito come:

dove SS e ST sono i coefficienti che tengono conto, rispettivamente, dei fenomeni di amplificazione stratigrafica e topografica. Il coefficiente SS è definito in relazione ad un sistema di classificazione del sottosuolo basato sulla velocità equivalente di propagazione delle onde di taglio VS,eq del deposito di terreno, ottenibile mediante la seguente relazione:

dove H è la profondità del substrato sismico (formazione caratterizzata da una velocità di propagazione delle onde di taglio non inferiore a 800 m/s), N è il numero di strati, mentre VS,i e hi sono, rispettivamente, la velocità delle onde di taglio e lo spessore di ogni i-esimo strato soprastante il substrato sismico. Va precisato che per depositi di spessore complessivo superiore a 30 m, la VS,eq è definita dal parametro VS,30, corrispondente alla velocità di propagazione equivalente degli strati di terreno fino alla profondità di 30 m.

Il sistema di classificazione prevede cinque differenti categorie di sottosuolo, definite in Tabella 1.9 (Tabella 3.2.II delle NTC18) e rappresentate in Figura 1.16, in relazione al valore di VS,eq e alla profondità del substrato sismico. Le NTC18 suggeriscono, per ogni categoria di sottosuolo, una relazione che permette di valutare il coefficiente SS in funzione dei parametri F0 e ag, caratteristici della pericolosità sismica di base. Le variazioni dovute agli effetti stratigrafici modificano inoltre le forme spettrali. Tale effetto viene considerato mediante l’applicazione di un coefficiente moltiplicativo (CC) al valore di riferimento del periodo di inizio del tratto a velocità costante TC*. Le espressioni relative ai coefficienti SS e CC sono riportate in Tabella 1.10 (Tabella 3.2.IV delle NTC18).

Figura 1.16 Categorie di sottosuolo proposte nelle NTC18. Tabella 1.9 Categorie di sottosuolo che permettono l’utilizzo dell’approccio semplificato (Tabella 3.2.II delle NTC18). Categoria A

Caratteristiche della superficie topografica Ammassi rocciosi affioranti o terreni molto rigidi caratterizzati da valori di velocità delle onde di taglio superiori a 800 m/s, eventualmente comprendenti in

superficie terreni di caratteristiche meccaniche più scadenti con spessore massimo pari a 3 m. B

Rocce tenere e depositi di terreni a grana grossa molto addensati o terreni a grana fina molto consistenti, caratterizzati da un miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di velocità equivalente compresi tra 360 m/s e 800 m/s.

C

Depositi di terreni a grana grossa mediamente addensati o terreni a grana fina mediamente consistenti con profondità del substrato superiori a 30 m, caratterizzati da un miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di velocità equivalente compresi tra 180 m/s e 360 m/s.

D

Depositi di terreni a grana grossa scarsamente addensati o di terreni a grana fina scarsamente consistenti, con profondità del substrato superiori a 30 m, caratterizzati da un miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di velocità equivalente compresi tra 100 e 180 m/s.

E

Terreni con caratteristiche e valori di velocità equivalente riconducibili a quelle definite per le categorie C o D, con profondità del substrato non superiore a 30 m.

Tabella 1.10 Espressioni di SS e CC (Tabella 3.2.IV delle NTC18). Categoria di sottosuolo

SS(1)

CC(2)

A

1,00

1,00

B

1,10 · (TC*)-0,20

C

1,05 · (TC*)-0,33

D

1,25 · (TC*)-0,50

E

1,15 · (TC*)-0,40

(1) g è l’accelerazione di gravità pari a 9,81 m/s2 (2) TC * è espresso in secondi

La dipendenza del coefficiente di amplificazione stratigrafica dai parametri di intensità sismica (Figura 1.17) è dovuta al comportamento sforzi-deformazioni tipico dei terreni in condizioni dinamiche. Infatti, al progredire del livello deformativo indotto da sollecitazioni cicliche, i terreni esibiscono una marcata non-linearità che comporta una riduzione del

modulo di rigidezza a taglio e un conseguente incremento del rapporto di smorzamento. Pertanto depositi di terreno particolarmente deformabili e posti in siti a elevata sismicità sono generalmente caratterizzati da fenomeni di amplificazione moderati. La classe A corrisponde a sottosuoli relativamente rigidi e rappresenta la condizione di riferimento per la definizione dell’azione sismica di base. In questi casi non è previsto alcun fenomeno di amplificazione stratigrafica e di conseguenza i coefficienti di amplificazione per tale classe sono unitari. Per quanto concerne i fenomeni di amplificazione topografica è possibile adottare, in presenza di condizioni superficiali particolarmente semplici, il coefficiente di amplificazione ST definito dalle NTC18. Sono previste quattro differenti categorie topografiche, riportate in tabella 1.11 (Tabella 3.2.III delle NTC18). Per ogni categoria è riportato in Tabella 1.12 (Tabella 3.2.V delle NTC18) il valore massimo di ST. Si noti che la categoria T1 corrisponde alla situazione di riferimento (superficie topografica orizzontale) per la quale non sono attesi fenomeni di amplificazione.

Figura 1.17 Coefficiente di amplificazione stratigrafica suggerito nelle NTC18.

La variabilità spaziale del moto sismico, legata all’ubicazione specifica dell’opera rispetto al rilievo o al pendio, è definita considerando un decremento lineare di ST con l’altezza dalla cresta alla base del rilievo, dove il coefficiente assume valore unitario.

In definitiva l’azione sismica agente sull’opera può essere definita, a partire dalla pericolosità sismica di base, applicando all’accelerazione massima attesa su sito rigido e superficie topografica orizzontale il coefficiente globale di amplificazione, che tiene conto delle condizioni locali stratigrafiche e topografiche:

Tabella 1.11 Categorie topografiche (Tabella 3.2.III delle NTC18). Categoria

Caratteristiche della superficie topografica

T1

Superficie pianeggiante, pendii e rilievi isolati con inclinazione media i ≤ 15°

T2

Pendii con inclinazione media i > 15°

T3

Rilievi con larghezza in cresta molto minore che alla base e inclinazione media 15° ≤ i ≤ 30°

T4

Rilievi con larghezza in cresta molto minore che alla base e inclinazione media i > 30°

Tabella 1.12 Valori massimi di ST (Tabella 3.2.V delle NTC18). Categoria

Ubicazione dell’opera o dell’intervento

ST

T1

-

1,0

T2

In corrispondenza della sommità del pendio

1,2

T3

In corrispondenza della cresta di un rilievo con pendenza media minore o uguale a 30°

1,2

T4

In corrispondenza della cresta di un rilievo con pendenza media maggiore di 30°

1,4

Si ritiene infine opportuno precisare che la stabilità del sito di costruzione in condizioni sismiche deve essere adeguatamente verificata nel caso di terreni suscettibili di liquefazione. L’insorgere di tali fenomeni nei terreni a grana grossa saturi è dovuto all’accumulo di sovrappressioni interstiziali, che si sviluppano in condizioni che possono considerarsi non drenate, per le elevate frequenze che caratterizzano il moto sismico, e che rappresentano la reazione al vincolo cinematico imposto di assenza di variazioni di volume.

Al riguardo, le NTC18 prevedono diversi criteri di omissione della verifica (punto 7.4.3.4.2) in relazione alle caratteristiche del deposito di terreno in oggetto e dell’azione sismica attesa. Nel caso in cui nessuna delle condizioni indicate nei criteri fosse soddisfatta, occorre valutare la possibilità che il fenomeno insorga e le sue eventuali conseguenze. La verifica può essere condotta svolgendo simulazioni numeriche avanzate o adottando metodi semplificati di natura empirica. Tale argomento, per il quale si rimanda a testi specifici (Kramer, 1996; Lai et al., 2009), non è oggetto del presente manuale, per cui in seguito sarà sempre assunto che i terreni oggetto di studio non siano suscettibili di liquefazione.

1.6.2 Metodi pseudostatici I metodi pseudostatici si basano sull’introduzione, nello schema di calcolo statico, di azioni equivalenti che rappresentano, in via semplificata, le azioni inerziali indotte dal moto sismico. Le componenti inerziali sono applicate nel baricentro delle masse soggette al moto sismico, supposto costante nello spazio e nel tempo e quindi identificato da un solo valore di accelerazione. Analogamente a quanto avviene in campo statico con i metodi all’equilibrio limite, i metodi pseudostatici non consentono di valutare gli spostamenti indotti dall’azione sismica, ma consentono solo di verificare la stabilità globale dell’opera. La definizione delle azioni inerziali avviene convenzionalmente mediante l’applicazione di coefficienti sismici orizzontali e verticali (rispettivamente kh e kv) al peso del volume W considerato. Le NTC18 definiscono quindi le forze pseudostatiche come:

I coefficienti sismici sono dati dall’accelerazione rappresentativa dell’azione sismica, normalizzata rispetto all’accelerazione di gravità g. La valutazione dell’accelerazione dovrebbe, a rigore, tenere conto sia delle caratteristiche dell’input sismico, sia delle assunzioni insite nell’applicazione del metodo. Adottare come valore rappresentativo l’accelerazione di picco al suolo potrebbe comportare, in determinate

situazioni, una sovrastima eccessiva delle forze pseudostatiche, vista l’ipotesi di azione sismica costante nel tempo e nello spazio. Nel caso di sistemi duttili, capaci quindi di subire spostamenti limitati senza che vengano compromesse le prestazioni dell’opera, il raggiungimento di una momentanea condizione di instabilità non comporta infatti necessariamente il collasso dell’opera. Le NTC18 permettono, nella definizione dei coefficienti sismici, di considerare le riserve di duttilità del sistema e la natura transitoria del moto sismico applicando un coefficiente riduttivo β all’accelerazione massima attesa. I coefficienti sismici sono quindi definiti come:

dove amax è l’accelerazione massima attesa al sito, determinata mediante specifiche analisi di risposta sismica locale oppure, in assenza di queste, mediante l’Eq. 1.18. Le norme prevedono diversi valori di β in funzione dell’opera da analizzare. Per le verifiche di stabilità di pendii in condizioni sismiche, i valori da adottare per il coefficiente sono funzione della classe di sottosuolo e dell’accelerazione di picco al suolo in condizioni di riferimento su suolo rigido, secondo quanto riportato in Tabella 1.13 (Tabella 7.11.I delle NTC18). Nel caso dei muri di sostegno, fronti di scavo o rilevati il coefficiente è posto pari a 0.38 per le verifiche di stato limite ultimo e 0.47 per le verifiche di stato limite di esercizio. Si noti che nel caso di verifiche a ribaltamento di opere di sostegno, le NTC18 prevedono che il coefficiente riduttivo venga incrementato del 50% (fino ad un valore massimo pari ad 1) per considerare la natura fragile del meccanismo di collasso. Si ritiene opportuno ribadire che l’adozione di tale coefficiente comporta implicitamente l’accettazione di possibili spostamenti permanenti indotti sull’opera dall’azione sismica (Rampello e Callisto, 2008). La riduzione della domanda sismica è quindi vincolata all’effettivo sviluppo di meccanismi duttili nel sistema. Per sistemi fragili è necessario eseguire le

verifiche ipotizzando spostamenti permanenti nulli e, di conseguenza, adottando un coefficiente β unitario. Tabella 1.13 Coefficiente di riduzione dell’accelerazione massima attesa al sito per le verifiche di stabilità dei pendii (Tabella 7.11.I delle NTC18). Categoria di sottosuolo A

B, C, D, E

β

β

0,2 < ag(g) ≤ 0,4

0,30

0,28

0,1 < ag(g) ≤ 0,2

0,27

0,24

ag(g) ≤ 0,1

0,20

0,20

Infine, una trattazione specifica è riservata all’analisi di paratie in condizioni sismiche. In tal caso è possibile in primo luogo trascurare l’azione sismica verticale. In secondo luogo, vista la dimensione verticale di tali opere, è possibile introdurre un ulteriore coefficiente riduttivo dell’accelerazione massima α che tenga conto della asincronia del moto sismico lungo lo sviluppo della paratia. A tale proposito si osserva che l’asincronia del moto dipende fondamentalmente dal rapporto esistente tra l’altezza della paratia e la lunghezza d’onda che caratterizza il moto sismico. Quest’ultima dipende dalla velocità di propagazione delle onde di taglio e dal loro contenuto in frequenza, per cui, considerati i valori di frequenza che normalmente caratterizzano gli eventi sismici, risulta conveniente esprimere la dipendenza del suddetto coefficiente dalla dimensione dell’opera e dalla velocità delle onde di taglio e quindi dalla categoria di sottosuolo (come illustrato in Figura 1.18). Tenuto conto di questo aspetto, la relazione che permette di calcolare il coefficiente sismico orizzontale diviene quindi le seguente:

nella quale il coefficiente β è invece funzione del massimo spostamento permanente (uS) tollerabile dall’opera senza perdita di funzionalità (Figura 1.19).

Si noti che le norme introducono come massimo valore di spostamento tollerabile uS ≤0.005·H. Inoltre nel caso in cui il prodotto α·β risulti inferiore a 0.2 si dovrà assume kh = 0.2·amax/g.

Figura 1.18 Diagramma per la valutazione del coefficiente α. Per sottosuoli di categoria E è possibile fare riferimento alle curve valide per le categorie C o D in relazione alla VS,eq del deposito (Figura 7.11.2 delle NTC18).

Figura 1.19 Diagramma per la valutazione del coefficiente di spostamento β (Figura 7.11.3 delle NTC18).

1.6.3 Cenni relativi alla progettazione prestazionale e alle analisi di interazione terreno-struttura L’approccio di tipo prestazionale si basa sulla valutazione esplicita degli effetti indotti dall’azione sismica (Callisto, 2018). In tale ottica, lo spostamento permanente subito dall’opera deve essere inferiore al valore massimo ammissibile, dipendente dalla tipologia dell’opera, dallo stato limite considerato e dal comportamento del terreno (duttile o meccanicamente instabile). La valutazione degli spostamenti può essere effettuata facendo riferimento a correlazioni empiriche, metodi dinamici semplificati o metodi numerici avanzati. In particolare, gli approcci elencati sono caratterizzati da un grado di complessità crescente, sia di modellazione sia di caratterizzazione geotecnica, ma al contempo da maggiore accuratezza. Di conseguenza la scelta di un determinato metodo di calcolo è vincolata al grado di dettaglio del modello di sottosuolo di riferimento e deve essere definita in base alle finalità dello studio e all’importanza dell’opera. Appare opportuno precisare che nel caso in cui si voglia effettuare la valutazione degli spostamenti mediante metodi dinamici, siano questi semplificati o avanzati, sarà necessario definire l’azione sismica in termini di storie temporali in accelerazione. L’input sismico sarà costituito da accelerogrammi naturali registrati rappresentativi della sismicità del sito, selezionati seguendo le disposizioni riportate al punto 3.2.3.6 delle NTC18 (si faccia riferimento a Lai et al., 2009, per ulteriori dettagli). Nel caso in cui si adottino metodi semplificati, dovranno inoltre essere condotte preliminarmente delle analisi specifiche di risposta sismica locale al fine di considerare le variazioni indotte dagli effetti di sito. Tali effetti sono generalmente valutati in maniera integrata nelle simulazioni numeriche di tipo avanzato. L’approccio dinamico semplificato maggiormente utilizzato fa riferimento al lavoro pioneristico di Newmark (1965), e può essere illustrato con riferimento al comportamento di un blocco rigido poggiante

su un piano scabro (Figura 1.20), soggetto a una storia temporale di accelerazione.

Figura 1.20 Metodo di Newmark (1965).

Le forze agenti sul blocco sono pertanto le forze esterne e le componenti inerziali, mentre la resistenza disponibile è data dalla forza di attrito che si sviluppa all’interfaccia tra il blocco e il piano sul quale esso poggia. Il blocco segue il moto del piano d’appoggio fintanto che le forze agenti non superano la resistenza disponibile lungo la superficie di contatto. Quando tale condizione non è più verificata, si instaura un moto relativo tra blocco e piano di appoggio e il blocco subirà spostamenti permanenti la cui entità è valutabile mediante l’integrazione nel tempo della velocità relativa. L’applicazione del metodo di Newmark prevede la definizione del valore di accelerazione critica (alim), superata la quale inizia il moto relativo. Tale valore dipende solo dalla forza di attrito lungo l’interfaccia ed è quindi una caratteristica intrinseca del sistema, indipendente cioè dall’azione sismica. L’accelerazione critica si ricava variando il coefficiente sismico orizzontale fino al raggiungimento di un coefficiente di sicurezza unitario nei riguardi del meccanismo di traslazione sul piano di posa. Si noti che l’azione sismica verticale agente sull’opera viene generalmente trascurata nello schema di calcolo. Tale ipotesi risulta ragionevole dal momento che il metodo si basa su un’integrazione nel tempo dell’equazione del moto e la differente frequenza che caratterizza la componente verticale e quella orizzontale comporta una loro asincronia.

Il metodo è inoltre generalmente implementato considerando il moto relativo tra blocco e superficie come possibile soltanto in un verso. Tale ipotesi è valida nei casi più ricorrenti nei quali il metodo è applicato, basti ad esempio pensare al caso di un’opera di sostegno che difficilmente subirà spostamenti permanenti verso monte. Di conseguenza sarà necessario applicare la storia temporale in entrambi i versi, non essendo nota a priori la condizione più gravosa e scegliere il valore maggiore tra gli spostamenti calcolati. Va ancora ricordato che sono presenti in letteratura numerose relazioni empiriche per la stima degli spostamenti sismici (Newmark, 1965; Richard e Elms, 1979; Whitman e Liao, 1985; Ambraseys e Menu, 1988; Jibson, 1993; Rampello et al., 2010), utili nelle fasi preliminari di progettazione. Tali correlazioni sono state dedotte per via numerica mediante analisi statistiche degli spostamenti indotti sulla massa instabile, al variare dell’input sismico e dell’accelerazione critica. Si sottolinea che il metodo di Newmark fornisce una stima approssimata degli spostamenti, attendibile solo nel caso in cui i volumi di terreno coinvolti siano modesti e la configurazione geometrica del sistema sia relativamente regolare. L’ipotesi di accelerazione costante nello spazio non è infatti valida nel caso di problemi caratterizzati da masse deformabili di dimensioni significative. Inoltre, per livelli di sismicità elevati, il comportamento del terreno fortemente non lineare non può essere trascurato. In tali situazioni è consigliabile ricorrere ad analisi dinamiche avanzate basate su modelli numerici agli elementi finiti o alle differenze finite. Per quanto una completa trattazione non sia negli scopi del presente manuale (a tal proposito si rimanda a testi specifici, quali: Kramer, 1996; Lai et al., 2009), si è comunque ritenuto opportuno richiamare alcuni aspetti di base dei metodi dinamici avanzati. Tali analisi permettono di simulare il comportamento del sistema costituito dall’opera e dal terreno sottostante, tenendo conto della natura multifase del terreno. Inoltre, la risposta dei terreni sottoposti ad azioni dinamiche è piuttosto complessa e caratterizzata da marcata non linearità, accumulo di deformazioni permanenti, degradazione delle caratteristiche meccaniche e, superata la soglia di deformazione volumetrica,

accoppiamento tra deformazioni di natura volumetrica e deviatorica con conseguente incremento delle sovrappressioni interstiziali. Ad ogni materiale deve essere quindi assegnato un opportuno legame costitutivo capace di simularne il comportamento sforzi-deformazioni in condizioni cicliche. L’affidabilità di tali analisi è dunque fortemente condizionata dal modello geotecnico di riferimento e le proprietà dinamiche dei terreni devono essere definite mediante specifiche prove di laboratorio e indagini in sito. In assenza di una caratterizzazione di dettaglio dei terreni in oggetto, l’utilizzo di metodi dinamici avanzati risulterebbe più attendibile solo in apparenza. La configurazione geometrica del problema è definita mediante griglie di calcolo (mesh), composte da elementi la cui dimensione massima deve essere tale da garantire la corretta propagazione del moto sismico in relazione alle massime lunghezze d’onda presenti. Le condizioni al contorno devono inoltre simulare correttamente l’assorbimento di energia per radiazione delle onde dirette verso le frontiere del modello. Per quanto concerne le analisi finalizzate al dimensionamento strutturale, l’utilizzo di metodi numerici avanzati permette la valutazione rigorosa dei fenomeni di interazione cinematica ed inerziale tra terreno, fondazione e struttura (si veda il Par. 3.1.8). A tal riguardo, le NTC18 (punto 6.2.4.1.3) precisano che, nel caso in cui tali fenomeni siano debitamente considerati, il dimensionamento strutturale dell’opera sarà eseguito facendo riferimento ai valori caratteristici dei parametri geotecnici, amplificando successivamente l’effetto delle azioni con l’adozione dei coefficienti parziali del gruppo A1. La fattorizzazione a monte dei parametri di resistenza del terreno comporterebbe, infatti, un’alterazione dei fenomeni di interazione. Inoltre, le norme prevedono che anche i coefficienti parziali sulle azioni siano assunti unitari (Par. 7.11.1 delle NTC18), giacché un’alterazione delle condizioni di plasticizzazione del terreno dovuta all’applicazione dei coefficienti parziali sui carichi comporterebbe una distribuzione delle tensioni di contatto poco realistica. Il dimensionamento strutturale delle fondazioni andrebbe effettuato considerando a rigore il comportamento dell’intera opera, anche se le NTC18 permettono comunque l’adozione di molteplici strategie per la valutazione delle sollecitazioni trasmesse in fondazione (Par. 7.2.5). A tale

proposito si osserva che, proprio nell’ottica di una progettazione di tipo prestazionale che garantisca un prefissato livello di duttilità della struttura, le sollecitazioni trasmesse in fondazione dovranno rispettare un criterio di gerarchia delle resistenze tra le parti interagenti, ossia tra struttura di fondazione e elementi strutturali a essa connessi (Paulay e Priestley, 1992).

2 Fondazioni dirette

2.1 Generalità Si definisce fondazione la struttura resistente, interposta tra il terreno e la sovrastruttura, che trasferisce al terreno i carichi derivanti dal peso proprio e dalle azioni applicate alla sovrastruttura, con la finalità di ripartirli opportunamente in modo da evitare la rottura del complesso strutturaterreno e da contenere entro limiti accettabili i cedimenti assoluti e differenziali. Si distinguono le fondazioni dirette da quelle profonde. Le prime trasferiscono i carichi al terreno prevalentemente attraverso le tensioni normali di contatto, essendo generalmente trascurabile l’attrito che si sviluppa lungo le superfici laterali. Quando il piano di posa si colloca a profondità modeste, vengono definite anche fondazioni superficiali. Le fondazioni profonde sono quelle che trasferiscono i carichi agli strati di terreno resistenti in profondità, sfruttando anche l’attrito che si sviluppa sulla superficie laterale degli elementi costituenti la struttura di fondazione. Nell’ambito delle fondazioni dirette si realizzano, come noto, schemi puntuali, definiti plinti di fondazione, quando si può fare affidamento su sottosuoli (ammassi rocciosi, sabbie e ghiaie molto dense, argille dure) aventi caratteristiche meccaniche tali da non far temere significativi cedimenti differenziali. Negli altri casi, si adottano schemi continui (travi rovesce, graticci e platee) sia per minimizzare i cedimenti differenziali della sovrastruttura sia per garantire adeguati margini di sicurezza nei confronti del collasso del sistema struttura-terreno, distribuendo i carichi su superfici di contatto maggiori (Figura 2.1). Se i suddetti obiettivi non possono essere raggiunti utilizzando fondazioni dirette, si ricorre a fondazioni profonde (fondazioni su pali o fondazioni a pozzo), discusse nel successivo Capitolo 3.

Il dimensionamento di una fondazione diretta e la determinazione del carico unitario ammissibile che è in grado di trasferire al terreno deve tener conto di diversi aspetti, tra i quali i più rilevanti, da un punto di vista geotecnico, sono senza dubbio i seguenti:

Figura 2.1 Fondazioni dirette: plinti, travi, graticcio e platea (Lancellotta e Calavera, 2016).

– devono essere garantiti adeguati margini di sicurezza nei confronti di possibili meccanismi di collasso del complesso fondazione-terreno (verifiche di stato limite ultimo); – i cedimenti assoluti e differenziali delle fondazioni non devono superare i limiti accettabili per la funzionalità della struttura (verifiche di stato limite di servizio). Ovviamente il progetto delle fondazioni deve tener conto anche di altri aspetti, oltre a quelli succitati, quali per esempio: la resistenza degli elementi strutturali, le limitazioni al grado di fessurazione, la durabilità, la fattibilità e i costi della soluzione, i tempi di esecuzione. Considerando gli obiettivi del presente volume, nel seguito verranno prese in esame solo le verifiche di carattere geotecnico (verifica di capacità portante, verifica a scorrimento e previsione dei cedimenti), sviluppate in accordo con il metodo semiprobabilistico agli stati limite adottato dall’Eurocodice 7 (EC7) e dalle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC18).

2.2 Meccanismi di collasso Se una fondazione diretta viene sottoposta a carichi via via crescenti, osservazioni sperimentali indicano che il raggiungimento del carico limite si può manifestare con uno dei seguenti meccanismi: – la rottura di tipo generale (Figura 2.2a) è caratterizzata dalla localizzazione delle deformazioni e dalla formazione di superfici di scorrimento che, partendo dai bordi della fondazione, si sviluppano fino a raggiungere il piano campagna. Si forma pertanto un meccanismo che, in condizioni di controllo di carico, determina una rottura di tipo fragile, mentre se si opera in controllo di deformazioni, si ottiene una curva carico-cedimento caratterizzata da un valore di picco seguito da valori decrescenti del carico. In tale meccanismo il carico di rottura è definito in modo univoco. – nel punzonamento (Figura 2.2c), il comportamento dell’insieme fondazione-terreno non denuncia un ben definito punto di collasso, perché la fondazione affonda progressivamente per effetto

dell’elevata compressibilità del terreno, senza fenomeni di rifluimento in superficie.

Figura 2.2 Meccanismi di rottura di fondazioni dirette (Vesic, 1973;1975).

– la rottura locale (Figura 2.2b) rappresenta un meccanismo intermedio rispetto ai primi due, con la formazione di superfici di

rottura che si sviluppano al disotto della fondazione, ma senza raggiungere la superficie. La compressibilità del terreno gioca ancora un ruolo importante e la curva carico cedimento rimane di tipo incrudente, senza un ben definito carico di rottura. L’occorrenza di uno dei suddetti meccanismi dipende sia dalle caratteristiche meccaniche del terreno di fondazione, sia dalla configurazione geometrica della fondazione. Generalmente, una fondazione posta su un terreno sabbioso molto addensato arriva a collasso con un meccanismo di rottura generale quando il suo piano di posa è relativamente poco approfondito; può tuttavia migrare verso meccanismi di rottura locale e di rottura per punzonamento all’aumentare della profondità del piano di posa. Viceversa, se la fondazione poggia su un terreno costituito da sabbia molto sciolta, il collasso si manifesta con un meccanismo di rottura per punzonamento, anche se la fondazione è superficiale. In aggiunta alle suddette osservazioni, vanno presi in considerazione eventuali altri vincoli cinematici. Per esempio, nel caso di fondazioni su terreni a grana fine, il collasso in condizioni non drenate (breve termine), per l’assunta incomprimibilità del mezzo (vincolo corrispondente all’assenza di deformazioni di volume), può verificarsi solo con un meccanismo di rottura generale. Stimare il carico di collasso di una fondazione diretta non sarebbe un problema agevole se si volesse tener conto del complesso comportamento del terreno descrivendo l’intera storia di carico; ma se ci si concentra solo sull’analisi delle condizioni presenti all’istante del collasso, assimilando la risposta del terreno a quella di un mezzo plastico ideale (Figura 2.3a), è possibile ricavare soluzioni relativamente semplici, di interesse applicativo, ricorrendo ai teoremi della teoria della plasticità.

Figura 2.3 Legame costitutivo e criterio di rottura di un mezzo plastico ideale in condizioni drenate.

Con il teorema cinematico della plasticità è possibile definire un limite superiore del carico di collasso, mentre con il teorema statico se ne determina il limite inferiore. Naturalmente, nei casi in cui i due valori dovessero coincidere, quella trovata sarebbe la soluzione esatta. Ne consegue che, da un punto di vista teorico, gli approcci convenzionali descritti nel seguito si applicano solo al caso di rottura generale, dal momento che non tengono conto della compressibilità del mezzo. Esistono comunque in letteratura approcci che tengono conto anche di questo aspetto (Vesic, 1973) in modo da analizzare i casi riconducibili a meccanismi di rottura locale o per punzonamento. Va comunque osservato che nei casi in cui tende a prevalere un meccanismo locale o di punzonamento, il ruolo giocato dai cedimenti è talmente rilevante da rendere particolarmente restrittiva, e quindi determinante, l’analisi di stato limite di servizio.

2.3 Capacità portante in condizioni drenate Quando l’applicazione dei carichi in fondazione avviene lentamente consentendo la contestuale dissipazione delle sovrappressioni neutre, l’analisi è effettuata in condizioni drenate. Il terreno viene assimilato ad un mezzo plastico ideale e si assume come criterio di rottura quello di Mohr-Coulomb (Figura 2.3). Se si considera il caso di una fondazione nastriforme, priva di attrito, approfondita rispetto al piano campagna e soggetta ad un carico centrato normale al piano di posa (Figura 2.4), il problema viene analizzato

assumendo che la frontiera del semispazio coincida con il piano di posa e sostituendo la fondazione con una distribuzione di carico costante qlim e il terreno ai lati della fondazione con un sovraccarico equivalente q = γD. Supponendo che in condizioni di collasso si formino al disotto della fondazione due zone in condizioni di equilibrio limite alla Rankine delimitate dai cunei RST e STZ (rispettivamente di spinta attiva e di resistenza passiva) è possibile calcolare i valori della spinta attiva PA e della resistenza passiva PP agenti sulla parete ST:

Figura 2.4 Modellazione di una fondazione nastriforme con carico centrato.

dove KA e KP sono i coefficienti di spinta attiva e di resistenza passiva, funzioni dell’angolo di resistenza al taglio φ′ del terreno. Esprimendo H in funzione della larghezza B della fondazione e dell’angolo di resistenza al taglio φ′ e imponendo PA= PP si ottiene, per il carico unitario limite qlim, la seguente espressione:

dove Nγ, Nc ed Nq sono definiti coefficienti di capacità portante e sono dei coefficienti che dipendono solo dall’angolo di resistenza al taglio φ′ del terreno. Nonostante le approssimazioni del modello soprastante non consentano stime attendibili dei coefficienti di capacità portante, la struttura dell’equazione (2.3) ha validità generale e mette in evidenza la dipendenza della capacità portante da tre contributi: – il peso del terreno all’interno della superficie di scorrimento; – la coesione agente lungo la superficie di scorrimento; – il sovraccarico applicato ai lati della fondazione. Le soluzioni esatte dei coefficienti di capacità portante Nq ed Nc richiedono analisi più approfondite, condotte per la prima volta da Prandtl (1921) che, considerando separatamente i due diversi contributi, ha dimostrato come nel caso di un terreno privo di peso (γ = 0) e con coesione nulla, l’equazione (2.3) si riduca al solo contributo dovuto al sovraccarico:

con il coefficiente di capacità portante Nq dato dalla seguente espressione:

Ipotizzando il terreno privo di peso e la fondazione superficiale (q=0), l’equazione (2.3) si riduce al solo contributo della coesione:

e il valore esatto del coefficiente di capacità portante Nc, ricavato sempre da Prandtl (1921), risulta dato dall’espressione:

Non sono invece disponibili soluzioni esatte per Nγ e quelle riportate in letteratura sono soluzioni approssimate che possono differire tra loro anche per un fattore pari a 2. L’espressione che trova maggior condivisione è quella proposta da Caquot e Kérisel (1953):

alla quale si riferiscono i valori riportati in Tabella 2.1. Tabella 2.1 Coefficienti di capacità portante (Vesic, 1975).

Figura 2.5 Fondazione nastriforme con carico eccentrico, e = M/N.

Si tenga conto che avendo ricavato i diversi coefficienti di capacità portante considerando separatamente i tre contributi (facendo perciò riferimento a meccanismi di rottura diversi tra loro) non sarebbe lecito operare una sovrapposizione degli effetti, come invece è prassi nella pratica corrente. Infine per tener conto di tutti i fattori fin qui trascurati nel ricavare la soluzione (2.3), diversi Autori hanno introdotto dei coefficienti aggiuntivi, che verranno descritti nel seguito, giungendo alla scrittura di un’espressione generale, nota come formula di Brinch-Hansen (1970):

Volendo rimuovere l’ipotesi di carico baricentrico, occorre inoltre introdurre il concetto di base ridotta, definita come la minima superficie rispetto alla quale il carico risulta centrato (Meyerhof, 1953). Nel caso di fondazione nastriforme di larghezza reale BR soggetta ad un carico con eccentricità

, la larghezza di calcolo B da considerare è (Figura 2.5):

mentre per una fondazione rettangolare (Figura 2.6) occorre tener conto dell’eccentricità nelle due direzioni, assumendo per B e L le dimensioni della base ridotta, con la convenzione che B ≤ L.

Infine qualora la fondazione o la base ridotta abbiano forme diverse (Figura 2.7) occorre ricondursi a una fondazione rettangolare equivalente.

Figura 2.6 Fondazione rettangolare con carico eccentrico.

Figura 2.7 Fondazione circolare con carico eccentrico.

Quando si rimuove l’ipotesi di fondazione infinitamente lunga (problema piano nelle deformazioni), occorre introdurre i coefficienti di forma sγ, sc e sq, di valore superiore all’unità, per tener conto del fatto che il meccanismo di rottura passa da piano a tridimensionale. Le espressioni dei coefficienti proposti da Meyerhof (1951) sono:

Se si rimuove l’ipotesi di carico normale al piano di posa, la presenza di una componente di sforzo tangenziale H comporta una riduzione della capacità portante che può essere valutata con i coefficienti correttivi, minori dell’unità, proposti da Vesic (1973):

In aggiunta, in presenza di una componente H tangenziale al piano di posa occorre verificare che non si instauri un meccanismo di rottura per scorrimento lungo il piano di posa, valutando la resistenza del sistema con l’espressione:

che assume implicitamente che all’interfaccia tra terreno e fondazione in calcestruzzo l’angolo di attrito possa assumersi pari all’angolo di resistenza al taglio allo stato critico. Per le fondazioni di edifici l’obliquità dei carichi è modesta e la suddetta verifica viene solitamente omessa; al contrario essa può risultare la verifica più severa per le fondazioni delle opere di sostegno. In tali opere, quando sussiste la necessità di assorbire elevate componenti orizzontali caratterizzate da un verso univoco, può risultare

vantaggioso inclinare la base di fondazione di un angolo α rispetto all’orizzontale (Figura 2.8), riducendo l’obliquità del carico rispetto al piano di posa.

Figura 2.8 Carico limite in presenza di inclinazione del piano campagna e del piano di posa (Vesic, 1975).

In questo caso, oltre a considerare le componenti normale N e tangenziale H al piano di posa, è necessario introdurre i coefficienti correttivi suggeriti da Brinch-Hansen (1970):

Quando la fondazione è inserita in un pendio avente inclinazione ω rispetto all’orizzontale (Figura 2.8), la riduzione del carico limite può essere valutata con i coefficienti correttivi proposti da Brinch-Hansen (1970):

Da un punto di vista teorico, quando la fondazione è posta alla profondità D, il contributo fornito dal terreno ai lati non si riduce al solo peso proprio (come fin qui assunto), ma comprende anche la resistenza al taglio del terreno che si trova al di sopra del piano di posa.

Volendo tener conto di tale contributo, si possono adottare i coefficienti correttivi, maggiori dell’unità, proposti da Brinch-Hansen (1970) e Vesic (1973):

tuttavia bisogna considerare che l’effettiva disponibilità del corrispondente incremento di capacità portante richiede che il terreno al di sopra del piano di posa presenti caratteristiche meccaniche almeno analoghe a quelle del terreno di fondazione. Infine, qualora il livello della falda si trovi ad una quota pari o superiore a quella del piano di posa della fondazione, l’equazione (2.9) fornisce il valore efficace del carico a rottura, a patto di sostituire al peso di volume γ del terreno il peso di volume alleggerito γ' e di prendere in conto il valore efficace del sovraccarico q′ agente ai lati della fondazione.

2.4 Capacità portante in condizioni non drenate Nel caso di fondazioni su terreni a grana fine, per le difficoltà legate alla previsione degli incrementi di pressione neutra, è prassi condurre l’analisi in termini di tensioni totali. Essa viene definita analisi a breve termine e il criterio di rottura assunto per il terreno è quello proposto da Tresca per un materiale puramente coesivo, dotato di una resistenza non drenata τf = cU (Figura 2.9).

Figura 2.9 Legame costitutivo e criterio di rottura di un mezzo plastico ideale in condizioni non drenate.

L’applicazione dei teoremi della plasticità fornisce la soluzione esatta del coefficiente di capacità portante Nc :

e l’equazione (2.9) si modifica nella seguente espressione:

I coefficienti correttivi, che hanno lo stesso significato già illustrato in precedenza, si applicano al solo termine coesivo e sono contraddistinti dall’apice 0 per sottolineare che l’analisi è in condizioni non drenate. Essi possono essere valutati con le seguenti espressioni: – coefficiente di forma (De Beer, 1967; Vesic, 1970):

– coefficiente di inclinazione del carico (Vesic, 1975):

– coefficiente di profondità (Meyerhof, 1951; Skempton, 1951; Brinch Hansen, 1961):

– coefficiente per l’inclinazione della base (Brinch Hansen, 1971):

– coefficiente di inclinazione del piano campagna:

Si noti che, in quest’ultimo caso, occorre aggiungere, all’equazione (2.18), il termine:

L’analisi dei percorsi di sollecitazione conduce alla conclusione che, nel caso di argille tenere o poco consistenti, le condizioni critiche per la stabilità di una fondazione sono quelle iniziali non drenate, da analizzare con la procedura appena descritta. Nel caso di argille dure fessurate vanno invece tenuti presenti due aspetti. La presenza di fessure rende anzitutto poco significativi i valori di resistenza non drenata ottenuti su provini di piccole dimensioni. In aggiunta, i meccanismi di collasso tendono a localizzarsi lungo le discontinuità che, per loro natura, possono consentire un drenaggio anche in tempi relativamente brevi, rendendo così poco attendibile l’assunzione di condizione non drenata. In questi casi è pertanto consigliabile effettuare un’analisi in condizioni drenate, con i parametri di resistenza che competono alle discontinuità.

2.5 Capacità portante in condizioni sismiche Nel caso in cui si debbano eseguire le verifiche di capacità portante di una fondazione diretta in condizioni sismiche, sarà necessario introdurre gli

effetti inerziali sia nella valutazione delle sollecitazioni agenti, sia nel calcolo del carico limite della fondazione. In primo luogo, le componenti inerziali agenti sulla struttura in elevazione comportano un notevole incremento delle azioni in fondazione. Tale effetto deve essere valutato sul modello di calcolo strutturale seguendo le indicazioni riportate nelle NTC18 al punto 7.2.5. La maggiore inclinazione ed eccentricità del carico in fondazione generalmente causano una riduzione di capacità portante. D’altra parte, gli effetti inerziali agiscono anche sul terreno sottostante la fondazione interessato dalla formazione del meccanismo di rottura. Tale fenomeno comporta un incremento delle tensioni tangenziali mobilitate e una conseguente riduzione del carico limite della fondazione. L’effetto inerziale sul volume di terreno può essere valutato, in via semplificata, introducendo degli ulteriori coefficienti correttivi nell’equazione (2.9) proposta da Brinch Hansen (1970). A tal riguardo in letteratura si ritrovano numerosi contributi (si faccia ad esempio riferimento a Cascone e Casablanca, 2016). A mero titolo di esempio, nel seguito si farà riferimento all’approccio proposto da Paolucci e Pecker (1997), che ne forniscono una stima basata sui risultati da loro ottenuti mediante l’applicazione del teorema dell’estremo superiore dell’analisi limite:

dove kh è il coefficiente sismico orizzontale definito al paragrafo 1.6.2 (Eq. 1.21). Si noti che la relazione perde di significato nel caso di azioni sismiche particolarmente severe, tali per cui risulti kh > tan φ'. La valutazione degli spostamenti massimi ammissibili della fondazione è piuttosto complessa. Lo sviluppo di spostamenti differenziali potrebbe infatti comportare danni irreparabili alla sovrastruttura, in termini di funzionalità e sicurezza. Si assume quindi che la risposta del sistema sia fragile e, di conseguenza, si pone unitario il coefficiente β riduttivo dell’azione sismica nell’espressione (1.21). La riduzione di capacità portante dovuta agli effetti inerziali agenti sul terreno è generalmente contenuta, pari al massimo al 15-20%, per valori ragionevoli dell’azione sismica (Paolucci e Pecker, 1997). Le norme vigenti

permettono quindi di trascurarla purché sia assunto un opportuno coefficiente di sicurezza parziale sulla resistenza globale. Si precisa che, in caso di terreni saturi che tendano a sviluppare sovrappressioni interstiziali sotto l’effetto dell’azione sismica, sarà necessario tenere conto di tali sovrappressioni nella valutazione della capacità portante (si vedano ad esempio le relazioni empiriche proposte al Paragrafo 5.4.2). In alternativa è possibile effettuare la verifica in termini di tensioni totali, stimando la resistenza a taglio non drenata delle sabbie in condizioni cicliche sulla base di specifiche prove di laboratorio o mediante correlazioni empiriche con prove in sito analoghe a quelle generalmente utilizzate nell’ambito delle verifiche a liquefazione (per ulteriori riferimenti si veda Lai et al., 2009).

2.6 Verifiche di sicurezza alla luce dell’EC7 e delle NTC18 ed esempi applicativi L’Eurocodice 7 e le NTC18 richiedono che per le fondazioni dirette vengano soddisfatte le verifiche di sicurezza nei confronti degli stati limite ultimi indotti dallo sviluppo di meccanismi di collasso dovuti sia alla mobilitazione della resistenza del terreno (SLU-GEO), sia al raggiungimento della resistenza degli elementi strutturali che compongono la fondazione stessa (SLU-STR). Come si è detto, nel seguito verranno presi in esame solo gli stati limite ultimi di tipo geotecnico. Per le verifiche di tipo geotecnico devono essere presi in considerazione tutti i meccanismi di stato limite ultimo, sia a breve sia a lungo termine. Devono inoltre essere considerati i possibili meccanismi di collasso in presenza di azioni simiche. In aggiunta, nel caso di fondazioni posizionate su o in prossimità di pendii naturali o artificiali deve essere verificata la stabilità globale del pendio con i procedimenti discussi nel Capitolo 5, includendo nelle verifiche le azioni trasmesse dalle fondazioni. Gli stati limite ultimi di tipo geotecnico presi in esame riguardano: – la verifica di capacità portante dell’insieme fondazione-terreno; – la verifica a scorrimento sul piano di posa.

Per ogni stato limite ultimo dev’essere verificata la condizione:

dove Ed rappresenta il valore di progetto dell’azione o dell’effetto dell’azione e Rd il valore di progetto della resistenza del sistema geotecnico, valutata con l’espressione:

dove compare esplicitamente un coefficiente γR che opera direttamente sulla resistenza del sistema. Le verifiche di capacità portante e di scorrimento devono essere effettuate adottando l’approccio progettuale DA2, per il quale è prevista un’unica combinazione di gruppi di coefficienti da adottare sia nelle verifiche strutturali, sia nelle verifiche geotecniche. La stabilità globale del pendio deve invece essere verificata applicando l’approccio DA1-C2 (si veda il Capitolo 5). Le procedure di verifica a SLU-GEO e i gruppi di coefficienti da adottare sono riassunti nelle Schede 2.1 e 2.2 per i casi di fondazioni dirette in condizioni drenate e non drenate. SCHEDA 2.1

FONDAZIONE NASTRIFORME IN CONDIZIONI DRENATE • Verifica di capacità portante e scorrimento (SLU) • Approccio DA2 (A1; M1; R3) Verifica

per ogni combinazione di carico

Calcolo dell'azione (Nd, Hd, Md) - Analisi dei carichi - Combinazione fondamentale SLU

- Coefficienti di sicurezza parziali per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (capacità portante)

- Coefficienti di sicurezza parziali

Calcolo della resistenza Rd (scorrimento) - Coefficienti di sicurezza parziali

SCHEDA 2.2

FONDAZIONE NASTRIFORME IN CONDIZIONI NON DRENATE • Verifica di capacità portante e scorrimento (SLU) in termini di tensioni totali • Approccio DA2 (A1; M1; R3) Verifica

per ogni combinazione di carico

Calcolo dell'azione (Nd, Hd, Md) - Analisi dei carichi - Combinazione fondamentale SLU

- Coefficienti di sicurezza parziali per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (capacità portante)

- Coefficienti di sicurezza parziali

Calcolo della resistenza Rd (scorrimento) - Coefficienti di sicurezza parziali

Per la verifica di capacità portante il valore dell’azione di calcolo Ed è la componente normale al piano di posa Nd del carico agente in fondazione, che dev’essere confrontata con la componente normale della resistenza ultima del sistema fondazione-terreno, per cui la (2.26) diventa:

dove qlim è il carico unitario limite, valutato con i metodi discussi nel paragrafo precedente e con i valori di calcolo dei parametri del terreno, AR è l’area della base ridotta della fondazione. Per la verifica a scorrimento il valore dell’azione di calcolo Ed è la componente parallela al piano di posa Hd del carico risultante in

fondazione, da confrontare con la componente parallela al piano di posa della forza che esprime la resistenza del terreno:

dove δd rappresenta l’angolo di attrito tra fondazione e terreno, che solitamente viene assunto pari al valore di stato critico dell’angolo di resistenza al taglio del terreno. Una trattazione specifica è riservata alle verifiche di stato limite ultimo (SLV) di fondazioni dirette in condizioni sismiche. In tal caso, le azioni agenti sulla fondazione sono quelle derivanti dalla struttura in elevazione definite considerando le componenti inerziali rappresentative dell’azione sismica, mentre le resistenze devono essere valutate tenendo conto dell’effetto dell’inclinazione e dell’eccentricità del carico in fondazione. Al riguardo, si noti che non è noto a priori per quale verso della componente sismica verticale la verifica risulti maggiormente gravosa. Di conseguenza le verifiche di stabilità devono necessariamente essere condotte adottando le sollecitazioni risultanti da entrambi gli schemi di calcolo strutturale, realizzati secondo l’ipotesi di azione agente verso l’alto o verso il basso. SCHEDA 2.3

FONDAZIONE NASTRIFORME IN CONDIZIONI SISMICHE • Verifica di capacità portante e scorrimento (SLU)

Calcolo dell'azione (Nd, Hd, Md) - Analisi dei carichi - Combinazione sismica SLV

- Coefficienti di sicurezza parziali unitari per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (capacità portante)

- Coefficienti di sicurezza parziali

Calcolo della resistenza Rd (scorrimento) - Coefficienti di sicurezza parziali

Per quanto concerne le modalità di verifica, le NTC18 prevedono l’adozione di coefficienti di sicurezza parziali unitari sulle azioni e sui parametri caratteristici dei materiali, che devono quindi essere adottati come valori di progetto. Il coefficiente di sicurezza γR sulla resistenza del sistema è invece definito in base al tipo di verifica ed è posto pari a 2.3 per le verifiche a carico limite e pari a 1.1 per le verifiche a scorrimento. Particolare attenzione è infine posta all’effetto delle azioni inerziali sul volume di terreno potenzialmente interessato dalla rottura per carico limite. Nel caso in cui tale effetto sia esplicitamente considerato nelle verifiche di capacità portante, seguendo ad esempio il succitato approccio proposto da Paolucci e Pecker (1997), il coefficiente γR potrà essere ridotto a 1.8. Le procedure di verifica e i gruppi di coefficienti da adottare sono riassunti nella Scheda 2.3. Esempio 2.1 Nella Figura 2.10 è illustrata la geometria di una fondazione nastriforme poggiante su terreno sabbioso e soggetta a carico verticale eccentrico. Si esegue la verifica a capacità portante seguendo l’approccio progettuale DA2 (A1+M1+R3). Il carico agente sul piano di posa è dato dalle seguenti componenti (riferite al baricentro):

ottenute applicando i coefficienti A1 per le azioni.

Figura 2.10 Fondazione nastriforme.

Il valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio vale (in quanto γφ′ = 1), per cui si ottiene: Nγ = 56.3, Nq = 37.8. L’eccentricità del carico

m impone di

considerare la base ridotta B:

e il sovraccarico a lato della fondazione vale q = γD = 18·1.2 = 21.6 kPa. Il carico limite unitario della fondazione risulta pari a:

La verifica è soddisfatta in quanto Ed = Nd = 528 < 778 = Nlim = Rd. Esempio 2.2 Il plinto rettangolare di dimensioni a = 2 m e b = 3 m, poggiante su una sabbia fine limosa caratterizzata dai parametri indicati nella Figura 2.11,

viene verificato a capacità portante, per un carico di progetto definito dalle seguenti azioni (ridotte al baricentro):

valutate con i coefficienti parziali A1. Nella verifica si considera, ai lati della fondazione, un sovraccarico stabilizzante q = 10 kPa. La doppia eccentricità del carico:

viene tenuta in conto considerando la base ridotta rettangolare (tratteggiata nella figura) di lati:

per cui B = 1.60 m e L = 1.70 m (B ≤ L).

Figura 2.11 Fondazione a plinto con carico eccentrico.

Essendo γφ′ = 1 (M1), ne consegue , con cui si ricavano i coefficienti di capacità portante Nγ= 30.2 e Nq = 23.2. La forma rettangolare della base ridotta e l’inclinazione del carico richiedono la presa in conto dei seguenti coefficienti correttivi:

Il carico limite unitario della fondazione risulta pari a:

La verifica è soddisfatta in quanto Ed = Nd = 820 < 892 = Nlim = Rd Esempio 2.3 Si esegue la verifica a capacità portante, a breve e a lungo termine, di un plinto quadrato, di lato a = 2 m, soggetto ad un’azione verticale eccentrica e fondato su un limo argilloso caratterizzato dai seguenti parametri:

Per la verifica a lungo termine (in condizioni drenate) si prendono in esame due ipotesi riguardo al livello della falda: la prima è che essa non interferisca con la potenziale superficie di rottura, la seconda che possa risalire fino a raggiungere il piano di posa. Il ricoprimento della fondazione viene assunto equivalente ad un sovraccarico laterale q = 15 kPa. L’azione di calcolo (valutata con i coefficienti parziali delle azioni del gruppo A1) ha le seguenti componenti (riferite al baricentro):

Verifica a breve termine (condizioni non drenate) L’eccentricità del carico:

richiede la presa in conto di una area ridotta con lati di lunghezza:

per cui il coefficiente di forma vale:

Adottando l’approccio DA2, il coefficiente parziale per la resistenza a taglio non drenata risulta pari a γcU = 1, ne consegue: CU,d = CU,k = 30 kPa. Il valore di progetto della resistenza si calcola quindi con le seguenti espressioni:

La verifica a breve termine è soddisfatta essendo

Verifica a lungo termine (condizioni drenate) Il valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio, considerando il coefficiente parziale γφ′ = 1.0, vale: . Con questo valore si stimano i coefficienti di capacità portante Nγ = 12.54 e Nq = 11.85. I coefficienti di forma per l’equazione (2.9), relativa alle condizioni drenate, valgono:

Nell’ipotesi che la falda non interferisca con la potenziale superficie di rottura, il valore di calcolo della resistenza risulta:

La verifica è soddisfatta in quanto Ed = Nd = 200 < 508 = Nlim = Rd Nell’ipotesi che il livello della falda possa raggiungere il piano di posa della fondazione, occorre prendere in conto il peso alleggerito del terreno:

Per cui si ottiene:

Anche in questo caso la verifica è soddisfatta. Esempio 2.4 Si esegua la verifica a capacità portante in condizioni sismiche della fondazione nastriforme riportata in Figura 2.10. L’opera è sita nel Comune di Torino, caratterizzato da un’accelerazione di picco su suolo rigido pari a: ag = 0.055 g e da un fattore F0 = 2.760 (per un periodo di ritorno dell’azione sismica di 475 anni). Inoltre la fondazione è posta su sottosuolo di classe B e su superficie topografica orizzontale. Il carico di progetto agente sul piano di posa è dato dalle seguenti componenti (riferite al baricentro):

valutate adottando coefficienti parziali unitari sulle azioni ed introducendo le azioni sismiche pertinenti allo SLV nello schema di calcolo strutturale. Il sovraccarico laterale, analogamente a nell’Esempio 2.1, vale q = γD = 18·1.2 = 21.6 kPa.

quanto

ottenuto

Poiché γφ′ = 1, il valore di progetto dell’angolo di resistenza a taglio è pari a: , da cui si ottiene: Nγ = 56.3, Nq = 37.8.

L’eccentricità del carico

deve essere

tenuta in conto considerando la base ridotta B:

La verifica può essere condotta valutando esplicitamente la riduzione del carico limite dovuta agli effetti inerziali agenti sul volume di terreno sottostante la fondazione, o trascurando tali effetti. Il coefficiente riduttivo da applicare alle resistenze dipende dalla scelta effettuata. Valutazione esplicita degli effetti inerziali Per poter valutare l’accelerazione massima agente in fondazione è necessario tenere conto delle condizioni stratigrafiche e topografiche locali. Poiché la fondazione è posta su superficie orizzontale, il coefficiente di amplificazione topografica vale: ST = 1. Il coefficiente di amplificazione stratigrafica per sottosuolo di categoria B è invece valutabile come:

L’accelerazione massima vale quindi:

da cui si ottiene il coefficiente sismico orizzontale

Gli effetti inerziali possono essere considerati adottando i seguenti coefficienti correttivi:

L’inclinazione del carico richiede invece che vengano presi in conto i seguenti coefficienti correttivi:

dove m = 2. Il carico limite unitario della fondazione è quindi pari a:

La verifica è soddisfatta essendo:

Omissione del calcolo degli effetti inerziali Nel caso in cui si decida di trascurare gli effetti inerziali agenti sul volume di terreno, sarà comunque necessario tenere in conto la riduzione di capacità portante dovuta all’inclinazione del carico. Il carico limite unitario è quindi:

Adottando il coefficiente parziale riduttivo della resistenza, il carico limite di progetto risulta pari a:

Anche in questo caso la verifica è soddisfatta.

2.7 Introduzione al calcolo dei cedimenti L’Eurocodice 7 e le NTC18 richiedono che la scelta tipologica e il dimensionamento delle fondazioni siano tali da garantire, oltre ad adeguati margini di sicurezza nei confronti dei possibili stati limite ultimi, la funzionalità della sovrastruttura, limitando i cedimenti assoluti e differenziali delle fondazioni entro valori accettabili. A tale scopo richiedono che il progetto espliciti le prescrizioni relative agli spostamenti compatibili e le prestazioni attese per la struttura in elevazione. Per ciascun stato limite di esercizio deve essere rispettata la condizione:

dove: Ed è il valore di progetto dell’effetto delle azioni Cd è il prescritto valore limite dell’effetto delle azioni, da stabilire in funzione del comportamento della struttura in elevazione In molti casi questo requisito risulta il più restrittivo nel progetto delle fondazioni dirette. Prima di esaminare per le fondazioni dirette le metodologie volte alla previsione dell’entità dei cedimenti e della loro evoluzione nel tempo, si ritiene utile fare alcune considerazioni di carattere generale. A differenza dello stato limite ultimo, che rappresenta uno scenario che ci si augura rimanga remoto dalla realtà, lo stato limite di servizio rappresenta uno scenario reale, che può verificarsi nel corso della vita utile della struttura.

Pertanto mentre per le analisi a stato limite ultimo il progettista può basarsi su modelli semplici e di immediata applicazione basati sulla teoria della plasticità (purché conservativi), con stime prudenziali dei parametri di resistenza dei materiali e combinazioni sfavorevoli delle azioni, nelle analisi di stato limite di servizio deve fare assunzioni che siano il più possibile aderenti alla realtà. Le difficoltà e le incertezze aumentano significativamente perchè spesso i modelli costitutivi semplificati, impiegati nella pratica corrente, non sono in grado di descrivere in modo appropriato il reale comportamento dei terreni e perchè aspetti normalmente trascurati, come per esempio la natura tridimensionale di molti problemi, possono incidere in modo rilevante. Di conseguenza la previsione del comportamento in esercizio delle strutture può essere condotta seguendo metodologie diverse. Si può ad esempio adottare un modello costitutivo avanzato in grado di cogliere gli aspetti più significativi del comportamento reale del terreno, prendendo in conto l’influenza di fattori come la storia tensionale, il livello tensio-deformativo, i percorsi di carico, con il vantaggio che i parametri sono definiti in modo univoco e non dipendono dal problema in esame. Ciò comporta però una maggior complessità delle analisi, che necessitano di codici di calcolo avanzati e di una particolare esperienza da parte del progettista nella scelta del modello e nella definizione dei parametri. In alternativa si può pensare di utilizzare modelli più semplici, che consentono soluzioni più immediate, ma che richiedono che la stima dei parametri venga fatta in relazione al problema da analizzare, tenendo conto del livello di sforzo, del percorso di carico, delle condizioni di deformazione e di drenaggio che caratterizzano il problema in esame. Tenendo presente che oggetto di questo paragrafo è la previsione dei cedimenti di fondazioni dirette per strutture ricorrenti, per le quali sono richiesti adeguati margini di sicurezza nei confronti dello stato limite ultimo, nel seguito si adotterà il secondo approccio, limitando la trattazione ad alcuni metodi semplificati che sono di uso comune nella pratica professionale. La scelta di questo approccio è confortata dal confronto sistematico effettuato da Burland et al. (1977) tra analisi condotte con modelli

sofisticati e analisi con modelli semplificati, che ha dimostrato che questi ultimi, con un’attenta scelta dei parametri di deformabilità e per questa tipologia di fondazioni, sono comunque in grado di fornire previsioni attendibili. In particolare, per la previsione dei cedimenti di fondazioni su terreni a grana fine si adotta il metodo edometrico (Terzaghi, 1943), mentre per le fondazioni su terreni a grana grossa, dove risulta impossibile il prelievo di campioni indisturbati e la determinazione in laboratorio dei parametri di rigidezza, si fa riferimento a metodi empirici basati sull’impiego diretto dei risultati di prove in sito. In questo caso la scelta del metodo è legata al tipo di prova in sito disponibile e, visto l’elevato numero di tali prove, altrettanto numerose sono le correlazioni presenti in letteratura. Dovendo operare una scelta, verranno illustrati i metodi di Burland e Burbidge (1985), basato sui risultati di prove penetrometriche dinamiche standard (SPT), e di Schmertmann (1970), basato su prove penetrometriche statiche (CPT). Le succitate incertezze e difficoltà permangono e, anzi, aumentano notevolmente nel caso in cui si voglia effettuare una previsione dei cedimenti indotti dall’azione sismica. Tali cedimenti sono causati principalmente dai fenomeni di addensamento caratteristici dei terreni granulari sottoposti a carichi ciclici. Nel caso di una fondazione posta su depositi di terreno saturo, si ha inizialmente un accumulo di sovrappressioni interstiziali, causato dalla rapida applicazione dei carichi ciclici in condizioni non drenate. Il successivo processo di riconsolidazione, che avviene a seguito della dissipazione delle sovrappressioni, comporta lo sviluppo di cedimenti differiti. Viceversa, una fondazione posta su terreni sabbiosi asciutti subisce dei cedimenti immediati per effetto delle deformazioni volumetriche indotte dalle azioni cicliche. A meno dell’impiego di metodi di analisi avanzati, l’entità dei cedimenti sismici è difficilmente valutabile. I metodi semplificati proposti in letteratura (si veda ad esempio Tokimatsu e Seed, 1987) ne permettono soltanto una stima approssimata mediante l’applicazione di correlazioni empiriche basate sui parametri caratteristici della sollecitazione sismica e sui risultati di prove in sito. Nel caso in cui non sia possibile valutare

adeguatamente la risposta deformativa del sistema struttura-terreno, le NTC18 permettono di omettere il calcolo esplicito dei cedimenti. In tal caso la funzionalità della sovrastruttura deve essere garantita mediante la verifica a capacità portante della fondazione, effettuata impiegando le azioni corrispondenti allo SLD e adottando il coefficiente di sicurezza sulla resistenza valido per le verifiche sismiche di stato limite ultimo (si veda il Par. 2.6).

2.7.1 Decorso dei cedimenti nel tempo Si consideri una fondazione di estensione limitata poggiante su un terreno coesivo saturo. L’applicazione di un carico in fondazione determina l’insorgenza di sovrappressioni interstiziali nel terreno e, per la sua bassa conducibilità idraulica, si può assumere che ci si trovi in condizioni non drenate (Figura 2.12). Ne consegue che il cedimento osservato al termine della fase di carico, definito cedimento immediato si, è dovuto a deformazioni di taglio, visto che le deformazioni di volume sono trascurabili per l’assunta incomprimibilità delle fasi. Il processo di dissipazione delle sovrappressioni interstiziali (che convenzionalmente si assume inizi al termine della fase di carico) determina un’evoluzione nel tempo dei cedimenti che può essere prevista con la teoria della consolidazione e l’incremento di cedimento dovuto alla dissipazione delle sovrappressioni interstiziali viene definito cedimento di consolidazione Sc. Al termine del processo di consolidazione, il progressivo incremento del cedimento è dovuto alla natura viscosa del terreno e viene definito cedimento secondario Ss. L’importanza relativa delle tre componenti dipende dalla natura del terreno, dalla geometria del problema e dalla velocità di applicazione del carico. Il cedimento immediato è rilevante (pur rimanendo un’aliquota modesta di quello totale) in argille tenere di media ed elevata plasticità, dove si possono verificare significativi fenomeni di plasticizzazione.

Il cedimento di consolidazione è normalmente l’aliquota di maggior interesse per il progettista, mentre il cedimento secondario può risultare importante nel caso di terreni organici. Nei terreni a grana grossa, considerata la loro elevata permeabilità, la dissipazione delle sovrappressioni è contestuale all’applicazione del carico, che avviene quindi in condizioni drenate. Pertanto non risulta più possibile una distinzione tra cedimento immediato e cedimento di consolidazione, mentre permane la distinzione tra cedimento iniziale e cedimento secondario.

Figura 2.12 Evoluzione dei cedimenti con il tempo.

2.8 Calcolo dei cedimenti di fondazioni su argille e relativi esempi Il procedimento più usato per il calcolo dei cedimenti di fondazioni su argille è il metodo edometrico, proposto da Terzaghi (1943). L’applicazione del metodo prevede i seguenti passi: – si suddivide il banco di terreno compressibile in un conveniente numero di strati aventi spessore iniziale Hi.

– In corrispondenza della mezzeria di ciascuno di tali strati si calcola la tensione efficace geostatica e si definisce, in base ai risultati di prove edometriche, la tensione di preconsolidazione . – In corrispondenza della mezzeria di ogni strato si calcola l’incremento prodotto dall’applicazione del carico unitario netto qN = q − γD trasmesso dalla fondazione. L’ipotesi di far riferimento al carico netto si basa sugli studi di Bjerrum e Eide (1966), i quali, osservando il comportamento di fondazioni compensate, sono giunti alla conclusione che il cedimento nella fase di ricarico è praticamente uguale al rigonfiamento che si ha nella fase di scavo ed essendo di modesta entità lo si trascura. – Si calcola l’accorciamento di ciascuno strato, assumendo che le deformazioni dell’elemento di volume siano esclusivamente monodimensionali (da qui la definizione di metodo edometrico), utilizzando i rapporti o indici di compressibilità RR, CR, Cr, Cc, desunti da prove edometriche. Con questa assunzione, se si indica con Hi l’altezza iniziale di ciascun strato, il suo cedimento è dato dalle relazioni:

oppure:

Ovviamente nel caso in cui la tensione finale non superi la o nel caso di terreno normalconsolidato le espressioni (2.31) e (2.32) si riducono ad un solo termine, relativo rispettivamente al ramo di ricompressione e al ramo di compressione vergine. Il cedimento della fondazione, indicato come cedimento edometrico sed, è dato dalla somma dei contributi ΔHi ottenuti per ciascuno strato. Considerate le semplificazioni introdotte dal procedimento si comprende come la sua affidabilità sia dovuta essenzialmente alle conferme

fornite dall’osservazione del comportamento di strutture reali e all’attendibilità dei parametri di compressibilità forniti dalla prova edometrica. Simons e Som (1970) hanno osservato che nel caso di 9 edifici fondati su argille tenere il rapporto tra cedimento immediato e cedimento totale è risultato pari a 0.10, mentre nel caso di fondazioni su argille consistenti il cedimento immediato è risultato compreso tra il 32 e il 74% del cedimento totale. Dallo studio emergono dunque le seguenti indicazioni: – per fondazioni su argille tenere il cedimento stimato con il metodo edometrico corrisponde al cedimento di consolidazione (sed ≅ sc) e il cedimento immediato è pari al 10% circa di tale valore; – per fondazioni su argille consistenti il cedimento edometrico corrisponde invece al cedimento totale (sed ≅ st) e il cedimento immediato risulta compreso tra 1/3 e 2/3 di tale valore. Si sottolinea infine che i fattori che maggiormente influenzano l’affidabilità del procedimento sono rappresentati dalla stima della tensione di preconsolidazione e dalla corretta valutazione della compressibilità del terreno. Entrambi questi fattori sono fortemente dipendenti dalla qualità del campione e dalle procedure di laboratorio, che devono essere particolarmente curate nel caso di argille leggermente sovraconsolidate e di argille sensitive. Ogni affinamento del modello che dimentichi questi elementi risulta puramente fittizio sul piano dell’utilità pratica. Esempio 2.5 Un plinto quadrato di lato 4 m ha il piano di posa ad una profondità di 1.8 m rispetto al piano campagna (Figura 2.13). Il terreno di fondazione è costituito da argilla moderatamente sovraconsolidata fino alla profondità di 6.6 m, al tetto di uno strato di ghiaie e ciotoli, con il livello della falda a –11 m.

Figura 2.13 Fondazione quadrata su banco argilloso.

Assumendo che l’aliquota di cedimento maggiore sia quella indotta dallo strato argilloso, si trascura il cedimento dovuto allo strato di ghiaie più profondo. Il carico più sfavorevole agente sulla fondazione viene valutato con la combinazione a SLE quasi-permanente e ha una componente verticale pari a 1570 kN. Per lo strato argilloso, sovraconsolidato per fenomeni erosivi, vengono assunti i seguenti parametri caratteristici:

Il banco argilloso viene suddiviso in 6 strati di 80 cm di spessore e in corrispondenza della mezzeria di ogni strato e della verticale baricentrica alla fondazione, si calcolano le grandezze riportate nella Tabella 2.2. L’incremento di tensione ΔσV è stato valutato con riferimento al carico netto trasmesso dalla fondazione:

utilizzando l’abaco nella Figura 2.14. Tabella 2.2 Calcolo dei cedimenti della fondazione.

Figura 2.14 Tensione verticale al disotto dell’asse baricentrico di un’area di carico flessibile (Janbu, Bjerrum e Kjaernsli, 1956).

Per ogni strato si verifica la condizione associato viene calcolato con l’espressione:

, per cui il cedimento

Il cedimento complessivo dovuto allo strato argilloso risulta pari a 21 mm.

2.9 Calcolo dei cedimenti di fondazioni su sabbie e relativi esempi L’impossibilità di prelevare campioni indisturbati fa sì che nel caso dei terreni sabbiosi i metodi di calcolo dei cedimenti siano in larga misura basati sui risultati di prove in sito. La letteratura è in proposito molto ricca, visto che è possibile ritrovare procedimenti basati sull’impiego di quasi tutte le prove in sito, ma dovendo operare una scelta, verranno proposti quei metodi che si basano sui risultati delle prove penetrometriche, dinamiche e statiche, molto diffuse nella pratica professionale nazionale. Si segnala però il fatto che negli ultimi anni, in seguito alla maggior diffusione delle prove geofisiche di tipo sismico (prove cross-hole, downhole, SASW, MASW ecc.) che consentono di determinare i parametri di rigidezza del deposito indisturbato mediante la misura della velocità di propagazione di onde, l’attenzione si è nuovamente rivolta a metodi analitici basati sull’analisi dello stato di sforzo e di deformazione in un semispazio continuo elastico. Per approfondimenti in merito si rimanda al testo di Lancellotta (2012).

2.9.1 Metodo di Burland e Burbidge

Tra i vari metodi proposti in letteratura, quello suggerito da Burland e Burbidge (1985) può considerarsi come uno dei metodi caratterizzati da maggior affidabilità. Si basa sull’assunzione che il cedimento w di una fondazione quadrata e superficiale, fondata su una sabbia normalconsolidata, si possa rappresentare con la seguente espressione:

dove ZI è lo spessore della zona di influenza, all’interno della quale si hanno deformazioni significative, mentre Ic rappresenta un indice di compressibilità. Sulla base di uno studio statistico di oltre 200 casi ben documentati riguardanti il comportamento in esercizio di fondazioni reali, con dimensioni variabili da 0.80 a 135 m di lato, gli Autori hanno correlato l’indice di compressibilità Ic al risultato N di prove penetrometriche dinamiche standard (SPT):

mentre lo spessore della zona di influenza ZI è stato dedotto dallo studio di un certo numero di casi reali, nei quali era stata predisposta un’adeguata strumentazione per rilevare l’andamento dei cedimenti con la profondità. Ne è risultato un legame con la dimensione B della fondazione espresso da:

con B espresso in metri. Sostituendo la (2.34) e la (2.35) nella (2.33), si ottiene l’espressione che fornisce il cedimento di una fondazione quadrata, corrispondente a un carico uniformemente ripartito q' (espresso in kPa) applicato in superficie, su un deposito sabbioso virtualmente normalconsolidato:

con w espresso in millimetri e B in metri.

Se la fondazione è posta a una profondità alla quale corrisponde una tensione geostatica , la compressibilità nel tratto di ricarico viene assunta pari a un terzo del valore corrispondente alla fase di carico e pertanto la relazione che fornisce il cedimento diventa:

Qualora si disponga di evidenze geologiche sulla sovraconsolidazione del deposito, per le considerazioni appena svolte la stessa relazione (2.37) si applica a sabbie sovraconsolidate, con l’avvertenza che, se il valore di q' è inferiore alla tensione di sovraconsolidazione , l’espressione diventa:

mentre se q′ supera la tensione di sovraconsolidazione si modifica in:

Il valore di N che compare nella (2.34) è la media aritmetica dei valori misurati nell’ambito di ZI, nel caso N sia costante o cresca con la profondità. Se invece N diminuisce all’aumentare della profondità, la media va effettuata nell’ambito di una profondità pari a 2B. Nel caso di sabbie fini o sabbie limose sotto falda, si applica la correzione suggerita da Terzaghi e Peck (1948), qualora N sia superiore a 15:

Il valore del cedimento ottenuto dalle formule precedenti può essere corretto per tener conto della forma della fondazione, dello spessore dello strato comprimibile e degli effetti differiti nel tempo. Se la fondazione ha un rapporto delle dimensioni L/B>1 si applica la correzione seguente:

con un valore limite di 1.56 per le fondazioni nastriformi. Se lo spessore H dello strato comprimibile risulta inferiore alla profondità di influenza, il risultato viene corretto tramite il coefficiente:

con la precisazione che il valore di N deve essere stimato con riferimento al solo strato compressibile. I casi esaminati dagli Autori mostrano che anche le fondazioni su terreni sabbiosi presentano una significativa aliquota di cedimento differito nel tempo e suggeriscono di stimare il cedimento corrispondente a un tempo t > 3 anni applicando il seguente fattore:

avendo indicato con R3 l’aliquota di cedimento che si verifica nei primi 3 anni. I valori di R3 e di R valgono, rispettivamente, 0.3 e 0.2 in presenza di carichi statici e 0.7 e 0.8 nel caso di carichi ciclici. L’equazione (2.34) rappresenta il valor medio della distribuzione di frequenza dei cedimenti di tutti i casi esaminati, per cui l’applicazione della (2.37) porta alla stima del valor medio del cedimento atteso, mentre il cedimento massimo può risultare fino a 1.5 volte maggiore. Tali incertezze sono dovute sia all’impossibilità di tener conto attraverso il risultato delle prove penetrometriche dinamiche dei diversi fattori che influenzano la compressibilità delle sabbie sia all’intrinseca variabilità spaziale che caratterizza i depositi sabbiosi. Il metodo appena descritto e la procedura di verifica allo SLE sono richiamati nella Scheda 2.4.

2.9.2 Metodo di Schmertmann Quando si dispone di risultati di prove penetrometriche statiche (CPT), è conveniente fare riferimento al metodo suggerito da Schmertmann (1970). L’Autore assume, sulla base di analisi teoriche non lineari e di misure di spostamenti effettuate a varie profondità in prove su modelli, che la distribuzione delle deformazioni lungo la verticale baricentrica sia simile a quella prevista dalla teoria dell’elasticità. Pertanto la deformazione verticale alla generica profondità z viene assunta pari a:

dove lz è un coefficiente di influenza il cui andamento deriva dalle precedenti considerazioni ed è schematizzato nella Figura 2.15. SCHEDA 2.4

FONDAZIONE RETTANGOLARE SU TERRENO A GRANA GROSSA • Analisi dei cedimenti (SLE) Verifica

per ogni combinazione di carico

Cd : valore limite dell'effetto delle azioni (cedimento) definito in funzione delle caratteristiche e della destinazione

Calcolo dell'azione (Nd, Hd, Md) - Analisi dei carichi - Combinazioni per lo SLE (es.: quasi permanente)

Calcolo del cedimento (effetto delle azioni Ed) - ad es. Metodo di Burland e Burbidge (basato su NSPT)

Il valore del modulo E da inserire nella (2.44) viene correlato al valore della resistenza alla punta qc e viene assunto pari a 2.5 qc nel caso assialsimmetrico e pari a 3.5qc in condizioni di deformazioni piane. Sulla base del profilo della resistenza alla punta qc lo spessore di influenza viene suddiviso in strati di altezza Δzi e l’espressione per il calcolo del cedimento della fondazione diventa:

Figura 2.15 Coefficiente di influenza Iz (Schmertmann et al., 1978).

dove Δq è il carico unitario netto e C1 e C2 sono due coefficienti correttivi che tengono conto della profondità del piano di posa della fondazione e delle deformazioni differite nel tempo:

Il metodo è cautelativo, in quanto la correlazione proposta per la stima del modulo E fornisce valori prudenziali per sabbie normalconsolidate, ma

porta a stime decisamente conservative nel caso di sabbie sovraconsolidate, per le quali il modulo può risultare più elevato anche di un ordine di grandezza. Per questo motivo, qualora si abbiano sufficienti evidenze da far ritenere il deposito sovraconsolidato, l’Autore suggerisce di assumere come cedimento un valore pari alla metà di quello calcolato, osservando che anche tale valutazione rimane ancora cautelativa. Esempio 2.6 In un deposito di sabbia omogenea, con peso di volume γ = 18 kN/m3, sono state eseguite le seguenti prove penetrometriche dinamiche standard (SPT): Profondità (m)

NSPT colpi / 30 cm

4

22

6

24

8

28

10

28

12

32

14

34

16

39

Il piano di posa di una platea rettangolare di lati 16 x 30 m2, si colloca a 5 m di profondità rispetto al piano campagna. La componente verticale del carico in fondazione, valutato con la combinazione a SLE quasi-permanente, vale N = 84500 kN e il livello della falda è a 19 m di profondità. I cedimenti previsti a fine costruzione e al tempo t = 30 anni vengono stimati con il metodo di Burland e Burbidge. La profondità di influenza ZI vale:

e nell’ambito di tale profondità valor medio NAV è pari a:

Si ottiene pertanto:

Per cui il cedimento a fine costruzione vale:

Il cedimento a 30 anni della costruzione, trattandosi di carichi statici, viene stimato con il fattore:

per cui si ottiene:

3 Pali e fondazioni su pali

3.1 Introduzione Negli ultimi decenni l’industria delle costruzioni profonde è stata caratterizzata da considerevoli sviluppi, sia per quanto concerne nuove tecnologie, sia per quanto riguarda i mezzi d’opera. Tale sviluppo è legato all’esigenza sempre più pressante di poter realizzare importanti strutture su aree di scadenti caratteristiche meccaniche, o aree di colmate, e alla necessità di dare adeguate risposte ai problemi posti dalle realizzazioni di strutture di grande altezza in ambiente urbano (Poulos, 2009). In tale ambito, per esempio, sono stati realizzati pali trivellati di diametro superiore a 3 metri e con valori di capacità in servizio anche dell’ordine di 50 MN. Le fondazioni delle strutture di grande altezza comprendono solitamente un elevato numero di pali e si pone così, in fase di progettazione, il problema di prevederne il comportamento di gruppo, sensibilmente diverso da quello del singolo palo, pensato come unità a sè stante, per la marcata interazione esistente tra i pali stessi. Come pure contributi importanti, dovuti ad esempio alla presenza della piastra di collegamento, solitamente trascurati nella progettazione tradizionale, sono stati oggetto di numerosi studi. In parallelo quindi ai suddetti sviluppi tecnologici sono emersi anche nuovi orientamenti nella progettazione delle palificate e, tra questi, va sottolineato l’approccio che prevede l’utilizzo dei pali come riduttori dei cedimenti. Tale approccio costituisce oggi un indirizzo consolidato e una possibilità ammessa dalle norme in materia, ivi comprese le nostre NTC18.

Procedendo comunque con una disamina dei più comuni campi di impiego, va in generale osservato che le fondazioni profonde sono utilizzate quando il ricorso a fondazioni dirette non consente di minimizzare i cedimenti totali e differenziali della sovrastruttura o non garantisce adeguati margini di sicurezza nei confronti del collasso del sistema struttura-terreno. I pali vengono quindi utilizzati per raggiungere il substrato roccioso (Figura 3.1a) o terreni di migliori caratteristiche meccaniche, attraversando strati superficiali più comprimibili o caratterizzati da modesta resistenza e trasferendo il carico in profondità con un funzionamento combinato di attrito laterale e portata di base (Figura 3.1b). Se gli strati di migliori caratteristiche non si ritrovano nell’ambito di profondità ragionevoli, il carico può essere trasmesso anche solo per attrito laterale e, in tal caso, si usa sovente la definizione di “pali sospesi”. La possibilità di mobilitare l’attrito laterale consente inoltre il funzionamento a trazione dei pali (Figura 3.1c), e non mancano esempi di fondazioni su pali in presenza di terreni superficiali che mostrano una tendenza al rigonfiamento per effetto delle variazioni delle condizioni ambientali (Figura 3.1d).

Figura 3.1 Esempi di impiego di pali di fondazione (Vesic, 1977).

Casi ricorrenti di impiego di pali di fondazione sono ancora rappresentati da strutture soggette a forze orizzontali anche di entità considerevole (Figura 3.1e, f), come pure si ricorre all’impiego di pali di fondazione nel caso di strutture off-shore, banchine portuali, interventi di sottofondazione (Figura 3.1g), ponti e viadotti con pile che ricadono in alveo e per le quali si temono fenomeni di erosione localizzata (Figura 3.1h).

3.2 Tipologie costruttive Molteplici sono i tipi di palo realizzabili, basti solo pensare che in termini di diametro si spazia da valori di 150-200 mm (micropali) a diametri di 3 m o leggermente superiori (pali trivellati di grande diametro), e diversi sono anche i criteri in base ai quali possono essere classificati. Da un punto di vista geotecnico è rilevante distinguere i pali in base alle modalità esecutive, giacché queste ne condizionano in modo significativo il comportamento. Se i pali vengono installati per infissione, senza preventiva creazione di un foro, essi sono convenzionalmente indicati come pali infissi o pali eseguiti senza asportazione di terreno; se vengono installati tramite preventiva esecuzione di un foro, successivamente riempito di calcestruzzo, vengono indicati come pali trivellati o pali eseguiti con asportazione di terreno. I pali infissi possono essere costituiti da elementi prefabbricati oppure possono essere gettati in opera con procedure che prevedono l’infissione di un tubo metallico, successivamente estratto nella fase di getto del calcestruzzo al suo interno. Evitando l’asportazione del terreno, i pali infissi presentano l’ovvio vantaggio di non creare condizioni di scarico tensionale del terreno nell’intorno del foro, come avviene con i pali trivellati. Questi ultimi, a fronte del citato aspetto, consentono la realizzazione di grandi diametri del fusto, di raggiungere quindi elevati valori di capacità e possono essere adottati per ogni tipo di terreno. I suddetti vantaggi, unitamente a quello di non produrre vibrazioni durante l’installazione (come avviene con i pali infissi) hanno motivato l’impiego dei pali trivellati nelle fondazioni di edifici di grande altezza in ambiente urbano, per quanto

la necessità di ricorrere a fanghi bentonitici (o di fluidi additivati con polimeri) per la stabilizzazione del foro in terreni a grana grossa comporti una gestione del cantiere più complessa (per ulteriori dettagli riguardanti gli aspetti tecnologici e costruttivi si faccia riferimento a Miliziano et al., 2019). Recentemente si è diffuso l’utilizzo di pali trivellati ad elica continua (indicati come CFA, continuous-flight auger piles, nella letteratura anglosassone) le cui modalità di esecuzione consentono di combinare alcuni vantaggi delle altre due tipologie. In questo caso i pali vengono realizzati mediante calcestruzzo pompato in fase di estrazione di una trivella elicoidale attraverso un apposito condotto interno alla trivella stessa. Possono solitamente essere realizzati pali di diametro compreso tra 400 e 800 mm, ma non mancano esempi di realizzazione fino a diametri di 1200 mm. Poiché la gabbia di armatura viene inserita nella fase successiva al getto, tramite spinta e vibrazione, il palo può essere armato in genere solo nel primo tratto, per una lunghezza di 12-15 metri, ma con appropriato confezionamento del calcestruzzo e con gabbie sufficientemente rinforzate sono state raggiunte lunghezze fino a 25 m. Le altre numerose varianti tecnologiche proposte dall’industria delle costruzioni possono essere riferite ad una delle suddette categorie per analogia, facendo riferimento agli effetti indotti sul terreno circostante dalle fasi di installazione. Nella scelta della tipologia di palo, i principali aspetti da tener presente sono: – natura dei terreni; – condizioni idro-geologiche del sito (per esempio realizzazioni in alveo fluviale comportano condizionamenti legati ai flussi idrodinamici); – localizzazione del cantiere ed aspetti logistici (per esempio per i pali infissi esistono limitazioni di utilizzo in ambito urbano in relazione alle vibrazioni indotte in fase di infissione del palo stesso); – diametri e lunghezze da realizzare (vedi Tabella 3.1). Tabella 3.1 Tipologie costruttive e dimensioni ricorrenti dei pali di fondazione nei campi di impiego più usuali. Tipologia di palo

Diametro [mm]

Lunghezza massima [m]

Pali infissi

250-600

20-25

Pali trivellati

600-2500

60 +

Pali ad elica continua

300-1000

30 +

φ'−ψ. Inoltre, rispetto al caso statico, risulta più complicata l’individuazione della retta d’azione della componente dinamica. Indicazioni basate sugli studi di Wood (1973) e Veletsos and Younan (1994) porterebbero alla conclusione che se la parete non subisce spostamenti l’incremento di spinta dovuto all’azione sismica:

andrebbe applicato ad H/2. In aggiunta, sempre in queste circostanze (parete che non subisce spostamenti) l’aliquota statica andrebbe calcolata applicando il coefficiente di spinta a riposo Ko e l’aliquota dinamica risulterebbe pari a:

L’applicazione della (4.7) e della (4.8) è subordinata dunque alla possibilità che il muro subisca spostamenti o rotazioni alla base tali da innescare un regime di spinta attiva (Younan e Veletsos, 2000) e in tal caso la retta d’azione della spinta complessiva, calcolata con la (4.7), si collocherebbe a H/3 dalla base del muro (in accordo con quanto indicato dalle NTC18). Le suddette osservazioni possono essere lette anche in un’ottica prestazionale (Rampello et al., 2010), che lega l’applicazione del coefficiente di riduzione β (si ricordi che il coefficiente sismico è pari a kh = β·amax/g) alla duttilità del sistema, ossia alla possibilità che l’opera possa subire spostamenti senza che ne vengano compromesse le prestazioni.

4.3 Verifiche di SLU dei muri di sostegno In base alla terminologia introdotta nel paragrafo 4.1, i muri a gravità sono strutture in pietrame o in calcestruzzo, che risultano stabili in virtù del peso

proprio. Il meccanismo di funzionamento prevede infatti che esse possano riportare in fondazione la spinta sub-orizzontale esercitata dal terreno, componendola con il peso proprio e trasformandola in una forza subverticale, la cui retta d’azione deve intersecare l’area di impronta della fondazione stessa (Figura 4.1a). Le verifiche di sicurezza di tali opere prevedono che sia accertata la sussistenza di adeguati margini di sicurezza tali da impedire l’instaurarsi di meccanismi di collasso per ribaltamento, per scorrimento sul piano di fondazione e per raggiungimento del carico limite del sistema fondazioneterreno. Infine occorre accertare la stabilità del complesso opera-terreno, utilizzando i procedimenti disponibili per l’analisi dei pendii naturali e artificiali, discussi nel Capitolo 5. La Scheda 4.1 riassume i coefficienti di sicurezza parziali suggeriti dalle NTC18 da adoperare nelle suddette verifiche, mettendo in evidenza il seguente aspetto: mentre per il meccanismo di capacità portante, per quello di scorrimento e per quello di ribaltamento viene richiesto che la verifica sia soddisfatta seguendo l’approccio DA2, per quanto concerne la stabilità globale del complesso opera-terreno la verifica dev’essere soddisfatta applicando l’approccio DA1-C2. I suddetti approcci vengono discussi nel dettaglio nei punti seguenti e illustrati successivamente con due esempi applicativi.

4.3.1 Stato limite per scorrimento sul piano di fondazione La verifica nei riguardi dello scorrimento lungo la superficie di contatto tra base della fondazione del muro e terreno è soddisfatta se l'obliquità della risultante risulta inferiore all’attrito che si sviluppa sulla suddetta interfaccia. Tenuto conto delle incertezze insite nella valutazione dei parametri e della spinta attiva, le NTC18 introducono coefficienti di sicurezza da applicarsi, come sintetizzato nella Scheda 4.2, alla resistenza del sistema (approccio DA2). L’azione di progetto Hd è la componente del vettore risultante delle forze in direzione parallela al piano di scorrimento. La resistenza Rd di progetto è il valore della componente parallela al piano di scorrimento della

forza che esprime la resistenza del terreno. L’angolo d’attrito δd che compare nella Scheda 4.2 è l’angolo che caratterizza la resistenza dell’interfaccia fondazione-terreno, condizionata dalle modalità di getto della fondazione stessa. SCHEDA 4.1

OPERE DI SOSTEGNO A GRAVITA' • Verifiche di stato limite ultimo SLU

1. STABILITA' GLOBALE DEL COMPLESSO OPERA-TERRENO: DA1-C2 (A2; M2; R2) (rilevante nel caso di opere inserite in un pendio)

2. CAPACITA' PORTANTE, SCORRIMENTO E RIBALTAMENTO: DA2 (A1; M1: R3)

Si noti inoltre che la resistenza passiva, agente a valle della fondazione del muro, è usualmente trascurata, sia perché in tale zona il terreno è soggetto a cicli di imbibizione ed essiccamento che rendono alquanto incerta la valutazione dei parametri di resistenza, sia perché il terreno, di modesto spessore, può essere facilmente asportato per vari motivi nel corso della vita dell’opera.

4.3.2 Stato limite per raggiungimento del carico limite della fondazione Il termine carico limite o capacità portante di una fondazione diretta indica il valore della forza che, distribuita tramite la struttura di fondazione su una porzione limitata del terreno, determina le condizioni di collasso del sistema fondazione-terreno. La verifica di sicurezza si esegue con le stesse modalità già illustrate per le fondazioni dirette (richiamate comunque nella Scheda 4.2), per cui si rimanda al Capitolo 2 per i relativi dettagli (si vedano in ogni caso gli Esempi 4.1 e 4.2). Si osserva solo che, per le stesse ragioni illustrate per la verifica a scorrimento, il contributo di capacità portante associato al sovraccarico a valle qd viene usualmente trascurato. SCHEDA 4.2

MURI DI SOSTEGNO • Verifica a lungo termine di capacità portante e scorrimento (SLU) • Approccio DA2 (A1; M1; R3) Verifica

per ogni combinazione di carico

Calcolo dell'azione (Nd, Hd, Md) - Coefficienti di sicurezza parziali per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (capacità portante)

- Coefficienti di sicurezza parziali

Calcolo della resistenza Rd (scorrimento) - Coefficienti di sicurezza parziali

SCHEDA 4.3

MURI DI SOSTEGNO • Verifica a ribaltamento (SLU) • Approccio DA2 (A1; M1; R3) Verifica

per ogni combinazione di carico

Calcolo dell'azione Md (momento ribaltante) - Coefficienti di sicurezza parziali per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (momento stabilizzante) - Coefficienti di sicurezza parziali

4.3.3 Stato limite ultimo per ribaltamento Il meccanismo di ribaltamento prevede la rotazione intorno all’estremità di valle della fondazione, che diventa il centro di istantanea rotazione del muro assimilato ad un corpo rigido e l’unico punto di contatto della fondazione con il terreno, giacché al momento del collasso essa si distacca dal terreno in tutti gli altri punti. Necessariamente dunque la reazione del terreno è concentrata in tale punto, per cui tale meccanismo, che trova una sua giustificazione se il muro è fondato su roccia, difficilmente può condizionare il comportamento di un muro fondato su terreno, poiché ben prima che la risultante delle azioni passi per l’estremità di valle della fondazione i carichi unitari in fondazione risultano così elevati da produrre il raggiungimento del collasso per carico limite. Alla luce delle suddette considerazioni si comprende il carattere convenzionale di tale verifica e le NTC18 prescrivono che la verifica sia condotta secondo l’approccio DA2, introducendo il coefficiente di sicurezza da applicarsi alla resistenza del sistema come sintetizzato nella Scheda 4.3.

4.4 Verifiche dei muri di sostegno in condizioni sismiche La presenza di azioni sismiche modifica sostanzialmente le condizioni di stabilità di un’opera di sostegno, incrementando come già visto la spinta esercitata dal cuneo di terreno presente a monte e introducendo le azioni inerziali, proporzionali alla massa dell’opera. Le NTC18 prevedono che le verifiche di stato limite ultimo (SLV) in presenza di azioni sismiche siano condotte adottando coefficienti di

sicurezza unitari sulle azioni e sui parametri dei materiali (come già discusso nel Par. 1.6) e impiegando le resistenze di progetto calcolate mediante i coefficienti parziali riportati in Tabella 4.1. Nelle Schede 4.4 e 4.5 sono sintetizzate le modalità di verifica e per quanto concerne la definizione dei coefficienti sismici si rimanda alle indicazioni fornite nel Par. 1.6.2. Le verifiche devono essere condotte anche nei confronti degli stati limite di esercizio (SLD) al fine di garantire la funzionalità dell’opera a seguito di eventi meno intensi ma più frequenti. L’eventuale raggiungimento dello stato limite di esercizio dell’opera dovrebbe, a rigore, essere verificato mediante il confronto esplicito tra gli effetti indotti dall’azione sismica e gli spostamenti massimi ammissibili. In un’ottica di semplificazione, le NTC18 permettono di condurre le verifiche con un approccio di tipo pseudostatico, introducendo le azioni sismiche corrispondenti allo SLD. In tal caso, particolare attenzione deve essere posta nella scelta del coefficiente β riduttivo dell’azione sismica. Richiamando quanto già evidenziato nel Capitolo 1, tale coefficiente (pari a 0.38 per le verifiche di stato limite ultimo) va assunto pari a 0.47 per le verifiche di stato limite di esercizio. SCHEDA 4.4

MURI DI SOSTEGNO IN CONDIZIONI SISMICHE • Verifica di capacità portante e scorrimento (SLU) Verifica

per ogni combinazione di carico

Calcolo dell'azione (Nd, Hd, Md) - Azione sismica agente su muro e cuneo di terreno (SLV)

- Coefficienti di sicurezza parziali unitari per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (capacità portante)

- Coefficienti di sicurezza parziali

Calcolo della resistenza Rd (scorrimento) - Coefficienti di sicurezza parziali

SCHEDA 4.5

MURI DI SOSTEGNO IN CONDIZIONI SISMICHE • Verifica a ribaltamento (SLU) Verifica

per ogni combinazione di carico

Calcolo dell'azione Md (momento ribaltante) - Azione sismica agente su muro e cuneo di terreno (SLV)

- Coefficienti di sicurezza parziali unitari per le azioni

Calcolo della resistenza Rd (momento stabilizzante) - Coefficienti di sicurezza parziali

Si ritiene opportuno ricordare che l’adozione di tale coefficiente comporta implicitamente l’accettazione di possibili spostamenti permanenti indotti sull’opera dall’azione sismica (Rampello e Callisto, 2008), ossia la riduzione della domanda sismica è vincolata all’effettivo sviluppo di meccanismi duttili nel sistema. Ne consegue che nel caso di meccanismi fragili è necessario eseguire le verifiche ipotizzando spostamenti permanenti nulli e adottare un coefficiente β unitario. Nell’ottica di una progettazione di tipo prestazionale, la valutazione degli spostamenti permanenti indotti dall’azione sismica può essere condotta facendo riferimento a metodi dinamici semplificati, quali il metodo di Newmark. Il metodo prevede la definizione dell’accelerazione critica, in corrispondenza della quale si ha l’attivazione del meccanismo di scorrimento del muro sul piano di posa. Tabella 4.1 Coefficienti parziali γR per le verifiche degli stati limite (SLV) dei muri di sostegno in condizioni sismiche (Tabella 7.11.III delle NTC18). Verifica

Coefficiente parziale γR

Carico limite

1,2

Scorrimento

1,0

Ribaltamento

1,0

Resistenza del terreno a valle

1,2

Tale accelerazione, caratteristica del sistema ed indipendente dall’azione sismica di progetto, può essere valutata come proposto ad esempio da Richards e Elms (1979), utilizzando lo schema di calcolo riportato in Figura 4.9. Nello schema le forze agenti sul muro sono rappresentate dal peso proprio del muro (Wb), dalla componente orizzontale inerziale (klim · Wb), dalla spinta attiva agente sul paramento di monte (PAE) e dalla reazione del terreno alla base del muro (R). La componente inerziale verticale viene invece trascurata. Imponendo le condizioni di equilibrio alla traslazione orizzontale e verticale dell’opera di sostegno è possibile ottenere la seguente relazione per il calcolo dell’accelerazione critica (Richard e Elms, 1979):

nella quale δb è l’angolo di attrito alla base del muro e δ è l’angolo di attrito muro-terreno in corrispondenza del paramento di monte. Si noti che nella suddetta formulazione l’accelerazione critica appare sia al primo, sia al secondo membro, giacché la spinta attiva è anch’essa dipendente dall’accelerazione critica. Di conseguenza la soluzione della (4.12) comporta un processo iterativo. Gli spostamenti indotti dall’azione sismica devono poi essere confrontati con un valore limite di spostamento ammissibile che garantisca adeguati margini di sicurezza in relazione allo stato limite considerato. Facendo riferimento a quanto suggerito dal gruppo di lavoro PIANC (Permanent International Association for Navigation Congresses, 2001) è possibile definire quattro differenti livelli di danno di opere di sostegno in relazione al valore di spostamento permanente indotto u, normalizzato in funzione dell’altezza dell’opera H (Tabella 4.2). In alternativa è possibile considerare i valori limite definiti da Huang et al. (2009) sulla base dei risultati di prove sperimentali su tavola vibrante e simulazioni numeriche effettuate su modelli di muri a mensola e a gravità.

Gli Autori individuano un campo di valori di u/H pari a 2-5%, corrispondenti a una transizione da spostamenti moderati dell’opera a spostamenti capaci di innescare un meccanismo di collasso.

Figura 4.9 Metodo di Richards e Elms. Tabella 4.2 Spostamenti permanenti indotti in relazione al livello di danno raggiunto (modificata da PIANC, 2001). Livello di danno I – Ammissibile

Spostamento normalizzato u/H (%) 10

Esempio 4.1 La Figura 4.10 riporta la sezione di un muro a gravità e si suppone di voler effettuare le verifiche allo scorrimento, di capacità portante e al ribaltamento (come riassunto nelle Schede 4.2 e 4.3).

Figura 4.10 Verifica di un muro di sostegno.

Verifica allo scorrimento Il valore caratteristico dell’angolo di resistenza al taglio dello strato di limo sabbioso è pari a 32°. Il corrispondente valore di calcolo è sempre pari a 32°, essendo il coefficiente parziale γφ′ = 1.0. Assunto per l’attrito tra parete e terreno un valore

,

si ricava un coefficiente di spinta attiva KA = 0.275 (utilizzando l’espressione 4.3) e pertanto la spinta attiva è pari a

Le componenti orizzontale e verticale valgono rispettivamente

Il terreno di fondazione (sabbia e ghiaia) è caratterizzato da un valore caratteristico dell’angolo di resistenza al taglio , al quale corrisponde un valore di calcolo , e da un peso nell’unità di volume γ = 19kN/m3. Se per l’interfaccia fondazione-terreno si assume un angolo di attrito , la resistenza allo scorrimento (tenendo conto del peso W del muro, si vedano al riguardo i calcoli riportati nella Tabella 4.3) risulta data da

Tabella 4.3 Calcolo del peso proprio del muro e del momento stabilizzante (γcls = 24 kN/m3).

e la verifica allo scorrimento risulta soddisfatta in quanto

Verifica di capacità portante Trascurando cautelativamente il contributo del sovraccarico a valle della fondazione, l’espressione del carico limite si riduce alla seguente

nella quale BR, Nγ, iγ rappresentano rispettivamente la larghezza della fondazione ridotta, il coefficiente di capacità portante e il coefficiente

correttivo che tiene conto dell’inclinazione della risultante dei carichi. Per la verifica nella condizione che rende massima l’eccentricità della risultante e la sua obliquità rispetto alla normale al piano di fondazione, la combinazione più gravosa si ottiene applicando un coefficiente parziale unitario al peso proprio del muro, un coefficiente pari a 1.3 all’aliquota di spinta attiva derivante dal peso proprio del terreno e un coefficiente pari a 1.5 all’aliquota derivante dal sovraccarico. Indicando con MAd il momento della spinta attiva rispetto all’estremità di valle della fondazione e con MS il momento dovuto al peso proprio del muro (si vedano i dettagli dei calcoli riportati nella Tabella 4.3), l’eccentricità del carico trasmesso in fondazione vale:

si ottiene

Il valore di calcolo del carico limite risulta dunque

ed essendo tale valore maggiore dell’azione di calcolo Nd = 1309 kN/m la verifica di capacità portante risulta soddisfatta. Verifica a ribaltamento

L’azione di calcolo è in tal caso rappresentata dal momento della spinta attiva rispetto all’estremità di valle della fondazione MAd, pari a

La resistenza è invece data dal momento dovuto al peso proprio del muro MS precedentemente calcolato, il cui valore di calcolo è pari a

pertanto anche la verifica a ribaltamento risulta soddisfatta. Esempio 4.2 La Figura 4.11 riporta la sezione di un muro a mensola. Il valore di calcolo dello strato di sabbia fine è pari a , mentre il terreno di fondazione è caratterizzato da un valore caratteristico dell’angolo di resistenza al taglio , al quale corrisponde un valore di calcolo . Presa in esame la sezione virtuale AB, sulla quale è lecito pensare che si abbia il regime di sforzi previsto dalla teoria di Rankine, utilizzando l’espressione (4.4) si ottiene KA = 0.299 e quindi

Si ricorda che, in base all’ipotesi introdotta, i piani verticali e quelli paralleli al piano campagna sono piani coniugati, e il vettore PAd è parallelo al piano campagna. Le componenti verticale e orizzontale della spinta valgono pertanto

Figura 4.11 Verifica di un muro a mensola secondo l’approccio DA2.

Verifica allo scorrimento Il peso complessivo del muro e del terreno che insiste sulla suola di fondazione è pari a 101.1 kN/m (si vedano i dettagli del calcolo riportati nella sottostante Tabella 4.4), per cui, assumendo come valore di calcolo dell’angolo di attrito dell’interfaccia fondazione-terreno , la resistenza allo scorrimento risulta pari a

ed essendo tale valore maggiore dell’azione di calcolo Hd = 46 kN/m la verifica risulta soddisfatta. Verifica di capacità portante

Trascurando come già osservato nell’esempio precedente il contributo del sovraccarico a valle della fondazione, l’espressione del carico limite unitario si riduce alla seguente

nella quale BR, Nγ, iγ rappresentano rispettivamente la larghezza della fondazione ridotta, il coefficiente di capacità portante e il coefficiente correttivo che tiene conto dell’inclinazione della risultante dei carichi. Effettuando la verifica nella condizione che rende massima l’eccentricità della risultante e la sua obliquità rispetto alla normale al piano di fondazione, la combinazione più gravosa si ottiene applicando un coefficiente parziale unitario al peso proprio del muro e del terreno che grava sulla suola di fondazione, e un coefficiente pari a 1.3 alla spinta attiva. Se si indica con MAd il momento della spinta attiva rispetto all’estremità di valle della fondazione e con MS il momento dovuto al peso proprio del muro e al peso del terreno che insiste sulla suola di fondazione (si veda la Tabella 4.4), l’eccentricità del carico trasmesso in fondazione vale

Si ricava pertanto BR = B − 2e = 1.24 m ed essendo Nγ = 56.31 e

in definitiva, ipotizzando per il terreno di fondazione γ = 19 kN/m3, si ottiene

Il valore di calcolo del carico limite risulta dunque

ed essendo tale valore maggiore dell’azione di calcolo Nd = 109kN/m la verifica di capacità portante risulta soddisfatta. Tabella 4.4 Calcolo del peso dei vari elementi e del momento stabilizzante (γcls = 25kN/m3).

Verifica a ribaltamento L’azione di calcolo è data dal momento della spinta attiva rispetto all’estremità di valle della fondazione MAd, pari a

La resistenza è invece data dal momento dovuto al peso proprio del muro MS, il cui valore di calcolo è pari a

pertanto anche la verifica a ribaltamento risulta soddisfatta. Esempio 4.3 Si eseguano le verifiche di stato limite ultimo in condizioni sismiche del muro a mensola riportato nell’esempio precedente. Il sito in oggetto è

ubicato nel Comune di Torino, caratterizzato da un’accelerazione di picco su suolo rigido di riferimento ag = 0.055 g e da un fattore F0 = 2.760 (definiti considerando un periodo di ritorno dell’azione sismica di 475 anni). Inoltre il deposito di terreno è identificabile come sottosuolo di classe C e la superficie topografica è orizzontale. I coefficienti parziali da adottare sulle azioni e sui materiali per le verifiche sismiche sono unitari (come riassunto nelle Scheda 4.4 e 4.5). Pertanto risulta per il terreno a tergo del muro e per il terreno al di sotto della fondazione. Poiché la fondazione è posta su superficie di riferimento orizzontale, il coefficiente di amplificazione topografica sarà pari a: ST = 1. Il coefficiente di amplificazione stratigrafica è invece valutabile come:

L’accelerazione massima vale quindi:

Il coefficiente sismico orizzontale può essere calcolato, facendo riferimento a quanto prescritto dalle NTC18, come

Il coefficiente verticale è invece pari a

Non è noto a priori quale sia il verso dell’azione sismica verticale per il quale le verifiche siano più gravose. Inoltre la scelta del coefficiente β è vincolata allo sviluppo di possibili meccanismi duttili. Le norme suggeriscono un valore di 0.38 per le verifiche a scorrimento e di capacità portante.

Nel caso di verifica a capacità portante e scorrimento si ottengono quindi i seguenti coefficienti sismici:

La spinta attiva in condizioni sismiche agente sulla sezione virtuale AB viene calcolata, applicando il metodo di Mononobe-Okabe (si veda il Par. 4.2.3), secondo le due ipotesi differenti di componente sismica verticale agente verso l’alto (PAE–) e verso il basso (PAE+). Nello specifico, per quanto concerne le verifiche di capacità portante e scorrimento sotto l’ipotesi di componente verticale agente verso il basso, l’obliquità delle forze di volume in condizioni sismiche risulta:

Analogamente a quanto previsto in condizioni statiche dalla teoria di Rankine, si considerano i piani verticali e quelli paralleli al pendio come coniugati e la spinta attiva parallela al piano campagna, pertanto δ = i = 10°. Mediante l’Eq. (4.8) si calcola quindi il coefficiente di spinta attiva in condizioni sismiche

La spinta attiva in condizioni sismiche vale quindi

Analogamente si procede nel caso di azione verticale agente verso l’alto e per la verifica a ribaltamento, per la quale le norme prevedono un incremento del coefficiente β del 50% dovuto al meccanismo di rottura di tipo fragile. I risultati dei calcoli sono riportati in Tabella 4.5. Tabella 4.5 Calcolo della spinta attiva in condizioni sismiche.

Verifica allo scorrimento Il peso complessivo del muro e del terreno che insiste sulla suola di fondazione è pari a 101.1 kN/m (si vedano i dettagli del calcolo riportati nella Tabella 4.4), mentre il valore di calcolo dell’angolo di attrito dell’interfaccia fondazione-terreno è . Nel caso di azione sismica agente verso il basso la resistenza allo scorrimento risulta pari a

L’azione di calcolo è invece pari a

la verifica risulta quindi soddisfatta. Nel caso di azione sismica agente verso l’alto la resistenza allo scorrimento risulta pari a

L’azione di calcolo risulta

Anche in questo caso la verifica risulta soddisfatta. Verifica di capacità portante L’espressione del carico limite unitario è la seguente

nella quale BR, Nγ, iγ, zγ rappresentano rispettivamente la larghezza della fondazione ridotta, il coefficiente di capacità portante, il coefficiente correttivo che tiene conto dell’inclinazione della risultante dei carichi e il coefficiente correttivo che tiene conto degli effetti inerziali agenti sul volume di terreno interessato dal possibile meccanismo di collasso. Il momento della spinta attiva rispetto all’estremità di valle della fondazione si valuta considerando l’aliquota dovuta all’azione sismica applicata a H/2 e l’aliquota in condizioni statiche applicata a H/3. La spinta attiva in condizioni statiche è pari a

Di conseguenza le aliquote dovute all’azione sismica, sotto le ipotesi di azione verticale verso il basso o verso, sono pari a

Il momento risultante nei due casi vale quindi

Indicando con MW,v il momento dovuto al peso proprio del muro e al peso del terreno che insiste sulla suola di fondazione (calcolato considerando la componente verticale dell’azione sismica) e con MW,h il momento dovuto alla componente orizzontale dell’azione sismica agente sul muro e sul terreno che insiste sulla suola (si veda la Tabella 4.6), l’eccentricità del carico trasmesso in fondazione per i due casi di azione sismica verso il basso e verso l’alto risulta

dove

Si ricava pertanto

I coefficienti correttivi per l’inclinazione del carico valgono

mentre i coefficienti per gli effetti inerziali sono

ed essendo Nγ = 56.31 si ottiene

Il valore di calcolo del carico limite per i due casi considerati risulta dunque

ed essendo l’azione di progetto pari a

la verifica di capacità portante risulta soddisfatta. Tabella 4.6 Calcolo del peso dei vari elementi e dei momenti in condizioni sismiche (scorrimento e capacità portante).

Verifica a ribaltamento Il momento della spinta attiva rispetto all’estremità di valle della fondazione nel caso di azione sismica verso il basso e verso l’alto è rispettivamente pari a

Indicando con MW,h il momento dovuto alla componente orizzontale dell’azione sismica agente sul muro e sul terreno che insiste sulla suola di fondazione (si veda la Tabella 4.7), l’azione di calcolo può essere calcolata come

La resistenza è invece data dal momento dovuto al peso proprio del muro e del terreno, calcolato considerando le forze d’inerzia agenti in

direzione verticale. Il valore di calcolo nelle due ipotesi di azione sismica agente verso il basso e verso l’alto è pari, rispettivamente, a

pertanto anche la verifica a ribaltamento risulta soddisfatta. Tabella 4.7 Calcolo del peso dei vari elementi e dei momenti in condizioni sismiche (ribaltamento).

Si ipotizzi ora di dover eseguire le verifica di capacità portante per un muro a mensola analogo al precedente ma ubicato nel Comune di Palermo. Si effettua la verifica nell’ipotesi di azione sismica verticale agente verso l’alto, condizione che rende massima l’eccentricità e l’obliquità del carico agente in fondazione. Il sito è caratterizzato da un’accelerazione di picco su suolo rigido di riferimento ag = 0.177 g e da un fattore F0 = 2.377 (TR pari a 475 anni). Il coefficiente di amplificazione stratigrafica (sottosuolo di classe C) è pari a 1.45, pertanto amax = SS · ST · ag = 0.256 g. L’azione sismica di progetto è quindi pari a

Il momento dovuto alla spinta attiva è pari a

Per cui l’eccentricità del carico trasmesso in fondazione risulta

Si ricava pertanto

I coefficienti correttivi valgono

ed essendo Nγ = 56.31 si ottiene qlim = 53.7 kPa. Il valore di calcolo del carico limite risulta dunque

ed essendo l’azione di progetto pari a

la verifica di capacità portante non risulta soddisfatta. In tal caso sarà necessario procedere a un nuovo dimensionamento della fondazione al fine di ottenere un valore di carico limite superiore all’azione di progetto anche in condizioni sismiche. Appare quindi evidente come la verifiche sismiche possano o meno risultare più

gravose rispetto le verifiche di SLU in condizioni statiche, in relazione alla pericolosità sismica del sito in oggetto. Esempio 4.4 Si esegua la verifica a scorrimento del muro rappresentato in Figura 4.10 mediante il metodo dinamico semplificato di Newmark. Il sito nel quale l’opera sarà realizzata è Atina (FR), caratterizzato da ag = 0.254 g. Inoltre il deposito di terreno è classificabile come sottosuolo di categoria B. Come prescritto dalle NTC18 la verifica deve essere condotta adottando coefficienti parziali unitari sulle azioni e sulle resistenze. D’altra parte, la combinazione sismica da adottare per valutare le sollecitazioni agenti sull’opera (1.14) prevede l’applicazione del coefficiente ψ21 (Tabella 1.1) al sovraccarico variabile q. Ipotizzando che tale azione si riferisca ad un carico di Categoria F, si ottiene un coefficiente di combinazione pari a 0.6. Il metodo prevede innanzitutto la definizione del valore di accelerazione limite superato il quale l’opera accumula spostamenti permanenti. Tale valore è determinabile mediante la relazione (4.12) proposta da Richards e Elms (1979). Nella relazione l’accelerazione limite dipende dalla spinta attiva agente sul paramento di monte in condizioni sismiche (definita mediante la relazione (4.8) di Mononobe-Okabe sotto l’ipotesi di kv = 0), che a sua volta dipende dall’accelerazione limite stessa. Di conseguenza è necessario instaurare un processo iterativo ipotizzando una alim di partenza e calcolando la alim corrispondente alla condizione di moto incipiente. 1° Iterazione: si ipotizza alim = alim1 = 0.200 g, da cui risulta KAE = 0.424. La spinta attiva è quindi pari a

Assumendo come angolo di attrito dell’interfaccia fondazione-terreno e per l’attrito tra parete e terreno un valore , si ottiene un valore di accelerazione limite di

Dal momento che alim1 ≠ alim, risulta necessario procedere con le iterazioni. Alla 4° iterazione si raggiunge il seguente risultato: alim4 = alim = 0.275 g, con i valori KAE = 0.503 e PAE = 745 kN/m. Per procedere con la valutazione degli spostamenti mediante il metodo di Newmark è necessario definire l’azione sismica di progetto. Tale azione consiste in sette storie temporali in accelerazione, selezionate in modo da essere compatibili con la sismicità attesa in sito secondo quanto prescritto dalle NTC18 (punto 3.2.3.6). Gli accelerogrammi così selezionati sono poi sottoposti ad una preliminare analisi di risposta sismica locale al fine di considerare gli effetti di amplificazione specifici del sito in oggetto. Visti gli scopi del presente manuale, le succitate operazioni non saranno descritte nel dettaglio (si faccia riferimento a Lai et al., 2009). Le storie temporali in accelerazione possono quindi essere applicate alla base del blocco rigido, che accumula spostamenti permanenti ogniqualvolta l’accelerazione alla base agente verso valle supera l’accelerazione limite. Ogni accelerogramma deve essere applicato in entrambi i versi, non essendo noto a priori quale di questi sia il più gravoso. In Figura 4.12 sono riportati, per l’accelerogramma che provoca spostamenti permanenti maggiori (applicato in entrambi i versi), i risultati espressi in termini di storia temporale in accelerazione applicata alla base del blocco, di velocità relativa tra blocco e superficie e di spostamento relativo tra blocco e superficie.

In Figura 4.13 sono invece rappresentati gli spostamenti permanenti ottenuti per i sette accelerogrammi considerando per ognuno entrambi i versi di applicazione. Facendo riferimento al valore medio di spostamento permanente ottenuto (dmedio = 0.27 cm) si ottiene uno spostamento normalizzato pari a

che deve essere confrontato con lo spostamento massimo ammissibile. Facendo riferimento ai valori suggeriti da PIANC (2001) e riportati in Tabella 4.2 è possibile affermare che il potenziale livello di danno raggiungibile dall’opera in condizioni sismiche è il Livello I (Ammissibile). Le prestazioni del muro in condizioni sismiche sono pertanto coerenti con lo stato limite di riferimento e la verifica risulta quindi soddisfatta.

Figura 4.12 Applicazione del metodo di Newmark.

Figura 4.13 Spostamenti permanenti indotti dall’azione sismica.

4.5 Paratie Le NTC18 presentano una riformulazione delle fasi di dimensionamento e verifica delle paratie, in modo da coniugare coerentemente aspetti relativi alle prestazioni dell’opera in presenza di azioni sismiche e aspetti relativi alle massime sollecitazioni attese. La progettazione geotecnica risulta così articolata: (a) dimensionamento e verifiche di sicurezza dell’opera in campo statico, utilizzando i valori di progetto dei parametri geotecnici; (b) verifica delle prestazioni dell’opera in presenza di azioni sismiche, utilizzando i valori caratteristici dei parametri geotecnici; (c) valutazione delle caratteristiche di sollecitazione sulla scorta dell’accelerazione critica, legata agli spostamenti permanenti tollerabili dall’opera.

4.5.1 Criteri di dimensionamento e verifiche in campo statico Il dimensionamento e le verifiche di sicurezza di una paratia devono essere effettuati prendendo in considerazione i meccanismi di collasso legati ai seguenti possibili eventi: – raggiungimento della resistenza del terreno con rotazione intorno ad un punto della paratia stessa; – instabilità globale dell’insieme opera-terreno; – rottura non drenata o sifonamento del fondo dello scavo; – sfilamento di uno o più ancoraggi o collasso per instabilità di uno o più puntoni; – rottura strutturale della paratia – raggiungimento del carico limite verticale. La verifica nei riguardi della stabilità globale dell’insieme paratiaterreno dev’essere effettuata secondo l’approccio DA1-C2 (A2+M2+R2), con il coefficiente γR pari a 1.1. Le rimanenti verifiche devono essere effettuate secondo l’Approccio 1, che prevede l’applicazione di due diverse combinazioni (si vedano le Schede 4.6-4.9): Comb. 1 (A1+M1+R1) e Comb. 2 (A2+M2+R1).

SCHEDA 4.6

PARATIE • Verifiche a lungo termine di SLU (collasso per rotazione intorno ad un punto dell'opera) • Approccio DA1-C1 (A1; M1; R1) Verifica

per ogni combinazione di carico

Azioni di progetto: momenti risultanti delle forze che producono il cinematismo di rotazione attorno ad A

Resistenze di progetto: momenti risultanti delle forze che si oppongono al cinematismo di rotazione

La seconda combinazione (A2+M2+R1), descritta nelle Schede 4.7 e 4.9, è generalmente più gravosa nei confronti del dimensionamento geotecnico e prevede l’amplificazione delle azioni variabili (γQ = 1.3) e la riduzione dei parametri di resistenza al taglio (γφ′ = 1.25), mentre risultano unitari i coefficienti γR sulla resistenza globale del terreno. La prima combinazione (A1+M1+R1) (Schede 4.6 e 4.8) è invece generalmente più gravosa nei riguardi delle verifiche che devono escludere il raggiungimento di condizioni di collasso negli elementi strutturali. In questo secondo caso, lo stato di sollecitazione nella paratia va calcolato utilizzando i valori caratteristici delle azioni e delle resistenze e operando su configurazioni che rispettino equilibrio e compatibilità, sia pure adottando schemi semplificati di interazione paratia-terreno. I coefficienti del gruppo A1 saranno applicati alle caratteristiche di sollecitazione (ossia agli effetti delle azioni), a valle dunque del calcolo di interazione terreno-struttura. SCHEDA 4.7

PARATIE • Verifiche a lungo termine di SLU (collasso per rotazione intorno ad un punto dell'opera) • Approccio DA1-C2 (A2; M2; R1) Verifica

per ogni combinazione di carico

Azioni di progetto: momenti risultanti delle forze che producono il cinematismo di rotazione attorno ad A

Resistenze di progetto: momenti risultanti delle forze che si oppongono al cinematismo di rotazione

La stessa analisi è utilizzata per calcolare l’azione che sollecita gli eventuali tiranti, che sarà anch’essa amplificata, a valle di tale calcolo, utilizzando i coefficienti del gruppo A1 per ottenere il valore di progetto. Per il calcolo della resistenza passiva va osservato che i metodi basati sull’equilibrio limite globale, inquadrabili nell’ambito del teorema cinematico, conducono a stime che rappresentano un limite superiore della soluzione esatta e pertanto sono da considerarsi non cautelative, soprattutto se basate sull’assunzione di superficie di scorrimento piana, come ipotizzato dalla teoria di Coulomb. SCHEDA 4.8

PARATIE • Verifiche a breve termine di SLU (collasso per rotazione intorno ad un punto dell'opera) • Approccio DA1-C1 (A1; M1; R1) Verifica

per ogni combinazione di carico

Azioni di progetto: momenti risultanti delle forze che producono il cinematismo di rotazione attorno ad A

Resistenze di progetto: momenti risultanti delle forze che si oppongono al cinematismo di rotazione

Occorre dunque rifarsi ad analisi riconducibili al teorema statico e utilizzare soluzioni come quella riportata nel seguito (Lancellotta, 2002) e illustrata in Figura 4.14 (per dettagli si veda il volume di Lancellotta, 2012)

nella quale

Per quanto riguarda le azioni esercitate dall’acqua, nel caso delle paratie occorre rifarsi al concetto di “azioni derivanti dalla stessa causa”, in base al quale se le “azioni permanenti” derivanti dalla stessa causa agiscono contemporaneamente in senso favorevole e sfavorevole, si deve far riferimento al valore caratteristico dell’azione risultante (detta anche “azione netta”) e applicare successivamente un unico coefficiente parziale a tale risultante per ottenere l’azione di progetto. SCHEDA 4.9

PARATIE • Verifiche a breve termine di SLU (collasso per rotazione intorno ad un punto dell'opera) • Approccio DA1-C2 (A2; M2; R1) Verifica

per ogni combinazione di carico

Azioni di progetto: momenti risultanti delle forze che producono il cinematismo di rotazione attorno ad A

Resistenze di progetto: momenti risultanti delle forze che si oppongono al cinematismo di rotazione

Operativamente ciò significa calcolare dapprima la distribuzione delle pressioni dell’acqua a monte e a valle della paratia (tenendo conto del moto di filtrazione) e applicare alla spinta risultante così ottenuta il coefficiente parziale che compete alle azioni permanenti: – γF = 1.3 nella combinazione C1, – γF = 1.0 nella combinazione C2.

Figura 4.14 Coefficiente di resistenza passiva (Lancellotta, 2002).

4.5.2 Verifica delle prestazioni in presenza di azioni sismiche La verifica delle prestazioni in presenza di azioni sismiche corrisponde a una esplicita valutazione degli effetti prodotti dal sisma, accertando la compatibilità di tali effetti con lo stato limite considerato. In particolare, nel caso delle paratie (ma più in generale delle strutture di sostegno) si tratta di effettuare una valutazione degli spostamenti residui al termine dell'azione sismica. Tali spostamenti permanenti possono avere come implicazione che in presenza di eventi sismici di elevata intensità l’opera possa danneggiarsi compromettendo la sua funzionalità ma non la capacità di resistere alle azioni post-sismiche. Operativamente, dunque, una impostazione di questo tipo implica accettare che nel corso dell'azione sismica la resistenza del sistema venga mobilitata e che quindi si attivino temporaneamente meccanismi plastici, purché di tipo duttile (Callisto, 2014). E’ pertanto in tale ottica che, come anticipato nelle premesse, le verifiche in presenza di azioni sismiche vanno condotte con coefficienti parziali unitari sulle azioni e sui parametri geotecnici e considerando le variazioni della spinta delle terre a monte e a valle della paratia per effetto dell’accelerazione sismica. A tale proposito, per quanto concerne la valutazione della resistenza passiva, la soluzione (4.13) precedentemente discussa è stata estesa anche al caso in cui siano presenti azioni sismiche (Lancellotta, 2007). Se si indica con ψ l’obliquità che le forze di volume assumono in presenza dell’azione sismica orizzontale (trascurando la componente verticale) per cui

il valore della resistenza passiva (componente orizzontale, normale alla parete verticale della paratia) è dato dalla seguente espressione

nella quale l’angolo i rappresenta l’inclinazione del piano campagna a valle della paratia e il coefficiente di resistenza passiva KPE assume ora l’espressione più generale

La soluzione (4.16) è riportata in Figura 4.15, dove è confrontata con quella ottenuta da Chang (1981), basata sul metodo dell’equilibrio limite globale con superficie di scivolamento curvilinea. In assenza di azioni sismiche (ψ = 0) e con piano campagna orizzontale la (4.17) si riduce naturalmente alla (4.13). Nei metodi pseudostatici, l’azione sismica equivalente, costante nel tempo e nello spazio, viene introdotta mediante il coefficiente sismico kh, funzione dell’accelerazione massima attesa secondo la relazione (1.23). I coefficienti riduttivi α e β, già illustrati nel Capitolo 1, tengono conto rispettivamente il primo (α) della asincronia del moto sismico lungo lo sviluppo della paratia, il secondo (β) della capacità del sistema di dissipare energia durante il moto sismico. E’ importante osservare che il coefficiente β è assunto minore di 1 solo se l’accelerazione massima attesa al sito risulta superiore all’accelerazione critica del sistema e, conseguentemente, la paratia subirà spostamenti di tipo permanente. In questo caso, l’entità degli spostamenti permanenti potrà essere valutata in modo semplificato attraverso il diagramma di Figura 1.16, basato su analisi che hanno utilizzato numerosi accelerogrammi italiani e che assimila gli effetti indotti dal sisma agli spostamenti calcolati sul blocco rigido di Newmark. Il coefficiente di ingresso β può valutarsi come il rapporto tra l’accelerazione critica del sistema e l’accelerazione massima attesa. Naturalmente, se l’accelerazione massima attesa dovesse risultare inferiore all’accelerazione critica (e quindi insufficiente a attivare un meccanismo di rottura), il coefficiente β dev’essere posto pari a 1 e l’accelerazione equivalente da introdurre nei calcoli risulterà pari all’accelerazione massima, a meno del coefficiente α, da applicarsi solo sulla spinta attiva.

Alle considerazioni appena svolte va aggiunta quella relativa alla valutazione delle spinte in presenza di pressioni interstiziali. In letteratura è possibile ritrovare varie formulazioni e tra queste quella avanzata da Callisto e Aversa (2008) offre il vantaggio di poter portare in conto questo effetto in modo operativamente semplice, introducendo nelle espressioni dei coefficienti di spinta un valore modificato del coefficiente sismico , ottenuto moltiplicando il coefficiente sismico stesso per il rapporto fra la tensione verticale totale e le tensione verticale efficace

Figura 4.15 Coefficiente di resistenza passiva in presenza di azioni sismiche (Lancellotta, 2007).

SCHEDA 4.10

PARATIE • Verifiche di SLU in condizioni sismiche (collasso per rotazione intorno ad un punto dell'opera)

Verifica

per ogni combinazione di carico

Azioni di progetto: momenti risultanti delle forze che producono il cinematismo di rotazione attorno ad A - Azione sismica agente sui cunei di terreno (SLV)

- Coefficienti di sicurezza parziali unitari per le azioni

Resistenze di progetto: momenti risultanti delle forze che si oppongono al cinematismo di rotazione

In questo modo si ha la possibilità di tener conto anche di eventuali stratificazioni e i coefficienti di spinta vengono a dipendere dalla profondità considerata, anche nel caso di terreno omogeneo. Per quanto concerne infine la valutazione delle caratteristiche di sollecitazione, le NTC18 precisano che anche in questo caso l’analisi

dev’essere effettuata facendo riferimento ai valori caratteristici dei parametri geotecnici e amplificando l’effetto delle azioni mediante l’applicazione dei coefficienti del gruppo A1. Solo adottando i parametri caratteristici dei terreni è infatti possibile, come già detto in precedenza, effettuare un’adeguata valutazione della risposta dinamica del sistema terreno-struttura, che sarebbe invece alterata mediante l’adozione di coefficienti riduttivi dei parametri dei materiali (si veda la Scheda 4.10). Naturalmente lo studio dev’essere svolto attraverso un’analisi di interazione terreno-struttura, sia pure con modalità semplificate ma che tenga conto di una distribuzione delle tensioni di contatto rispettosa delle condizioni di equilibrio e della congruenza (Callisto e Soccodato, 2010; Callisto, 2014; Conti e Viggiani, 2013; Conti et al., 2012, 2014). Esempio 4.5 Con riferimento alla sezione dello scavo illustrata in Figura 4.16, si vuole determinare la lunghezza di infissione della paratia, assumendo come schema di vincolo al piede quello di “free earth support”. L’analisi va condotta in questo caso secondo l’Approccio DA1, adottando entrambe le combinazioni di calcolo. La Combinazione 1 (A1+M1+R1) è generalmente dimensionante nei riguardi delle verifiche strutturali, mentre la seconda (A2+M2+R1) è generalmente più gravosa nei confronti delle verifiche di tipo geotecnico (si vedano le Schede 4.6 e 4.7).

Figura 4.16 Esempio di verifica di una paratia.

Combinazione DA1_C1 (A1+M1+R1) Il valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio dello strato di sabbia fine coincide con il valore caratteristico (in quanto γφ′, = 1) ed è pari a 34°. Assunto per l’attrito parete-terreno un valore

, si

ricava un coefficiente di spinta attiva KA,d = 0.254 (utilizzando la teoria di Coulomb) e la componente orizzontale della spinta si otterrà applicando il coefficiente

Il coefficiente di resistenza passiva KPH, calcolato con la soluzione basata sul teorema statico della plasticità sopra richiamata, risulta pari a 5.50, assumendo .

La lunghezza del tratto di infissione si ricava dalla condizione di equilibrio alla rotazione intorno al punto di applicazione del tirante, applicando alla spinta attiva il coefficiente parziale γG = 1.3. Si ottiene d = 1.90 m. Il valore della forza per metro lineare che il sistema di tiranti dev’essere in grado di esercitare si ricava dalla condizione di equilibrio alla traslazione:

Combinazione DA1_C2 (A2+M2+R1) Il valore di progetto dell’angolo di resistenza a taglio si determina applicando il coefficiente parziale γφ′ = 1.25, ottenendosi:

Assunto per l’attrito parete-terreno un valore

, si

ricava un coefficiente di spinta attiva KA,d = 0.321 e la componente orizzontale della spinta si otterrà applicando il coefficiente

Il coefficiente di resistenza passiva KPH è in tal caso pari a 3.80, assumendo . La lunghezza del tratto di infissione vale d = 2.50 m. Di conseguenza, come atteso, la Combinazione 2 è risultata la più gravosa nei confronti delle verifiche geotecniche. La forza per metro lineare che il sistema di tiranti deve esercitare è pari a

Esempio 4.6 Si vogliono effettuare le verifiche in condizioni sismiche della paratia dimensionata in campo statico nell’esempio precedente. Le analisi devono essere condotte adottando coefficienti parziali unitari sulle azioni, sui parametri dei materiali e sulle resistenza (si veda la Scheda 4.10), pertanto risulta . Si ipotizzi che l’opera sia ubicata nel Comune di Torino, caratterizzato da un’accelerazione di picco su suolo rigido di riferimento ag = 0.055 g e da un fattore F0 = 2.760 (definiti considerando un periodo di ritorno dell’azione sismica di 475 anni). Inoltre il deposito di terreno è identificabile come sottosuolo di classe C e la superficie topografica è orizzontale. L’accelerazione massima vale quindi (si veda l’esempio 4.3 per i dettagli del calcolo):

Il coefficiente sismico orizzontale, calcolato facendo riferimento a quanto prescritto dalle NTC18, risulta

dove α è stato determinato in funzione dell’altezza dell’opera, pari a 10.5 m, mediante il diagramma di Figura 1.18 e β è stato posto pari a 1 in assenza di specifiche verifiche riguardo l’effettivo sviluppo di meccanismi duttili nel sistema. L’obliquità delle forze di volume in condizioni sismiche, trascurando la componente inerziale verticale, vale pertanto:

Assumendo per l’attrito parete-terreno un valore

, si

ricava un coefficiente di spinta attiva in condizioni sismiche KAE =

0.302 (applicando il metodo di Mononobe-Okabe) e la componente orizzontale della spinta si otterrà applicando il coefficiente

Il coefficiente di resistenza passiva KPE, calcolato con la 4.16, risulta pari a 5.25 assumendo . La lunghezza minima del tratto di infissione necessaria a garantire la condizione di equilibrio alla rotazione è d = 1.83 m. Si precisa che in tal caso, a favore di sicurezza, la spinta attiva in condizioni sismiche è stata applicata interamente ad H/3. Il valore della forza orizzontale per metro lineare che il sistema di tiranti dev’essere in grado di esercitare è pari a

Il dimensionamento effettuato in condizioni statiche garantisce pertanto adeguati margini di sicurezza anche per le verifiche sismiche. Se l’opera fosse stata ubicata nel Comune di Palermo (si veda l’esempio 4.3 per i dettagli del calcolo) l’accelerazione massima sarebbe stata pari a:

Da cui si ottiene il coefficiente sismico orizzontale

L’obliquità delle forze di volume in condizioni sismiche è quindi pari a

Dalla quale si ricava un coefficiente di spinta attiva orizzontale in condizioni sismiche pari a

Il coefficiente di resistenza passiva KPE risulta pari a 4.57, di conseguenza la lunghezza minima del tratto di infissione necessaria a garantire la condizione di equilibrio alla rotazione è d = 2.54 m. Il valore minimo della forza orizzontale per metro lineare che il sistema di tiranti deve esercitare è

Il dimensionamento effettuato in condizioni statiche in tal caso non garantirebbe la stabilità dell’opera in condizioni sismiche, pertanto le verifiche sismiche risultano dimensionanti.

4.6 Tiranti di ancoraggio I tiranti sono elementi strutturali in grado di sostenere forze di trazione, in virtù di un’adeguata connessione al terreno. Con riferimento allo schema riportato in Figura 4.17, gli elementi caratterizzanti un tirante sono così definiti: il termine testata indica l’insieme degli elementi atti a trasmettere alla struttura ancorata la forza di trazione del tirante; il termine fondazione indica la parte del tirante che realizza la connessione con il terreno, trasmettendo a quest’ultimo la forza di trazione del tirante; il tratto compreso tra la testata e la fondazione prende il nome di parte libera. L’elemento strutturale, al quale è affidato il compito di trasmettere la forza di trazione, può essere costituito da barre, fili o trefoli. Nella parte libera, questi elementi sono protetti da una guaina, che può risultare unica per tutti gli elementi, singola per ciascun elemento o composta, ossia una guaina per ogni elemento, più una guaina per l’insieme degli elementi. La stessa fondazione può essere realizzata con o senza

guaina. Il dispositivo di bloccaggio in testata può risultare unico per tutti gli elementi di armatura o può essere multiplo. Sulla scorta della tensione iniziale applicata al tirante, si distingue tra tiranti presollecitati, se la forza di tesatura iniziale è superiore a quella di utilizzazione, parzialmente presollecitati, se la tesatura iniziale non supera il valore di utilizzazione o passivi se non presollecitati. Un’importante distinzione viene inoltre operata in base alla durata in esercizio dei tiranti. Se essi vengono impiegati con funzione permanente, è necessario adottare tutti gli accorgimenti atti a garantirne la durabilità e l’efficienza, predisponendo un piano di monitoraggio con possibilità di successivi interventi o eventuale sostituzione.

Figura 4.17 Schema di un tirante di ancoraggio.

Per quanto concerne il dimensionamento geotecnico, l’eventuale meccanismo di collasso riguarda lo sfilamento della fondazione e la verifica deve pertanto accertare che la massima azione di progetto Pd non superi la resistenza di progetto Rad allo sfilamento. Nel caso in esame, riguardante i tiranti delle paratie, l’azione di progetto si ottiene amplificando con i coefficienti A1 l’azione calcolata tramite un’analisi di interazione strutturaterreno, condotta sia pure in modo semplificato, nella quale tutti i coefficienti parziali delle azioni e dei parametri del terreno sono unitari. La resistenza di progetto è ottenuta applicando alla resistenza caratteristica Rak un coefficiente parziale γR pari a 1.1 o 1.2, a seconda che si tratti rispettivamente di tiranti temporanei o permanenti.

Il valore caratteristico Rak può essere a sua volta determinato con metodi analitici, basati sui valori caratteristici dei parametri geotecnici (Hanna, 1982), o dai risultati di prove di progetto. Nel primo caso, il valore caratteristico è definito dal minore dei valori derivanti dall’applicazione di fattori di correlazione ξa3,ξa4 rispettivamente al valor medio e al valor minimo delle resistenze di calcolo Ra,c

Tabella 4.8 Fattori di correlazione ξa3,ξa4.

I fattori di correlazione, seguendo un’impostazione analoga a quella introdotta per i pali di fondazione, sono legati al numero di profili di indagini esplorati (si veda la Tabella 4.8). Analogamente si opera nel caso di misure della resistenza Ra,m effettuate con prove di carico, ottenendosi

con i fattori di correlazione ξa1,ξa2 dipendenti dal numero di prove effettuate (Tabella 4.9). Si osserva che, nel rispetto della gerarchia delle resistenze, occorrerà verificare che il valore caratteristico al limite di snervamento del tratto libero sia sempre maggiore della resistenza a sfilamento della fondazione del tirante. Si ricorda infine che la lunghezza del tratto libero va stabilita in modo da garantire che la fondazione del tirante si collochi all’esterno del cuneo di

spinta attiva. A tal riguardo si precisa che, in presenza di azioni sismiche, la potenziale superficie di rottura presenta una minore inclinazione sull’orizzontale rispetto l’equivalente in condizioni statiche. La lunghezza libera in condizioni statiche LS deve quindi essere incrementata mediante la seguente relazione proposta nelle NTC18:

Tabella 4.9 Fattori di correlazione ξa1,ξa2.

5 Stabilità dei pendii

5.1 Premessa Data la natura multidisciplinare del tema, le problematiche riguardanti la stabilità dei pendii necessiterebbero di ampio spazio per essere adeguatamente illustrate. L’analisi delle condizioni di stabilità di un pendio richiede infatti l’attento e scrupoloso studio di aspetti di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica e geotecnica, attraverso indagini che riguardano diverse scale di osservazione. Per questo motivo, l’obiettivo del presente capitolo è confinato ad alcuni richiami riguardanti le metodologie usate dall’ingegnere geotecnico per l’analisi della stabilità dei pendii naturali e dei fronti di scavo, rimandando per ulteriori approfondimenti alla letteratura specialistica sull’argomento (si vedano ad esempio Brunsden e Prior, 1984; Anderson e Richards, 1987; Airò Farulla, 2001; Cascini et al., 1997 a,b; Esu, 1966; Evangelista, 1997; Giani, 1992; Pellegrino, 1997; Picarelli, 1999; Ribacchi R., 1986; Skempton, 1964, 1977, 1985; Calabresi et al., 1990; Bottino et al., 2011).

5.2 Metodi per le analisi di stabilità I metodi di analisi di stabilità convenzionali attualmente in uso sono riconducibili al metodo dell’equilibrio limite globale. In tale approccio, il comportamento del terreno è assimilato a quello di un mezzo rigido-plastico e, pertanto, l’analisi considera solo le condizioni presenti all’istante di rottura. L’analisi risulta dunque indipendente dai processi deformativi che precedono tale fase e non è possibile indagare né condizioni di latente instabilità, né le condizioni post-rottura, che peraltro sono quelle più

significative ai fini delle conseguenze (sovente disastrose) che la rottura di un pendio può avere. Si evince da tali considerazioni come, correttamente, occorrerebbe analizzare le seguenti fasi (Picarelli, 1999): – pre-rottura; – rottura; – post-rottura; – riattivazione. La complessità del problema è tale che l’analisi quantitativa è limitata solitamente alle fasi di rottura e di riattivazione, alle quali possono applicarsi, con le dovute accortezze e differenze (soprattutto per ciò che concerne la scelta dei parametri di resistenza al taglio), i procedimenti basati sul metodo dell’equilibrio limite globale. Ipotizzando che lo scivolamento avvenga lungo una superficie di geometria nota in condizioni di deformazione piana, la resistenza al taglio lungo la superficie di scivolamento è confrontata con il valore necessario a garantire l’equilibrio e questo rapporto è assunto come misura della sicurezza. Benché in alcune circostanze ci si possa ricondurre al caso di un pendio indefinito, più sovente la superficie di scivolamento si presenta composita, il cinematismo coinvolge formazioni di diversa natura e il regime delle pressioni neutre risulta di non semplice schematizzazione. Si ricorre pertanto a una procedura nota in letteratura come metodo dei conci o delle strisce, descritto in dettaglio nella monografia di Airò Farulla (2001) e riassumibile come segue. Con riferimento alla Figura 5.1, la massa di terreno instabile viene suddivisa in un conveniente numero di conci e si analizza quindi l’equilibrio di ciascuno di essi. Se n è il numero dei conci, il problema presenta le seguenti incognite: n forze normali alla base di ciascun concio; (n-1) componenti normali e (n-1) componenti tangenziali Xi, agenti all’interfaccia tra i conci; n coordinate a necessarie a definire il punto di applicazione delle ; (n-1) coordinate b necessarie a definire il punto di applicazione delle . Se alle suddette incognite si aggiunge il coefficiente di sicurezza, che, per definizione, consente di esprimere le azioni di taglio in termini di , si

hanno in totale (5n-2) incognite, da confrontare con le equazioni di equilibrio disponibili, pari a 3n. Se i conci sono sufficientemente piccoli da poter assumere che le siano applicate nel baricentro della base, il numero delle incognite si riduce a (4n-2). In ogni caso il problema risulta staticamente indeterminato e occorre pertanto introdurre ulteriori condizioni per renderlo determinato.

Figura 5.1 Metodo dei conci.

Queste condizioni supplementari si traducono solitamente in assunzioni riguardanti le azioni all’interfaccia e le principali differenze tra i vari metodi di analisi sono riconducibili a queste ipotesi. Nel seguito ci si limita a presentare i metodi semplificati di Bishop (1955) e di Janbu (1956) che, pur se caratterizzati da alcune arbitrarie assunzioni, sono considerati affidabili nella pratica ingegneristica, rimandando alla già citata monografia di Airò Farulla (2001) per una completa disamina degli altri metodi.

5.2.1 Metodo semplificato di Bishop In questo metodo (Bishop, 1955) si assume che la superficie di scivolamento sia una superficie cilindrica a direttrice circolare. Con il significato dei simboli illustrato in Figura 5.2, considerando la condizione di equilibrio alla rotazione intorno al centro di istantanea rotazione O, il momento della forza peso del terreno interno alla superficie di scivolamento

dev’essere uguale al momento delle azioni agenti sulla superficie stessa, per cui il coefficiente di sicurezza risulta dato da

tenendo conto che la resistenza al taglio è espressa da

Figura 5.2 Metodo semplificato di Bishop (1955).

L’equilibrio alla traslazione verticale del singolo concio consente di scrivere

per cui, sostituendo il valore di Ni ricavato dalla (5.3) nella (5.1), si ottiene

nella quale si è posto

e si è indicato con ru il rapporto tra la risultante della pressione interstiziale agente alla base del concio e il peso della colonna di terreno, ossia

Assumendo Xi − Xi+1 = 0, il coefficiente di sicurezza (prescindendo dalla condizione di equilibrio alla traslazione orizzontale del concio) può essere valutato con l’espressione approssimata

con Mα dato sempre dalla (5.5). Si noti che, poiché il coefficiente di sicurezza compare nella (5.7) sia al primo, sia al secondo membro (per la presenza di Mα), è necessaria una procedura iterativa: si introduce un valore di tentativo di F nella (5.5) e se ne calcola un nuovo valore con la (5.7), continuando fino alla convergenza desiderata. Come già osservato, il metodo trascura l’equilibrio alla traslazione orizzontale del concio, per cui il risultato trovato è necessariamente approssimato. Tuttavia, il confronto con le procedure rigorose dimostra che

l’errore commesso è di qualche punto percentuale e questo fa sì che il metodo di Bishop semplificato sia uno dei più adoperati nella pratica professionale.

5.2.2 Metodo semplificato di Janbu Il metodo si presta ad analizzare superfici di scivolamento di forma qualsiasi e, nella sua versione semplificata, si basa sull’assunzione che il valore di Ni possa essere calcolato tramite la (5.3), trascurando le Xi all’interfaccia. Considerando la condizione di equilibrio alla traslazione orizzontale, il coefficiente di sicurezza assume pertanto l’espressione (Janbu et al., 1956):

nella quale

La valutazione del coefficiente di sicurezza, effettuata con la (5.8), risulta approssimata perché prescinde dall’equilibrio alla rotazione del concio e, in particolare, cautelativa rispetto ai metodi rigorosi. Nel tentativo di renderla meno cautelativa, Janbu (1973), attraverso un confronto con la soluzione ottenibile dal metodo rigoroso, ha introdotto un coefficiente correttivo fo, dipendente dalla geometria del problema e dai parametri di resistenza al taglio (Figura 5.3), per cui il valore corretto del coefficiente di sicurezza diventa

5.3 Scelta dei parametri di resistenza al taglio Gli errori derivanti dalla scelta del metodo di analisi sono trascurabili se confrontati con quelli derivanti dalle assunzioni sul regime delle pressione

neutre e dalla scelta dei parametri di resistenza al taglio. E’ su questi aspetti che deve pertanto concentrarsi l’attenzione e, considerata la complessità dell’argomento, utili indicazioni si possono ottenere solo dall’analisi di casi reali ben documentati.

Figura 5.3 Metodo semplificato di Janbu (1956).

In particolare, alcuni aspetti di carattere generale da tener ben presenti sono i seguenti: – condizioni di drenaggio, – rottura progressiva, – riattivazione di precedenti eventi. In riferimento a questi, si riportano nel seguito alcune considerazioni: a) Se una formazione argillosa satura è soggetta a scarico tensionale, come ad esempio può avvenire in seguito alla realizzazione di uno scavo o di una trincea, le condizioni virtualmente non drenate, che si manifestano inizialmente, comportano una riduzione delle pressioni interstiziali. Con l’instaurarsi del moto di filtrazione si ha una progressiva dissipazione delle sovrappressioni interstiziali, con conseguente rigonfiamento e rammollimento dell’argilla nella zona dello scavo e riduzione del coefficiente di sicurezza, che tende ad assumere il valore minimo nelle condizioni finali di filtrazione stazionaria (Skempton, 1977). b) La rottura è un evento graduale, che generalmente si localizza inizialmente al piede del pendio. Il propagarsi del fenomeno è indicato come rottura progressiva (Figura 1.11) e, se il materiale ha un comportamento rammollente, si evince che il valore della resistenza disponibile, da inserire in un procedimento di equilibrio limite globale, risulta di non facile previsione (Skempton, 1970, 1977). c) Infine, è importante stabilire se il fenomeno sia effettivamente interpretabile come un evento di primo distacco o non sia piuttosto una riattivazione di eventi già verificatisi lungo la stessa superficie di scivolamento (Skempton, 1964; 1985). A tale scopo, non è superfluo ricordare che assumono fondamentale importanza i lineamenti tettonici e gli stadi di evoluzione morfologica della regione, per cui è necessario inquadrare il problema nell’ambito della geologia regionale e l’indagine dev’essere programmata in modo da interessare un’area molto più estesa di quella strettamente relativa al caso in esame (Bottino et al., 2011).

5.4 Analisi di stabilità in condizioni sismiche I fenomeni di instabilità dei pendii in condizioni sismiche sono generalmente indotti da azioni inerziali, che si sommano alle già agenti azioni statiche, e/o da una riduzione della resistenza al taglio, che può prodursi per effetto dello sviluppo di sovrappressioni interstiziali o per degradazione ciclica (Kramer, 1996). Le azioni inerziali sono, per loro natura, transitorie e raggiungono il massimo del loro valore nella fase di maggiore scuotimento. La temporanea mobilitazione della resistenza al taglio comporta lo sviluppo di spostamenti relativi permanenti che tendono ad accumularsi nel corso della durata dell’evento, come risultato di deformazioni diffuse all’interno della massa di terreno o localizzate lungo bande di taglio. Gli effetti della riduzione della resistenza al taglio, legata come già detto allo sviluppo di sovrappressioni interstiziali o alla degradazione ciclica, tendono invece a evidenziarsi solitamente al termine dell’evento e, proprio per questo motivo, possono manifestarsi con un meccanismo di rottura che si produce sotto azioni statiche. Appare evidente dunque la complessità del problema e come non sia semplice indagare i due suddetti fenomeni, sia pure limitandosi a quelle metodologie convenzionalmente adottate per le analisi di stabilità di pendii in condizioni sismiche richiamate nel seguito.

5.4.1 Instabilità di tipo inerziale In assenza di meccanismi fragili (p.es. crolli da ribaltamento in roccia), l’effetto permanente indotto da fenomeni di tipo inerziale è uno spostamento del pendio verso valle, causato dalla temporanea mobilitazione della resistenza lungo la superficie di scorrimento. Sarebbe dunque opportuno condurre le verifiche facendo riferimento agli spostamenti attesi, valutabili ad esempio mediante l’applicazione del metodo di Newmark (Rampello et al., 2010). D’altra parte, l’utilizzo del metodo pseudostatico permette di eseguire una prima valutazione speditiva delle condizioni di stabilità del pendio, consentendo ad esempio di identificare i casi critici nei quali sia necessaria una valutazione esplicita degli spostamenti.

L’applicazione del metodo pseudostatico prevede l’introduzione delle forze inerziali nello schema di calcolo caratteristico del metodo dei conci (Figura 5.1). Tali forze sono valutabili mediante le relazioni (1.19) e (1.20) in funzione del peso del singolo concio e dei coefficienti sismici, kh e kv, avendo cura di adottare un opportuno coefficiente β riduttivo dell’azione sismica in funzione dello stato limite considerato (si veda al riguardo il Par. 1.6.2. e l’Esempio 5.2). Analogamente a quanto già menzionato per le analisi di stabilità di opere di sostegno, non è possibile definire a priori il verso dell’azione sismica verticale più gravoso, di conseguenza la verifica dovrà essere condotta secondo le due differenti ipotesi di forza pseudostatica diretta verso l’alto o verso il basso. Appare inoltre opportuno precisare che la superficie di rottura critica, associata al fattore di sicurezza minimo, è generalmente diversa in condizioni sismiche rispetto a quella identificata in condizioni statiche (si veda l’Esempio 5.2). Se l’analisi di stabilità condotta con l’approccio pseudo-statico dovesse risultare critica, sarà necessario ricorrere a metodi dinamici, quale il metodo dinamico semplificato di Newmark, per stimare l’entità degli spostamenti indotti (si faccia riferimento ai Par. 1.6.3 e 4.4). Nel caso di superficie di scivolamento curvilinea, il pendio, schematizzato come un blocco rigido, è soggetto ad un moto di rotazione rispetto al centro di istantanea rotazione, la cui analisi fornisce le rotazioni permanenti indotte dall’azione sismica (per ulteriori dettagli si veda Madiai e Rampello, 2005). L’accelerazione critica può essere valutata mediante l’applicazione del metodo pseudostatico, ricercando il coefficiente sismico orizzontale associato alla condizione di moto incipiente corrispondente a un fattore di sicurezza unitario. In tal caso sarà necessario ripetere la ricerca della superficie critica al variare dell’azione sismica considerata. In alternativa è possibile fare riferimento alla relazione approssimata proposta da Newmark (1965) per ottenere una valutazione speditiva:

dove g è l’accelerazione di gravità, FS è il fattore di sicurezza in condizioni statiche e βS è l’angolo compreso tra la verticale e la retta passante per il

centro di rotazione della superficie circolare di rottura e il centro della massa instabile. Per superfici di rottura irregolari invece, tale angolo può essere approssimato tracciando una superficie circolare equivalente (Figura 5.4). Nel caso di pendio indefinito, tale angolo è pari all’inclinazione del pendio stesso.

Figura 5.4 Stima approssimata dell'accelerazione critica con il metodo proposto da Newmark (1965).

Come già evidenziato ai Par 1.6.2 e 1.6.3, l’ipotesi di blocco rigido è condizionata dal rapporto esistente tra la lunghezza d’onda caratteristica del moto sismico e le dimensioni caratteristiche della massa potenzialmente instabile. Nel caso di terreni deformabili o pendii particolarmente estesi, le accelerazioni all’interno del pendio tendono ad essere fuori fase e tale ipotesi non è generalmente valida. L’applicazione del metodo comporta quindi una notevole sovrastima degli spostamenti, ed è pertanto necessario adottare come input sismico accelerogrammi equivalenti, valutabili mediante procedure semplificate definite a partire da studi di risposta sismica locale (per ulteriori approfondimenti si vedano Madiai e Rampello, 2005, e Rampello e Callisto, 2008). L’entità degli spostamenti attesi deve infine essere confrontata con i valori di riferimento, identificativi del raggiungimento di una determinata condizione di danno. Tali soglie riguardano sia le condizioni di funzionalità e sicurezza delle strutture interagenti con il pendio, sia lo sviluppo di eventuali meccanismi fragili connessi a fenomeni di degradazione delle

resistenze. I valori di spostamento permanente di soglia al di sopra del quale si verificano fenomeni di degradazione delle caratteristiche meccaniche dei terreni devono essere definiti in base ai risultati di un’adeguata campagna d’indagini geotecniche e sono generalmente dell’ordine di 1÷1.5 cm. Le soglie di spostamento critico al di sopra delle quali possano definirsi compromesse le condizioni di sicurezza o funzionalità delle strutture devono essere invece definite in relazione alle caratteristiche delle strutture interagenti. Ad esempio, valori dell’ordine di 2÷3 cm sono generalmente ammissibili per rilevati, trincee, opere di sostegno e viadotti su pendii naturali. Blake et al. (2002) suggeriscono valori dell’ordine di 5 cm nel caso in cui il pendio interagisca con altre strutture e dell’ordine di 15 cm in caso contrario.

5.4.2 Instabilità per degradazione ciclica La degradazione della resistenza può prodursi sia nel caso in cui il terreno manifesti un comportamento meccanicamente instabile, sia nel caso si sviluppino sovrappressioni interstiziali, con conseguente diminuzione delle tensioni efficaci, per effetto delle azioni cicliche. In tali situazioni è necessario valutare adeguatamente la resistenza disponibile lungo la superficie di scivolamento sia durante l’evento sismico, sia al termine di questo. Nei terreni a grana fine, infatti, l’incremento di pressioni interstiziali dipende sia dalla storia di carico, sia dalle caratteristiche del terreno. Può quindi avvenire che il regime delle pressioni neutre, pur essendo compatibile con le condizioni di equilibrio prima e durante il terremoto, non lo sia più in un istante di tempo successivo all’evento, durante la fase transitoria di ridistribuzione delle pressioni che causa una riduzione progressiva della resistenza. La valutazione delle condizioni di stabilità dovrebbe, a rigore, essere condotta facendo ricorso a specifiche prove di laboratorio di tipo ciclico che permettano di valutare l’effettiva riduzione della resistenza. In assenza di queste, in via preliminare, è possibile fare riferimento a correlazioni empiriche. Matsui et al. (1980) ad esempio propongono la seguente relazione per valutare l’incremento di pressione interstiziale in terreni a grana fine:

dove è la pressione di confinamento media, γmax e γtp sono, rispettivamente, la deformazione di taglio massima indotta dal sisma e la soglia volumetrica di deformazione a taglio, limite oltre il quale si ha l’insorgere di sovrappressioni interstiziali. Quest’ultima può essere stimata, in via approssimata, mediante la seguente correlazione (Matsui et al., 1980) in funzione del grado di sovraconsolidazione OCR:

in cui A e B sono due coefficienti dipendenti dall’indice di plasticità IP, riportati in Tabella 5.1. La deformazione a taglio massima è invece valutabile facendo ricorso a specifiche analisi di risposta sismica locale (per ulteriori riferimenti al riguardo si veda il Par. 1.6.1). Tabella 5.1 Coefficienti per la valutazione della soglia volumetrica di deformazione a taglio nei terreni a grana fine (Matsui et al., 1980). Indice di Plasticità, IP [%]

A

B

20

0.0004

0.0006

40

0.0012

0.0011

55

0.0025

0.0012

Nel caso di terreni sabbiosi è possibile adottare la correlazione proposta da De Alba et al. (1975):

dove a è un coefficiente dipendente dalla densità relativa del materiale, che, in prima approssimazione, può essere assunto pari a 0.7, N è il numero di cicli di carico equivalenti, ottenibile in funzione della magnitudo attesa Mw (Tabella 5.2) e NL è il numero di cicli necessari a portare il terreno in

condizioni di liquefazione, valutabile con la seguente correlazione in funzione della densità relativa, DR, del terreno:

in cui, il rapporto tra la tensione di taglio ciclica, τc, e la tensione efficace verticale, σ’v0, può essere stimato come:

dove amax è l’accelerazione di picco al suolo e z la profondità dal piano campagna. Tabella 5.2 Numero di cicli di carico equivalenti in funzione della magnitudo attesa (EN 1998-5, 2005).

Le sovrappressioni massime così valutate possono quindi essere applicate, a favore di sicurezza, alla base di ogni concio al fine di tenere in conto la riduzione del fattore di sicurezza dovuta al nuovo regime di pressioni interstiziali.

5.5 L’analisi di stabilità dei pendii naturali alla luce dell’EC7 e delle NTC18 Le disposizioni in materia di analisi di stabilità dei pendii naturali (dopo aver introdotto una serie di prescrizioni generali riguardanti principalmente le indagini da eseguire per acquisire quel quadro conoscitivo richiamato al punto 5.1) chiariscono che il livello di sicurezza è espresso dal rapporto tra la resistenza al taglio disponibile lungo la superficie di scivolamento, presa con il suo valore caratteristico, e il valore dello sforzo di taglio necessario a garantire l’equilibrio. Analogamente, viene precisato che anche per le

azioni di calcolo devono essere assunti i valori caratteristici. Pertanto qualora si ricorra ai metodi semplificati prima esposti, nelle espressioni (5.7) e (5.8) del coefficiente di sicurezza va introdotto il valore caratteristico della resistenza al taglio e viene lasciata al progettista la libertà di giudizio sull’accettabilità del risultato così ottenuto, da motivarsi sulla base del livello di conoscenze acquisite e sulla base dell’affidabilità del modello geotecnico utilizzato. Tali disposizioni sono valide anche per le verifiche in condizioni sismiche. In aggiunta a questa precisazione, vengono sottolineati i seguenti aspetti riguardanti eventuali interventi di stabilizzazione: – le condizioni di stabilità devono essere verificate non solo con riferimento al cinematismo critico originario, ma anche con riferimento a possibili cinematismi alternativi, che potrebbero innescarsi in seguito alla realizzazione degli interventi; – il dimensionamento degli interventi di stabilizzazione deve essere condotto analizzando in modo comparativo le condizioni di stabilità iniziali e quelle finali (a intervento eseguito), in modo da esplicitare l’incremento del margine di sicurezza nei confronti del cinematismo critico potenziale o effettivo; – nei pendii interessati da frane attive o quiescenti, suscettibili pertanto di riattivazione sia per cause originarie sia per azioni sismiche, sarà necessario far riferimento alla resistenza al taglio a grandi deformazioni, tenendo quindi conto dell’entità dei movimenti pregressi e della natura delle formazioni interessate. Un’ulteriore precisazione riportata nella Circolare Applicativa delle NTC18 (C.S.LL.PP., 2019) riguarda i pendii interessati da nuove costruzioni. In tal caso le condizioni di stabilità globale devono essere preliminarmente verificate in assenza dell’opera. In seguito, se queste sono ritenute accettabili, si procede con le verifiche relative alla realizzazione della nuova costruzione. Le condizioni di stabilità globale del pendio devono poi essere nuovamente valutate tenendo conto dell’opera stessa. Nel caso in cui il valore del coefficiente di sicurezza risulti inferiore rispetto quello ottenuto in assenza dell’opera, sarà necessario predisporre nuovi interventi di stabilizzazione al fine di garantire un margine di sicurezza non inferiore a quello precedente.

Le analisi di stabilità in condizioni sismiche possono essere effettuate facendo ricorso a metodi pseudostatici, metodi dinamici semplificati o metodi dinamici avanzati. In particolare si può fare ricorso a metodi semplificati di tipo pseudostatico per analizzare fenomeni di instabilità di tipo inerziale in assenza di marcate irregolarità stratigrafiche o topografiche. In caso contrario sarà necessario ricorrere a metodi dinamici al fine di stimare gli spostamenti indotti sulla massa instabile, da confrontare poi con i valori di soglia associati ai differenti stati limite considerati (si veda il Par. 5.4.1). In particolare sarà necessario eseguire le verifiche facendo riferimento alle condizioni di stato limite ultimo (SLV) e alle condizioni di stato limite di esercizio (SLD), definendo di conseguenza l’azione sismica (come indicato al Par. 1.6.1) e i valori limite. Per quanto concerne i fenomeni di degradazione delle resistenze, questi dovranno essere tenuti in conto, anche nel caso di ricorso a metodi di tipo pseudostatico, se l’accelerazione di picco al suolo amax dovesse risultare maggiore di 0.15 g.

5.6 Analisi di stabilità dei fronti di scavo alla luce dell’EC7 e delle NTC18 A differenza di quanto precedentemente osservato per i pendii naturali, nel caso dei fronti di scavo le norme prevedono che le verifiche di sicurezza siano effettuate secondo l’approccio DA1-C2, ossia con riferimento alla combinazione dei coefficienti di sicurezza parziali (A2+M2+R2), assumendo γR = 1.1 (R2) e conducendo la verifica con modalità del tutto analoghe a quelle utilizzate per i manufatti di materiali sciolti. Per illustrare l’applicazione delle suddette prescrizioni ai metodi convenzionali solitamente utilizzati, se ad esempio si suppone di voler effettuare la verifica di un fronte di scavo in condizioni di lungo termine con il metodo dell’equilibrio limite globale, utilizzando la (5.7) e la (5.5)

nel contesto della filosofia della sicurezza introdotta dagli Eurocodici vanno adottati i valori di progetto dei parametri di resistenza al taglio, ossia

e va accertato che l’analisi di stabilità (condotta in modo tradizionale) garantisca un coefficiente di sicurezza non inferiore a 1.1. Naturalmente, il valore così trovato non ha più lo stesso significato che assumeva tradizionalmente, perché a monte del calcolo sono stati introdotti i valori di calcolo dei parametri di resistenza al taglio (ridotti rispetto ai valori caratteristici, tramite l’applicazione dei coefficienti del gruppo M2). In aggiunta alle suddette considerazioni, va ricordato che nell’effettuare la verifica va tenuto conto dell’influenza dello scavo sul regime delle pressioni interstiziali e sulle opere esistenti in prossimità dello scavo. Come pure va adeguatamente studiata, nel caso lo scavo sia realizzato in un pendio, l’influenza di tale operazione sulla stabilità generale del pendio. Particolare attenzione va inoltre prestata agli scavi realizzati in centri urbani, dove, tenendo conto dell’interferenza con il tessuto circostante, è tipicamente necessario fare ricorso a strutture di sostegno temporanee o permanenti che consentano l’esecuzione dello scavo a parete verticale, limitando l’ingombro del cantiere. Le verifiche di stabilità di tali opere sono state trattate nel Capitolo 4. Per quanto riguarda invece il campo di spostamenti indotto dallo scavo e i suoi riflessi sulle strutture che ricadono in prossimità delle pareti dello scavo, saranno necessarie opportune valutazioni. Riferendosi all’ampia raccolta di dati effettuata da Clough e O’Rourke (1990) e Long (2001), che

ha consentito di definire utili correlazioni tra campo di spostamenti della superficie del terreno a tergo della parete e profondità dello scavo, si possono fornire le seguenti indicazioni di massima (si vedano anche gli studi di Burghignoli, 2002 e Pane e Tamagnini, 1997): a) i cedimenti verticali indotti dallo scavo possono risultare apprezzabili anche fino ad una distanza dalla parete pari a 2-3 volte la massima profondità di scavo; b) nel caso di argille tenere o di media consistenza, il massimo cedimento può risultare pari al 2% della massima profondità di scavo; c) nel caso di terreni sabbiosi o di argille consistenti, il massimo cedimento della superficie può raggiungere lo 0.3% della profondità di scavo. Gli stessi Autori forniscono anche correlazioni tra il massimo spostamento verticale della superficie del terreno e il massimo spostamento orizzontale della parete, con un rapporto di tali grandezze variabile da circa 0.5-0.6 a 0.9-1.0, a seconda della rigidezza del terreno presente al disotto dello scavo, potendo tale fattore influenzare in modo significativo la deformata della parete. Per quanto concerne le verifiche di stabilità in condizioni sismiche, le considerazioni di tipo metodologico sono analoghe a quelle riportate per pendii naturali. D’altra parte le NTC18 prevedono, per le verifiche di fronti di scavo e rilevati mediante il metodo pseudostatico, coefficienti parziali unitari sulle azioni e sui parametri geotecnici, mentre richiedono un coefficiente parziale γR sulle resistenze pari a 1.2. Esempio 5.1 – Analisi di stabilità di un fronte di scavo Si supponga di voler verificare la stabilità del fronte di scavo riportato in Figura 5.5. A monte del fronte di scavo viene preso in considerazione un carico variabile uniformemente distribuito di intensità pari a 10 kPa (valore caratteristico dell’azione variabile).

Le condizioni di riferimento per le verifiche sono quelle di lungo termine, raggiunte le quali si assume che le sovrappressioni interstiziali indotte dallo scavo siano interamente dissipate. Si assumono come valori caratteristici dei parametri di resistenza al taglio quelli dell’argilla di Londra, ricavati da prove di laboratorio su provini di grandi dimensioni (diametro 250mm): φ’k=20°; c’k=7.5kPa (Skempton, 1977). Il peso dell’unità di volume del materiale è assunto pari a 19 kN/m3. Si ricorda che per la verifica dei fronti di scavo è necessario fare riferimento alla combinazione C2 dell’Approccio DA1 (ovvero ai coefficienti di sicurezza A2+M2+R2).

Figura 5.5 Esempio di verifica di stabilità di un fronte di scavo: geometria e valori caratteristici dei parametri.

Applicando i coefficienti di sicurezza ai parametri di resistenza al taglio del gruppo M2, si ricavano i valori di progetto dei parametri stessi:

Per quanto riguarda il carico esterno, deve essere preso in considerazione il gruppo A2 dei coefficienti di sicurezza, per cui, trattandosi di un carico variabile, sarà necessario incrementarlo del 30%, ottenendo un valore di progetto pari a 13 kPa. Le verifiche vengono condotte utilizzando il metodo semplificato di Bishop (1955) per superfici di rottura circolari. Alla superficie di rottura

critica, riportata in Figura 5.6, corrisponde un rapporto tra la resistenza al taglio di calcolo e lo sforzo di taglio mobilitato pari a 1.21. Tale valore è maggiore del coefficiente di sicurezza del gruppo R2, γR = 1.1, e pertanto la verifica di sicurezza è soddisfatta. Esempio 5.2 – Analisi di stabilità in condizioni sismiche Si supponga di voler verificare la stabilità in condizioni sismiche del fronte di scavo riportato nell’esercizio precedente mediante il metodo pseudostatico, facendo riferimento alle condizioni di stato limite ultimo. L’intervento si colloca nel Comune di Torino, e i parametri relativi all’azione sismica di riferimento (allo SLV) sono ag = 0.055 g ed F0 = 2.760.

Figura 5.6 Esempio di verifica di stabilità di un fronte di scavo: parametri di progetto e superficie critica (Metodo semplificato di Bishop).

Il terreno è identificabile come sottosuolo di classe C e il coefficiente di amplificazione stratigrafica (si veda la Tabella 1.10) è pertanto valutabile come:

L’inclinazione media del pendio è superiore a 15°. Si ricade dunque nella categoria topografica T2 e il coefficiente di amplificazione

topografica ST vale 1.2 (si faccia riferimento alle Tabelle 1.11 e 1.12). In definitiva, l’accelerazione massima da prendere in considerazione risulta

Per le verifiche di stato limite ultimo di fronti di scavo, il coefficiente β, riduttivo dell’azione sismica, è pari a 0.38. Applicando le relazioni (1.21) e (1.22) si ottengono i coefficienti sismici:

Le verifiche in condizioni sismiche devono essere condotte facendo riferimento ai valori caratteristici dei parametri di resistenza al taglio, pertanto: . Il peso dell’unità di volume del materiale è pari a 19 kN/m3. La combinazione sismica da applicare per valutare le sollecitazioni agenti (1.14) prevede l’applicazione del coefficiente ψ21 (Tabella 1.1) al sovraccarico esterno, che pertanto assume un valore di calcolo pari a 6 kPa. Vista la modesta entità dell’azione sismica e l’elevata soglia volumetrica attesa per il materiale in oggetto, è lecito ipotizzare sovrappressioni interstiziali di entità trascurabile lungo la superficie di rottura. Effettuando le analisi pseudo-statiche con il metodo semplificato di Bishop (1955) si ottengono le superfici critiche riportate in Figura 5.7, con le due ipotesi di accelerazione sismica verticale verso l’alto e verso il basso. Il minimo rapporto ottenuto tra la resistenza a taglio disponibile e lo sforzo mobilitato è pari a 1.37, e la verifica di sicurezza è quindi soddisfatta, dal momento che tale valore è superiore al coefficiente γR pari a 1.2.

Figura 5.7 Verifica di stabilità di un fronte di scavo in condizioni sismiche (Metodo semplificato di Bishop).

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Informazioni sul Libro Il volume vuole essere una guida pratica all’interpretazione e all’uso dell’Eurocodice 7 (EC7) e delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC2018), rivolta agli allievi dei corsi universitari e ai professionisti. Ampio rilievo è stato dato agli esempi svolti per rendere chiara la comprensione della norma e per far acquisire familiarità con le nuove procedure di verifica. Sono stati trattati tutti i casi più ricorrenti della progettazione geotecnica, partendo comunque dal presupposto che il lettore abbia le conoscenze dei principi di Geotecnica impartite nei corsi universitari di base. Per questo motivo, gli argomenti sono stati trattati seguendo un criterio di comodità espositiva, senza preoccuparsi dell’ordine con il quale gli stessi argomenti sono presentati nelle NTC2018 o nell’EC7. Rispetto alla precedente edizione, la trattazione risulta arricchita dall’esposizione dei concetti di base della progettazione geotecnica in zona sismica, con i relativi esempi applicativi. Indice Questioni introduttive - Fondazioni dirette - Pali e fondazioni su pali Opere di sostegno e ancoraggi - Stabilità dei pendii. Bibliografia.

Circa l’autore Autori Renato Lancellotta è stato docente di Geotecnica al Politecnico di Torino. È autore di numerosi volumi e di contributi scientifici riguardanti il comportamento meccanico dei terreni. Andrea Ciancimino è dottorando in Ingegneria Civile e Ambientale al Politecnico di Torino. È autore di diverse pubblicazioni su tematiche relative alla caratterizzazione dinamica dei terreni. Daniele Costanzo è docente di Fondazioni al Politecnico di Torino. È autore di diversi contributi scientifici su tematiche riguardanti l’ingegneria geotecnica. Sebastiano Foti è docente di Geotecnica Sismica e Rischio Sismico al Politecnico di Torino. È autore di numerosi contributi scientifici su tematiche riguardanti l’ingegneria geotecnica.