Progettare edifici passivi con materiali naturali


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COPERTINA
PREFAZIONE
INTRODUZIONE
INDICE
1. I FONDAMENTI DEGLI EDIFICI PASSIVI
1.1 I PRESUPPOSTI DEGLI EDIFICI PASSIVI
1.2 LA SALUBRITÀ DEGLI AMBIENTI INTERNI
1.3 LE CONDIZIONI DI COMFORT
1.4 LA CONVENIENZA ECONOMICA
1.5 GLI EDIFICI PASSIVI IN NUMERI
1.6 I VINCOLI CLIMATICI
1.7 LA RISTRUTTURAZIONE ENERGETICA PROFONDA DEGLI EDIFICIESISTENTI
1.8 FONDAMENTI DI EDILIZIA RIGENERATIVA
2. LE REGOLE PROGETTUALI
2.1 L’EVOLUZIONE DEL PROGETTO: DALL’ARCHITETTURAVERNACOLARE ALLA TECNOCRAZIA
2.2 I GUADAGNI PASSIVI
2.2.1 Forma ed esposizione dell’edificio
2.2.2 La componente termica passiva dell’energia solare
2.2.3 La componente luminosa dell’energia solare
2.2.4 Le superfici trasparenti
2.3 LE STRUTTURE OPACHE
2.3.1 L’isolamento termico
2.3.1.1 I materiali isolanti naturali
2.3.2 La massa termica
2.3.3 I ponti termici
2.3.3.1 I ponti termici geometrici
2.3.3.2 I ponti termici lineari
2.3.3.3 I ponti termici puntuali legati alla posa dei serramenti
2.4 ERMETICITÀ E SOSTENIBILITÀ
2.4.1 La tenuta all’aria
2.4.2 La tenuta al vento
2.5 La ventilazione
2.5.1 La ventilazione meccanica controllata
2.5.2 La ventilazione naturale
2.6 CENNI DI IMPIANTISTICA
2.6.1 Impianti di riscaldamento e di produzione di acqua caldasanitaria
2.6.2 Impianti di raffrescamento
2.6.3 Illuminazione artificiale e consumi elettrici
2.6.4 La produzione di energia da fonti rinnovabili
3. GLI STRUMENTI PER LA PROGETTAZIONE
3.1 I PROTOCOLLI DI CERTIFICAZIONE
3.1.1 Il protocollo di certificazione CasaClima
3.1.2 Il protocollo di certificazione Passivhaus
3.2 SISTEMI DI SIMULAZIONE E MONITORAGGIO DELCOMPORTAMENTO ENERGETICO DEGLI EDIFICI
3.2.1 La simulazione ante-operam
3.2.2 Il monitoraggio post-operam
3.3 I DATI CLIMATICI
3.4 MATERIALI EDILIZI E SISTEMI ISOLANTI RIGENERATIVI
3.4.1 Fibra di legno
3.4.2 Sughero
3.4.3 Lana di pecora
3.4.4 Fibra di cellulosa
3.4.5 Fibra di canapa e calce canapulo
3.4.6 Paglia
3.4.7 Vetro cellulare
3.5 DIAGNOSTICA NON DISTRUTTIVA PER I CONTROLLI INCANTIERE
3.6 VALUTAZIONE DELLA CONVENIENZA ECONOMICA
3.6.1 Tempo di ritorno attualizzato
3.6.2 Valore attuale netto
3.6.3 Indice di profitto
3.6.4 Costo dell’energia risparmiata
4. EDIFICI RIGENERATIVI
4.1 CASA UD - RESTAURO DI UN EDIFICIO CON PAGLIA, LEGNOE PIETRA A CHAMOIS (AO)
4.1.1 Scheda progetto
4.1.2 Descrizione del progetto
4.2 CASA SCL - ABITAZIONE ELEMENTARE IN LEGNO E PAGLIAA VICENZA
4.2.1 Scheda progetto
4.2.2 Descrizione del progetto
4.3 ABITAZIONE IN LEGNO, PAGLIA E CALCECANAPULO ALAVAGNO (VR)
4.3.1 Scheda progetto
4.3.2 Descrizione del progetto
4.4 ABITAZIONE BIFAMILIARE CERTIFICATA IN LEGNO E CANAPA AVAL DI VIZZE (BZ)
4.4.1 Scheda progetto
4.4.2 Descrizione del progetto
4.5 ABITAZIONE IN LEGNO, SUGHERO E CANAPA A GALZIGNANOTERME (PD)
4.5.1 Scheda progetto
4.5.2 Descrizione del progetto
4.6 ABITAZIONE IN LEGNO, PAGLIA E SUGHERO A MAGNAGO (MI)
4.6.1 Scheda progetto
4.6.2 Descrizione del progetto
4.7 ABITAZIONE IN LEGNO E PAGLIA IN FRANCIACORTA (BS)
4.7.1 Scheda progetto
4.7.2 Descrizione del progetto
4.8 ABITAZIONE IN LEGNO, PAGLIA E SUGHERO A FARA GERAD’ADDA (BG)
4.8.1 Scheda progetto
4.8.2 Descrizione del progetto
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
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Progettare edifici passivi con materiali naturali

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Beatrice Spirandelli

PROGETTARE EDIFICI PASSIVI CON MATERIALI NATURALI

Edizioni di

Legislazione Tecnica

Trimestrale di monografie tecniche, testi coordinati, capitolati | 3° trimestre 2020

AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Legislazione Tecnica s.r.l.: Via dell’Architettura, 16 - 00144 Roma Tel. 06/5921743 r.a. - Fax 06/5921068 [email protected] www.legislazionetecnica.it ltshop.legislazionetecnica.it edizioni di legislazione tecnica PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE pubblica: monografie tecniche, testi coordinati, capitolati ecc. riguardanti l’edilizia e le opere civili Direttore responsabile: Pietro de Paolis

LEGISLAZIONE TECNICA S.r.l. - P.I.: 05383391009 Amm.ne: Via dell’Architettura, 16 - 00144 Roma - Tel. (06) 5921743 ric. autom. - Fax: (06) 5921068 - c.c.p. 40270191 Abbonamenti ad anno solare (4 Monografie nell’anno, comprese quelle arretrate) Abbonamento annuale € 105,00 Costo del presente volume (in abbonamento) € 26,25 (IVA inclusa) AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Beatrice Spirandelli

PROGETTARE EDIFICI PASSIVI CON MATERIALI NATURALI

AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

“A Irene”

Beatrice Spirandelli Laureata in architettura al Politecnico di Milano, si è specializzata in bioarchitettura presso la facoltà di Ingegneria di Bologna e ha seguito un master in progettazione sostenibile dell’ambiente costruito presso l’Università di Firenze e la Metropolitan University di Londra. È progettista certificato Passivhaus e si occupa di progettazione, comunicazione e consulenza e nell’ambito dell’architettura sostenibile e dell’interior design, oltre che di certificazione e riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Partner presso lo studio di architettura MA2A, nella sua carriera ventennale nel settore della comunicazione ha al suo attivo la pubblicazione di più di cento articoli e libri inerenti vari aspetti della sostenibilità ambientale in architettura, la partecipazione a seminari e conferenze nazionali ed internazionali, una cattedra di tipologia di materiali ed una in cultura illuminotecnica presso l’Istituto Europeo di Design di Milano, nell’ambito del quale segue anche progetti speciali.

Consuelo Nava Ricercatrice universitaria, settore ICAR 12 – Tecnologia dell’Architettura presso il Dipartimento di Architettura e Territorio (dArTe) dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Resp. scientifica del centro ABITAlab, laboratorio Architettura Bioecologica e Innovazione Tecnologica per l’Ambiente, sede di Reggio Calabria. Attualmente Delegata alla Ricerca, Terza Missione e Rapporti Istituzionali con il Territorio del dArTe. Insegna al corso dell’Atelier di Tesi – SID, Sustainable Innovation Design. Tra gli ultimi lavori sui temi, i libri manuali: - Edifici Sostenibili. Particolari Costruttivi. 120 schede con i dettagli esecutivi, DEI ed., Roma, 2012 - Ipersostenibilità e Tecnologie abilitanti. Teoria, Metodo e Progetto, Aracne ed., Roma, 2019 © Copyright Legislazione Tecnica 2020 La riproduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo, nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di settembre 2020 da

Stabilimento Tipolitografico Ugo Quintily S.p.A. Viale Enrico Ortolani 149/151 – Zona industriale di Acilia – 00125 Roma Legislazione Tecnica S.r.L. 00144 Roma, Via dell’Architettura 16 Servizio Clienti Tel. 06/5921743 – Fax 06/5921068 [email protected] Portale informativo: www.legislazionetecnica.it Shop: ltshop.legislazionetecnica.it

Il contenuto del testo è frutto dell’esperienza dell’Autore, di un’accurata analisi della normativa e della pertinente giurisprudenza. Le opinioni contenute nel testo sono quelle dell’Autore, in nessun caso responsabile per il loro utilizzo. Il lettore utilizza il contenuto del testo a proprio rischio, ritenendo indenne l’Autore da qualsiasi pretesa risarcitoria. I testi normativi riportati sono stati elaborati e controllati con scrupolosa attenzione. Sono sempre peraltro possibili inesattezze od omissioni, ma che non possono comportare responsabilità dell’Editore.

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PREFAZIONE

EDIFICI VERSO

PASSIVI, ANZI PROCESSI E

“CIRCOLARI E RIGENERATIVI”. PROGETTI “AGILI”.

La proposta di Beatrice Spirandelli di rendere disponibile un libro di istruzioni tecniche sui temi degli edifici passivi, alla luce di un tempo in cui il concetto di sostenibilità deve misurarsi con altri approcci ormai emergenti, quali quello dei modelli circolari e dei sistemi rigenerativi, è certamente una sfida importante. Negli anni ’90, nello scenario di produzione tecnica e procedurale delle norme di settore dedicate alla progettazione degli edifici sostenibili, si è assistito ad una evoluzione circa la qualificazione della sostenibilità ambientale degli edifici, che è stata differenziata dalle prescrizioni e dalle procedure riferite alla certificazione energetica degli stessi. Una distinzione nata, più che altro, dalla necessità di tracciare i percorsi di adesione volontaria a protocolli, linee guida, modelli di sostenibilità, differenziandoli da quelli regolamentati per l’ottemperanza agli indici prestazionali energetici, che puntano alla certificazione raggiunta grazie al risparmio energetico perseguito. Possiamo ormai assumere criticamente che la distinzione tra modello energetico di un edificio convenzionale e uno passivo, nei tempi in cui è stata formulata, ha affidato la prestazione finale del proprio funzionamento al sistema “involucro”, alla tecnologia dei suoi sistemi costruttivi e stratificazioni e alle modalità di messa in opera di tutte le unità tecnologiche, oltre che ad un’idea di target di consumo energetico in KWm2/h, riferibile soprattutto al sistema di condizionamento e di uso di dispositivi e impianti. In una nuova dimensione più “responsive” dei modelli di edificio sostenibile, nella loro migliore definizione del progetto e delle tecnologie più innovative per realizzarlo, il tema diviene certamente più ampio e assume un maggior valore l’idea di un funzionamento passivo dell’edificio in qualsiasi clima e regime stagionale, connesso a prestazioni quali l’illuminazione naturale, il riscaldamento ed il raffrescamento naturale, la ventilazione naturale o assistita. Sono questi i requisiti assumibili in fase di progetto, quelli che Beatrice Spirandelli definisce non a caso nelle “regole progettuali” del secondo capitolo, come “guadagni passivi” dell’edificio. Tale asset consente l’evoluzione verso una versione più innovativa del concetto di involucro e di pelle reattiva, a cui si affida la prima risposta performante e compatibile (rispetto ai materiali utilizzati), che richiede una particolare attenzione in fase di selezione e di scelta dei sistemi costruttivi più compatibili. Gli impianti sono chiamati ad assumere un ruolo più collaborativo per

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Prefazione

l’ottenimento della prestazione finale, con l’obiettivo di ottenere un modello ibrido attivo-passivo, capace magari di alimentare la domanda di energia delle unità impiantistiche vere e proprie dimensionando gli impianti ai reali fabbisogni dell’utenza e ai servizi di gestione dello stesso o con l’impiego di tecnologie solari. (C. Nava, 2012) Su questo modello di edificio sostenibile, e della sua capacità di rispondere a standard di qualità ambientale e energetica nel tempo, si è costruita l’esperienza più evoluta in termini di tipologia edilizia destinata alle residenze, agli edifici scolastici, agli edifici per uffici, che ha visto molte realizzazioni e il trasferimento di buone pratiche tra gli anni novanta e la prima decade del duemila. Di fatto nel frattempo la sperimentazione su alcune particolari componenti nel settore della produzione dei materiali per le costruzioni ha mutato lo scenario della produzione edilizia e dei suoi caratteri più innovativi. Mentre il controllo della rispondenza a certi standard di qualità per livello di prestazioni degli edifici ha interessato e la formulazione di protocolli utili a misurarne l’efficienza e certificarne le prestazioni e la classe raggiunta, anche nella sua ultima evoluzione rispetto agli standard di un edificio-tipo, la possibilità di conseguire certi profili energetico-ambientali si è maggiormente affidata all’innovazione della produzione edilizia con riferimento ai materiali e ai componenti. È evidente che il mercato dei prodotti per l’edilizia ha puntato a rispondere alle nuove esigenze e richieste prestazionali, certificando i propri “nuovi” prodotti e valutandone il livello di ecologicità rispetto alle materie prime di trasformazione e la capacità degli stessi, una volta impiegati, di non impattare sui sistemi biologici e fisici degli utenti e del contesto di riferimento. La produzione che si è spinta oltre ha voluto elaborare livelli di certificazione riferiti al ciclo di vita dei componenti (LCA), fino ad arrivare in certi casi alla certificazione europea o ambientale di prodotto (certificato EPD® – Environmental Product Declaration), o in alternativa a valutare la filiera e i processi produttivi da materie prime seconde, certificandoli e garantendone la provenienza da processi di riciclo e una possibile riciclabilità (es. marchio Cradle to Cradle®). L’evoluzione più recente è rappresentata dall’approccio alla circolarità dei cicli produttivi e delle filiere che impiegano materie prime e materie prime seconde, fino al riutilizzo di scarti, sfridi e rifiuti provenienti da comparti anche diversi da quelli dell’edilizia, per produrre materiali e componenti sempre più rispondenti al profilo di sostenibilità e prestazione energetica attese. È evidente che riferirsi a filiere produttive che prevedono l’uso di materie prime naturali, piuttosto che limitarsi semplicemente a quelle che presentano un alto profilo ecologico, aumenta la capacità dell’edificio di rispondere in maniera diretta alla domanda di sostenibilità, dalla fase progettuale alla realizzazione in cantiere, con alti livelli di sicurezza, salubrità e benessere in fase di esercizio. Il ciclo di vita utile di tali componenti per l’edilizia presenta spesso un alto profilo ambientale rispetto ad altri componenti di tipo ecologico e certamente convenzionale, ma fa fatica a raggiungere le prestazioni energetiche raggiungibili da un componente con una stratificazione di materiali provenienti da filiere produttive convenzionali. È evidente che tale scarto si può gestire tramite un più attento e dedicato progetto dell’edificio alla scala dei suoi componenti e del funzionamento passivo. In tal caso la fase progettuale diviene fondamentale e la qualità energetica totale si deve attribuire a modelli di configurazione dell’edificio nella sua forma, nel rapporto superfici opache/trasparenti, nel fattore di

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Prefazione

forma e nella capacità di gestire il modello d’uso delle singole unità. Altresì ponendo molta attenzione alla stratificazione dei sistemi costruttivi di involucro, lavorando sul rapporto spessore/caratteristiche fisiche del materiale impiegato. I materiali edilizi che Beatrice Spirandelli illustra nel terzo capitolo non a caso provengono perlopiù da filiere naturali di tipo vegetale e animale. La capacità di queste filiere di produzione di controllare l’impatto dalla fase di captazione della materia prima fino all’impiego del materiale in fase di cantiere, restituisce un primo livello di sostenibilità di tipo “rigenerativo”. L’energia inglobata dai materiali è molto bassa, mentre gli stessi possono assicurare alti livelli di prestazione in fase di risposta alle esigenze energetiche connesse al benessere termoigrometrico, all’isolamento acustico e al peso ambientale dei sistemi costruttivi che realizzano. È evidente che tali scelte sono maggiormente controllabili e verificabili nelle fasi di monitoraggio durante l’esercizio, in configurazioni di edifici non troppo complessi e in cui il modello tipologico e d’uso è molto specifico. Si comprende quindi la scelta dell’autrice di proporre casi realizzati con riferimento ad edifici per abitazione, da cui emerge quanto in precedenza riferito sui temi del rapporto tra configurazione dell’edificio/sistemi costruttivi/modello energetico. Vale la pena chiedersi quanto il modello circolare e rigenerativo possa spingersi sempre più avanti per restituire un nuovo modello di “edificio sostenibile” e quanto questo possa essere riferito in un rapporto di scala e funzioni, tanto ad edifici per abitazioni quanto ad edifici più complessi. Emerge quindi la necessità di formulare nuovi paradigmi per un “advanced design process” con riferimento ad edifici sempre più “agili” e a processi di “upcycling” in grado di gestire la trasformazione produttiva da materia prima seconda a nuovi componenti per l’edilizia. Tali processi innovativi sono chiamati a rispondere alla domanda di alte prestazioni in contesti urbani e urbanizzati, in distretti energeticamente autonomi e in transizione, caratterizzati da clima, suolo, aria e risorse differenti, che divengono a tutti gli effetti componenti di un progetto resiliente ed innovativo che guarda almeno verso il 2030. “Essere agili” significa rispondere a tali cambiamenti con alti livelli prestazionali, adattandosi alle mutevoli esigenze e nel contempo innescando processi di innovazione radicale verso sistemi sempre più “circolari”, a livello di progetto, di processo e di prodotto. Le tecnologie abilitanti divengono “i dispositivi di servizio” a tale “performance” ed esse stesse si adattano ai contesti in cui sono chiamate a governare il processo/progetto per produrre “qualità” nell’uso, nel funzionamento, nelle configurazioni dei sistemi urbani e dell’architettura costruita. La città – sottoposta ad uno stress importante in questi anni di forti cambiamenti insediativi e ambientali – da territorio “fragile” diviene il contesto privilegiato e l’ambiente da rendersi resiliente, in cui innescare tali processi e innestare tre livelli di innovazione a beneficio degli utenti/cittadini. (C. Nava, 2019) Un progetto sostenibile ed innovativo, ad alte prestazioni, attraverso: - il controllo delle componenti fisiche città-edificio: il contesto esistente può produrre “sistemi rigenerativi”, rispondenti a nuovi assetti, senza necessità di alti investimenti economici, ma attuando politiche di economia circolare, metabolismo, densificazione, compensazione, resilienza, riciclo, etc attraverso processi di scenario 2030/50, per assetti in transizione energetica (utente-produttore, rinnovabili, smart grid...);

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Prefazione

- l’integrazione di dispositivi digitali città-edificio: utili a informare il progetto dei possibili assetti insediativi e di funzionamento alla scala urbana, con mappature di localizzazione e relazione tra le risorse; la capacità di prevedere, controllare, monitorare e facilitare l’uso dei servizi urbani e del funzionamento degli spazi confinati (performance attivo-passivo), ma anche l’uso di processi e tecnologie avanzate e “smart” al fine di controllare il progetto e la realizzazione di sistemi altamente “adattivi”. L’additive manufacturing (per prototipi in scala), il sensoring, l’integrazione tra sistemi e materiali tradizionali e sistemi e materiali innovativi in sistemi ibridi, il controllo delle prestazioni dell’involucro edilizio in fase progettuale e di uso, il sistema informativo con applicazioni e dispositivi; - il progetto e il processo dei fattori ambientali città-edificio: qualità degli spazi e della costruzione capace di produrre qualità della vita e alti livelli di gestione e sicurezza dei sistemi ambientali, attraverso il controllo di ogni ciclo di vita di processo/prodotto, l’abbattimento delle emissioni climalteranti, la realizzazione di spazi in ambiente resiliente, la capacità di controllare livelli di “compatibilità” e “compensazione” tra sistemi a tutte le scale del progetto e con il coinvolgimento dei differenti sistemi naturali/artificiali. La scelta di un “design” urbano e di edificio capace di definire la propria configurazione sui temi dell’energia, del riciclo e dell’innovazione dei materiali, dei sistemi ibridi, del modello di funzionamento più performante e rispondente al contesto e al ciclo di vita programmato. La sfida di Beatrice Spirandelli, che ha trovato nella sua introduzione al testo i riferimenti anche per questo ultimo scenario da me espresso, fornisce un contributo certamente significativo al tema progettuale e gestionale dei processi costruttivi e alla loro risposta utile alla selezione di materiali naturali e dall’alto profilo ecologico e energetico, in tutto il loro ciclo di vita. Un’ottima base per chi guarda ai temi tradizionali del costruire ma secondo un approccio innovativo, verso scenari sostenibili futuri più “rigenerativi”. Consuelo Nava Ricercatrice universitaria

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INTRODUZIONE

Il concetto di sostenibilità ambientale è nato negli anni Settanta, quando la crisi petrolifera ha imposto una serie di riflessioni sugli effetti che le attività umane comportano sul presente e sul futuro degli abitanti del pianeta. Tuttavia solo negli anni Ottanta il mondo scientifico, e di conseguenza quello politico, hanno realizzato che il futuro delle prossime generazioni era già compromesso e che era necessario agire al più presto per porre dei limiti allo sfruttamento del pianeta che oggi è volto soltanto a soddisfare i bisogni e le ambizioni degli uomini. Nel decennio successivo il comparto edilizio ha cominciato a prendere lentamente coscienza della necessità di ridurre una domanda energetica che fino a quel momento è cresciuta in modo direttamente proporzionale all’evoluzione tecnologica degli impianti. All’inizio del nuovo millennio si è cominciato a parlare di greenbuilding, riferendosi sostanzialmente ad una valutazione dell’impatto ambientale degli edifici limitandosi e focalizzare gli obiettivi a breve periodo, considerando la risposta alle esigenze del cliente e l’ottenimento di condizioni di comfort in riferimento soltanto ad un maggiore livello di efficienza energetica. Si è quindi cominciato a valutare quest’ultima a diverse scale, riferendosi a protocolli di certificazione energetica definiti per calcolare le prestazioni energetiche degli edifici a diversi livelli, che spaziano dagli attestati obbligatori imposti dall’Unione Europea ai certificati volontari “di garanzia” che tengono conto anche della qualità del costruito quali ad esempio i protocolli Casaclima o Passivhaus. Negli ultimi anni il concetto di edificio sostenibile è stato oggetto di una continua evoluzione: l’orizzonte temporale della valutazione delle conseguenze ambientali del costruito si è spostato via via sempre più a lungo termine, fino a che si è acquisita consapevolezza del fatto che ogni edificio ha una propria vita utile durante la quale si deve tener conto anche dell’energia e dei materiali consumati nell’intero ciclo di vita degli elementi e dei prodotti che lo compongono. Le scelte progettuali e costruttive imposte da ogni progetto sono chiamate a garantire nel lungo periodo un’efficienza energetica e ambientale sempre maggiore e in quest’ambito anche le dovute analisi costi e benefici sono state estese ad un arco temporale più ampio. Alla luce di questa consapevolezza diventa opportuno in ogni singolo progetto puntare in primo luogo sull’efficienza energetica dell’involucro piuttosto che su quella degli impianti, in modo da ridurre all’origine il fabbisogno di energia e cominciare a parlare in termini di sufficienza più che di efficienza energetica, un passo indispensabile per giungere eventualmente a parlare di autosufficienza. Dopo avere discusso per anni su come aumentare l’efficienza degli impianti degli edifici “green”, oggi è doveroso approcciarsi ad ogni progetto tenendo conto del fatto che solo se la configurazione

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Introduzione

dell’involucro e l’impiego dei materiali sono corretti l’edificio può diventare energeticamente “sufficiente”, ovvero capace di ridurre il fabbisogno di energia degli impianti in una misura tale da farlo diventare irrisorio. In questa sede il termine “sufficiente” può essere associato all’acronimo nZEB (nearly Zero Energy Building) che nel linguaggio corrente identifica gli edifici a ridotto consumo energetico. Queste considerazioni valgono anche e soprattutto nel momento in cui si affronta la riqualificazione energetica degli edifici esistenti, poiché anche e soprattutto in questo caso i progettisti sono chiamati a ridurre l’enorme impatto che il costruito rappresenta in termini di consumi energetici. La domanda di energia di ogni edificio oggi va analizzata, prevista e contabilizzata in modo sempre più minuzioso per aumentare la consapevolezza della composizione dei consumi e quindi capire dove e come poterli ridurre. Non ci si può più limitare a parlare di fabbisogno energetico per il riscaldamento, il raffrescamento e l’acqua calda sanitaria, ma si devono analizzare anche le altre voci di consumo (e quindi di efficienza) legate all’illuminazione, alla salubrità dell’aria interna (ventilazione meccanica controllata), al trasporto di persone e di cose e all’uso di elettrodomestici e apparecchi elettrici. Solo seguendo questa strada si può cominciare a parlare di “autosufficienza” energetica, un risultato ottenibile coniugando la massima efficienza (quella che poche righe fa abbiamo chiamato “sufficienza”) con la produzione integrata in loco di diverse forme di energia rinnovabile. Le varie normative e i più importanti protocolli di certificazione energetica si stanno muovendo da qualche tempo in questo senso. Se consideriamo la questione ambientale da un altro punto di vista, è ormai noto come oggi, a livello globale, il genere umano stia usando un capitale naturale pari a una volta e mezzo quello che il nostro pianeta ci mette a disposizione e che nel caso non riuscissimo a invertire questa tendenza nel 2030 ci servirà addirittura il doppio delle risorse offerte dalla terra. L’autosufficienza energetica purtroppo non basta ad assicurare un futuro al genere umano e a garantire alle generazioni future la stessa dotazione di risorse che abbiamo a oggi a disposizione. In edilizia questo trend negativo proseguirà fino a quando si continuerà a costruire e riqualificare gli edifici utilizzando per lo più materiali sintetici che nella maggior parte dei casi, alla luce dell’analisi del loro ciclo di vita, si rivelano nocivi sia per il pianeta sia per la salute degli abitanti. Neppure l’impiego massiccio di materiali riciclati si rivela sufficiente a invertire la rotta, anche perché se è vero che essi consentono un minore consumo di materie prime vergini, è altrettanto vero che richiedono comunque l’uso di ulteriore energia di processo durante il proprio ciclo di vita, un fattore da valutare per capire se vale o meno la pena impiegare questo genere di prodotti. A livello globale l’unica strada da intraprendere per invertire la rotta è quella di adottare un modello di sviluppo rigenerativo, ispirato al funzionamento ciclico della natura in cui le parole chiave suonano positive: invece che di sfruttamento o di estrazione si discute di crescita e di sviluppo, invece di dismissione si parla di upcycle, un termine che in italiano non trova un corrispondente ma possiamo spiegare come l’utilizzo di materiali di scarto progettato in modo da creare nuovi prodotti caratterizzati da un valore maggiore del materiale di partenza. L’estrazione e l’impiego di materie prime vergini presenta un grande svantaggio: queste risorse non si rigenerano. Tutte le materie prime utilizzate ad esempio nella produzione del cemento, come la sabbia e la ghiaia, una volta mescolate sono perse

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Introduzione

per sempre in quanto non sono più recuperabili in questa forma, per non pensare agli squilibri ambientali che la loro estrazione comporta. Esistono materiali la cui disponibilità è ancora più compromesse e che nonostante ciò seguitano ad essere estratti dalla crosta terrestre: il ministero dell’economia tedesco aveva calcolato già nel 2005 che le risorse globali di piombo, zinco e stagno sarebbero durate ancora per 25 anni se fossero state estratte con la medesima intensità, e anche il rame ed il ferro stanno cominciando a scarseggiare. Nell’ambito dei processi rigenerativi e circolari il termine scarsità viene sostituito con rinnovabilità, mentre il concetto di “fine vita” tende a scomparire, per il motivo che non ci sono scarti da dismettere, in quanto ogni elemento del sistema è funzionale alla sua evoluzione. Dopo la terza rivoluzione industriale, che ci ha consentito di applicare la tecnologia digitale all’automazione della produzione e che è quella che ci consente di produrre ad esempio murature in argilla cruda mediante una stampante 3D, siamo alle soglie di una quarta rivoluzione che è chiamata a re-introdurre alcuni aspetti biologici nel mondo industrializzato. Una rivoluzione “caratterizzata da una fusione di tecnologie differenti che tende a superare i confini tra le sfera fisica, digitale e biologica” per dirla con le parole di Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum. Affrontare questo nuovo passaggio in edilizia significa innanzitutto utilizzare la quantità minima di materiale indispensabile a realizzare ogni progetto, valutando i prodotti anche in funzione del loro costo ambientale e non solo del prezzo e delle prestazioni, e preferire prodotti di origine naturale, preferibilmente vegetale, realizzati con materie prime coltivate che durante il loro ciclo di vita sono in grado di rigenerare il capitale naturale a nostra disposizione. Ad oggi il mercato propone un intero comparto di prodotti edili anche ad alto contenuto tecnologico che derivano dalla trasformazione di scarti provenienti dal settore agricolo, il cui impiego consente di progettare e costruire edifici anche autosufficienti dal punto di vista energetico contribuendo all’inizio di una nuova era, quella dell’architettura rigenerativa capace nel lungo termine di restituire alle persone ed al pianeta una quantità di risorse maggiore di quelle che solitamente vengono estratte.

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INDICE CAPITOLO 1 - I FONDAMENTI DEGLI EDIFICI PASSIVI . . . . . . . . . . . . . 15 1.1

I presupposti degli edifici passivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

1.2

La salubrità degli ambienti interni

1.3

Le condizioni di comfort

1.4

La convenienza economica

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

1.5

Gli edifici passivi in numeri

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

1.6

I vincoli climatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

1.7

La ristrutturazione energetica profonda degli edifici esistenti

1.8

Fondamenti di edilizia rigenerativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

CAPITOLO 2 - LE REGOLE PROGETTUALI

. 28

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

2.1

L’evoluzione del progetto: dall’architettura vernacolare alla tecnocrazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

2.2

I guadagni passivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2.2.1

2.3

Forma ed esposizione dell’edificio . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

2.2.2

La componente termica passiva dell’energia solare . . . 55

2.2.3

La componente luminosa dell’energia solare

2.2.4

Le superfici trasparenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

Le strutture opache

. . . . . . . . 59

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

2.3.1

L’isolamento termico

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

2.3.2

La massa termica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

2.3.3

I ponti termici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92

2.3.1.1 I materiali isolanti naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

2.3.3.1 I ponti termici geometrici . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 2.3.3.2 I ponti termici lineari: nodi strutturali . . . . . . . . 95 2.3.3.3 I ponti termici puntuali legati alla posa dei serramenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 2.4

2.5

2.6

Ermeticità e traspirabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 2.4.1

La tenuta all’aria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105

2.4.2

La tenuta al vento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

La ventilazione

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

2.5.1

La ventilazione meccanica controllata . . . . . . . . . . . . . . 115

2.5.2

La ventilazione naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124

Cenni di impiantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133

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2.6.1

Impianti di riscaldamento e di produzione di acqua calda sanitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133

2.6.2

Impianti di raffrescamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

2.6.3

Illuminazione artificiale e consumi elettrici . . . . . . . . . . . 141

2.6.4

La produzione di energia da fonti rinnovabili . . . . . . . . 149

CAPITOLO 3 - GLI STRUMENTI PER LA PROGETTAZIONE 3.1

3.2

. . . . . . . 151

I protocolli di certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 3.1.1

Il protocollo di certificazione CasaClima . . . . . . . . . . . . 152

3.1.2

Il protocollo di certificazione Passivhaus . . . . . . . . . . . 156

Sistemi di simulazione e monitoraggio del comportamento energetico degli edifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 3.2.1

La simulazione ante-operam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158

3.2.2

Il monitoraggio post-operam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165

3.3

I dati climatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167

3.4

Materiali edilizi e sistemi isolanti rigenerativi . . . . . . . . . . . . . . . 172 3.4.1

Fibra di legno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183

3.4.2

Sughero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185

3.4.3

Lana di pecora

3.4.4

Fibra di cellulosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 190

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188

3.4.5

Fibra di canapa e calce canapulo . . . . . . . . . . . . . . . . 193

3.4.6

Paglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197

3.4.7

Vetro cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201

3.5

Diagnostica non distruttiva per i controlli in cantiere . . . . . . . . 205

3.6

Valutazione della convenienza economica . . . . . . . . . . . . . . . . 211 3.6.1

Tempo di ritorno attualizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213

3.6.2

Valore attuale netto

3.6.3

Indice di profitto

3.6.4

Costo dell’energia risparmiata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 216

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 214

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215

CAPITOLO 4 - EDIFICI RIGENERATIVI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 4.1

4.2

Casa UD - Restauro di un edificio con paglia, legno e pietra a Chamois (AO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221 4.1.1

Scheda progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221

4.1.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222

Casa SCL - Abitazione elementare in legno e paglia a Vicenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226

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4.3

4.4

4.5

4.6

4.7

4.8

4.2.1

Scheda progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226

4.2.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

Abitazione in legno, paglia e calcecanapulo a Lavagno (VR) . 231 4.3.1

Scheda progetto

4.3.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232

Abitazione bifamiliare certificata in legno e canapa a Pftisch (BZ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236 4.4.1

Scheda progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236

4.4.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237

Abitazione in legno, sughero e canapa a Galzignano Terme (PD) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 4.5.1

Scheda progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241

4.5.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242

Abitazione in legno, paglia e sughero a Magnago (MI) . . . . . . 246 4.6.1

Scheda progetto

4.6.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 246 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247

Abitazione in legno e paglia in Franciacorta (BS) . . . . . . . . . . 251 4.7.1

Scheda progetto

4.7.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252

Abitazione in legno, paglia e sughero a Fara Gera d’Adda (BG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255 4.8.1

Scheda progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255

4.8.2

Descrizione del progetto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 256

APPENDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259 Indice delle Figure, delle Tabelle e Check list . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259 Indice dei crediti alle Figure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269

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I FONDAMENTI DEGLI EDIFICI PASSIVI

1.1 I

PRESUPPOSTI DEGLI EDIFICI PASSIVI

La direttiva europea 2010/31/UE ha impresso una accelerazione ai limiti imposti al consumo energetico per la gestione degli edifici ormai venti anni fa dalla 2002/91/UE, inserendo nuovi parametri di valutazione e spingendo il patrimonio edilizio di nuova costruzione e quello oggetto di ristrutturazione pesante verso una nuova frontiera dell’efficienza energetica. La norma è stata ulteriormente aggiornata di recente attraverso la direttiva 2018/844/UE, con la quale l’Unione Europea ha ribadito con forza che non può esistere altra strada che costruire e riqualificare gli edifici se non rendere l’intero parco immobiliare ad alta efficienza energetica entro il 2050, introducendo un nuovo indicatore di intelligenza che, grazie all’interazione con la rete, potrà adattare il consumo energetico degli edifici alle esigenze reali degli abitanti. Il filo conduttore di queste tre direttive consecutive è il concetto di “edifici a energia quasi zero”, altrimenti detti nZEB (nearly Zero Energy Building), una nozione in teoria condivisa tra i diversi stati membri, che però non è mai stata specificata in modo univoco: ogni nazione ne ha proposto una definizione differente e di conseguenza, ha imposto diversi parametri di progetto da rispettare, che variano in genere in funzione della tipologia costruttiva prevalente e della fascia climatica di riferimento. Quel “Quasi” inserito nell’acronimo è un avverbio che esprime il concetto che “la quantità, la qualità, la condizione espressa dalla parola seguente non è pienamente raggiunta (...) ” (Treccani). Per contro possiamo dire che il concetto di edificio passivo, che non è usato in ambito normativo, risulta invece più definito, in quanto si riferisce ad un obiettivo oggettivo, espresso in una serie di limiti prestazionali da rispettare. Questi ultimi a loro volta, sono passibili di controlli strumentali che aiutano a determinare con un buon livello di precisione se le strategie adottate consentano effettivamente di ridurre in maniera significativa i consumi dell’edificio, mantenendo il massimo livello di comfort per gli occupanti in qualsiasi soluzione climatica ci si trovi.

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Co3ilere g u G neatomiali ti-ri itinisi 3oppizi

Tabella 1.1.1 - L’approccio progettuale ideale per gli edifici passivi. FASI

RISCALDAMENTO

RAFFRESCAMENTO

ILLUMINAZIONE

Prima fase Progettazione preliminare dell’edificio

Conservazione 1. Rapporto S/V 2. Isolamento termico 3. Tenuta all’aria

Prevenzione del calore 1. Ombreggiamento 2. Colore esterni 3. Isolamento termico

Luce naturale 1. Aperture 2. Tipologia di vetro 3. Finiture interne

Seconda fase Energie naturali e tecniche passive

Solare passivo 1. Guadagno diretto 2. Muri di Trombe 3. Serre solari

Raffrescamento passivo 1. Raffrescamento evaporativo 2. Raffrescamento convettivo 3. Raffrescamento radiante

Luce naturale 1. Lucernari 2. Mensole di luce

Terza fase Impianti meccanici ed elettrici

Riscaldamento 1. Caldaia 2. Distribuzione 3. Combustibile

Raffrescamento 1. Macchina refrigerante 2. Distribuzione 3. Terminali di diffusione

Luce artificiale 1. Lampade 2. Corpi illuminanti 3. Distribuzione dei corpi illuminanti

Il progetto di un edificio passivo è volto a ottenere un ottimo livello di comfort non solo termoigrometrico ma anche illuminotecnico e a ridurre il valore di tutte le voci di consumo presenti nell’edificio. L’approccio progettuale è il medesimo nella definizione del fabbisogno di energia per il riscaldamento, il raffrescamento e l’illuminazione e inizia in ogni caso con considerazioni di base che sfruttano i principi della bioclimatica per poi continuare nella definizione delle possibilità di sfruttare in modo passivo fonti di energia naturale gratuita e soltanto nell’ultimo step volge l’attenzione agli impianti, che vengono scelti e progettati in nome della massima efficienza. La filosofia costruttiva che sta alla base degli edifici passivi è nata nel 1995 dall’intuizione di un fisico tedesco, Wolfgang Feist, e dalla sua volontà di costruire per sé e per altre due famiglie un edificio che risultasse salubre e confortevole con una spesa energetica ragionevole. Dalla sua esperienza personale è nato un protocollo di progettazione e certificazione degli edifici capace di guidare i progettisti nel compiere le scelte più efficienti in funzione delle esigenze degli utenti, delle caratteristiche del luogo e del clima, al fine di ottenere il massimo comfort al minimo costo energetico e di garantire il tutto ai committenti attraverso il rispetto di un rigido protocollo di controlli che si effettuano durante e dopo la costruzione dell’edificio. Le tipologie di edifici passivi realizzate secondo questo protocollo ad oggi non si limitano alla residenza ma si estendono, anche in Italia, a svariati esempi di scuole, alberghi, edifici per uffici, negozi e qualsiasi altra tipologia funzionale. Una strada analoga, seppur con alcune differenze circa le procedure di calcolo e di valutazione, è stata intrapresa negli ultimi anni anche da altri enti ed istituti, tanto che ad oggi nel mercato sia italiano che internazionale si trovano svariati protocolli certificazione energetica degli edifici, ognuno dotato di un software specifico per il calcolo delle prestazioni dell’edificio. Oltre allo standard Passivhaus, tra i protocolli più conosciuti in Italia c’è Casaclima, nato, nel 2002 per iniziativa della Provincia Autonoma di Bolzano come passo ob-

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bligato per ottenere il certificato di abitabilità nella regione Alto Adige. Questo secondo protocollo è diventato ad oggi un sistema di certificazione volontario che valuta il consumo energetico degli edifici anche al di fuori del territorio provinciale, dotato di un proprio protocollo di progettazione e di un efficace sistema di controlli. Un altro esempio è lo Standard Minergie, nato in Svizzera alla fine degli anni Novanta e ad oggi diventato uno standard di riferimento progettuale a livello nazionale. Quest’ultimo si basa su un protocollo di valutazione applicabile a diversi livelli, tra cui il Minergie P che si richiama apertamente allo standard passivo. Al contrario di quello che succede nel Protocollo Passivhaus, Minergie obbliga ad utilizzare energia proveniente da fonti rinnovabili. In tutti i casi sopracitati i punti fermi che un progettista è tenuto a rispettare nel definire un edificio passivo riferito al clima dell’Europa centro meridionale sono comuni, pochi e chiari: - coibentazione termica di grande qualità che interessi l’intera superficie disperdente senza soluzione di continuità; - elementi trasparenti ben orientati e caratterizzati da una trasmittanza termica bilanciata che consenta di sfruttare l’apporto solare con un grado ragionevole di dispersione termica; - minimizzazione di tutti i ponti termici; - strato di tenuta all’aria dell’involucro realizzato senza soluzione di continuità, disposto verso il lato interno di tutti gli ambienti riscaldati; - impianto di ventilazione meccanica a recupero di calore caratterizzato da una elevata efficienza. Gli edifici progettati secondo la filosofia passiva sono volti innanzitutto a limitare la domanda energetica puntando principalmente su involucri edilizi fortemente coibentati, praticamente privi di ponti termici, sigillati contro le infiltrazioni d’aria e per questi motivi sicuri circa la formazione di muffe e umidità. Il bilancio energetico delle costruzioni poste nei climi più freddi conferisce un’estrema importanza al massimo sfruttamento degli apporti “passivi” (da cui prendono il nome), che possono derivare da un corretto orientamento delle aperture capaci di sfruttare l’energia derivante dall’irraggiamento solare e dalla produzione indiretta di calore che avviene a seguito della presenza di persone e di apparecchi elettrici. La cura richiesta nel progetto e nella costruzione di questi involucri è estrema, in quanto gli stessi sono chiamati a garantire il massimo comfort per gli abitanti con una domanda energetica molto ridotta, difendendo gli ambienti interni dalla oscillazione delle temperature che avviene all’esterno. Per questo motivo nella costruzione di edifici passivi sono indicati materiali da costruzione dotati di una massa termica significativa, che aiutano a trattenere i guadagni passivi utili durante l’inverno per sfruttarli nelle ore più fredde della giornata; gli stessi d’estate consentono di proteggere gli ambienti interni dal surriscaldamento. Assieme alla massa, anche l’isolamento termico delle pareti e la presenza di opportune schermature solari possono aiutare nel compito di mantenere freschi gli ambienti durante i mesi estivi o nei climi più caldi e a ridurre la bolletta energetica legata al raffrescamento, che è diventata una spesa sempre più significativa nell’ambito della gestione del comfort domestico soprattutto in area mediterranea. Un edificio passivo può essere realizzato in qualsiasi fascia climatica del mondo sem-

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Capitolo 1 - I fondamenti degli edifici passivi

plicemente modificando le strategie di progettazione in funzione dei parametri climatici del luogo, mantenendo sempre come riferimento l’architettura vernacolare bioclimatica che nel corso della storia ha saputo costruire edifici capaci di sfruttare i vincoli climatici a proprio favore. Il fatto che gli edifici passivi siano adatti solo ai climi freddi è uno dei tanti miti da sfatare, come non è vero il fatto che essi possano essere costruiti esclusivamente su lotti particolarmente soleggiati. Non è neppure vero che gli stessi edifici si riscaldano o si raffrescano “da soli”. È invece vero che per garantire un ottimo livello di comfort è necessario generare un minimo di energia, attraverso un piccolo boiler, una pompa di calore, un aggregato compatto o una batteria di post-riscaldamento/raffrescamento, apparecchi per cui in genere il consumo è talmente ridotto che può essere compensato con la produzione di energia da fonti rinnovabili tramite impianti installati direttamente sull’edificio ed ottenere così un sistema autosufficiente dal punto di vista energetico. Con un piccolo sforzo ulteriore è possibile arrivare alle cosiddette plusenergiehaus, edifici che producono più energia di quanto ne consumano, solitamente premiati con livelli di certificazione di grado superiore. Un’ulteriore opinione comune che non corrisponde al vero è che un edificio passivo debba essere talmente sigillato da non potere aprire i serramenti. Come negli edifici “normali”, anche in questo caso tutte le finestre sono apribili ma non si sente il bisogno di spalancarle in virtù del fatto che è presente un sistema di ventilazione meccanica controllata che rinnova continuamente l’aria ambiente, filtrandola prima di immetterla dall’esterno e consentendo così di mantenere costantemente un livello elevato di salubrità degli ambienti. In certe condizioni climatiche e durante le notti d’estate, ovvero quando diventa antieconomico per l’edificio alimentare l’impianto di raffrescamento con energia elettrica, la ventilazione naturale è fortemente consigliata. Infine si pensa comunemente che gli edifici passivi presentino una estetica anonima e codificata e che questa filosofia costruttiva comporti costi estremamente più elevati rispetto ad edifici “ad energia quasi zero”. La realtà ha dimostrato che un bravo team di progettisti è in grado di ottenere edifici dalle forme più svariate e accattivanti, con extracosti che non superano il 10% rispetto agli ordinari costi di costruzione; questa somma aggiuntiva deve essere considerata come un investimento che permette di ridurre notevolmente i consumi per la gestione degli edifici. Il sovra costo risulta esiguo spesso in virtù del fatto che la spesa maggiore richiesta da un involucro ben isolato e costruito accuratamente è bilanciata da un investimento molto ridotto per gli impianti di climatizzazione. Un esborso economico maggiore è in genere richiesto quando si affronta la ristrutturazione di un edificio con l’obiettivo di adeguarlo allo standard passivo, a fronte però di una riduzione dei costi di gestione per la climatizzazione fino al 90% Tabella 1.1.2 - I presupposti delle case passive. I PRESUPPOSTI DELLE CASE PASSIVE • • • •

Maggiore comfort e salute per gli occupanti. Minori costi di manutenzione. Minori costi di gestione. Minore inquinamento.

• Ridotto consumo di combustibili fossili. • Produzione di CO2 alquanto ridotta. • Maggiore valore dell’edificio.

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1.2 LA

SALUBRITÀ DEGLI AMBIENTI INTERNI

In genere le persone passano più del 90% del proprio tempo in ambienti chiusi e confinati, dove nel caso non si effettui un ricambio sufficiente e continuo di aria pulita i contaminanti presenti circolano e si diffondono analogamente a quanto succede negli ambienti esterni. Per essere più precisi, la quantità e la concentrazione di agenti inquinanti presenti nell’aria degli ambienti interni può arrivare ad essere il doppio di quelle che caratterizzano l’aria esterna, per il fatto che in un ambiente confinato in cui stazionano diverse persone occupate a compiere le attività più disparate la qualità dell’aria peggiora con il passar del tempo. La qualità dell’aria di un ambiente tende a peggiorare naturalmente per la sola presenza di persone al suo interno, in quanto a seguito della loro attività metabolica e respiratoria il contenuto di ossigeno decresce, aumentano quello di biossido di carbonio (CO2) e l’umidità relativa dell’aria, e inoltre si sviluppano cattivi odori. L’aria diventa viziata e viene considerata esausta quando la concentrazione di CO2 supera lo 0,07%. A questi elementi si aggiungono le emissioni di molte sostanze chimiche utilizzate in maniera sempre maggiore per il rivestimento, l’arredo e la pulizia degli ambienti interni. Si tratta sostanzialmente di agenti inquinanti come la formaldeide e i composti organici volatili (cosiddetti VOC), in aggiunta alle particelle di fumo, che oltre ad una certa concentrazione risultano nocivi. A fronte di questa situazione non sempre l’aria interna degli ambienti viene ricambiata in modo continuo e regolare, soprattutto durante le stagioni caratterizzate da temperature estreme. In assenza di un impianto di ventilazione meccanica controllata, in edifici sigillati per questioni di efficienza energetica si tende comunque a non aprire le finestre per pigrizia o per contenere le perdite termiche per ventilazione. A fronte di questa situazione nel 1983 l’OMS ha riconosciuto che la presenza di VOC (ovvero Sostanze Organiche Volatili), associata a una scarsa ventilazione degli ambienti sono tra le cause di una malattia chiamata Sindrome dell’Edificio Malato, in inglese “Sick Building Syndrome” (SBS), la quale provoca negli occupanti generici disturbi di salute avvertibili esclusivamente durante la permanenza in ambienti confinati. Un secondo fattore critico per la qualità dell’aria negli edifici è la quantità di vapore acqueo che si genera al loro interno in seguito a svariate attività (come ad esempio docce, l’utilizzo di elettrodomestici, ecc.), che nei casi in cui i locali non vengano correttamente ventilati e le pareti non risultino sufficientemente isolate dal punto di vista termico può essere causa dell’insorgenza di fenomeni di muffa e condensa. La soluzione definitiva al problema della condensa è in genere un buon isolamento termico dell’involucro, che dovrebbe essere combinato con la riduzione del contenuto di umidità dell’aria ottenuta attraverso un migliore arieggiamento dei locali, effettuato possibilmente in maniera sicura e continua tramite un sistema di ventilazione meccanica controllata. Un ultimo, ma non meno importante, problema che interessa la qualità dell’aria negli ambienti chiusi è la presenza di radon, un gas radioattivo che dal sottosuolo può permeare negli edifici e che in certi casi può essere contenuto nei materiali da costruzione. Esso rappresenta la seconda causa di morte per tumore ai polmoni dopo il fumo di sigaretta e viene in genere emanato dalle rocce e dal suolo da cui penetra,

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attraverso fessure presenti nell’involucro murario, nei locali sotterranei da dove, attraverso porte, scale interne, fori passanti, fessurazioni di solette e pavimenti, può migrare ai piani superiori, con una concentrazione decrescente in funzione dell’altezza dell’edificio. La presenza di uno strato di tenuta all’aria all’interno degli edifici passivi, abbinata alla realizzazione di una barriera anti-radon eseguita in corrispondenza delle fondazioni, è un valido sistema di prevenzione da questo genere di inquinante. Tabella 1.2.1 - Sorgenti di inquinamento interno. LE PRINCIPALI FONTI DI INQUINAMENTO INTERNO ARIA ESTERNA

combustione, inquinamento industriale, traffico, pollini, ecc.

EDIFICIO

materiali edilizi, arredi, impianti, prodotti per la pulizia, ecc

IMPIANTI

riscaldamento, raffrescamento, ventilazione meccanica (filtri, condotti, umidificatori, ecc.)

ATTIVITÀ UMANE

fumo di sigaretta, uso di stampanti laser, prodotti per la pulizia e l’igiene personale, ecc.

In termini di qualità dell’aria interna, la misura dell’esposizione agli inquinanti nel tempo è espressa in μg/m3 o ppm (parti per milione), ovvero dalla concentrazione di inquinanti che è dipendente da vari parametri. La produzione di inquinanti riferita ad una determinata sostanza si misura invece in μg/s o μg/s per m2 di superficie di emissione.

La ventilazione comprende un insieme di operazioni volte a sostituire, in tutto o in parte, l’aria “viziata” presente in uno spazio confinato con aria pulita ed è considerata una funzione necessaria per ricambiare l’aria interna in modo da mantenere i corretti livelli di ossigeno e una buona qualità in termini di purezza, temperatura e umidità. Dal tempo della crisi energetica, e oggi in misura sempre maggiore, si tende a sigillare gli edifici per contenere le perdite o i guadagni di calore per ventilazione, senza però imporre alcun sistema di ventilazione meccanica e contribuendo di fatto ad un minore livello di salubrità dell’aria interna. Negli anni ’70, in regime di embargo petrolifero, il volume d’aria esterna di ricambio era sceso fino ai 5 m3/h, quando oggi il minimo consigliato è di quattro volte superiore, ed i sistemi di ventilazione meccanica controllata in ambito domestico erano pressoché sconosciuti.

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Tabella 1.2.2 - Fabbisogno di aria fresca di una persona. FABBISOGNO DI ARIA FRESCA DI UNA PERSONA Il tasso di ventilazione minimo per la salute delle persone in un edificio indicato nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, calcolabile attraverso un approccio integrato che combina il controllo delle emissioni alla fonte con una buona ventilazione, è di almeno 4 litri/secondo per persona, se si considera soltanto il carico inquinante dovuto alla attività umana all’interno dei locali. In genere questi valori vengono poi tarati in base all’attività svolta dalle persone per cui si considera: Lavoro sedentario

= 20-40 m3/h per persona

Lavoro non sedentario

= 40-60 m3/h per persona

Lavoro fisico pesante 

=> 65 m3/h per persona

Le norme tecniche italiane UNI EN 13779 (Ventilazione degli edifici non residenziali - Requisiti di prestazione per i sistemi di ventilazione e di climatizzazione) e UNI EN 10339 (Impianti aeraulici ai fini di benessere - Generalità, classificazione e requisiti) definiscono i diversi livelli di qualità dell’aria interna con l’acronimo IDA (Indoor Air Quality). In caso di edifici in cui non sia consentito fumare e si svolgano attività sedentarie, le norme indicano che il quantitativo minimo pro capite di aria esterna per garantire il livello di qualità dell’aria minimo deve essere di almeno 22 m3/ora/persona, mentre per raggiungere il livello più elevato previsto da queste norme si necessita almeno di 54 m3/ora/persona di aria pulita; le quantità vanno raddoppiate nel caso ci si trovi in un locale in cui è consentito fumare.

Nel caso non si disponga di un sistema di ventilazione meccanica controllata l’unico modo per aerare un locale è aprire le finestre, un gesto che dipende dal comportamento dell’utenza, ovvero dal fatto che qualcuno si ricordi o intenda farlo regolarmente. Il tasso ottimale di ricambio d’aria in un’abitazione è in genere pari a 0,5 volumi ora, il che in pratica significa che ogni due ore si dovrebbero aprire le finestre per circa 10-15 minuti. Soprattutto nelle stagioni o nei climi estremi, aprire le finestre è diventato un gesto sempre meno diffuso anche perché comporta una temporanea mancanza di comfort all’interno degli ambienti e una dispersione energetica notevole (almeno il 20% del fabbisogno termico può essere determinato dalla dispersione termica provocata da correnti d’aria che attraversano l’involucro). La presenza di un impianto di ventilazione controllata dà la garanzia che l’aria venga costantemente rinnovata con un flusso pulito indipendentemente dal comportamento dell’utenza e offre la possibilità di controllarne la qualità tramite opportuni filtri che non consentono l’ingresso di pollini, smog o altri genere di inquinanti che entrano solitamente dall’esterno. Se l’impianto è dotato di un sistema a recupero di calore esso può anche trattenere in buona parte l’energia termica che altrimenti andrebbe dispersa con il ricambio dell’aria.

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Check list 1.2.1 - La salubrità degli ambienti.

Alcuni fattori che possono creare problemi per la qualità dell’aria interna • l’uso di materiali asbestosi durante la costruzione dell’edificio; • uno scorretto stoccaggio dei materiali da costruzione, che potrebbe immettere nell’edificio contaminanti vari; • la costruzione di cappotto termico interno se non associato alla presenza di una barriera al vapore e/o di un impianto di ventilazione meccanica controllata; • una posizione scorretta delle prese di aria esterna dell’impianto di ventilazione meccanica controllata; • una manutenzione insufficiente dei filtri di eventuali impianti di climatizzazione ad aria, nonché degli impianti di ventilazione meccanica controllata; • l’impiego di materiali sintetici, soprattutto di rivestimento e arredo, caratterizzati da elevate emissioni di VOC; • l’uso di materiali e finiture impregnati di sostanze chimiche nella posa e nella finitura dei rivestimenti interni, come ad esempio colle, sostanze preservanti, vernici; • l’uso di pesticidi per il controllo di insetti; • la pulizia degli ambienti con detersivi aggressivi.

1.3 LE

CONDIZIONI DI COMFORT

Un edificio passivo chiede a conduttori ed occupanti di aderire ad un comportamento più consapevole dal punto di vista energetico. Analizzando in maniera più approfondita gli obiettivi principali di questa filosofia progettuale emerge che l’efficienza energetica è solo una delle conseguenze della sua applicazione. Lo scopo principale in un edificio passivo è ottenere il massimo livello di comfort per gli occupanti, in modo da assicurare loro ambienti privi di spifferi, con superfici caratterizzate da una temperatura il più possibile vicina a quella dell’aria ambiente, mai freddi né surriscaldati e sempre provvisti di aria fresca e pulita. Gli spifferi d’aria, che nel bilancio energetico rappresentano le dispersioni per ventilazione, sono una delle più fastidiose cause di discomfort termico in un edificio e per annullare il loro effetto in questo senso richiedono un notevole innalzamento della temperatura ambiente. Lo standard della casa passiva assicura contro questo tipo di dispersione richiedendo che ogni edificio venga letteralmente sigillato tramite uno strato di tenuta all’aria che rivesta dall’interno senza soluzione di continuità tutta la superficie disperdente dell’edificio. Questa strategia garantisce anche contro la formazione di condensa all’interno dell’involucro edilizio, in quanto impedisce la circolazione nella struttura di aria calda e umida che potrebbe andare a contatto con superfici più fredde e condensare, creando sia problemi di salubrità dell’aria che di sicurezza delle strutture. La tenuta all’aria in un edificio passivo viene controllata tramite un test specifico, chiamato Blower Door Test, che si effettua a fine costruzione per verificare che nel momento in cui l’involucro disperdente viene sottoposto ad una pressione di 50 Pascal non subisca perdite per ventilazione naturale maggiori di 0,6 ricambi d’aria all’ora, che possono facilmente

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avvenire attraverso le irregolarità che si possono trovare nelle congiunzioni tra le strutture e soprattutto nei punti in cui sono installate porte e finestre. Per compensare questa “sigillatura” estrema dell’involucro è necessario immettere aria pulita all’interno degli ambienti attraverso un impianto di ventilazione meccanica controllata, che introduce aria alla velocità e alla temperatura giusta per garantire massimi livelli di comfort ed estrarre nel contempo una analoga quantità di aria viziata. Gli standard legati agli edifici passivi in genere impongono per climi freddi e temperati l’impiego di sistemi di ventilazione meccanica controllata che immettano almeno 30 metri cubi di aria fresca per persona, e che attraverso sistemi di recupero di calore permettano di ridurre le dispersioni termiche per ventilazione. Un secondo requisito a favore del comfort che gli edifici passivi offrono è legato alla temperatura interna superficiale delle superfici disperdenti, che deve necessariamente rimanere al di sopra dei 17 ° C nel caso la temperatura dell’aria interna si mantenga a 20 °C e l’umidità relativa sia compresa tra il 50% ed il 70%, in modo da scongiurare la formazione di condensa e di muffa. Anche la temperatura superficiale delle finestre deve essere la più possibile vicina a questi valori in modo da non generare una situazione di asimmetria radiante, che è una delle cause del discomfort termico. Sempre in tema di comfort, è opportuno progettare gli edifici agevolando non solo i guadagni solari passivi durante la stagione fredda, ma prevedendo sistemi di ombreggiamento esterni capaci di evitare situazioni di surriscaldamento interno durante i giorni più caldi ed evitare che la temperatura durante la stagione estiva non ecceda i 25 °C se non per massino il 10% del tempo dell’anno.

1.4 LA

CONVENIENZA ECONOMICA

Sul versante dei costi, cimentarsi nel progetto di un edificio passivo significa essere consapevoli che, se è vero che il committente sarà chiamato ad investire una somma di denaro più elevata rispetto a quella richiesta per un progetto che risponda semplicemente ai requisiti minimi richiesti dalle norme per il contenimento dei consumi energetici, è anche vero che è indispensabile effettuare una seria analisi costi - benefici per individuare le strategie progettuali più corrette in funzione del clima e della tipologia di edificio in modo da conseguire i risultati migliori ad un costo accettabile. L’inevitabile sovracosto legato all’aumento dell’efficienza energetica può essere contenuto se ci si avvale fin dalle fasi preliminari di un consulente qualificato preparato nella progettazione di edifici passivi, in quanto le decisioni principali che hanno un impatto decisivo sulle performance energetiche e sui costi di costruzione vengono prese proprio in questa fase. Per questo motivo tutti gli attori coinvolti nel processo dovrebbero essere interpellati fin dalle fasi preliminari, compreso il costruttore che solo se diventa più consapevole dell’importanza dei diversi dettagli costruttivi può contribuire in prima persona alla riduzione dei costi. In genere è possibile contenere l’aumento dell’esborso complessivo dei costi di costruzione finale ad un incremento del 10% rispetto agli edifici ordinari. Per ottenere questi risultati non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo principale di questo genere di progetti, che è garantire la realizzazione di edifici salubri e confortevoli in

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virtù di una buona qualità costruttiva, evitando di spingere in modo estremo il parametro di coibentazione termica dell’edificio oltre al necessario e di installare sistemi impiantistici non indispensabili. In altre parole il progettista e i suoi consulenti devono essere capaci di valutare quali sono le strategie passive, gli spessori d’isolamento termico e l’entità della massa termica che garantiscono il migliore investimento economico in termini di rapporto costi benefici. La definizione della convenienza di un intervento volto a ottimizzare i costi di costruzione in funzione degli obiettivi di risparmio energetico dovrebbe basarsi sul calcolo della quantità di energia risparmiata e non trascurare i costi di gestione e di manutenzione. Molto importante è anche la definizione del tempo di ritorno degli investimenti, che deve essere inteso in senso dinamico e risultare inferiore alla vita utile di ogni componente impiegato nella costruzione. Nel gruppo di lavoro europeo Task 40 dell’International Energy Agency (IEA), che lavora all’identificazione di una comune definizione di nZEB, si è parlato a questo proposito di “livello di performance energetica che comporti il costo più basso durante il ciclo di vita economico stimato, pari a circa 30 anni”. Se il progetto dell’efficienza energetica dell’involucro presenta una serie di limiti oggettivi che non gli permettono di annullare completamente i fabbisogni di energia dell’edificio al fine di conseguire determinati livelli di comfort al suo interno, è altrettanto vero che installare impianti efficienti in edifici caratterizzati da involucri disperdenti non rende alcuna giustizia alla efficienza dell’impianto, che verrebbe così sminuita diminuendo la convenienza complessiva dell’investimento. Anche i sistemi impiantistici più performanti presenti in commercio non assicurano gli elevati rendimenti prospettati se non vengono accoppiati ad involucri sufficientemente coibentati dal punto di vista termico. L’involucro edilizio è la componente che di norma presenta una durata nettamente maggiore rispetto a tutte quelle che compongono l’edificio, impianti compresi, e che nel contempo comporta minori costi di gestione e manutenzione. Per questo motivo solo in presenza di un edificio correttamente orientato e coibentato, provvisto di un involucro a tenuta all’aria, si può pensare di sfruttare in modo economicamente efficiente gli impianti e magari arrivare anche a produrre in loco una quantità anche maggiore dell’energia necessaria al suo funzionamento. In questo senso gli edifici passivi possono essere intesi come un punto di partenza e non di arrivo per le future generazioni di progettisti, che saranno capaci di superare questo concetto con una produzione efficiente di energia rinnovabile che consentirà di costruire edifici capaci di produrre più energia di quanta ne richiedano per l’ottenimento di condizioni di comfort, svincolandosi completamente dall’uso di fonti energetiche fossili. I rigorosi calcoli richiesti in genere dagli standard di progettazione e di certificazione per la definizione della domanda energetica degli edifici passivi permettono di prevedere con un’ottima approssimazione il consumo energetico annuo dell’edificio (senza dimenticare che esso dipende anche dal comportamento degli occupanti) e quindi i costi di gestione e di manutenzione, sempre tenendo presente l’evoluzione del costo dell’energia nel tempo. Questi calcoli devono tenere conto di una serie di dati quali l’investimento necessario per rispettare i parametri richiesti da un edificio passivo, la vita utile dello stesso e la rata di interesse sul capitale investito. Nel progetto di un edificio passivo vi sono anche valori che difficilmente possono essere

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quantificabili e quindi determinabili a livello economico, quali l’aspetto estetico, un maggiore livello di comfort che influisce sulla qualità della vita, una migliore qualità dell’aria e le ricadute positive in senso ambientale e sociale.

1.5 GLI

EDIFICI PASSIVI IN NUMERI

L’edificio passivo è il risultato di una strategia progettuale mirata ad ottenere livelli massimi di comfort e salubrità al suo interno attraverso scelte indirizzate verso il miglior rapporto costi benefici in termini sia energetici che economici. I presupposti di questa strategia sono stati definiti dal dottor Wolfgang Feist all’inizio degli anni 90, il quale li ha testati dapprima costruendo una abitazione plurifamiliare a Darmstadt (dove lui stesso abita tuttora), e passando poi a diffonderli nel 1996, tramite la fondazione del Passivhaus Institut. Il numero degli edifici certificati da questo istituto oggi nel mondo è di gran lunga maggiore alle diecimila unità, la maggior parte dei quali è stata costruita nell’Europa centrale negli ultimi anni. La distribuzione geografica degli edifici certificati sta variando grazie all’evoluzione delle conoscenze in materia e delle ricerche dell’Istituto che hanno preso in considerazione anche climi diversi da quelli dell’Europa Centrale, per cui si è cominciato a costruire seguendo questa filosofia costruttiva in tutte le zone climatiche: dalla Cina al Messico e dalla Nuova Zelanda al Canada, passando per l’India. Anche in seguito alle ricerche svolte da numerosi istituti universitari e alla diffusione di questi principi da parte di enti analoghi all’Istituto Passivhaus, si può affermare che il numero totale di edifici passivi nel mondo è senza dubbio almeno quattro volte in più quello di quelli certificati. In Italia agli edifici targati Passivhaus si possono aggiungere quelli certificati Casaclima Oro e quelli che hanno ricevuto il beneplacito dall’Istituto Italiano Case Passive; nei vari casi non si tratta solo di edifici residenziali ma anche di scuole di ogni ordine e grado, alberghi, edifici pubblici, edifici per uffici e produttivi. In genere nel progetto di un edificio passivo i professionisti coinvolti sono chiamati ad ottenere ottime condizioni di comfort termoigrometrico sfruttando al massimo le strategie passive proprie della bioclimatica, in modo da limitare le voci di consumo corrispondenti sia al fabbisogno energetico di energia primaria per il riscaldamento che a quello per il raffrescamento a valori generalmente inferiori ai 10 - 15 kWh/m2 anno a seconda dei protocolli di valutazione e certificazione adottati. Il limite di consumo globale per tutti gli usi che richiedono un consumo di energia deve essere generalmente inferiore a 120 kWh/m2 anno o comportare una emissione di CO2 inferiore ai 15 kg eq/mq anno. Gli usi energetici complessivi comprendono generalmente il fabbisogno di energia per climatizzazione invernale ed estiva, per la generazione di acqua calda sanitaria per la VMC, per l’alimentazione degli impianti di illuminazione artificiale e di tutti gli usi elettrici. È importante rilevare come nei protocolli citati questi fabbisogni non possano essere compensati in alcun modo con la produzione di energia da fonti rinnovabili, che è consigliata ma non obbligatoria proprio per rimarcare l’importanza che assumono l’orientamento, la compattezza e la qualità dell’involucro termico in questo genere di edifici. Se il corpo di fabbrica è ben orientato e l’involucro è ben coibentato, alle nostre latitudini il carico specifico per il riscaldamento di un edificio nei giorni più freddi

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dell’anno dovrebbe risultare inferiore a 10 W/m2, un valore che in linea di massima rende possibile riscaldare gli ambienti usando soltanto l’aria di mandata dell’impianto di ventilazione meccanica, evitando quindi i costi di installazione e di gestione di un impianto di riscaldamento tradizionale. Per contro, sempre nel clima mediterraneo temperato, prevenire gli ambienti interni dal surriscaldamento significa in genere garantire per più del 90% della stagione una temperature ambiente inferiore a 25° C. I requisiti minimi che l’involucro è chiamato a soddisfare per rispettare lo standard Passivahus in zona mediterranea sono in genere una trasmittanza di tutti gli elementi costruttivi intorno agli 0,8 W/m2K (che è consigliabile scenda sotto gli 0,15 W/m2K per le componenti opache), la massima correzione dei ponti termici (la trasmittanza lineica consigliata è inferiore a 0,01 W/mK) e una tenuta all’aria che consenta dispersioni per ventilazione inferiori ad un ricambio orario di 0,6 volumi, misurato attraverso un Blower Door Test. Ma mentre quest’ultimo requisito è vincolante, i valori che indicano le prestazioni termiche di componenti opache, trasparenti e ponti termici possono essere calibrati dai progettisti in funzione delle strategie progettuali che si è deciso di adottare, oltre che della fascia climatica di riferimento. Le soluzioni e i dettagli costruttivi adottabili per ottenere un livello di consumo analogo a quello di un edificio passivo variano infatti sensibilmente a seconda del luogo in cui ci si trova, perché è evidente che c’è differenza fra un edificio costruito a Bolzano ed uno al centro e al Sud Italia, dove gli inverni sono meno rigidi ed è invece maggiore l’energia richiesta per il raffrescamento degli ambienti. Tabella 1.5.1 - Cosa perseguire e cosa evitare nel progetto di un edificio passivo. NO

SI

• Sperare che funzioni • Affidarsi a soluzioni standardizzate offerte dal mercato senza verificarne l’effettiva validità • Ricorrere a manodopera non qualificata in costruzioni ed elevata efficienza energetica • In fase di cantiere non procedere a visite periodiche e controlli

• Investire tempo nella progettazione (il vero investimento utile per il funzionamento del progetto!) • Ricorrere ad un consulente preparato in tema di edifici passivi • Aggiornare periodicamente ed accuratamente tutte le voci del progetto • In fase di cantiere procedere a visite periodiche e minuziosi controlli • Ricorrere a manodopera specializzata e formata adeguatamente • Rimediare ad eventuali errori prima possibile • Affidarsi ad un sistema serio di certificazione della qualità energetica degli edifici, che preveda controlli e misure in fase di consegna del cantiere

1.6 I

VINCOLI CLIMATICI

Il progetto di un edificio passivo dovrebbe essere calibrato rispetto ai fattori climatici tipici della zona di progetto e nel contempo adottare un obiettivo ecologico primario quale l’ottimizzazione dell’impiego delle risorse naturali. Il primo passo da compiere

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per comprendere le strategie più adatte per la climatizzazione passiva e l’illuminazione naturale in un determinato luogo è l’analisi dell’architettura vernacolare diffusa, ovvero la cosiddetta “architettura senza architetti”, che è capace di fornire una serie di regole definite spesso, in modo empirico, con l’obiettivo di ottenere il risultato migliore con il minimo impiego possibile di risorse. Le pratiche costruttive tradizionali locali in genere sfruttano la forma degli edifici più adatta per il clima (compatta nei climi freddi e dilatata nei climi più caldi), traggono il meglio dai materiali da costruzione presenti in loco e rispettano le elementari regole della bioclimatica. Una volta individuata la strategia vernacolare prevalente, è possibile ottimizzare le performances energetiche del sistema tramite l’impiego di materiali e tecniche innovativi. Uno dei punti cardine del progetto di un edificio passivo è capire il contesto geografico e climatico, in modo da poter sfruttare al meglio le forze della natura a proprio favore; ad esempio l’impatto del sole e del vento in un luogo dipendono dalla latitudine e dalla longitudine, dalla vicinanza a mari, laghi, monti o colline. È quindi necessaria una analisi climatica del contesto per capire quali sono le risorse della natura che si possono sfruttare in chiave passiva e da quali invece bisogna difendersi nei diversi periodi dell’anno. Ad esempio, la posizione del sole e la direzione del vento variano a seconda delle stagioni e conoscere la relazione tra queste due forme di energia può aiutare il progettista a definire la posizione, l’orientamento, la forma e le proporzioni dell’edificio e delle sue aperture per sfruttare i vantaggi del riscaldamento, del raffrescamento e della illuminazione passivi. Il modello originario dell’edificio passivo è stato sviluppato in base al clima abbastanza freddo dell’Europa Centrale, mentre noi viviamo, progettiamo e costruiamo nella fascia mediterranea, dove la scarsa qualità degli edifici esistenti e le nuove esigenze in tema di comfort estivo ci portano a spendere molta energia non solo per riscaldare ma anche per raffrescare gli ambienti di vita e di lavoro. Per questo motivo la Comunità Europea, attraverso il programma SAVE, ha finanziato il progetto Passive-On con l’obiettivo di definire uno standard per edifici passivi più adeguato al clima ed alla tradizione costruttiva mediterranea. In questo contesto climatico i progettisti sono chiamati a ideare edifici che con il medesimo involucro siano in grado di proteggere gli ambienti interni sia dal freddo che dal caldo eccessivo, in modo da garantire il massimo comfort in tutte le stagioni con il minimo dispendio di energia “attiva”. Non ci si può quindi limitare a ridurre il fabbisogno di energia per il riscaldamento attraverso una forma dell’edificio compatta e prevedendo trasmittanze ridotte, ma bisogna considerare anche fattori connessi al raffrescamento quali l’ombreggiamento, la ventilazione e l’inerzia termica; senza dimenticare che anche il colore delle superfici esterne gioca un ruolo importante nell’attrarre o riflettere il calore del sole. È fondamentale inoltre considerare che mentre un elevato livello di ermeticità rappresenta un effettivo risparmio energetico in grado di ripagare i consumi dell’impianto di ventilazione meccanica controllata nei climi freddi, la ventilazione naturale può rappresentare una strategia importante per ridurre il fabbisogno di energia per il raffrescamento. Nei climi più caldi infine può essere utile non isolare la parte dell’edificio che confina direttamente con il terreno, in modo da utilizzare quest’ultimo come volano termico al fine di ridurre l’eccessivo carico termico diurno.

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Tabella 1.6.1 REGOLE PROGETTUALI PER EDIFICI PASSIVI IN CLIMA MEDITERRANEO • Definire involucri esterni isolati termicamente e forniti di massa termica consente di assicurare in modo passivo un buon livello di comfort anche in estate (evitare in questo senso il cappotto interno!) • Valutare l’assenza di isolamento termico contro terra per sfruttare il terreno come volano termico • Assicurare la presenza di sistemi schermanti solari mobili • Scegliere colori chiari per l’involucro esterno • Prevedere la ventilazione notturna naturale attraverso un sistema di VMC a recupero di calore dotato di un bypass che viene azionato automaticamente in caso essa risulti efficiente • Valutare la installazione di un impianto di riscaldamento e raffrescamento radiante (dotato di deumidificatore in zone umide).

1.7 LA

RISTRUTTURAZIONE ENERGETICA PROFONDA DEGLI EDIFICI

ESISTENTI

L’Unione Europea ha stimato che ad oggi circa il 35% degli edifici esistenti presenta più di 50 anni di vita e anche per questioni di vetustà circa il 75% del patrimonio immobiliare si dimostra altamente inefficiente dal punto di vista energetico. I casi più energivori corrispondono agli edifici costruiti prima del 1975 ed è stato calcolato che il 75% del potenziale risparmio di energia è conseguibile tramite l’efficientamento energetico del costruito proprio in questo segmento. Nonostante ciò nei diversi paesi membri gli edifici esistenti sono oggetto di una riqualificazione energetica profonda soltanto per una percentuale variabile tra lo 0.4 e l’1.2%, mentre nella pratica corrente ci si accontenta di ridurre la domanda energetica degli edifici al massimo del 30% con l’unico obiettivo di godere dei benefici fiscali. È infatti opinione comune che già 10 cm di cappotto isolante siano troppi, quando in realtà raddoppiare (o in alcuni casi triplicare) questo spessore non comporta un aumento di costi proporzionale ma può fare la differenza in termini di bolletta. Un altro esempio: gli interventi sulle coperture sono spesso evitati perché ritenuti troppo complessi, nonostante sia facile dimostrare che nella maggior parte dei casi sono quelli che si rivelano più efficienti dal punto di vista energetico. Questi atteggiamenti comuni rappresentano alcuni dei motivi per cui nella nuova direttiva europea sull’efficienza energetica 2018/844/EU, che modifica la 2010/31/UE e la 2012/27/UE, si chiede ai paesi membri di rendere più efficaci le strategie di ristrutturazione degli immobili a lungo termine, che dovranno presentare obiettivi chiari e misurabili. Il Buildings Performance Institute Europe (BPIE) ha dichiarato che per raggiungere obiettivi soddisfacenti in termini di riduzione dei consumi energetici e di produzione della CO2 entro il 2050 almeno il 97% degli edifici esistenti dovrebbe essere riqualificato dal punto di vista energetico. L’impatto può essere significativo in questo senso solo se l’efficientamento prospettato comporterà una riduzione della domanda energetica superiore al 75%. Questa politica può diventare ancora più incisiva se si utilizzano materiali edili naturali e nello specifico afferenti alla sfera dell’economia circolare, in quanto ciò consentirebbe di ridurre anche il contenuto di energia grigia intrinseca dei componenti tecnologici.

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Oggi se si abbina una progettazione consapevole alle opportunità tecnologiche offerte dal mercato, non è un’impresa difficile ridurre la domanda di energia di un edificio esistente fino al 90%, e lo si può fare anche con costi spesso ridotti rispetto alle aspettative dell’opinione pubblica. Ma come si possono ottenere questi risultati, ovvero puntare a quello che viene altrimenti chiamato “fattore 10”, tipico delle riqualificazioni energetiche passive? Sul mercato esistono soluzioni progettuali specifiche per l’efficientamento degli edifici esistenti in chiave passiva, le quali vanno selezionate non soltanto in base al contributo che possono portare ad una consistente riduzione della domanda energetica, ma tenendo anche conto del livello di comfort e di salubrità degli occupanti. In pratica vanno comparati i benefici che esse possono assicurare con i costi economici che comportano le lavorazioni previste. Non va dimenticato infine che una volta riqualificato, l’edificio si rivaluta automaticamente sul mercato immobiliare e può diventare in questo senso “competitivo” con le nuove costruzioni; l’aumento del valore economico degli immobili nei casi residenziali va in genere dal 3 all’8% nelle compravendite e dal 3 al 5% nelle locazioni. Ottenere risultati così importanti in termini di riduzione della domanda energetica spendendo al meglio le risorse a disposizione richiede un elevato grado di disciplina nella stesura del progetto e nella gestione del cantiere. È indispensabile affrontare questo genere di programmi rispettando diverse tappe obbligate, ognuna delle quali richiede preparazione, serietà ed attenzione da parte di tutti gli attori coinvolti. La prima fase consiste nella definizione degli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di consumi energetici, un’operazione che deve essere compiuta coinvolgendo il cliente in funzione dei risultati realistici che egli è disposto ad ottenere e del budget a disposizione. In questa fase il progettista è chiamato a convincere il cliente sia a non accontentarsi di facili obiettivi che a investire anche nella progettazione, che in questo genere di sfide si rivela una fase cruciale in quanto è quella in cui vengono definite le soluzioni strategiche in funzione delle caratteristiche specifiche dell’edificio. Prima del progetto di riqualificazione energetica è indispensabile effettuare un accurato energy audit dell’edificio oggetto dei lavori, in maniera da individuarne e conoscerne sia le criticità che le potenzialità maggiori in questo senso. Si tratta della fase dell’analisi del comportamento energetico dell’edificio, che deve essere portata avanti congiuntamente all’esame dei costi di gestione di partenza e delle modalità di utilizzo effettive dell’edificio da parte degli occupanti, con il fine di identificare i principali sprechi e sulla base di essi profilare una prima serie di misure semplici e a basso costo per ridurre la domanda di energia. Solo in una terza fase il progettista si appresta a identificare le soluzioni tecniche più efficaci ed incisive da adottare per il caso specifico, che dipendono non solo dalla forma, dalle proporzioni, dall’esposizione e dalle stratigrafie che definiscono il corpo di fabbrica ma anche dalle caratteristiche climatiche del sito e dal tipo di utenza che sono stati stabiliti nelle analisi precedenti. Una volta individuate le strategie di intervento ritenute più adatte al caso, si valutano le alternative utilizzando appropriati strumenti di modellazione energetica, prefigurando nel contempo ognuna di esse anche in termini di costi di intervento e di benefici attesi quali minori spese di gestione. L’obiettivo principale è garantire ottime condizioni di comfort e salubrità degli ambienti riducendo, con il minor impiego di materiale possibile, le dispersioni

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termiche per trasmissione (ad esempio coibentando dall’esterno le superfici disperdenti e curando per quanto possibile i ponti termici) e per ventilazione (definendo le connessioni tra murature e serramenti e l’impiantistica, il cui progetto deve sempre essere successivo a quello dell’involucro). In questo ambito è di vitale importanza, prima di intervenire in cantiere, delineare un intervento globale nell’ambito del quale vengano definiti al meglio gli obiettivi, i costi e anche la successione temporale degli interventi. L’istituto Passivhaus ha studiato a questo proposito un protocollo specifico, chiamato Enerphit, nell’ambito del quale si invitano i progettisti a definire la giusta successione degli interventi, una strategia indispensabile soprattutto nei casi in cui un budget ridotto costringe a gestire il cantiere per avanzamenti successivi. La cosiddetta riqualificazione “step-by-step” richiede un progetto globale e integrato nel quale ogni operazione viene realizzata con componenti adatti a ottimizzare anche gli interventi passati e quelli previsti in futuro. Un esempio tra tutti: è sicuramente sempre indicato intervenire su isolamento termico, superfici finestrate, tenuta all’aria e ventilazione meccanica controllata prima di sostituire il generatore di calore o installare sistemi che sfruttano le energie rinnovabili sulla copertura, per evitare di produrre energia in modo efficiente per poi sprecarla tramite inutili dispersioni. La realizzazione degli interventi valutati più efficienti si riferisce alla quarta fase della riqualificazione energetica profonda. In questo caso la direzione lavori deve assicurare un importante lavoro di coordinamento tra le diverse fasi di esecuzione, una particolare cura dei dettagli e un controllo continuo della qualità dei lavori che si effettuano in cantiere. Queste condizioni richiedono l’impiego di professionisti e maestranze opportunamente formati sulle tecniche specifiche di questo tipo di riqualificazione. In questa fase nulla può essere lasciato al caso, ragion per cui si utilizzano anche controlli strumentali per individuare eventuali punti critici che possono emergere in opera e risolverli prontamente in modo da riuscire ad ottenere i risultati finali concordati con il cliente. Il lavoro del professionista non finisce appena consegnato il cantiere. Una volta calibrati gli impianti inizia l’ultima fase, che richiede la validazione e la verifica del risparmio energetico ottenuto attraverso il cosiddetto post occupancy audit, nel quale si definisce il livello di comfort ottenuto in modo quantitativo (con opportuni controlli strumentali) e qualitativo (analizzando la soddisfazione degli utenti) e si verifica l’effettiva riduzione delle spese di gestione.

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Tabella 1.7.1 - Le fasi della riqualificazione energetica profonda. RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA PROFONDA: LE FASI

Step 1

Capire il modello di consumo energetico

Analizzare l’edificio per indentificare le maggiori voci di consumo in modo da conoscerne meglio il comportamento energetico, definendo così un reale parametro di confronto sull’efficienza delle misure di riqualificazione che verranno ipotizzate nelle fasi successive.

Step 2

Identificare le strategie più adatte

Identificare i problemi da risolvere e le strategie di efficientamento più adatte al clima, alla forma, ai materiali e agli impianti esistenti in funzione del livello di risparmio energetico che si vuole ottenere e del budget a disposizione.

Definire un piano di azione

Elencare le opere di efficientamento energetico valutate come le più adatte al caso, specificandone anche la successione temporale. Al fine di evitare sprechi è indispensabile dare priorità alla riqualificazione dell’involucro rispetto a quella degli impianti per consentire a questi ultimi di essere dimensionati in modo da massimizzare efficienza e risparmio energetico.

Step 4

Efficientare l’edificio

Procedere alle opere di efficientamento come da programma, coinvolgendo maestranze preparate e avvalendosi di una direzione lavori molto accurata, supportata da elaborati esecutivi chiari e precisi volti a minimizzare l’insorgenza di errori ed imprevisti in corso d’opera. In questa fase è opportuno avvalersi anche di controlli strumentali per garantire la massima qualità dell’esecuzione.

Step 5

Gestire e misurare l’efficienza energetica

Monitorare i risultati raggiunti e proporre procedure di gestione e manutenzione che consentano all’edificio di mantenere nel tempo gli obiettivi raggiunti, garantendo il livello di risparmio prefissato nel lungo periodo.

Step 3

1.8 FONDAMENTI

DI EDILIZIA RIGENERATIVA

I presupposti della filosofia progettuale che sta alla base degli edifici passivi inducono a pensare al risparmio energetico declinandolo al positivo, sfatando l’idea che dietro alla parola risparmio si nasconda un sacrificio in termini di qualità: è possibile a fronte di un investimento ragionevole godere di una bolletta energetica leggera e nel contempo ottenere luoghi di vita salubri e confortevoli. Architettura ed edilizia oggi sono chiamate a contribuire alla risoluzione del grave stato di impasse in cui si trova il futuro del genere umano a causa dell’estremo sfruttamento delle risorse naturali del nostro pianeta. In questo senso si rivela necessario puntare sull’autosufficienza energetica e produttiva del settore, riducendo al minimo indispensabile il ricorso a risorse fossili. In questo scenario i progettisti non possono limitarsi a cercare un equilibrio tra budget economico a disposizione ed efficienza energetica, ma sono chiamati a considerare anche quello che rimane da sempre l’obiettivo più importante in ogni

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progetto: la salubrità ed il benessere degli occupanti, non dimenticando che ogni nostra scelta è importante per assicurare un futuro al nostro pianeta. Garantire salubrità oggi non significa soltanto prevenire l’insorgenza di umidità e di muffe negli ambienti e assicurare continuamente aria pulita al loro interno tramite un impianto di ventilazione meccanica controllata, ma vuol dire anche ridurre alla fonte l’impiego di sostanze inquinanti evitando di utilizzare per quanto possibile prodotti edilizi di sintesi derivanti da materie prime fossili e tornando a costruire con materiali di origine naturale. A conferma della crescente necessità di agire in questo senso è nato di recente negli Stati Uniti uno specifico protocollo di valutazione del grado di salubrità e di benessere legato al mondo delle costruzioni, il WELL Building Standard, che rende possibile la quantificazione del livello di qualità della vita conseguito all’interno di un edificio mediante l’analisi di sette punti chiave: qualità dell’aria, acqua, luce, comfort, alimentazione, forma fisica e benessere mentale. Il protocollo associa ognuno di questi temi ad uno dei sistemi funzionali che compongono il nostro corpo, quali ad esempio il sistema cardiovascolare, quello digestivo e quello endocrino, che traggono beneficio dal vivere in un edificio salubre. Un secondo protocollo, meno recente ma più inclusivo ed integralista, è il Living Building Challenge™ (LBC), il quale si basa anch’esso su sette categorie di valutazione: luogo, acqua, energia, salute e felicità, materiali, equità e bellezza. Una scelta più consapevole verso i prodotti e i materiali edilizi presuppone che i progettisti si pongano una ulteriore serie di quesiti che rivestono la medesima importanza di quelli che considerano nel momento in cui si accingono a scegliere la strategia più efficiente per la riduzione della domanda energetica di un edificio. E come nel progetto degli edifici passivi non si può prescindere da strategie energetiche basate sui principi dell’architettura vernacolare, così un progetto che vuole assicurare salubrità e benessere ai suoi occupanti dovrebbe considerare il ricorso a materiali di origine naturale e locale. Prima della rivoluzione industriale, nell’era dell’architettura vernacolare, per costruire si utilizzavano soltanto i materiali disponibili in loco, sfruttandone al meglio le caratteristiche. Ad una riflessione più approfondita emerge che il legno cresce nei climi freddi ed è un ottimo materiale isolante, mentre nei luoghi più caldi del pianeta la massa termica di terra e pietra veniva usata per mantenere gli ambienti freschi con un impiego di energia ridotto, il che significa che a ben vedere l’uomo è stato capace di ottimizzare le risorse che aveva a disposizione in funzione dei propri bisogni. Oggi l’evoluzione tecnologica abbinata a un maggiore livello di conoscenza scientifica ci forniscono la possibilità di usare gli stessi materiali locali in forma di componenti edilizi molto performanti al fine di ottenere ambienti salubri e più confortevoli di un tempo.

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Capitolo 1 - I fondamenti degli edifici passivi

Figura 1.8.1 - Materiali naturali e tecnologie avanzate.

Oggi è possibile utilizzare materiali edilizi naturali e tradizionali coniugandoli con l’innovazione tecnologica, come è successo nella riqualificazione energetica pesante realizzata a Chamois su progetto dell’architetto Tiziana Monterisi. Il progetto ha previsto l’impiego di paglia di riso che è stata inserita in una serie di strutture in legno prefabbricate e montate a secco, che sono state trasportate in cantiere in elicottero a causa dei vincoli imposti dalla posizione del cantiere. L’eccessivo consumo di materiale sintetico e di energia fossile nel mondo delle costruzioni ha contribuito al lento esaurimento delle risorse che il nostro pianeta ci mette ogni anno a disposizione. Considerando l’ammontare del capitale naturale che la Terra può rigenerare ogni anno, è stato calcolato che ad oggi in un anno a livello planetario consumiamo un ammontare equivalente a 1,7 pianeti Terra (cifra che è destinata a salire a 2 entro il 2030 se si continuasse a perseguire i modelli economici e produttivi correnti). Questa situazione prende il nome tecnico di Overshoot, che sta a significare che il genere umano consuma più risorse di quanto gli è dato consumare in un anno. L’Italia, facendo parte dei paesi più sviluppati del mondo, consuma ogni anno come avesse 2.6 pianeti a propria disposizione, un dato che ci mostra come sia inadeguato il modus operandi corrente nei confronti delle risorse che lasceremo a disposizione delle future generazioni e come sia indispensabile quanto prima invertire la rotta. Il settore edilizio contribuisce a questo scenario in maniera sostanziale: in tutta l’Unione Europea, la costruzione e la gestione degli edifici comporta il consumo del 50% di materie prime vergini e del 35% di energia. Il ricorso a sistemi costruttivi basati sulla riduzione dell’impiego delle materie prime e dell’energia, oltre che su cicli

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produttivi naturali e circolari è l’unica strada perseguibile per ridurre drasticamente queste cifre. I progettisti devono cominciare a includere tra i parametri di valutazione dei materiali e dei sistemi costruttivi, assieme al costo e all’efficienza energetica, altri fattori ugualmente importanti quali il contenuto di energia grigia (ovvero la quantità di energia necessaria per produrre, trasportare e smaltire un prodotto o un servizio), la reperibilità in loco, il contenuto di materie prime seconde riciclate e la riciclabilità. Per fare un esempio, è noto che l’impiego di un materiale isolante è volto alla riduzione dei consumi energetici di un edificio; nel momento in cui tramite l’utilizzo del coibente prescelto si riesce a ridurre considerevolmente la domanda di energia dell’edificio, è possibile ottenere un risultato migliore in termini più ampi scegliendo un componente di produzione locale, a bassa intensità energetica (ovvero che richiede poca energia per essere prodotto), a base di materie prime riciclate e/o meglio ancora rinnovabili. È importante capire che non solo gli edifici in quanto tali, ma anche i prodotti che li costituiscono possono esercitare un impatto considerevole in termini ambientali. Il riuso e del riciclo di materiali e componenti sono alla base del concetto di economia circolare, una filosofia produttiva nata nel 1976 dal lavoro congiunto di un architetto e di una economa, Walter R. Stahel e GenevieveReday-Mulvey, e ulteriormente sviluppata da William McDonough e Michael Braungart, che hanno definito le proprie teorie ispirandosi a ciò che avviene in natura, dove nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. L’obiettivo principale dell’economia circolare è la massima riduzione della produzione di rifiuti, secondo un modello di sviluppo positivo in cui si trae il massimo valore da prodotti o sottoprodotti non più utili in un determinato comparto produttivo. L’economia circolare ideale è “un sistema industriale in cui il consumo dei materiali e dell’energia e la produzione dei rifiuti sono ridotti ai minimi termini, e il materiale scartato in un qualche processo produttivo diventa materia prima per un altro” (Ashby, 2015). Anche l’edilizia è chiamata a pensare “in positivo”, sforzandosi di ragionare in termini “circolari”, ovvero cercando le risorse per costruire sfruttando ciò che si ha già, che siano edifici esistenti, energie rinnovabili, scarti o rifiuti.

Figura 1.8.2 - Dal green building all’edificio rigenerativo.

Nei decenni passati a fronte della consapevolezza della necessità di ridurre l’impronta ambientale del settore edile si parlava di green building riferendosi a progetti tra i cui obiettivi vi era la riduzione dei consumi a esso associati. In seguito il con-

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cetto di edificio sostenibile ha spostato il target verso un’ulteriore riduzione dell’impatto ecologico legato al settore edilizio, che è chiamata a restituire all’ambiente una quantità di risorse pari a quelle consumate, ad esempio tramite la produzione di energia da fonti rinnovabili e il riutilizzo o il riciclo di prodotti e materiali non più utili nel ciclo di vita dell’edificio stesso. L’edificio rigenerativo si pone oggi l’obiettivo di rigenerare le risorse del pianeta riducendo al minimo quantità di materiale da utilizzare e facendo ricorso a prodotti di origine naturale e locale per costruire ambienti in grado di garantire condizioni di benessere fisico e psicologico agli occupanti. Questa filosofia costruttiva richiede un estremo senso di responsabilità nelle scelte di progetto e interpreta la natura non più come una risorsa ma come un elemento necessario per la comunità umana che, in quanto tale, deve essere protetto e preservato. Costruire riutilizzando componenti tecnologici già utilizzati in altre sedi in modo da allungare la vita dei materiali, ridurre al minimo la domanda energetica degli edifici e sfruttare l’energia gratuita del sole e del vento per soddisfare questa domanda purtroppo non basta ad invertire la rotta dell’eccessivo consumo di risorse del pianeta. A ben vedere la natura ci indica la strada da percorrere: l’essere umano è l’unico animale che non utilizza prodotti di scarto agricolo per costruire la propria casa. Oggi abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per promuovere una rivoluzione edilizia che ci consenta di recuperare il debito che abbiamo nei confronti della natura, costruendo edifici con un impiego intensivo di materiali naturali e seguendo un modello circolare positivo che non imponga alcun sacrificio in termini di salubrità, comfort ed estetica. Negli ultimi decenni gli scarti organici sono stati considerati come materia prima per la produzione di energia con modalità e tecnologie sempre più sofisticate ed efficienti. La biomassa è stata vista come una fonte di energia rinnovabile poiché la produzione di CO2 emessa in fase di combustione viene compensata dalla CO2 catturata durante la crescita delle piante da cui origina. Non si è considerato abbastanza che esistono fonti di energia gratuita più pulita (sole, vento, acqua) e che la biomassa può essere utilizzata in maniera più virtuosa in termini di bilancio ambientale. L’incenerimento di chilogrammo di rifiuti organici (e quindi di biomassa) produce circa 2,15 kg di CO2 equivalente, contro i 2,75 kg nel caso venga trasportato in discarica e i 0,15 kg quando viene destinato ad un impianto di compostaggio. Utilizzare la biomassa in forma di scarti agroalimentari per la produzione di materiali edili non comporta invece alcuna emissione immediata di CO2, anzi consente di risparmiare quella connessa alla produzione di componenti “ordinari” che altrimenti sarebbero stati utilizzati al loro posto e che non c’è più bisogno di produrre. Se poi l’edificio viene concepito secondo i principi dell’edilizia circolare, ovvero completamente “disassemblabile” a fine vita, la materia prima seconda naturale utilizzata potrà tornare nel ciclo biologico dopo avere condotto una lunga vita come componente edilizio, migliorando notevolmente l’impronta ecologica legata alle emissioni dello stesso. Si consideri che il chilogrammo di rifiuti organici di cui si parlava in precedenza una volta utilizzato come biomassa per essere bruciato e generare energia vale circa 0,85 euro (fonte Eurostat). Lo stesso chilogrammo utilizzato come materia prima seconda

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per un prodotto edile arriva a valere 6 euro. La trasformazione degli scarti agroalimentari in prodotti edili rappresenta quindi un potenziale economico, anche in considerazione del fatto che alcune statistiche, riferite all’anno 2004, mostrano come nell’Unione Europea vengano generati ogni anno circa 2,6 miliardi di tonnellate di rifiuti, di cui circa 43,4 milioni di origine naturale (fonte Eurostat). Gli scarti agroalimentari possono essere valorizzati in primis come materie prime seconde, diventando così l’input principale di un nuovo processo produttivo afferente il mondo dei componenti per l’edilizia, a sua volta capace di generare nuove opportunità produttive e nuovi modelli di business in grado di potenziare le opportunità per lo stesso settore agroalimentare. In questo modo si crea una nuova relazione tra due settori che oggi sembrano estranei, ma a ben vedere prima della rivoluzione industriale risultavano complementari. Costruire edifici con materiali naturali, e nello specifico con prodotti derivanti da residui agricoli, non significa penalizzare la salubrità e il comfort all’interno degli edifici, tanto meno compromettere la qualità costruttiva degli stessi. L’impiego di questo genere di materie prime seconde è al centro dell’evoluzione che il settore edilizio sta compiendo verso quella che si chiama architettura rigenerativa, la quale consente impiegare cicli produttivi circolari a favore della salubrità degli ambienti e di rigenerare le risorse del nostro pianeta. Costruire edifici seguendo questa filosofia permette di considerare il pianeta non come una risorsa da sfruttare ma come un sistema indispensabile alla sopravvivenza del genere umano, che possiamo contribuire a rigenerare attraverso le nostre scelte sia come professionisti che come committenti. Tabella 1.8.1 - Cosa fare e cosa evitare per contribuire alla architettura rigenerativa. ARCHITETTURA RIGENERATIVA: PRO E CONTRO NO

SI

• Utilizzare materiali sintetici quando non si rivela strettamente necessario • Utilizzare una quantità di materiale maggiore di quella dovuta (es isolare più del dovuto) • Utilizzare materiali riciclati che richiedono un dispendio elevato di energia in fase di produzione • Utilizzare materiali e prodotti che provengono da luoghi lontani dal cantiere • Utilizzare materiali non riciclabili e non disassemblabili a fine vita

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Preferire servizi a prodotti Censire tutti i componenti installati nell’edificio Usare componenti disassemblabili a fine vita Ridurre la quantità di materiale utilizzato Riutilizzare gli scarti Utilizzare prodotti derivanti da scarti agricoli Utilizzare prodotti locali

Capitolo 1 - I fondamenti degli edifici passivi

Check list 1.8.1 - I principi del progetto rigenerativo.

Ciclicità • L’impiego di prodotti edili naturali e derivanti da processi di chimica verde è una scelta a favore della durabilità delle materie prime. • Il riuso di materiali di scarto o da post-consumo evita il bisogno di ricorrere ad ulteriori prodotti, richiedendo così un minore consumo di materie prime ed energia, oltre che comportare una ridotta produzione di rifiuti. • L’impiego di materiale riciclato riduce il bisogno di consumare nuove materie prime. • L’utilizzo di sistemi costruttivi modulari a secco, prodotti al di fuori del cantiere in modo il più possibile standardizzato, consente un controllo dei costi e degli sprechi produttivi, oltre a tempi di consegna più certi in quanto indipendenti dalle condizioni atmosferiche. • La riduzione dei rifiuti da costruzione e demolizione consente di ridurre il volume di materiale da condurre in cantiere e quindi l’impronta ambientale dello stesso legata ai trasporti. Mutualità • È importante documentare (per qualità e quantità) tutti i materiali ed i componenti utilizzati durante la costruzione di un edificio, gli elementi e le azioni necessari per la manutenzione, le spese ed i finanziamenti, la durata e l’eventuale uso futuro previsto, poiché queste informazioni agevoleranno eventuali future manutenzioni, riparazioni, ristrutturazioni, operazione di riuso e riciclo. Rigenerazione • Valutare prodotti e materiali anche in funzione del loro ciclo di vita, consente di preferire materiali naturali o bio compositi, che durino possibilmente quanto l’edificio stesso o siano facilmente sostituibili. • Utilizzare prodotti e componenti di origine naturale significa utilizzare materiali rinnovabili, che durante la crescita contribuiscono a rigenerare il patrimonio naturale. • Gli edifici devono presentare una domanda di energia il più possibile ridotta con il minore impiego di materiale possibile, la quale deve essere soddisfatta con la produzione da fonti energetiche rinnovabili in modo da evitare l’impiego di fonti fossili. Quando è possibile la produzione di energia deve essere superiore alla domanda, in modo da rendere l’edificio un elemento di una rete di produzione diffusa che può soddisfare altri bisogni (es mobilità elettrica). Ottimizzazione • Utilizzare prodotti e materiali edilizi duraturi, riparabili e riutilizzabili o riciclabili a fine vita significa aumentare la durata del ciclo di vita legato alle materie prime e ridurre l’estrazione di nuove risorse. • I componenti edilizi a base di materie prime naturali presentano un costo ambientale ed una domanda energetica di produzione ridotte. • I prodotti biocompositi presentano ottime proprietà fisiche, oltre ad una riduzione dell’energia grigia insita in ogni prodotto di almeno il 30% rispetto ai prodotti tradizionali. • Puntare all’efficienza energetica in ogni progetto cercando le strategie più efficienti in funzione di clima, funzione e forma dell’edificio significa ridurre i consumi massimizzando il bilancio costibenefici non solo in senso economico ma anche ambientale. Condivisione • L’impiego di materiali biocompositi consente di innescare un processo di condivisione di risorse tra l’agricoltura e l’edilizia, dove gli scarti della prima diventano materie prime per la seconda. Tra i vantaggi vi sono un minore consumo di materie prime non rinnovabili e una riduzione di emissioni di CO2, dovuta all’utilizzo di uno scarto che andrebbe altrimenti bruciato.

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LE REGOLE PROGETTUALI

2.1

L’EVOLUZIONE

DEL PROGETTO: DALL’ARCHITETTURA

VERNACOLARE ALLA TECNOCRAZIA

Gli edifici, intesi nel loro senso primordiale, rispondono ad una delle principali necessità del genere umano: proteggersi dalle intemperie e disporre di un luogo in cui riposare al sicuro da animali e da insetti. Oggi essi hanno smesso di rappresentare un semplice rifugio e sono strutturati in una serie di ambienti in cui trascorriamo il 90% della nostra esistenza, tanto che possiamo chiamarli generalmente luoghi di vita. Questa trasformazione radicale è avvenuta parallelamente all’evoluzione del genere umano, durante la quale è rimasto immutato il bisogno di protezione da ciò che avviene all’esterno. I principi che stanno alla base degli edifici passivi sono molto antichi e corrispondono al tentativo di creare un certo grado di comfort rispetto alle condizioni climatiche esterne, che si è perfezionato nel tempo con l’evoluzione della cosiddetta architettura vernacolare. Quest’ultima è quell’architettura “senza architetti” che “rappresenta il risultato di una stratificazione di conoscenze empiriche, segni e linguaggi, che hanno preso forma attraverso un lungo processo di tentativi ed errori, in stretta relazione con la morfologia dei luoghi, le risorse locali, le caratteristiche climatiche e ambientali e le esigenze socio-economiche, culturali e di protezione dall’ambiente di una determinata comunità” (Oliver, 2006). L’intento di sfruttare le risorse che la natura ci offre per garantire il comfort all’interno degli edifici ha radici lontane, che affondano nella culla della civiltà. Il primo progetto documentato di “edificio passivo” può essere attribuito al filosofo greco Socrate, che visse più di 2500 anni fa e progettò quella che oggi si chiama appunto “la casa di Socrate”, un edificio trapezoidale il cui lato più lungo volgeva a Sud e sullo stesso fronte prevedeva che il tetto sporgesse sulla parte superiore, dimensionato in modo da lasciare entrare il sole durante la stagione invernale e da ostacolarne l’ingresso nei giorni più caldi dell’anno. La stessa copertura si inclinava verso Nord in maniera da proteggere l’edificio dai venti invernali. Il terzo libro “Memorabili di Socrate”, scritto da Senofonte, narra che Socrate, nel bel mezzo di una crisi energetica causata da una carenza di legna da ardere, osservava:” Nelle case che sono affacciate a Sud i raggi del sole penetrano nel portico in inverno, mentre in estate il percorso del sole si sposta più in alto sopra alle nostre teste ed oltre il tetto, così da regalarci l’ombra. E se questa soluzione è la migliore, dovremmo costruire gli edifici più alti verso Sud per sfruttare il sole durante l’Inverno e più bassi verso Nord per tenere

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fuori i venti freddi. Per farla breve, la casa in cui il proprietario può nel contempo trovare un rifugio piacevole in tutte le stagioni e custodire i suoi averi in modo sicuro è presumibilmente anche la più piacevole e la più bella”.

Figura 2.1.1 - Lo schema della casa di Socrate.

Lo schema della casa di Socrate, concepita dal filosofo greco più di 2500 anni fa, illustra alla perfezione i principi del progetto bioclimatico nella fascia climatica mediterranea, secondo cui sagomando la forma della costruzione in funzione dell’orientamento geografico e dell’altezza del sole è possibile sfruttare al meglio le risorse energetiche fornite dalla natura e difendersi dai fattori ambientali che causano discomfort. Ma mentre la casa di Socrate perdeva il calore del sole altrettanto velocemente di quanto lo guadagnava a causa di importanti perdite per trasmissione e ventilazione, i Romani qualche secolo più tardi compresero che se il portico a Sud e le finestre degli edifici fossero state schermate con lastre di mica o di vetro incorniciate in un telaio di legno, l’energia del sole poteva rimanere all’interno dei locali facendo aumentare la temperatura dell’aria ed in parte anche quella delle superfici. Gli stessi Romani scoprirono un sistema di riscaldamento molto efficiente, concretizzatosi nella tecnica dell’ipocausto, che consisteva nel far circolare aria calda sotto al pavimento il quale, a sua volta, era rialzato tramite pile di mattoni in modo da riscaldare le superfici, ottenendo un migliore livello di comfort con un livello di maggiore ef-

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ficienza energetica. Questa civiltà non solo aveva ben presente i principi della bioclimatica e della fisica tecnica, anche grazie alle conoscenze acquisite sia in Grecia che in Egitto, ma cercò anche di adattarli ai diversi climi dell’impero Romano. Marco Vitruvio (80-15 a.C.) scrisse: “Se vogliamo che il progetto delle nostre case sia corretto dobbiamo cominciare a capire come è il clima dei paesi in cui verranno costruite. Ci sono tipi di abitazioni appropriate per l’Egitto, altri per la Spagna, altri ancora differenti per Roma e così per tutte le terre ed i paesi con caratteristiche differenti”. Con il medioevo, il rinascimento e i periodi storici successivi, l’interesse verso questi concetti è andato scemando di pari passo con l’evoluzione tecnologica e l’architettura si è concentrata verso questioni più estetiche come la composizione, la proporzione, la sezione aurea e l’ornamento. Non mancano però esempi che coniugano tecnologia ed estetica, come la Zisa o le camere dello scirocco a Palermo o ancora le ville rinascimentali di Costozza, che sono capaci di sfruttare le correnti d’aria ipogee per preriscaldare o raffrescare gli ambienti in modo naturale secondo meccanismi mutuati dall’architettura vernacolare araba. Con l’avvento della rivoluzione industriale e dell’energia “facile”, ovvero prodotta in un luogo diverso da dove è stata utilizzata e trasportata dove c’è bisogno, si è persa la consapevolezza di quanto sia difficile, costoso e poco efficiente generare una sempre maggiore quantità di energia per mantenere i nostri edifici al livello di comfort a cui ormai non possiamo rinunciare. Oggi ci fermiamo ad ammirare spesso con stupore il funzionamento di piccoli capolavori di architettura vernacolare quali trulli, dammusi, case a corte, tablà e masi alpini costruiti centinaia di anni fa e capaci di sfruttare orientamento, materiali da costruzione, aperture e forma dell’edificio per ottenere condizioni di comfort al loro interno. Questa perdita di conoscenza è accaduta per il fatto che l’avvento massiccio dell’impiantistica ci ha fatto perdere il senso di alcuni semplici parametri nella definizione dell’involucro dei nostri edifici (la nostra terza pelle) e per contro della loro domanda di energia

Figura 2.1.2.a e 2.1.2.b - L’architettura alpina (tabià) e vernacolare (trullo).

Figura 2.1.2.a: Lo schema illustra il funzionamento bioclimatico della casa alpina (nello specifico un tabià), dove il cuore della casa è protetto verso l’esterno da una 21

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serie di ambienti ibridi che funzionano come spazio cuscinetto e consentono di ridurre la differenza di temperatura tra interno ed esterno. Tutti i materiali utilizzati sono previsti in una posizione in cui sono in grado di contribuire all’ottenimento delle condizioni di comfort all’interno dell’edificio con un minimo dispendio di energia. Figura 2.1.2.b: Il trullo è un esempio di come l’architettura vernacolare mediterranea sia stata capace di trarre il meglio dalle risorse che la natura mette a disposizione in loco. Anche in questo caso l’uso e la disposizione dei materiali sono volti a sfruttare le capacità sia di isolamento che di inerzia termica dei materiali locali. La particolare forma dell’involucro assicura fenomeni convettivi capaci di ottenere considerevoli condizioni di comfort all’interno degli ambienti anche a fronte di una stagione di caldo estremo. Negli ultimi tempi ci si sta accorgendo che con l’avvento dell’architettura high-tech sono state sottovalutate l’importanza della forma dell’edificio e della stratigrafia dell’involucro in nome dell’uso estensivo dell’impiantistica. Questo è stato uno dei fattori chiave che ha portato ad un veloce esaurimento delle risorse a disposizione del nostro pianeta, ragion per cui è necessario ritrovare un modo per assicurare lo stesso livello di comfort a cui oggi siamo abituati sfruttando tecnologie che ci permettano di abbattere la domanda energetica. Nei momenti di crisi è sempre utile guardare al passato, alle soluzioni adottate da coloro che sono venuti prima di noi: in questo senso l’architettura vernacolare può essere una importante fonte di ispirazione, ulteriormente migliorabile facendo tesoro delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche che oggi abbiamo a disposizione.

Figura 2.1.3 - L’evoluzione tecnologica dell’architettura.

Nel corso della storia dell’architettura si è assistito ad una evoluzione che è partita dagli edifici senza impianti, per arrivare alla cosiddetta architettura “high-tech”, nella quale la progettazione dell’involucro ha perso la sua importanza a fronte di un uso estensivo degli impianti, che ha condotto a costi di gestione molto elevati. Si sta ora affacciando l’era “low tech” che impone una maggiore consapevolezza nella progettazione dell’involucro esterno, il quale essendo meno disperdente consente di ridimensionare la portata degli impianti riducendo la loro presenza ad un utilizzo minimo indispensabile, anche grazie all’ausilio di sistemi domotici. Il futuro prossimo, rap-

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presenta una ulteriore evoluzione di questo concetto, che abbina la minima domanda di energia alla massima produzione in loco di energia da fonti rinnovabili in modo da interpretare gli edifici come nodi di una rete di produzione energetica diffusa. L’obiettivo principale degli edifici passivi, mutuato dall’architettura vernacolare, è mantenere condizioni di comfort all’interno dell’edificio rimanendo il più possibile indipendenti dagli eventi climatici esterni con un dispendio di energia minimo. Il termine passivo deriva dalla modalità in cui si persegue questo risultato, ovvero sfruttando le risorse che la natura ci mette a disposizione. Le strategie passive sono numerose ed è sempre necessario scegliere la più adeguata in funzione del clima, cercando il miglior compromesso tra le necessità di riscaldare, raffrescare, ventilare ed illuminare gli ambienti. La definizione delle strategie più efficienti per ottimizzare le performance energetiche di un edificio non può inoltre prescindere dalla sua tipologia di utilizzo.

Figura 2.1.4 - Il benessere fisiologico.

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Le condizioni di benessere fisiologico di ogni persona dipendono sia da fattori legati alle condizioni termoigrometriche degli ambienti interni (temperatura, umidità e velocità dell’aria, energia radiante) che da fattori soggettivi come il vestiario o le attività svolte; questi ultimi variano generalmente in funzione del tipo di edificio che ci si appresta a progettare (tratto da Composizione architettonica e urbana, Particolari di progettazione 1990 -1998 di Maria Pia Belski). L’architettura vernacolare ci insegna a mantenere condizioni di comfort all’interno degli edifici rendendo questi ultimi il più possibile indipendenti dagli eventi metereologici esterni tramite semplici strategie, spesso mutuate da ciò che succede in natura. Nei climi o nelle stagioni più fredde si può sfruttare il cosiddetto effetto serra per pre-riscaldare gli ambienti catturando l’energia termica del sole attraverso aperture vetrate orientate preferibilmente a Sud. Nei casi in cui il comfort dipende dal raffrescamento si può usare la massa termica caratteristica dei materiali pesanti per accumulare il calore in eccesso negli ambienti, sfruttando congiuntamente l’azione del vento e dell’acqua. La ridistribuzione o l’allontanamento dell’energia solare accumulata può avvenire analogamente sfruttando fenomeni fisici naturali, quali l’irraggiamento o la convezione. Osservando la forma dell’architettura diffusa nei diversi climi è facile incontrare queste strategie, come anche constatare che la forma degli edifici sia più o meno compatta in funzione del clima. Grazie all’evoluzione tecnologica dei materiali da costruzione possiamo oggi isolare termicamente gli involucri applicando uno strato di materiale coibente preferibilmente sul versante esterno dei componenti opachi in uno spessore conveniente, che nei climi freddi è solitamente quello che aiuta a raggiungere una trasmittanza termica leggermente inferiore a 0,15 W/m2K. I serramenti dovrebbero presentare caratteristiche tali da isolare dalle temperature esterne e nel contempo consentire guadagni passivi: a questo scopo bastano in genere finestre con vetrocamera caratterizzate da una trasmittanza globale inferiore a 0,8 W/m2K se esposte a Sud, mentre quelle a Nord dovrebbero essere più isolate e di superficie ridotta. L’impiego di materiali isolanti e serramenti, assieme alle discontinuità geometriche presenti nella costruzione, è causa della presenza di ponti termici, che contribuiscono alle dispersioni di calore e vanno quindi minimizzati, come vanno ridotte al minimo le dispersioni per ventilazione. A questo scopo gli edifici passivi richiedono il progetto specifico di uno strato di “tenuta all’aria” che si realizza prevedendo senza soluzione di continuità una membrana completamente impermeabile all’aria sul lato interno delle strutture opache in modo da sigillare l’eventuale presenza di irregolarità nella costruzione, quali ad esempio le giunzioni non sigillate tra i diversi elementi che la compongono ed i passaggi degli impianti. Per compensare la sigillatura dell’involucro e garantire un’ottima qualità dell’aria è indispensabile prevedere un impianto di ventilazione meccanica controllata che immetta continuamente aria filtrata e pulita negli ambienti, preriscaldata o preraffrescata, recuperando il contenuto termico dell’aria espulsa con una efficienza di recupero minima dell’80%. Nel caso in cui tutte le soluzioni elencate riducano ai minimi termini la domanda di energia per la climatizzazione, è possibile rinunciare alla installazione dei sistemi convenzionali di riscaldamento affidandosi a batterie di post-riscaldamento o post raffrescamento dell’aria immessa dall’impianto

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di ventilazione meccanica controllata. Lo sfruttamento di fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia termica ed elettrica non è obbligatorio, ma auspicabile per soddisfare la ridotta domanda energetica avanzata da questo tipo di edifici e trasformare l’edificio in un generatore di energia. Tabella 2.1.1 - Azioni da fare e da evitare nel progetto di un edificio passivo. EDIFICIO PASSIVO: COSA FARE E COSA EVITARE NO

SI

• Combinare arbitrariamente diversi sistemi di costruzione quando non è necessario • Copiare i dettagli costruttivi da un altro progetto senza cognizione di causa • Prevedere sporgenze, intersezioni strutturali o discontinuità di materiali, cause di ponti termici • Tralasciare i dettagli responsabili della tenuta all’aria • Decidere di adottare un protocollo di certificazione a progettazione avanzata • Essere troppo fiduciosi sui risultati evitando di calcolare in anticipo le conseguenze delle proprie scelte progettuali

• Considerare i principi progettuali delle case passive fin dalle prime fasi del progetto • Valutare le condizioni climatiche prima di cominciare il progetto e assicurarsi di usare dati corretti • Ottimizzare l’orientamento dell’edificio, la sua forma e la percentuale di superficie trasparente • Progettare l’involucro disperdente senza perdere di vista l’obiettivo di ottenere ottime condizioni comfort e nel contempo una importante riduzione della domanda energetica dell’edificio • Selezionare il sistema costruttivo appropriato per la forma, la funzione e la tipologia dell’edificio, • Utilizzare il minor numero di materiali possibile in modo da semplificare i dettagli e ridurre i costi di costruzione • Usare software adatti per comprendere e controllare ogni decisione progettuale intrapresa

Check list 2.1.1 - Le strategie del progetto passivo.

Riscaldamento passivo Usare la forma e l’involucro dell’edificio per catturare la radiazione solare generando i guadagni termici gratuiti è la principale strategia da usare per ridurre la domanda di energia per il riscaldamento. Contribuiscono al successo di questa scelta un ottimo isolamento termico e dell’involucro e l’uso sapiente di materiali e superfici trasparenti. 1. Orientamento corretto 2. Forma dell’edificio adeguata alla fascia climatica 3. Spazi tampone e facciate a doppia pelle 4. Disposizione degli spazi interni in funzione dell’orientamento 5. Ampie aperture vetrate a Sud e ad Ovest 6. Finestre di dimensioni ridotte verso Nord ed Est 7. Serramenti ad elevate performances 8. Sistemi azionabili di ombreggiamento esterno 9. Elevato grado di isolamento termico 10.Inerzia termica elevata 11.Ottima tenuta all’aria 12.Sistema di ventilazione meccanica a recupero di calore a modalità mista (VMCR) Segue>>

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Ventilazione passiva Gli edifici possono essere disegnati in modo da valorizzare o contrastare i flussi d’aria convettivi in funzione delle esigenze di comfort. I movimenti convettivi possono essere innescati da correnti d’aria presenti nei dintorni e all’interno dell’edificio; la velocità dell’aria e il ricorso all’effetto camino (causato dalla differenza di pressione e di temperatura delle masse d’aria) consentono di direzionare l’aria nel modo desiderati. 1. Orientamento 2. Forma dell’edificio 3. Disposizione degli spazi interni 4. Finestre apribili 5. Spazi tampone e facciate a doppia pelle 6. Elementi architettonici strategici 7. Aperture verso corridoi e tra gli spazi di separazione tra gli ambienti 8. Spazi centrali a doppia altezza e patii 9. Torri del vento Raffrescamento passivo Le strategie passive di raffrescamento servono a prevenire il surriscaldamento degli ambienti interni, evitando le fonti di guadagno solare passivo e rimuovendo i guadagni termici interni tramite l’uso di aria fresca esterna per la ventilazione naturale ed i fenomeni di smorzamento e sfasamento legati all’inerzia termica dei materiali. Una strategia diffusa è il raffrescamento notturno, altrimenti detto free cooling, che sfrutta l’aria fresca della notte per allontanare il calore accumulato dall’involucro durante il giorno. 1. Sistemi di ombreggiamento esterno fissi o azionabili 2. Massa termica 3. Aperture in posizione strategica 4. Finestre di piccola dimensione a Sud e ad Ovest 5. Ventilazione passiva 6. Raffrescamento notturno 7. Raffrescamento evaporativo 8. Preraffrescamento geotermico Illuminazione naturale L’illuminazione naturale massimizza l’uso e la distribuzione della luce naturale diffusa all’interno di un edificio in modo da ridurre il bisogno di illuminazione artificiale. 1. Disposizione degli spazi interni 2. Dimensione e posizionamento delle finestre 3. Utilizzo di luce diffusa 4. Soffitti elevati abbinati a finestre alte 5. Colore e finitura delle superfici interne 6. Elementi architettonici strategici 7. Mensole di luce 8. Lucernari e tubi luminosi

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

2.2 I

GUADAGNI PASSIVI

L’architettura passiva è per definizione una architettura low tech, che ricorre in maniera ridotta all’impiantistica per ottenere condizioni di salubrità e comfort all’interno degli edifici. Essa si prefigge di ridurre il fabbisogno energetico anche attraverso lo sfruttamento di fonti naturali gratuite quali sole, vento, suolo e sottosuolo e configura gli edifici in modo da ottenere il meglio da queste risorse, senza però affidarsi esclusivamente ad esse. Una buona regola è far sì che l’energia passiva compensi circa un terzo delle dispersioni termiche, affidando la domanda di energia rimanente in egual misura ai guadagni termici interni (presenza di persone ed elettrodomestici) e ad un sistema di riscaldamento. Questo perché se ci si affidasse troppo, ad esempio, ai guadagni solari alcune variazioni in corso d’opera riguardanti le dimensioni o le caratteristiche delle finestre o certi errori di posa potrebbero compromettere in parte i risultati attesi. Inoltre si potrebbe verificare una stagione particolarmente fredda o il rischio di un surriscaldamento estivo, o ancora si potrebbe andare incontro ad un costo eccessivo per i serramenti (e per i conseguenti sistemi di ombreggiamento). Ottimizzare significa rispettare la giusta misura: ad esempio se si predispongono troppe finestre verso Nord (che non forniscono alcun guadagno passivo) o se non se ne aprono abbastanza verso Sud bisognerà investire maggiormente nell’isolamento termico, scegliendo un materiale con conducibilità migliore o prevedendo maggiori spessori di materiali isolanti con un aggravio di costi. Inoltre, soprattutto in area mediterranea, è bene evitare di prevedere grandi aperture verso Est o Ovest, orientamenti soleggiati solo per una ridotta parte dell’anno e difficili da ombreggiare perché colpiti da una luce radente. I guadagni solari passivi vanno tarati anche in funzione della tipologia funzionale dell’edificio che si sta progettando, prendendo in considerazione i guadagni interni che essa comporta: solitamente la loro entità è inversamente proporzionale alla necessità di sfruttare il calore del sole. Ad esempio nel caso degli edifici particolarmente affollati, come le scuole e i teatri, le palestre in cui si fa attività fisica, gli uffici o gli stabilimenti produttivi, ovvero nei casi in cui si produce una notevole quantità di guadagni termici interni, se ci si affida troppo ai guadagni solari si può arrivare al rischio di surriscaldamento, per cui è meglio concentrarsi su strategie che consentano un raffrescamento passivo, come ad esempio prevedere una massa termica in una posizione strategica che permetta l’innesco di fenomeni di free cooling notturno. Non si deve dimenticare che, assieme all’energia termica del sole, le superfici trasparenti fanno entrare negli edifici anche la luce naturale, consentendo risparmi in termini di illuminazione artificiale, e nel contempo offrono una vista verso l’esterno. Non da ultimo, la posizione delle finestre è un elemento compositivo importante per la definizione dell’estetica dell’edificio. 2.2.1 Forma ed esposizione dell’edificio Un assunto fondamentale del progetto di un edificio passivo è che “la forma segue il clima”. Una sagoma compatta rappresenta una scelta corretta in caso ci si trovi ad

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

operare in un clima freddo, dove la superficie dell’involucro esposta verso l’esterno va minimizzata rispetto al volume riscaldato al fine di ridurre le perdite termiche per trasmissione. La forma più adatta per gli edifici passivi in questo caso è quella di un parallelepipedo compatto, caratterizzato da rapporti ridotti sia in termini di superficie disperdente e volume riscaldato che di perimetro disperdente e area riscaldata. La sagoma dell’edificio dovrebbe essere disegnata in modo da presentare i suoi lati più lunghi verso Sud e Nord e da consentire così di ottimizzare i guadagni passivi, mentre i balconi e gli sporti dovrebbero essere funzionali soltanto all’ombreggiamento estivo delle superfici trasparenti, in modo da scongiurare eventuali fenomeni di surriscaldamento. Nei climi mediterraneo, temperato e caldo, la forma ideale si fa via via meno compatta, per cui gli edifici risultano più stretti, bassi e allungati, sempre orientati prevalentemente verso Sud ma dotati di sporti orizzontali più importanti su questo fronte in modo da scongiurare il rischio di surriscaldamento estivo. In questo secondo caso può essere utile anche predisporre alcuni lucernari esposti a Nord, che consentano l’ingresso di luce diffusa evitando il rischio di guadagni termici eccessivi e che una volta aperti possano innescare fenomeni di ventilazione naturale utili al raffrescamento passivo degli ambienti.

Figura 2.2.1.1 - Forma e proporzioni degli edifici in funzione delle fasce climatiche.

Uno dei presupposti fondamentali del progetto di un edificio passivo è l’analisi del clima. Una volta individuata la fascia climatica di riferimento è opportuno calibrare le proporzioni dell’edificio in funzione di alcune semplici regole che derivano dallo studio dell’architettura vernacolare. In genere nei climi molto freddi bisogna ridurre la superficie disperdente in rapporto al volume riscaldato, ottenendo edifici estre-

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

mamente compatti che vanno costruiti con materiali dotati di una bassa conducibilità termica. Nei climi molto caldi invece va massimizzata la superficie disperdente, predisponendo anche corti esterne, utilizzando materiali caratterizzati da una massa importante e facendo ricorso per quanto possibile a sistemi di ventilazione naturale. La prima informazione da cercare nel momento in cui ci si accinge a progettare un edificio è la posizione del Nord geografico, un dato che consente di orientare correttamente lo stesso in funzione del percorso solare e della direzione dei venti prevalenti. È importante inoltre conoscere la latitudine e la longitudine del luogo, in base alle quali è possibile definire l’altezza del sole all’orizzonte in determinate ore e giorni dell’anno e prefigurare quindi l’inclinazione dei raggi solari. Quest’ultima può essere calcolata nei suoi valori massimo e minimo, una volta nota la latitudine, in base alle seguenti relazioni: Altezza minima del sole (21 Dicembre alle ore 12) = 90°+ latitudine + 23°30’ Altezza massima del sole (21 giugno alle ore 12) = 90°- latitudine + 23°30’ Per il calcolo dell’inclinazione dei raggi solari negli altri giorni dell’anno si può fare ricorso ai diagrammi solari o a semplici calcolatori disponibili on line. Conoscere la direzione e l’inclinazione dei raggi del sole nei diversi giorni dell’anno consente di disegnare la sagoma dell’edificio in modo da agevolare o ostacolare il loro ingresso, sfruttandone l’apporto passivo o ostacolandoli per evitare fenomeni di surriscaldamento. L’irraggiamento diretto consente all’energia termica del sole di penetrare all’interno degli ambienti e, grazie all’effetto serra, di produrre calore in modo “passivo”, ovvero gratuito. Nei climi freddi e negli inverni delle zone temperate è utile cercare di fare entrare il più possibile l’energia del sole dal fronte Sud, dove può farlo entrare per il maggiore numero di ore al giorno. Per questo motivo in queste zone il fronte principale di un edificio passivo dovrebbe essere orientato entro e non oltre a 30° rispetto al Sud geografico, in modo da sfruttare al meglio i guadagni passivi invernali ma anche da ombreggiare in modo semplice lo stesso fronte durante l’Estate. In questi climi anche il calore primaverile può essere utile per ridurre il fabbisogno di energia per il riscaldamento dell’edificio, mentre il sole dei primi giorni di Autunno può essere causa di surriscaldamento. È quindi utile sagomare ogni edificio non solo in funzione dell’altezza del sole a mezzogiorno nei solstizi di Inverno ed Estate, ma anche negli equinozi di Primavera e d’Autunno. Nei climi caldi, o nelle stagioni estive nei climi temperati, è importante evitare il surriscaldamento degli ambienti cercando di ostacolare l’irraggiamento solare diretto e la creazione di energia termica passiva in quanto l’azione della massa e della ventilazione possono non fornire un contributo sufficiente ad allontanare il calore e ad ottenere condizioni di comfort.

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Figura 2.2.1.2 - Strategie di ombreggiamento.

Le superfici esposte sui fronti più soleggiati possono essere ombreggiate con strategie differenti, che possono comportare elementi fissi o mobili. Nel primo caso è necessario calibrare bene le dimensioni degli elementi, soprattutto in ambito mediterraneo, in modo da ostacolare l’ingresso dei guadagni passivi solo quando serve. Per lo stesso motivo nel caso si considerino elementi vegetali è preferibile optare per specie caducifoglie. Conoscere le coordinate geografiche del progetto consente di capire quando e come i raggi solari entreranno nell’edificio, informazioni necessarie per calibrare i guadagni passivi, oltre che di definire la direzione dei venti prevalenti in modo da sfruttarli nel migliore dei modi. L’irraggiamento solare diretto può essere ostacolato con diversi elementi architettonici nei periodi dell’anno in cui c’è rischio di surriscaldamento. Sul fronte Sud è possibile prevedere in questo senso alcuni elementi orizzontali, come gli sporti della copertura, i brise soleil orizzontali, le pergole e i tendaggi, mentre ad Est e ad Ovest gli elementi ombreggianti devono essere verticali, come ad esempio i sistemi a lamelle. Tornando al fonte Sud, conoscere l’inclinazione dei raggi del sole quando quest’ultimo raggiunge la sua altezza massima sopra l’orizzonte, ovvero il 21 Giugno al solstizio d’Estate, permette di calibrare gli aggetti orizzontali utili a prevenire l’irraggiamento diretto del sole negli ambienti nei giorni più caldi. In genere alle nostre latitudini la profondità degli aggetti su questo fronte spazia dagli 800 ai 1200 mm, ma attraverso un semplice calcolo geometrico è possibile definire la giusta profondità dell’elemento in funzione della latitudine precisa.

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Figura 2.2.1.3 - La definizione degli aggetti orizzontali a Sud consente di ottimizzare i guadagni solari passivi.

L’immagine illustra un semplice metodo grafico per dimensionare gli elementi di ombreggiamento orizzontali per le finestre orientate a Sud. Esso si riferisce all’altezza minima e massima dei raggi solari nel corso dell’anno, ovvero al 21 Dicembre e al 21 Giugno nei climi temperati. Qui la “linea d’ombra” viene individuata al davanzale della finestra considerando l’inclinazione del sole nel giorno dell’anno in cui essa risulta più elevata. Nei climi freddi, caratterizzati da più di 6.000 gradi giorno per il riscaldamento, lo schema va modificato traslando la linea d’ombra verso l’alto fino ad incontrare la mezzeria della finestra. Nei climi più caldi, ovvero dove si hanno più di 2600 gradi giorno di raffrescamento, la linea d’ombra viene ancora individuata in corrispondenza davanzale della finestra ma si riferisce all’altezza del sole il giorno 21 Marzo in fine di limitare il più possibile i guadagni di calore. I fronti Est e Ovest sono interessati dall’irraggiamento solare diretto soprattutto durante la stagione estiva, in virtù di una maggiore durata delle giornate; ciò può comportare la formazione di guadagni solari passivi che in certi climi dovrebbero essere evitati.

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Figura 2.2.1.4 - Il percorso del sole nei diversi momenti dell’anno.

I grafici rappresentano il percorso del sole rispetto ai punti cardinali nei diversi periodi dell’anno; risulta evidente come a Nord (sulla parte alta del cerchio) non si assista quasi mai a fenomeni di irraggiamento diretto, mentre il Sud è illuminato dal sole durante l’intero corso dell’anno. I lati del cerchio rappresentano i fronti Est ed Ovest e sono interessati dal sole da Primavera ad Autunno. Sebbene l’irraggiamento solare sia simmetrico sui fronti Est e Ovest, al netto di eventuali sistemi ombreggianti, il secondo risulta il più penalizzato in termini di surriscaldamento estivo in quanto il calore del sole vi colpisce le strutture in concomitanza di una temperatura dell’aria più elevata. Su questo fronte i raggi solari arrivano bassi e radenti e questa particolare direzione comporta la necessità di predisporre elementi ombreggianti verticali, molto più difficili da calibrare rispetto agli sporti orizzontali chiamati a fermare l’irraggiamento diretto sul fronte Sud. Questi sono i motivi per cui si consiglia di ridurre per quanto possibile la superficie dei fronti laterali e di evitare di praticarvi aperture (vedi Figura 2.2.1.5). Quando si affronta il progetto di un edificio passivo è necessario capire anche la conformazione del paesaggio circostante, ovvero la posizione degli edifici limitrofi (attuali ed eventualmente futuri), di eventuali alberi o l’orografia del terreno, ovvero di tutti quegli elementi che possono ostacolare l’azione del sole o del vento. La bioclimatica ci insegna a progettare gli edifici in modo da evitare le possibili conseguenze negative di questi vincoli e, per quanto possibile, sfruttarli a proprio favore. Ad esempio gli alberi caducifoglie possono bloccare fino all’85% della radiazione solare estiva e durante l’inverno consentono l’ingresso di circa il 70% dell’energia termica sfruttabile dall’irraggiamento diretto. È consigliabile usare alberi molto grandi e posizionarli abbastanza vicini alla facciata che si vuole ombreggiare in Estate, tenendo conto dei potenziali problemi legati alla presenza di radici vicine all’edificio. Un buon compromesso può essere posizionare l’albero in modo che la chioma sia tangente ad una linea a 45° disegnata a partire dal piede esterno dell’edificio. Inoltre un filare di alberi posizionato a Ovest può essere utile ad impedire l’accesso del sole nei pomeriggi estivi, che nelle zone temperate rappresentano il periodo più critico per il sovrariscaldamento notturno dell’edificio.

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L2 = a×tan(a) con: tan(as) tan(a) = cos(Δg) Δg < gs - g

e per l’aggetto posizionato a sinistra (S): Δλ > 0 L1 = min [a×tan(Δλ);L Δλ < 0 L1 = 0 mentre per l’aggetto posizionato a destra (D): Δλ < 0 L3 = min [-a×tan(Δλ);L Δλ ≥ 0 L3 = 0 Figura 2.2.1.5 - La definizione degli aggetti laterali ad Est ed Ovest volti ad ostacolare l’irraggiamento diretto.

La definizione degli aggetti laterali utili all’ombreggiamento sui fronti Est ed Ovest presuppone la conoscenza dell’angolo di deviazione del fronte su cui si va a operare rispetto al Sud geografico (g) e dell’altezza dei raggi solari rispetto all’orizzonte nel giorno e nell’ora in cui si vuole effettuare il calcolo (a). Quest’ultimo valore dipende dalla latitudine del luogo e può essere definito con l’uso di specifiche carte solari.

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Figura 2.2.1.6 - Sagomare l’edificio per ottimizzare gli apporti passivi.

Nei climi temperati la bioclimatica consiglia di sagomare l’edificio in modo da lasciare entrare il calore del sole sul fronte Sud durante la stagione invernale e controllare l’irraggiamento durante la stagione estiva, sfruttando l’orografia del terreno per proteggere l’involucro dai venti freddi dell’Inverno. La conformazione del terreno circostante l’edificio può anche influenzare la direzione e la intensità dei venti, che risultano variabili sia nel corso dei giorni che delle stagioni. Si può ad esempio valutare di interrare parzialmente una struttura per difendersi dai venti invernali e per sfruttare la temperatura stabile del sottosuolo in modo da ridurre la domanda di energia per il riscaldamento e/o il raffrescamento. Le barriere frangivento possono aiutare a ridurre il fabbisogno di energia per il riscaldamento fino al 10-15%, assumendo diverse forme: alberi, siepi, recinti, cortili, muri di confine, come anche il tessuto costruito circostante. Nelle città medievali e nei paesi di montagna esposti a forti venti la griglia delle strade urbane non risulta quasi mai regolare proprio per evitare che la pressione del vento acquisisca forza. Una barriera è efficace in questo senso quando è posta ad una distanza massima pari ad un quinto dell’altezza della barriera stessa. Check list 2.2.1.1 - Forma e posizione dell’edificio.

• Sfruttare gli elementi naturali circostanti per ottimizzare il microclima locale; • Progettare l’edificio su un asse Est-Ovest in modo da avere una ampia superficie a Sud capace di catturare il calore del sole. In climi temperati il rapporto tra il lato minore a Est/Ovest e quello maggiore a Sud dovrebbe essere almeno 1:1,5; • Prevedere la maggior parte delle finestre a Sud; • Negli ambienti orientati a Sud prevedere massimo il 25% di superficie vetrata rispetto alla superficie interna delle pareti; Segue >>

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• A Est può essere prevista qualche finestra per sfruttare il soleggiamento del mattino per il riscaldamento passivo, mentre ad Ovest sarebbe meglio evitarle o almeno ombreggiarle con alberi caducifoglie per evitare il surriscaldamento estivo; • Ridurre il rischio di surriscaldamento mediante lo studio della posizione delle aperture e la calibrazione dei sistemi di ombreggiamento; • Creare una maschera degli ombreggiamenti per configurare la forma delle ombre di tutti gli elementi circostanti in funzione dell’altezza del sole nelle diverse stagioni; • Evitare se possibile che il fronte Sud durante l’Inverno rimanga ombreggiato tra le 9.00 e le 15.00; • Piantare alberi decidui nel giardino in posizione opportuna per avere zone d’ombra durante l’estate; • Proteggere l’edificio dai venti invernali e cercare di sfruttare l’effetto delle brezze estive; • Se è previsto un garage non interrato, posizionarlo a Nord; • Negli ambienti orientati a Sud prevedere massimo il 25% di superficie vetrata rispetto alla superficie interna delle pareti.

2.2.2 La componente termica passiva dell’energia solare I principi della trasformazione dell’energia solare in luce e calore si spiegano con teorie complesse che fanno capo alla fisica quantistica, ma comportano conseguenze semplici ed immediate. Il calore e la luce del sole in primis permettono lo sviluppo di ogni forma di vita sulla terra. Negli edifici la radiazione solare incidente attraversa gli elementi vetrati trasparenti per quanto riguarda le componenti dello spettro caratterizzate da una lunghezza d’onda breve (la parte ultravioletta e visibile della luce). Una quota di questa radiazione entra negli ambienti sotto forma di energia termica e riscalda le superfici opache, le quali a loro volta re-irradiano il calore assorbito caratterizzato da una lunghezza d’onda maggiore (infrarossa) a cui gli elementi trasparenti risultano impermeabili e che, non potendo più uscire, contribuisce ad aumentare il valore della temperatura interna dell’aria. Questo processo prende il nome di effetto serra ed è il fenomeno fisico che sta alla base del comportamento passivo degli edifici.

Figura 2.2.2.1 - Progettare in funzione dell’effetto serra.

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Nel progetto della casa in paglia realizzata a Vicenza su disegno dell’architetto Jimmi Pianezzola lo spazio a tutta altezza del soggiorno, affacciato su un patio, è orientato a Sud e prevede una serie di aperture ed elementi sagomati in maniera da lasciare entrare il calore del sole nella stagione invernale ed evitare nel contempo il rischio di surriscaldamento estivo. Per sfruttare al meglio il calore che si forma in modo passivo all’interno degli ambienti è buona norma nei climi freddi e temperati orientare le stanze più frequentate della casa, come il soggiorno e le camere da letto, verso Sud e posizionare a Nord o sugli altri fronti gli ambienti che vengono usati in modo più sporadico (locali di servizio, bagni, ripostigli, corridoi) così da realizzare il cosiddetto “spazio tampone”.

Figura 2.2.2.2 - Il layout bioclimatico ideale.

La disposizione planimetrica degli ambienti può essere definita in modo da massimizzare i guadagni solari passivi. Visto che sul fronte Sud il calore del sole è disponibile durante l’intero corso dell’anno, è utile orientare in questa direzione gli ambienti in cui si tende a trascorrere la maggior parte del tempo, collocando le stanze “di servizio” sulle altre esposizioni. Nei casi vi siano vincoli che non consentono questa disposizione ideale, è preferibile disporre ad Est le camere da letto e le cucine, mentre ad Ovest si posizionano le stanze da lavoro. Il Nord è l’orientamento più adatto per gli spazi di servizio e di collegamento. Nei climi più freddi è possibile sfruttare al meglio l’energia termica gratuita del sole collegando gli ambienti più frequentati della casa ad una serra bioclimatica, che andrebbe orientata al massimo a 45° a Est o Ovest rispetto al Sud geografico. Grazie all’effetto serra, all’interno di questo spazio ibrido, che deve essere privo di impianto di riscaldamento, si produce nelle ore più calde del giorno una certa quantità di calore passivo gratuito che può essere trasferito ai locali adiacenti sfruttando i fenomeni di trasmissione o di convezione. In ambito mediterraneo è necessario valutare

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preventivamente il reale contributo di questi strumenti bioclimatici, in quanto essi possono rappresentare un rischio di surriscaldamento nei mesi più caldi dell’anno e quindi una maggiore domanda di energia per il raffrescamento, vanificando così il beneficio dei guadagni passivi invernali. Le serre bioclimatiche fanno parte dei sistemi solari passivi a guadagno indiretto, in cui la radiazione solare non penetra direttamente nello spazio climatizzato ma produce calore in uno spazio intermedio non riscaldato sfruttando l’effetto serra. La quota di energia termica che può essere prodotta in modo passivo dipende dal rapporto tra la superficie vetrata e il volume della serra, dal tipo di connessione tra gli ambienti riscaldati e la serra stessa e dal coefficiente di trasmissione solare, o dal fattore solare, delle superfici vetrate che definiscono questi ambienti. Nei climi temperati i serramenti più adatti a delimitare le pareti esterne delle serre sono indicativamente dotati di doppi vetri basso emissivi; nelle fasce climatiche più fredde gli eventuali elementi vetrati che le separano dagli ambienti riscaldati dovrebbero essere più performanti per proteggere questi ultimi dalle dispersioni notturne. Le serre devono essere ombreggiabili dall’esterno ed in buona parte apribili, soprattutto in copertura, per agevolare la ventilazione durante l’estate ed allontanare il calore eccessivo. Le serre bioclimatiche possono essere incassate o addossate al corpo di fabbrica. È opportuno prevedere la parte trasparente soltanto verso Sud, mentre i lati Est ed Ovest dovrebbero essere opachi e realizzati con pareti ad elevata inerzia termica in modo da proteggere questo spazio ibrido dal surriscaldamento estivo e prevenire dispersioni termiche eccessive durante la notte. In ambito temperato e mediterraneo anche la copertura va prevista opaca, per potenziare l’ombreggiamento e ridurre ulteriormente il rischio di surriscaldamento estivo, in una stagione in cui l’inclinazione dei raggi solari è più vicina alla normale del piano orizzontale e lascia passare tramite la copertura la maggiore quantità di energia termica. Durante l’estate le parti trasparenti della serra dovrebbero essere in buona parte, se non completamente, apribili, in modo da innescare meccanismi di ventilazione naturale ed allontanare così eventuali guadagni termici, oltre che ombreggiabili dall’esterno per prevenire una produzione eccessiva di calore.

Figura 2.2.2.3 - La configurazione delle serre bioclimatiche.

Le serre bioclimatiche possono essere completamente incassate nel volume riscaldato, in modo da comportare una minore area vetrata disperdente e più ampie superfici di collegamento con gli spazi riscaldati, oppure addossate a questi ultimi. Nel secondo

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caso si produce in genere una maggiore quantità di energia termica passiva, ma nel contempo si assiste a più importanti fenomeni di dispersione termica notturna. Il calore prodotto in modo passivo all’interno delle serre bioclimatiche può essere trasmesso agli ambienti riscaldati per conduzione o per convezione. Secondo questi principi fisici, le serre possono essere catalogate in tre tipologie, variabili in funzione della modalità di separazione con l’interno: - a guadagno diretto, quando i due elementi sono separati da un semplice serramento. Esse presentano una tipologia prevalente di scambio termico per convezione che avviene all’apertura dei serramenti di separazione; - a scambio convettivo, quando tra gli ambienti riscaldati e la serra vi è la possibilità di scambiare calore sia per convezione che per irraggiamento, attraverso le pareti e alcune prese d’aria apribili; - a scambio radiante, quando l’elemento che separa i due ambienti è rappresentato da una muratura massiva.

Figura 2.2.2.4 - Tipologie di serre bioclimatiche in funzione del tipo di scambio termico.

Le serre bioclimatiche si differenziano a seconda della modalità di trasmissione del calore passivo prodotto al loro interno. Essa può essere diretta nel momento in cui è possibile aprire un serramento che delimita i due spazi, a scambio convettivo quando vi è la presenza di apposite prese d’aria sulla parete che delimita i due ambienti e a scambio radiante quando la comunicazione termica viene affidata alla massa di una parete opaca. Durante le giornate invernali nelle serre a guadagno diretto il collegamento agli ambienti riscaldati va attivato quando la temperatura interna allo spazio soleggiato diventa uguale o maggiore di 19 - 20 °C, in modo da garantire un apporto termico positivo, mentre con temperature inferiori è bene che i serramenti di collegamento rimangano chiusi. I moti convettivi d’aria che si verificano all’interno delle serre andrebbero limitati riducendone il volume e la profondità, in quanto essi possono favorire la dispersione verso l’esterno del calore prodotto. Per evitare importanti dispersioni duranti le notti invernali, capaci di vanificare i guadagni diurni, nelle serre a guadagno diretto i serramenti di collegamento tra i due spazi devono presentare un valore di trasmittanza molto ridotto e se possibile vanno protetti con tende o pannelli applicati sul

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lato esterno della stessa. Nelle serre a scambio radiativo si cerca invece di massimizzare l’irraggiamento solare sulla parete di accumulo che divide i due spazi, che deve essere dotata di una buona massa termica in modo che, grazie al fenomeno dello sfasamento, essa trasferisca il calore agli ambienti riscaldati adiacenti in un momento successivo. Nelle serre a scambio convettivo è sufficiente interrompere la comunicazione termica con l’ambiente riscaldato chiudendo le aperture di collegamento, mentre in quelle a scambio radiativo è possibile applicare un isolamento mobile sulla parete di separazione per evitare la dispersione termica e usufruire anche nelle ore notturne dell’energia eventualmente immagazzinata nella massa della parete radiante. L’effetto di una serra solare sul bilancio energetico di un edificio può essere calcolato secondo il metodo stazionario, seguendo le procedure contenute nella norma EN ISO 13790, o dinamico, utilizzando programmi di simulazione come ad esempio Energy Plus. Nel caso ci si trovi a dimensionare una serra solare nelle prime fasi progettuali di un edificio ci si può limitare ad un dimensionamento di massima, ricorrendo ad esempio al cosiddetto “metodo 5000”. Si tratta di una procedura di calcolo semplificata che consente una veloce analisi preliminare del comportamento termico delle serre, che è stata elaborata in un semplice programma di calcolo sviluppato per la Comunità Europea dall’Energy Research Group del Dublin College. Il metodo consente di stimare i guadagni passivi diretti ed indiretti associati alla serra, le perdite per trasmissione e per ventilazione e la quantità di calore che viene trasferito dallo spazio soleggiato all’interno dei locali riscaldati tramite il semplice ricambio d’aria. 2.2.3 La componente luminosa dell’energia solare L’energia solare è composta anche da una componente luminosa, che si rivela abbastanza indipendente dai climi e dalle stagioni. A seconda delle condizioni atmosferiche, il sole rende disponibile ogni giorno una quantità di energia luminosa variabile dai 10.000 ai 100.000 lux, a fronte di un bisogno medio di 300 lux che si rivela sufficiente a svolgere le comuni attività che si compiono all’interno di un edificio. Questa forma di energia gratuita del sole entra negli ambienti tramite le superfici trasparenti sia in maniera diretta che diffusa, quest’ultima grazie al fenomeno della riflessione delle superfici che si trovano all’esterno dell’edificio. Al contrario di quello che succede per l’energia termica passiva, qui la componente diffusa si rivela la più opportuna per illuminare in maniera naturale gli ambienti in quanto non è associata a fenomeni di discomfort luminoso quali l’abbagliamento. Un edificio capace di sfruttare al meglio la luce naturale può comportare un risparmio fino al 40% della domanda di energia per l’illuminazione artificiale. L’impiego diffuso della luce naturale non implica soltanto vantaggi di tipo economico legati al risparmio energetico, ma può essere anche motore di benefici per gli occupanti in termini di salute psicofisica, la quale dipende anche dalle possibilità di osservare dalle finestre ciò che succede all’esterno degli ambienti. Le maggiori potenzialità dello sfruttamento dell’illuminazione naturale si verificano nelle strutture occupate prevalentemente durante il giorno, quali uffici, scuole, ospedali e centri

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commerciali ed è ampiamente dimostrato che consente anche una maggiore produttività e capacità di recupero degli occupanti.

Figura 2.2.3.1 - Le dinamiche della illuminazione naturale.

L’illuminazione naturale degli ambienti avviene non solo per componenti dirette ma anche riflesse. Entrambe dipendono dalle condizioni del cielo e dell’ambiente circostante, oltre che dalla conformazione dell’edificio, dal fattore di trasmissione luminosa degli elementi trasparenti, dal coefficiente di riflessione delle superfici che rivestono gli ambienti interni e dal colore e dalla disposizione degli arredi. Il progetto della luce naturale è correlato all’orientamento geografico ed alla conformazione dello spazio esterno e dell’edificio stesso, che dovrebbero condizionare la posizione e la dimensione delle finestre, le quali assieme alla tipologia dei vetri, ai sistemi di protezione solare, alle proporzioni degli ambienti interni (profondità ed altezza) e al fattore di riflessione delle finiture applicate sulle superfici interne definiscono la quantità e la qualità di energia luminosa presente nei locali e le condizioni di comfort in questo senso. Tra i fattori più importanti per la definizione del livello di illuminazione naturale degli ambienti vi è la porzione di cielo visibile da ogni finestra, che è determinante per capire la quantità di luce che può entrare al loro interno in modo diretto o riflesso a seconda della esposizione geografica. In generale si può affermare che nei locali monoaffaccio di piccole e medie dimensioni, ovvero quando la profondità massima non eccede i 7 metri, la superficie finestrata dovrebbe interessare circa il 20% dell’area della parete esterna; nel caso di prospetti orientati a Sud questa quota può salire al 35% in modo da consentire anche lo sfruttamento dei guadagni termici passivi. Le finestre molto alte, dove il voltino può arrivare fino al soffitto, massimizzano la possibilità di ingresso della luce naturale, mentre le superfici trasparenti pre60

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viste nei primi 70 centimetri di altezza rispetto al pavimento non contribuiscono in maniera significativa all’illuminazione naturale. Nel caso di lucernari in copertura, dove la componente diretta è prevalente, la superficie trasparente non dovrebbe superare la quota del 10% dell’area di pavimento di ogni locale in modo da prevenire fenomeni di abbagliamento e il rischio di surriscaldamento estivo. Una delle principali sfide del progetto di illuminazione naturale sta nel calibrare la quantità e la qualità della luce che entra dalle finestre in modo che non risulti eccessiva e non provochi fastidiosi fenomeni di abbagliamento. Ogni finestra è chiamata a compiere una serie di funzioni anche in contrasto tra di loro: illuminare gli ambienti se possibile garantendo nel contempo guadagni di calore passivi, proteggendoli dalle perdite termiche durante l’inverno nelle ore meno soleggiate, evitare fenomeni di surriscaldamento durante l’estate e risultare impermeabile ai rumori. Per questo motivo ogni apertura che si decide di praticare sull’involucro opaco andrebbe valutata in base a tutte queste implicazioni. La quota ottimale di vetratura trasparente da prevedere in un edificio rappresenta il 30% della superficie opaca verticale, preferibilmente orientata verso Sud. Questo dato è comunque molto generico ed è valido per il clima temperato. L’orientamento geografico più efficiente dal punto di vista energetico per le finestre è il Sud, dove bisogna comunque cercare di calibrare guadagni e perdite sia dal punto di vista illuminotecnico che da quello termico, tarando le superfici trasparenti e prevedendo opportuni sistemi di schermatura orizzontale capaci di ostacolare la componente diretta dei raggi solari e nel contempo consentire l’ingresso di luce diffusa. Le aperture ad Est e Ovest sono sconsigliate anche da questo punto di vista poiché queste esposizioni offrono una luce radente che può causare abbagliamento, mentre nei climi particolarmente caldi è possibile sfruttare la luce naturale che proviene da Nord, la quale presenta una ottima qualità essendo esclusivamente diffusa. Anche le proporzioni dei singoli locali sono importanti per un buon livello di illuminazione naturale, soprattutto in termini di profondità, che non dovrebbe mai superare i 5/7 metri. Negli ambienti stretti e lunghi si può spingere la luce naturale verso l’interno facendo ricorso alle mensole di luce, altrimenti dette lightshelf. Si tratta di elementi sporgenti da prevedere a circa 50 cm dal soffitto, chiusi verso l’esterno da un vetro trasparente e rivestiti con materiale riflettente in modo da convogliare la luce più in profondità. La mensola può essere interna o esterna rispetto al vetro in funzione della fascia climatica in cui si sta operando, ovvero della necessità di separare il flusso termico dalla componente luminosa dei raggi solari e quindi garantire guadagni passivi piuttosto che evitare il rischio di surriscaldamento.

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Figura 2.2.3.2 - La posizione delle mensole di luce in relazione alle diverse fasce climatiche.

Le mensole di luce sono strumenti che servono a spingere in profondità l’ingresso della luce naturale all’interno degli ambienti. La loro posizione rispetto all’ambiente interno varia in funzione della necessità di sfruttare la componente termica passiva o di ombreggiare la superficie vetrata per evitare fenomeni di surriscaldamento. In questo senso le sezioni esterne vanno dimensionate come fossero degli elementi ombreggianti, tenendo conto dell’inclinazione dei raggi del sole. Oltre alla grandezza delle aperture e al loro orientamento geografico, un ulteriore fattore importante che definisce la quantità di luce naturale è la scelta dell’elemento vetrato. Il parametro da considerare in questo senso è il fattore di trasmissione luminosa, un valore che esprime il rapporto tra la quantità di luce incidente sulla superficie vetrata e quella trasmessa dalla stessa all’interno degli ambienti. Si tratta di un parametro di valutazione la cui incidenza nei vetri più diffusi in commercio varia in modo inversamente proporzionale alla trasmittanza termica, mettendo di fatto in competizione l’isolamento termico delle parti trasparenti con la possibilità di illuminare naturalmente gli ambienti. Il fattore di trasmissione luminosa dei vetri è uno di quei parametri, analogamente alla trasmittanza termica e al fattore solare, che andrebbe definito in una fase il più possibile preliminare del progetto, poiché è strettamente correlato al rapporto di foratura delle superfici opache.

Figura 2.2.3.3 - Relazione tra fattore di trasmissione luminosa τ e fattore solare g.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Lo schema dimostra una correlazione lineare tra il fattore trasmissione di luminosa e quello termico delle superfici vetrate, quindi tra i guadagni solari passivi e le possibilità d’illuminazione naturale. Tabella 2.2.3.1 - Valori convenzionali di trasmittanza U, fattore solare g e fattore di trasmissione luminosa τ dei vetri.

TRASMITTANZA U (W/m2k)

FATTORE SOLARE g

FATTORE DI TRASMISSIONE LUMINOSA TI

Semplice chiaro

5,5÷6,0

0,80÷0,87

0,87÷0,99

Doppio chiaro

2,8÷3,2

0,70÷0,75

0,77÷0,81

Doppio bassoemissivo

1,0÷2,3

0,60÷0,70

0,70÷0,80

Doppio assorbente/riflettente

2,3÷2,8

0,12÷0,60

0,07÷0,60

Doppio selettivo

1,2÷1,8

0,20÷0,50

0,35÷0,70

TIPO DI VETRO

Vetri molto performanti dal punto di vista dell’isolamento termico comportano un fattore solare ed un fattore di trasmissione luminosa alquanto bassi, riducendo di fatto la possibilità di isolare e ottenere contemporaneamente un buon livello di illuminazione naturale. Nella scelta dei serramenti per un edificio passivo è importante scegliere prodotti che rappresentino un buon compromesso tra questi tre valori. Una volta entrata negli ambienti, la luce naturale va distribuita in modo ottimale e se possibile omogeneo, privilegiando la diffusione della componente indiretta in modo da assicurare il massimo livello di comfort ed evitare fenomeni di abbagliamento causati da eccessivi contrasti di luminanza. Quest’ultimo rappresenta la principale forma di discomfort legata all’illuminazione e potrebbe comportare, quando diventa molesto, l’azionamento dei sistemi di oscuramento o l’accensione della luce artificiale, che se si verificassero in un giorno soleggiato rappresenterebbero voci di consumo inutili. Una corretta distribuzione delle luminanze nel campo visivo influenza il livello di adattamento degli occhi alla luce e favorisce l’acuità visiva, la sensibilità al contrasto e l’efficienza delle funzioni oculari. Le dimensioni degli ambienti, i materiali ed i colori impiegati per rivestire superfici ed arredi rappresentano fattori molto importanti in questo senso, poiché le luminanze di tutte le superfici sono determinate dal loro fattore di riflessione. Il progettista medio italiano in genere, a meno che non si accinga a progettare particolari luoghi di lavoro, si riferisce ai parametri elementari minimi di illuminazione naturale che si trovano nei regolamenti edilizi e di igiene che solitamente vengono emessi a livello comunale. Entrambi di norma parlano di rapporti aero-illuminanti, ovvero di una superficie minima di aperture trasparenti rispetto alla superficie di pavimento di ogni locale, sufficiente a definire l’illuminazione naturale nei casi in cui la profondità degli ambienti non superi 2,5 volte l’altezza del voltino superiore dei serramenti. Il valore di riferimento in questo senso è di 1/8, che può arrivare a 1/10 in alcune città o in ambienti particolari. A ben guardare l’art. 5 del D.M. 05/07/1975 ancora in vigore 63

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dispone quanto segue: “Tutti i locali degli alloggi (tranne vani scala, ripostigli, ecc.) devono fruire di illuminazione naturale diretta adeguata alla destinazione d’uso. L’ampiezza delle finestre deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore del Fattore medio di Luce Diurna non inferiore al 2% e comunque la superficie apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento”. Il “fattore di luce diurna” è un valore che esprime il livello di illuminamento in un determinato punto di un ambiente interno rispetto all’illuminamento compressivo disponibile nell’ambiente esterno. Al contrario del rapporto illuminante, esso tiene conto della quantità di luce naturale che può entrare dalle finestre nell’ambiente oggetto di valutazione, oltre che della capacità di riflessione della stessa da parte delle superfici interne dell’ambiente stesso e per questo motivo può essere utile anche in fase di progettazione preliminare per definire l’area finestrata necessaria ad ottenere un buon livello di illuminazione naturale (a patto che si inseriscano valori realistici circa il coefficiente di riflessione delle superfici interne). Il limite di questo parametro è che non tiene conto della quantità di luce effettivamente disponibile in un luogo in virtù della sua latitudine e dell’esposizione geografica della finestra, un calcolo che può comunque essere eseguito in fase di progettazione avanzata inserendo in appositi software oltre ai dati citati finora anche le coordinate geografiche e l’orientamento dell’edificio. Il fattore di luce diurna è direttamente proporzionale alla superficie trasparente dell’ambiente considerato, alla porzione di cielo visibile direttamente da ogni finestra, al fattore di trasmissione solare del vetro ed alla capacità di riflettere la luce delle superfici interne che rivestono il locale in questione. La componente più strategica da questo punto di vista è il soffitto, che dovrebbe presentare un fattore di riflessione luminosa elevato in modo da reindirizzare, riflettendola, la luce naturale che lo colpisce verso il basso e quindi verso i piani di lavoro. Nelle stanze poco profonde risulta molto importante in questo senso anche la parete interna diametralmente opposta alle finestre, che dovrebbe essere in grado di riflettere almeno il 70% della luce in ingresso. Tabella 2.2.3.2 - Intervalli ottimali dei fattori di riflessione delle superfici interne suggeriti nella UNI EN 12464-1. TIPO DI SUPERFICIE

FATTORE DI RIFLESSIONE CONSIGLIATO (UNI EN 12464-1)

Soffitto

da 0,6 a 0,9

Pareti

da 0,3 a 0,8

Piani di lavoro

da 0,2 a 0,6

Pavimento

da 0,1 a 0,5

Da questi valori si può intuire come il pavimento ed i piani di lavoro possono essere realizzati con materiali e colori che comportano fattori di riflessione ridotti, mentre è fondamentale che i soffitti siano in grado di riflettere al meglio la luce soprattutto in casi di aperture alte in cui il voltino superiore è molto vicino al soffitto. Anche le superfici verticali, soprattutto in ambienti poco profondi, possono fornire un contributo interessante in termini di riflessione della luce naturale. 64

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Tabella 2.2.3.3 - Valori del coefficiente di riflessione luminosa di diversi materiali usati per rivestimenti interni. COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE LUMINOSA

MATERIALE Intonaco bianco recente

0,8

Intonaco molto chiaro (avorio chiaro, giallo chiaro)

0,7

Intonaco chiaro

0,6 ÷ 0,5

Intonaco medio

0,5 ÷ 0,3

Intonaco scuro (rosso, verde oliva)

0,3 ÷ 0,1

Mattone chiaro

0,4

Mattone scuro, cemento grezzo, legno scuro, pavimenti di tinta scura

0,2

Pavimenti di tinta chiara

0,6 ÷ 0,4

Alluminio

0,8 ÷ 0,9

Il coefficiente di riflessione luminosa dei materiali varia in funzione del grado di lucidità, della rugosità, della superficie e del colore degli stessi. In un edificio passivo l’obiettivo di conseguire un fattore di luce diurna del 2% è ragionevole. Valori superiori al 4% possono comportare rischi di surriscaldamento degli ambienti interni, soprattutto per pareti esposte a Sud e ad Ovest e non adeguatamente ombreggiabili. Tabella 2.2.3.4 - Percezione luminosa associata al valore del fattore di luce diurna.

FLD

< 1% Molto basso

1-2% Basso

2-4% Moderato

4-7% Accettabile

7-12% Elevato

12% Elevatissimo

Percezione Luminosa

Da scuro a scarsamente illuminato

Scarsamente illuminato a luminoso

Da luminoso a luminosissimo

Note

Adatto a spazi secondari (corridoi, magazzini)

Adatto per luoghi di lavoro

Rischio di abbagliamento

Atmosfera

Lo spazio ha nulla/scarsa relazione con l’esterno

Lo spazio ha relazioni con l’esterno

L’ ambiente ideale è illuminato in modo diffuso e presenta un fattore di luce diurna compreso nel range che va dal 2 al 5%. Per il benessere visivo è importante che le finestre consentano anche una relazione visiva con l’esterno.

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Tabella 2.2.3.5 - Azioni da fare e da evitare per sfruttare al meglio l’energia termica e luminosa del sole. NO

SI

• Scegliere i serramenti soltanto in base alla trasmittanza termica senza tenere conto di surriscaldamento e illuminazione naturale • Prevedere eccessive superfici trasparenti senza valutarne le conseguenze • Affidarsi solo ad alberi caducifoglie per l’ombreggiamento estivo • Prevedere sistemi di ombreggiamento orizzontali uguali su tutti i fronti

• Prevedere zanzariere e sistemi di sicurezza sulle finestre per consentire la ventilazione naturale notturna durante l’estate • Scegliere il colore e la finitura delle superfici esterne dell’edificio e di eventuali persiane e sistemi di ombreggiamento anche in base alla fascia climatica in cui si opera • Predisporre tendaggi o ombreggiamenti esterni per l’estate e tendaggi interni utili nella stagione invernale per prevenire l’abbagliamento • Progettare per la luce naturale e per la vista dall’esterno senza tralasciare le conseguenze che dette scelte potrebbero comportare sulle dispersioni termiche e sui guadagni passivi (e viceversa) • Progettare ponendo attenzione alla qualità della luce naturale oltre che alla quantità • In caso di ambienti particolarmente profondi valutare l’utilizzo di mensole di luce • Utilizzare colori chiari sulle superfici interne delle murature e dei soffitti per amplificare l’effetto della luce naturale sfruttando il fenomeno della riflessione

Check list 2.2.3.1 - Comfort ed energia solare passiva.

• Prevedere una quantità di elementi trasparenti mirata in funzione dell’esposizione e degli obiettivi progettuali, dotandoli di sistemi di ombreggiamento di forma e dimensioni adatte; • Nella disposizione degli ambienti è bene posizionare la cucina dove si fa colazione ad Est per catturare il tepore del sole del mattino, il soggiorno e gli ambienti che si vivono per la maggior parte della giornata a Sud e la sala da pranzo e lo studio a Ovest; le stanze da letto andrebbero esposte a Sud o ad Est per catturare del sole del mattino, asciugare l’umidità ed evitare il surriscaldamento estivo; • Nei climi più caldi adottare strategie passive per scomporre l’ingresso di luce naturale diffusa da guadagni termici che comporterebbero surriscaldamento, tramite meccanismi quali persiane, mensole di luce, mashrabiya, ecc.; • Sfruttare i sistemi di free cooling per il raffrescamento notturno in modo da allontanare eventuale calore prodotto durante il giorno; • Calibrare il colore delle superfici interne ed esterne dell’edificio in funzione del clima e degli obiettivi termici ed illuminotecnici del progetto; • Un fattore di luce diurna superiore al 4% può comportare il rischio di surriscaldamento estivo; • Ottimizzare l’ingresso dell’illuminazione naturale diffusa e progettare l’impianto di illuminazione artificiale in funzione di essa.

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2.2.4 Le superfici trasparenti I serramenti esterni rappresentano il componente tecnologico più complesso dell’intero involucro disperdente, in quanto influiscono contemporaneamente sull’andamento di svariati fattori quali i guadagni termici e le perdite per trasmissione e ventilazione dell’involucro, il livello di illuminazione naturale e d’areazione naturale degli ambienti, la possibilità di ventilarli talvolta naturalmente provvedendo al raffrescamento degli stessi, il livello di isolamento acustico e la sicurezza degli edifici, oltre che la presenza di ponti termici ed acustici legati alla loro posa. Generalmente essi rappresentano il componente edilizio più costoso tra quelli che costituiscono l’intero involucro e sono formati a loro volta da diversi elementi che è necessario valutare, non limitandosi alla trasmittanza termica della parte vetrata. Una scelta accurata dei serramenti pesata in una ottica costi/benefici in funzione delle loro caratteristiche, associata ad un dimensionamento e ad un loro posizionamento corretto sulle diverse facciate, può implicare notevoli variazioni del comportamento passivo dell’edificio, sia dal punto di vista termico che illuminotecnico, e quindi della domanda di energia necessaria per gestirne il comfort. Le caratteristiche da valutare, oltre alla trasmittanza termica, sono: il fattore solare del vetro che ne esprime la potenzialità in termini di guadagni termici passivi (la quale non può prescindere dall’orientamento), il coefficiente di trasmissione luminosa che rivela il contributo che il serramento può dare in termini di illuminazione naturale, i valori di permeabilità all’aria, tenuta all’acqua e resistenza al vento che garantiscono sulla robustezza del prodotto, la presenza di eventuali meccanismi che permettano di sfruttarne il contributo in termini di ventilazione naturale, esigenze particolari in termini di manutenzione, la garanzia prevista per legge per il prodotto stesso e non da ultima la qualità di posa. La posa di ogni serramento è fondamentale in quanto, se non gestita in modo opportuno, è in grado di vanificare l’importante investimento economico associato a questo componente a causa dell’insorgenza di ponti termici o di perdite per ventilazione, problemi che possono inficiare in buona parte i guadagni passivi o il livello di isolamento termico previsti. Queste prestazioni dipendono anche dalla eventuale presenza di svariati accessori quali tapparelle o persiane per l’oscuramento e la sicurezza, tende interne o esterne, frangisole, zanzariere e sistemi di domotica. In genere la qualità termica del serramento si identifica con la trasmittanza termica totale Uw , una misura che varia al variare della dimensione del serramento stesso e delle caratteristiche dei suoi componenti. Questo valore viene calcolato secondo la procedura contenuta nella norma UNI EN ISO 10077 - 1 Determinazione della trasmittanza termica del serramento - Metodo di calcolo, la quale tiene conto dei seguenti parametri: - la trasmittanza termica del vetro Ug e l’area della superficie trasparente Ag; - la trasmittanza termica Uf e la superficie del telaio Af; - la trasmittanza termica lineare del distanziatore Ψg e la lunghezza dello stesso lg; - nel progetto degli edifici passivi in genere si tiene conto anche della dispersione del ponte termico lineare conseguente alle modalità di installazione della finestra ΨInst , un valore che va moltiplicato per il perimetro che rappresenta il raccordo tra il serramento e la muratura lIns.

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Negli edifici passivi la trasmittanza massima limite di ogni serramento è determinata in funzione del criterio di comfort che sta alla base di questa strategia progettuale, ovvero controllando che la temperatura media di tutti i componenti del serramento non sia inferiore di 3°C rispetto alla temperatura ambiente durante l’Inverno. Generalmente nei climi freddi e temperati questo requisito si traduce in un valore di trasmittanza dell’intero serramento Uw pari a 0,8 W/m2 K. Un contributo considerevole nella definizione di questo dato è rappresentato dalle qualità termiche della parte trasparente, che in genere è composta da un doppio o triplo vetro, il quale nelle intercapedini contempla generalmente la presenza di un gas più rarefatto dell’aria come l’argon o il krypton. La superficie vetrata può anche essere oggetto di particolari trattamenti quali film bassoemissivi o selettivi e depositi funzionali a controllo solare. I vetri rivestiti con trattamenti bassoemissivi sono in grado di riflettere verso l’interno il calore che tenderebbe normalmente a disperdersi verso l’esterno e possono ridurre il fabbisogno di energia per il riscaldamento, mentre quelli a controllo solare sono usati in genere per impedire l’entrata del calore, riflettendolo verso l’esterno, e abbattere così la domanda di energia per il raffrescamento. I due trattamenti possono essere anche combinati in un unico prodotto. I vetri selettivi invece sono rivestiti da particolari ossidi di metallo che li rendono capaci di trattenere il calore nella parte interna e di rifletterlo allontanandolo da quella esterna. Il mercato oggi offre anche prodotti più evoluti dal punto di vista tecnologico, come i vetri elettrocromici, fotocromici, termocromici e termotropici che sono in grado di variare il grado di opacità in funzione di determinate condizioni fisiche, oltre a pannelli isolanti semitrasparenti e a quelli a cambiamento di fase.

Figura 2.2.4.1 - I trattamenti delle superfici vetrate.

I componenti vetrati dei serramenti possono variare le loro caratteristiche in termini di assorbimento e riflessione dell’energia solare in funzione di una serie di differenti trattamenti superficiali. Il vetro bassoemissivo riflette verso l’interno il calore presente negli ambienti, quello a controllo solare riflette invece il calore incidente dall’esterno, mentre il vetro selettivo riflette rispettivamente sia la componente termica interna che quella esterna. Le qualità dei serramenti dipendono sostanzialmente dalle caratteristiche delle componenti vetrate, che vanno valutate in base ai seguenti fattori: - Trasmittanza termica [Ug espressa in W/m2 K]: è la quantità di calore trasferita,

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in regime stazionario, nell’unità di tempo, attraverso una unità di superficie vetrata (1 m2), per ogni grado di differenza di temperatura fra l’interno e l’esterno. Questo valore è sempre inferiore rispetto a quello che rappresenta il serramento nel suo complesso; - Fattore di trasmissione solare globale [Fattore Solare /TSET/ SHGC %]: esprime il rapporto tra la frazione di energia termica solare trasmessa verso l’interno e quella totale irradiata sul vetro. Questo valore è direttamente proporzionale alla quantità di guadagni passivi che si possono ottenere tramite il serramento, ragion per cui esso dovrebbe essere elevato sui serramenti orientati verso Sud, mentre per quelli a Nord non ha senso assuma valori significativi; - Fattore di trasmissione luminosa [TL %]: rappresenta il rapporto percentuale fra l’energia luminosa che entra attraverso il vetro e quella incidente su di esso ed è inversamente proporzionale al fattore di riflessione luminosa. Per ottenere buoni risultati in termini di illuminazione naturale si dovrebbero valutare valori superiori a 0,7; - Indice di selettività: esprime il rapporto tra il fattore di trasmissione luminosa ed il fattore solare. Un valore prossimo a 2 esprime un buon indice di selettività, il che significa che il vetro è in grado di selezionare le diverse lunghezze d’onda di cui si compone l’energia emessa dal sole, lasciando passare una elevata percentuale di luce visibile e vietando l’accesso ad una buona parte dell’energia termica che è causa di surriscaldamento. Per questo motivo un valore elevato è adatto in situazioni dove prevale il rischio di surriscaldamento estivo. La scelta della parte vetrata del serramento va compiuta con l’obiettivo di ottenere un buon equilibrio tra comfort termo-igrometrico invernale ed estivo, guadagni solari, illuminazione naturale e risparmio energetico e dipende dalle strategie progettuali e dalla zona climatica in cui si opera. In linea di massima la soluzione più efficiente in termini costi/benefici nel clima temperato è rappresentata da un vetrocamera riempito di gas argon o krypton, in cui i vetri presentino un trattamento basso emissivo o selettivo. Negli orientamenti su cui non si intende ottenere guadagni solari passivi nei climi freddi si può scendere a valori di trasmittanza Ug di 0,7 W/m2 K. È importante ricordare che nel caso dei lucernari le performance energetiche del vetro vengono generalmente peggiorate in fase di inserimento dei dati in sede di calcolo, in quanto la loro posizione rispetto all’inclinazione dei raggi solari comporta delle variazioni di comportamento termofisico rispetto alle normali finestre verticali. Il secondo elemento da valutare nella scelta di un serramento è la qualità del distanziatore, che rappresenta l’elemento di congiunzione tra le due o più lastre di vetro che compongono un vetrocamera e che ne garantisce la resistenza meccanica. Al suo interno si possono trovare sali igroscopici che permettono di assorbire un eventuale eccesso di vapore presente nell’intercapedine, in modo da evitare il deposito di condensa sulla superficie interna del vetrocamera. Il distanziatore può essere di dimensioni diverse, generalmente non oltre i 27 mm, uno spessore adeguato al caso in cui si decida di inserire una veneziana all’interno dei vetri. Generalmente le migliori performance si ottengono con spessori compresi tra i 15 e i 18 mm. Il distanziatore rappresenta un ponte termico strutturale all’interno del serramento, che tende a disperdere il calore verso l’esterno in maniera direttamente proporzionale al grado di isolamento

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termico del vetro. Quindi migliori sono le performance termiche di quest’ultimo, minore dovrà essere il valore di trasmittanza termica lineare del distanziatore, il quale dipende dalla geometria, dallo spessore e dal materiale di cui è costituito. Questo componente può essere in alluminio, acciaio inox, plastica o polimeri rinforzati; le ultime due soluzioni garantiscono prestazioni termiche nettamente migliori e riducono il rischio di condensa sul perimetro del vetro. Negli edifici passivi si consigliano prodotti warm edge (a spigolo caldo) che presentano valori di trasmittanza termica lineare inferiori a 0,045 W/mK. Tabella 2.2.4.1 - Caratteristiche termiche medie dei distanziatori. MATERIALE

TRASMITTANZA TERMICA LINEARE PSI (W/mK)

Alluminio

0,11

Acciaio inox

0,07

Schiuma strutturale (Superspacer)

0,0037

Plastico (Swissspacer Ultimate V)

0,0036

Il terzo componente dei serramenti è il telaio, che ne costituisce la parte strutturale e dal punto di vista termico e luminoso rappresenta una perdita netta, in quanto non consente guadagni. Per questo motivo le diverse parti del telaio dovrebbero essere di dimensione il più possibile ridotta in modo da ottimizzare la sezione trasparente del serramento deputata anche al guadagno passivo e alla illuminazione naturale, ma nel contempo dovrebbero risultare ben isolate e soprattutto ben sigillate l’una con l’altra in modo da ridurre al minimo il rischio di dispersioni termiche, spesso associate alla formazione di condensa e all’insorgenza di muffe sulla sezione muraria. La trasmittanza termica del telaio, che negli edifici passivi ha in genere un valore limite massimo di 0,8-1,0 W/m2K, dipende sia dalla geometria e dalla configurazione del telaio stesso che dal materiale di con cui è composto. Per questo motivo negli ultimi anni i prodotti presenti sul mercato hanno subito una notevole evoluzione, prevedendo una riduzione di spessore e l’impiego di materiali coibenti all’interno della sezione. Essi possono essere in alluminio a taglio termico, PVC, vetroresina, legno composito con coibenti naturali o artificiali rivestiti in alluminio o rinforzate con fibra di vetro (GFK), ecc. Il telaio è normalmente composto da due o tre parti distinte: - la componente mobile, costituita da ante incernierate al telaio fisso, che permettono l’apertura e la chiusura del vano; - la componente fissa, ancorata al controtelaio o alla muratura che circonda il vano finestra; - il controtelaio (quando previsto) un elemento intermedio tra la componente fissa e la muratura, tipico dell’edilizia italiana. Il controtelaio è chiamato ad esercitare un’ottima resistenza meccanica e negli edifici passivi deve essere il più possibile continuo su tutti i 4 lati del serramento. La parte

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più delicata è sempre la traversa inferiore che, oltre ad essere chiamata a portare il peso del serramento, deve assicurare un taglio termico rispetto alla soglia o al davanzale in modo da evitare quel particolare ponte termico chiamato proprio “davanzale passante”. In pratica bisogna far sì che in corrispondenza del controtelaio e del telaio fisso non si verifichino dispersioni per trasmissione o ventilazione nonostante la sezione ridotta di questo punto che è considerato il tallone d’Achille di un edificio passivo. Il controtelaio non deve in nessun modo prevedere lati continui in metallo, al limite sono consentiti inserti metallici puntuali, rappresentati da staffe per il fissaggio di schermi oscuranti esterni, zanzariere o avvolgibili. I materiali ideali per questo componente sono PUR-Massiv o Purenit®, ma si può usare anche legno idrofobizzato o OSB, a patto che quest’ultimo sia impregnato dopo il taglio. Il suo spessore minimo è di 3 cm. In commercio oggi si trovano prodotti evoluti, chiamati monoblocchi, costituiti da materiali strutturalmente resistenti a compressione (ad esempio purenite, XPS, EPS ad alta densità̀) che assicurano un isolamento continuo sui quattro lati e possono contenere cassonetti integrati per frangisole o tapparelle, zanzariere e sistemi di oscuramento, a volte prevedendo anche lo scarico della condensa. La successione dei diversi elementi appena descritti che compongono il serramento implica la presenza di 4 diversi nodi di sigillatura, che rappresentano altrettanti tipi di ponti termici da considerare nella valutazione della trasmittanza termica di ogni serramento presente in una casa passiva. Essi sono: - il nodo tra controtelaio e muro (nodo primario); - il nodo tra il controtelaio e telaio (nodo secondario); - il nodo tra le ante mobili ed il telaio fisso (nodo terziario); - il nodo tra anta mobile e vetro (quarto nodo).

Figura 2.2.4.2 - Le componenti ed i nodi del telaio di un serramento.

Ogni serramento è costituito da una serie di componenti. ognuna delle quali ha una funzione diversa. Ogni congiunzione tra questi diversi elementi rappresenta un punto di sigillatura che funziona come un micro-ponte termico e come tale va curato per evitare fenomeni di dispersione che potrebbero essere causa di insorgenza di muffa nel perimetro del serramento.

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Il cappotto esterno previsto in facciata è chiamato anche a coibentare il telaio del serramento tassativamente fino al terzo nodo e per fare questo si può scegliere tra tre diverse soluzioni: a) prevedere il serramento all’interno della spalletta, risvoltando in modo opportuno l’isolante, ad una quota minima di un terzo rispetto allo spessore della muratura; b) posare il serramento sul filo esterno della muratura, sormontando il perimetro del telaio fisso con il cappotto esterno; c) posare il serramento nell’isolante senza prevedere il controtelaio. Questa rappresenta la soluzione migliore in quanto riduce al minimo la discontinuità di materiale verso l’esterno.

Figura 2.2.4.3 - La posizione del telaio rispetto alla muratura.

La posizione del telaio rispetto alla muratura condiziona il grado di difficoltà della coibentazione della parte fissa del telaio, che va sempre isolata termicamente in quanto rappresenta un punto critico dell’edificio in virtù della sua sezione estremamente ridotta e della successione di materiali differenti. La soluzione ideale è fissare il serramento il più possibile all’esterno della muratura, possibilmente evitando la presenza di un controtelaio. In questo modo si avranno anche maggiori guadagni passivi e il massimo accesso di luce naturale, poiché lo spessore di muratura che ne ostacola l’ingresso risulta molto ridotto. Il terzo ed il quarto nodo del serramento vengono progettati e realizzati direttamente dal serramentista e risultano fondamentali per definire le classi di permeabilità all’aria e di tenuta all’acqua, calcolabili rispettivamente secondo norme tecniche rigorose quali la UNI EN 12207 “Finestre e porte - Permeabilità all’aria - Classificazione” e la UNI EN 12208 “Finestre e porte - Tenuta all’acqua - Classificazione”. Il risultato finale raggiunto è sotto la responsabilità del serramentista, che è tenuto a dichiarare le prestazioni tecniche di ogni serramento attraverso una specifica dichiarazione chiamata DoP. La norma tecnica UNI 11673-1- 2017 “Posa in opera di serramenti – Parte 1: Requisiti e criteri di verifica della progettazione” è stata emanata per fare maggiore chiarezza sulle modalità di progettazione di tutti i nodi, definendo anche i

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requisiti progettuali dei serramenti che contemplano parametri quali l’isolamento termico e acustico, la permeabilità all’aria, la resistenza meccanica al carico del vento, ai carichi propri e all’effrazione, la durabilità e manutenibilità, i composti organici volatili indoor e la sostenibilità. A completamento di questo pacchetto di norme tecniche citiamo la UNI EN 14351-1 “Finestre e porte - Norma di prodotto Caratteristiche prestazionali”, la quale stabilisce le responsabilità dell’installazione, che ricadono sul serramentista sia quando è lui a eseguire la posa sia quando essa è eseguita da terzi da lui commissionati. La conformazione dei nodi primario e secondario definisce l’entità delle dispersioni per trasmissione legate alla presenza del ponte termico di installazione e quelle per ventilazione. Questi due punti sono strategici perché sono chiamati a fissare meccanicamente l’infisso alla muratura e per questo motivo richiedono l’impiego di materiali in grado di assorbire eventuali dilatazioni e movimenti tra opera muraria, controtelaio e telaio. Entrambi inoltre devono essere sigillati in modo che vengano garantite nel tempo le prestazioni di isolamento termoacustico e l’impermeabilità all’acqua, all’aria, al vapore, alla temperatura ed al rumore. La norma tecnica UNI 11673-1 “Posa in opera di serramenti - Requisiti e criteri di verifica della progettazione” fornisce indicazioni di carattere progettuale che interessano anche il giunto di posa tra serramento e muratura, il quale deve essere studiato in modo da trattare isolamento termico e sigillatura su tre piani funzionali, ognuno dei quali deve rispondere a differenti requisiti. Il piano funzionale interno deve risultare impermeabile sia all’aria che al vapore, in modo da evitare fenomeni di condensa nel giunto di posa, che si verificherebbero nel caso in cui l’aria ricca di umidità penetrasse nei nodi primario e secondario dove incontrerebbe strati a bassa temperatura, andando così a deteriorare i materiali destinati a sigillare i due nodi. A questo livello bisogna prevedere una barriera al vapore sul nodo primario, mentre sul nodo secondario va inserito un nastro autoespandente multifunzione in schiuma poliuretanica precompressa a cellule aperte impregnata con resine sintetiche presentare un valore di resistenza BG1, ovvero rivelarsi adatto all’esterno anche sotto la pioggia battente. Il piano funzionale intermedio rappresenta il collegamento tra le diverse parti dell’involucro, come ad esempio la muratura e il controtelaio, ed è quindi chiamato a svolgere la funzione di fissaggio meccanico e ad assicurare l’isolamento termico ed acustico del giunto. In corrispondenza del nodo primario questo genere di sigillatura si risolve generalmente con schiuma poliuretanica elastica, adesiva e a basso invecchiamento, mentre nel nodo secondario si può usare lo stesso prodotto o meglio lo stesso nastro autoespandente multifunzione in schiuma poliuretanica precompressa previsto per il piano interno. L’ultimo livello funzionale è quello esterno, che deve garantire la tenuta agli agenti atmosferici ma deve anche risultare permeabile al vapore. Sul nodo primario si deve prevedere un apposito profilo estruso di raccordo con l’intonaco realizzato in PVC e dotato di una spugnetta elastica autoadesiva da applicare sui bordi del controtelaio, mentre su quello secondario si può prevedere un sigillante fluido “MS” composto da polimeri di ultima generazione che derivano da una evoluzione dei siliconi o ancora meglio un nastro autoespandente multifunzione in schiuma poliuretanica precompressa con valore di resistenza BG1.

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Figura 2.2.4.4 Il - metodo dei tre livelli ed il progetto di posa dei serramento.

La norma UNI 11673-1 richiama la necessità di predisporre un progetto esecutivo per la posa in opera dei serramenti, che deve avvenire suddividendo il perimetro di posa in tre differenti piani funzionali, ognuno dei quali deve rispondere a determinate caratteristiche. Questa regola è anche comunemente chiamata “Metodo dei tre livelli”. Al termine della posa dei serramenti in un edificio passivo solitamente si effettua un test di tenuta all’aria, il “Blower Door Test - metodo 2”, che consente di controllare se la posa delle finestre e dei relativi accessori è stata sufficientemente curata o se comporta perdite di ventilazione che potrebbero compromettere il risultato prefigurato. Questo particolare test è eseguito mentre si è ancora in fase di costruzione, in modo che sia possibile intervenire per correggere eventuali problematiche prima del collaudo definitivo.

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Figura 2.2.4.5 - La posa di un serramento senza controtelaio.

Il telaio della finestra può essere posato direttamente sulla struttura in modo da evitare la presenza del controtelaio. Il dettaglio si riferisce al montaggio di un serramento senza controtelaio nel caso della riqualificazione energetica di un edificio esistente. Tabella 2.2.4.2 - Azioni da fare e da evitare nel progetto dei serramenti. NO

SI

• Limitarsi a considerare un valore di trasmittanza generico per tutti i serramenti • Tralasciare il ponte termico legato alla posa durante il calcolo delle dispersioni di ogni serramento • Prevedere un davanzale o una soglia passante • Usare schiume al posto dei nastri autoespandenti durante la posa dei serramenti • Evitare il Blower door test di tipo 2 per controllare la qualità della posa a fine cantiere

• Calcolare la trasmittanza di ogni serramento comprendendo i ponti termici di posa • Calcolare minuziosamente e ridurre i ponti termici legati al fissaggio • Ridurre ai minimi termini gli elementi e l’ingombro del telaio • Predisporre opportune guaine e nastri autoespandenti nella posa del controtelaio • Disegnare dettagli costruttivi precisi inerenti la posa dei serramenti ed esporli in bella vista in cantiere

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Check list 2.2.4.1 - Serramenti.

• Evitare di effettuare troppe bucature sull’involucro opaco • Nella scelta dei serramenti cercare di bilanciare perdite termiche, guadagni passivi e illuminazione naturale • I telai di legno e in materiale plastico sono in genere più performanti rispetto a quelli metallici • Durante la posa risvoltare adeguatamente l’isolamento sulle pareti e usare appositi nastri autoespandenti per ridurre l’effetto dei ponti termici di posa • Una posa a tenuta all’’aria e una opportuna progettazione dei relativi ponti termici riducono il rischio di condensa e muffa • Alla fine della posa effettuare un blower door test di tipo 2 per misurare il grado di ermeticità dell’involucro ed evidenziare eventuali errori di posa

2.3 LE

STRUTTURE OPACHE

2.3.1 L’isolamento termico L’isolamento termico delle strutture opache disperdenti, ovvero delle murature, della copertura e dei solai che danno verso l’esterno, verso locali non riscaldati o direttamente sul terreno, è uno dei precetti irrinunciabili nel progetto di un edificio passivo. I materiali isolanti sono un prodotto edilizio molto utilizzato anche nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni ordinarie in quanto sono imposti da numerosi vincoli normativi che ne prescrivono l’utilizzo, anche se in spessori ridotti rispetto agli edifici passivi. Per questo motivo il numero di questo genere di prodotti presenti sul mercato si sta ampliando in maniera consistente, accompagnati da uno sviluppo di campagne di marketing che spesso traggono in inganno perché tendono a generalizzare l’ampio ventaglio di situazioni specifiche in cui è necessario coibentare. In queste condizioni si rivela molto utile capire quali siano i parametri più significativi per la scelta dei materiali isolanti. La prima, e purtroppo spesso l’unica, caratteristica che solitamente viene valutata nella scelta di un materiale isolante è la conducibilità termica, un parametro che va associato ai valori analoghi caratteristici degli altri strati di materiale che compongono le strutture disperdenti per calcolarne la trasmittanza complessiva. La conducibilità termica è la grandezza fisica che misura l’attitudine di un materiale a trasmettere calore ed in genere per i materiali isolanti dovrebbe assumere un valore inferiore a 0,04 W/m2K. I progettisti spesso calcolano la trasmittanza delle strutture inserendo valori generici di conducibilità, anche se questi ultimi sono consentiti dalle norme tecniche soltanto in fase di progetto preliminare, nei calcoli di massima o quando si utilizzano materiali in opera di cui non si conoscono le caratteristiche. Essi riportano il valore indicato nelle schede tecniche dei materiali, o meglio nelle dichiarazioni di prestazione, che contengono il valore di conducibilità dichiarata Λd, il quale viene definito in laboratorio a determinate condizioni (una temperatura media di 10 °C e un valore di umidità relativa del 50%). Solitamente però il materiale viene usato in condizioni differenti, ragion per cui se si vuole definire la trasmittanza della struttura in

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condizioni reali è importante correggere questo valore ideale calcolando la conducibilità termica di progetto con il metodo di calcolo indicato nella norma tecnica UNI EN ISO 10456. Altri parametri da valutare nella scelta di un materiale isolante sono la resistenza meccanica a trazione e a compressione, soprattutto nel caso in cui esso sia chiamato a sopportare carichi diffusi o concentrati, in quanto il materiale schiacciandosi per effetto del carico può subire una deformazione che può implicare sia fessurazioni in altre parti della struttura che una diminuzione delle proprietà di isolamento termico. In generale si valuta la deformazione massima al 10%, ma in casi più delicati, come nelle strutture di fondazione, il limite di deformazione da considerare va ridotto al 2%. Le proprietà finora descritte possono variare in funzione della presenza di umidità nel materiale, perciò una ulteriore caratteristica da valutare è la resistenza all’acqua, soprattutto se si tratta di strutture per fondazioni o zoccolature di cappotti. Questo parametro non va confuso con il fattore di resistenza al vapore, che definisce la traspirabilità del materiale ed è fondamentale nella definizione del rischio di muffa e condensa. Un ultimo parametro importante da tenere in considerazione è la reazione al fuoco, soprattutto nel caso di edifici alti più di 24 metri o di edifici scolastici, come previsto nella Lett. Circ. Min. Interno 15/04/2013, n. 504: Guida tecnica su: Requisiti di sicurezza antincendio delle facciate negli edifici civili. Nel caso di un pacchetto isolante certificato l’oggetto di valutazione non è tanto il comportamento del singolo materiale da scegliere, ma va considerato quello del pacchetto isolante composto sia dal coibente che dal rivestimento esterno, che in genere dovrebbe essere difficilmente infiammabile, generare poco fumo ma soprattutto non provocare fenomeni di gocciolamento. Una volta scelto il coibente si valuta la quantità più efficace del prodotto con l’obiettivo di ridurre le dispersioni termiche dell’involucro, calcolando quale spessore consente di mantenere le superfici interne ad una temperatura superficiale superiore ai 17°C anche in funzione del tipo di struttura e degli altri materiali di cui è composto l’involucro disperdente. In questo ambito è indispensabile tenere sotto controllo anche i ponti termici che si generano con l’inserimento del materiale isolante, i quali possono essere causa di fenomeni di umidità superficiale e dell’insorgenza di muffe. Com’è noto, questa ultime comportano problemi di salubrità degli ambienti, ma anche e soprattutto sono legate ad un rischio potenziale per l’integrità delle strutture portanti di un edificio, soprattutto nei casi di manufatti in legno. Inoltre va verificato se esse comportano una diminuzione delle prestazioni dei materiali in termine di conduttività termica e quindi del potere isolante delle strutture. Per questo motivo oggi la legge impone l’analisi termoigrometrica delle strutture e dei ponti termici. La strategia ideale per l’isolamento termico è prevedere la posa del coibente all’esterno della muratura, predisponendo un rivestimento continuo della stessa con materiali caratterizzati da una conducibilità ridotta e possibilmente da una discreta massa in modo da garantire anche una protezione dal calore estivo, riducendo con un’unica azione (ed un’unica spesa) sia la domanda per il riscaldamento che quella per il raffrescamento degli ambienti. Il cappotto interno, ovvero la posa di coibente sulle superfici interne delle strutture, è una soluzione da riservare a casi particolari di riqualificazione energetica degli

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edifici (ad esempio in presenza di facciate di pregio), in quanto essa comporta la perdita della capacità della struttura di accumulare calore, smorzarlo e disperderlo dopo un determinato lasso di tempo, che è un’arma utile contro il surriscaldamento estivo. Questa soluzione, soprattutto in presenza di spessori importanti di materiale isolante come è nel caso degli edifici passivi, comporta un elevato rischio di muffa e di condensa nelle strutture, che per essere scongiurato richiede generalmente la realizzazione di una “barriera al vapore” tra l’intonaco interno e il materiale isolante. Considerate le due questioni appena esposte, il cappotto interno può essere una soluzione comunque da valutare nei casi in cui si desideri isolare termicamente ambienti frequentati poche ore al giorno (ad esempio scuole o chiese), dove è opportuno raggiungere rapidamente le condizioni di comfort. Esiste poi una soluzione intermedia, valida per riqualificare energeticamente le strutture murarie a “cassa vuota” costruite in genere dopo gli anni Cinquanta, che si può utilizzare anche per ridurre lo spessore dell’isolante da prevedere sul fronte esterno. Si tratta dell’insuflaggio di fiocchi di cellulosa, paglia, granuli di sughero o di fibra di legno all’interno dello spazio vuoto che si trova tra i due paramenti murari. L’intervento prevede l’inserimento ad alta pressione del materiale isolante attraverso fori praticati nel muro, ad una distanza di circa un metro l’uno dall’altro e a circa 30-40 cm dal solaio superiore; i fori possono essere praticati sia dall’esterno che dall’interno degli ambienti. Il problema di questa tecnica è che si possono creare o accentuare situazioni di ponti termici, in quanto si crea un isolamento termico discontinuo all’interno della parete, dove si avranno zone molto coibentate affiancate a elementi disperdenti quali pilastri perimetrali, nicchie sottofinestra, cassonetti e solette intermedie, una situazione che comporta rischi di muffa e condensa. Come nel caso del cappotto interno, anche qui è bene effettuare una analisi termoigrometrica preventiva in modo da valutare se la temperatura delle superfici interne in presenza di ponti termici risulti superiore a 16,7 °C; in caso contrario è indispensabile abbinare questo intervento alla posa di un cappotto esterno di uno spessore adeguato a risolvere il problema.

Figura 2.3.1.1 - L’isolamento di muratura e copertura.

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In questa immagine di cantiere, che si riferisce ad una abitazione caratterizzata da parametri passivi e costruita con materiali naturali a Bellagio (Co) su progetto dell’architetto Trabucchi, si può apprezzare la complessità del nodo tra la muratura in laterizio isolata con un cappotto in sughero espanso e la copertura con travi in legno ed isolamento interposto in fibra di legno. In corrispondenza del nodo, l’intradosso dell’isolante della copertura è protetto con un foglio che funziona da barriera all’aria e freno al vapore igrovariabile in maniera da evitare l’uscita di aria calda ed umida dagli ambienti esterni. Nell’isolamento termico delle coperture il materiale coibente si posa alternativamente al di sotto del manto di copertura, se il sottotetto è abitato e riscaldato, o all’estradosso dell’ultimo solaio, se si tratta di un vano non utilizzabile. In entrambe le situazioni è buona norma realizzare un manto ventilato capace di proteggere il tetto nel contempo dall’umidità invernale e dal surriscaldamento estivo e di migliorare l’isolamento termico dell’involucro. Alternative, analoghe al cappotto interno, sono quelle di applicare l’isolante direttamente sull’intradosso del soffitto o ribassare il plafone con un controsoffitto e posare il materiale isolante nell’intercapedine ricavata, senza dimenticare che queste soluzioni sono meno efficaci per l’abbattimento della domanda di energia per il raffrescamento e quindi andrebbero evitate nei climi più caldi. Nelle zone mediterranee e in genere calde è bene prevedere in copertura materiali isolanti che presentano una buona densità, in modo da ridurre anche i fenomeni di surriscaldamento estivo che di solito affliggono gli ultimi piani, posando come abbiamo detto il materiale verso l’esterno e dotando la copertura di un manto ventilato, mentre per il primo solaio è bene evitare strutture sospese in quanto esse non consentono di sfruttare la massa termica del terreno ai fini del raffrescamento passivo degli ambienti. In questi climi quindi è necessario valutare anche la convenienza di non isolare termicamente le strutture contro terra. Nel caso si decida di coibentare l’estradosso del primo solaio dell’edificio, è tassativo impiegare isolanti resistenti alla compressione ed all’umidità. Nell’ambito delle soluzioni ecocompatibili si utilizza a questo scopo un prodotto a base minerale come la schiuma di vetro cellulare espanso, che può essere usato anche per la definizione della prima fascia di coibentazione del cappotto esterno, che deve svilupparsi per almeno 60 cm in altezza. Il primo solaio subisce la massima dispersione termica attorno al perimetro ed agli elementi di fondazione. Nel caso dei sistemi leggeri, come le strutture in legno, gli edifici passivi poggiano solitamente su una platea di fondazione opportunamente dotata di vespaio aerato, isolata e protetta dall’umidità di risalita, mentre nei sistemi pesanti in cemento armato e/o muratura la situazione è più complicata ed è necessario concordare con il progettista strutturale un sistema portante libero da ponti termici. Ad oggi esistono sul mercato soluzioni opportune in vetro cellulare espanso per effettuare il taglio termico delle strutture portanti, utili anche in caso di riqualificazione degli edifici esistenti.

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Figura 2.3.1.2 - L’attacco a terra di una struttura intelaiata in legno.

L’attacco a terra delle strutture in legno, che solitamente posano su una platea di fondazione in cemento, va opportunamente protetto con un cappotto esterno in vetro cellulare che previene anche la risalita dell’umidità dal terreno.

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Tabella 2.3.1.1 - Gli impieghi dei materiali isolanti più comuni. FIBRA DI LEGNO

CELLULOSA

FIBRA DI CANAPA

LANA DI PECORA

SUGHERO

VETRO CELLULARE

X

X

X

X

EPS XPS

Facciata esterna

X

Copertura

X

X

X

X

X

X

X

X

Tamponamento interno

X

X

X

X

X

X

X

X

Parete interrata esterna

X

X

Parete interrata interna

X

X

X

X

X

Pavimento scantinato

X

X

Intercapedine parete esterna

X

X

X

X

X

X

X

X

Estradosso soffitto

X

X

X

X

X

X

X

X

Intradosso soffitto

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

X

Tubazioni Anti calpestio

X

X

X

Gli impieghi di ogni materiale isolante dipendono dalle sue caratteristiche fisiche, tra cui le più importanti sono la resistenza meccanica a trazione e a compressione, la resistenza all’acqua, la resistenza al vapore e la reazione al fuoco. Le regole per un adeguato isolamento termico delle strutture disperdenti possono essere riassunte nei seguenti punti: 1) Scegliere i materiali isolanti non basandosi soltanto sul costo economico e sul potere coibente (che dovrebbe attestarsi su valori inferiori a 0,035 W/mK), ma considerando anche altri elementi quali la resistenza all’acqua, la permeabilità al vapore, il calore specifico, la resistenza a compressione e a trazione. L’applicazione di un prodotto non idoneo non comporta soltanto un risparmio energetico inferiore al previsto ma conseguenze ben più importanti e difficilmente sanabili in un secondo tempo come ponti termici, muffa e condensa. Per questo motivo è opportuno anche calibrare lo spessore dello strato coibente in funzione del fatto che l’intera struttura isolata mantenga sul lato interno una temperatura superficiale superiore

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ai 16,7 °C, calcolata con una temperatura dell’aria di 20 °C e un livello di umidità relativa dell’80%. La legge in vigore impone che in caso di isolamento termico si verifichi, tramite le modalità descritte nella norma tecnica UNI EN 13788 (con l’ausilio di software specifici) l’assenza del rischio di formazione di muffe, e di condensazioni interstiziali con particolare attenzione ai ponti termici. La norma riporta un metodo di calcolo semplificato in regime stazionario che tende a sovrastimare il rischio di formazione di condensa interstiziale dovuta alla sola diffusione, mentre non considera altri fenomeni fisici che interessano le strutture tra i quali il movimento di umidità per capillarità, la capacità igroscopica dei materiali, ecc. I risultati di questo calcolo sono più affidabili per le strutture leggere, che sono poco permeabili all’aria e non contengono materiali che possono accumulare grandi quantità di acqua, e meno realistici in caso di strutture caratterizzate da grande capacità termica e igroscopica e più permeabili all’aria. Nel caso si volesse definire meglio il comportamento igroscopico delle stratigrafie previste in fase di progetto, soprattutto nel secondo caso citato e sempre quando si procede alla posa di un cappotto interno, si può far ricorso alla norma UNI EN 15026 che ha introdotto un metodo di calcolo più accurato rispetto alla quello contenuto nella UNI EN 13788, il quale sta alla base dei calcoli eseguiti dal software WUFI®. Questa seconda procedura di calcolo consente di prefigurare la migrazione del vapore in regime variabile all’interno di un materiale tenendo conto anche della migrazione per diffusione causata dalla differenza di pressione parziale e della migrazione per capillarità causata dalla differente umidità relativa interna e di assorbimento d’acqua dei vari materiali; 2) Posizionare lo strato di materiale isolante il più possibile verso l’esterno dell’edificio in modo da scongiurare la presenza di umidità all’interno delle murature, evitando la predisposizione di barriere al vapore, e nel contempo proteggere gli ambienti anche dal caldo estivo. Nelle località molto calde è particolarmente sconsigliato porre gli strati isolanti verso l’interno, in quanto questa scelta vanifica l’azione di volano termico propria della massa dei materiali pesanti che tramite i fenomeni di smorzamento e sfasamento è in grado di proteggere gli ambienti dal surriscaldamento. La stessa regola è valida anche per solai e coperture, che vanno preventivamente protetti tramite uno strato di tessuto - non tessuto impermeabile ma traspirante; 3) Il coibente termico deve rivestire tutti i componenti disperdenti della costruzione (muri, solai e tetti) tramite uno strato continuo, costituito possibilmente dal medesimo materiale isolante, in modo da evitare la creazione di ponti termici, che da soli possono contribuire fino al 30% dei costi affrontati per il riscaldamento degli ambienti. I ponti termici insorgono anche quando si usano contemporaneamente materiali isolanti con conducibilità termica notevolmente differente oppure quando non si provveda in fase d’opera a separare “termicamente” i diversi componenti della costruzione, quali ad esempio aggetti e balconi, attraverso l’impiego di soluzioni opportune; 4) Il progetto dell’isolamento termico di un edificio passivo deve comprendere uno studio accurato di ogni dettaglio, con l’obiettivo di limitare i ponti termici e gli errori di posa ad essi associati, oltre che di scongiurare perdite di ventila-

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zione causate da infiltrazioni di aria umida nelle strutture, la quale può portare alla formazione di condensa e danni strutturali agli edifici, oltre che a muffa su angoli e pareti. In questo senso una particolare attenzione deve essere posta a sigillare i giunti tra il materiale isolante ed elementi quali finestre, porte e davanzali, i quali rappresentano punti critici che se male risolti possono vanificare fino al 40% l’efficacia dell’isolamento termico. Il progetto esecutivo della posa del materiale isolante e delle soluzioni dei ponti termici deve essere il più chiaro possibile e messo a disposizione delle maestranze del cantiere, che a loro volta devono essere formate per interpretarli e realizzarli; 5) Ai fini di una garanzia di qualità, il materiale coibente non va scelto separatamente, ma nell’ambito di un sistema isolante ETICS che comprende una serie di componenti ben definiti il cui funzionamento è stato testato congiuntamente e che devono essere descritti uno per uno da specifiche voci di capitolato (tra cui adesivi, materiale isolante, fissaggi, rivestimenti e rinforzi, finiture protettive e accessori). Il pacchetto deve essere omologato secondo la dicitura “ETAG 004, con benestare tecnico europeo ETA n. (…)”. ETA (European Technical Approval) è una certificazione europea specifica dei pacchetti isolanti che contiene tutti i riferimenti prestazionali e le caratteristiche di ogni dato sistema e ha una validità di 5 anni. La qualità del prodotto non basta però a garantire una posa perfetta: è bene quindi affidarsi sempre a tecnici ed imprese specializzate, queste ultime in grado di rilasciare una garanzia con copertura assicurativa di almeno 10 anni. La posa dei materiali isolanti è quindi un punto cruciale nella costruzione di un edificio passivo, ragion per cui deve essere realizzata da maestranze siano opportunamente formate sulle conseguenze delle proprie azioni. Una cattiva posa dei pannelli coibenti non solo può compromettere la durata nel tempo del cappotto, ma riduce di molto i risultati effettivi in termini di risparmio energetico previsto in fase di progetto: una fessura di soli 5 mm tra i diversi pannelli, ad esempio, può arrivare a dimezzare le prestazioni isolanti del materiale posato. Conseguenze più gravi legate ad una scarsa esecuzione dei lavori possono essere la formazione di ponti termici, l’insorgenza di spifferi e di condensa e quindi di muffe, difficili e costose da risolvere una volta terminato l’intervento. Tabella 2.3.1.2 - Azioni da fare e da evitare nel progetto dell’isolamento termico. NO

SI

• Ignorare la posizione di posa nella scelta dell’isolante • Limitarsi a valutare il materiale coibente in funzione di conducibilità termica e prezzo • Utilizzare nei calcoli i valori di conducibilità termica dichiarati sulle schede tecniche dei materiali senza tener conto delle condizioni di progetto • Non considerare il tipo di supporto e di rivestimento su cui il materiale isolante andrà posato • Prevedere il passaggio di aria tra la struttura ed il materiale isolante • Ignorare l’effetto dell’umidità sui materiali

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• Scegliere accuratamente i materiali isolanti in funzione della posizione e della funzione • Nei calcoli utilizzare i valori di conducibilità termica correggendoli secondo la procedura descritta dalla norma UNI EN 10456 • Proteggere i materiali isolanti che temono l’umidità con apposite soluzioni • Scegliere un pacchetto isolante certificato ETA • Avvalersi di maestranze formate

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Check list 2.3.1.1 - Isolamento termico.

• Isolare il primo solaio con lo spessore minimo indispensabile e con materiali che non temono compressione ed umidità • Prevedere un vespaio aerato • Procedere ad una posa accurata che evita ponti termici, la compressione di materiale e di passaggi d’aria • Considerare i punti di congiunzione tra strutture e materiali come possibili perdite di trasmissione • Dopo avere isolato bene e corretto i ponti termici, prevedere sotto il manto di copertura uno strato di ventilazione di almeno 3 cm • Utilizzare corpi illuminanti o altri elementi ad incasso, analogamente alle nicchie, può portare alla creazione dii punti critici per l’isolamento termico delle strutture se non si provvede alla loro tenuta all’aria

2.3.1.1 I materiali isolanti naturali La corsa alla prestazione energetica estrema non è affatto rappresentativa né esaustiva del progetto di un edificio passivo, in quanto considera un semplice e unico obiettivo che può finire per risultare fine a sé stesso. Agendo in questo modo ci si limiterebbe a perseguire un semplice risultato numerico e si tenderebbe a perdere l’obiettivo primario di questo genere di progetti, che corrisponde all’ottenimento di condizioni di salubrità e benessere all’interno degli edifici, oltre che alla riduzione dell’impatto ambientale ad essi associato che, ricordiamo, è l’obiettivo ultimo dell’efficienza energetica. Una delle massime fonti di ispirazione nel progetto di un edificio passivo sono i principi che stanno alla base dell’architettura vernacolare, che è stata capace di sfruttare magistralmente le proprietà dei materiali locali e le regole bioclimatiche basilari, delle quali ci si può riappropriare migliorandole grazie all’applicazione di nuove tecniche edilizie. Purtroppo sia i progettisti che l’edilizia corrente tendono ormai da anni ad ignorare questi principi progettuali, seguendo un percorso che tende a minimizzare i costi di costruzione isolando gli edifici con materiali a prezzo contenuto per massimizzare il rapporto costibenefici spesso considerando solo la componente economica a breve periodo. La scelta dei materiali isolanti è guidata soprattutto da considerazioni tecniche circa la resistenza a compressione, la resistenza al vapore, la conducibilità termica e soprattutto il costo. Troppo spesso a fronte di un prezzo più elevato si tralasciano alcuni vantaggi come una maggiore salubrità e durata nel tempo che diventano fondamentali soprattutto in ambienti sigillati come quelli di un edificio passivo. I materiali naturali usati in bioedilizia sono composti per almeno l’85% in peso da risorse vergini rinnovabili e in genere risultano salubri, igroscopici e traspiranti. L’uso di questi prodotti comporta la verifica preventiva della loro igienicità dal punto di vista biologico e il trattamento con finiture di origine naturale, che non vanifichino le qualità sopra citate. Anche se il progettista si limitasse a perseguire la massima riduzione dei consumi di gestione degli edifici, egli dovrebbe considerare nel bilancio energetico anche la quota di energia impiegata per costruire un edificio e quindi cercare di limitare anche la quantità di “energia grigia”, ovvero l’energia spesa per la costruzione (e la di-

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smissione) dell’edificio stesso e di ogni suo componente. Nella stragrande maggioranza dei cantieri oggi vengono utilizzati materiali e prodotti edilizi di derivazione sintetica che richiedono una enorme quantità di energia grigia per la loro realizzazione o per il loro riciclo, oltre che considerevoli impatti ambientali in fase di produzione e trasporto in cantiere. Se si effettuasse anche una selezione di materiali “ragionata” in senso energetico, ovvero capace di tenere conto anche dell’energia e degli impatti ambientali che vengono messi in gioco durante l’intero ciclo di vita dell’edificio, sarebbe possibile ridurre almeno di un ulteriore 10% la domanda energetica che un edificio ad elevata efficienza comporta. Agire in questo senso significa considerare l’impatto ambientale dei materiali scelti durante il loro intero ciclo di vita, il quale può essere quantificato mediante uno strumento che si chiama Life Cycle Assessment (LCA), una procedura che viene usata per valutare l’impatto ambientale dei componenti dell’edificio tenendo conto dell’estrazione delle materie prime, del tipo di processi produttivi, del trasporto in cantiere e della posa in opera, del periodo di utilizzo nell’ambito della costruzione fino ad arrivare al fine vita. Quindi nella scelta di un materiale isolante il confronto tra i diversi prodotti andrebbe fatto non solo in termini di funzionalità, conducibilità e densità, traspirabilità e resistenza al vapore, ma anche in termini di energia grigia, espressa generalmente in energia spesa in MJ durante la vita di un chilogrammo di prodotto. Ad esempio, in linea di massima si può dire che per ottenere una trasmittanza di 0,2 W/m2K di un metro quadrato di poliuretano, tenuto conto della densità e dello spessore del materiale si può calcolare che si spendano circa 424 MJ di energia grigia. Tabella 2.3.1.1.1 - Contenuto di energia grigia di diversi materiali isolanti a confronto. MATERIALE ISOLANTE

ENERGIA GRIGIA (MJ/KG)

Sughero

7,05

Polistirene espanso sinterizzato

99,2

Poliuretano espanso

126,2

Lana di roccia

22,12

Lana di vetro

34,6

Polistirene espanso estruso (con CO2)

110,2

Fibra di legno

17

Vetro cellulare

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L’energia grigia è definita come l’energia consumata dal prodotto durante tutto il suo ciclo di vita (life cycle), ovvero quella impiegata per la sua realizzazione (estrazione delle materie prime e lavorazione delle stesse per ottenere il prodotto finale), utilizzo (trasporto sul luogo dove il prodotto verrà trattato o installato, installazione, manutenzione) e smaltimento (demolizione, dismissione, riciclo). In genere i materiali

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di origine naturale sono scarti di altri cicli produttivi e richiedono soltanto lavorazioni meccaniche per ottenere il prodotto finito e per questo motivo presentano un contenuto di energia grigia ridotto (dati tratti da “L’isolamento ecoefficiente” di Alessandro Fassi e Laura Maina, 2008, Edizioni Ambiente). Nel caso si intenda ridurre anche l’impatto della costruzione in termini ambientali è necessario rivolgersi a quei prodotti che rispettano i cicli naturali. In questo senso è bene preferire quelli che derivano da materie prime provenienti da contesti geografici locali (per ridurre il costo ambientale legato al trasporto), che in fase di produzione comportano sfridi minimi, o ancora meglio vengono prodotti con scarti di altre lavorazioni, e richiedono un ridotto consumo energetico che assicurano un impiego (e una manutenzione) a basso impatto ambientale, che risultano durevoli e, una volta concluso il loro ciclo di vita, completamente riutilizzabili, riciclabili o eventualmente compostabili. Rimanendo nell’ambito dei materiali isolanti, tra i prodotti che rispondono al meglio a queste caratteristiche troviamo, oltre al legno ed ai suoi derivati, vari tipi di paglia, il sughero, le fibre di mais e di canapa e la lana di pecora, tutti materiali capaci di garantire non solo un buon livello di comfort con una bassa spesa energetica, ma anche la salubrità degli ambienti con una impronta ambientale molto ridotta. I materiali elencati offrono un vantaggio ulteriore: sono prodotti da scarti dell’industria agroalimentare che durante la crescita consumano CO2 e che, grazie ad un processo di riciclo virtuoso e a soluzioni tecnologiche avanzate spesso di natura esclusivamente meccanica, vengono trasformati in prodotti edilizi affidabili e durevoli a contenuto di energia grigia praticamente nullo. Si tratta di prodotti virtuosi adatti all’edilizia rigenerativa, basati su una filosofia produttiva in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro. Questo genere di materiali sono stati ideati tenendo come riferimento i cicli della natura, dove gli scarti diventano nutrimento. 2.3.2 La massa termica Nella tradizione costruttiva tipica dell’area mediterranea i progettisti sono da sempre chiamati a definire edifici caratterizzati da forme ed involucri tali da proteggere gli ambienti interni sia dal freddo invernale che dal caldo estivo, in modo da garantire il massimo comfort in tutte le stagioni con il minimo dispendio di energia “attiva”. Per questo motivo nella progettazione degli edifici passivi in questa fascia climatica non ci si può limitare a ridurre il fabbisogno di energia per il riscaldamento, ma si deve contenere al minimo anche quello per il raffrescamento, riducendo la necessità di ricorrere a sistemi di climatizzazione durante i giorni più caldi dell’anno. Nel protocollo Passivhaus i progettisti sono chiamati a rispettare un indice minimo per il fabbisogno per il raffrescamento pari a 15 kWh/m2 anno, mentre nel protocollo Casaclima Gold si fa cenno al fabbisogno di energia primaria equivalente per il raffrescamento (EPRRES), che in presenza di un impianto dedicato a questa voce energetica deve comportare una emissione inferiore a 5 kgCO2eqv/m2 anno.

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Figura 2.3.2.1 - Le diverse funzioni della massa termica.

La massa termica è una caratteristica dell’involucro opaco che, essendo responsabile di fenomeni quali sfasamento e smorzamento, determina un comportamento variabile dello stesso nelle diverse stagioni dell’anno e nelle diverse ore del giorno in funzione dello scarto di temperatura tra gli ambienti interni e quelli esterni. In genere durante l’arco dell’anno il calore passivo viene accumulato durante il giorno e riemesso di notte, definendo un guadagno termico interno in Inverno quando la temperatura degli ambienti è ridotta, mentre in Estate è possibile allontanare il calore riemesso con l’ausilio della ventilazione naturale sfruttando il meccanismo del free cooling notturno. I parametri progettuali più importanti per ottenere buoni risultati in termini di riduzione della domanda energetica per il raffrescamento di un edificio sono l’ombreggiamento, la ventilazione e l’inerzia termica. Quest’ultima è una caratteristica tipica dei materiali pesanti e consente alle strutture di accumulare lentamente il calore eccessivo durante le ore più calde (prodotto sia da fonti passive esterne che da guadagni interni, come persone o elettrodomestici) e di restituirlo dopo un certo lasso di tempo. Nei climi più freddi la massa dei materiali pesanti è utile per sfruttare l’apporto dei guadagni termici interni, che si producono durante il giorno e va generalmente prevista soprattutto sui fronti Sud ed Ovest e all’interno dell’edificio. Se si vogliono ottimizzare in questo senso i guadagni passivi generati dagli elementi trasparenti dell’involucro grazie all’effetto serra, il solaio colpito dall’irraggiamento

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diretto del sole dovrebbe essere pesante e grande almeno 6 volte la superficie della finestra stessa. Nei climi più caldi, o comunque dove si verificano estati particolarmente calde, la massa va prevista verso l’interno, lasciando l’isolante all’esterno, collocandola soprattutto sulle murature esterne più esposte e in copertura. Una soluzione per aumentare la massa termica di un edificio può essere ad esempio prevedere un tetto verde spesso almeno 50 cm, in quanto questa soluzione è in genere in grado di ritardare il flusso di calore di almeno 12 ore sfruttando questa caratteristica.

Figura 2.3.2.2 - Tetti verdi e massa termica.

Le coperture verdi sono una delle strategie utilizzate per incrementare l’inerzia termica delle costruzioni e migliorarne il comportamento estivo, come è successo nel progetto della casa di paglia realizzata a Lavagno (VR) su progetto dello studio Nobo. Gli accorgimenti progettuali a favore dell’inerzia termica contribuiscono a mantenere la temperatura delle superfici interne degli ambienti indipendente dai valori estremi che si possono verificare all’esterno, migliorando le condizioni di comfort e contribuendo a ridurre la domanda di energia. In fisica tecnica questo fenomeno è chiamato ammettenza (YT= W/m2K), un parametro che esprime il flusso di calore scambiato per trasmissione tra l’ambiente interno e l’involucro per ogni variazione unitaria della temperatura interna. Un valore positivo di questo parametro esprime il calore ceduto dall’ambiente interno a quello esterno e viceversa. Lo smorzamento esprime il rapporto tra la variazione massima della temperatura esterna e quella della temperatura interna in riferimento alla temperatura media della

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superficie interna. I valori ideali per questo parametro dovrebbero essere inferiori a 0,15, preferibilmente pari a 0,06. Lo sfasamento (ϕ = ore) rappresenta invece la distanza temporale che intercorre tra l’ora in cui si ha la massima temperatura all’esterno e quella in cui si verifica la massima temperatura all’interno di una struttura, che rappresentano i fattori determinanti per la velocità di riemissione del calore accumulato. Questo parametro dovrebbe assumere un valore il più vicino possibile alle 12 ore, un periodo che consente in genere l’ottimizzazione dei guadagni termici. Nei periodi più freddi la riemissione dovrebbe avvenire quando la temperatura degli ambienti è bassa e gli impianti funzionano a regime attenuato in modo da sfruttare al meglio i guadagni passivi, mentre nelle giornate più calde la stessa massa dovrebbe assorbire e trattenere il calore eccessivo del giorno fino a cederlo di notte, quando in genere fuori fa più fresco che all’interno degli edifici, contribuendo così a smaltirlo verso l’esterno e a ridurre la domanda di raffrescamento. Tendenzialmente questo effetto di volano termico funziona quando l’escursione termica tra giorno e notte è superiore ai 6 °C e nelle ore notturne si verifica almeno una leggera brezza, ragion per cui il meccanismo in genere non funziona nei climi caldo umidi sia a causa della ridotta escursione termica tra giorno e notte che in virtù della scarsa ventilazione notturna tipica di questi luoghi. L’utilità dello smorzamento dipende anche dalla intensità di occupazione degli ambienti, in quanto esso influisce sulla velocità della climatizzazione attiva. Per questo motivo edifici costantemente occupati, quali abitazioni e ospedali dovrebbero presentare una buona massa termica, mentre quelli popolati saltuariamente o che hanno bisogno di essere riscaldati velocemente e in breve tempo hanno bisogno di essere ben isolati ma più leggeri.

Figura 2.3.2.3 - Smorzamento, sfasamento e materiali edilizi.

L’andamento di sfasamento e smorzamento dipende dalle caratteristiche dei materiali con cui è costruita la struttura. Le strutture più pesanti tendono a smorzare all’interno degli edifici le differenze di temperatura che si verificano all’esterno, rendendo di fatto gli ambienti meno vulnerabili alle condizioni climatiche esterne.

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L’inerzia termica è direttamente proporzionale alla capacità termica di ogni materiale, che rappresenta l’attitudine ad accumulare e rilasciare il calore in regime termico dinamico, ovvero con il passare del tempo, e si calcola come il prodotto tra la sua massa volumica ρ e il suo calore specifico. Questo parametro è strettamente correlato alla diffusività termica α, proprietà che indica la velocità con la quale il calore si diffonde attraverso il mezzo in regime termico dinamico, espressa come rapporto tra la capacità che ha un materiale di condurre energia termica e la sua attitudine ad accumulare energia. La formula di calcolo della diffusività termica è la seguente: α = λ / ρ·c [m2/sec] dove: λ = conducibilità termica (W / mK) ρ = massa volumica o densità (kg / m3) c = calore specifico (J / kg K) Il parametro più indicativo del comportamento estivo di una struttura è la capacità termica areica interna periodica (Cip), che rappresenta al meglio la attitudine di un componente o di una stratigrafia ad accumulare i carichi termici provenienti dall’interno. Questo parametro va calcolato secondo la procedura indicata nella norma tecnica EN ISO 13786 e dovrebbe essere rappresentato da valori elevati (minimo 40-50 kJ/m2K), che consentono di mantenere le temperature superficiali a livelli accettabili. La capacità termica areica interna periodica va associata solitamente alla trasmittanza termica periodica YIE (W/m2K), un ulteriore parametro che consente di valutare la capacità di una struttura opaca di sfasare ed attenuare il flusso termico che la attraversa nell’arco delle 24 ore e che si valuta ancora seguendo la norma UNI EN ISO 13786. Analogamente alla trasmittanza termica che si considera per il comportamento invernale delle strutture, questo parametro dovrebbe assumere valori ridotti, inferiori almeno a 0,12 W/m2K. In sintesi il comportamento di una struttura in termini di inerzia termica va valutato sia in funzione della sua capacità di accumulare i guadagni passivi invernali che della sua attitudine ad evitare il rischio di surriscaldamento estivo. Bisogna quindi riuscire a bilanciare la massa termica, che dovrebbe essere maggiore di 330 kg/m2, una trasmittanza termica periodica ridotta e valori accettabili di sfasamento ed attenuazione con valori altrettanto accettabili di capacità termica areica interna periodica e di ammettenza interna estiva. In genere i materiali isolanti non accumulano il calore, ma ne interrompono semplicemente il flusso in virtù di una bassa conducibilità, mentre un materiale con una buona massa termica in genere consente l’accumulo di calore ma presenta una bassa resistenza termica. La soluzione migliore è combinare due diverse tipologie di materiali, prevedendo il coibente all’esterno e una struttura massiva all’interno dell’involucro disperdente; un tale abbinamento consente di sfruttare nel contempo la capacità della massa termica di assorbire il calore e il contributo degli isolanti nella riduzione delle dispersioni per trasmissione. Solo nei climi più caldi, dove non c’è molto bisogno di coibentare, si prevede soltanto la massa termica, esponendola all’esterno evitando di isolare le strutture.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Figura 2.3.2.4 - Strategie passive legate alla massa termica.

La massa termica dell’involucro può essere un alleato indispensabile nello sfruttamento dei guadagni passivi, in quanto serve ad assorbirli quando il calore è eccessivo in termini di comfort interno e a riemetterli quando serve. L’inerzia termica delle strutture si preserva posizionando il materiale isolante verso l’esterno.

Figura 2.3.2.5 - Una tecnica costruttiva massiva.

L’impiego del calcecanapulo per coibentare le coperture, come per realizzare tamponamenti interni o riempire solai, è una soluzione costruttiva che combina il potere coibente della canapa con la massa termica della calce, contribuendo ad aumentare l’inerzia termica della complessiva costruzione. L’immagine si riferisce alla realizzazione della copertura di una abitazione in legno e calcecanapulo realizzata dall’Officina del buon costruire a Vigarano Mainarda (FE).

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Check list 2.3.2.1 - Massa termica.

• Per far funzionare al meglio è bene prevedere la massa di accumulo verso la parte riscaldata della struttura (evitare quindi i cappotti interni, soprattutto in edifici abitati continuativamente) • Evitare cavità importanti all’interno delle masse termiche • In climi freddi evitare di prevedere una massa termica importante nelle superfici disperdenti esterne non raggiunte direttamente dal sole • Anche le strutture interne possono funzionare da massa termica • Gli elementi orizzontali rappresentano un’ottima scelta sia dal punto di vista termico che da quello economico per incrementare la massa termica di un edificio • La presenza della massa termica va bilanciata: se troppa potrebbe ridurre la velocità di riscaldamento degli ambienti, mentre se scarsa le strutture potrebbero non accumulare una quantità sufficiente di energia passiva. In linea di massima le murature vanno isolate dall’esterno e la parte massiva deve essere spessa almeno 15 cm, mentre una massa orizzontale esposta direttamente al sole invernale dovrebbe essere spessa almeno 10 cm e di colore scuro • Evitare di coprire le masse termiche con tappeti o arredi che ne ridurrebbero la capacità di accumulo

2.3.3 I ponti termici La costruzione di ogni edificio e le esigenze differenziate delle strutture che lo compongono comportano l’utilizzo di materiali diversi, ognuno dei quali qualificato da caratteristiche fisiche differenti, e questa complessità causa una serie di anomalie nel comportamento termico in alcuni punti dell’edificio, chiamati “ponti termici”, che si verificano in corrispondenza dei nodi costruttivi e di alcuni spigoli. Nelle norme tecniche UNI EN ISO 7345 e UNI EN ISO 10211 il ponte termico è definito come “parte dell’involucro edilizio dove la resistenza termica, altrove uniforme, cambia in modo significativo per effetto di: a) compenetrazione totale o parziale di materiali con conducibilità̀ termica diversa nell’involucro edilizio; e/o; b) variazione dello spessore della costruzione; e/o; c) differenze tra l’area della superficie disperdente sul lato interno e quella del lato esterno, come avviene per esempio in corrispondenza dei giunti tra parete e pavimento o parete e soffitto.” Da questa definizione si evince che esistono tre tipologie di ponti termici: - geometrici: si verificano in corrispondenza dei cambiamenti di forma dell’edificio e sono in parte evitabili già in fase preliminare del progetto, disegnando sagome caratterizzate da angoli ottusi invece che acuti; - lineari (indicati con la lettera greca psi Ψ): si trovano lungo la linea di giunzione tra due o più elementi edilizi caratterizzati da valori differenti di conducibilità (es. laterizio e cemento armato o legno). La disomogeneità di questo parametro causa un maggiore flusso termico verso l’esterno e quindi un aumento localizzato della capacità di disperdere il calore;

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

- puntuali (indicati con la lettera greca χ): si verificano nella giunzione tra tre elementi edilizi o quando un elemento singolo (es. un tassello) si insinua all’interno dell’isolamento termico. La dispersione di calore nei primi due casi viene definita attraverso il parametro della trasmittanza termica lineica (W/mK), che rappresenta il flusso di calore disperso dal ponte termico per ogni metro di lunghezza e per una differenza di temperatura di 1 K. Nel caso di ponti termici puntuali si considera invece la trasmittanza termica puntuale, che si esprime in W/K e che rappresenta il flusso di calore aggiuntivo in un singolo punto di dispersione (tasselli, chiodi, ecc.). La cessione di energia per trasmissione attraverso i ponti termici viene calcolata secondo le procedure descritte nelle norme UNI EN ISO 14683 e UNI EN ISO 10211. La seconda fa riferimento al calcolo per elementi finiti, ritenuto il metodo più valido, che presuppone la suddivisione dell’oggetto di analisi in piccole celle: maggiore è il numero di suddivisioni, più accurati saranno i risultati. La stessa norma stabilisce che il numero di suddivisioni deve essere determinato in modo da minimizzare l’errore percentuale tra due risultati di flussi termici calcolati come segue: il primo con un certo numero di nodi (n) e il secondo con un numero di nodi pari al doppio (2n). La differenza tra i due flussi termici calcolati non deve superare l’1%, altrimenti va aumentato il numero delle suddivisioni fino soddisfare il criterio enunciato. Sulla base del flusso totale uscente dal ponte termico e della differenza di temperatura tra aria interna ed esterna viene calcolato il coefficiente di accoppiamento L2D e quindi successivamente i coefficienti lineici interni (Ψi) o esterni (Ψe), che rappresentano la dispersione di calore sulle due facce del ponte termico stesso. Il calcolo agli elementi finiti è passibile di un errore potenziale del 5% rispetto a ciò che accade nella realtà e viene effettuato tramite appositi software che riconducono ogni ponte termico ad un modello geometrico, ovvero semplificano la situazione reale raggruppando i punti costitutivi simili in un numero limitato di elementi e rapportando in ogni punto la differenza di flusso termico alla differenza di temperatura e alla lunghezza di ogni interfaccia, in modo da andare a definire in modo puntuale la quantità di calore dispersa. In questo modo la simulazione determina l’entità delle dispersioni e delle temperature superficiali e interstiziali in determinate condizioni. Il comportamento termico delle strutture in corrispondenza dei ponti termici calcolati con il metodo degli elementi finiti può essere simulato sia in regime statico che in regime dinamico : nel primo caso si va a rappresentare l’andamento delle isoterme sul nodo in modo da capire meglio il flusso termico che si verifica in un punto, mentre nel secondo caso è possibile esaminare la variazione nel tempo dei comportamenti dinamici interstiziali, e quindi anche l’andamento dell’umidità, per assicurarsi definitivamente contro il rischio di muffe e condense.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Figura 2.3.3.1 - I ponti termici.

Analizzando i diversi elementi dell’involucro si possono identificare tre famiglie di ponti termici dovute a discontinuità di materiale, discontinuità geometriche o a discontinuità degli elementi costruttivi. In edifici in cui le dispersioni termiche dell’involucro sono molto ridotte, come quelli passivi, l’incidenza dei ponti termici rispetto alle perdite energetiche complessive può arrivare al 30%. Per questo motivo è necessario curare particolarmente questi dettagli attraverso un progetto specifico che analizzi il comportamento termico di ognuno di questi punti critici dell’edificio. Il protocollo Passivhaus suggerisce per i ponti termici una trasmittanza termica lineare di riferimento inferiore a 0,01 W/mK, riferendosi ai valori di dispersione calcolati sulla superficie esterna della muratura, mentre quello Casaclima richiede che a seguito di una analisi agli elementi finiti venga verificato che la temperatura superficiale minima d’angolo dei nodi risulti superiore 12,6 °C o a 17°C a seconda della presenza o meno di un impianto di ventilazione meccanica controllata. Questa disomogeneità di requisiti è soltanto apparente, in quanto rappresenta due facce di una stessa medaglia, ovvero due effetti correlati dei ponti termici: la perdita di calore per trasmissione causa un raffreddamento delle superfici che a sua volta comporta un maggior rischio di formazione di muffa sul lato interno dell’involucro disperdente. Anche in questo caso dietro ad una prescrizione apparente di risparmio energetico si cela l’attenzione per la salubrità degli ambienti interni. Tabella 2.3.3.1 - Le regole per prevenire i ponti termici. ACCORGIMENTI PER PREVENIRE I PONTI TERMICI Regola di prevenzione:

Non interrompere lo strato coibente

Regola dell’attraversamento:

Se lo strato coibente deve essere interrotto, fare il possibile per migliorare la resistenza termica in quel punto

Regola dei nodi:

In caso di discontinuità dei materiali, realizzare una continuità della coibentazione per l’intero spessore

Regola geometrica:

Progettare usando angoli ottusi (angoli > 90°C)

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La prevenzione dei ponti termici può essere riassunta in poche semplici regole (Fonte PHI) La prevenzione dei ponti termici deve essere oggetto di una vera a propria voce progettuale, la cui definizione richiede tempo, preparazione ed esperienza. Si tratta di un investimento obbligatorio nel caso ci si appresti a progettare un edificio passivo, che viene ripagato in termini di migliore qualità costruttiva e di riduzione dei consumi e delle probabilità di insorgenza di muffe. I risultati dei calcoli sono però effettivi solo nel momento in cui ogni dettaglio costruttivo viene eseguito in cantiere secondo precise indicazioni progettuali. Anche in questo caso la qualità della costruzione deve rappresentare un punto fermo che parte da un progetto estremamente accurato e il più possibile particolareggiato, il quale deve essere seguito da una posa e da un collaudo altrettanto accurati. Check list 2.3.3.1 - I Ponti termici.

• Coibentare il ponte termico con uno strato di materiale isolante per ridurre la dispersione termica • Cambiare la geometria del ponte termico rimuovendolo o riducendo le dimensioni degli elementi che lo compongono • Incrementare il percorso del flusso di calore aumentando la profondità del ponte termico o posizionando un po’ di materiale isolante in un punto strategico • Cambiare i materiali per variare la conduttività degli elementi che compongono il ponte termico

2.3.3.1 I ponti termici geometrici I ponti termici geometrici vengono determinati dalla conformazione dell’involucro disperdente e si verificano anche in caso di edifici perfettamente isolati dal punto di vista termico. Essi risultano negativi quando la superficie disperdente esterna è più estesa rispetto a quella interna e si verificano generalmente nei seguenti punti della costruzione: - sugli angoli delle murature esterne; - nella giunzione tra murature esterne e copertura; - nella giunzione tra murature disperdenti e primo solaio; - attorno alle finestre ed alle porte. Questo genere di discontinuità termica è inevitabile, anche se è maggiormente presente in caso di edifici caratterizzati da forme geometriche complesse. Esso può essere quindi il più possibile ridotto prevedendo edifici con forme semplici e lineari, che contemplino possibilmente angoli ottusi.

2.3.3.2 I ponti termici lineari I ponti termici lineari si verificano in corrispondenza di una discontinuità di materiali e si trovano generalmente nelle giunzioni tra diversi elementi edilizi o quando anche

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un solo elemento attraversa lo strato isolante compromettendone la continuità. Nel momento in cui un componente presenta una conducibilità più elevata rispetto al materiale coibente a cui aderisce, ovvero è in grado di trasferire il calore in misura maggiore, si va a costituire un “ponte” che permette al flusso termico di spostarsi verso l’esterno con maggiore facilità. In alcuni casi a questa situazione si sommano gli effetti dei ponti termici geometrici. I casi più diffusi di ponti termici lineari sono: - il nodo tra fondazione, primo solaio e muratura; - la connessione tra i solai di copertura e le pareti verticali; - le travi che sorreggono la copertura nel momento in cui attraversano l’isolamento della muratura esterna; - i solai passanti, che sporgono oltre al profilo dell’edificio attraversandone lo strato isolante per andare a formare i balconi; - la connessione tra solai o pareti divisorie interne e pareti esterne; - la presenza di un pilastro che interrompe la continuità dello strato isolante; - gli architravi che interrompono murature e strati isolanti .

Figura 2.3.3.2.1 - I ponti termici lineari.

Solitamente i ponti termici lineari si presentano in corrispondenza delle discontinuità geometriche e/o di materiali che caratterizzano l’involucro esterno e coinvolgono una lunghezza piuttosto consistente. Infatti, nonostante il valore numerico della dispersione specifica puntuale sembri molto ridotto, quando esso viene moltiplicato per la lunghezza del ponte termico l’effettiva dispersione causata da questa discontinuità diventa importante. L’effetto di questo genere di ponti termici può essere ridotto sensibilmente predisponendo un progetto accurato per ogni singola giunzione presente nell’edificio, con l’obiettivo di realizzare il cosiddetto “taglio termico”, ovvero l’interposizione di un materiale isolante che funzioni come “barriera” impedendo il flusso differenziato del calore, o comunque posizionando sapientemente il materiale isolante in modo da rendere la temperatura superficiale del giunto “sicura” dalla formazione di muffa e condensa. Il primo ponte termico lineare che si incontra nel progetto di un edificio è la connessione tra gli elementi di fondazione e le murature verticali. In questo caso è necessario 96

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prevedere un taglio termico continuo tra le due strutture, che nel caso capiti in corrispondenza di murature portanti o pilastri deve risultare strutturalmente resistente. Se l’edificio è costituito da una muratura portante in laterizio si può anche ridurre la conduttività termica dell’attacco con il solaio riempendo almeno i primi due corsi di laterizi con un isolante sfuso, come la perlite. Nel caso invece si abbia una struttura mista composta da travi e pilastri in c.a. e murature di tamponamento in laterizio, questo cosiddetto “piede caldo” può essere realizzato con elementi speciali in vetro cellulare o in calcestruzzo areato autoclavato.

Figura 2.3.3.2.2 - Il ponte termico tra fondazione e murature.

Dettaglio del taglio termico progettato nell’attacco a terra dell’edificio in paglia realizzata a Vicenza su progetto dell’architetto Jimmi Pianezzola, risolto con elementi isolanti portanti.

Figura 2.3.3.2.3 - Il taglio termico tra muratura perimetrale e fondazione.

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Il ponte termico tra muratura perimetrale in laterizio porizzato e struttura di fondazione può essere risolto con la tecnica del taglio termico, predisponendo uno strato di isolante di separazione in vetro cellulare altamente resistente sia alla compressione che alla risalita di acqua ed umidità. Nella realizzazione di edifici passivi ed in climi particolarmente freddi l’attacco a terra delle murature va coibentato ulteriormente prolungando nel terreno il cappotto esterno con un materiale resistente alla compressione e all’umidità (es. vetro cellulare) e se possibile proteggendo ulteriormente questo punto dalle importanti dispersioni contro il terreno tramite la posa di una cosiddetta “gonna coibentante”, ovvero una striscia di isolante ugualmente resistente lunga almeno 12 cm inclinata tra i 30 ° ed i 45° rispetto al piano orizzontale.

Figura 2.3.3.2.4 - Il ponte termico tra fondazione e muratura esterna con gonna coibentante.

L’isolamento termico del nodo tra il primo solaio e la muratura esterna può essere rinforzato tramite la predisposizione di una “gonna coibentante”, ovvero un elemento isolante inclinato in corrispondenza dell’angolo di intersezione tra le due strutture.

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Un secondo tipo di ponte termico molto comune si trova nella intersezione tra murature ed i solai, un punto che solitamente viene risolto predisponendo un cappotto continuo esterno. In questo contesto la situazione diventa critica quando il progetto prevede la realizzazione di balconi che sono il prolungamento dei solai verso l’esterno: il solaio passante è una causa di ponte termico molto importante in quanto interrompe il paramento verticale isolato e definisce così una facile via di fuga per il calore. La soluzione ideale in questo caso è realizzare un balcone con una struttura completamente indipendente da quella interna in modo da non interrompere la continuità del paramento verticale o, in alternativa, ottenere il taglio termico mediante opportuni blocchi prefabbricati isolanti, da usare in corrispondenza della intersezione tra solaio a sbalzo e muratura dove l’armatura è “annegata” in uno strato di coibente.

Figura 2.3.3.2.5 - Il ponte termico in corrispondenza del balcone.

Nella casa passiva in paglia realizzata a Lavagno (VR) su progetto dello studio Nobo, il balcone è stato realizzato con una struttura metallica autoportante ed indipendente dal paramento murario in modo da evitare l’importante ponte termico caratteristico di questo nodo costruttivo. Nel caso di intersezione tra murature ed elementi portanti, quali travi e pilastri o solai, in genere si riduce il ponte termico rivestendo la sezione con un adeguato

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spessore di materiale isolante verso l’esterno. Nel caso in cui non vi sia un cappotto esterno di spessore sufficientemente adeguato, questo nodo costruttivo va protetto con uno strato ulteriore di materiale isolante, da inserire nello spazio di risulta tra lo spessore della muratura e l’innesto del pilastro o della trave. In genere si tratta di uno spazio variabile tra i 5 ed i 7 centimetri, che se coibentato in maniera opportuna può ristabilire l’equilibrio termico della struttura. Bisogna fare attenzione che l’arretramento del solaio effettuato per consentire questa protezione aggiuntiva della testa non comporti una riduzione eccessiva della superficie d’appoggio, che va verificata staticamente. Nel caso della connessione tra le pareti divisorie interne e la parete esterna, il ponte termico corrispondente si può considerare nullo se è previsto uno strato isolante di spessore adeguato all’esterno della parete disperdente sufficiente da garantire una temperatura superficiale accettabile in corrispondenza degli angoli interni; in ogni caso è da evitare la situazione in cui la parete interna interrompe la continuità dello strato isolante o comunque il cappotto interno.

Figura 2.3.3.2.6 - Il ponte termico in corrispondenza del nodo tra muratura e copertura.

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Figura 2.3.3.2.7 - La distribuzione delle temperature nel ponte termico ideale in corrispondenza della copertura.

Un ponte termico critico si verifica in corrispondenza del nodo che rappresenta la connessione tra copertura e muratura esterna, dove alla discontinuità di materiale si aggiunge l’effetto del ponte termico geometrico. In questo punto è importante garantire una distribuzione ideale delle isoterme, ovvero assicurare nell’angolo interno una temperatura adeguata a prevenire la formazione di muffa e condensa. La soluzione progettata dallo studio Nobo per l’edificio realizzato a Lavagno (VR) è stata quella di utilizzare lo stesso materiale (la paglia) per coibentare solaio e muratura, garantendo la continuità dello strato isolante. Le coperture sono soggette a diversi tipi di ponti termici per la consueta presenza di travi che attraversano il materiale isolante e nel nodo costruttivo in corrispondenza delle giunzioni tra le pareti disperdenti la copertura. Qui lo strato coibente orizzontale o inclinato, che può essere previsto all’intradosso o all’estradosso del solaio di copertura, incontra lo strato isolante verticale della parete, che a sua volta può essere esterno, interno o intermedio. La soluzione migliore in questo punto è garantire la continuità dell’isolante, che può essere assicurata solo quando esso è posizionato all’esterno della parete e all’estradosso della copertura e non sono presenti elementi in aggetto, oppure quanto questi ultimi sono realizzati mediante soluzioni a taglio termico che consentono di separare la sezione sporgente dal resto della struttura.

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2.3.3.3 I ponti termici puntuali legati alla posa dei serramenti Nel punto di contatto tra murature e serramenti si rileva uno dei nodi costruttivi più sottovalutati in termini di ponti termici. Le lunghezze in gioco sono spesso impegnative e in questi punti si riscontra una concentrazione di differenti elementi costruttivi, quali architravi, telai, soglie interne ed esterne e cassonetti, ognuno dei quali comporta l’unione tra materiali molto differenti e caratterizzati da spessori altrettanto diversi e in genere ridotti. Questo è il motivo per cui il nodo in questione richiede una particolare cura nella progettazione di ogni singolo ponte termico e altrettanta attenzione nella posa. Si tratta di una situazione critica anche per il fatto che questo genere di lavorazione in cantiere coinvolge maestranze differenti: la parte “strutturale”, che rappresenta la connessione al muro, è solitamente a carico della tradizionale impresa di costruzione, mentre il fissaggio delle finestre in genere è eseguito dal fornitore dei serramenti, che non è raro si rimbalzino la responsabilità dell’operato. La norma tecnica UNI 10818, che definisce i ruoli, le responsabilità e le indicazioni contrattuali nel processo di posa in opera di porte e finestre, specifica che la connessione tra muratura e controtelaio, altrimenti detta “nodo primario” della finestra, se non diversamente dichiarato, è compito e responsabilità dell’impresa, la quale spesso non è attrezzata per una posa qualificata a tenuta d’aria e di calore. Per questo motivo nel caso di un edificio passivo è opportuno affidare la posa di tutto il sistema finestra, eventuale controtelaio compreso, ad un installatore estremamente qualificato. Il principio fondamentale che regola la posa dei serramenti negli edifici passivi è l’inserimento completo del telaio nello strato coibente che rappresenta il cappotto esterno di una struttura. L’isolante va sormontato sui giunti di attacco del telaio per impedire dispersioni termiche in un punto caratterizzato da uno spessore ridotto, in modo da aumentare la temperatura superficiale interna in corrispondenza di questo nodo. La soluzione ideale prevede la posa del serramento sul filo esterno della parete, posizionando il telaio direttamente sul piano dell’isolante e fissandolo alla muratura con una serie di squadrette metalliche in modo da evitare la presenza del controtelaio, che viene sostituito da una serie di dormienti in legno fissati sulla muratura a sostegno delle finestre prima del fissaggio definitivo. Per garantire la tenuta all’aria del sistema nel punto di giunzione tra telaio e muratura va inserito un nastro di tenuta lungo tutto il perimetro del serramento, evitando schiume o silicone che non presentano sufficienti garanzie di tenuta nel tempo. Si tratta di una soluzione poco comune in Italia, dove si preferisce ancora utilizzare il controtelaio.

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Figura 2.3.3.3.1 - Il ponte termico in corrispondenza dell’attacco tra murature e serramenti esterni.

Nel progetto di una abitazione bifamiliare passiva dello studio TAAUT VENTURA, realizzata in Sud Tirolo, tutti i serramenti sono stati montati sulla mezzeria delle murature esterne e la parte fissa del telaio è stata rivestita dal cappotto esterno in modo da ridurre il più possibile la dispersione del calore. Le veneziane sono state posizionate esternamente al cappotto in quanto non necessitano di isolamento termico.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Una scelta importante per ridurre ulteriormente questo genere di ponte termico è relativa al materiale del controtelaio che, oltre ad essere resistente dal punto di vista meccanico, deve essere caratterizzato da una bassa conducibilità termica (es. multistrato marino, OSB, purenite, poliammide, EPS, etc.). Il componente ideale dovrebbe presentare una forma ad L, dove la parte più corta funziona come battuta per il serramento e serve a congiungerlo con il cappotto esterno o con la muratura. Esso va fissato a quest’ultima per garantire la resistenza ai colpi di vento e per assicurarsi contro il passaggio d’aria e di calore, riempendo lo spazio residuo con apposite pellicole adesive o con schiuma di poliuretano a celle morbide permanentemente elastica. Il controtelaio dovrebbe essere posato in modo continuo sui 4 lati, in modo da assicurare il taglio termico anche rispetto al davanzale della finestra o alla soglia della portafinestra, oltre che sull’architrave e su un eventuale cassonetto contenente un elemento isolante (entrambi questi componenti devono essere comunque opportunamente coibentati). La situazione più critica in questo senso, spesso meno considerata, è il davanzale passante, che deve assicurare nel contempo un punto di ancoraggio per la traversa inferiore del serramento, un riferimento per la posa della soglia e del davanzale, il taglio termico e la tenuta all’aria. Tabella 2.3.3.3.1 - Azioni da fare e da evitare nel progetto dei ponti termici. NO

SI

• Prevedere irregolarità nell’intero manto di isolamento termico • Sottostimare tolleranze ed errori di posa • In caso di discontinuità aumentare la resistenza termica dello strato isolante invece di risolvere i ponti termici

• Preferire gli angoli ottusi a quelli retti o acuti • Ridurre la complessità del progetto per diminuire la possibilità di errori: forme più lineari, ridotto numero di materiali e sistemi semplici di posa in opera • Gli strati isolanti devono incontrarsi senza interruzioni o disallineamenti • Nelle giunzioni tra gli elementi, evitare discontinuità del manto isolante e sacche d’aria

Check list 2.3.3.3.1 - Ponti termici.

• Minimizzare la complessità riduce la possibilità di ponti termici • Evitare per quanto possibile discontinuità nello strato di isolamento termico • Quando non si può evitare una interruzione, aumentare per quanto possibile la resistenza termica dello strato isolante in quel punto • Nel punto di incontro tra differenti elementi edilizi, cercare di evitare discontinuità o disallineamento tra i rispettivi strati isolanti • Prestare particolare attenzione negli angoli, nelle interfacce tra murature e primi solai, solai intermedi o coperture, profili, gronde, serramenti e relativi perimetri, ecc. • Sviluppare i particolari costruttivi con una adeguata tolleranza • Evitare spazi vuoti e discontinuità e assicurare un ambiente di lavoro pulito • Redigere dettagli costruttivi accurati e chiari e affiggerli in bella vista in cantiere • In caso di dubbi sul funzionamento dopo la posa in opera, procedere ad una verifica tramite termografia

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2.4 ERMETICITÀ

E SOSTENIBILITÀ

2.4.1 La tenuta all’aria La tenuta all’aria è una delle questioni salienti di cui tenere conto nella costruzione di un edificio passivo e per questo motivo, analogamente a quanto succede in materia di ponti termici, deve essere oggetto di uno specifico e dettagliato progetto, strutturato in modo che le maestranze eseguano in cantiere ogni connessione tra i diversi elementi nel migliore dei modi. Sigillare all’aria l’involucro nell’intradosso di ogni componente significa prevenire fastidiosi spifferi indotti dalla differenza di temperatura tra interno ed esterno che potrebbero essere causa dell’ingresso di aria fredda attraverso crepe e fori, la quale è in grado di raffreddare alcune zone delle murature e del pavimento peggiorando la sensazione di comfort e generando dispersioni termiche. Le perdite termiche per ventilazione legate ad una scarsa tenuta all’aria possono arrivare a rappresentare il 30% delle dispersioni di un edificio. Dalle fessure l’aria calda e umida presente negli ambienti può penetrare nell’involucro, dove troverebbe superfici più fredde e rischierebbe di condensare provocando a lungo termine una serie di danni strutturali. Attraverso un pertugio largo un millimetro possono passare fino a 800 grammi al giorno di acqua per ogni metro quadrato di superficie! Sigillare tutte le superfici, le connessioni e le discontinuità costruttive sul lato interno predisponendo un progetto della tenuta all’aria comporta anche una serie di conseguenze virtuose, come ad esempio un migliore comportamento acustico dell’involucro, una migliore qualità dell’aria all’interno dell’edificio, in virtù del fatto che viene impedito l’ingresso di allergeni ed agenti inquinanti di vario tipo, come il gas radon (la seconda causa di tumore ai polmoni in Italia) che entra nelle abitazioni dal suolo o dagli ambienti interrati. L’estrema sigillatura dell’involucro, per contro, rende necessaria l’installazione di un impianto di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore ad elevata efficienza, dotato di filtri che assicurano un’ottima qualità dell’aria interna. Maggiore è l’ermeticità dell’involucro, migliore sarà il funzionamento di questo sistema soprattutto in termini di efficienza del recuperatore di calore sull’aria viziata in uscita. Il progetto della tenuta all’aria ha come obiettivo la realizzazione di un manto di sigillatura che ne avvolga senza soluzione di continuità le superfici calde, in modo da tappare le giunzioni tra i diversi elementi della costruzione con materiali robusti, capaci di durare per l’intero periodo di vita dell’edificio. Il metodo più usato per definire in fase progettuale il percorso continuo di questo strato è quello della “matita rossa”, secondo cui deve essere possibile tracciare la posizione dello strato di tenuta sull’involucro disegnandolo in ogni pianta e in ogni sezione senza mai sollevare la matita dal foglio. La sigillatura all’aria deve avvenire il più possibile sull’intradosso dell’involucro, al massimo nel primo terzo dello spessore della muratura; nel caso si decida di inserire questo manto in una posizione differente, risulterà molto difficile ottenere i valori di tenuta all’aria richiesti dagli standard di costruzione per gli edifici passivi ed in ogni caso si rivelerà necessario effettuare una simulazione dinamica di migrazione del vapore per assicurarsi dell’assenza di umidità interna alle strutture e del rischio di muffa superficiale.

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Figura 2.4.1.1 - Gli strati di tenuta all’aria e tenuta al vento.

Lo strato di tenuta all’aria, analogamente a quello di tenuta al vento, viene rappresentato da una linea continua che avvolge senza soluzioni di continuità l’involucro in modo da garantirne da una parte l’impermeabilità all’aria (rosso) e dall’altra la protezione dagli agenti esterni quali vento, pioggia, neve, ecc. (blu). In fase progettuale è necessario definire nel dettaglio in che modo la parte terminale dello strato di tenuta di ogni elemento costruttivo si connette con quello del successivo in modo da assicurarne l’assoluta continuità. I punti critici a cui porre attenzione in questa fase sono numerosi: partendo dagli elementi di congiunzione strutturale si continua con le linee di giunzione tra muratura e tetto e tra murature e primo solaio, poi si deve fare attenzione alla eventuale presenza di balconi, ai telai ed alle cornici di porte e finestre, ai cassonetti delle tapparelle, alle tracce ed ai fori per l’alloggiamento di cavi e condutture, ai camini non intonacati, alle botole di accesso nel sottotetto e ad altri punti nei quali si verificano connessioni tra strutture o materiali differenti. Tabella 2.4.1.1 - La permeabilità all’aria di alcuni elementi edilizi. PERMEABILITA’ ALL’ARIA

m3/m2 h per ΔP=50 Pa

Adatto alla tenuta all’aria

Laterizio

0,001-0,05

No (causa giunti)

Intonaco

0,002-0,05

Si

Calcestruzzo cellulare

0,06-0,35



Lastra di cartongesso

0,002-0,03

Si (con giunti nastrati)

Lastra di cartongesso con giunti non sigillati Legno

50

No

Fino a 0,0003

Si con attenzione a fibre e crepe

15

No

Perlinato con incastro maschio-femmina Pannelli OSB

0,004 – 0,02

Si (con giunti nastrati)

Pannelli OSB accostati

8-15

No

Fibra di legno

2-3,5

No

0,0015

Si (con giunti nastrati)

4

No

13-150

No

Foglio in PE nastrato Foglio in PE graffettato Lana di roccia

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Le caratteristiche di permeabilità all’aria di alcuni materiali li rendono adatti a realizzare lo strato di tenuta all’aria; tra quelli più comuni usati in cantiere troviamo l’intonaco, i pannelli in OSB e i fogli in polietilene; negli ultimi due casi i diversi elementi devono essere opportunamente nastrati nelle giunzioni. I materiali con cui si realizza lo strato di tenuta all’aria sono in genere un intonaco ben posato oppure appositi teli e guaine, oltre che vari tipi di pannelli (cartongesso, OSB, fibrogesso, fibrocemento). Tranne il primo, tutti gli altri prodotti vanno nastrati in tutte le giunzioni e le possibili discontinuità con opportuni nastri (di tenuta, espandenti, butilici). La misura della impermeabilità all’aria viene espressa in m2/m3 h per ΔP=50 Pa, un numero che indica i metri cubi di aria che un metro quadrato di materiale fa passare in un’ora se sottoposto ad una pressione di 50 Pascal. I materiali usati per la tenuta all’aria non vanno confusi con le guaine traspiranti, le barriere ed i freni vapore. Le barriere e i freni al vapore servono a non fare passare il vapore acqueo verso l’interno della muratura e si usano soprattutto in presenza di cappotti interni per evitare la condensazione interstiziale dell’acqua all’interno della struttura muraria. Nel caso in cui il materiale che si usa per la tenuta all’aria sia anche impermeabile alla diffusione del vapore, e solo in quel caso, lo strato di tenuta all’aria coincide con la barriera al vapore. Barriere e freni al vapore vanno posizionati sull’intradosso dell’involucro, analogamente allo strato di tenuta all’aria. Le tecniche con cui si assicura la tenuta all’aria sono diverse e dipendono generalmente dal tipo di sistema costruttivo. Gli edifici in legno possono essere costruiti con pannelli in legno massiccio multistrato (XLAM) o in alternativa da strutture a telaio. Nel primo caso generalmente i pannelli costituiscono già gli elementi a tenuta d’aria, anche se è sempre bene controllare comunque i requisiti dichiarati in merito, in quanto questa caratteristica dipende dalla tecnica di incollaggio delle tavole e dal numero degli strati incrociati. Ad esempio i pannelli costituiti da tavole assemblate meccanicamente (tipo Brettstapel) non consentono la perfetta tenuta all’aria. Nel caso in cui i pannelli presentino una buona tenuta, basta predisporre apposite guarnizioni in EPDM tra le intersezioni dei diversi elementi e sigillare le giunzioni tra gli stessi con nastri adesivi o espandenti. Bisogna inoltre ricordare che tutti i fori praticati nei pannelli, ad esempio per far passare le derivazioni degli impianti, rappresentano una interruzione dello strato di tenuta e vanno quindi sigillati con appositi prodotti, quali nastri butilici in polietilene, guaine e collari di tenuta in EPDM. È buona cosa evitare in questi casi l’impiego di schiume poliuretaniche, le quali non garantiscono l’efficacia nel tempo. Nelle costruzioni a telaio, e quando i pannelli non sono a tenuta ci sono in genere due modi di ottenere la tenuta all’aria del sistema. Nel caso siano presenti controventature interne in OSB, che presentano in genere una buona tenuta all’aria, ci si può limitare a sigillare le giunzioni con nastri a tenuta, mentre quando il controventamento della struttura è affidato a materiali non a tenuta l’intera struttura va rivestita verso l’interno con un telo continuo. La procedura in genere è la stessa nel caso di coperture in legno. L’attraversamento dell’involucro con le derivazioni impiantistiche è un problema che ricade nel progetto della tenuta all’aria, e può essere affrontato in due modi. Una soluzione è far passare gli impianti all’interno delle murature, facendoli scorrere tra

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

le strutture e lo strato isolante, ed in un secondo tempo provvedere alla tenuta all’aria con pannelli in OSB sigillati o con altri materiali protetti da teli a tenuta; in questo caso nei punti di penetrazione degli impianti all’interno degli ambienti vanno predisposti degli appositi anelli di tenuta. In alternativa, si può prevedere la presenza di una cavità isolata in cui fare passare le derivazioni degli impianti verso l’interno dell’edificio, oltre lo strato di tenuta. Una volta controllata la funzionalità di quest’ultimo con un blower test di tipo 2, si può procedere alla installazione degli impianti. In entrambi i casi la finitura di cartongesso che solitamente si fissa sulla parte interiore delle pareti, se ben sigillata, agisce ulteriormente a favore della tenuta all’aria

Figura 2.4.1.2 - La tenuta all’aria nelle strutture intelaiate.

Nelle strutture intelaiate il problema della tenuta all’aria si sovrappone a quello del passaggio degli impianti. Le alternative sono far passare gli impianti nelle murature interne o nello strato isolante e provvedere alla tenuta all’aria delle strutture disperdenti con un’apposita membrana sul lato interno o predisporre una cavità di servizio verso l’interno da realizzare dopo lo strato di tenuta all’aria.

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Fgura 2.4.1.3 - La cavità di servizio nelle strutture intelaiate.

Nel progetto di una abitazione bifamiliare in Sud Tirolo, gli architetti dello studio TAAUT hanno optato per realizzare una cavità tecnica tra la muratura ed il rivestimento interno in cui inserire gli impianti, che in parte continuano in uno strato apposito a pavimento. Nei più tradizionali edifici in muratura la tenuta all’aria corrisponde in genere allo strato di intonaco più interno, che va steso accuratamente sigillando con lo stesso rivestimento anche i punti di discontinuità nelle murature. Il laterizio è un materiale sostanzialmente impermeabile all’aria, ma all’interno delle forature verticali vi è un labirinto di microcondotti in cui si creano giri d’aria capaci di generare indesiderati movimenti di calore. Per evitarli basta assicurare la tenuta all’aria delle superfici interne sigillando con la malta i giunti orizzontali e verticali tra i diversi elementi in laterizio e i punti di contatto con altre strutture e impianti, approntando di seguito uno strato di intonaco fresco continuo di almeno 5 millimetri. Questa “sigillatura” va compiuta sulla faccia interna di ogni parete disperdente, oltre che di pavimento e soffitto, curando di intonacare preventivamente anche tutte le porzioni che verranno coperte da rivestimenti e battiscopa e chiudendo la parte retrostante di tutte le forature ed i raccordi (tracce, cassette e scatole legate all’installazione degli impianti) con malta di riempimento. La posa dell’intonaco deve essere quindi compiuta a regola d’arte, scegliendo materiali compatibili tra di loro e applicando la malta umida su superfici pulite, nel rispetto delle corrette tempistiche di cantiere. Tra le situazioni più critiche vi è il punto in cui la muratura esterna prosegue anche

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

al di sotto del primo solaio, dove è bene intonacare con cura anche la parte della parete sottostante il solaio stesso in modo da prevenire l’ingresso di aria fredda tramite l’effetto camino. Un secondo punto da curare particolarmente è la giunzione tra la mensola e la falda della copertura, dove le travi ed i travetti attraversando le murature formano una serie di punti soggetti a dilatazioni differenziate che è bene chiudere nel minimo dettaglio, sigillando i raccordi attraverso speciali guarnizioni espandenti. La continuità dello strato di tenuta tra l’intonaco delle pareti perimetrali e quello dei teli a tenuta previsti in copertura può essere garantita da un nastro adesivo intonacabile, composto da una parte adesiva da assicurare al telo e da una rete intonacabile, collocando il collegamento nello spessore dell’intonaco. Nel raccordo tra murature e serramenti esistono tre tipi di punti critici da curare per la tenuta dell’aria: l’attacco laterale tra serramento e muratura, quello superiore al voltino o all’architrave e quello inferiore al davanzale o alla soglia. In questi nodi la sigillatura va eseguita assicurando il serramento con lo strato di tenuta all’aria interna attraverso una serie di appositi nastri e guarnizioni autoespandenti. Anche i cassonetti delle tapparelle devono risultare a tenuta ed in questi punti la muratura interna va intonacata con cura e vanno previsti anche speciali elementi guidacinghia. In ultima battuta, è indispensabile anche in questo caso controllare e sigillare tutte le penetrazioni puntuali dello strato di tenuta all’aria, come prese elettriche, impianti, condutture, cercando di ridurre il loro numero riunendo in fase progettuale il passaggio dell’impiantistica in pochi punti ben definiti. In sostanza per ogni elemento costruttivo che confina con l’esterno o con ambienti non riscaldati è necessario definire la soluzione più opportuna per la tenuta all’aria e successivamente individuare uno per uno tutte le connessioni e i punti critici dell’edificio, indicando una opportuna soluzione per ogni caso. In seconda battuta si procede a descrivere i riferimenti nelle relative voci di capitolato, specificando componenti e materiali nel minimo dettaglio. Ma anche in questo caso un buon progetto non basta: il grado di ermeticità di un edificio è il risultato di una stretta collaborazione tra progettista, consulenti, direttore lavori e maestranze che sono chiamate a lavorare in modo preciso ed accurato. Tutti gli attori del processo devono essere consapevoli della posizione e della importanza dello strato di tenuta all’aria in modo da assicurare che tutte le giunzioni vengano realizzate come da progetto. Una volta che le operazioni di cantiere previste al grezzo avanzato sono concluse, impianti compresi, è buona norma verificare la tenuta all’aria dell’edificio attraverso un “blower door test” seguendo la procedura descritta nella norma tecnica UNI EN ISO 9972, che descrive il metodo di misurazione della permeabilità̀ all’aria degli edifici. L’analisi consente di definire le reali dispersioni per ventilazione dell’involucro attraverso il parametro n50 (volumi/ora), che indica il numero di ricambi d’aria “spontanei” che si verificano nel corso di un’ora nel momento in cui gli ambienti vengono sottoposti ad una pressione di 50 Pascal. In una abitazione ordinaria questo valore è solitamente di 3 volumi/ora, che scendono al requisito di 0,6 volumi/ora in caso di edifici realizzati con standard passivi. La prova del blower door in fase di rustico avanzato si riferisce al metodo 2 (ex metodo B della norma UNI EN 13829), che differisce dal metodo 1 (ex metodo A della norma UNI EN 13829) per il fatto che questo si effettua ad edificio abitato al fine di

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certificare le perdite di ventilazione reali. Nel primo caso eventuali discontinuità nello strato di tenuta all’aria sono ancora correggibili e quindi, se il test effettuato non restituisce i risultati attesi, è possibile individuare i punti di dispersione attraverso una indagine termografica e/o un generatore di fumo e per poi correggere le eventuali perdite indesiderate. Nell’ambito del dibattito sugli edifici passivi si afferma da più parti che l’elevato livello di ermeticità richiesto rappresenta un effettivo risparmio energetico, in grado di ripagare anche i consumi dell’impianto di ventilazione meccanica controllata, solo nel caso in cui la voce di consumo più importante sia legata al riscaldamento. Nei casi in cui la ventilazione naturale rappresenta una strategia importante per ridurre un fabbisogno di energia per il raffrescamento particolarmente elevato si può pensare di aumentare il valore limite della tenuta all’aria dell’involucro edilizio in modo da non rendere di fatto più obbligatoria l’installazione di impianti di ventilazione forzata. È bene comunque puntualizzare che quest’ultima può essere utile per assicurare la qualità dell’aria interna in situazioni in cui l’utenza non riesce a garantire un corretto ricambio d’aria, soprattutto in casi di umidità eccessiva. Tabella 2.4.1.2 - Azioni da fare e da evitare a favore della tenuta all’aria. NO

SI

• Assumere ricambi d’aria indicativi nei calcoli di • Consultare uno specialista della tenuta all’aria e progetto sviluppare un progetto specifico, inserendo le voci • Limitarsi a prevedere strati di tenuta all’aria senza relative anche nel capitolato progettare le intersezioni nei nodi critici • Individuare i punti critici da tenere sotto controllo • Supporre che una finitura sia già stata sigillata in cantiere senza procedere ad una verifica in cantiere • Prima di procedere alle, finiture provare la tenuta • Evitare di controllare la tenuta all’aria dell’edificio in all’aria tramite un blower door test secondo il modo strumentale al termine dell’edificio grezzo metodo 2, correggere eventuali imperfezioni e prima della consegna effettuare un blower door test secondo il metodo 1

Check list 2.4.1.1 - Tenuta all’aria.

• Lo strato di tenuta all’aria va previsto all’interno e deve essere continuo, durevole e accessibile. • La connessione tra i diversi strati di tenuta deve essere continua, per cui gli elementi devono essere sovrapposti e opportunamente collegati con appositi nastri adesivi a nome nei punti di giunzione tra le diverse strutture • Nel caso in cui si installa una porta o una finestra è necessario sigillare tutte le possibili fessure evitando schiume adesive ed usando appositi nastri espandenti sia all’interno che all’esterno delle finestre • Prevedere la sigillatura di eventuali botole presenti con specifici elementi sigillanti • Sigillare i fori e i passaggi di tutti gli impianti, sia sulle murature che sui solai • Sigillare le prese e tutti i corpi illuminanti incassati in solai e murature • Sigillare tutti i canali dell’impianto di ventilazione meccanica controllata

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2.4.2 La tenuta al vento Ogni struttura edilizia dovrebbe essere protetta dalla formazione di umidità al suo interno, in modo da garantirne un buon livello di sicurezza e la durata stimata, oltre che per mantenere i valori di trasmittanza aderenti a quelli definiti in fase di progetto. Una corretta combinazione di strati di tenuta all’aria, barriere/freni vapore e membrane traspiranti consente di evitare quello che viene chiamato “bypass termico”, ovvero la presenza di movimenti di aria e di umidità attraverso o intorno ai pannelli isolanti che ne peggiorerebbero le performances in termini di coibentazione termica. Lo strato più esterno dell’involucro edilizio deve risultare impermeabile all’acqua e nello stesso tempo essere traspirante in modo da consentire l’uscita di eventuale umidità interstiziale presente nelle strutture. A questo fine sull’estradosso delle stesse va previsto uno strato di tenuta al vento, che va tracciato e realizzato in maniera continua analogamente a quanto richiesto per lo strato di tenuta all’aria. (rif Figura 2.4.1.1) Lo stesso manto deve essere però anche permeabile al vapore acqueo. Per quantificare questa proprietà nei materiali edili si usa il fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo (μ), che indica di quante volte un materiale è più̀ resistente al passaggio del vapore rispetto all’aria. Si tratta di un dato che cresce in modo direttamente proporzionale al grado di impermeabilità̀ al vapore del materiale. Valori accettabili si attestano intorno a 50, mentre un’ottima traspirabilità si raggiunge con un fattore 10. Tabella 2.4.2.1 - Resistenza al vapore di alcuni elementi edilizi. RESISTENZA AL VAPORE

µ

Pannelli di gesso

5-10

Intonaco di calce macroporosa

9

Malta di gesso

9-10

Malta di calce naturale

9-11

Malta di calce e gesso

10

Muratura di mattoni

10-15

Malta di calce e cemento

15-35

Malta di cemento

18-35

Pannelli in legno

40

Legno pressato

50-100

Cartoni bitumati

2000-3000

Fogli di PVC

>20000

Alluminio

Infinito

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Un materiale adatto alla tenuta al vento deve essere impermeabile all’acqua e nel contempo presentare soltanto una ridotta resistenza al vapore. Un secondo parametro di valutazione per la traspirabilità dei materiali è lo spessore di aria equivalente alla diffusione del vapore Sd, un valore che risulta direttamente proporzionale alla tenuta al vapore. Una buona guaina traspirante che funzioni da strato di tenuta al vento presenta in questo senso valori compresi tra 0,01 e 0,2 m e va posizionata sull’estradosso delle strutture, seguendo la regola per cui la traspirabilità al vapore deve essere nulla nei materiali verso l’interno e man mano aumentare fino a raggiungere i valori massimi verso l’esterno, in modo da scongiurare la presenza di umidità all’interno di murature, soffitti e coperture.

Figura 2.4.2.1 - Classificazione delle membrane in funzione dello spessore di aria equivalente alla diffusione del vapore acqueo.

Le membrane traspiranti usate per realizzare la tenuta al vento devono presentare un valore superiore a 0,3 m, in modo da consentire l’espulsione di eventuale umidità presente all’interno della struttura verso l’esterno. Al contrario i freni e le barriere al vapore servono a ostacolare l’ingresso dell’umidità e vanno previsti sul lato interno delle strutture (Tratta da materiale tecnico Riwega). Negli edifici in muratura lo strato esterno impermeabile e traspirante viene identificato con l’intonaco esterno, che oltre a riparare la muratura dalla pioggia battente e dal vento è chiamato a favorire la fuoriuscita di eventuale vapore acqueo accumulato all’interno delle strutture. Negli edifici in legno, nelle coperture e nelle pareti ventilate si utilizzano invece apposite membrane traspiranti impermeabili, in genere composte da un film traspirante in PP, PUR o TEEE racchiuso tra due strati di tessuto non tessuto in PP o PET; l’accoppiatura tra i diversi strati avviene tramite una saldatura termica ad espansione molecolare. Sulle coperture queste membrane vengono posate direttamente sopra il pacchetto isolante, mentre nelle pareti ventilate si mettono sull’estradosso dell’isolante esterno che funge da cappotto termico. Anche in questo caso la posa degli elementi va fatta sigillando accuratamente i sormonti ed impermeabilizzando opportunamente eventuali interruzioni, con la stessa cura e la stessa procedura di sovrapposizione seguita per la posa dello strato di tenuta all’aria. In caso contrario si potrebbero generare fenomeni di condensa nella parte esterna della

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

stratigrafia, causate durante l’inverno dall’ingresso di aria fredda che si scontra con la sezione più calda del materiale isolante e nella stagione più calda dall’ingresso del vento caldo e umido che incontra strati più freddi all’interno del parametro murario.

Figura 2.4.2.2 - La tenuta al vento nelle pareti ventilate

Nella realizzazione di una parete ventilata il materiale coibente che confina con lo strato di ventilazione va sempre protetto con un telo che rappresenta la tenuta al vento, impermeabile ma traspirante, come nel progetto della abitazione unifamiliare realizzata a Galzignano su progetto dell’architetto Agostino Fontana. La norma tecnica UNI: 11470 Coperture discontinue - Schermi e membrane traspiranti sintetiche - Definizione, campo di applicazione e posa in opera precisa le specifiche di prodotto minime, le relative prove di controllo e definisce le regole comuni di installazione e posa in opera per questo genere di materiali.

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2.5 La ventilazione La ventilazione è definita nella norma tecnica UNI EN 12792 come “l’insieme delle operazioni volte a sostituire con aria pulita l’aria viziata di uno spazio confinato”, che la distingue dall’aerazione che è invece “il ricambio naturale d’aria attraverso l’apertura delle finestre”. Quest’ultima è un fenomeno di natura discontinua, che non garantisce spontaneamente un costante ricambio d’aria a meno di elevate dispersioni termiche, e può essere associata a quella strategia che in questa sede viene considerata come ventilazione naturale. La ventilazione meccanica o meccanicamente assistita si riferisce invece ad una strategia di tipo continuativo, che necessita di un accurato progetto i cui parametri strategici sono la portata d’aria e l’efficienza. Nella maggior parte degli edifici passivi queste due forme di ricambio d’aria in genere coesistono ed entrano in gioco in funzione delle condizioni termoigrometriche. 2.5.1 La ventilazione meccanica controllata Ultimo, ma non di importanza, requisito fondamentale nel progetto di un edificio passivo è la qualità dell’aria interna, che viene assicurata tramite l’installazione di un impianto di ventilazione meccanica controllata capace di garantire un ricambio d’aria costante all’interno degli ambienti, immettendo aria “pulita” nel soggiorno e nelle camere da letto ed estraendo quella “viziata” dai bagni e dalla cucina, che risultano i locali più inquinati in questo senso. Arieggiare gli ambienti tramite la semplice apertura delle finestre sarebbe una azione incompatibile con la massima efficienza energetica per la maggior parte dell’anno in quanto comporterebbe consistenti perdite termiche per ventilazione, che come è noto negli edifici passivi vanno minimizzate. A ben vedere, basta osservare ciò che accade in natura per capire come coniugare il ricambio continuo d’aria con la massima efficienza energetica. Analogamente agli edifici, il corpo umano ha bisogno di ricevere regolarmente aria pulita e di sbarazzarsi di aria umida inquinata, mantenendo al proprio interno una temperatura costante. Ciò avviene attraverso la respirazione, in cui il naso prima di immettere l’aria nei polmoni la riscalda, la umidifica e la filtra in ingresso facendola passare attraverso i turbinati nasali. Il risultato finale è che l’aria che entra nel nostro corpo è più calda di quella esterna e conserva così il calore necessario agli organi interni per garantirci la sopravvivenza. In maniera analoga gli impianti di ventilazione meccanica controllata sono dotati di uno scambiatore che recupera il calore presente nell’aria espulsa e lo trasferisce a quella in ingresso con il risultato di dispersioni termiche molto ridotte. Lo stesso meccanismo può funzionare con un processo inverso durante l’estate, limitando anche il bisogno di energia per il raffrescamento. Alcuni impianti offrono la possibilità di regolare l’umidità dell’aria mantenendola al di sotto di un certo livello e scongiurare così l’insorgenza di muffe o la presenza di aria tropo secca, che comporta a sua volta un maggiore movimento di polvere e una più elevata probabilità di diffusione di eventuali elementi virali. Ogni sistema di ventilazione meccanica controllata è composto da una unità ventilante che può incorporare uno scambiatore di calore ed è dotata di filtri antipolline ed antipolvere e di un eventuale recuperatore di umidità, oltre a canalizzazioni, prese esterne

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e bocchette che servono alla estrazione e alla distribuzione dell’aria. I flussi d’aria nei due circuiti di mandata e di ripresa sono gestiti da ventilatori elettrici. Le tubazioni vengono montate in genere in uno spazio dedicato ricavato nel controsoffitto (di cui bisogna tenere conto in fase di progettazione) e terminano con bocchette di mandata che immettono aria pulita negli ambienti “nobili” e in griglie di ripresa che estraggono l’aria viziata nei locali “sporchi e umidi”. Il sistema richiede un elevato livello di pulizia e manutenzione per garantire la salubrità dell’aria in ingresso. L’impianto appena descritto si riferisce alle unità canalizzate, che di solito si realizzano nei nuovi edifici o in fase di ristrutturazione dove ci sia abbastanza spazio per ospitare la necessaria rete di canalizzazioni. Esistono in commercio anche unità di ventilazione a recupero di calore monostanza, che non prevedono la presenza di canali.

Figura 2.5.1.1 - La posizione delle bocchette di mandata e di ripresa.

La regola generale impone di prevedere le bocchette di mandata dell’aria pulita negli ambienti “puliti” dell’abitazione, ovvero stanze di soggiorno, salotto, camere da letto e studi, mentre l’aria esausta viene estratta negli ambienti dove essa è in genere più calda e umida ovvero nei bagni e nelle cucine. La circolazione dell’aria tra i diversi ambienti è assicurata da apposite fessure previste nel telaio delle porte interne. Il percorso dei canali va studiato in modo da minimizzarne la lunghezza e da questa limitazione deriva anche la posizione ottimale dello scambiatore. Le caratteristiche principali da valutare nella scelta di una macchina di ventilazione meccanica a recupero di calore sono elencate nelle norme tecniche UNI EN131417/-8 e sono in genere l’efficienza di recupero termico ed igrometrico, il consumo elettrico, la capacità di filtrare l’aria in ingresso, l’abbattimento acustico e l’entità delle perdite d’aria. Ogni macchina può essere equipaggiata con una serie di accessori che ne influenzano le prestazioni e la facilità di gestione da parte dell’utente. Ad esempio nei climi molto freddi c’è bisogno di un sistema di preriscaldamento dell’aria

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in ingresso che prevenga la formazione di condensa e il malfunzionamento della macchina nei giorni più freddi dell’anno. Prima di scegliere la macchina bisogna però definire la portata dell’impianto di ventilazione meccanica, ovvero i metri cubi di aria che la stessa deve essere in grado di gestire per garantire le portate minime di aria esterna e di estrazione. Questo requisito può essere calcolato seguendo le norme tecniche UNI EN 10339 del 1995, la UNI EN 15251 del 2008 e la ISO 17772-1 del 2017. Tabella 2.5.1.1 - Valori di riferimento per il calcolo delle portate d’aria secondo la UNI EN 15251.

Soggiorni/stanze da letto portata d’aria esterna

Portata d’aria tassi di ricambio Categoria l/sec m2

volumi/h h=2,5m h=2,7m

Portata di estrazione dell’aria

l/s persona

l/sec m2

cucine l/sec

bagni l/sec

servizi ig. l/sec

I

0,49

0,7

0,65

10

1,4

28

20

14

II

0,42

0,6

0,56

7

1

10

15

10

III

0,35

0,5

0,47

4

0,6

14

10

7

Le norme tecniche UNI EN 15251 e UNI EN 16798, usate nel calcolo della portata d’aria di ventilazione, prevedono specifiche categorie elaborate per consentire di stimare la quantità dell’aria di immissione e di estrazione in funzione delle condizioni d’uso della struttura. La categoria I corrisponde ad una elevata richiesta d’aria (da applicare in strutture dove sono presenti individui molto sensibili, come persone diversamente abili, malati, bambini o persone anziane), la categoria II ad una richiesta d’aria ordinaria da considerare in caso di nuovi edifici e ristrutturazioni, mentre la categoria III si riferisce alla domanda d’aria da applicare in casi di strutture già̀ esistenti. Per ragioni di salubrità la portata minima da considerare è di 4 l/sec per persona, che corrisponde a 14,4 m3/h. Il numero di metri cubi di aria da rinnovare ogni ora in un immobile dipende in genere dal suo volume netto, dal numero di ricambi/ora per persona da assicurare, che è variabile in funzione dell’attività che si svolge al suo interno (minimo 0,3 volumi/ora), e dal numero di persone che è previsto vi stazionino. Il ricambio d’aria effettivo viene definito considerando sia il valore della portata d’aria mediante la ventilazione forzata che il grado di utilizzo del sistema di recupero di calore definito dalla norma tecnica UNI EN 308. In un edificio passivo l’efficienza di recupero deve essere almeno del 75%, il che significa che l’impianto di ventilazione deve recuperare almeno tre quarti dell’energia termica incorporata nell’aria in uscita. Durante il processo di scambio termico, per ragioni igieniche, i due flussi d’aria in entrata ed in uscita non devono mai

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venire a contatto direttamente, motivo per cui il recupero avviene attraverso appositi scambiatori. Tra questi i più comuni sono quelli a flussi incrociati, composti da pacchi di lamelle di materiale plastico o lamiera di alluminio accatastati ortogonalmente l’uno con l’altro in modo da costituire canali paralleli distinti che, incrociandosi, permettono lo scambio termico. Un secondo tipo di scambiatore a piastre è quello controcorrente, il cui interno è sagomato in modo da permettere flussi di direzione opposta e da aumentare quindi l’efficienza dello scambio termico. Vi sono poi gli scambiatori rotativi, più costosi, nei quali l’aria viene convogliata attraverso una ruota composta da piccoli canali in alluminio che assorbono l’energia termica dall’aria più calda e che, muovendosi, sposta gli stessi canali verso il flusso dell’aria pulita in ingresso la quale, attraversandoli, si riscalda. Le unità di ventilazione a recupero di calore non canalizzate, le cosiddette monostanza, utilizzano generalmente recuperatori a flussi alternati nei quali un blocco microforato di ceramica assorbe l’energia termica per un certo lasso di tempo, dopo di che il sistema inverte automaticamente la direzione dei ventilatori consentendo all’aria in ingresso di acquisire l’energia termica ceduta dal blocco. L’efficienza dei recuperatori varia quindi in funzione della tecnologia impiegata ed indicativamente va dal 50 al 70% nei modelli con pannelli con flussi incrociati, dal 50 all’80% quando sfrutta la tecnologia rotazionale fino ad arrivare al 85-90% nei sistemi con flussi controcorrente. In genere negli edifici passivi il consumo delle unità di ventilazione meccanica a recupero di calore non dovrebbe risultare superiore a 0,45 Wh/m3 di aria trasferita, una spesa energetica che viene ben ripagata: nei sistemi caratterizzati dall’efficienza più elevata il rapporto tra l’energia elettrica spesa e le perdite di calore per ventilazione risparmiate arriva ad 1:10.

Figura 2.5.1.2 - Schema di funzionamento di un impianto VMC a recupero di calore.

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Nel progetto dell’impianto di ventilazione meccanica controllata nella casa bifamiliare progettata dallo studio TAAUT VENTURA in Sud Tirolo è stato previsto un impianto con scambiatore di calore entalpico rotativo ad elevata efficienza. Le bocchette di emissione ed immissione d’aria sono presenti in ogni piano, e la loro posizione tiene conto anche del massimo sfruttamento dell’energia passiva accumulata e poi riemessa dai solai massivi. Uno dei problemi associati alla presenza di sistemi di ventilazione meccanica controllata è l’estrema secchezza dell’aria, che in alcuni casi può presentare valori inferiori al 35% i quali non corrispondono ai parametri di salubrità. Per ovviare a questo problema si ricorre solitamente all’installazione di recuperatori entalpici, i quali contengono scambiatori realizzati con materiali porosi in modo da consentire l’assorbimento del vapore acqueo in uscita e il conseguente rilascio dello stesso all’aria in ingresso. I protocolli che regolano i requisiti degli edifici passivi richiedono che l’unità di ventilazione sia dotata di un bypass termico, capace di interrompere automaticamente il passaggio del flusso d’aria attraverso lo scambiatore nel caso in cui le condizioni atmosferiche esterne non lo rendano economicamente conveniente, consentendo comunque di ventilare meccanicamente gli ambienti senza aprire le finestre. Il bypass si attiva solitamente nelle mezze stagioni o durante la notte nella stagione estiva, quando la temperatura dell’aria esterna è accettabile e non è necessario provvedere alla climatizzazione degli ambienti. In genere esso entra in funzione quando la temperatura dell’aria esterna risulta superiore ai 13°C, in modo da prevenire la formazione di condensa all’interno dei canali. Il protocollo Passivhaus consiglia che l’impianto di ventilazione meccanica controllata presenti una efficienza di recupero di calore superiore al 75%, garantisca una umidità relativa dell’aria superiore al 30%, l’assenza di correnti ed un isolamento acustico di 25 o 30 dB(A) in funzione della tipologia di ambienti; si impone inoltre la presenza di un sistema di bypass termico. Il protocollo Casaclima raccomanda l’installazione di un sistema di ventilazione con ricambio d’aria a recupero di calore regolabile, che dovrebbe essere equipaggiato con recuperatori entalpici in zona climatica F ed in generale in tutte quelle aree geografiche caratterizzate da un ridotto contenuto di umidità dell’aria esterna durante il periodo invernale; inoltre lo stesso richiede anche la presenza di un sistema di bypass per consentire il free-cooling durante la stagione di raffrescamento.

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Figura 2.5.1.3 - La posizione della macchina di ventilazione meccanica controllata.

Il rendimento del sistema di recupero associato all’impianto di ventilazione meccanica controllata dipende anche dalla posizione del locale tecnico in cui viene collocata. Nel progetto della casa in paglia a Lavagno (VR), i progettisti dello studio Nobo hanno deciso di posizionarla in un locale interrato opportunamente isolato in modo da evitare dispersioni termiche che avrebbero in parte compromesso le prestazioni dell’impianto. L’efficienza del sistema di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore (VMCR) dipende anche dal posizionamento della macchina che ne rappresenta il cuore. Essa di norma va installata in uno spazio isolato acusticamente e termicamente, possibilmente riscaldato, ed è chiamata a comunicare con l’esterno tramite due tubazioni: una che aspira l’aria pulita ed una che espelle quella esausta. Nel caso siano previsti eventuali accessori, quali silenziatori e sistemi di pre- o post- riscaldamento dell’aria, bisogna tenere presente che essi comportano un certo ingombro e prevedere un accesso agevole sia ad essi che alla macchina per consentirne la manutenzione, che in genere si concretizza nella sostituzione dei filtri dell’aria ogni 3 o 6 mesi. La macchina va prevista in prossimità di una parete esterna, in modo da minimizzare il più possibile la lunghezza delle tubazioni di entrata e di uscita dell’aria e ridurre le dispersioni. Le prime vanno opportunamente isolate e possono essere posizionate all’aperto o in spazi non riscaldati, al contrario dei condotti di espulsione che vanno in genere previsti a circa 60 cm al di sotto delle prese d’aria in ingresso, la cui posi120

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zione è strategica per la qualità dell’aria interna. Per questo motivo le prese in ingresso non vanno mai previste vicino ai garage, ad un parcheggio o a depositi di rifiuti, e vanno collocate ad una quota di almeno 2 metri da terra per ridurre le probabilità di entrata di particolato ma anche di avvelenamenti intenzionali. La qualità dell’aria in ingresso è assicurata dalla presenza di filtri molto selettivi (F7) montati nel punto di immissione, che vanno cambiati frequentemente per evitare che riducano fino al 15-25% la portata di aria in entrata e che la macchina diventi più rumorosa. Periodicamente va prevista anche una pulizia dei canali e della macchina stessa. In ogni caso è bene posizionare entrambi i condotti di immissione e di emissione sulla medesima facciata, in modo da ridurre il più possibile le conseguenze di un differenziale di pressione in caso di giornate ventose, evitando di farli sfociare in copertura per scongiurare l’ingresso di aria calda in estate e la formazione di condensa. Nella posa in opera bisogna tenere presente che l’intero sistema dell’impianto, condotti compresi, deve essere sia a tenuta all’aria rispetto all’involucro edilizio, in modo da assicurare la massima efficienza del sistema. Un secondo ordine di condotti è rappresentato da quelli che compongono il sistema di distribuzione, che dovrebbe essere realizzato con canali semirigidi, dotati di proprietà antimicrobiche, antibatteriche, antistatiche ed autoestinguenti in conformità con la norma europea EN 61386-24. In genere la soluzione più igienica è rappresentata da tubi a doppia parete in polietilene ad alta densità (HDPE), caratterizzati da superfici esterne corrugate e superfici interne lisce e trattate con sostanze antimicrobiche. La sezione delle tubazioni deve essere calibrata in funzione della velocità dell’aria desiderata, in modo da evitare fenomeni di inquinamento acustico: i canali di distribuzione interna in genere limitano la velocità dell’aria a 2 m/sec, valore che può salire a 3 m/sec nelle tubazioni esterne. Una velocità superiore può comportare sia perdite di pressione che problemi di rumorosità. In genere negli edifici passivi si tende a prevenire fenomeni di inquinamento acustico indoor e in merito a ciò il protocollo Passivhaus impone un livello massimo di breakout di 25 dB(A) nelle stanze “nobili” (soggiorno, camera da letto, studio, ufficio, ecc), che può aumentare a 30 dB(A) nelle stanze “umide” (bagni e cucine). Un ulteriore problema a livello acustico legato alla conformazione dei canali di distribuzione può essere il cosiddetto cross talk, quel fenomeno che può far sentire in una stanza ciò che avviene in quelle limitrofe. Nel caso non si possa ovviare altrimenti, è possibile inserire nel sistema delle canalizzazioni degli appositi silenziatori. L’ultimo componente del sistema di ventilazione meccanica controllata sono le bocchette di mandata e di ripresa dell’aria, che si trovano al termine dei condotti di distribuzione. Il loro numero dipende dalla portata dell’impianto, che si calcola dividendo il numero di metri cubi di aria da rinnovare ogni ora per il valore di 30 m3 aria/ h persona; da questo calcolo si ottiene il valore del flusso d’aria che assicura un ricambio igienico senza sprechi termici ed è volto ad evitare una secchezza eccessiva degli ambienti. La regolazione ed il bilanciamento della portata dell’aria che transita nell’impianto sono fondamentali per garantire il comfort e l’efficienza dell’impianto stesso. Il bilanciamento serve a far in modo che la portata d’aria immessa nell’edificio sia equivalente a quella estratta e a garantire che le portate d’aria di rinnovo immesse nei vari ambienti corrispondano a quelle di progetto. Una sovrappressione o una de-

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pressione degli ambienti interni comporterebbero un conseguente aumento delle esfiltrazioni/infiltrazioni d’aria attraverso l’involucro edilizio a sfavore dell’efficienza energetica.

Figura 2.5.1.4 - Esempio di schema di bilanciamento nel progetto di una abitazione.

Nel calcolo delle portate di progetto il volume d’aria immesso deve essere bilanciato con quello estratto per garantire un ottimale funzionamento dell’impianto (fonte Idealclima). Come già ricordato, le bocchette di mandata dell’aria pulita si collocano negli ambienti nobili dell’edificio, mentre quelle di ripresa in genere vengono posizionate negli ambienti dove l’aria è più calda, umida e “sporca”, ovvero in bagno e cucina. Nei corridoi e in altre piccole stanze di servizio il passaggio dell’aria è solitamente assicurato da fessure ed intercapedini appositamente realizzate sopra i telai delle porte o tra queste ultime ed il pavimento finito, caratterizzate da un’altezza minima di un centimetro. La forma delle bocchette è diversa sia in base alla loro funzione che alla posizione in

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cui verranno collocate (a muro o a soffitto). In genere i terminali di immissione vengono posizionati al centro delle stanze, possibilmente non ostruiti da elementi di arredo e mai in corrispondenza dei letti. Esistono anche bocchette di mandata particolarmente efficienti, da installare ad una distanza inferiore a 30 cm dal soffitto in modo da sfruttare l’effetto coanda, che si verifica quando il getto d’aria in uscita tende ad aderire al soffitto per effetto della depressione che si crea tra la superficie e il getto, aumentando il lancio dell’aria e spingendola ulteriormente in avanti. Le prese di estrazione possono essere previste sia a muro che a soffitto e vanno collocate in genere in una posizione opposta alla porta di ingresso. Le bocchette interne e le prese esterne, oltre a tutti i canali, devono essere protette dalla polvere nella fase di posa in opera dell’intero impianto di ventilazione e durante tutto il cantiere; il sistema va azionato soltanto una volta che l’edificio è pulito, pronto per essere abitato. Molto importante è anche formare i futuri utenti dell’edificio circa le modalità di funzionamento e di regolazione dell’impianto, oltre che quelle di attuazione del protocollo di manutenzione. Tabella 2.5.1.2 - Azioni da fare e da evitare con un impianto di ventilazione meccanica controllata. NO

SI

• Al momento della scelta non considerare la percentuale di efficienza della macchina • Pensare che sia sempre possibile riscaldare soltanto con la ventilazione meccanica controllata a recupero di calore • Pensare che una unità di recupero entalpico funzioni come un deumidificatore • Non considerare la presenza dei silenziatori • Tralasciare o posticipare la manutenzione dell’impianto

• Prevedere la ventilazione meccanica fin dalla fase di progettazione preliminare e definire fin da subito un obiettivo di efficienza • Prevedere uno spazio apposito e adeguato per macchina, canali e bocchette e definire un percorso dell’aria che minimizzi le dispersioni termiche • Prima di effettuare la posa in opera dei canali, definire un progetto preciso della loro disposizione • Studiare bene la posizione della unità di ventilazione • Acquistare una unità di ventilazione con rendimento certificato

Check list 2.5.1.1 - Ventilazione meccanica controllata.

• In fase di progetto perseguire l’obiettivo di progettare un sistema capace di garantire una ottima qualità dell’aria ed una buona efficienza energetica • Assicurarsi che le prese d’aria esterna siano lontane da fonti di esalazioni nocive o contaminazioni • Valutare la possibilità di inserire nel sistema una serie di rilevatori di qualità dell’aria interna • Porre attenzione al bilanciamento: la portata immessa deve corrispondere alla portata estratta • Disporre di un sistema di bypass per ridurre i consumi nei periodi in cui non è necessario climatizzare gli ambienti • Durante il cantiere proteggere i componenti dell’impianto da contaminanti e polvere • Stabilire un piano di manutenzione per ogni componente dell’impianto

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2.5.2 La ventilazione naturale Nel progetto di un edificio passivo la ventilazione naturale si distingue dall’aereazione naturale, ovvero dalla pratica utile a ripulire l’aria interna da agenti inquinanti, dall’umidità eccessiva e dal radon e che serve quindi ad assicurare la salubrità degli ambienti. L’aerazione negli edifici passivi viene generalmente affidata ad un impianto di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore che assicura anche una elevata efficienza energetica. In questa sede la ventilazione naturale è intesa come un fenomeno passivo secondo cui il movimento dell’aria si verifica senza l’ausilio di ventilatori o di altri dispositivi “attivi” e corrisponde ad una strategia progettuale votata al conseguimento gratuito di migliori condizioni di comfort termico durante la stagione estiva o nei climi più caldi. Questo fenomeno sfrutta “motori naturali” quali la differenza di pressione dell’aria e l’effetto camino e viene combinata in genere con altre strategie passive come l’inerzia termica ed il corretto ombreggiamento degli edifici, tipiche dell’architettura bioclimatica in area mediterranea. Lo sfruttamento delle strategie passive legate alla ventilazione naturale per la climatizzazione degli edifici ha origini lontane nel tempo. Rimanendo in Italia, già nel rinascimento i nostri predecessori avevano capito come sfruttare la temperatura del sottosuolo, che al di sotto di determinate profondità rimane costante in quanto indipendente dai fenomeni metereologici esterni. In quel periodo l’aria estratta nei sotterranei veniva utilizzata per preriscaldare o pre-raffrescare l’aria in ingresso negli edifici nobiliari tramite apposite canalizzazioni, ottenendo così ambienti più confortevoli dal punto di vista termico. Negli edifici passivi oggi la ventilazione naturale viene sfruttata per il raffrescamento dell’edificio durante la notte nei mesi più caldi dell’anno, oltre che negli edifici a forte carico termico (uffici, scuole, edifici commerciali). L’efficacia di questa strategia passiva può essere incrementata pre-raffrescando l’aria in ingresso, ovvero facendola passare preventivamente attraverso una serie di canali interrati come succedeva negli antichi sistemi usati in area mediterranea e mediorientale. Il metodo più usato in questo senso è il cosiddetto free cooling, una tecnica che impiega le correnti d’aria notturna e sfrutta le capacità di accumulo e di sfasamento termico caratteristiche dei materiali edili più pesanti. L’effetto raffrescante è legato al principio fisico della convezione: quando l’aria fresca sfiora un oggetto a temperatura maggiore, come ad esempio i solai di un edificio che di notte ri-emettono il calore assorbito durante la giornata, ne asporta una quota di calore. I moti d’aria si ottengono sfruttando l’effetto camino e la pressione delle correnti d’aria, che vengono “indirizzate” attraverso finestre apribili o prese per l’aria fresca e camini per l’espulsione dell’aria esausta, elementi che possono essere integrati con atri, trombe delle scale e camini di ventilazione.

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Tabella 2.5.2.1 - Raffrescamento passivo e ventilazione naturale.

La ventilazione naturale è una strategia di raffrescamento passivo che dipende dalle condizioni climatiche, dalla presenza e dalla posizione della massa di accumulo degli elementi costruttivi e dalla dimensione e dal posizionamento delle aperture. L’efficacia del raffrescamento passivo per ventilazione naturale è condizionata dai parametri climatici prevalenti del sito in cui si opera. Per capire se questa strategia funziona è necessario analizzare preventivamente le temperature medie all’esterno, l’escursione termica giornaliera, il livello di umidità dell’aria, la direzione e la velocità dei venti prevalenti nei diversi periodi dell’anno, oltre a rilevare la presenza di corrugazioni del terreno, di vegetazione, di masse d’acqua e di edifici in grado di deviare le correnti d’aria esterne che la innescano. Tra questi i parametri i più significativi sono l’intensità e la direzione dei venti prevalenti e l’escursione termica tra il giorno e la notte. In area mediterranea i venti variano in funzione della località e della regione ed in genere ogni edificio dovrebbe essere protetto dai venti freddi invernali ed esposto alle brezze estive. Le caratteristiche geomorfologiche dell’Italia, quali lo sviluppo dei litorali e l’estensione delle zone collinari e montuose, determinano una ventosità diffusa a prevalente regime di brezza, con velocità media abbastanza ridotta (1-2 m/s), che si rivela comunque sufficiente ad essere utilizzata come motore della ventilazione naturale. Questi parametri sono però particolarmente mutevoli, in quanto esistono venti costanti e periodici, dominanti e variabili per intensità, stagione e frequenza. Nel caso si voglia sfruttare la ventilazione naturale per il raffrescamento degli ambienti è quindi importante in primis capire preventivamente la direzione e l’intensità dei venti prevalenti nei periodi del giorno e dell’anno più strategici per il loro sfruttamento in tale senso. La velocità delle correnti tende a variare in funzione dell’orografia del terreno e della conformazione dell’edificio e del tessuto urbano circostante, per il fatto che la velocità del vento aumenta con l’altezza; nel contempo la presenza di ostacoli, quali edifici o alberi, determina l’alternanza di aree di alta e di bassa pressione che ne condizionano l’andamento. È quindi indispensabile effettuare una analisi del contorno, per capire se la presenza di corrugazioni del terreno, vegetazione, masse d’acqua e di ulteriori edifici siano in grado di deviarne il flusso.

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Figura 2.5.2.2 - I profili di vento.

La velocità e la pressione del vento variano in funzione della conformazione degli ostacoli che esso incontra; in questo modo si formano delle aree di alta e bassa pressione che ne influenzano l’andamento. Un secondo vincolo per l’efficacia del raffrescamento passivo legato alla ventilazione naturale è l’umidità dell’aria, in quanto in climi estremamente umidi non si riesce ad ottenere condizioni di comfort senza intervenire sul calore latente (che è legato al fenomeno della evaporazione dell’umidità). La ventilazione naturale si rivela efficace in caso di escursione termica significativa tra il giorno e la notte perché allontana il calore riemesso dalle strutture e abbassa la temperatura dell’aria intervenendo sul calore sensibile (connesso cioè alla variazione della temperature), ma nel caso in cui il tasso di umidità sia molto elevato l’aria esterna introduce negli ambienti ulteriore vapore acqueo aumentando la quota di calore latente e diminuendo la sensazione di comfort, vanificando quindi l’effetto di riduzione della temperatura. Il raffrescamento passivo tramite ventilazione naturale è efficace nei casi in cui l’umidità dell’aria esterna è inferiore al 60%.

Figura 2.5.2.3 - I flussi termici della ventilazione monoaffaccio e di quella passante.

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La ventilazione passante si rivela più efficace di quella monoaffaccio in termini di raffrescamento passivo, in quanto lambisce una superficie maggiore delle strutture degli ambienti che attraversa ed è in grado di muovere una maggiore massa d’aria. L’efficacia di questa strategia dipende anche dalle modalità di ventilazione. La più semplice, che prevede la presenza di aperture non comunicanti in termini di flussi ventilativi con altre eventualmente presenti su fronti diversi, è chiamata sistema a lato singolo, e non è propriamente adatta a questo scopo. In questo caso la massa d’aria compie un percorso bidirezionale: quella più fresca entra nella parte inferiore dell’apertura e quella più calda fuoriesce dalla parte superiore, per cui il flusso d’aria risulta ridotto e discontinuo e non attraversa completamente gli ambienti. Per aumentarne l’efficacia è opportuno predisporre ai lati delle aperture alcuni elementi verticali applicati in senso perpendicolare (wind-wing), in modo da creare una differenza di pressione tra le due sezioni verticali delle finestre e da innescare un flusso d’aria composto dall’alternanza di correnti in entrata e in uscita. Una regola empirica impone per i sistemi monoaffaccio di prevedere una superficie di apertura superiore ad 1/20 dell’area della finestra e una profondità della stanza inferiore di 2,5 volte l’altezza della stessa, e comunque mai superiore ai 6 metri.

Figura 2.5.2.4 - Diverse modalità di ventilazione naturale monoaffaccio.

La ventilazione monoaffaccio non è un sistema efficace per il raffrescamento passivo, ma è possibile incrementarne l’efficacia tramite la predisposizione di elementi perpendicolari alle aperture chiamati wind wing. La ventilazione passante, altrimenti detta incrociata, si rivela una strategia più efficace per il raffrescamento passivo. Le aperture collocate nelle pareti sopravento introducono l’aria esterna, che viene aspirata da quelle che si trovano verso la parte opposta, da cui esce carica di calore da smaltire e di parte degli inquinanti indoor. Calibrando la posizione e la dimensione delle aperture è possibile in parte regolare la portata e la velocità dell’aria; in genere la velocità è maggiore quando le prese d’aria sono piccole e le uscite sono più grandi, perché la forza del vento si concentra in una superficie ridotta aumentando la pressione d’entrata. In questo caso si ha generalmente un aumento della velocità del flusso d’aria interna rispetto a quella esterna, mentre nella situazione opposta si determina un decremento della velocità d’aria interna rispetto a quella esterna. Nel momento in cui invece le aree di ingresso e di uscita

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siano di pari estensione si verifica un minore scostamento tra la velocità dell’aria interna e quella della aria esterna e la ventilazione risulta meno efficace.

Figura 2.5.2.5 - Esempi di ventilazione incrociata che sfruttano anche l’effetto camino.

La posizione e dimensione delle aperture determinano l’entità e la velocità dei flussi di ventilazione naturale, che si verifica sfruttando la differenza di pressione e l’effetto camino. L’efficacia della ventilazione naturale dipende anche dalla direzione dei venti prevalenti, che dovrebbe essere idealmente perpendicolare alla posizione delle aperture. Nel caso si voglia sfruttare la massimo la pressione e la velocità dell’aria è necessario orientare i fronti “di entrata” perpendicolarmente alla direzione dei venti prevalenti; se invece si vuole ottenere una distribuzione più omogenea in termini di velocità media delle correnti interne, è bene che l’affaccio sia inclinato di 45° rispetto alla stessa direzione.

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Figura 2.5.2.6 - Ventilazione naturale e direzione del vento.

L’efficacia bioclimatica della ventilazione naturale dipende dall’orientamento delle aperture in relazione alla direzione dei venti prevalenti. In caso si voglia aumentare la pressione dell’aria in entrata è bene disporre i fronti e le aperture in modo che la stessa giunga in direzione inclinata. È possibile deviare la direzione del vento predisponendo schermi verticali (wind-wing) o tramite la piantumazione di elementi vegetali non caducifoglie. Il raffrescamento passivo può essere reso più efficace se si sfrutta in pieno l’effetto camino, un fenomeno che si basa sulle forze termodinamiche innescate dal gradiente termico e quindi sulla differenza di densità tra l’aria esterna più fresca e quella interna più calda. Per azionare un flusso d’aria ascensionale in uscita, quindi, la temperatura dell’aria in uscita deve essere sempre maggiore di quella in entrata. La circolazione dell’aria si verifica in modo più significativo quando le aperture si trovano su fronti opposti e sono posizionate a quote sensibilmente diverse. Le prese di ingresso devono essere collocate sulla facciata dove soffia il vento prevalente, la quale risulta in sovrappressione, e in una posizione bassa, mentre quelle di uscita vanno previste sul lato opposto ed in posizione superiore. In genere questa strategia si adotta in edifici pluripiano per allontanare carichi termici importanti, in quanto la pressione dell’aria è direttamente proporzionale all’altezza del suo percorso. L’aria può entrare nell’edificio attraverso finestre apribili e apposite prese per l’aria fresca e uscire tramite camini per l’espulsione dell’aria esausta, circolando attraverso atri, trombe delle scale, camini di ventilazione, planimetrie il più possibile aperte e talvolta

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può essere aiutata piccoli ventilatori (in tal caso si parla di ventilazione meccanicamente assistita).

Figura 2.5.2.7 - L’effetto camino.

L’effetto camino dipende dalla direzione del vento e dalla differenza di quota tra le prese e le uscite dell’aria e si può ottenere in diversi modi che dipendono dalla temperatura dell’aria e dalla conformazione dell’edificio. Le torri del vento della tradizione costruttiva mediorientale usate per il raffrescamento naturale degli edifici si basano sullo sfruttamento di questo principio.

Figura 2.5.2.8 - L’effetto camino negli edifici pluripiano

Lo schema illustra lo spostamento delle masse d’aria negli edifici pluripiano che sfrutta l’effetto camino. In questi casi il meccanismo è agevolato da planimetrie il più possibile aperte e dalla realizzazione di un camino di ventilazione comune a più piani.

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La valutazione di massima del flusso di calore asportabile da un ambiente con la ventilazione naturale può essere effettuata attraverso un metodo semplificato che stima la potenza dissipativa per unità di superficie di pavimento assumendo una differenza costante di temperatura tra l’aria esterna e quella interna. A tal fine si può utilizzare un grafico basato sulla definizione di condizioni istantanee prefissate al fine dì determinare la potenzialità di ventilazione naturale in funzione delle dimensioni delle aperture. Un ulteriore metodo di calcolo legato alla valutazione delle portate d’aria degli edifici in funzione dell’aperture delle finestre è contenuto nella norma tecnica UNI EN 16798-7:2018 “Prestazione energetica degli edifici - Ventilazione per gli edifici - Parte 7: Metodi di calcolo per la determinazione delle portate d’aria negli edifici compresa l’infiltrazione (Moduli M5-5)”.

Figura 2.5.2.9 - La dissipazione della temperatura in funzione della velocità del vento.

Il grafico illustra la potenza di dissipazione della ventilazione passante in funzione della velocità del vento, dell’area netta delle aperture e di una differenza di temperatura di 1,7°C. Ogni curva esprime il flusso di calore asportabile da un ambiente per unità di superficie del pavimento in relazione alla velocità del vento incidente in modo obliquo rispetto alle aperture e all’area netta relativa d’apertura (espressa come percentuale della superficie di pavimento) nel caso di prese d’aria maggiore o uguale alle aperture di uscita. (Fonte: Mario Grosso).

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Figura 2.5.2.10 - La dissipazione della temperatura in caso di effetto camino.

Il grafico consente la stima della potenza di dissipazione della ventilazione per effetto camino in funzione della distanza verticale tra prese ed uscite, dell’area netta minore tra le aperture d’ingresso, di sezione trasversale e di uscita e di una differenza di temperatura di 1,7°C. Essa si riferisce alla correlazione tra l’altezza del camino (distanza verticale tra il livello della presa e dell’uscita dell’aria) e l’area della sezione trasversale al flusso. (Fonte: Mario Grosso). La ventilazione naturale è un argomento molto complesso ed articolato che in fase di progettazione avanzata richiede simulazioni di tipo dinamico. Esistono in commercio alcuni programmi che consentono una analisi fluidodinamica computazionale capace di studiare l’andamento nel tempo di temperatura, velocità ed altre proprietà di fluidi in ambienti tridimensionali, di visualizzare come si muove l’aria all’interno dei locali e di capire come ciò contribuisce alla distribuzione delle temperature. Tra questi il software più noto è Designbuilder. Check list 2.5.2.1 - Ventilazione naturale.

• È indispensabile effettuare una analisi preventiva del sito che comprenda l’esame dei venti prevalenti nel corso delle stagioni, della direzione delle brezze nei diversi momenti del giorno, la definizione dell’orografia del terreno e del profilo urbano del luogo in cui ci si trova ad operare • Progettare in modo da difendere l’edificio dai venti prevalenti invernali e favorire le brezze notturne estive se ci si trova in un clima non troppo umido durante l’estate Segue >>

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

• Aprire porte e finestre per più del 5% della superficie complessiva delle murature aiuta ad innescare un flusso di aria naturale in caso di ventilazione incrociata; nelle partizioni interne la percentuale di aperture deve essere almeno la metà della precedente • Le finestre più indicate presentano una altezza minima di 2 metri e una parte apribile in modo indipendente sulla sezione superiore • Per agevolare la ventilazione incrociata entrambe le aperture devono essere di almeno 1 m2 ciascuna, distanti non più di 15 metri una dall’altra • Le parti apribili sul lato sottovento dovrebbero presentare dimensioni maggiori rispetto a quelle sopravento e interessare complessivamente almeno l’1,5% della superficie di pavimento. • Per agevolare l’effetto camino la distanza in verticale tra prese d’aria in entrata ed in uscita deve essere maggiore di 3 metri

2.6 CENNI

DI IMPIANTISTICA

2.6.1 Impianti di riscaldamento e di produzione di acqua calda sanitaria Tra le conseguenze della strategia progettuale su cui si basa un edificio passivo vi è la riduzione della domanda di energia per la climatizzazione degli ambienti interni, che avviene minimizzando le perdite di calore per ventilazione e trasmissione, sfruttando il calore generato in modo passivo sia grazie ai guadagni solari che a quelli interni e recuperando il contenuto termico dell’aria di ventilazione. Nel protocollo Passivhaus il fabbisogno massimo ammissibile di energia per il riscaldamento è di 15 kWh/m2 anno, alternativo ad un limite massimo per il carico termico per il riscaldamento di 10 W/m2. Quest’ultimo parametro indica quanta energia termica deve essere fornita dall’impianto di riscaldamento per portare la temperatura dell’aria degli ambienti interni a 20°C nel giorno più freddo dell’anno. Considerando una stanza di 20 m2, una potenza termica di 10 Watt può essere soddisfatta con la presenza contemporanea di quattro persone oppure accendendo 10 candele, o anche di meno a seconda della grandezza delle candele o dell’attività che gli individui svolgono all’interno della stanza. Qualche anno fa due progettisti anglo-australiani, Brenda e Robert Vale, dichiararono che era possibile riscaldare una casa costruita con standard passivi semplicemente facendoci vivere dentro alcuni gatti. Un ricercatore dell’Università di Nottingham si è divertito a calcolare quanti animali ci vogliono per riscaldare una casa passiva. Partendo dal presupposto che ospitare un gatto medio del peso di circa 3 kg comporta una produzione passiva di calore di circa 15 Watt, che corrisponde ad un output energetico di circa 130 kWh/anno, esso ha desunto che per riscaldare una casa passiva di 150 m2 in un freddo inverno inglese basterebbero 18 gatti. La conclusione dal punto di vista economico è però stata che costerebbe molto di più mantenere tutti questi animali che alimentare una piccola caldaia a gas o elettrica che provveda al riscaldamento! Gli edifici passivi, al contrario di quel che alcuni pensano, non sono completamente privi di un impianto di riscaldamento e anche se lo fossero dovrebbero comunque

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prevedere un sistema di produzione di acqua calda sanitaria. In una abitazione media il consumo di energia per questa seconda voce energetica può andare dai 12 ai 35kWh/m2 anno, un valore che si può far diminuire installando rubinetteria ed elettro domestici a ridotto consumo idrico ed energetico e soprattutto adottando modelli di comportamento orientati alla riduzione dei consumi idrici (molti dei quali non dipendono dai progettisti). In linea di massima si può dire che la domanda di acqua calda sanitaria può essere stimata in 25 litri per persona al giorno da portare ad una temperatura di 60 °C. Un impianto di produzione di acqua calda sanitaria efficiente prevede in genere la presenza di un serbatoio d’accumulo opportunamente dimensionato che sfrutta l’inerzia termica dell’acqua per ottimizzare l’energia consumata per riscaldarla. Tale serbatoio può essere alimentato in buona parte con il calore prodotto tramite pannelli solari termici, che in un edificio passivo non sono obbligatori ma consigliati in quanto l’obiettivo principale è assicurare salubrità e comfort riducendo al minimo la domanda di energia. Questo apparecchio va posizionato in ambienti climatizzati e opportunamente isolato, per il fatto che durante la stagione estiva una eventuale dispersione di calore potrebbe comportare una maggiore domanda di energia per il raffrescamento. Lo stesso vale per le tubazioni di distribuzione, che dovrebbero essere di lunghezza il più possibile ridotta; a questo scopo si può accorpare in direzione orizzontale e verticale la posizione di servizi igienici, cucine ed eventuali altre stanze in cui si utilizza acqua calda. In merito a ciò il protocollo Casaclima impone l’isolamento termico dei bollitori e dell’intera rete di distribuzione di tutti gli impianti presenti nell’edificio. Tabella 2.6.1.1 - Schema di calcolo del dimensionamento dell’impianto di riscaldamento.

La potenza dell’impianto di riscaldamento dipende principalmente dalla conformazione dell’involucro, dalla tipologia di occupazione dell’edificio e dal clima in cui si trova. In base alle stratigrafie ed alle connessioni tra i diversi elementi di progetto si determinano le perdite per ventilazione e per trasmissione che vanno a definire il

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carico termico nominale. Nel momento in cui si sottraggono a questo ultimo gli apporti solari e gli apporti interni gratuiti si ricava la potenza dell’impianto. Il riscaldamento degli ambienti di un edificio passivo può essere affidato a qualunque sistema di produzione e distribuzione del calore, compresi quelli tradizionali che però non sempre risultano convenienti e soprattutto sufficientemente efficienti da rientrare nei parametri imposti dai diversi protocolli. Il sistema più adatto va scelto considerando sia il carico termico richiesto che i limiti di consumo imposti dal protocollo di calcolo adottato, senza dimenticare le esigenze del cliente e le fonti energetiche più opportune presenti nel luogo in cui si trova l’edificio. In generale le alternative più adeguate in questi casi, votate al comfort e all’efficienza energetica, sono due: i sistemi radianti a bassa temperatura che sfruttano l’inerzia termica delle strutture oppure un sistema di post-riscaldamento che utilizza l’aria immessa dall’impianto di ventilazione meccanica controllata per convogliare il calore mancante. Questa seconda soluzione si rivela possibile soltanto nei casi in cui il carico termico è abbastanza basso da essere coperto da poco più della metà della potenza delle resistenze elettriche che solitamente si usano per questo scopo. La batteria di post-riscaldamento (che d’estate può diventare post-raffrescamento) riscalda l’aria in uscita dall’impianto di ventilazione, che non deve superare la temperatura di 52 °C in modo da evitare che brucino il particolato e le polveri presenti nell’ambiente a discapito della salute degli occupanti. Questa strategia risulta confortevole nonostante si basi su un sistema a convezione in quanto in un edificio passivo le superfici interne presentano una temperatura superficiale maggiore di 17 °C e quindi non si percepisce una sensazione di discomfort per irraggiamento. Così facendo si evitano i costi di un impianto di distribuzione e di emissione afferente al sistema di riscaldamento. Nei climi molto freddi, quando i giorni rigidi che comportano un carico termico prossimo ai 10 W/m2 si presentano per un lungo periodo o quando comunque si ha un carico termico più elevato, è opportuno optare invece per un impianto radiante a pavimento o ancora meglio a parete, il cui impiego può essere utile anche durante la stagione estiva facendovi scorrere acqua fredda e abbinandolo con un sistema di deumidificazione. In questo caso minore è la potenza richiesta all’impianto, minore è la superficie radiante richiesta. Una valida alternativa a queste due soluzioni può essere una piccola stufa a pellet da posizionare in un punto strategico dell’edificio. In ogni caso all’interno dei bagni l’impianto di riscaldamento viene integrato con radiatori o scaldasalviette alimentati con acqua calda o a corrente elettrica, facendo attenzione che essi non comportino una domanda di energia eccessiva e quindi non compatibile con la domanda limite di energia primaria totale dell’edificio pari a 120 kWh/m2 anno imposta dallo standard Passivhaus. In certi casi i due sistemi possono essere combinati. Questa integrazione nel caso di riscaldamento a irraggiamento è sempre necessaria in quanto di solito la superficie radiante non è sufficiente a riscaldare il bagno, mentre negli impianti che sfruttano il sistema di ventilazione meccanica per il riscaldamento l’aria calda viene immessa direttamente soltanto nei locali “nobili”. Eventuali ulteriori picchi di domanda che possono emergere nel momento in cui il generatore di calore principale ha raggiunto il limite della sua efficienza

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possono essere coperti con impianti a riscaldamento elettrico diretto, che comprendono sia fan coil che resistenze elettriche di back up. L’insolita distribuzione della domanda di calore per l’acqua calda sanitaria ed il riscaldamento tipica degli edifici passivi, che tende a far prevalere la prima sulla seconda, comporta spesso la scelta di sistemi di produzione termica alternativi rispetto agli impianti tradizionali. In genere è possibile utilizzare tutti i generatori tradizionali, come caldaie a biomassa o a gas, a condizione che sfruttino la tecnologia a condensazione per garantire elevati livelli di efficienza e che siano modulanti, anche se sempre più spesso si opta per l’installazione di sistemi a pompa di calore, che per ottimizzare la produzione di acqua calda e del fluido termovettore sfruttano uno o più serbatoi di accumulo spesso collegati ad un collettore solare. Questi ultimi sono adatti anche per alimentare la batteria di post-riscaldamento dell’aria dell’impianto di ventilazione meccanica controllata; in questi casi la sorgente esterna è l’aria espulsa e ciò comporta una maggiore efficienza dell’impianto in quanto il calore residuo ancora presente nell’aria viene sfruttato per fare evaporare il fluido frigorifero. Una alternativa può essere pre-riscaldare l’aria in ingresso tramite uno scambiatore geotermico. In genere la stessa pompa di calore, abbinata ad un serbatoio d’accumulo e ad un impianto solare termico, può anche produrre acqua calda sanitaria ed eventualmente alimentare il sistema in modalità raffrescamento. Sul mercato a questo proposito si trovano sistemi “stand-alone” che provvedono all’energia termica necessaria ad alimentare il sistema di riscaldamento/raffrescamento e a produrre ACS (Acqua Calda Sanitaria) nel caso in cui ci sia un impianto dedicato di distribuzione. Gli aggregati compatti invece sono macchine che si integrano con il sistema di ricambio meccanico dell’aria a recupero di calore e nel contempo producono acqua calda, alimentando un boiler di accumulo da cui si ottiene l’energia termica necessaria per la batteria di post-riscaldamento e per l’ACS. Questi apparecchi in genere presentano una potenza attorno a 1,5 kW, sono rinchiusi all’interno di un armadio poco più grande di un frigorifero e garantiscono una massima integrazione delle funzioni che ottimizza l’efficienza di regolazione del sistema, simultanea per tutti gli impianti che interessano il circuito termico dell’edificio. Generalmente gli aggregati compatti si rivelano ideali per edifici unifamiliari di medie dimensioni e sono dotati di un serbatoio di accumulo da 200 litri, ma è comunque possibile integrarli con un puffer aggiuntivo, una batteria di post-riscaldamento con resistenza elettrica, un sensore di CO2, un sistema pre-temperamento dell’aria che sfrutta un collettore geotermico orizzontale, oltre che con pannelli solari termici o fotovoltaici. Le performance delle pompe di calore vengono misurate tramite due parametri definiti dalla norma UNI EN 14825. Il primo è il COP, acronimo di Coefficiente di Prestazione, che rappresenta il rapporto tra il calore utile fornito da una pompa di calore e la potenza elettrica assorbita dalla stessa, compresi eventuali sistemi ausiliari (es. resistenze elettriche), ed il secondo è il SPF, fattore di rendimento stagionale medio stimato, che corrisponde al “coefficiente di rendimento stagionale netto in modo attivo”. Quest’ultimo dipende sia dal COP che dalla zona climatica e dal fabbisogno di riscaldamento e di ACS dell’edificio. Il protocollo Casaclima impone l’impiego di pompe di calore solo se dotate di inverter. Inoltre, al contrario del protocollo Passivhaus, non prescrive un valore di potenza

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

dell’impianto di riscaldamento, se non in caso di sistema elettrico diretto dove la potenza termica massima deve stare al di sotto di 15 W/m2. Per gli altri sistemi di riscaldamento, ovvero caldaie a condensazione, pompe di calore a gas, generatori a biomassa, si consiglia di attenersi ai livelli minimi di efficienza dichiarati dalle direttive tecniche. In genere il sistema impiantistico è visto da Casaclima come una componente fondamentale dell’edificio, la cui efficienza energetica incide notevolmente nel calcolo dell’efficienza complessiva. Larga importanza viene attribuita anche ai sottosistemi di regolazione e alla coibentazione dei sistemi di distribuzione e di accumulo. Anche in questo caso non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo principale di un progetto di un edificio passivo che è quello di coniugare il massimo comfort, la massima efficienza e una spesa il più possibile ridotta, il che vuol dire ragionare sia in termini di costi dell’impianto che di costi di gestione nel lungo periodo, i quali dipendono molto dalla integrazione tra le diverse funzioni impiantistiche e da una loro regolazione il più possibile coincidente con le esigenze del sistema. Tabella 2.6.1.2 - Azioni da fare e da evitare con un impianto di riscaldamento. NO

SI

• Disporre gli ambienti che richiedono l’impiego di acqua calda sanitaria distanti tra di loro • Usare sistemi di riscaldamento elettrici che non siano pompe di calore in quanto è bene ridurre non solo il fabbisogno termico ma anche quello elettrico • Credere che un sistema di riscaldamento e di produzione di ACS alimentato per il 100% da energia elettrica soddisfi i requisiti di fabbisogno energetico legati ad una casa passiva • Prevedere un aggregato compatto quando il carico termico risulta superiore ai 10 Watt/mq • Non provvedere alla manutenzione dell’impianto

• Investire prima sia sulla coibentazione dell’involucro che sugli impianti, prevedendo sistemi di riscaldamento semplici ed economici • Disporre i locali in modo che gli impianti siano il più possibili compatti e quindi vicini tra loro per ridurre il rischio di dispersioni della rete di distribuzione • Prevedere un sistema d’accumulo dell’acqua calda e collegarli possibilmente ad un sistema solare termico • Disporre tutti in componenti di produzione, accumulo e distribuzione dell’acqua calda sanitaria in ambienti sanitari e isolarli termicamente • Scegliere pompe di calore che producano più acqua calda che riscaldamento

Check list 2.6.1.1 - Impianto di riscaldamento.

• La distribuzione dei carichi deve essere omogenea per garantire in maniera uniforme in ogni locale le temperature di comfort • Il bisogno di aria pulita e di calore non vanno sempre di pari passo: nelle camere da letto c’è bisogno di tanta aria fresca e poco calore, nei bagni di solito si estrae l’aria esausta ma si ha maggiore domanda di calore. • Il riscaldamento dell’aria con il solo recupero del calore dal terreno e dall’aria viziata non è quasi mai sufficiente • La scelta del sistema di emissione, quali semplici stufe, impianti radianti a pavimento o a parete, sistemi a tutta aria, deve misurarsi con le condizioni climatiche dell’edificio e le richieste di utilizzo legate alla funzione dello stesso Segue >>

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

• L’impianto di riscaldamento va sempre correlato con quello di ventilazione meccanica controllata e la massima efficienza è garantita da una regolazione combinata di entrambi gli impianti • Fare attenzione alle dispersioni termiche dei diversi componenti dell’impianto; a questo proposito è bene collocarli possibilmente in ambienti riscaldati ed in ogni caso provvedere al loro isolamento termico

2.6.2 Impianti di raffrescamento Gli edifici passivi contano generalmente sulla combinazione di esposizione geografica, ombreggiamento, massa termica e ventilazione naturale notturna per ridurre al minimo la domanda di energia per il raffrescamento degli ambienti. Il protocollo Passivhaus definisce in maniera precisa i parametri di comfort estivo: la presenza di un impianto di raffrescamento è richiesta quando la temperatura ambiente oltrepassa i 25°C nei giorni più caldi dell’anno con una frequenza superiore al 10% e quando l’umidità relativa dell’aria è maggiore del 60% (corrispondente a 12g/kg aria secca) con una frequenza superiore al 20%. In questo caso il fabbisogno limite di energia per il raffrescamento è analogo a quello del riscaldamento, ovvero 15 kWh/m2 anno, mentre il protocollo Casaclima dichiara che il fabbisogno di energia primaria equivalente di raffrescamento non deve comportare una emissione maggiore di 5 kgCO2eqv/m2 anno, una quantità che è la metà di quella richiesta per il riscaldamento e la produzione di ACS. Tra le strategie passive più efficienti nella riduzione di questa voce di fabbisogno energetico vi è l’impiego di opportuni sistemi esterni di ombreggiamento, che possono ridurre il carico termico per raffrescamento fino a 5 Watt/m2. Un contributo analogo può arrivare dall’impiego di colori chiari per le finiture esterne, che può valere fino a 3 Watt/m2 (che corrispondono a circa 5kWh/m2 anno). Se la stagione calda è analoga o molto più corta rispetto a quella fredda, come può succedere nel clima mediterraneo, quest’ultimo “guadagno” si può talvolta tradurre in una perdita di energia invernale che comprometterebbe il bilancio complessivo legato alle dispersioni per trasmissione. Una seconda strategia di raffrescamento passivo è lo sfruttamento della massa termica, che può aiutare tramite l’attenuazione dei picchi di temperatura che si verificano all’esterno dell’edificio. Bisogna però saper valutare se essa possa essere effettivamente utile in caso di stagioni calde particolarmente lunghe, come anche è importante riconoscere l’effettiva efficacia del raffrescamento tramite la ventilazione naturale notturna (free cooling), che non funziona nei climi troppo umidi. L’umidità è un parametro chiave nel progetto del raffrescamento, motivo per cui nella definizione del fabbisogno di energia frigorifera si considerano generalmente sia l’energia per il raffrescamento che quella richiesta per la deumidificazione degli ambienti. La potenza frigorifera necessaria per raffrescare gli ambienti si divide quindi in potenza sensibile e potenza latente. La prima è legata all’energia necessaria per ridurre la temperatura fino al livello di comfort; in un edificio passivo questo parametro presenta un valore generalmente ridotto e dipende da alcune caratteristiche peculiari dell’edificio, come la costante di tempo, che a sua volta è legata alla inerzia termica,

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

la tenuta all’aria, l’ombreggiamento e un bilanciamento ottimale dell’impianto di ventilazione meccanica controllata. La potenza frigorifera latente, legata al fenomeno della evaporazione dell’umidità, dipende invece dal livello di umidità relativa dell’aria conseguente alle condizioni climatiche, al tasso di ricambio dell’aria e al suo carico interno di umidità. L’indice SHR (Sensible Heat Ratio) esprime il rapporto di calore sensibile rispetto al carico frigorifero totale; un SHR pari a 0,7 indica una percentuale di calore sensibile del 70% a cui corrisponde un calore latente del 30%. La necessità di ridurre la temperatura ambiente e quella di abbattere l’umidità sono esigenze che generalmente non si verificano in contemporanea. In rari casi si può affidare il raffrescamento ad un impianto di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore dotato di un recuperatore entalpico, ovvero solo quando la potenza frigorifera richiesta è davvero molto ridotta. Nel caso in cui ad una elevata temperatura esterna è associato ad un altrettanto elevato tasso di umidità dell’aria questa strategia non funziona, in quanto il contributo di deumidificazione di questi apparecchi diventa insufficiente. È necessario prevedere quindi una batteria di raffrescamento sulla quale vada a condensare parte dell’umidità contenuta nell’aria, che verrà poi allontanata attraverso un apposito scarico, combinato con un deumidificatore frigorifero posto a valle dell’impianto di VMC (Ventilazione Meccanica Controllata). Per aumentare la portata del sistema, e quindi la capacità di raffrescamento, è possibile immettere nella batteria anche parte dell’aria di ricircolo del sistema di VMC.

1 Aspirazione aria di rinnovo 2 Aspirazione aria esausta 3 Aspirazione aria ambiente 4 Espulsione di aria esausta 5 Mandata di aria ambiente

Figura 2.6.2.1 - L’impiego dell’impianto di VMC per il raffrescamento.

L’impianto di ventilazione meccanica controllata può recuperare anche il freddo presente nell’aria ambiente, contribuendo così a ridurre la domanda di raffrescamento degli ambienti, e solo quando il corrispondente fabbisogno di energia termica è molto ridotto va equipaggiata con una batteria di post raffrescamento dell’aria. In caso di indice SHR ridotto, ovvero quando il carico termico latente è molto elevato rispetto a quello complessivo, è opportuno scegliere una macchina capace di deumidificare l’aria in presenza di temperature accettabili. Nel caso in cui ci sia il bisogno di ridurre anche il valore della temperatura, è bene prevedere due sistemi separati per l’abbattimento della temperatura e dell’umidità in modo da evitare di immettere aria a temperatura troppo bassa ed evitare così problemi di discomfort. L’indice SHR è un valore variabile in funzione delle condizioni atmosferiche, ragion per cui

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i sistemi per l’abbattimento dell’umidità e/o della temperatura devono risultare flessibili per essere in grado di operare nel modo e nella misura richiesti in diversi momenti, evitando così di sprecare energia. Se il semplice abbattimento del valore della temperatura dell’aria richiede un carico termico superiore ai 10 W/m2, non si riesce a raffrescare gli ambienti soltanto con un sistema di ventilazione meccanica controllata equipaggiato di un recuperatore. Infatti quest’ultimo non è efficace nel caso sia necessario smaltire grossi carichi interni in quanto esso non consente di movimentare portate d’aria importanti. In certi casi si può pre-raffrescare l’aria in ingresso tramite uno scambiatore geotermico o in presenza di climi caldo secchi si può fare ricorso al free cooling notturno per asportare il calore eccessivo presente nell’edificio. Nel caso le condizioni ambientali impongano la presenza di un impianto di raffrescamento vero e proprio, e soprattutto quando il carico di raffrescamento e di riscaldamento presentano valori simili, si può installare un aggregato compatto equipaggiato con una pompa di calore reversibile che presenti un condensatore/evaporatore montati dopo il recuperatore sia sull’aria espulsa che sull’aria di mandata. Durante l’inverno l’aria pulita, dopo avere recuperato il calore di quella in uscita, viene convogliata nel condensatore, mentre in estate la stessa aria viene fatta passare nell’evaporatore (ovvero nella stessa batteria, invertendo il ciclo), ottenendo aria calda in inverno e aria fresca e deumidificata in estate. L’efficienza di una pompa di calore, che può essere anche non integrata al sistema di VMC (stand alone), viene misurata in genere tramite due parametri definiti nella norma UNI EN 14825. L’EER (Energy Efficiency Ratio) è un indice di efficienza generico, mentre il SEER rappresenta il coefficiente di efficienza energetica stagionale che è rappresentativo dell’intera stagione di raffreddamento. In genere più è alto questo valore, migliori sono le prestazioni dell’unità di condizionamento. Il problema delle pompe di calore reversibili è che, nonostante una buona efficienza, comportano un consumo elettrico abbastanza significativo e in un edificio passivo è necessario valutare in che misura questa soluzione pesi sui 120 kWh/m2 annui di energia primaria che rappresentano il consumo energetico massimo generale di un edificio passivo. Esistono anche impianti di raffrescamento basati sull’impiego di energia termica: si tratta di sistemi radianti che sfruttano lo stesso principio e il medesimo impianto di riscaldamento a pannelli. In questa modalità di funzionamento bisogna fare attenzione che il fluido non circoli nelle tubazioni ad una temperatura troppo ridotta per evitare fenomeni di condensa sul pavimento. Qui, al contrario della pompa di calore, si può intervenire solo sul calore sensibile e non su quello latente, che può essere trattato tramite un apparecchio umidificatore dedicato a questo scopo, facendo sempre attenzione a non caricare troppo il consumo di energia per gli usi elettrici, anche se il protocollo Passivhaus prevede una serie di “sconti” nel consumo energetico in caso sia necessario deumidificare l’aria per raggiungere condizioni di comfort estivo. Nel caso sia presente un deumidificatore questo standard prevede che il fabbisogno massimo frigorifero totale di 15 kWh/m2 anno vada incrementato di una quota che corrisponde a 0,3 W/m2K moltiplicata per un valore chiamato “gradi ore secchi”, che dipende dalla differenza tra la temperatura di rugiada e la temperatura di condensazione di riferimento di 13 °C. Il valore risultante esprime la quantità di fabbisogno frigorifero massimo che può essere richiesta dall’impianto di deumidificazione.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

Quando ci si trova a scegliere l’impianto di raffrescamento si deve tenere conto quindi della relazione tra le condizioni climatiche e le esigenze di comfort per gli utenti, oltre che di una stima economica che consideri sia il costo dell’impianto iniziale che la distribuzione dei costi di gestione nel lungo periodo, le quali a loro volta dipendono anche dall’integrazione dell’impianto con i sistemi di riscaldamento e di VMC e dall’eventuale presenza di sistemi di produzione di energia termica ed elettrica da fonti rinnovabili. Check list 2.6.2.1 - Impianto di raffrescamento.

• Nel caso si assicuri la giusta inerzia termica alla struttura di un edificio passivo il fabbisogno termico per raffrescamento dovrebbe essere ridotto e costante non dovrebbe presentare problemi di picchi di domanda • Nei climi caldi il suolo può essere utilizzato come un serbatoio fresco semplicemente non isolando il piano terreno/interrato o installando impianti di pre-raffrescamento geotermico • L’energia latente contenuta nell’aria umida può essere difficile da gestire se la domanda di energia per il raffrescamento è ridotta • La modellazione dinamica è essenziale per valutare il contributo del carico latente • Il sistema di distribuzione dell’impianto di raffrescamento può subire guadagni termici capaci di minare l’efficienza dell’impianto soprattutto se le derivazioni non sono isolate e sono posizionate all’esterno dell’edificio o se sono all’interno e vengono fatte funzionare anche quando il raffrescamento non è necessario

2.6.3 Illuminazione artificiale e consumi elettrici Il comfort ambientale è una condizione di benessere legata alle percezioni sensoriali di ogni individuo e determinata non solo dalla temperatura di aria e superfici, dal tasso di umidità e dalla velocità dell’aria, ma anche dal livello di rumorosità e di luminosità rilevati all’interno dell’ambiente. Questi ultimi due sono parametri importanti e spesso sottovalutati. In materia di illuminazione è bene ricordare che la componente artificiale deve essere pensata come un elemento integrativo caratterizzato da una qualità analoga alla componente naturale, che non si deve sovrapporre quest’ultima e che deve consentire la percezione della variabilità luminosa durante il giorno e nelle diverse stagioni. Ogni corpo umano è “programmato” per vivere immerso nella luce del sole, la quale per motivi fisiologici e psicologici, oltre che per questioni di risparmio energetico, non può essere sostituita in toto con quella artificiale. Recenti studi hanno dimostrato come la componente spettrale della luce naturale è fondamentale per il corretto funzionamento del ritmo circadiano, ovvero un ciclo che si compie ogni 24 ore è che è deputato a regolare alcuni importanti processi fisiologici. Esso dipende dal funzionamento del sistema endocrino del corpo umano, è fondamentale non solo per il benessere ma anche per la salute dell’uomo ed è determinato dalla qualità della luce naturale che si percepisce tramite gli occhi. Nel momento in cui si concepisce il progetto della luce artificiale considerandolo come una componente integrativa e gioco forza coordinata con la disponibilità di luce naturale si può

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

ottenere una considerevole riduzione della domanda di energia elettrica generale di un edificio, che può essere ulteriormente ridotta agevolando un comportamento più energeticamente consapevole degli utenti. In linea di massima si può dire che un sistema di regolazione dell’impianto di illuminazione artificiale che consente di dosare la luce in funzione della quota di luce naturale che permea negli ambienti può consentire risparmi fino al 28%. Negli edifici passivi il progetto della luce naturale deve essere coordinato con tutte le voci di progetto afferenti alla bioclimatica, in modo da bilanciare l’illuminazione naturale con i guadagni passivi ed un eventuale rischio di surriscaldamento in base alla situazione climatica e alle esigenze dell’utenza. Solo una volta decisi tutti questi fattori si procede al progetto dell’illuminazione artificiale, che deve comportare una domanda energetica minima grazie al massimo sfruttamento della componente naturale, all’impiego di lampade a ridotto consumo energetico ed un loro posizionamento ottimale. In altre parole il progetto dell’illuminazione artificiale dipende dalla quantità di luce naturale a disposizione (che varia nel corso del giorno e delle stagioni), dalla dimensione e dalle proporzioni degli ambienti, dalla posizione delle finestre e di eventuali postazioni di stazionamento o di lavoro. Mentre negli ambienti interrati o quando fuori è buio, l’accensione dei corpi illuminanti è obbligata, nelle altre stanze il loro impiego durante il giorno può dipendere sia dalla qualità che dalla quantità di luce naturale che giunge dall’esterno. Questo perché mentre per sfruttare termicamente in modo passivo l’energia del sole la componente più utile risulta essere quella diretta, l’illuminazione naturale predilige la luce diffusa in modo da prevenire il fenomeno dell’abbagliamento. Ad esempio nel caso in cui ampie finestre comportino una gran quantità di luce diretta si può generare una situazione di abbagliamento o di contrasto eccessivo che può spingere gli occupanti ad azionare gli oscuranti e ad accendere la luce per stabilire condizioni migliori di comfort luminoso, vanificando eventuali guadagni passivi ed aumentando i consumi elettrici.

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Figura 2.6.3.1 - Illuminazione naturale diffusa.

L’involucro esterno degli edifici può essere sagomato per evitare l’ingresso della luce diretta negli ambienti interni trasformandola in diffusa, come nel progetto dell’edificio costruito a Comerio (Varese) su disegno dello studio Ecoarch Il progetto dell’illuminazione artificiale non si basa solo su fattori ambientali ma deve tenere in considerazione anche le caratteristiche dell’utenza, quali il profilo di occupazione e le modalità di interazione degli individui con i componenti schermanti e con l’impianto di illuminazione, in base a cui si andranno definite la tipologia e l’architettura del sistema di controllo. Un semplice esempio: in linea di massima nelle abitazioni le camere da letto risultano essere spesso le stanze che contengono il maggior numero di apparecchi illuminanti; gli stessi in cucina ed in soggiorno sono in numero inferiore ma vengono utilizzati per un maggior numero di ore. Passando agli uffici, la installazione di un sistema di regolazione dotato di rivelatore di presenza può portare a risparmi di gestione pari al 24% dei costi totali. Un progetto illuminotecnico deve rispettare alcuni parametri, quali ad esempio il valore di illuminamento minimo previsto per le diverse attività che si svolgono negli ambienti durante le ore in cui si è in completa assenza di illuminazione naturale. La norma tecnica UNI EN 12464 si riferisce all’illuminazione dei posti di lavoro in ambienti interni e definisce i valori minimi di questo parametro progettuale, che sono misurati in lux in modo da esprimere la quantità di luce presente su un piano da lavoro (in genere un tavolo o una scrivania), mentre per gli ambienti residenziali si fa riferimento alla norma UNI EN 10380, ora ritirata e sostituita dalla UNI EN 12464-1:2011.

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Tabella 2.6.3.1 - Valori di illuminamento consigliati per diverse attività in diversi contesti.

TIPO AMBIENTE

ABITAZIONI

NEGOZI

UFFICI

ATTIVITÀ

ILLUMINAMENTO CONSIGLIATO (lux)

Visione generale

100-200

Lettura, scrittura

300-500

Normale

250-500

Vetrine

1000-2000

Disegno di precisione

750-1500

Lavoro continuo

400-500

Visione generale

100-200

La tabella illustra il numero di lux che si consiglia di prevedere in diversi contesti funzionali, in corrispondenza di differenti attività. Il lux è un valore che esprime la quantità di luce presente su un piano luminoso (corrispondente a lumen/m2) e si riferisce ad una superficie posta ad una determinata altezza dal pavimento. A differenza delle diverse componenti ambientali del comfort finora analizzate, l’illuminazione è un parametro in cui l’aspetto qualitativo risulta spesso più incisivo rispetto a quello quantitativo. Per questo motivo nel progetto della luce artificiale bisogna fare attenzione ad ottenere anche una uniformità di illuminamento e di luminanze per prevenire fenomeni di abbagliamento, una corretta distribuzione delle ombre, oltre alla temperatura apparente della luce e all’indice di resa cromatica. Questi ultimi due fattori servono sostanzialmente a determinare quanto lo spettro della luce artificiale somigli a quello naturale, la cui qualità è considerata in assoluto la migliore per l’occhio umano. Non bisogna dimenticare poi la direzione della luce, per cui il cosiddetto illuminamento verticale è la componente che incide di più sul funzionamento del ciclo circadiano e quindi sul benessere degli occupanti, oltre ad essere quella che comporta un maggiore consumo energetico. La sfida è quindi quella di bilanciare efficienza energetica e stimolazione circadiana possibilmente a costi ragionevoli. Il progetto della luce è un ambito complesso e forse per questo motivo è spesso trascurato, soprattutto in ambito residenziale. Un semplice pre-dimensionamento di massima del numero di lampade necessarie per illuminare gli ambienti può essere effettuato con il cosiddetto metodo del flusso totale, in cui, stabilito il livello di illuminamento da ottenere e la tipologia di corpi illuminanti da impiegare, se ne può ricavare la quantità minima necessaria. Nelle fasi più avanzate di progetto si passa alla procedura punto per punto che consiste nel determinare il valore dell’illuminamento in ogni punto della superficie da illuminare, servendosi di particolari tavole fotometriche caratteristiche di ogni corpo illuminante e fornite dai produttori. Quest’ultima analisi solitamente si esegue con l’ausilio di programmi specifici appositamente pensati per una analisi quantitativa della luce naturale ed artificiale, tra i quali

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citiamo Relux e Dialux, Ecotect (particolarmente utile per definire fattore di luce diurna, luminanza ed illuminamento) e Daysim (che serve per quantificare l’energia richiesta per illuminare gli ambienti). Bisogna ricordare però che definire il numero di lux non basta: oltre ai parametri elencati sopra, è importante assicurare una buona qualità della luce, tarando ad esempio anche la temperatura di colore delle lampade che generalmente in ambito domestico dovrebbe attestarsi attorno ai 4.000 Kelvin. I consumi energetici legati alla illuminazione artificiale dipendono da parametri diversi da quelli finora elencati, che sono le condizioni operative, il costo di acquisto, la durata nel tempo, la necessità di manutenzione ma soprattutto la tensione di alimentazione elettrica, la potenza elettrica di funzionamento e il flusso luminoso delle lampade. Tra questi le misure più usate sono tre: - Lumen, la misura la quantità di luce emessa dalla lampada; - Watt, la misura la potenza elettrica assorbita - H, che esprime le ore di vita media della lampada Esiste poi il parametro della efficienza luminosa, che esprime la quota di energia assorbita dalle lampade trasformata effettivamente in luce che correla il flusso luminoso emesso dalla lampada e la potenza elettrica necessaria al funzionamento della stessa (Lumen/Watt). In termini di efficienza le lampade più adatte agli edifici passivi sono sicuramente quelle a LED, un acronimo che significa Light Emitting Diodes; esse sono tra le più efficienti in commercio e a parità di illuminazione fornita, consumano da un quarto ad un ottavo della corrente assorbita dalle loro “antenate” ad incandescenza. Inoltre presentano una durata molto elevata (fino a 100.000 ore) e costi di manutenzione ridotti. Un’alternativa più economica è rappresentata dalle lampade fluorescenti compatte (CFL - dette a basso consumo), che funzionano con la tecnologia a scarica in gas a bassa pressione e presentano una buona qualità della luce; esse possono essere integrate o non integrate a seconda che siano dotate o meno di un alimentatore elettronico incorporato al loro interno. Entrambe queste tecnologie, oltre a mostrare una buona efficienza luminosa, presentano il vantaggio di essere efficienti e di non comportare elevate perdite di calore, un fatto da tenere in considerazione soprattutto nel caso si voglia evitare il surriscaldamento estivo degli ambienti.

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Tabella 2.6.3.2 - Caratteristiche delle lampade per uso residenziale. Tipo di lampade

Efficienza luminosa (Lumen/Watt)

Ad Incandescenza

Vita media (ore)

12

1.000

Ad Alogeni

12-18

1.500 – 2.000

Ad Alogeni IRC (faretti)

12-25

2.000 – 5.000

Fluorescenti compatte CFL: - non integrate - integrate

55-75 50-65

8.000 – 15.000 6.000 – 15.000

Fluorescenti tubolari: - T5 (16 mm diametro) - T8 (26 mm diametro)

70-120 55-120

12.000 – 24.000 10.000 – 24.000

LED

50-60

50.000 – 100.000

Le caratteristiche più importati delle lampade da installare negli edifici passivi, al di là del comfort, sono l’efficienza luminosa e la vita media. Dalla tabella emerge che le lampade fluorescenti tubolari sono più efficienti delle lampade a LED, che però presentano una durata impareggiabile (Fonte ENEA – Risparmio Energetico con l’illuminazione 2008). L’efficienza energetica del progetto di illuminazione non dipende soltanto dalla tipologia e dalla posizione delle lampade, ma anche dalla modalità di occupazione degli ambienti e dal tipo di integrazione tra la componente artificiale e quella naturale e dall’efficacia di eventuali sistemi di regolazione e di controllo in funzione di quest’ultima. Essi sono votati ad erogare una quota di luce artificiale il più possibile corrispondente alla qualità e quantità necessaria e risultano strategici per l’ottenimento di un risparmio energetico effettivo in questa voce di consumo. Si tratta sostanzialmente di meccanismi riconducibili a rilevatori automatici di presenza e ad apparecchi dotati di fotosensore, che possono essere tra loro integrati. Per le situazioni più complesse esistono in commercio alcuni sistemi di programmazione capaci di regolare autonomamente il livello di illuminazione degli ambienti in funzione di profili di occupazione definiti, la cui efficacia è provata in casi di consumi elevati, come nel settore terziario. La loro efficienza si basa su tre fattori: progettazione del sistema, messa in servizio e capacità di fornire all’utente il comfort adeguato in modo automatico. Il loro bilanciamento può portare a un risparmio compreso tra il 30 ed il 55% dei consumi elettrici per l’illuminazione. Secondo la norma tecnica UNI EN 15193 la valutazione dei consumi energetici può essere effettuata calcolando l’indice LENI (indice numerico di efficienza) secondo la modalità descritta nella norma stessa, con cui si ottiene un valore specifico che esprime l’energia consumata in un edificio per l’illuminazione riferita ad un mq in un anno (kWh/m2 anno). L’obiettivo di ridurre il fabbisogno di energia primaria per l’illuminazione artificiale impone di ottenere valori LENI particolarmente bassi.

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Tabella 2.6.3.3 - Consumo di energia elettrica delle famiglie italiane in abitazioni di circa 80-100 m2. CONSUMO MEDIO ANNUO DI ENERGIA ELETTRICA: 2500- 4000 KWh/ anno DESTINAZIONE

QUOTA SUL CONSUMO TOTALE

Elettrodomestici

65-75%

Illuminazione

10-15%

Condizionamento

6-12%

Boiler elettrici

0-5%

Altro (PC, modem piccoli elettrodomestici)

5-7%

Gli edifici passivi impongono una riduzione dei consumi energetici complessivi. In ambito residenziale la gestione del comfort rappresenta almeno il 20%, un dato che può essere significativamente ridotto grazie a scelte progettuali più consapevoli. La quota di consumo dell’energia elettrica impiegata per l’illuminazione è condizionata dalla tipologia di lampade installate nei corpi illuminanti, dal loro corretto posizionamento, dalla presenza di sistemi di building automation e dalle abitudini delle persone. (Fonte: Energy Efficiency Report – School of Management Politecnico di Milano). Il protocollo Passivhaus impone una domanda di energia primaria complessiva inferiore o uguale a 120 kWh/m2 anno, che comprende tutte le voci di consumo sia termiche che elettriche che entrano in gioco nella gestione di un edificio, vale a dire riscaldamento, acqua calda sanitaria, ventilazione meccanica controllata, eventuale raffrescamento, pompe, ventole, illuminazione, oltre a tutti gli elettrodomestici e gli apparecchi elettrici presenti. Si tratta di un valore assai ridotto se si pensa che nel caso di un edificio raffrescato attivamente di norma circa un terzo di questa cifra rappresenta il consumo dei sistemi di climatizzazione. La voce riguardante l’illuminazione artificiale in ambito domestico può essere ridotta di una quota pari ad almeno il 25% prevedendo lampade a basso consumo, quali LED o fluorescenti compatte; nel caso di edifici per il terziario questa quota di risparmio può essere notevolmente aumentata prevedendo impianti dotati di sensori che calibrano l’erogazione della luce artificiale in funzione dell’effettivo bisogno. Una strategia ulteriore per ridurre la voce di consumo complessiva degli usi elettrici è quella di acquistare elettrodomestici ad elevata efficienza, considerato che un elettrodomestico “datato” comporta un consumo elettrico maggiore di circa il 60% rispetto ad uno di nuova generazione. Per esempio sostituendo una lavastoviglie di classe C con un modello più efficiente di classe A si possono risparmiare circa 100 kWh l’anno, ovvero il 4% della bolletta elettrica di una famiglia media; una quota analoga si può risparmiare sostituendo una lavatrice delle medesime classi. Optare per un forno di Classe A invece che di classe C consente di risparmiare circa 50 kWh l’anno, ovvero il 2% della bolletta elettrica annuale, mentre un passaggio alle stesse classi di un frigo-congelatore da 330 litri riduce la domanda di energia di circa 300 kWh l’anno, abbattendo i consumi dell’ 11%.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

I consumi elettrici si possono ridurre anche grazie al cambiamento delle abitudini delle persone, che tendono ad esempio a lasciare la maggior parte degli apparecchi elettrici di casa in stand by; questa particolare voce di consumo può raggiungere un valore tra 950 e i 1.200 kWh/anno per abitazione a causa di una sempre maggiore presenza di apparecchiature elettriche ed elettroniche nelle nostre case. Il potenziale di risparmio associato allo spegnimento degli apparecchi in stand by è pari al 63% di questo valore. Tabella 2.6.3.4 - Costo energetico di alcuni apparecchi durante lo stand by. Modalità: stand by o collegato alla rete elettrica Potenza richiesta (W)

Ore al giorno

Consumo giornaliero (Wh)

Consumo annuo (kWh)

Euro kWh

Euro di spesa annui

TV grande

6

22,00

132,00

48,18

0,18

8,67

Tv piccolo

4

23,86

95,44

34,84

0,18

6,27

Lettore DVD

6

23,72

142,32

51,95

0,18

9,35

Pc portatile 1

2

18,00

36,00

13,14

0,18

2,37

Pc portatile 2

9

21,00

189,00

68,99

0,18

12,42

Stampante

4

23,86

95,44

115,00

0,18

6,27

Radioregistratore CD

3

201

1111

405

0,18

4,36

APPARECCHIO

La tabella evidenzia come gli apparecchi elettrici che si trovano di solito nelle abitazioni comportino un impiego di energia spesso inaspettato. (Fonte: A. Sacchi, Kilowatt - capire l’energia elettrica, 2010). Check list 2.6.3.1 - Impianto di illuminazione.

• Un buon progetto dell’impianto di illuminazione sfrutta al massimo la presenza della luce naturale e prevede la giusta quantità di luce artificiale in funzione dell’attività da svolgere soltanto nel momento in cui ce n’è bisogno. • Porre attenzione alla qualità dello spettro luminoso, che dovrebbe essere vicino a quello del sole nelle diverse ore del giorno per consentire un corretto funzionamento del ciclo circadiano • Si deve partire da un buon progetto della luce naturale, che ne consenta l’ingresso in modalità diffusa e in quantità adeguata in modo da evitare abbagliamento e contrasti luminosi eccessivi. • Scegliere lampade e elettrodomestici a bassissimo consumo. • Predisporre sistemi di controllo semplici e facili da usare. • Fare ricorso alla domotica: sensori di occupazione che accendono la luce automaticamente quando entra qualcuno e la spengono quando nessuno è rimasto nella stanza o sensori che regolano l’intensità della luce artificiale in funzione della presenza di quella naturale.

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

2.6.4 La produzione di energia da fonti rinnovabili Tra i miti da sfatare a proposito degli edifici passivi c’è la convinzione che in questo ambito la produzione dell’energia necessaria alla loro gestione debba avvenire per forza di cose da fonti di energia rinnovabile e preferibilmente in loco. Un elevato livello di efficienza energetica non deriva mai dal tipo di energia consumata ma soltanto dalla riduzione della domanda energetica, secondo l’assunto che l’energia più preziosa è quella che si evita di consumare. L’investimento economico più importante in questo genere di edifici deve riguardare le performance dell’involucro in termini di isolamento termico, tenuta all’aria e guadagni passivi, oltre che l’impianto di ventilazione meccanica controllata. L’obiettivo principale del progetto in questo caso è ottenere sistemi impiantistici economici, che rispondano in maniera ottimale ad una domanda di energia minima che in genere si rivela costante nel tempo, oltre che efficienti in modo da ridurre la domanda di energia primaria e quindi le emissioni di gas climalteranti. Non si può quindi basare l’efficienza di un edificio sulla produzione di energia da fonti rinnovabili invece che sulla riduzione dei consumi. In questo senso il Protocollo Casaclima suggerisce comunque, senza imporlo, l’utilizzo di fonti rinnovabili di energia come un requisito importante per una gestione energetica sostenibile. Le norme in vigore in Italia sono fortemente orientate verso la produzione di energia rinnovabile, che i molti casi è obbligatoria almeno per una quota parte. Anche per questo motivo in alcuni protocolli legati agli edifici passivi è comparsa la possibilità di valutare la presenza di impianti alimentati ad energia rinnovabile come una qualità aggiuntiva, seppure non indispensabile che, può condurre un edificio nel novero delle case ad energia zero o ancora meglio di quelle che producono più energia di quanta ne consumano. In questo senso l’edificio può essere interpretato come uno strumento di produzione di energia e diventa un investimento più costoso ma anche più redditizio; per ottenere buoni risultati bisogna sempre partire in ogni caso da edifici che comportano una domanda di energia molto ridotta, quali sono appunto quelli passivi. Visto il numero crescente di edifici che installano impianti di produzione di energia rinnovabile, nel 2015 il Protocollo Passivhaus ha inserito il nuovo parametro Energia Primaria Rinnovabile (PER), un indice che è destinato a sostituire gradualmente il fabbisogno di energia primaria non rinnovabile globale riferito a tutti gli usi energetici che ad oggi è rappresentato da un valore massimo di 120 kWh/m2 anno. Questo nuovo parametro è stato prospettato in vista di uno scenario futuro caratterizzato dalla totale assenza di combustibili fossili, quando la domanda di energia sarà soddisfatta soltanto da fonti rinnovabili, ovvero principalmente attraverso impianti solari fotovoltaici, idroelettrici e turbine eoliche. L’indice PER viene determinato considerando la correlazione tra la domanda energetica globale e la possibilità di soddisfarla simultaneamente sfruttando fonti di energia rinnovabile, tenendo conto anche della quantità di energia da accumulare per coprire i periodi in cui essa non è disponibile. Le modalità di produzione e di stoccaggio dell’energia da fonti rinnovabili contribuiscono a definire l’efficienza del sistema, che prevede essa possa essere prodotta o meno in loco e accumulata per determinati periodi di tempo. In questo modo si

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Capitolo 2 - Le regole progettuali

riesce a tenere conto di tutte le perdite di sistema e a indirizzare verso la installazione di impianti efficienti capaci di sfruttare al meglio le fonti di energia rinnovabile presenti localmente. In questo ambito la produzione oraria di energia elettrica da fonte solare viene ad esempio calcolata prendendo in considerazione un impianto fotovoltaico orientato verso Sud, in base alla radiazione solare disponibile in funzione dei dati climatici inseriti e della sensibilità alla temperatura che influenza l’efficienza dei moduli fotovoltaici. Analogamente la produzione oraria di energia eolica viene determinata in funzione dei dati climatici, correlando l’energia radiante e la temperatura dell’aria alla velocità del vento, che essendo un parametro molto variabile viene considerata sulla base di misurazioni a lungo termine (in genere diventa antieconomico installare questi impianti con velocità medie inferiori a 4 metri/secondo). L’apporto dell’energia idroelettrica è invece calcolato in base al contributo percentuale stimato per questa forma di produzione di energia rispetto alla domanda totale di energia elettrica per la nazione in cui si trova l’edificio. Tutti questi fattori vanno a definire la possibile produzione annuale di energia rinnovabile legata all’edificio (kWh/m2 terreno anno), che andrà confrontata con il fabbisogno di energia primaria rinnovabile, il quale è espressione della quantità di energia primaria rinnovabile di cui l’edificio ha bisogno di generare per coprire l’intera domanda di energia.

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3 GLI STRUMENTI PER LA PROGETTAZIONE

3.1 I

PROTOCOLLI DI CERTIFICAZIONE

Si può progettare e realizzare un edificio passivo senza conseguire una certificazione finale? Certo che sì: alla fine ciò che conta è la qualità abitativa degli ambienti e il fatto che l’investimento suppletivo richiesto per la qualità costruttiva si ripaghi almeno nel medio periodo grazie a bollette ridotte. Ma dal momento in cui la costruzione di un edificio è un processo complesso che dipende da moltissime variabili, come si fa ad avere la certezza del risultato finale fin dalla fase di progettazione? Il processo di certificazione dell’efficienza energetica degli edifici può avvenire per mezzo di protocolli seri e consolidati che rappresentano una garanzia di qualità sia del progetto che del costruito, nell’ambito dei quali tutti i protagonisti del processo (committente, progettisti e costruttori) firmano un contratto che impone ad ognuno obblighi e responsabilità funzionali a garantire la certezza di un risultato finale corrispondente al livello di certificazione concordato nella fase iniziale del progetto. L’intero iter viene controllato da una quarta figura, il certificatore, che grazie alla propria esperienza e alla propria indipendenza può assicurare il conseguimento del risultato finale. In questo modo l’investimento potrà assumere con sicurezza i risultati che il committente ed il progettista avevano concordato all’inizio del processo, i quali sono destinati a mantenersi costanti nel tempo. La presenza di una targhetta accanto all’uscio di un edificio passivo rappresenta un sigillo che dichiara la qualità costruttiva dell’edificio ed è quindi potenzialmente in grado di incrementare il valore economico dello stesso.

Figura 3.1.1 - Le targhe.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Le targhe emesse dai diversi enti di certificazione rappresentano un vero e proprio sigillo di qualità che garantisce l’elevata professionalità sia in fase progettuale e costruttiva con cui è stato realizzato l’edificio su cui vengono apposte. La casa bifamiliare passiva in Sud Tirolo dello studio TAAUT esibisce una doppia targa, segno che la committenza ha scelto di certificare l’edificio con entrambi i più noti e rigorosi sistemi di certificazione energetica degli edifici presenti in Italia. Il processo di validazione di un progetto da parte di un certificatore accreditato a un determinato standard si concretizza nel controllare che esso non contenga sviste o errori che potrebbero compromettere l’atteso risultato finale sia in fase di progettazione ma anche e soprattutto in fase di costruzione. I parametri da controllare a livello progettuale sono così tanti che qualche dettaglio può sfuggire, anche se ci si affida a consulenti molto preparati, e se il dettaglio che è sfuggito si rivela strategico per l’ottenimento degli obiettivi prefissati, i risultati attesi possono essere compromessi. Il certificatore è in grado di valutare il progetto con uno sguardo più lucido sia per il fatto che non è coinvolto direttamente nel processo, ma soprattutto perché egli segue un preciso protocollo definito specificatamente per controllare l’eventuale assenza di requisiti essenziali per la completa riuscita del progetto. Il controllo non avviene solo sulla carta, ma anche e soprattutto sul costruito: può accadere che i disegni che escono dagli uffici dei progettisti non siano abbastanza chiari o dettagliati o che la direzione lavori non sia sufficientemente presente o che si possano verificare delle modifiche in situ capaci di compromettere il risultato finale del progetto. I controlli in cantiere ed i test strumentali sono fondamentali per evitare o correggere errori costruttivi. 3.1.1 Il protocollo di certificazione CasaClima

Figura 3.1.1.1 - Il logo CasaClima.

CasaClima è un protocollo di certificazione del consumo energetico degli edifici nato nel 2002 da una idea di Norbert Lantscher, all’epoca dirigente del dipartimento di urbanistica della Provincia di Bolzano, che, sulla scorta dell’attenzione per l’ambiente distintiva del territorio in cui vive, aveva subito intuito l’importanza della direttiva 2002/91/CE appena uscita votata al miglioramento del rendimento energetico nel-

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l’edilizia. La norma sottolineava l’importanza strategica della certificazione per il conseguimento di un incremento generalizzato dell’efficienza energetica degli edifici, un proposito considerato indispensabile per rispondere agli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Mentre l’Italia solo tre anni dopo emanava i relativi decreti attuativi rendendo obbligatoria la certificazione energetica, nel 2002 la Provincia Autonoma di Bolzano aveva già istituito il primo protocollo di certificazione energetica in Italia e nello stesso anno aveva certificato il primo edificio, che ricevette una ambitissima targhetta corrispondente al livello CasaClima A. Due anni dopo la certificazione è diventata obbligatoria per tutte le nuove costruzioni realizzate nella provincia, che per ottenere il certificato di abitabilità erano chiamate a conseguire un determinato livello minimo CasaClima, che ad oggi in Alto Adige corrisponde alla classe A, la quale richiede requisiti molto vicini a quelli caratteristici di un edificio passivo. In questi anni il sistema di certificazione CasaClima è cresciuto anche al di fuori della Provincia Autonoma di Bolzano, fino a diventare uno dei principali sistemi volontari di certificazione energetica adottati in Italia. Il protocollo prevede diversi livelli di certificazione definiti in base al fabbisogno di energia termica per il riscaldamento determinato dal solo involucro, definito “Efficienza Energetica dell’Involucro”. I livelli ad oggi raggiungibili sono: - CasaClima Oro Fabbisogno energetico inferiore di 10 kWh/m²a / Casa da 1 litro; - CasaClima A Fabbisogno energetico inferiore di 30 kWh/m²a / Casa da 3 litri; - CasaClima B Fabbisogno energetico inferiore di 50 kWh/m²a/ Casa da 5 litri. Tra questi soltanto la classe più elevata, corrispondente al livello CasaClima Oro, risponde in pieno ai requisiti tipici di un edificio passivo e comporta una domanda di energia termica per il riscaldamento determinata dal solo involucro inferiore a 10 kWh/m2 anno. L’edificio corrispondente è chiamato “casa da un litro”, perché in linea di massima per ogni metro quadrato di superficie riscaldata esso necessita di circa un litro di gasolio l’anno per il riscaldamento. Questa domanda di energia si riferisce soltanto alle dispersioni legate all’involucro, in quanto un assunto fondamentale di questo protocollo è che l’efficienza energetica deve partire dalla qualità costruttiva e può essere soltanto migliorata con l’efficienza degli impianti. Per raggiungere la certificazione CasaClima Oro bisogna dimostrare nel contempo una efficienza energetica complessiva che non comporti l’emissione di più di 15 kg CO2 eqv/m2a, dei quali 10 devono essere a carico dei sistemi di riscaldamento, di produzione di acqua calda sanitaria e di VMC a recupero di calore e 5 legati esclusivamente al raffrescamento. Inoltre si richiede anche una verifica approfondita dei ponti termici tramite l’analisi ad elementi finiti (validata secondo la UNI EN ISO 10211) ed una permeabilità all’aria dell’involucro inferiore a 0,6 ricambi d’aria n50 misurata a fine cantiere. Vi è poi una serie di soluzioni progettuali e sottorequisiti da rispettare, che sono contenuti nella direttiva tecnica e variano a seconda del tipo di certificazione da conseguire. Ogni certificato ha una validità di dieci anni (dopo i quali si può affrontare un processo di ri-certificazione) e scaturisce da un controllo documentale e strumentale che interessano sia il progetto che la costruzione che avviene da parte di certificatori indipendenti accreditati dall’Ente. Il processo di controllo è molto importante in quanto è l’attività che assicura sulla qualità energetica del costruito. Nelle prime fasi di progetto l’Agenzia Casaclima identifica un proprio tecnico che controlla la documenta-

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zione inviata e i calcoli energetici, effettuati tramite il programma ProCasaclima che è disponibile gratuitamente su una piattaforma on line ed integrato da una direttiva tecnica periodicamente aggiornata, la quale definisce in modo specifico le prestazioni minime richieste a strutture ed impianti per i diversi protocolli. Essa inoltre indica le modalità di calcolo e i particolari costruttivi da seguire per risolvere i punti della costruzione più critici. Nella fase costruttiva l’audit energetico si risolve in una serie di ripetuti controlli, anche strumentali, in cantiere e in un eventuale aggiornamento del calcolo energetico in base alla evoluzione dei lavori da parte di un Auditore CasaClima. Il committente ed il progettista possono avvalersi di prodotti ed installatori qualificati con lo stesso marchio per avere maggiori certezze circa la qualità dell’esecuzione. A fine cantiere una conditio sine qua non per ottenere la certificazione è la misurazione della permeabilità̀ all’aria della struttura tramite un blower door test, a cui segue un controllo finale dell’intera documentazione e dei calcoli energetici. Solo nel caso in cui tutta questa procedura vada a buon fine l’edificio riceve la certificazione prevista. Casaclima inoltre offre un sistema di formazione atto ad insegnare ai progettisti i presupposti per il progetto di edifici energeticamente efficienti declinandoli in base ai propri protocolli e ad addestrare i certificatori sui propri ruoli e sulle proprie responsabilità. Esistono poi corsi specifici rivolti ad artigiani, committenti ed imprese con lo scopo di accrescere le competenze e comunicare la qualità costruttiva a 360°. Nel corso del tempo la famiglia CasaClima si è arricchita di nuovi protocolli di certificazione, ad ognuno dei quali corrisponde una specifica direttiva, come ad esempio ClimaHotel, CasaClima Factory, CasaClima Welcome, CasaClima Work&Life, CasaClima Wine, CasaClima School etc. Tra questi vale la pena ricordare che nel 2013 è nato il protocollo CasaClima R, dedicato alla certificazione di qualità̀ degli interventi di riqualificazione energetica, nel quale sono state inserite misure particolari per il recupero di edifici storici sottoposti a tutela. Questo protocollo propone regole più flessibili rispetto a quelle previste per la nuova costruzione di edifici, perché intende favorire il miglioramento del patrimonio edilizio esistente senza influire negativamente sulla qualità architettonica dei manufatti. Il rispetto del protocollo può scontrarsi in questo ambito con vincoli di diversa natura (urbanistici, paesaggistici, storico-architettonici, igienico-sanitari, fisici) e nel caso essi siano significativi per l’immobile se ne può giustificare il parziale mancato rispetto, sempre senza derogare agli obblighi minimi richiesti. Un ulteriore protocollo particolarmente rilevante in questa sede è CasaClima Nature, che implica una valutazione ambientale integrativa rispetto a quella energetica. Essa è possibile soltanto nel caso di edifici che rientrano in classi di efficienza superiori a CasaClima A, ovvero che presentano un indice di efficienza dell’involucro inferiore ai 50 kWh/m2a e una emissione globale di CO2, inferiore a 20 kg CO2/m2a. Questa procedura implica una analisi degli impatti ambientali dei materiali e dei sistemi impiegati nella costruzione e dell’impatto idrico dell’edificio. Si tratta di uno strumento utile per valutare il costruito anche in funzione sia del suo impatto sull’ambiente che dell’influenza sulla salute e sul benessere delle persone che vi abitano o lavorano. I parametri di valutazione sono: - l’impatto ambientale dei materiali da costruzione (ICC), che deve rimanere in-

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feriore a 300 punti e che dipende dal contenuto di energia grigia non rinnovabile, dalla durata degli stessi, dai potenziali di acidificazione e di effetto serra di ogni singolo materiale o prodotto impiegato nella costruzione; - l’impatto idrico dell’edificio, valutato attraverso l’indice specifico WKW che deve risultare maggiore o uguale a 35%; - un ottimo livello di qualità dell’aria interna, da assicurare attraverso l’installazione di un impianto di VMC e/o l’impiego negli ambienti interni di materiali e prodotti che rispettano i limiti di emissione di sostanze microinquinanti (VOC, formaldeide) imposti da una specifica direttiva tecnica; - un fattore medio di luce diurna superiore al 2% nell’ambiente principale dell’unità abitativa (nel caso di aule scolastiche lo stesso valore sale al 3%), che deve corrispondere ad un rapporto aeroilluminante di almeno 1/5; - il rispetto di particolari limiti di fonoisolamento volti ad assicurare un buon livello di comfort acustico, che vanno confermati mediante un collaudo acustico in opera; - una concentrazione di gas radon negli ambienti interni inferiore ai 200 Bq/m3 (limite che sale a 400 Bq/m3 per gli edifici esistenti). Nello specifico l’indicatore ICC, che esprime l’impatto ambientale legato alla scelta dei materiali da impiegare per la costruzione, viene definito attraverso un bilancio ambientale dove la maggior parte degli input da inserire vengono forniti da un database da installare a corredo del programma ProCasaclima, che contiene i valori dei materiali più utilizzati in commercio. Nel caso i prodotti scelti siano corredati di dichiarazione ambientale di prodotto (EPD) redatta secondo le norme tecniche ISO 14025 e EN 15804 è possibile inserire nel programma i valori dei parametri ambientali certificati nella suddetta dichiarazione. È previsto anche un bonus sul punteggio ICC complessivo nei casi in cui si utilizzino materiali dotati di un certificato ecologico di parte terza (etichetta ambientale di prodotto di tipo 1 secondo la norma ISO 14024, ad esempio marchi Ecolabel, Natureplus®), materiali legnosi con certificato FSC/PEFC, materiali in legno o in laterizio se prodotti entro 500 km di distanza dal cantiere e materiali in pietra naturale quando prodotti entro 200 km di distanza dal cantiere. Non è ammesso l’utilizzo di determinati materiali, quali quelli contenenti sostanze che contribuiscono alla riduzione dello strato dell’ozono, materie plastiche contenenti determinati metalli pesanti, composti organici dello stagno o ftalati, lamine e fogli di piombo e legno tropicale privo di certificazione FSC o PEFC. Nel protocollo CasaClima Nature la qualità dell’aria interna è legata alla scelta dei materiali da costruzione, che nel caso non vi sia un impianto di ventilazione meccanica controllata che assicuri un ricambio di almeno 0,4 vol/h devono rispondere a determinati limiti di emissione di formaldeide e VOC contenuti nella procedura. In assenza di ventilazione meccanica controllata e nel caso in cui non sia possibile la verifica dei materiali/prodotti utilizzati (ad es. per mancanza di documentazione) o se alcuni di essi non rispettano i limiti previsti è richiesta una misura della qualità̀ dell’aria interna a fine cantiere.

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3.1.2 Il protocollo di certificazione Passivhaus

Figura 3.1.2.1 - Il logo Passivhaus.

Nel 1988 il fisico Wolfgang Feist ed il professor Bo Adamson della università di Lund, in Svezia, concepirono una visione comune: creare un’abitazione capace di offrire agli occupanti un buon livello di comfort e una eccellente qualità dell’aria, che funzionasse in maniera affidabile senza comprometterne le qualità estetiche. La visione di cui parliamo è l’embrione di quella che oggi è conosciuta in tutto il mondo come la casa passiva. L’idea iniziale venne sviluppata attraverso una serie di ricerche che si basavano sull’esperienza di alcuni edifici costruiti in Nord America negli anni Settanta, durante l’embargo petrolifero, che erano stati progettati con l’obiettivo di consumare la minore quantità possibile di energia per la loro gestione. Si trattava di edifici quali ad esempio la Saskatchewan Conservation House e la Leger House a Pepperell, in Massachusetts. Una seconda pietra miliare per lo sviluppo del concetto dell’edificio passivo come lo pensiamo oggi è la costruzione che la azienda Philips eresse nel 1975 per testare l’efficienza di sistemi solari attivi e passivi. La prima realizzazione pilota del nuovo corso di questa filosofia costruttiva si concretizzò nel 1991 a Darmstadt, in Germania, su progetto dello studio di architettura Bott, Ridder and Westermeyer: si trattava di una casa a schiera composta da 4 unità abitative che presentava una domanda di energia per il riscaldamento inferiore a 12 kWh/m2 anno, un valore che corrispondeva al 10% del fabbisogno termico di una abitazione comune costruita in quel periodo. L’edificio era ben orientato ed isolato, riscaldato quasi esclusivamente in modo passivo e nella cantina ospitava un impianto di ventilazione meccanica controllata. Cinque anni dopo, una volta testata la bontà del progetto, il professor Feist, committente della prima casa passiva, fondò il PassivhausInstitut con lo scopo di implementare questo modo di progettare e di diffonderlo in tutto il mondo. Oggi il protocollo Passivhaus consente di certificare in modo volontario edifici che svolgono le funzioni più disparate in ogni fascia climatica, grazie al continuo lavoro di ricerca dell’Istituto che si è concentrato sull’applicazione dello standard a tutte le tipologie edilizie e in ogni clima, oltre che sul monitoraggio dei progetti realizzati per correggere eventuali criticità.

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Il cuore del sistema di certificazione Passivhaus è senza dubbio il software di progettazione PHPP (Passivhaus Planning Package), in continua evoluzione, nel quale va inserita una considerevole mole di dati inerenti le caratteristiche termiche e dimensionali sia dell’edificio che dei suoi singoli componenti in modo da determinarne il carico termico e frigorifero. Il programma si utilizza generalmente dopo avere definito gli obiettivi del progetto e delineato la versione preliminare, che deve essere necessariamente basata sui principi della bioclimatica. Nel caso si utilizzino componenti costruttivi specifici certificati Passivhaus, tra i quali figurano ad esempio serramenti e sistemi di climatizzazione o di VMC, è possibile ridurre la quantità di input da inserire per descrivere il comportamento degli stessi. Il software PHPP ha subito una notevole evoluzione nel tempo ora include anche la possibilità di inserire l’eventuale presenza di sistemi per lo sfruttamento dell’energia rinnovabile ed è dotato di una interfaccia di modellazione tridimensionale chiamato 3-D designPH. Si tratta di un plug in del software di modellazione Skecth Up che rende più semplice ed immediato l’inserimento dei dati. In fase di progettazione avanzata i dati inseriti nel software PHPP vanno integrati con un numero elevato di disegni esecutivi che illustrino fin nel minimo dettaglio in che modo il team di progetto intende ottenere gli obiettivi prefissati, che devono essere seguiti pedissequamente in cantiere. L’istituto Passivhaus promuove un percorso di formazione sia per i progettisti, che in seguito ad un esame o dopo avere seguito l’intero iter di un edificio passivo certificato possono diventare “Passivhaus designer”, sia per operatori e tecnici di cantiere, che una volta formati sono in grado di applicare le particolari tecnologie adottate in questi tipi di edifici, una tra tutte la tenuta all’aria. Quest’ultima è un punto fondamentale nella realizzazione di un edificio passivo, che richiede un progetto specifico e che va obbligatoriamente verificata in fase di collaudo con un rigoroso Blower door test. Attraverso il software PHPP si verifica la conformità dei dati richiesti dallo standard per certificare un edificio Passivhaus. I requisiti da soddisfare sono pochi e semplici e valgono generalmente in tutti i climi del mondo: - un fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento inferiore a 15 kWh/m2 anno (in alternativa un carico termico inferiore a 10 W/m2); - un fabbisogno di energia primaria per il raffrescamento, escluso il contributo di deumidificazione, inferiore a 15 kWh/m2 anno (in alternativa un carico termico frigorifero massimo che varia in funzione del clima in cui si trova l’edificio); - un risultato del blower door test inferiore a 0,6 ricambi d’aria n50; - un fabbisogno di energia primaria globale inferiore a 120 kWh/m2 anno. A partire dal 2015, in alternativa al fabbisogno massimo di energia primaria globale, si è aggiunto un nuovo parametro di valutazione, che è stato introdotto in modo da aggiornare la valutazione anche in presenza di sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili e definirne il valore aggiunto. Una “Passivhaus Classic” può richiedere alternativamente un fabbisogno di energia primaria non rinnovabile globale massimo di 120 kWh/m2 anno o un fabbisogno di energia primaria rinnovabile globale limite di 60 kWh/m2 anno. A questo, che ad oggi rappresenta il livello di certificazione minimo, si sono aggiunte due alternative: lo standard “Passivhaus Plus” per cui il fabbisogno di cui sopra non può eccedere i 45 kWh/m2 ed è richiesta la produzione

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di una quantità minima di energia rinnovabile di 60 kWh per ogni m2 di superficie di terreno coperta dall’edificio, ed il livello più alto, “Passivhaus Premium”, per cui queste soglie diventano rispettivamente 30 kWh/m2 e 120 kWh/m2. Nel 2010 è stata introdotta inoltre la possibilità di certificare secondo questo protocollo anche quei progetti di riqualificazione energetica degli edifici esistenti che si ponevano come obiettivo l’ottenimento di standard passivi. È nato così lo standard EnerPHit con il quale il Passivhaus Institute si è posto l’obiettivo di garantire un buon livello di comfort abitativo anche negli edifici oggetto di ristrutturazione, che va conseguito realizzando interventi giustificabili dal punto di vista economico. Lo standard può essere raggiunto rispondendo alternativamente a requisiti che devono essere soddisfatti da singoli componenti dell’edificio o a fabbisogni termici complessivi specifici per il riscaldamento o per il raffrescamento; in entrambi i casi i valori da rispettare variano in funzione della fascia climatica di riferimento. Anche la certificazione EnerPHit prevede la suddivisione in tre livelli: Classic, Plus e Premium. Per facilitare ulteriormente questo tipo di certificazione, che può rivelarsi complessa ma che risulta strategica in quanto la maggior parte dello spreco energetico si verifica in edifici esistenti, a partire dal 2016 è stata introdotta la possibilità di certificare edifici ristrutturati con un approccio step-by-step, ovvero per fasi successive, nei casi in cui il budget a disposizione sia particolarmente ridotto. Questo specifico protocollo prevede la definizione di un “Piano di Ristrutturazione EnerPHit” nel quale viene descritta la sequenza temporale più corretta delle operazioni necessarie alla completa riqualificazione energetica dell’edificio oggetto di recupero; in occasione del completamento del primo step viene consegnato un pre-certificato, mentre il certificato EnerPHit finale verrà rilasciato al termine dell’ultimo intervento previsto dal piano.

3.2

SISTEMI

DI SIMULAZIONE E MONITORAGGIO DEL

COMPORTAMENTO ENERGETICO DEGLI EDIFICI

3.2.1 La simulazione ante-operam I progettisti di edifici passivi si avvalgono dell’ausilio di software specifici per simularne il comportamento energetico e analizzarne nel dettaglio le diverse voci di consumo, in modo da capire prima della costruzione se le strategie ipotizzate per il progetto funzionano. Alcuni di questi strumenti possono portare un contributo significativo già in fase di progetto preliminare, altri invece richiedono una serie talmente numerosa di dati dettagliati che risulta più conveniente utilizzarli nei casi più complessi e comunque nelle fasi più avanzate di progetto, quando grazie all’esperienza e all’interazione tra le diverse figure tecniche coinvolte sono già state delineate le principali strategie bioclimatiche ed energetiche, sulla scorta di una approfondita analisi del sito. In questa fase il team di progetto è già riuscito in buona parte a mediare tra estetica, funzionalità, salubrità e comfort, comportamento energetico e budget a disposizione, e comincia a testare quali soluzioni tecniche risultino le più adatte per migliorare l’efficienza energetica dell’idea di edificio che si è andata disegnando. I software più semplici a disposizione dei progettisti servono per definire i bilanci

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energetici in fase preliminare e prefigurano consumi e prestazioni dell’edificio secondo un regime stazionario (stagionale) o semi stazionario (mensile). Essi possono aiutare a capire fin da subito se si stanno facendo le scelte giuste in merito ad esempio a orientamento, superfici finestrate, ombreggiamenti ed altre questioni che riguardano sostanzialmente i principi bioclimatici. Le procedure di calcolo sottese a questi strumenti semplificano volutamente alcuni parametri che possono essere suscettibili di variazioni significative su base oraria, quali ad esempio quelli legati alla massa termica, che vengono considerati attraverso dati di prima approssimazione capaci di ricondurre indirettamente ad effetti dinamici. In questo ambito si collocano i due software che stanno alla base dei due protocolli di certificazione energetica volontaria afferenti a parametri passivi più usati in Italia di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti. ProCasaClima è lo strumento di calcolo che l’Agenzia CasaClima mette a disposizione gratuitamente per la valutazione del fabbisogno energetico per il riscaldamento e la produzione dell’acqua calda sanitaria, e calcola nel contempo anche quello per il raffrescamento, la deumidificazione, l’illuminazione, l’energia ausiliaria; inoltre nel protocollo CasaClima Nature consente una valutazione dell’impatto ambientale dell’edificio. Il software, disponibile su una piattaforma on line, esegue calcoli in regime semi-stazionario (su base mensile) e consente di definire in modo abbastanza semplice: - l’efficienza dell’involucro per l’inverno e per l’estate (fabbisogno di raffrescamento e deumidificazione); - il livello di comfort indoor estivo attraverso una simulazione dinamica dell’edificio senza raffrescamento attivo e deumidificazione (secondo la norma UNI EN ISO 13791); - l’indice dell’impatto idrico funzionale al protocollo di certificazione CasaClima Nature; - l’efficienza energetica complessiva; - un’analisi economica costi - benefici (secondo la norma UNI EN 15459). Per la parte impiantistica in generale il software calcola per ogni mese il fabbisogno di energia primaria, le emissioni di CO2 e la quota di energia rinnovabile. In associazione con ProCasaClima i progettisti utilizzano altri software che servono a svolgere l’analisi dei ponti termici agli elementi finiti e ulteriori verifiche circa l’eventuale possibilità dell’insorgenza di muffe e di condensa interstiziale che sono richieste per legge in tutti gli edifici costruiti e ristrutturati in Italia. I risultati elaborati da questo tipo di programmi, anche quelli che considerano il regime semi-stazionario, vanno di norma integrati con analisi igrotermiche dinamiche (su base oraria) che modellano in modo più accurato il comportamento degli edifici, soprattutto dove il clima è oggetto di variazioni frequenti e importanti o in situazioni in cui il raffrescamento e la deumidificazione dell’aria interna assumono una importanza rilevante per ottenere condizioni di comfort. La simulazione del comportamento termico e igrometrico delle strutture è regolamentata da alcune norme tecniche. La UNI EN ISO 10211 definisce le specifiche dei modelli geometrici bidimensionali e tridimensionali di un ponte termico per il calcolo numerico dei flussi termici e il calcolo delle temperature minime superficiali necessarie per va-

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lutare il rischio di condensazione superficiale. Oltre ai metodi di calcolo dei valori della trasmittanza termica lineare e puntuale e dei fattori di temperatura superficiale, la norma definisce i limiti geometrici del modello e le regole da adottare per la sua suddivisione, le condizioni termiche al contorno, i valori termici e le relazioni da utilizzare. La norma tecnica UNI EN 15026 specifica le equazioni da utilizzare nei metodi di simulazione per il calcolo del trasferimento in regime dinamico di calore e umidità nelle strutture degli edifici per la verifica della condensa interstiziale. Essa descrive in maniera compiuta il comportamento di una struttura considerando la migrazione dell’umidità in regime variabile secondo i meccanismi di trasporto per diffusione causata dalla differenza di pressione parziale e per migrazione per capillarità innescata dalla differente umidità relativa interna e dal coefficiente di assorbimento d’acqua dei vari materiali. Tra gli strumenti più usati in questo senso c’è il pacchetto Mold Simulator®, che si riferisce ad analisi termiche bidimensionali e tridimensionali relative a ponti termici, muffa e condensa, in regime dinamico e stazionario, e che comprende diverse versioni ognuna delle quali corrisponde ad un differente livello di calcolo. Il software più completo tra quelli che compongono il pacchetto consente di calcolare i parametri significativi in regime estivo di pareti, pavimenti e coperture secondo la norma tecnica UNI EN ISO 13786, ovvero sfasamento termico, trasmittanza periodica, ammettenze termiche, capacità areiche e i dati delle matrici di trasferimento del calore anche nel caso di strutture con ponti termici. Una famiglia analoga di prodotti è WUFI®, software sviluppato dal Fraunhofer Institut IBP e conosciuto soprattutto per la verifica dinamica della condensa interstiziale secondo la norma UNI EN 15026. Anche questo strumento consente la simulazione dinamica della condensa interstiziale mono e bi-direzionale e nelle versioni più avanzate offre la possibilità di effettuare la simulazione energetica dinamica di un edificio con aria secca ed aria umida. La versione più evoluta di questa famiglia è il WUFI® Passive, che è definito come un software per la simulazione dinamica di edifici passivi con aria secca ed aria umida, che non si limita ad indagare la situazione igrotermica di strutture e ambienti tenendo conto dell’effetto combinato di trasferimento di calore e umidità, ma arriva a simulare le performance energetiche e le condizioni di comfort di un edificio, combinando di fatto un approccio semi stazionario con una simulazione dinamica rivolta ad indagare il rischio di muffa e condensa nell’involucro edilizio. I campi di input di WUFI® Passive sono molto simili a quelli del software PHPP (Passivhaus Planning Pack), il programma su base Excel sviluppato dal Passivhaus Institut e validato mettendo assieme una serie di dati empirici desunti da un grande numero di edifici certificati e simulazioni dinamiche basate sul software Dynbil, elaborato dallo stesso istituto. Il PHPP è un software di modellazione energetica in regime semi stazionario che integra accurati dati climatici locali con i requisiti di ogni elemento che va a comporre l’edificio in modo da prevederne gli usi energetici; esso tiene in considerazione i guadagni termici e le perdite di calore in determinate condizioni di comfort degli ambienti interni nell’ambito dei dodici mesi, in ognuno dei quali sono considerate una serie di condizioni al contorno costanti. Gli output principali del programma sono: - il fabbisogno annuo per riscaldamento e raffrescamento [kWh/(m2 a)]; - il carico termico specifico per riscaldamento e raffrescamento [W/m2];

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- comfort estivo in assenza di un sistema di raffrescamento attivo mediante frequenza di surriscaldamento [%]; - il fabbisogno di energia primaria rinnovabile (EPR) e fabbisogno di energia primaria (EP) relativamente a tutti i consumi energetici dell’intero edificio [kWh/m2 a]; - la produzione di energia rinnovabile [kWh/m2 a]. Questo modello funziona molto bene nei climi in cui la stagione di riscaldamento è prevalente, mentre in quelli più caldi è bene integrarlo con una analisi dinamica che tenga maggior conto dell’effetto di massa e umidità e di quello della ventilazione. Il PHPP è integrabile con vari strumenti di calcolo, tra cui SommLuft che aiuta a calcolare i ricambi d’aria per ventilazione naturale e quindi a configurare in questo senso le finestre nella maniera migliore, PHLuft che aiuta a dimensionare gli impianti di ventilazione e PHI Rechentool Druckverlust che calcola le perdite di pressione nei condotti di ventilazione. Il sistema è integrato da un plugin del software di modellazione 3D SketchUp che funziona da interfaccia grafica e consente di inserire i dati geometrici e la posizione relativa degli elementi costruttivi in maniera più agevole ed immediata. Nella famiglia dei prodotti rilasciati dal Passivhaus Institut c’è anche il software di simulazione dinamica Dynbil, consigliato dallo stesso istituto soprattutto in casi in cui i carichi termici sono particolarmente variabili o quando il ruolo della massa termica è fondamentale, come nei climi caldi. Questo strumento consente di analizzare su base oraria (o periodi inferiori) guadagni solari, accumuli termici, carichi termici e processi di ventilazione, oltre a calcolare l’umidità dell’aria e la presenza di umidità residua nei componenti edilizi. I software di simulazione dinamica permettono di controllare le numerose variabili che entrano in gioco nel comportamento energetico di ogni edificio e dei suoi impianti e si rivelano molto utili nell’analisi di edifici passivi, soprattutto in situazioni particolarmente complesse sia sotto il profilo costruttivo che su quello impiantistico e comunque ogniqualvolta si necessiti di informazioni dettagliate circa le prestazioni termodinamiche di un sistema. Le simulazioni energetiche dinamiche sono anche dette BPS (acronimo inglese di Building Performance Simulation) e si compiono attraverso l’uso di software complessi, caratterizzati da un ottimo livello di precisione e particolarmente utili in una fase di progetto già avanzata. Si tratta di strumenti che elaborano i dati secondo un intervallo temporale molto serrato, che parte dall’ora fino ad arrivare anche al minuto, e tengono conto dell’effetto nel tempo dell’inerzia termica dei materiali. Il reale comportamento termico-dinamico di ogni sistema costruttivo è fortemente legato alla variabilità delle condizioni ambientali al contorno, che si riferiscono sia ai dati climatici che alle condizioni interne dell’edificio come ad esempio i guadagni interni, che a loro volta dipendono dai modelli di occupazione degli ambienti e dalla modalità di gestione degli impianti. Per questo motivo i dati da inserire sono numerosi e quasi sempre noti solo in fase di progettazione avanzata. Gli output che questo genere di programmi consente possono riguardare: - condizioni di comfort secondo la norma UNI EN ISO 7730; - temperatura dell’aria e temperatura percepita; - temperatura dell’aria al pavimento ed al soffitto;

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AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

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- temperatura radiante e flussi di calore sulle singole superfici; - temperatura operante; - condizioni igrometriche degli ambienti; - ricambi d’aria; - livello di CO2 negli ambienti interni; - flussi d’aria e ventilazione meccanica controllata (VMC); - dispersione dei flussi di calore attraverso l’aria, l’involucro, le murature; - bilancio termico e consumi di energia primaria; - potenza termica e frigorifera precisa; - controllo degli ombreggiamenti; - contributo dei sistemi impiantistici; - contributo delle fonti di energia rinnovabile; - illuminazione naturale; - consumi di energia elettrica per l’illuminazione artificiale; - emissioni globali di CO2. Molti di questi programmi di simulazione si concentrano sulla definizione puntuale di alcuni parametri e tralasciano o semplificano volutamente altri elementi che risultano poco influenti in funzione del tipo di output che sono chiamati a restituire. In alcune situazioni la mole di input necessari alla simulazione è enorme: nei casi più complessi si richiede di inserire tutte le informazioni geometriche e termofisiche dell’involucro, le caratteristiche prestazionali degli impianti, i dati di utilizzo degli ambienti (apporti gratuiti, occupazione, ecc.) e i dati climatici del luogo. In alcuni casi le simulazioni restituiscono dati di output di non facile lettura. Questo tipo di analisi deve essere effettuata da figure professionali particolarmente esperte in materia, capaci di inserire gli input nel posto e nel momento giusto e di tradurre gli output in modelli comprensibili. Il contributo di questi professionisti comporta anche un certo esborso economico, per cui è opportuno valutare bene se sia il caso e soprattutto quale sia il momento più giusto per interpellarli. In genere essi vengono chiamati per progetti con un certo grado di complessità ed in una fase di progetto già piuttosto avanzata. Tra i software di simulazione energetica dinamica più completi c’è ESP-r (acronimo di Energy Simulation Software tool), che è capace di valutare le performance energetiche ed ambientali di un edificio in un modo realistico ed accurato, usando equazioni matematiche complesse che considerano differenti aspetti contemporaneamente (geometria, costruzioni, gestione, distribuzione, flussi di calore, ecc.) ed elaborandole per fasi temporali successive in funzione dell’andamento dei profili di occupazione, delle variazione del clima e delle modalità di regolazione dei parametri di comfort interno. Nel modello è possibile prefigurare ombreggiamenti, isolamento termico, impianti di ventilazione meccanica e di condizionamento, effetti fluidodinamici, consumi elettrici, fonti di energia rinnovabili integrate, impianti di cogenerazione, illuminazione, ventilazione naturale e sistemi per il controllo della qualità dell’aria. Il programma può restituire una serie molto esaustiva di dati integrati, ma per contro risulta molto complesso e richiede quindi il lavoro di tecnici particolarmente esperti in materia. TRNSYS è un ulteriore software di simulazione in regime dinamico del comportamento energetico degli edifici, progettato con una struttura modulare al fine di valu-

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tare un sistema energetico complesso scindendolo in un certo numero di componenti più piccole. Questi ultimi vengono definiti tramite una interfaccia grafica denominata TRNSYS Simulation Studio ed una interfaccia visuale che si chiama TRNBuild. Il programma è composto da un “motore” che legge e processa i dati di input in modo da ottenere i risultati richiesti e da una ampia libreria di componenti, nell’ambito di ognuno dei quali si definiscono le performance di una parte del sistema. La struttura dei componenti è stata concepita in modo tale che l’utente possa modificare elementi base già esistenti o crearne di propri in funzione del progetto. Anche questo programma risulta complesso da gestire, nonostante sia dotato di un’interfaccia grafica che permette la modellazione solida dell’edificio, l’inserimento schematico dell’impianto, l’impostazione di tutti i restanti dati necessari e la visualizzazione grafica dei risultati. Mentre TRNSYS è uno strumento a pagamento, ESP-r può essere scaricato gratuitamente come è possibile fare anche per il software EnergyPlus, che è stato sviluppato dal dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America con la collaborazione di alcuni istituti universitari sulla base di due programmi, DOE-2 e Blast, ideati agli inizi degli anni ’80 in seguito alla crisi energetica. EnergyPlus al contrario dei due software descritti in precedenza, è privo di una interfaccia grafica ed è quindi necessario utilizzarlo in abbinamento ad altri software capaci di generare files che organizzano i dati di input in modo che diventino processabili dal motore di calcolo. Tra le interfacce grafiche di EnergyPlus ricordiamo DesignBuilder e AECOsim Energy Simulator, o il software open source e gratuito OpenStudio, che è un plugin di Sketchup. Anche EnergyPlus è strutturato in maniera modulare con lo scopo di calcolare, utilizzando un’ampia varietà di sistemi e fonti di energia, il fabbisogno energetico di riscaldamento e di raffrescamento di un edificio assieme all’andamento nel tempo di tutti i parametri che definiscono il livello di comfort e delle prestazioni dell’edificio in funzione delle diverse condizioni ambientali ed operative. Tra gli altri programmi di simulazione dinamica utili per la definizione dei parametri comfort degli edifici ci sono quelli specifici per la progettazione illuminotecnica, come DIAlux e Relux, entrambi scaricabili gratuitamente e abbastanza semplici da usare.

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Tabella 3.2.1 - Raffronto tra parametri analizzabili con diversi programmi di simulazione dinamica. Energy Plus

ESPR

TNRSYS

Simulazione dei carichi, dei sistemi e delle soluzioni

x

x

x

Soluzioni iterative di sistemi non lineari

x

x

x

x

x

SOLUZIONE DI SIMULAZIONI

DURATA DEL PERIODO DI CALCOLO Intervalli variabili per zona di interazione del sistema HVAC Soluzione simultanea di sistemi impiantistici ed utilizzi

x

Variabili dinamiche in situazioni transitorie

x

x

x

Pareti, coperture e solai

x

x

x

Finestre, lucernari, porte e rivestimenti esterni

x

x

x

Poligoni con diverse face

x

x

Calcolo del bilancio termico

x

x

Assorbimento/rilascio di umidità dai materiali

x

Massa termica

x

x

x

Comfort termico

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x

x

Analisi solare

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x

x

Analisi dell’isolamento

x

x

x

Finestrature complesse

x

x

x

Analisi complessiva dell’edificio

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x

x

Temperatura superficiale delle zone

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Flusso d’aria attraverso le finestre

x

x

x

Superfici principali

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Trasferimento di calore dal suolo

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x

x

Luce naturale e regolazione luce artificiale

x

x

Infiltrazione d’aria nelle diverse zone

x

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x

COMPLETEZZA DELLA DEFINIZIONE GEOMETRICA

x x

VARIABILI TERMOFISICHE

Calcolo automatico del coefficiente di pressione del vento Ventilazione naturale

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Energy Plus

ESPR

VENTILAZIONE NATURALE E MECCANICA

TNRSYS x

Controllo delle aperture per la ventilazione naturale

x

x

x

Dispersioni per ventilazione di zone differenti

x

x

x

Energia solare termica

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x

Muri di trombe

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x

x

Pannelli fotovoltaici

x

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x

Sistemi ad idrogeno

x

x

Energia eolica

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x

SISTEMI DI ENERGIA RINNOVABILE

IMPIANTI ELETTRICI Produzione di energia da fonti rinnovabili

x

x

x

Distribuzione e gestione dei carichi

x

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x

x

Possibili configurazioni dei sistemi

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x

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Ripetizioni del ciclo dell’aria

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x

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Sistemi di distribuzione

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Generatori elettrici Connessioni di rete SISTEMI HVAC

Modellazione CO2

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Distribuzione puntuale dell’aria per zona

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x

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Unità di aria forzata per zona

x

x

x

I programmi di simulazione dinamica del comportamento energetico degli edifici consentono di incrociare una ampia serie di dati afferenti ad ogni voce di consumo. La tabella confronta i software più complessi oggi in commercio (Fonte C. Drury, J.W. Hand, M. Kummert, Michael; Griffith, Brent, 2005) 3.2.2 Il monitoraggio post-operam Il primo edificio realizzato seguendo la filosofia passiva a Kranichstein secondo le indicazioni del dottor Feist ha ormai quasi trent’anni e in occasione del venticinquesimo anniversario dalla costruzione, nel 2016, è stata condotta una indagine strumentale per monitorare i consumi effettivi la quale ha confermato le previsioni progettuali anche nel lungo periodo. Sebbene nel caso degli edifici passivi il gap tra le perfor165

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mance energetiche prefigurate in fase di progetto e il comportamento reale degli stessi si riveli quasi sempre ridotto grazie ad una progettazione e ad una direzione lavori molto dettagliate, seguite da controlli strumentali in cantiere, un monitoraggio post operam si rivela comunque utile soprattutto nei casi più complessi dove la domanda energetica dipende molto dal profilo di occupazione. Il monitoraggio post occupazione consente di capire se un edificio funziona o meno come previsto in fase di progetto. Nel caso ciò non si verifichi, la causa può essere imputata a vizi di costruzione o ad una regolazione inefficiente degli impianti; ad esempio, un cattivo funzionamento dei sensori può causare un settaggio automatico inefficiente dovuto ad un loro posizionamento scorretto o a problemi di comunicazione tra gli stessi e le macchine installate. L’inefficienza può essere causata anche da una carenza di informazioni verso chi è incaricato della gestione dell’edificio, soprattutto nei casi in cui i sistemi di domotica applicata agli impianti sono complicati. Le modalità di utilizzo da parte degli utenti finali sono una variabile difficile da prevedere in fase progettuale, soprattutto in situazioni residenziali in quanto le persone non utilizzano gli edifici in modo uniforme. Inoltre c’è anche da considerare che il comfort è una questione soggettiva. Il monitoraggio post operam tende a responsabilizzare maggiormente sia i progettisti che i direttori lavori, che si sentono più coinvolti nel garantire i risultati prospettati e nel trovare soluzioni correttive nel caso in cui quelli reali si rivelino lontani da quelli previsti. Ciò vale anche per il responsabile della regolazione degli impianti e di eventuali sistemi di domotica installati, che possono controllare i risultati delle modalità di gestione che applicano quotidianamente. Il monitoraggio post operam è l’analisi sistematica di un certo numero di parametri, i quali esprimono i consumi reali di un edificio già in fase di occupazione, e consente non solo di comprendere se le previsioni di progetto si sono concretizzate, ma anche di approfondire il comportamento di alcuni materiali e di capire se è possibile ottenere ulteriori miglioramenti circa il comportamento dell’edificio, ad esempio settando i diversi impianti in funzione del profilo e delle modalità di occupazione reali. Generalmente esso si conduce combinando metodi qualitativi, come sopralluoghi (walkthrough), osservazioni e interviste agli utenti, con misurazioni e monitoraggi di carattere quantitativo. Anche se non esiste una procedura standard definita per il monitoraggio energetico post operam, le cui modalità dipendono dal caso specifico, è possibile seguire metodi personalizzati o standardizzati. L’importante è che l’analisi venga condotta con l’ausilio di professionisti capaci di interpretare i dati che emergono dalla stessa e possibilmente non coincidenti con le figure del progettista o del direttore lavori. Tra le principali modalità di monitoraggio energetico ambientale ricordiamo: - L’indagine qualitativa sul comportamento e sul livello di soddisfazione degli occupanti. È possibile sottoporre agli occupanti un questionario ad hoc tarato sui parametri su cui si vogliono ottenere informazioni per capire il livello di comfort percepito dell’edificio e gli eventuali margini di miglioramento. - Un sopralluogo finalizzato a valutare le qualità costruttive ed il livello di gestione e di manutenzione dell’edificio.

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Si tratta di una attività che coinvolge sia i tecnici incaricati della valutazione, che dovrebbero essere indipendenti dal team di progettazione e di direzione lavori, sia gli addetti alla gestione e gli utenti dell’edificio e che è votata a indagare se esistono modalità di utilizzo inefficienti o problemi legati alla costruzione. In certi casi è bene effettuare l’indagine sia quando l’edificio è in uso che quando non è occupato. - Una valutazione quantitativa delle performance ambientali sulla base di una diagnosi energetica. Questa indagine comporta una analisi globale che in genere include la misurazione del consumo di energia termica ed elettrica, dei consumi idrici, del livello di illuminazione, della qualità acustica degli ambienti e della qualità dell’aria che può essere condotta sia con campagne di misurazione che con l’analisi dei costi energetici. In questo caso si può seguire la procedura contenuta nel pacchetto di norme UNI CEI EN 16247. Essa dovrebbe essere successiva al primo anno di utilizzo e durare almeno 24 mesi e si rivela pienamente efficace in presenza di un valido sistema di contabilizzazione delle diverse voci energetiche. Al termine dell’indagine, i risultati vanno confrontati sia con i parametri attesi di progetto che con i benchmark di buone pratiche. Nel caso di raccolta di parametri quantitativi, in genere vengono installati una serie di sensori che in certi casi non si limitano a misurare le condizioni di comfort termo igrometrico per confrontarli con i consumi effettivi, ma possono definire anche il livello della qualità dell’aria e della salubrità degli ambienti interni. I parametri che in genere vengono misurati sono - temperatura (dell’aria e delle superfici); - umidità relativa; - velocità dell’aria; - CO2; - contenuto di VOC. I dati da acquisire possono essere raccolti scegliendo tra due metodi: le campagne di misurazione o il monitoraggio permanente. Il secondo consiste nell’installazione di sensori e nella conseguente acquisizione di dati per un periodo sufficientemente significativo, mentre nel primo caso la durata dell’analisi va determinata in funzione di significatività̀, riproducibilità̀ e validità̀ temporale rispetto alla tipologia di sito, agli utilizzatori considerati e alla stagionalità̀.

3.3 I

DATI CLIMATICI

I dati climatici rappresentano una delle variabili fondamentali su cui si basa il progetto di ogni edificio passivo e la loro analisi rappresenta il primo passo da compiere nell’apprestarsi ad uno studio bioclimatico preliminare alla progettazione, il quale a sua volta indirizza la definizione delle strategie energetiche passive applicabili in un determinato luogo in funzione del clima. Analizzare i dati climatici significa capire quali siano gli eventi metereologici da cui ci si deve difendere attraverso la forma e l’involucro dell’edificio e nel contempo le fonti di energia passiva che la natura ci

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fornisce gratuitamente in certi periodi e con determinate intensità e che dovrebbero essere sfruttate per ridurre la domanda di energia. Innanzitutto è bene chiarire la differenza tra clima e condizioni climatiche: mentre il primo vocabolo si riferisce alle condizioni meteo mediate in un lungo periodo di tempo, le seconde rappresentano la misura di alcuni parametri in un determinato momento e in un luogo specifico, vale a dire le reali condizioni metereologiche puntuali con cui l’edificio si dovrà confrontare. Ad esempio, certi luoghi possono appartenere ad un clima temperato ma essere soggetti ad intensi eventi metereologici. Tabella 3.3.1 - Clima e microclima.

La definizione delle fasce climatiche è frutto di una generalizzazione che rappresenta lo stato medio del tempo in una determinata zona geografica, mentre il microclima dipende dalla presenza di determinati fattori topografici ed ambientali che condizionano i parametri climatici di un determinato luogo. I dati climatici sono desunti da una statistica di eventi meteorologici avvenuti in una determinata stazione nel corso di un lasso di tempo specifico. I parametri “base” da consultare nel progetto di un edificio sono i valori della temperatura e dell’umidità relativa dell’aria esterna e l’intensità della radiazione solare (diretta e diffusa, differenziata in base all’orientamento). A questi si possono aggiungere la velocità e la direzione del vento, la pressione atmosferica e le precipitazioni pluviometriche, parametri che sono spesso espressi in valori medi mensili. I set climatici più completi

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includono anche la temperatura del terreno (a diverse profondità) e la temperatura del cielo. L’intervallo temporale a cui questi dati fanno riferimento ne rivela l’accuratezza e in funzione di ciò l’adeguatezza al tipo di simulazione che si intende eseguire. I valori possono essere espressi su base mensile, settimanale, giornaliera, oraria e così via; i software di simulazione dinamica più precisi richiedono addirittura un intervallo di 15 minuti. I dati contenuti in ogni set climatico derivano da rilevazioni prese nelle stazioni meteorologiche, le quali si trovano generalmente nei pressi degli aeroporti, in prossimità di un servizio di previsioni meteo o in sedi di ricerca scientifica dove vi è la necessita di tenere sotto costante osservazione le condizioni meteo. Purtroppo non esistono dati climatici registrati per ogni località, ragion per cui solitamente è necessario utilizzare modelli estimativi o software capaci di interpolare i dati in modo da generare condizioni climatiche realistiche per il luogo specifico in cui è inserito l’edificio. La norma tecnica UNI 10349 contiene i dati climatici di tutti i capoluoghi di provincia italiani. Essa è stata di recente aggiornata con una nuova versione (la precedente risale agli anni Novanta), in quanto nel corso del tempo le condizioni climatiche hanno subito inevitabili deviazioni e la loro misura si è resa più affidabile e completa. I parametri espressi nella norma derivano da una accurata attività di reperimento dei dati climatici per località di riferimento poste in prossimità di tutti i capoluoghi di provincia italiani e dalla loro successiva elaborazione. Ciò ha consentito di derivare per ciascuna località un “anno tipo” in termini di dati orari di temperatura dell’aria, umidità relativa, pressione parziale di vapore, irradianza solare diretta, diffusa e globale su piano orizzontale e velocità del vento, che costituiscono riferimenti piuttosto affidabili da usare come base per i calcoli termotecnici. L’espressione di informazioni orarie offre la possibilità di utilizzare questi dati anche nei software di simulazione dinamica semplificata, soprattutto se ci si trova in forte prossimità delle stazioni di rilevazione. I dati metereologici contenuti nella nuova UNI 10349 sono stati elaborati da informazioni tratte da un archivio almeno decennale secondo quanto prescritto dalla norma UNI EN ISO 15927-4, che stabilisce che possano essere utilizzati solamente dati climatici acquisiti da stazioni che applicano i metodi e le prescrizioni della WMO Guide N. 8, 1996 “Guide to Meteorological Instruments and Methods of Observation” (WMO è l’acronimo di World Meteorological Organization, l’organizzazione mondiale facente parte dell’ONU che si occupa di meteorologia e clima). La stessa norma tecnica prevede che vada scelta la stazione di riferimento più vicina in linea d’aria alla località̀ oggetto di analisi, la quale va assunta come riferimento per la definizione di parametri climatici “corretti” che tengano adeguatamente conto della diversa localizzazione e altitudine rispetto alla stazione di rilevazione. La norma non riporta le irradianze solari relative a superfici verticali orientate a Sud, Sud-Ovest o Sud-Est, Est o Ovest, Nord-Ovest o Nord-Est, Nord, che possono essere comunque calcolate seguendo una specifica procedura contenuta in una delle appendici. La norma tecnica UNI 10349 è divisa in tre parti: - UNI 10349-1: 2016 “Medie mensili per la valutazione della prestazione termoenergetica dell’edificio e metodi per ripartire l’irradianza solare nella frazione diretta e diffusa e per calcolare l’irradianza solare su di una superficie inclinata”. Riporta dati medi mensili ed è utile per la valutazione della prestazione

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termo-energetica degli edifici in generale e per la verifica delle loro prestazioni energetiche e termo igrometriche, compresi gli impianti tecnici per la climatizzazione estiva e invernale asserviti; - UNI/TR 10349-2:2016 “Riscaldamento e raffrescamento degli edifici - Dati climatici - Dati di progetto”. Questa sezione contiene dati di progetto rappresentativi delle condizioni climatiche limite, che vanno usati per dimensionare gli impianti tecnici per la climatizzazione estiva e invernale e per valutare il rischio di surriscaldamento estivo; - UNI 10349-3:2016, “Riscaldamento e raffrescamento degli edifici - Dati climatici - Differenze di temperatura cumulate (gradi giorno) ed altri indici sintetici”. Quest’ultima parte della norma tratta dei gradi giorno e di altri indici sintetici. Essa riporta inoltre anche i metodi di calcolo e i prospetti relativi agli indici sintetici da utilizzare per la descrizione climatica del territorio. Questi parametri possono essere utilizzati per definire la zona climatica e per capire la severità climatica di un territorio, oltre che per una prima verifica di massima degli impianti, e completano la norma tecnica UNI EN ISO 15927-6 la quale specifica la definizione, il metodo di calcolo e il metodo di presentazione dei dati relativi alle differenze di temperatura cumulate (gradi giorno), utilizzate per stimare l’energia utilizzata per il riscaldamento degli edifici. I set di dati contenuti nella UNI 10349 non sono però adatti ad alimentare i software di simulazione dinamica più sofisticati, che hanno bisogno di informazioni più precise e complete in virtù di un livello di definizione del calcolo più minuzioso. In questi casi gli input climatici derivano da specifici database di informazioni meteorologiche che definiscono anche i dati di località prive di rilevazioni statistiche, i quali vengono creati attraverso procedure di calcolo che permettono di definire nuovi dati climatici utilizzando le informazioni reali rilevate nelle stazioni meteo. Tra gli strumenti utilizzati in questo senso il più noto è il software Meteonorm, che produce i dati climatici per ogni località interpolando quelli rilevati nelle tre stazioni più̀ vicine; nelle aree dove vi è una scarsa presenza di stazioni meteorologiche vengono invece utilizzati come base i dati satellitari. Le informazioni fornite dal software sono ottenute in base ai valori provenienti da più di 8500 stazioni metereologiche, in cui sono state misurate le medie mensili della radiazione globale, di temperatura e umidità, dell’intensità delle precipitazioni, dei giorni con precipitazioni, della velocità e direzione del vento e della durata del soleggiamento. È possibile importare nel software anche dati mensili e orari rilevati direttamente dall’utente, in modo da applicare il modello generato dal programma a tali informazioni per ricavare una generica serie temporale relativa alla località in questione.

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Figura 3.3.1 - La definizione del file climatico con dati Meteonorm.

Un esempio di definizione del file climatico che è servito come base della analisi in regime dinamico del comportamento energetico dell’edificio in paglia di Lavagno (VR), realizzato dallo studio Nobo. Relativamente ai valori di irraggiamento contenuti nei file climatici generati dal programma Meteonorm, i progettisti si sono riferiti all’arco temporale 1991 – 2010 sia per la località di Lavagno (valori interpolati) che per la stazione di Verona (valori misurati). Tra le diverse analisi comparative effettuate, vi sono quelle della temperatura media mensile e della radiazione incidente sul piano orizzontale.

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3.4 MATERIALI

EDILIZI E SISTEMI ISOLANTI RIGENERATIVI

Tra gli obiettivi degli edifici passivi c’è l’estrema riduzione della domanda energetica per la loro gestione (riferita alla cosiddetta “energia operativa”), che si ottiene in primis sagomando ed orientando al meglio ogni corpo di fabbrica in funzione delle condizioni climatiche, e successivamente progettando strutture e stratigrafie capaci di isolarlo termicamente in maniera efficiente e, nel caso sia necessario, equipaggiandolo di un sistema impiantistico il meno possibile energivoro. Questo modus operandi è integrabile soltanto in seconda battuta con sistemi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che possono servire a superare il concetto di edificio passivo per passare ad un progetto “ad energia zero” o addirittura “ad energia positiva”, ovvero capace di produrre più energia di quanta se ne consuma. Uno dei punti da cui non si può prescindere è quindi la riduzione dei consumi di energia. In questo ambito rimane ancora un margine di miglioramento, che però non è associato all’energia operativa e per questo motivo non è molto evidente. Per ridurre ulteriormente il consumo energetico legato alla costruzione di un edifico bisogna intervenire sul contenuto di “energia grigia” ad esso associato. L’energia grigia si riferisce solitamente ai materiali e ai sistemi da costruzione impiegati durante il cantiere e rappresenta il consumo energetico derivante da fonti non rinnovabili (petrolio, gas naturale, carbone, uranio, ecc.) che si verifica durante l’intero processo di produzione, trasporto e trasformazione di ogni elemento edilizio, dall’estrazione delle materie prime al prodotto finito, fino alla dismissione, in pratica in tutto il ciclo di vita. La stragrande maggioranza dei progettisti oggi limita la propria scelta a materiali da costruzione di origine petrolchimica soprattutto sulla base di motivi economici, oltre che per le loro prestazioni, ma ugualmente per abitudine e per una limitata volontà di ricerca e sperimentazione. Questa famiglia di prodotti risulta spesso più economica in termini finanziari ma non lo è praticamente mai in senso ambientale, in quanto ognuno di essi richiede una elevata quantità di energia grigia per essere prodotto, trasportato ed eventualmente anche riciclato, oltre a comportare numerosi altri problemi ambientali tra i quali il più banale è la gestione di una mole di rifiuti che ormai non possiamo più far finta di ignorare. Per rimanere in tema economico dovrebbe far riflettere il continuo aumento delle spese di discarica nell’ambito di un cantiere, che rappresentano solo una parte dei costi se consideriamo i problemi gestionali ed ambientali che comporta un modello economico basato sulla dismissione. Se si procede ad una valutazione energetica allargata di ogni progetto, in grado di comprendere l’intero ciclo di vita dell’edificio e dei suoi componenti, non ci si può limitare a considerare i consumi energetici in fase d’uso (che in un edificio passivo sono ridotti per definizione) ma si deve tenere conto anche di quelli affrontati durante l’intero ciclo di vita di tutti i materiali impiegati. Tale modello di contabilità dei consumi energetici può portare un edificio passivo a risparmiare una quantità ulteriore di energia, che corrisponde alla quota impiegata per la estrazione, la produzione, il trasporto e il riciclo o la dismissione di ogni prodotto che lo compone. L’orizzonte delle responsabilità del nostro comparto produttivo può essere ulteriormente esteso fino a comprendere le diverse questioni ambientali che stanno minacciando il futuro del pianeta, come la produzione di gas climalteranti che causa il surriscaldamento glo-

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

bale, lo smog fotochimico, la deforestazione, la perdita di migliaia di specie animali e vegetali e la eutrofizzazione delle acque. Tabella 3.4.1 - Il contenuto di energia grigia di alcuni materiali edilizi. MATERIALI

ENERGIA GRIGIA ( MJ/KG)

Polistirene estruso (XPS)

126

Polistirene espanso (EPS)

107

PVC

70

Poliuretano

70

Vetro cellulare

67

Acciaio vergine

35

Fibra di vetro

35

Lana di roccia

22

Fibra di legno

20

Calce cemento cellulare

19

Acciaio riciclato

17

Compensato

15

Vetro

15

Lana di pecora

15

Fibra di canapa

15

Legno duro

10

Cellulosa

8

Sughero

7

Legno tenero

7,5

Fibra di legno mineralizzata

5,5

Argilla espansa

3,5

Paglia

0,9

Il contenuto di energia grigia dei materiali si ottiene dalla somma della energia spesa per l’approvvigionamento delle materie prime, per il trasporto al luogo produttivo, per la loro lavorazione ed infine per il trasporto dalla fabbrica al cantiere (dati tratti da: Beck K. [1999], König H., Müller P. [2000], Mötzi H., Zelger T [2000], Grätz, M. e Indriksone [2011] ed altri). Ogni abitante del pianeta ha precise responsabilità a proposito, e come tali le hanno anche committenti e progettisti che ogni giorno determinano il mercato tramite le proprie scelte. Nell’ambito dell’edilizia rigenerativa una selezione di materiali “ragionata” in questo senso, ovvero che considera sia un contenuto ridotto di energia grigia che impatti ambientali limitati, privilegia prodotti di origine naturale, preferi-

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bilmente realizzati con scarti vegetali ed animali, che grazie ai recenti sviluppi tecnologici sono ormai in grado di soddisfare tutte le esigenze di cantiere. L’edilizia rigenerativa si basa principalmente sul riuso e sul riciclo di scarti agricoli soprattutto per due motivi: sia per il fatto che ci si riferisse a coltivazioni agricole dedicate per cui l’edilizia potrebbe entrare in concorrenza con altri comparti economici ed industriali (ad esempio alimentare) portando a effetti indesiderati sia a livello ambientale che sociopolitico, ma anche perché il loro smaltimento comporta spesso una serie di problemi ecologici rilevanti e di difficile soluzione. Nella scelta vanno preferititi i prodotti realizzati con materie prime seconde provenienti da “filiere corte”, ovvero reperiti e lavorati il più possibile vicino al cantiere, per ridurre l’impatto energetico ed ambientale legato al loro trasporto al luogo di trasformazione ed al cantiere.

Figura 3.4.1 - Un esempio di biomateriale rigenerativo.

Lo studio “The Living”; esplora la possibilità della creazione di nuovi materiali per via organica. In questo caso sono state impiegate stoppie di mais e betulla per costruire un materiale “autorganizzato” tramite l’azione di un micelio che fabbrica saldature naturali tra gli aggregati senza dovere ricorrere a leganti esterni. Il materiale è stato testato nel 2012 costruendo una torre esposta nel cortile del MOMA Ps1 a Long Island, New York, rimasta per tre mesi all’aperto, e si è rivelato affidabile e resistente.

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Nel mondo dell’architettura rigenerativa non ci si limita soltanto a ridurre il più possibile l’impronta ecologica del mondo delle costruzioni, come si continua a fare nell’ambito di quella sostenibile dove spesso si seguita ad utilizzare materiali di derivazione petrolchimica decorando edifici con piante verdi per compensare il danno ambientale che si è appena perpetrato, ma nel contempo si contribuisce attivamente alla rigenerazione del pianeta anche attraverso l’impiego in cantiere di materiali derivanti da scarti agricoli, ottenuti da organismi vegetali che durante la loro crescita hanno prodotto ossigeno e consumato CO2 contribuendo a rigenerare l’ambiente. Essi in genere non costituiscono i prodotti principali ricavati dalle piante, che vengono utilizzati per scopi primari (ad esempio per l’alimentazione o l’industria tessile), ma rappresentano i loro scarti che diventano materie prime seconde da impiegare per la realizzazione di materiali edilizi caratterizzati da un ridotto contenuto di energia grigia e da buone caratteristiche fisico tecniche. Scegliendo di utilizzare questo genere di prodotti, che rappresentano un esempio della cosiddetta “economia circolare”, un sistema virtuoso in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di un processo diventino risorse per altri sistemi produttivi, si riduce la domanda (e quindi la produzione) di altri prodotti molto più impattanti in termini ambientali. In questo modo chi sceglie di costruire con i materiali che appartengono all’edilizia rigenerativa contribuisce a migliorare le condizioni ambientali del pianeta piuttosto che a limitare l’impronta dell’attività edilizia, ispirandosi alle modalità con cui si svolgono i cicli naturali. Il mercato è già pronto in questo senso. Esistono già centinaia di prodotti in grado di risolvere praticamente tutte le esigenze del cantiere, già testati in termini di sicurezza ed agibilità. Per quanto riguarda le strutture, nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad uno sviluppo delle costruzioni in legno tale da innescare una gara a chi costruisce l’edificio più alto; il record ad oggi appartiene ad un grattacielo costruito in Norvegia, alto ben 85,4 metri distribuiti in 18 piani. C’è poi il bambù, una graminacea chiamata anche acciaio vegetale che presenta la maggior velocità di accrescimento al mondo e che l’opinione comune relega ancora nel campo dell’architettura vernacolare, nonostante venga utilizzato in oriente per realizzare impalcature e strutture eccezionalmente resistenti e compaia negli edifici di illustri progettisti, tra i quali citiamo Shigeru Ban, Simón Vélez, Jörg Stamm, Kengo Kuma e Vo Trong Nghia. Nell’ambito dell’industria edilizia il bambù presenta un potenziale non tanto come materiale in quanto tale, ma nelle fibre superresistenti che lo compongono, le quali sono oggetto di studi approfonditi che verranno presto tradotti in prodotti tecnologicamente evoluti e a portata di tutti. Gli esempi più numerosi si trovano nel comparto dei materiali isolanti, che approfondiremo più avanti in quanto elemento cruciale nel progetto di un edificio passivo, ma si possono trovare casi significativi anche nel comparto dei rivestimenti, dove citiamo intonaci a base di calce e argilla addizionati ad un numero impressionante di scarti vegetali capaci di migliorane le caratteristiche e nel frattempo realizzare innumerevoli texture e colori. Tra le ricerche più recenti c’è un intonaco a base di biochar, una sostanza prodotta per pirolisi da scarti agricoli, che miscelata alla calce restituisce un intonaco igroscopico e capace di assorbire gli odori, oppure quello a base di lolla di riso che ne aumenta la resistenza e crea una texture molto particolare. La lolla di riso è un buon esempio di come può essere versatile l’utilizzo

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di un sottoprodotto agricolo; essa è lo strato esterno di protezione dei chicchi di riso, un materiale leggero con una densità solitamente compresa tra i 120 ed i 140 kg/m3, non edibile dagli insetti e caratterizzato da un alto contenuto di silice. Essa rappresenta circa il 30% in peso della produzione di un cereale coltivato da un quinto della popolazione mondiale e che copre più dell’1% della superficie del pianeta. Nel mondo la lolla non viene usata solo come ingrediente per la creazione di intonaci in calce idraulica o in argilla, ma anche per rinforzare manufatti in cemento (soprattutto quelli a bassa permeabilità utilizzati per la costruzione di ponti e di ambienti marini), per realizzare biomattoni con l’ausilio di particolari miceli, per produrre un cartongesso in cui essa sostituisce buona parte del gesso impiegato ed è capace di migliorare le capacità meccaniche e nel contempo ridurre quella di assorbire acqua. Essa inoltre viene impiegata come ingrediente base per realizzare piastrelle per rivestimenti interni, compositi WPC per rivestimenti esterni che sbiadiscono più lentamente di quelli a base di legno, pannelli truciolari, pellicole polimeriche composite che possono essere laminate. Tabella 3.4.2 - Proprietà fisiche di alcuni materiali edili rigenerativi.

Conducibilità

Coeff. medio Flessibilità Resistenza Resistenza assorbimento Igroscopicità e forza al fuoco microbiologica acustico

Mais

0,139-0,101

-





Durian

0,1854-0,054

-





Midollo di cocco

0,086-0,0416

0,9-0,5





Furcraea andina

0,08-0,04

-





Lino

0,09-0,033

0,85-0,5







Canapa

0,123-0,0393

0,95-0,45









Girasole

0,077-0,0656

0,99-0,85

-

-

-

-

Riso

0,063-0,049

0,8-0,02







Bagassa

0,068-0,046

0,9-0,15

Tifa

0,06- 0,0438

-



Ananas foglie

0,057-0,035

-



√ √



In questa tabella si considerano in maniera quantitativa e qualitativa alcune delle proprietà fondamentali per l’impiego in edilizia (fonte Balador Z., Gjerde M., Isaacs N., Imani M.)

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Tabella 3.4.3 - Pro e contro dell’utilizzo di scarti agricoli come materiali isolanti. VANTAGGI

SVANTAGGI

Ridotta conducibilità termica

Non strutturale

Contenuto ridotto (o nullo) di legante

Necessita maggiori spessori

Crescita veloce

Talvolta necessita di trattamenti

Abbondante

Non omogeneo

Naturale

Variabile

Elevato calore specifico

Non resistente al fuoco

Elevato assorbimento delle vibrazioni

Talvolta contiene additivi pericolosi

Contenuto ridotto (o nullo) di legante

Talvolta contiene contaminanti

Biodegradabile

Dipende dalle condizioni climatiche

Economicamente vantaggioso

Minore durabilità

Ridotto impatto ambientale

Difficile da ridurre in modelli teorici

Energeticamente efficiente Ridotte emissioni Proveniente da risorse rinnovabili Non provoca irritazione alla pelle Atossico

Tra i vantaggi troviamo mediante una ridotta conducibilità termica e una elevata stabilità, oltre ad una serie di caratteristiche che pongono questa categoria di materiali una valida scelta per chi vuole contribuire alla rigenerazione ambientale del comparto edilizio; gli svantaggi impongono un certo controllo sulla provenienza delle materie prime seconde e qualche limite tecnologico ritenuto comunque accettabile. (fonte Balador Z., Gjerde M., Isaacs N., Imani M.) Se analizziamo il comparto specifico degli isolanti termici, che rappresentano una delle scelte fondamentali nell’ambito del progetto di un edificio passivo, generalmente i prodotti si distinguono in base all’origine, che può essere vegetale, animale o minerale. Scegliere prodotti realizzati con materie prime vergini non rinnovabili o non derivanti da processi di riuso o di riciclo comporta un impatto ambientale elevato, per cui l’uso di materiali isolanti a base fossile e sintetica dovrebbe rappresentare soltanto una extrema ratio. Si può quindi dire che anche se in generale è meglio isolare termicamente un edificio con qualsiasi prodotto che non farlo affatto, secondo l’assunto che l’energia più preziosa è quella risparmiata, la scelta più corretta dal punto di vista ambientale è impiegare un materiale caratterizzato da un ridotto contenuto di energia grigia che richiede uno spessore importante piuttosto che optare per un materiale più nocivo per l’ambiente che consente di ottenere uno strato coibente di spessore ridotto. Dal punto di vista ambientale la scelta migliore è quindi utilizzare la quantità ottimale di materiali isolanti prodotti da scarti di produzione di origine

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vegetale; questi ultimi si possono distinguere tra quelli di derivazione agricola (canapa, paglia, fibra di legno, fibre di kenaf, lino, mais, cocco, ecc.) e scarti di lavorazione e da materie prime riciclate (legno, sughero e cellulosa).

Tabella 3.4.4 - Alcune categorie dei materiali isolanti naturali

MINERALI

FORESTALI

ALLEVAMENTO

AGRICOLTURA

NUOVE TECNOLOGIE

Argilla

Legno

Lana di pecora

Bamboo

Fibra di mais (Ingeo)

Pietra calcarea

Fibra di legno

Fibra di canapa

Ovatta di cellulosa (Moniflex)

Calce

Sughero

Paglia di grano

Funghi (Mogu)

Calciosilicati

Cartacemento

Paglia di riso

Posidonia

Cellulosa

Fibra di cocco

Lino

Fibra di kenaf

Canna palustre

Fibra di lino

I materiali isolanti naturali possono essere catalogati in base alla loro origine, che può essere minerale, animale o vegetale. Quelli che appartengono a questa ultima categoria possono provenire da coltivazioni forestali o agricole e spesso vengono realizzati con scarti di lavorazione di altri processi produttivi, assumendo così un maggiore valore in senso ambientale. Esiste poi in commercio una serie di prodotti innovativi che derivano dalla lavorazione di materie prime vegetali non ancora impiegate nel settore degli isolanti termici. Alcuni di questi materiali sono disponibili in forma sfusa, ma la maggior parte si trova in genere sotto forma di pannelli rigidi o flessibili (materassini). I primi sono mediamente più compatti e si trovano anche in spessori ridotti, si impiegano in genere in senso orizzontale sui solai, nell’ intradosso dei soffitti o tra le travi o verticalmente in aderenza alle pareti o all’interno delle murature. I materassini sono caratterizzati da una minore densità e si rivelano più adatti ad isolare superfici discontinue in quanto sono capaci di seguire l’andamento delle stesse (cambi di pendenza e di spessore, spigoli, avvallamenti); per contro tendono ad essere schiacciati in senso orizzontale o ad insaccarsi se posati verticalmente. Per garantire una maggiore stabilità nei materassini realizzati con fibre vegetali in alcuni casi si inserisce una trama in fibra sintetica che viene usata per legare e stabilizzare le componenti naturali; in bioedilizia è necessario fare attenzione che questa fibra non superi il contenuto del 15%. In genere i materiali di origine vegetale temono l’umidità, ragione per cui nel caso di strutture interrate è bene affidarsi ad un prodotto inorganico come il vetro cellulare, che deriva da principalmente da materiale riciclato post consumo.

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Tabella 3.4.5 - Analisi di alcuni materiali isolanti provenienti da scarti vegetali ed agricoli (fonte Balador Z., Gjerde M., Isaacs N., Imani M.).

Materiale

Luogo originario

Caratteristiche

Usi

Campione testato

Legante

Densità Kg/m3

Conducibilità termica W/mK

Foglie di ananas

Zone tropicali

Rifiuto vegetale

Pannelli truciolari

Pannello truciolare

Lattice di gomma naturale

178232

0,035-0,043

Paglia di grano

Nessuno

60

0,067

Scarto agricolo

Balle/ pannelli truciolari/ riempimento

Balle

Ovunque

Rotoballe

Nessuno

80

0,041

Pannello

Isocianato di metile difenile (MDI) e acetone

200350

0,051-0,053

Paglia di riso

Ovunque

Scarto agricolo

Balle/ pannelli/ riempimento

Pula di riso

Ovunque

Rifiuto vegetale

Pannelli/ pannelli truciolari/ riempimento

Pannello

Nessuno

144,3147,5

0,046-0,057

Fibra di cocco

Zone tropicali

Rifiuto vegetale

Pannelli truciolari/ riempimento

Pannello truciolare

Nessuno

174

0,05

Bagassa

Zone tropicali

Rifiuto vegetale

Pannelli truciolari/ riempimento

Pannello truciolare

Nessuno

250350450

0,046-0,068

Fibra di palma da dattero

Zone aride

Rifiuto vegetale

Pannelli fibrosi/ riempimento

Pannello fibroso

Nessuno

-

0,041

Pannocchia di granoturco

Ovunque

Scarto agricolo

Pannelli truciolari/ riempimento

Colla per legno

Colla per legno

212,11

0,139

Lana di pecora

Ovunque

Fibra animale

Tessile/ materassini/ Materassino riempimento

Nessuno

20-40

0,034-0,050

Il parametro fondamentale in base a cui si valutano i prodotti isolanti è la conducibilità termica, ovvero l’attitudine a trasmettere il calore. Per essere più precisi questo valore esprime il flusso di energia – sotto forma di calore – che attraversa un materiale tramite il fenomeno della conduzione al variare della temperatura tra le sue due facce; quindi minore è il numero che la esprime, migliore è la performance e più ridotto è lo spessore di isolante da impiegare. La conducibilità termica è contraddistinta dalla

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lettera greca λ (lambda) e si misura in W/mK. I valori contenuti nelle schede tecniche sono espressi come λD , una sigla che significa che sono stati desunti da prove in laboratorio effettuate in condizioni che rispecchiano il comportamento del materiale isolante nella stagione invernale, ovvero ad una temperatura media di riferimento di 10°C, utilizzando campioni stagionati in un ambiente a 23 °C e con il 50% di umidità relativa e testati in condizioni di invecchiamento (semplificando, si può dire che in una parete con cappotto termico, l’isolante si troverà a una temperatura circa pari a quella di prova a metà del suo spessore ). Il valore della conducibilità è però influenzato sia dalla temperatura sia dall’umidità a cui il materiale è soggetto nelle condizioni reali, ragion per cui il progettista è tenuto a correggere il valore dichiarato trasformandolo in conducibilità di progetto (λd) in modo da tener conto delle reali condizioni d’uso del materiale seguendo la procedura contenuta nella norma tecnica UNI EN ISO 10456. La conducibilità serve a calcolare la trasmittanza delle strutture, che a sua volta è usata per definire l’entità delle dispersioni termiche per trasmissione, le quali si ottengono sommando i prodotti della superficie lorda di ogni struttura per il valore della trasmittanza. Se la struttura oggetto del calcolo è costituita da un materiale omogeneo basta moltiplicarne la conducibilità per lo spessore, mentre nel caso in cui la stratigrafia sia più complessa il valore finale deriverà dalla somma delle trasmittanze dei diversi strati che la compongono. In entrambi i casi va tenuto conto anche dell’effetto che hanno i moti d’aria sulle due facce esterne della stratigrafia, chiamato resistenza liminare, che esprime il fenomeno per cui essi tendono ad asportare parte del calore per convezione. Un secondo parametro importante nella scelta di un prodotto isolante è la capacità termica, un valore che permette di capire se il materiale, una volta posizionato verso il lato esterno delle strutture, sarà in grado di difendere gli ambienti interni soltanto dal freddo invernale o anche dal calore estivo. La capacità termica dipende sia dalla natura del materiale sia dalla sua massa, e quindi in termini fisici dalla densità e dal calore specifico. Quest’ultimo indica la quantità̀ di calore che un metro cubo di materiale può̀ accumulare aumentando di un grado la sua temperatura ed è in genere espresso in Joule/kgK. Un buon prodotto in genere presenta valori di conducibilità ridotti e un calore specifico elevato, in base al quale può assorbire calore per un determinato periodo di tempo prima di aumentare la sua temperatura o di rilasciarlo. Questo parametro sottende alla modalità in cui si verificano i fenomeni dello smorzamento e della attenuazione della massa termica, i quali si rivelano molto importanti per la riduzione della domanda energetica richiesta per il comfort degli ambienti non solo durante la stagione invernale ma soprattutto in quella estiva ed in generale nei climi caldi, in quanto utili ad abbattere il fabbisogno termico per raffrescamento. Per semplificare, si può dire che tanto più̀ la capacità termica di una struttura è elevata tanto meno l’andamento delle temperature interne si rivela dipendente dalle variazioni delle temperature esterne. In genere, i materiali isolanti a base di fibre naturali si dimostrano competitivi anche da questo punto di vista, in quanto presentano mediamente un calore specifico di circa 2.000 J/kgK contro i 1.000 J/kgK della lana minerale e i 1.400 J/kgK di polistirene e poliuretano. Naturalmente questi valori cambiano in funzione della densità del materiale, che rappresenta il rapporto tra la massa ed il volume, è espressa con la lettera greca ρ e si misura in kg/m3.

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Un ulteriore fattore da valutare nel progetto di una stratigrafia è la resistenza alla diffusione del vapore acqueo (µ) del materiale isolante, valore che ne rappresenta la capacità di diffondere il vapore presente nell’ambiente; in altre parole questo parametro indica quanto maggiore è la resistenza alla diffusione del vapore acqueo rispetto ad uno strato d’aria di spessore equivalente. Il valore µ può variare da 1 (valore minimo) fino all’infinito: più esso è ridotto, più il materiale sarà aperto alla diffusione del vapore e viceversa. In genere i materiali naturali presentano un valore ridotto, in quanto si rivelano igroscopici e traspiranti e quindi adatti anche agli strati più esterni delle murature, per il fatto che possono aiutare a espellere eventuale umidità che entra dal rivestimento esterno dell’edificio riducendo il rischio di condensa interstiziale. Nelle strutture interrate, nelle platee di fondazione e nelle zoccolature dei sistemi a cappotto, e in generale in tutte le situazioni a rischio di contatto con l’acqua, è bene scegliere isolanti a celle chiuse, che presentano una resistenza alla diffusione del vapore molto elevata, come il vetro cellulare. Il valore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo è un parametro che determina la posizione più adatta per ogni materiale isolante, congiuntamente al valore di sollecitazione a compressione che si esprime in KPascal. Nel caso in cui l’isolante sia soggetto a carichi, ovvero vada impiegato in posizione orizzontale come nei solai o ancora di più su una copertura carrabile o praticabile, esso è soggetto a schiacciamento per effetto dei carichi propri ed accidentali delle strutture, per cui se non presenta una resistenza meccanica sufficiente può fessurarsi e a sua volta causare fessurazioni in altre parti della struttura. Solitamente in queste situazioni si valuta la resistenza a compressione al 10% di deformazione, un indice che esprime il carico diffuso che il prodotto è in grado di sopportare con una deformazione massima del 10%. La valutazione dell’impatto ambientale dei materiali si basa sul contenuto di energia grigia, di cui abbiamo già parlato in precedenza, e sulle emissioni di CO2 incorporate per ogni chilogrammo di prodotto, un valore che esprime la quantità di emissioni di gas climalteranti emessa per produrlo, impacchettarlo e farlo arrivare sul mercato. Tabella 3.4.6 - Emissioni incorporate di CO2 per diversi materiali isolanti. MATERIALE ISOLANTE

KgC02/Kg PRODOTTO

Cellulosa

8,00

Polistirene espanso (EPS)

2,55

Fibra di vetro

1,35

Lana Minerale

1,20

Lana di roccia

1,05

Fibra di legno

0,98

Calce canapulo/canapa

0,82

Sughero

0,29

Paglia

0,24

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Ogni materiale isolante comporta l’emissione di gas climalteranti durante il suo ciclo di vita, che si misura generalmente prospettando l’emissione di CO2 per chilogrammo di prodotto utilizzato (dati tratti da Inventory of carbon& energy (ICE) 2.0).

Tabella 3.4.7 - Caratteristiche dei materiali isolanti più impiegati in bioedilizia.

Conducibilità λ (W/mK)

Calore specifico C (J/KgK)

Densità del materiale ρ (Kg/m3)

Resistenza alla diffusione del vapore acqueo μ

Materiale

Forma

Applicazione

Fibra di canapa

Pannello e materassino

intercapedini orizzontali, coperture e pareti

0,039 ÷ 0,043 1.700÷ 2.300

25 ÷ 190

1÷2

Cellulosa

Sfuso

intercapedini

0,037 ÷ 0,041 1.800 ÷ 2.000

25 ÷ 50

1÷3

Cellulosa

materassino

soffitti, pareti

0,040

1.800 ÷ 2.000

60 ÷ 90

1÷3

Fibra di legno

materassino

intercapedini

0,038

2.100

45 ÷ 55

1÷2

Fibra di legno

Pannelli

pavimenti, pareti, soffitti

0,038 ÷ 0,052

2.100

150 ÷ 300

5 ÷ 10

Lana di legno mineralizzata

pannello

portaintonaco rivestimento controsoffitti

0,06 ÷ 0,090 1.800 ÷ 2.100 400 ÷ 1000

5 ÷ 13

Lana di pecora

materassino

intercapedini isolante tra travi

0,037 ÷ 0,044 1.300 ÷ 1.700

15 ÷ 40

1÷5

Paglia

balle/ballette

pavimenti, pareti, soffitti

0,038 ÷ 0,082

50 ÷ 300

2,5

Sughero espanso

pannello

pavimenti, pareti, soffitti

0,036 ÷ 0,040 1.600 ÷ 1.800 100 ÷ 120

5 ÷ 19

Sughero granulato

sfuso

intercapedini orizzontali, verticali

0,034 ÷ 0,038 1.600 ÷ 1.800

65 ÷ 120

5 ÷ 19

controterra, pavimenti, pareti, soffitti

0,042 ÷ 0,066 1.050 ÷ 1.800 105 ÷ 180

infinito

Vetro cellulare

pannelli

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AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

1.900

Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Le caratteristiche più utili per individuare il materiale isolante adatto sono, oltre la conducibilità, la capacità termica, la resistenza alla diffusione del vapore acqueo e la densità del materiale; quest’ultima dipende anche dal tipo di prodotto, che può essere generalmente sfuso, a materassino o a pannello (fonti: Fassi A., Maina L., Rizzi M.,).

3.4.1 Fibra di legno I pannelli in fibra di legno sono apparsi sul mercato una ventina di anni fa come un materiale isolante termico e acustico derivante dagli scarti di lavorazione del legno. Il legno è un materiale rinnovabile in grado di catturare CO2 durante la crescita degli alberi da cui proviene e come tutti i materiali naturali è igroscopico e traspirante. La fibra di legno deriva generalmente dagli scarti di abete rosso e bianco e di pino, che vengono idrofobizzati e possono essere lavorati con metodi umidi o a secco. Nel primo caso gli scarti legnosi vengono scomposti grazie all’azione del vapore e miscelati con acqua e talvolta con additivi; in un secondo tempo l’acqua viene estratta dal composto con un aspiratore e si procede ad una essiccatura a 120°- 190° C, in modo da fare sì che con il calore si attivi un processo di incollaggio naturale delle fibre sfruttando la resina contenuta naturalmente nel composto. Questo processo, che termina con l’additivazione di solfato di alluminio e di una emulsione a base di cera, richiede un dispendio di energia grigia maggiore rispetto alla produzione a secco, ma comporta una minore quantità di additivi. Nel metodo a secco gli scarti legnosi vengono ridotti in fibra con processi meccanici, la quale viene poi additivata con resine poliuretaniche o con fibre bicomponenti in modo da compattare il tutto in pannelli che vengono realizzati inserendo la miscela in una pressa a caldo. È sempre opportuno verificare che il legno non provenga da foreste tropicali ma da coltivazioni controllate e che le fibre non siano aggregate tramite collanti ma con processi naturali. La fibra di legno è un prodotto ottimo dal punto di vista ambientale. Essa si trova in commercio raramente sfusa, più di frequente in forma di pannelli rigidi, utilizzabili sia sulle murature che in copertura, o di materassini più morbidi inseriti solitamente tra le travi delle coperture. Il materiale presenta un valore ridotto di conducibilità ed una ottima capacità termica, che lo rende adatto ad isolare le strutture sia dal freddo che dal caldo e quindi rappresenta una scelta eccellente soprattutto per isolare i manti di copertura. In questa categoria si possono includere anche le fibre mineralizzate con cemento e magnesite o impermeabilizzate con bitume, anche se entrambe presentano valori di conducibilità inferiori; questi prodotti inoltre, rispetto alla fibra di legno classica, comportano un maggiore dispendio di energia in fase produttiva e non sono biodegradabili ma presentano una serie di vantaggi dal punto di vista della resistenza alle sollecitazioni esterne. In commercio esistono anche pannelli impermeabilizzati con sostanze naturali (cera, lattice, cera, resina di colofonia).

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.1.1 - Caratteristiche principali della fibra di legno (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento

Conduttività termica λ [W/Mk] 

0.038 ÷ 0.052

Diffusività termica [cm2/h] 

3 ÷15

Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ 

1 ÷ 10 

Densità ρ [kg/m3] 

45 ÷ 300 

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

2,1 

Reazione al fuoco (classe) 



Energia grigia (MJ/ kg)

10 ÷ 20

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

0,98

Forma

Sfuso; Pannelli rigidi; Pannelli flessibili Dissipatore di carbonio

NOTE Rinnovabile

Figura 3.4.1.1 - L’impiego della fibra di legno in copertura.

La fibra di legno ad elevata densità è un materiale ideale per l’isolamento termico delle coperture in virtù soprattutto della sua massa termica e della sua igroscopicità.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

L’immagine si riferisce alla ristrutturazione di un edificio esistente a Rondinara (Reggio Emilia) che gli architetti Enrico Baschieri e Anne Friederike Goy hanno portato allo standard passivo utilizzando esclusivamente materiali naturali. Tabella 3.4.1.2 - Applicazioni tipiche della fibra di legno (fonti varie). Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Parete perimetrale 

x

x

X

Parete interna 

x

x

X

Parete controterra 

x

FIBRA DI LEGNO

Cassero a perdere

Copertura piana ispezionabile  Copertura piana pedonabile  Copertura piana carrabile  Copertura piana giardino 

x

Copertura a falda struttura continua 

x

x

Copertura a falda struttura discontinua 

x

x

Solaio sottotetto 

x

x

Solaio su vespaio aerato  Solaio su ambiente non riscaldato  Solaio controterra 

3.4.2 Sughero Il sughero è un materiale naturalmente isolante in virtù della sua struttura cellulare. Analogamente al legno, è in grado di sequestrare CO2 mentre crescono gli alberi da cui viene estratto, è igroscopico e traspirante, ha una buona conducibilità termica ed un’elevata capacità di accumulare il calore. Esso consente di realizzare prodotti ottimi per l’isolamento termico ed acustico e può essere usato in forma di pannelli per coibentare murature, solai e coperture oppure sfuso per isolare sottofondi di solai, soffitti e intercapedini murarie. Attualmente sono in commercio prodotti che consentono di utilizzarlo “faccia a vista”, il che conferisce agli edifici un aspetto inedito. Il materiale si ottiene dalla corteccia della quercia da sughero, “Quercus suber”, un albero sempreverde che cresce in clima mediterraneo e che può raggiungere anche i 20 metri di altezza. Una volta che l’albero ha raggiunto i trenta anni di età è possibile asportare, ogni dieci anni e nel periodo estivo, la corteccia con una operazione detta demaschiatura in quanto essa una volta tolta ricresce. La corteccia protegge il tronco

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

dal caldo, dal freddo e dall’umidità garantendo al contempo la traspirazione ed è in grado di offrire le stesse funzioni alle strutture edilizie, oltre a provvedere all’isolamento acustico. La suberina, ovvero la resina contenuta nel materiale, è una cera naturale che rende il materiale impermeabile a liquidi e a gas e resistente a fenomeni di marcescenza, fuoco e insetti. Il materiale sfuso è in genere trattato con il 2% di calce naturale per proteggerlo dall’azione dei roditori. I pannelli di sughero espanso utilizzati in bioedilizia vengono in genere prodotti riducendo a pezzi la corteccia e sottoponendola ad un processo di espansione in contenitori sotto pressione ad una temperatura di circa 350 °C; il calore elevato permette l’estrazione spontanea della suberina, contenuta naturalmente nel materiale che grazie alla pressione si espande formando pannelli di sughero scuro che vengono poi messi a raffreddare e a essiccare e quindi tagliati. I pannelli in sughero biondo invece vengono realizzati attraverso la pressatura a caldo di granulati naturali o riciclati derivanti dalla lavorazione o dal riciclo di tappi di sughero per il mercato enologico, a cui viene aggiunta una percentuale del 2% circa di colla prima di procedere alla pressatura a 220 °C; questi hanno qualità leggermente differenti rispetto ai pannelli espansi e devono essere sottoposti ad una verifica circa le caratteristiche del collante che viene utilizzato per la produzione.

Figura 3.4.2.1 - L’impiego del sughero espanso per la realizzazione di cappotti termici.

Il sughero espanso può essere utilizzato per la realizzazione di cappotti termici esterni, come è successo nella ristrutturazione di un edificio esistente a standard passivo a Rondinara (Reggio Emilia) su progetto degli architetti Enrico Baschieri e Anne Friederike Goy.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.2.1 - Caratteristiche principali del sughero espanso (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche Conduttività termica λ [W/Mk] 

Valori di riferimento 0.036 ÷ 0.052

Diffusività termica [cm2/h]  Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ 

5 ÷ 19

Densità ρ [kg/m3] 

65 ÷ 120

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

1,6 ÷ 1,8

Reazione al fuoco (classe) 

B – C - E 

Energia grigia (MJ/ kg)

2÷7

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

0,29

Forma

Sfuso; Pannelli rigidi Potenzialmente riciclabile

NOTE

Dissipatore di carbonio Rinnovabile

Figura 3.4.2.2 - Il sughero nel riempimento dei solai.

Il sughero sfuso può essere utilizzato ugualmente per riempire i solai in modo da ottenere anche una discreta massa termica, come è stato previsto nel progetto della abitazione unifamiliare a Lavagno (VR) dove il massetto copriimpianti è stato realizzato a secco con sughero granulare tostato.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.2.2 - Applicazioni tipiche del sughero. Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Parete perimetrale 

x

x

x

Parete interna 

x

x

x

Parete controterra 

x

Copertura piana ispezionabile 

x

Copertura piana pedonabile 

x

x

Copertura piana giardino 

x

x

Copertura a falda struttura continua 

x

x

Copertura a falda struttura discontinua 

x

x

Solaio sottotetto 

x

x

Solaio su vespaio aerato 

x

Solaio su ambiente non riscaldato 

x

SUGHERO

Cassero a perdere

Copertura piana carrabile 

Solaio controterra 

3.4.3 Lana di pecora La lana di pecora è un prodotto di origine animale composto per il 100% da cheratina, un materiale che presenta ottime proprietà isolanti dal punto di vista sia termico che acustico ed è altamente igroscopica, il che significa che è in grado di assorbire umidità fino ad un terzo del proprio peso e di riemetterla in un secondo tempo senza alterare significativamente le proprie capacità isolanti, aiutando a regolare il tasso di umidità relativa degli ambienti e da mantenerli caldi e freschi a seconda della stagione. Essa necessita però di trattamenti protettivi a base di borace nei confronti di tarme e parassiti, da cui è attaccabile. In commercio è presente in forma di materassini che vengono usati in intercapedini per l’isolamento di coperture e pareti esterne e sono caratterizzati da un buon livello di trasmittanza. Esistono anche pannelli più rigidi composti da lana di pecora e fibre di poliestere (20%) che donano al materiale più stabilità e lo rendono adatto anche all’isolamento termico delle murature. La lana può essere usata anche sotto pavimenti galleggianti. Essa è un prodotto rinnovabile e completamente biodegradabile e utilizza come materia prima la lana di tosa di pecore solitamente allevate per la produzione alimentare, il cui manto non viene usato nel settore tessile a causa della sua scarsa qualità da questo punto di vista. Il suo utilizzo in questa forma evita che la lana venga seppellita o

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

bruciata. È bene verificare che la materia prima sia di provenienza europea, preferibilmente italiana, in quanto gli allevamenti risultano più sostenibili dal punto di vista ecologico. La tipologia di lavorazione a cui è sottoposta comporta un consumo ridotto di energia grigia. Una volta tosata e ridotta in balle, la lana viene trasportata in un impianto in cui viene mescolata e lavata in acqua tiepida e quindi sottoposta a trattamento antitarmico. In seguito le fibre vengono cardate in modo che seguano tutte la medesima direzione, stratificate così da raggiungere gli spessori desiderati e quindi compattate con il calore ad una temperatura di 180°C, in modo da sterilizzare il prodotto finale. Tabella 3.4.3.1 - Caratteristiche principali della lana di pecora (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento

Conduttività termica λ [W/Mk] 

0.037 ÷ 0,044

Diffusività termica [cm2/h] 

-

Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ 

1÷5

Densità ρ [kg/m ] 

15 ÷ 40

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

1,3 ÷ 1,7

3

Reazione al fuoco (classe)



Energia grigia (MJ/ kg)

12,5 ÷ 15

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

-

Forma

Materassini Necessita di trattamento antincendio e insetticida

NOTE

Rinnovabile

Figura 3.4.3.1 - Prodotti isolanti a base di lana di pecora.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

I materassini in lana di pecora sono un prodotto isolante termoacustico ideale nel caso di pareti e coperture discontinue, quando c’è ad esempio una struttura intelaiata in legno da coibentare (documentazione tecnica Isolana) Tabella 3.4.3.2 - Applicazioni tipiche della lana di pecora. Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Parete perimetrale 

x

x

x

Parete interna 

x

x

x

LANA DI PECORA

Cassero a perdere

Parete controterra  Copertura piana ispezionabile  Copertura piana pedonabile  Copertura piana carrabile  Copertura piana giardino  Copertura a falda struttura continua  Copertura a falda struttura discontinua 

x

x

Solaio sottotetto  Solaio su vespaio aerato  Solaio su ambiente non riscaldato 

x

Solaio controterra 

3.4.4 Fibra di cellulosa La fibra di cellulosa è un prodotto isolante che può essere realizzato con materiali vergini, quali polpa di legno, di canapa o lino, o riciclando materie prime seconde post consumo, come ad esempio la carta dei giornali. Nel secondo caso la fibra, che proviene in genere per l’80% dal riciclo di giornali e riviste (non patinate), non è completamente biodegradabile, perché contiene una certa quantità di metalli pesanti contenuti nell’inchiostro ma ha come pregio ambientale il fatto che non utilizza materiale vergine. In entrambi i casi i fiocchi vengono triturati e mescolati a secco con sali di borace o altre sostanze minerali, che ne migliorano la reazione al fuoco, all’umidità e agli insetti e la durabilità, per poi essere pressati in modo da fornire una buona tenuta all’aria. Si tratta di un materiale che favorisce la diffusione del vapore e presenta anche ottime proprietà̀ fonoassorbenti. Il prodotto non comporta un quantitativo elevato di energia grigia. In commercio esistono anche materassini, nei quali il materiale viene compattato grazie alla presenza di una rete di poliestere. La cellulosa in fiocchi può essere insufflata nelle cavità murarie o usata in forma

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

fluida, in quanto può essere spruzzata sulle murature o versata nei sottofondi dei solai. Nel primo caso è possibile inserire il materiale isolante in tutte quelle cavità e interstizi altrimenti difficilmente raggiungibili e per questo motivo si rivela una soluzione interessante ed economica per coibentare in intercapedine murature esistenti a cassa vuota. Questa tecnica consiste nel praticare una serie di fori sulle murature, che servono per l’insufflaggio dei fiocchi nella cavità interna delle pareti il quale avviene ad una pressione molto elevata in modo da raggiungere ogni punto e garantire quindi una distribuzione omogenea dell’isolante, che può essere verificata tramite termocamera. L’unico problema che emerge con questa soluzione è il fatto che non si annullano i ponti termici e per questo motivo bisognerebbe abbinarla ad un cappotto esterno seppur di spessore ridotto. I pannelli, più o meno flessibili a seconda della densità, vengono utilizzati posandoli tra le travi, all’interno delle pareti divisorie o come sistema a cappotto. Tabella 3.4.4.1 - Caratteristiche principali della fibra di cellulosa (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento

Conduttività termica λ [W/Mk] 

0.037 ÷ 0.041

Diffusività termica [cm2/h] 

17 ÷ 33

Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ

1÷3

Densità ρ [kg/m ] 

25 ÷ 90

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

1,8 ÷ 2

Reazione al fuoco (classe) 

B.s 2.d0

3

Energia grigia (MJ/ kg)

3÷8

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

0,24 ÷ 1,4

Forma

Fiocchi e materassini Insufflabile dentro cavità adeguate Necessario trattamento antincendio

NOTE Rinnovabile Rappresenta un dissipatore di carbonio

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Figura 3.4.4.1 - L’uso della fibra di cellulosa sfusa.

La fibra di cellulosa può essere utilizzata in forma sfusa anche per isolare un sottotetto non calpestabile (documentazione tecnica Climacell®)

Tabella 3.4.4.2 - Applicazioni tipiche della fibra di cellulosa (fonti varie). Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Parete perimetrale 

X

X

x

Parete interna 

X

X

x

Copertura a falda struttura discontinua 

X

X

x

Solaio sottotetto 

X

FIBRA DI CELLULOSA

Parete controterra  Copertura piana ispezionabile  Copertura piana pedonabile  Copertura piana carrabile  Copertura piana giardino  Copertura a falda struttura continua 

x

Solaio su vespaio aerato  Solaio su ambiente non riscaldato 

x

Solaio controterra 

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Cassero a perdere 

Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

3.4.5 Fibra di canapa e calce canapulo La canapa è una fibra vegetale molto resistente e altamente rinnovabile (si raccoglie ogni anno e può crescere fino a quattro metri in quattro mesi), caratterizzata da ottime proprietà isolanti, che viene generalmente impiegata per coibentare le strutture dal punto di vista termico e acustico. Queste sue caratteristiche la rendono un bacino ideale per l’assorbimento della CO2: si è calcolato che dalla semina al raccolto per ogni tonnellata di canapa vengono assorbite due tonnellate di questo gas climalterante, mentre la raccolta, la lavorazione meccanica ed il trasporto del materiale richiedono comunque un basso consumo di energia grigia. Questo genere di coltivazione non comporta l’uso di fertilizzanti o pesticidi e viene generalmente seminata in rotazione con orzo e segale. I semi di canapa vengono utilizzati nel settore alimentare, le fibre esterne più pregiate in campo tessile e quelle meno pregiate, che rappresentano circa il 10% della pianta, diventano materia prima per la produzione di materassini isolanti. Per essere trasformato in prodotto isolante il materiale viene essiccato e macerato per via enzimatica e quindi lavorato meccanicamente, trattato con sali di boro per renderlo ignifugo e associato ad una trama di poliestere per un massimo del 15% in peso. La parte centrale dello stelo, più legnosa, può essere sminuzzata e combinata con la calce, in modo da produrre un materiale isolante chiamato calcecanapulo capace di assorbire da 110 a 155 kg di CO2 al metro cubo di prodotto. Questa parte della pianta possiede un contenuto di silice molto elevato che le consente di legare bene con la calce e di formare un materiale dall’origine molto antica: in Francia ne sono state trovate tracce nel pilastro di un ponte costruito nel VI secolo, il che la dice lunga sulla resistenza di questo materiale. Il calcecanapulo è caratterizzato da un buon grado di inerzia termica, che gli consente di contribuire alla riduzione dei consumi energetici dell’edificio sia per il riscaldamento che per il raffrescamento, ma nel contempo pesa fino a 8 volte in meno rispetto ad una struttura convenzionale in cemento. I frammenti dello stelo vengono sminuzzati in genere fino ad arrivare ad una taglia di circa 5 cm e quindi mescolati con calce idrata, calce idraulica naturale NHL5, acqua e talvolta cemento e sabbia; a seguito della essiccazione di questo composto, la calce si carbonata nuovamente, legandosi con la CO2 presente in atmosfera, e ridiventa calcare, realizzando così un materiale altamente resistente.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Figura 3.4.5.1 - Massetto alleggerito in calcecanapa.

Il calcecanapulo può essere utilizzato per realizzare massetti alleggeriti caratterizzati da un ottimo comportamento termoacustico, come nel caso del primo solaio dell’edificio oggetto di una ricostruzione post-terremoto a Vigarano Mainarda (FE) su progetto dell’Officina del buon costruire. Mentre i materassini di canapa vengono utilizzati per gli usi isolanti convenzionali, il calcecanapulo può costituire un tamponamento isolante a tenuta d’aria che consente di ridurre sensibilmente i ponti termici e che viene utilizzato in genere nelle strutture portanti intelaiate. Di norma si realizza un composto da gettare in apposite casseforme per riempire gli interstizi dei telai strutturali in legno, che in questo caso non necessitano né di trattamenti protettivi, in quanto la calce li preserva naturalmente grazie al suo elevato livello di Ph, né di elementi di controventatura, poiché il materiale è in grado di sopportare i carichi diagonali. La muratura così realizzata viene poi regolarmente intonacata. Esistono sul mercato anche blocchi che possono essere impiegati come mattoni e pannelli prefabbricati. La superficie grezza di solito è rivestita con intonaci naturali affini, ma può essere rifinita anche con argilla, listelli o tavole in legno e muratura o pietra faccia vista. La stessa miscela, realizzata con densità differenti, può essere gettata per coibentare solai e coperture, per eseguire massetti o sottofondi isolanti per pavimenti e per isolare le coperture gettando tra la trama strutturale delle travi un composto a ridotta densità sfruttando apposite casseforme temporanee. È inoltre possibile realizzare malte ed intonaci termoisolanti a base di calcecanapulo, che contribuiscono a migliorare il comportamento acustico delle murature.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.5.1 - Caratteristiche principali della fibra di canapa (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento

Conduttività termica λ [W/Mk] 

0,039 ÷ 0,043

2

Diffusività termica [cm /h] 

31

Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ

1-2

Densità ρ [kg/m3] 

25 ÷ 190

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

1,7 ÷ 2,3

Reazione al fuoco (classe) 

2 (1 con trattamento ignifugante)

Energia grigia (MJ/kg)

10 ÷ 15

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

0,23 ÷ 0,82

Forma

Materassino Dissipatore di carbonio

NOTE

Rinnovabile

Tabella 3.4.5.2 - Caratteristiche principali del calcecanapulo (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento

Conduttività termica λ [W/Mk] 

0.06 ÷ 0.14

Diffusività termica [cm2/h] 

5

Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ

4,5

Densità ρ [kg/m ]

200 ÷ 700

Calore specifico Cp (kJ/kgK)

1,5 ÷ 1,7

3

Reazione al fuoco (classe)

A1

Energia grigia (MJ/kg)

0,29 ÷ 180

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

0,23 ÷ 0,82

Forma

Getto, mattoni

195

AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Figura 3.4.5.2 - Tamponamento esterno in calcecanapulo.

Le murature esterne dell’edificio di Vigarano Mainarda (FE), opera dell’Officina del buon costruire, sono state realizzate gettando la miscela di calcecanapulo secondo il sistema di posa manuale, che si esegue realizzando il getto lungo tutto il perimetro dell’edificio per un’altezza massima di 1,5 m (ottimale sarebbe rimanere tra i 60 cm e il metro). Una volta che lo strato è indurito, si procede a realizzare quello successivo fino a completamento della muratura. Tabella 3.4.5.3 - Applicazioni tipiche della fibra di canapa (fonti varie). Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Parete perimetrale 

x

X

x

Parete interna 

x

X

x

x

X

x

Copertura a falda struttura continua 

x

X

Copertura a falda struttura discontinua 

x

X

x

Solaio sottotetto 

x

X

x

CANAPA

Parete controterra  Copertura piana ispezionabile  Copertura piana pedonabile  Copertura piana carrabile  Copertura piana giardino 

Solaio su vespaio aerato  Solaio su ambiente non riscaldato  Solaio controterra 

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Cassero a perdere

Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.5.4 - Applicazioni tipiche del calce canapulo (fonti varie).

Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Cassero a perdere

Parete perimetrale 

x

X

x

x

Parete interna 

x

X

x

x

CALCE CANAPULO

Parete controterra  Copertura piana ispezionabile  Copertura piana pedonabile  Copertura piana carrabile  Copertura piana giardino 

x

Copertura a falda struttura continua  Copertura a falda struttura discontinua  Solaio sottotetto 

x

Solaio su vespaio aerato 

x

Solaio su ambiente non riscaldato 

x

x

Solaio controterra 

3.4.6 Paglia La paglia utilizzata in forma di materiale edile è un sottoprodotto agricolo che utilizza a questo scopo i residui della trebbiatura, ovvero steli secchi di cereali o piante fibrose. I sottoprodotti più comuni in questo settore derivano da grano, farro, segale e riso, le cui fibre una volta pressate diventano un materiale da costruzione sano, economico e durevole, oltre che un valido isolante termico ed acustico. Le prime case in paglia furono costruite nei primi anni del secolo scorso in Nebraska sfruttando la tecnologia che permetteva di comprimere le fibre in balle, e ancora oggi si dimostrano perfettamente funzionanti. Il materiale combina cellulosa, lignina e silice, che lo rendono inerte, anche se non perfettamente resistente all’acqua, motivo per cui è bene rivestirlo con uno strato di intonaco possibilmente a base naturale. Verso l’interno la paglia può essere rifinita con argilla, mentre all’esterno si utilizza in genere un intonaco di calce, che previene nel contempo l’attività di microbi e funghi grazie alla sua base alcalina. Le murature in paglia vanno protette all’esterno anche con una gronda sporgente e con una fondazione in modo da proteggere ulteriormente il materiale dall’umidità di risalita. La carenza di aria tra le fibre dovuta alla pressatura conferisce al materiale un buon comportamento al fuoco. Inoltre, al contrario di quanto si pensi, essa è difficilmente attaccabile da roditori ed insetti. La paglia può essere utilizzata sfusa, in pannelli ed in balle. Nell’ultimo caso le fibre vengono viene compresse e imballate con appositi macchinari in ballette prismatiche,

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di differenti formati (parallelepipedi 35x50 cm lunghi dai 50 ai 120 cm), o in rotoballe cilindriche (a diametro variabile dai 120 ai 200 cm), con densità di compressione variabili. La conducibilità termica di questo materiale varia in funzione della posa, e nello specifico della direzione in cui sono disposte le fibre. Quando le singole fibre sono disposte in maniera orizzontale e caotica, ovvero parallelamente al flusso termico, il valore della conducibilità risulta più alto, in quanto questa conformazione aumenta la componente conduttiva ma riduce il trasferimento dell’aria. Al contrario se le fibre sono perpendicolari al flusso termico, la conducibilità è inferiore. La densità e la capacità termica, in genere piuttosto elevate, le conferiscono una buona inerzia che la rendono ideale sia per l’isolamento termico invernale che estivo. Dal punto di vista del contenuto di energia grigia e di emissioni di CO2 è bene utilizzare materiale fabbricato il più possibile vicino al cantiere. Un prodotto alternativo alle balle sono i pannelli prefabbricati confezionati pressando la paglia a 250 °C, cerchiandoli e dotandoli di tiranti e, eventualmente, integrandoli con altri materiali che servono come isolamento termico.

Figura 3.4.6.1 - L’uso della paglia come materiale isolante.

La paglia che arriva in cantiere in ballette dovrebbe provenire da coltivazioni il più possibili vicine in modo da ridurre l’impatto ambientale della costruzione. L’immagine si riferisce alla costruzione della abitazione in paglia a Vicenza su progetto di Jimmi Pianezzola.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Con la paglia si possono costruire murature portanti utilizzando le balle come veri e propri mattoni giganti (tecnica “Nebraska”), anche se in Italia si utilizza generalmente una struttura a telaio portante in legno, relegando alle balle sovrapposte una funzione di tamponamento semiportante dove paglia è legata con stringhe in polipropilene o ferro e i solai sono realizzati con una struttura scatolare in legno riempita di paglia Nelle costruzioni esistenti è possibile realizzare cappotti esterni in paglia e isolare anche solai e coperture; il massetto del solaio controterra può essere confezionato ad esempio miscelando paglia e cemento. Nel caso si voglia realizzare un cappotto termico, le balle di paglia vengono inserite in una sorta di armatura scatolare in legno costruita in aderenza alle murature esistenti e protette su entrambi i lati con un foglio di carta resa impermeabile grazie a resine naturali.

Figura 3.4.6.2 - L’impiego della paglia in sistemi prefabbricati.

La paglia può essere utilizzata anche in strutture prefabbricate, che sono realizzate in stabilimento riempendo strutture scatolari in legno. In questo caso nella riqualificazione di un edificio esistente a standard passivo a Chamois (AO) è stata usata paglia di riso.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.6.1 - Caratteristiche principali della paglia (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento Fibre parallele 0,05 ÷ 0,082 Fibre perpendicolari 0,038 ÷ 0,065

Conduttività termica λ [W/Mk] Diffusività termica [cm2/h]

-

Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ Densità ρ [kg/m ]  3

2,5 50 ÷ 300

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

1900

Reazione al fuoco (classe) 

B2 – F90

Energia grigia (MJ/ kg)

0,9

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

0,24

Forma

Sfusa, matasse, pannelli, balle e ballette Rinnovabile

NOTE

Dissipatore di carbonio

Figura 3.4.6.3 - Una stratigrafia in legno e ballette di paglia.

Nel progetto della casa passiva a Lavagno (VR), lo studio Nobo ha realizzato i tamponamenti esterni con ballette di paglia prevedendo un cappotto di 10 cm in calce-

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

canapulo verso il lato esterno delle strutture verticali in modo da stabilizzare la struttura e ridurre le sezioni del telaio portante in legno posto all’interno. L’andamento degli steli nelle ballette è perpendicolare al flusso termico e, a seguito di una simulazione igrotermica del comportamento del pacchetto murario, ogni 3 corsi sono stati inseriti dei teli freni vapore per regolare il contenuto di umidità della struttura. Tabella 3.4.6.2 - Applicazioni tipiche della paglia (fonti varie).

Isolamento dall’interno

Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

Parete perimetrale 

x

X

x

Parete interna 

x

X

x

PAGLIA

Cassero a perdere

Parete controterra  Copertura piana ispezionabile 

x

Copertura piana pedonabile  Copertura piana carrabile  Copertura piana giardino 

x

Copertura a falda struttura continua  Copertura a falda struttura discontinua 

x

Solaio sottotetto 

x

Solaio su vespaio aerato  Solaio su ambiente non riscaldato 

x

Solaio controterra 

3.4.7 Vetro cellulare Il vetro cellulare fa parte della famiglia dei materiali isolanti di provenienza minerale, caratterizzati in genere da un maggiore utilizzo di energia grigia se comparati con i prodotti a base vegetale. Tuttavia questo coibente viene realizzato con un contenuto importante di vetro riciclato post consumo, che rappresenta l’unico ingrediente e viene processato in modo da presentare buoni valori di trasmittanza. Inoltre esso si presenta estremamente durevole, capace di una elevata resistenza a compressione e di stabilità dimensionale dovuta alla sua struttura a celle chiuse, che gli consente di resistere al passaggio dell’acqua e in genere dell’umidità. Esso inoltre è resistente agli attacchi biologici e chimici (eccetto l’acido fluoridrico) ed incombustibile. Per contro è abbastanza costoso e in caso (raro) di rottura perde molte delle sue caratteristiche essenziali, come la resistenza all’umidità. I granuli di vetro riciclati, o in certi casi la sabbia quarzosa, vengono puliti e quindi ridotti a polvere di vetro ed espansi con materiali naturali (carbone o calce) ad una temperatura di circa 850°. Questa lavorazione consente di ottenere un materiale stabile, caratterizzato da una struttura

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cellulare e composto dal 5% di vetro e dal 95% di aria, resistente alla compressione e all’umidità e quindi utilizzato soprattutto per coibentazioni strutturali e tagli termici.

Figura 3.4.7.1 - Isolamento delle pareti controterra.

I pannelli di vetro cellulare sono utilizzati per coibentare termicamente fondazioni e muri controterra, in quanto questo materiale è in grado di isolare termicamente la costruzione dal terreno eliminando il rischio d’infiltrazione dell’acqua e dell’umidità di risalita capillare, oltre che del gas Radon. Questo tipo di impiego consente di ridurre al minimo i ponti termici e rende possibile la realizzazione di uno strato isolante continuo tra le murature perimetrali esterne e quelle controterra. I pannelli in vetro cellulare vanno fatti continuare almeno per 60 cm oltre la linea di terra in modo da realizzare il cosiddetto “zoccolo perimetrale” che consente di prevenire problemi di umidità capillare. (fonte documentazione tecnica Foamglas®) Il materiale è disponibile granulato o in lastre e viene in genere utilizzato per isolare termicamente pavimenti o pareti laterali di locali interrati e per coibentare fondazioni, tetti piani o solette, soprattutto se carrabili. In forma di granuli il vetro cellulare viene utilizzato come isolamento perimetrale sotto la platea di fondazione e nella pavimentazione, per il riempimento di solette o per formare strati di compensazione leggeri e coibentati sopra i porticati a volta.

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Figura 3.4.7.2 - Taglio termico tra fondazioni e murature perimetrali.

Nella costruzione di una casa in paglia a Saluggia (VC) su progetto di Stefania Mancuso e Maurizio Macrì i pannelli di vetro cellulare sono utilizzati per impedire l’umidità di risalita tra le travi in legno alla base delle murature in paglia e la struttura di fondazione (fonte documentazione tecnica Foamglas®).

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.4.7.1 - Caratteristiche principali del vetro cellulare (fonti varie). Caratteristiche chimico-fisiche

Valori di riferimento

Conduttività termica λ [W/Mk] 

0.042 ÷ 0.066

2

Diffusività termica [cm /h]  Fattore di resistenza alla diffusione del vapore acqueo µ

∞ 

Densità ρ [kg/m ] 

105 ÷ 180

Calore specifico Cp (kJ/kgK) 

0,84 ÷ 1,1

Reazione al fuoco (classe) 

A1- A1 FL

3

Energia grigia (MJ/ kg)

67

Emissioni di CO2 incorporate (kgCO2/kg prodotto)

1,35

Forma

Granuli, pannelli rigidi Le caratteristiche dipendono dalla densità Contenuto riciclato

NOTE

Riciclabile Elevata resistenza a compressione

Tabella 3.4.7.2 - Applicazioni tipiche del vetro cellulare (fonti varie). Isolamento dall’esterno

Isolamento in intercapedine

X

X

Parete controterra 

X

X

Copertura piana ispezionabile 

X

Copertura piana pedonabile 

X

Copertura piana carrabile 

X

Copertura piana giardino 

X

Copertura a falda struttura continua 

X

Copertura a falda struttura discontinua 

X

VETRO CELLULARE

Isolamento dall’interno

Parete perimetrale  Parete interna 

Solaio sottotetto  Solaio su vespaio aerato 

X

Solaio su ambiente non riscaldato 

X

Solaio controterra 

X

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Cassero a perdere

Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

3.5

DIAGNOSTICA

NON DISTRUTTIVA PER I CONTROLLI IN

CANTIERE

La diagnostica non distruttiva è una modalità di analisi del costruito non invasiva che si rivela utile generalmente in caso di diagnosi energetica preventiva ad una riqualificazione edilizia, quando si ricerca la causa di specifici problemi da risanare in edifici esistenti e quando è necessario ottenere prove evidenti circa la qualità di una costruzione. Nel primo e nel secondo caso i test diagnostici vengono eseguiti per individuare i problemi principali dell’involucro o degli impianti e quindi rappresentano un valido supporto nella scelta delle strategie progettuali più efficienti, mentre quando si ha a che fare con edifici costruiti ex novo caratterizzati da un elevato livello qualitativo questo tipo di indagini serve a controllare l’andamento del cantiere e a rendere visibili alcune proprietà che sono vincolanti per l’ottenimento di determinate certificazioni. Nel caso degli edifici passivi, che richiedono la massima riduzione delle perdite per trasmissione e ventilazione e la risoluzione dei ponti termici, esistono test specifici che servono a valutare in modo accurato la massima riduzione delle dispersioni e la tenuta all’aria dell’involucro. Le prove non distruttive rappresentano inoltre una occasione per ridurre alcuni rischi di natura professionale per i direttori dei lavori, in quanto testimoniano il livello di qualità dei lavori eseguiti e l’effettivo comportamento energetico delle strutture. La prova principe nell’ambito degli edifici passivi è senza dubbio il blower door test, che serve a verificare la tenuta all’aria dell’involucro disperdente di un edificio. L’esame va effettuato secondo la procedura descritta nella norma tecnica UNI EN ISO 9972, che ha sostituito la norma UNI EN 13829 e descrive il metodo di misurazione della permeabilità̀ all’aria dell’involucro, il quale avviene mediante una pressurizzazione prodotta da un apposito ventilatore montato solitamente al posto di un serramento esterno. Il test consente di determinare un valore indicizzato che esprime le dispersioni per ventilazione dell’involucro tramite il numero di ricambi d’aria “spontanei” che si verificano nel corso di un’ora nel momento in cui gli ambienti vengono sottoposti ad una pressione di 50 Pascal. In una abitazione ordinaria questo valore è solitamente di 3 volumi/ora, che scendono al requisito di 0,6 volumi/ora in caso di edifici realizzati con standard passivi. La prova del blower door può essere eseguita secondo tre modalità diverse, che si effettuano in momenti differenti del cantiere e delle quali due sono normalmente impiegate nelle ultime fasi della costruzione degli edifici passivi. La prima è il test dell’involucro edilizio, altrimenti detto “metodo 2” (ex metodo B della norma UNI EN 13829), che va eseguito di norma prima di realizzare le finiture interne e richiede la sigillatura preventiva di porte, finestre e botole. Il risultato di questa prova rappresenta il numero di ricambi orari del volume di aria interna che si verificano attraverso le fessure presenti nell’involucro disperdente. Nel caso in cui essa non restituisca i risultati attesi è possibile individuare i punti di dispersione attraverso una indagine termografica e/o un generatore di fumo e correggere eventuali perdite indesiderate. Il metodo dell’edificio in uso, altrimenti detto “metodo 1” (ex metodo A della norma UNI EN 13829), è una misurazione definitiva che va effettuata soltanto quando tutte le finiture sono complete e porta alla certificazione di un risultato; in questo caso

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

prima di cominciare il test vengono chiusi gli infissi esterni, tappati sifoni e scarichi, sigillate le prese dell’impianto di ventilazione meccanica dell’intero edificio o in genere le aperture dell’aria, mentre le porte interne che separano gli ambienti riscaldati vanno tenute aperte. Durante il test gli impianti di riscaldamento con presa di aria interna devono essere spenti, come anche quelli di ventilazione meccanica e di condizionamento dell’aria.

Figura 3.5.1 - Il blower door test.

Il blower door test è un controllo strumentale che viene richiesto in fase di certificazione degli edifici passivi per determinare con precisione eventuali perdite di ventilazione a edificio terminato. Si effettua tramite un ventilatore che crea un differenziale di pressione tra interno ed esterno a cui sono collegati alcuni strumenti che misurano la differenza di pressione e l’intensità del flusso d’aria.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

La termografia a infrarosso è una tecnica di indagine non distruttiva che consente di misurare il calore irraggiato da un qualsiasi corpo, tracciandone una mappa termica colorata che si chiama termogramma e che serve ad analizzare le anomalie termiche dell’involucro. Queste ultime possono essere indicative di infiltrazioni d’aria attraverso i punti critici dello strato di tenuta o di dispersioni di calore per trasmissione, come i ponti termici o eventuali irregolarità di posa del manto isolante. Tramite la termografia è possibile inoltre controllare il funzionamento degli impianti, ad esempio dei sistemi di riscaldamento e condizionamento o degli scambiatori di calore. La norma principale che regola gli esami termografici è la UNI EN ISO 9712 “Controlli non Distruttivi (CnD)”, la quale codifica sei diverse procedure di indagine (quantitativo, comparativo e qualitativo abbinate a tecniche di sollecitazione attiva o passiva), tra le quali le analisi qualitative sono le più diffuse nel mondo edilizio. La stessa norma prevede tre diversi livelli di qualificazione del personale: l’operatore di primo livello, qualificato a effettuare correttamente l’indagine termografica e quindi a scegliere la procedura migliore in base all’obiettivo dell’analisi, quello di secondo livello, abilitato a commentare in maniera opportuna i dati rilevati, e quello di terzo livello che può svolgere attività di docenza nei corsi di formazione. In ambito edilizio la norma tecnica UNI EN 13187 (“Prestazione termica degli edifici - Rivelazione qualitativa delle irregolarità termiche negli involucri edilizi - Metodo all’infrarosso”) definisce una modalità di indagine qualitativa specifica per rilevare le irregolarità termiche degli involucri edilizi derivanti da infiltrazioni d’aria, difetti di isolamento e presenza di umidità. La norma stessa dichiara chiaramente di non essere applicabile alla determinazione quantitativa del livello di isolamento termico o di tenuta all’aria di una struttura, per i quali sono necessari altri esami (ad esempio uso del termoflussimetro e blower door test) in quanto la termografia risultante dal test consente soltanto di tradurre in semplici immagini l’andamento delle temperature superficiali e quindi eventuali dispersioni termiche associate. La procedura di effettuazione della prova va seguita considerando le specifiche d’uso della camera termografica, eventuali condizioni di utilizzo dell’impianto di riscaldamento, la presenza di una differenza di temperatura tra interno ed esterno che consenta di rilevare variazioni significative ed i fattori climatici esterni; in particolare tra ambiente interno climatizzato ed esterno ci deve essere una differenza di temperatura di almeno 10°C e non si devono verificare variazioni termiche importanti durante la misurazione in entrambe le situazioni.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Figura 3.5.2 - Termografia a servizio del blower door test.

Nel caso il blower door test non restituisca i risultati sperati, che per gli edifici passivi sono generalmente valori superiori a 0,6 volumi/ora, è necessario procedere alla ricerca delle perdite per ventilazione che hanno compromesso il risultato. Una delle tecniche idonee ad individuare i punti critici non a tenuta all’aria è l’utilizzo di una termocamera mentre si crea una sottopressione tramite il ventilatore del blower door in modo da visualizzare il flusso di aria fredda in ingresso dai suddetti punti. Nel caso si riveli necessario quantificare la temperatura superficiale esatta di un elemento ci si può avvalere di un termometro a contatto, che può essere del tipo a piastra o a sonda (quest’ultimo è utile per raggiungere punti poco agevoli). In alternativa è possibile utilizzare un pirometro, altrimenti detto termometro laser, che funziona in maniera analoga alla termocamera ad infrarossi, in quanto misura l’energia emessa dalle diverse superfici e ne definisce la temperatura superficiale in termini quantitativi. Per rilevare l’umidità di una struttura si utilizza invece l’igrometro a contatto, che consente il controllo dell’umidità superficiale dei tamponamenti opachi e quindi il rischio di insorgenza di muffa. I termometri ed gli igrometri possono essere utilizzati anche in combinazione con data logger, ovvero con sistemi che consentono il monitoraggio continuo e spesso combinato di alcuni parametri (es. temperatura, umidità relativa, flusso termico uscente, ecc.) che vanno azionati per determinati periodi di tempo in modo da ottenere risultati significativi in termini di profili di utilizzo degli ambienti o per analizzare alcuni comportamenti dinamici a carico delle strutture, come ad esempio la risalita di umidità capillare. L’esame termoflussimetrico consente di misurare in opera la trasmittanza delle strutture in base all’analisi combinata del flusso termico che le attraversa e delle temperature superficiali interna ed esterna. Il test si effettua tramite una sonda termoflussimetrica che va posizionata sul lato interno della struttura e due sensori

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

che misurano la temperatura superficiale dell’estradosso e dell’intradosso della stessa. I tre componenti effettuano misurazioni continue e contemporanee per un certo periodo di tempo a determinate condizioni (ad esempio per tre giorni con una differenza minima di temperatura tra le due facce di almeno 10°C). I valori operativi ottenuti vengono confrontati con quelli previsionali dello stato di progetto, per verificare se le prestazioni effettive della struttura corrispondono con quelle dichiarate. Questo tipo di analisi può servire per individuare e quantificare eventuali errori di posa o possibili danni all’involucro causati dai ponti termici e dall’umidità che riducono la capacità di tenuta termoigrometrica di una struttura, innescando peraltro precoci invecchiamenti che ne pregiudicano anche la durata in termini meramente temporali. L’anemometro a filo caldo è uno strumento che serve per misurare la velocità di un flusso d’aria all’interno degli ambienti; esso è molto sensibile alle basse velocità dell’aria ed è in grado di fornire anche la direzione e l’intensità del flusso d’aria. Questo strumento funziona secondo il principio per cui la perdita di calore di un corpo dipende dal flusso d’aria che lo attraversa, il quale è caratterizzato da precisi parametri (velocità, temperatura, pressione, densità, proprietà termodinamiche). Esso si presenta ideale per la verificare la corretta posa in opera di componenti essenziali dell’edificio, come serramenti, canne fumarie e prese elettriche, o per la determinazione dell’entità delle perdite per ventilazione individuate attraverso un blower door test.

Figura 3.5.3 - L’uso dell’anemometro a filo caldo.

L’anemometro a filo caldo può servire per quantificare la velocità del flusso d’aria in ingesso. Il test riassunto nelle ultime tre immagini è stato realizzato nella fase di collaudo della abitazione Magnanelli realizzata e Montescudo (Ravenna) su progetto dello studio Benedikter targato CasaClima Oro Nature.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Tabella 3.5.1 - Strumenti e tecniche non distruttivi usati in cantiere (fonti varie).

TECNICA

DESCRIZIONE

STRUMENTO

Blower door test (talvolta associato a termografia o macchina del fumo)

PRO Fornire informazioni accurate sulla presenza e la localizzazione di perdite per ventilazione

CONTRO In funzione del flusso d’aria, potrebbero essere necessari più di uno strumento per definire le perdite

Tenuta all’aria

Permeabilità all’aria dell’involucro e localizzazione delle perdite

Termografia

Valutazione della continuità di posa del materiale isolante, rilevazione e misurazione delle Termocamera ad irregolarità e dei infrarossi ponti termici, localizzazione delle perdite dello strato di tenuta all’aria

Non è efficace per tutto il corso dell’anno. Il risultato Consente di valutare della termografia le perdite di energia deve essere per trasmissione analizzato attraverso le strutture contestualmente ad edilizie ed il sistema una valutazione dei di distribuzione materiali impiegati, termico dei parametri termici e degli effetti legati alla conformazione del contesto

Flusso termico

Valutazione “in situ” della trasmittanza effettiva degli elementi disperdenti opachi

Termoflussimetro e sensori di temperatura

Restituisce valori reali

Non è possibile effettuare misurazioni in tutte le stagioni

Co-heating test

Valutazione delle perdite termiche per trasmissione e ventilazione

Riscaldatori elettrici equipaggiati con termostati Sensori di temperatura ed umidità relativa Contatore di kWh

Elimina le variabili associate al comportamento degli occupanti

Accesso non consentito durante il test che si può condurre soltanto durante la stagione invernale

Tutte le prove, riassunte nella in Tabella 3.5.1, devono essere effettuate da operatori preparati, che conoscano le corrette procedure di utilizzo dello strumento impiegato e che usino strumenti tarati correttamente. I rilievi vanno fatti in ogni caso evitando opportuni condizionamenti meteoclimatici. Alla fine della prova è necessario farsi consegnare dal tecnico che le ha effettuate una relazione in cui siano riportati sia i dati delle diverse campagne di misurazione che l’interpretazione dei risultati in funzione dell’obiettivo specifico per cui è stata effettuata la prova.

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AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

3.6 VALUTAZIONE

DELLA CONVENIENZA ECONOMICA

La costruzione di un edificio passivo non si basa soltanto sull’obiettivo di ottenere ambienti di vita salubri e confortevoli, ma comporta anche un investimento economico capace di ottenere nel lungo periodo tassi di interesse vantaggiosi grazie al risparmio dei costi di gestione. A livello finanziario vi sono diversi strumenti utili per valutare la convenienza dei sovracosti di costruzione richiesti da questo tipo di edifici che si devono basare sulla attualizzazione dei risparmi ottenibili nel futuro la quale permette di rendere omogenei, rispetto al fattore tempo, le spese ed i guadagni associati dal progetto. La convenienza economica di un intervento edilizio si valuta generalmente tramite un’analisi costi-benefici, un metodo oggettivo che serve a stimare gli effetti derivanti da un investimento e che assume un grado di attendibilità conseguente all’attendibilità dei dati di ingresso. Da questa previsione si ottengono una serie di indici di convenienza che permettono di raffrontare la somma di denaro investito, nel nostro caso il sovracosto dell’edificio passivo rispetto ad uno analogo ma costruito rispettando i parametri minimi imposti dalla legge, con i benefici economici che esso è in grado di generare in virtù di un maggiore livello di risparmio energetico, parametrandoli allo stesso grado temporale. Questi sovracosti si riferiscono in genere al tipo e allo spessore addizionale di isolamento termico richiesto per il raggiungimento di standard passivi, alla differenza di prezzo tra serramenti ordinari che soddisfano i parametri massimi richiesti per legge e quelli in genere più prestanti che caratterizzano questi edifici, al costo della tenuta all’aria, ad eventuali sistemi impiantistici supplementari, consulenze, simulazioni, test e certificazioni. Nel caso in cui il progetto passivo, soprattutto in ambito impiantistico, comporti un risparmio nei costi di realizzazione, l’importo andrà sottratto al sovracosto che si sta considerando. Al sovracosto totale andranno sommate anche le spese di esercizio e di manutenzione ed in certi casi anche quelle di dismissione dei materiali richiesti dal progetto passivo rispetto a quello ordinario. Negli edifici passivi i costi di esercizio sono di solito inversamente proporzionali all’investimento iniziale e la loro stima comporta difficoltà connesse alla scarsa disponibilità dei dati storici e all’evoluzione temporale dei costi d’uso (variazioni normative, variazione dei costi e delle tariffe, etc.). Una volta definiti i sovracosti, che generalmente oscillano tra il 3 ed il 10%, si passa alla valutazione dei benefici attesi, che vanno previsti in funzione del periodo temporale più adatto al caso, il quale dipende dalla vita attesa dell’edificio o dei componenti che si stanno considerando nell’analisi, ma che in genere è consigliato in 30 anni. Il riferimento temporale dell’analisi dovrebbe rimanere comunque all’interno della forbice compresa tra i 20 ed i 50 anni.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Figura 3.6.1 - Distribuzione delle diverse voci di costo durante la vita di un componente edilizio.

La vita utile di un edificio, o anche di un componente edilizio, è abbastanza lunga e per questo motivo le valutazioni economiche legate al calcolo della convenienza di un investimento in efficienza energetica devono essere gioco forza a lungo periodo.

Tabella 3.6.1 - Durata di vita utile per tipologia di intervento. COMPONENTI EDILIZI INVOLUCRO DISPERDENTE

IMPIANTISTICA

ANNI

Isolamento termico di superfici opache disperdenti

30

Serramenti delimitanti ambienti disperdenti

30

Sistemi di schermatura o ombreggiamento fissi

30

Impianti di riscaldamento con generatori a condensazione, a pompa di calore, biomassa

15

Collettori solari termici

15

Scaldaacqua a pompa di calore

15

Sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore

15

Sistemi BACS di automazione per il controllo la regolazione e la gestione delle tecnologie dell’edificio e degli impianti termici

10

Corpi illuminanti

8

Sistemi di regolazione e controllo illuminazione

10

Impianti fotovoltaici

20

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Ogni componente dell’edificio presenta una diversa vita utile, che in genere si rivela più estesa per gli elementi che definiscono l’involucro opaco se considerati rispetto agli impianti. Questo è uno dei motivi per cui gli edifici passivi, che puntano sull’isolamento termico per ridurre la quantità e la taglia dell’impiantistica installata, si rivelano competitivi a livello economico nel lungo periodo. Nel caso vanno considerati i costi di gestione ed eventualmente i costi di manutenzione e sostituzione di impianti obsoleti.

Tabella 3.6.2 - Input di base per la valutazione della convenienza economica degli investimenti in efficienza energetica. Periodo da considerare

20 anni

Con tasso di interesse costante

Durata dei componenti

15 -20 anni

Impiantistica

Durata dei componenti 

30 anni

Serramenti

Durata dei componenti

30 -50 anni

Isolamento termico

La valutazione della convenienza economica degli interventi si basa sui tassi di interesse reale e si riferisce al lungo periodo. Nella tabella sono indicati gli orizzonti temporali medi consigliati nella valutazione dell’investimento di una casa passiva. Oltre ai metodi analizzati nei paragrafi successivi, esiste anche la procedura di valutazione economica dei sistemi energetici degli edifici contenuta nella norma tecnica UNI EN 15459, che fornisce un metodo di calcolo degli aspetti economici dei sistemi di riscaldamento e di altri sistemi che determinano la domanda e il consumo di energia dell’edificio. Essendo però questo metodo stato ideato per valutare soprattutto le prestazioni economiche inerenti interventi sugli impianti, esso non si rivela particolarmente adatto per edifici come quelli passivi in cui l’efficienza è basata soprattutto su quelli legati all’involucro. Può essere usato tuttavia per valutare la fattibilità economica di opzioni di riqualificazione energetica.

3.6.1 Tempo di ritorno attualizzato Il tempo di ritorno attualizzato è un metodo di calcolo che considera il numero degli anni necessari a recuperare l’investimento iniziale e che, al contrario di quello semplice, attualizza i flussi di cassa futuri (la differenza tra le entrate e le uscite) attraverso l’introduzione dei tassi di interesse e di inflazione. Pur rimanendo un valore di facile comprensione per i non addetti ai lavori, esso tiene conto del valore finanziario nel tempo e del costo del capitale. È uno strumento utile per effettuare confronti tra più progetti, ma presenta alcune difficoltà tra cui l’individuazione del tasso di aumento del prezzo dell’energia e del tasso di sconto più opportuno.

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La formula da usare per calcolarlo è:

dove: TRA I0 FC i f

= tempo di ritorno attualizzato; = investimento; = flusso di cassa; = tasso medio di interesse bancario; = tasso di inflazione (che può essere sostituito da b, tasso di aumento dei costi energetici).

3.6.2 Valore attuale netto Il valore attuale netto (VAN) è un metodo di stima economica che si basa sul principio per cui un investimento merita di essere preso in considerazione solo se i benefici che ne possono derivare sono superiori alle risorse utilizzate. Esso consente di quantificare il risparmio accumulato in un determinato numero di anni presi come riferimento rappresentando la ricchezza incrementale generabile da un investimento, espressa come se fosse immediatamente disponibile. In altre parole il VAN consente di determinare il valore iniziale netto di un progetto d’investimento e quindi di calcolare la successione dei ricavi per un numero stabilito di anni, attualizzandone il totale per poterlo detrarre dai costi attuali. Affinché l’investimento sia ritenuto accettabile, è necessario che la cifra risultante entro il periodo temporale preso in considerazione sia maggiore di zero. Nel caso si riveli necessario confrontare diverse opzioni progettuali, quella migliore dal punto di vista economico sarà quella caratterizzata dal valore più elevato. Si tratta di un indice assoluto che si riferisce alla intera vita utile del progetto e si rivela adeguato in caso di misure di intervento complesse, caratterizzate da costi iniziali significativi e risparmi protratti nel futuro, in quanto a parità di redditività privilegia gli investimenti di maggiori dimensioni. La formula usata per calcolare il VAN è la seguente:

dove: FC FA C0 i n

= flusso di cassa; = fattore di annualità (vita equivalente dell’intervento che dipende dalla vita fisica dell’intervento e dal tasso d’interesse); = costo iniziale dell’intervento; = tasso di interesse; = durata in cui l’intervento mantiene la sua validità (durata del componente).

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Esiste una versione specifica della formula da applicare in caso di risparmio energetico:

dove: C0 = costo iniziale dell’intervento; Pj = prezzo dell’energia; Qj = quantità fisica di combustibile risparmiata nell’anno; I = tasso di interesse depurato dal tasso di inflazione e dalla deriva; n = durata in cui l’intervento mantiene la sua validità. Questo strumento di valutazione economica dipende fortemente dall’orizzonte temporale prescelto e comporta la conoscenza di variabili economiche sia esplicite (costo del capitale ed importo dell’investimento, tasso di attualizzazione) che implicite (efficienza energetica degli impianti, rendimenti di combustione, ore di funzionamento, spese di manutenzione, costo del combustibile, etc.) , le quali devono essere espresse attraverso dati attendibili che è necessario derivino da una accurata analisi tecnica, che a loro volta vanno combinati con ipotesi ragionevoli e cautelative sull’andamento futuro del costo del capitale e dei prezzi. Il prezzo dell’energia deve essere stimato in funzione di un aumento medio previsto per il periodo considerato, mentre il lasso di tempo deve essere determinato in funzione della durata media dei componenti che vengono impiegati. È importante ricordare che nel caso del calcolo della convenienza di un edificio passivo rispetto ad un progetto ordinario bisogna escludere dalla spesa iniziale tutti i costi correlati al risparmio energetico che si dovrebbero comunque spendere per rispondere ai parametri di consumo che ci vengono imposti dalla legge o, nel caso di ristrutturazione, per la sostituzione dei componenti che sono giunti a fine vita e che andrebbero comunque sostituiti. Da questi calcoli si può derivare il tasso interno di rendimento, che rappresenta il tasso di attualizzazione che rende identici i flussi negativi (spese) e quelli positivi (guadagni) e rappresenta il minimo dei tassi che rende nullo il VAN ovvero il valore limite del tasso di interesse che un progetto può consentire per garantire una minima convenienza economica. Il tasso interno di rendimento viene frequentemente utilizzato come “tasso soglia” per stabilire la profittabilità degli investimenti sia rispetto al costo del capitale da investire che a riguardo dei tassi di rendimento alternativi (se si utilizza capitale proprio). Lo stesso però non rappresenta un parametro di valutazione affidabile nel caso in cui il costo di investimento nelle prime fasi è elevato e si riduce nelle fasi avanzate di progetto. 3.6.3 Indice di profitto L’indice di profitto è rappresentato dal rapporto tra il VAN e il valore dell’investimento iniziale e permette di compiere valutazioni e confronti più affidabili e completi rispetto ai due valori presi singolarmente.

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

Si tratta di un parametro di valutazione che completa il VAN e che dovrebbe presentare un valore maggiore del 50 – 60% per indicare una convenienza economica. Esso può essere interpretato come un indice di rischio, poiché correla il profitto più probabile (al numeratore) con l’investimento corrispondente (al denominatore), che rappresenta il limite massimo della perdita.L’indice di profitto si rivela utile utile quando si è di fronte a più interventi possibili caratterizzati da VAN positivi e nel frattempo manca una copertura finanziaria sufficiente a realizzarli tutti. In questi casi calcolando i rispettivi indici, si può stabilire una graduatoria di convenienza nella quale la scelta migliore si rivela quella caratterizzata dal valore più elevato. 3.6.4 Costo dell’energia risparmiata Questo parametro rappresenta il costo netto speso per ridurre l’energia consumata di una unità (kWh) e si basa sul calcolo del costo totale annuo equivalente, ovvero sulla somma dei costi di manutenzione e di gestione annui attualizzati e sommati al costo dell’investimento iniziale; da tale spesa viene poi sottratto il valore monetario del risparmio energetico conseguibile con le misure adottate. Si tratta di un metodo attualizzato, che tiene conto quindi della durata complessiva dell’investimento riportando i valori al tempo presente, e nel contempo semplificato, poiché non considera né la variabilità del prezzo del combustibile né il tasso di sconto associato all’investimento. Esso si calcola applicando la formula seguente: dove: C0 n R1

C = C0/( n * R1 ) = € / kWh

= costo iniziale dell’intervento; = durata dell’intervento; = energia risparmiata annualmente in modo costante per tutta la durata di vita dell’intervento. Per una valutazione del livello di economicità dell’investimento si deve confrontare il valore del costo dell’energia risparmiata con il costo effettivo dell’energia. In caso di ristrutturazione, o per valutare il prezzo dell’energia risparmiata legato ad un intervento di risparmio energetico più spinto rispetto al minimo richiesto per legge, quale può essere il caso di un edificio passivo, è possibile applicare la seguente formula: PRISP = a * (Iagg – R) +Z €/kWh < P dove: P PRISP a Iagg R Z

= prezzo unitario dell’energia mediato sulla durata dell’utilizzo; = prezzo unitario dell’energia risparmiata mediato sulla durata dell’utilizzo; = fattore di annualità, = costi aggiuntivi per il risparmio energetico; = valore residuo del componente dopo il periodo in oggetto (riferito ai soli costi aggiuntivi); = possibili costi aggiuntivi annuali (es. manutenzione).

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Capitolo 3 - Gli strumenti per la progettazione

I costi aggiuntivi si possono a loro volta definire in funzione delle formule seguenti: Spese medie annuali fisse senza interventi di risparmio: K0= P*E0 € Spese medie annuali fisse con interventi di risparmio: KS= a * (Iagg – R) + P*Es+Z dove: E0 = consumo annuale di energia senza gli interventi di efficientamento; ES = consumo annuale di energia dopo gli interventi di efficientamento effettuati. Di norma il costo equivalente dell’energia risparmiata è compreso tra 1 e 4,6 centesimi di euro per kWh, almeno nei casi di spessori di coibente dell’ordine di quelli impiegati negli edifici passivi. La variazione dipende dall‘elemento costruttivo e dal tipo di costruzione (cfr. Final Report: Evaluation of energy-relevant requirements in view of increasing energy prices for EnEv and KfW funding, PHI giugno 2008). Tale valore va poi confrontato con la spesa per kWh delle diverse forme energetiche presenti nell’edificio.

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EDIFICI RIGENERATIVI

Nelle prossime pagine verranno illustrati alcuni esempi di edifici per abitazione realizzati negli ultimi anni in Italia da parte di progettisti ed imprese che, anche grazie alla lungimiranza dei committenti, hanno deciso di confrontarsi con materiali naturali e con le relative tecniche costruttive più o meno consolidate, ottenendo risultati significativi anche dal punto di vista del consumo energetico a costi ragionevoli. Alcuni sono partiti concordando deliberatamente con il cliente la costruzione di un edificio passivo, altri erano stati incaricati di costruire edifici sani con materiali vegetali e sono arrivati a realizzare manufatti che spesso consumano meno energia di quanto prospettato in fase progettuale avvicinandosi agli standard passivi. Non tutti gli edifici illustrati nel presente capitolo presentano la totalità dei requisiti o delle strategie progettuali necessarie ad ottenere la certificazione di edificio “passivo”. Fra questi alcuni progettisti selezionati non credono che la tenuta all’aria sia una soluzione opportuna e/o non hanno installato alcun impianto di ventilazione meccanica controllata, ma se si fossero adottate queste soluzioni sicuramente i loro progetti avrebbero soddisfatto tutti i parametri richiesti. La maggior parte dei proprietari di queste abitazioni ha scelto di non certificare la propria casa secondo i protocolli citati nelle pagine precedenti semplicemente perché in veste di committenti e futuri abitanti hanno seguito gli edifici fin dalla nascita e sono stati accompagnati durante il cantiere da progettisti, direttori dei lavori e consulenti qualificati, per cui non ne hanno sentito il bisogno. Ciò che accomuna tutti gli edifici selezionati in questa sede è lo sforzo congiunto dei loro progettisti (e committenti) di realizzare edifici confortevoli a basso consumo energetico quasi esclusivamente con materiali naturali rinnovabili, ovvero di adottare un approccio rigenerativo. Tutti i casi proposti sono stati realizzati in Italia, per dimostrare che ormai l’architettura rigenerativa è una realtà possibile anche nel nostro paese dove abbiamo già a disposizione prodotti e soluzioni tecnologiche adeguate e in molti casi quasi a km zero. Un ultimo requisito su cui si è basata la selezione dei progetti è stato l’aspetto estetico perché la scelta di costruire un edificio con materiali naturali può non limitarsi a considerare l’aspetto edilizio e può accompagnarsi alla volontà di fare architettura. Realizzare edifici accattivanti, capaci di arricchire il paesaggio con la loro presenza, è un valore aggiuntivo che tra le altre cose può contribuire a comunicare in maniera più incisiva la necessità di intraprendere questa nuova evoluzione del concetto di sostenibilità. Quando progettista e committente hanno ben chiari in mente i valori che ispirano i progetti e gli obiettivi che vogliono raggiungere, c’è una buona probabilità che

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

l’esperienza progettuale si concretizzi in senso positivo non solo a livello di benessere abitativo ma anche dal punto di vista estetico. Anche se la bellezza è considerata un argomento soggettivo, una serie di ricerche ha dimostrato come essa produca una esperienza emozionale nell’osservatore capace di migliorarne il senso di benessere e per questo motivo è stata inserita come parametro da considerare in alcuni dei più recenti protocolli di valutazione della qualità ambientale del costruito. L’architettura rigenerativa propone di ispirarsi al funzionamento ed ai valori della natura, tra i quali indubbiamente troviamo anche la bellezza. Quante volte abbiamo ammirato un fiore, una conchiglia o il corpo umano per l’armonia delle loro forme? La maggior parte del mondo vegetale ed animale cresce e si sviluppa seguendo una regola matematica universale, quella della sezione aurea, che è stata chiamata dagli antichi “divina proportione” e che ritroviamo anche negli edifici dell’architettura classica, come anche nelle opere di Leonardo da Vinci o di Le Corbusier, oltre che in tutti i prodotti di Apple per citare un esempio di design contemporaneo. La bellezza e l’armonia delle forme sono insite nella natura; esse non sono valori inutili o superflui ma corrispondono ad una esigenza primaria dell’uomo, che purtroppo tanta edilizia negli ultimi decenni ha disatteso nel nome dell’economia. La cementificazione incontrollata dell’ambiente naturale, la trasformazione o l’abbattimento senza scrupoli di esempi di architettura vernacolare e lo svilimento estetico di buona parte dell’edilizia contemporanea sono esempi che testimoniano il disinteresse verso il valore della bellezza. Nonostante ciò esistono persone che hanno acquisito la consapevolezza della necessità di cambiare la rotta del proprio stile di vita e di assumere comportamenti più orientati verso la tutela dell’ambiente anche perché si sono trovate infastidite dalla bruttezza del paesaggio che le circonda. Ciò dimostra che un rinnovato senso estetico, in quanto bisogno primario, può essere uno degli elementi trainanti della svolta rigenerativa che dovrà interessare tutti i comparti produttivi e che è necessaria per garantire un futuro rigoglioso alle prossime generazioni. In architettura il concetto di bellezza non si riferisce soltanto all’aspetto estetico, ma è una felice combinazione di aspetti funzionali, tecnici ed estetici. Basta pensare a come la natura stessa riesce a coniugare questi aspetti tra loro differenti utilizzando la minima quantità di materiale indispensabile per far funzionare i diversi processi che la caratterizzano e riutilizzando continuamente eventuali sfridi in nuove forme affichè nulla vada sprecato. “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, per citare Lavoisier. L’estetica dell’architettura rigenerativa, ispirandosi alle regole della natura, si deve basare sulla misura dei gesti, su un consumo oculato di materiali ed energie, sulla massimizzazione dell’utilità e delle funzionalità, sulla responsabilità sociale e sul rispetto dell’ambiente inteso non soltanto come diminuzione dell’impronta ambientale ma anche come felice inserimento nel paesaggio circostante, oltre che sulle emozioni e sulle percezioni sensoriali che gli edifici sono in grado di evocare. Non bisogna dimenticare che le forme architettoniche che costruiamo sono legate al paesaggio ed al territorio, oltre che al clima in cui si inseriscono, e che il fatto di costruire con materiali locali e naturali può solo aumentarne il valore. E che mentre le risorse da impiegare talvolta sono limitate, la bellezza e la creatività non lo saranno mai.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

4.1

CASA UD -

RESTAURO DI UN EDIFICIO CON PAGLIA, LEGNO

E PIETRA A

CHAMOIS (AO)

4.1.1 Scheda progetto • • • • •

• • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Restauro di un edificio residenziale Località: località “La Ville” - Chamois (AO) Anno di costruzione: 2017 (11 mesi di cantiere) Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Studio Tiziana Monterisi Architetto (arch. Tiziana Monterisi, arch. Elia Sbaraini, arch. Francesco Bordogni, Simone Bruni, Sara Crotta, Dario Zordan, Simona Totaro), ing. Marco Vismara Progettista/consulente termotecnico: geom. Mantovani Andrea Progettista impianti: Studio Tiziana Monterisi Architetto Imprese di costruzione: Novello Case Srl, Vertalpina snc, Legolegno, Hausplus Italia Costo di costruzione (€/m2): circa 3000 Tipologia di costruzione: struttura portante in legno e telai prefabbricati in legno e paglia di riso Materiali utilizzati: paglia di riso, argilla, legno di larice, vetro cellulare Superficie utile netta riscaldata: 116 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 7,91 kWh/m2 anno Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: Edilclima Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: -

Figura 4.1.1 - Il fronte principale dell’edificio di Chamois.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

4.1.2 Descrizione del progetto Il progetto riguarda un edificio residenziale costruito sui resti di un rustico in pietra e risalente al 1834. L’immobile fa parte di un corpo allungato che comprende anche un’altra proprietà, con cui confina sul fronte Nord. Il prospetto principale è totalmente esposto a Sud e presenta due grandi aperture per ogni piano, mentre i fronti Ovest ed Est hanno poche aperture di piccole dimensioni. I muri originari della costruzione erano a doppio paramento in pietra riempito con pietrame e sono stati originariamente messi in opera a secco o con malta di calce. Essi rappresentavano la struttura portante dell’edificio, sulla quale poggiavano i solai e la copertura in legno rivestita in lose estratte a spacco provenienti da cave locali. L’insieme delle scelte formali e materiche del progetto di riqualificazione sono state dettate dalla volontà di reinterpretare la tradizione utilizzando i materiali originari in chiave moderna. Il rivestimento esterno in pietra locale a spacco, il ballatoio e gli elementi frangisole in legno utilizzati sul prospetto principale rimandano agli archetipi dell’architettura tradizionale alpina e integrano l’edificio con i corpi adiacenti e con il borgo esistente. L’edificio è distribuito su tre livelli. Al piano terreno l’ingresso principale porta ad una zona living, dotata di angolo cottura e di un bagno di servizio, dove si concentra la maggior parte della attività e si trova l’unico generatore di calore della casa, una stufa a legna utilizzata principalmente per cucinare. La scala è stata prevista a Nord, sull’unico lato cieco, per massimizzare l’apporto solare negli ambienti principali. Al piano primo si trovano la camera padronale e un bagno ed al piano secondo due camere da letto e un ulteriore servizio igienico. Prima dei lavori il corpo di fabbrica originario versava in condizioni statiche precarie, causate dallo stato di abbandono e da importanti infiltrazioni di acqua, per cui si è reso necessario procedere con la demolizione delle strutture verticali che erano completamente slegate tra loro, le cui pietre sono state recuperate per essere poi riutilizzate nel nuovo rivestimento esterno. Le fondazioni sono state interamente ricostruite e integrate con una serie di strutture di rinforzo in adesione all’edificio adiacente. La struttura in legno del nuovo corpo di fabbrica è stata messa in opera partendo da un binario di travi in larice, che separa la stessa dalle fondazioni costituendo una cordolatura piana e stabile che sta alla base dei telai prefabbricati in legno e paglia di riso, i quali costituiscono l’involucro opaco, la cui massa termica favorisce un naturale controllo microclimatico interno. Questi elementi a telaio misurano 41 cm di spessore e risolvono strutturalmente ed energeticamente la totalità della parte opaca esterna della costruzione, ovvero tetto, pareti e solai e sono stati montati in soli quattro giorni. A causa dell’impossibilità di raggiungere il cantiere con i tradizionali mezzi di trasporto, la maggior parte di essi è stata trasportata in loco in elicottero. Il rivestimento esterno è stato realizzato con le pietre ricavate dalla demolizione, che sono state montate ad una distanza di circa 6 cm dai telai che definiscono la nuova struttura muraria in modo da realizzare una sorta di parete ventilata, e allontanare così eventuale umidità che si potrebbe formare in uscita dall’involucro. La stessa intercapedine è stata riempita con argilla granulare sul fronte Nord, nei punti in cui è a

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

contatto con l’edificio adiacente. I prospetti Est e Ovest sono stati isolati a livello del piano terreno con un cappotto esterno in vetro cellulare al fine di proteggere maggiormente la parte interrata; inoltre è stato creato un vespaio con ghiaione su tutto il perimetro, per far sì che eventuale neve in scioglimento non possa creare danni. Le grandi vetrate a Sud, in parte fisse e in parte apribili, consentono un dialogo tra gli ambienti interni e lo splendido panorama della valle e nel contempo permettono un ottimo sfruttamento dell’apporto solare, che viene ottimizzato sfruttando la massa importante delle strutture. I serramenti sono a triplo vetro, in cui la doppia vetrocamera è riempita con gas argon e i vetri sono caratterizzati da un trattamento basso emissivo. Questi componenti sono certificati dal Passive Haus Insitut PH in classe “A” e caratterizzati da una trasmittanza complessiva Uw di 0,65 W/m2 K, mentre la trasmittanza della parte vetrata Ug è di 0,50 W/m2 K. Il fabbricato non necessita di alcun sistema di riscaldamento a parte la stufa usata per cucinare; anche l’impianto di climatizzazione estiva è assente. Per l’impiantistica elettrica, idraulica e gli scarichi fognari è stata predisposta un’unica uscita dall’involucro verso l’esterno al fine di minimizzare le perdite di ventilazione e i ponti termici di questo tipo. La canna fumaria è stata collocata all’esterno, proteggendo la struttura in legno e predisponendo un vano tecnico ventilato e ispezionabile. È presente infine un impianto fotovoltaico, installato in un luogo separato dall’edificio, che funziona come fonte principale per la produzione di energia elettrica.

Figura 4.1.2 - Il progetto dello studio Tiziana Monterisi Architetto prevede una distribuzione degli spazi su tre piani. Segue Figura 4.1.2

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

Figura 4.1.2

Figura 4.1.3 - Il corpo di fabbrica originario oggetto di intervento.

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Figura 4.1.4 - Un particolare degli elementi frangisole in legno che caratterizzano l’edificio.

Figura 4.1.5 - L’interno di una delle due stanze all’ultimo piano, rivestita come tutta l’unità abitativa con materiali naturali.

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4.2

CASA SCL - ABITAZIONE VICENZA

ELEMENTARE IN LEGNO E PAGLIA

A

4.2.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Nuova costruzione di abitazione unifamiliare Località: Vicenza Anno di costruzione: 2016 (8 mesi di cantiere) Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Jimmi Pianezzola Architetto Progettista/consulente termotecnico: Alberto Tomasi Progettista impianti: Alberto Tomasi Impresa di costruzione: Casalogica Srl Costo di costruzione (€/m2): 1500 €/m2 Tipologia di costruzione: sistema a telaio strutturale in legno lamellare e tamponamenti in balle di paglia Materiali utilizzati: paglia, legno di larice, calce Superficie utile netta riscaldata: 98,4 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 12,3 kWh/m2 anno Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: test dell’umidità relativa della paglia

Figura 4.2.1 - Il fronte privato dell’abitazione.

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4.2.2 Descrizione del progetto Il progetto parte da due esigenze irrinunciabili espresse da parte della committenza: costruire una casa da abitare all’insegna della privacy e dell’economia, intesa non soltanto in senso finanziario ma anche come impiego di materiali semplici e naturali e caratterizzata da un disegno semplice ed armonico ma non banale. Il lotto a disposizione per il progetto confina su due lati con un parcheggio e con una strada piuttosto trafficata, una collocazione che ha richiesto una soluzione particolare nel pensare una abitazione dotata di un portico e di uno spazio giochi in cui passare del tempo in famiglia al lontano da sguardi indiscreti. Il percorso progettuale seguito dall’architetto Pianezzola per rispondere a queste esigenze è partito dall’immagine archetipica della casa, un semplice rettangolo coperto da un tetto a falde, che è stata reinterpretata attraverso la definizione di una grande copertura ruotata di 180° in modo da ottenere due portici ed un patio protetti dalla vista esterna attraverso lo stesso corpo di fabbrica, oltre che di due importanti timpani sui fronti Est ed Ovest che caratterizzano l’immagine dell’edificio e lasciano entrare la luce negli ambienti interni in modo diffuso. Il patio privato è stato orientato verso Sud per far permeare la luce all’interno della zona giorno a doppia altezza ed è stato realizzato nella forma di un bacino riempito di ciottoli, utile per lo smaltimento dell’acqua piovana, la micro-climatizzazione del giardino e l’utilizzo di acqua recuperata a fini irrigui. Su questo affaccio si apre la maggiore superficie finestrata dell’edificio, attraverso la quale il calore e la luce del sole entrano in modo adeguato anche grazie alla conformazione del patio e delle murature che lo delimitano, disegnate specificatamente per ridurre la domanda di energia per la gestione dell’edificio. L’ingresso, i servizi e la scala che porta al piano superiore sono concentrati al centro del corpo di fabbrica in quanto richiedono un minore uso di luce naturale, mentre a Est e a Nord si aprono le finestre delle camere da letto. Una parte del sottotetto è rivestita in legno ed allestita a sala giochi e funziona al bisogno anche da camera per gli ospiti. La struttura dell’edificio si risolve in un telaio di legno tamponato con ballette di paglia impiegate come mattoni, le quale sono state rivestite con intonaci a base di calce e canapa, utilizzando quindi materiali semplici in modo economico come richiesto dai committenti. Il soffitto è rivestito interamente, senza soluzione di continuità tra interno ed esterno, da tavole in legno naturale che alleggeriscono visivamente il grande sporto di copertura in modo da rendere evidente la presenza del materiale principe della costruzione. Il legno, usato anche per i serramenti a tutt’altezza che caratterizzano anche il timpano, si contrappone al bianco candido scelto per alleggerire la figura dell’edificio, che per contrasto ne sottolinea la presenza. Il risultato è un edificio caratterizzato da un contenuto molto ridotto di “energia grigia” e da una domanda di energia per la gestione dell’edificio talmente bassa da potersi permettere di riscaldare l’intero spazio con una semplice stufa a legna, evitando l’allacciamento alla rete del gas. Questo risultato è stato ottenuto non solo grazie al potere isolante della paglia ma anche in virtù di un attento studio bioclimatico dell’edificio, il cui profilo è stato disegnato per fare entrare il calore del sole nei momenti più opportuni dell’anno e per proteggere l’abitazione dai venti prevalenti provenienti da Sud Ovest. La produzione di acqua calda è affidata ad una pompa di

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calore dotata di un serbatoio d’accumulo, che è alimentata da una serie di pannelli fotovoltaici montati in copertura i quali coprono anche buona parte del consumo di elettricità dell’abitazione.

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Figura 4.2.2 - La pianta del piano terreno.

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Figura 4.2.3 - L’ingresso sul lato Ovest dell’edificio.

Figura 4.2.4 - Il patio a Sud su cui si apre il soggiorno.

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Figura 4.2.5 - Il soggiorno-cucina a doppia altezza.

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4.3 ABITAZIONE IN LEGNO, LAVAGNO (VR)

PAGLIA E CALCECANAPULO A

4.3.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Nuova costruzione unifamiliare Località: Lavagno (VR) Anno di costruzione: 2019 Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Architetto Paolo Boni Progettista/consulente termotecnico: Studio Nobo Progettista impianti: Studio Nobo Impresa di costruzione: CaseBio S.r.l. Costo di costruzione (€/m2): Tipologia di costruzione: telaio in legno con murature in paglia e calce-canapa Materiali utilizzati: telaio in legno, ballette in paglia, intonaco in calce canapa, laterocemento e cemento armato, vetro cellulare, struttura in ferro zincata Superficie utile netta riscaldata: 215 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 4,51 kWh/m² anno Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: EnergyPlus Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: -

Figura 4.3.1 - L’edificio visto da Sud Ovest.

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4.3.2 Descrizione del progetto L’intenzione iniziale del progetto, concordata con il committente, era la costruzione di un edificio caratterizzato da consumi estremamente ridotti e realizzato con materiali naturali il più possibile derivanti da eccedenze agricole. La forma del corpo di fabbrica, un semplice parallelepipedo a due piani, riporta pedissequamente le proporzioni bioclimatiche ideali per questa zona della Valpadana. Al volume è stato addossato un telaio metallico in buona parte rivestito da elementi in alluminio con lo scopo di creare terrazzi e balconi di proporzioni differenti, calibrati anche in funzione del tipo di ombreggiamento che possono offrire su ogni fronte, e nel contempo conferire una precisa identità alla costruzione il cui aspetto tradisce la natura dei materiali con cui è stato costruito. La configurazione degli aggetti disegna una maschera degli ombreggiamenti che è stata preventivamente simulata per stimare la riduzione della domanda di raffrescamento; in funzione di questa analisi le finestre più esposte sono state dotate di veneziane esterne azionate automaticamente. La planimetria ha previsto un volume interrato interamente isolato lungo il perimetro corrispondente alla sagoma dell’edificio, un piano terreno risolto in un unico ambiente cucina/pranzo/soggiorno aperto sul fronte Sud e sul portico creato ad Ovest ed un piano primo, dove le camere da letto sono ugualmente aperte a mezzogiorno, affacciate su un ballatoio che serve anche ad ombreggiare le finestre al piano inferiore. Il fronte Est è completamente cieco, protetto da una intercapedine realizzata con la struttura metallica che funziona da spazio tampone, mentre a Nord sono state previste due piccole finestre che corrispondono ai due bagni che sono stati impilati uno sopra l’altro. Lo stesso orientamento è stato scelto anche per la scala e per lo spazio dedicato alla cucina. Lo scheletro dell’edificio è composto da una struttura intelaiata in legno realizzata con elementi da 12 cm e tamponata verso l’esterno con un muro isolante continuo di ballette in paglia da 35 cm. La composizione è stata studiata in modo da minimizzare i ponti termici legati alla discontinuità di materiale ed il tutto è stato stabilizzato lateralmente da una rete rigida in fibra di vetro per evitare la necessità di ulteriori strutture. Questa stratigrafia è rinchiusa su entrambi i lati da uno strato in calcecanapulo di circa 10 cm, rivestito a sua volta da calce idraulica, che contribuisce ad aumentare l’inerzia termica della struttura. La copertura piana ventilata, realizzata analogamente con paglia e calcecanapulo, è stata rivestita con un tetto verde estensivo che ne incrementa ulteriormente l’inerzia termica, migliorando il comportamento estivo dell’edificio. L’impiego di questi di materiali e di stratigrafie inconsuete ha portato i progettisti a determinarne le stratigrafie, la deteriorabilità e la necessità di manutenzione in maniera preventiva attraverso una serie di simulazioni dinamiche. L’attenzione alle regole della bioclimatica e la composizione dell’involucro hanno consentito una riduzione della domanda di energia per la climatizzazione invernale ed estiva in misura tale da rispondere a queste esigenze tramite un impianto di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore, che è stato equipaggiato di batterie di post-riscaldamento e di post-raffrescamento alimentate da una pompa di calore.

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Figura 4.3.2 - La pianta dei tre livelli dell’edificio.

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Figura 4.3.3 - La sezione mostra come è stata ottenuta la continuità del manto isolante.

Figura 4.3.4 - L’edificio visto dalla strada.

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Figura 4.3.5 - L’open space dedicato alla zona giorno al piano terreno.

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4.4 ABITAZIONE BIFAMILIARE VAL DI VIZZE (BZ)

CERTIFICATA IN LEGNO E CANAPA A

4.4.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Nuova costruzione di villa bifamiliare Località: Frazione Val di Vizze - Vipiteno (BZ) Anno di costruzione: 2009 (9 mesi di cantiere) Protocollo di certificazione: PHI - Casa passiva e Casaclima Oro Plus Progettista architettonico: TAAUT VENTURA Architetti – Arch. Urb. MSc. Arthur Pichler & Arch. Walter Colombi Progettista/consulente termotecnico: Arch. Urb. MSc. Arthur Pichler & Arch. Walter Colombi Progettista impianti: Studio TecAss Imprese di costruzione: Brugger Heinrich SRL Costo di costruzione (€/m2): Tipologia di costruzione: struttura portante in legno con pannelli isolati prefabbricati in OSB e cappotto in fibra di legno Materiali utilizzati: telaio in legno, canapa, fibra di legno, cemento armato Superficie utile netta riscaldata: 261 m2 Risultato test di tenuta all’aria: 0.59/h Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 9 kWh/m² anno Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: PHPP Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: Blower Door Test

Figura 4.4.1 - Il fronte Sud dell’edificio.

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4.4.2 Descrizione del progetto L’edificio è nato per ospitare diverse generazioni di una famiglia, motivo per cui si è reso necessario un progetto privo di barriere architettoniche, capace di offrire agli abitanti la possibilità di ammirare il panorama che lo circonda anche dall’interno della propria casa. La committenza inoltre ha richiesto esplicitamente un edificio a basso consumo energetico costruito con materiali il più possibile ecologici. Il corpo di fabbrica è inserito in un pendio, una soluzione che garantisce in modo naturale l’accessibilità diretta ad ognuno dei tre piani che lo caratterizza. Le due unità abitative che lo compongono, un duplex ai piani terreno e primo ed un piccolo appartamento al secondo livello, godono di un accesso pedonale e carrabile indipendente. Dal punto di vista architettonico la divisione dei due appartamenti è segnata sul fronte principale da un importante volume orizzontale che assume diverse funzioni: oltre a garantire la privacy tra i due alloggi, serve anche da tettoia per il piano inferiore, contiene i canali di gronda e i profili in cui alloggiano le veneziane chiamate a chiudere il piano sottostante e diventa una fioriera che cinge il perimetro del grande terrazzo al piano secondo. Il suo profilo inclinato è stato studiato in modo da non ostacolare l’irraggiamento solare sulle vetrate che caratterizzano i piani inferiori, che sono composte da un triplo vetro e orientate a Sud in modo da catturare l’energia del sole durante la stagione invernale. Le stesse finestre sono protette da una serie di veneziane esterne che vengono azionate durante la stagione estiva per evitare fenomeni di surriscaldamento. La trasparenza di questo fronte consente al paesaggio montano di entrare all’interno degli ambienti di soggiorno quasi senza soluzione di continuità. L’orientamento eliotermico del parallelepipedo che costituisce l’edificio consente anche la protezione dai venti più freddi, che arrivano da Nord, fronte su cui si aprono solo le finestre dei bagni e di qualche camera da letto. L’edificio è stato realizzato con elementi prefabbricati a telaio in legno la cui intercapedine è riempita con fibra di canapa, coibentati termicamente con un ulteriore cappotto esterno per arrivare ad uno spessore isolante di circa 40 cm e ad una trasmittanza complessiva delle pareti di 0,122 W/m2K. La copertura è stata realizzata con gli stessi materiali, presenta una trasmittanza analoga ed è rivestita con un tetto verde che trattiene parte dell’acqua piovana e che con la sua inerzia termica contribuisce a ridurre il rischio di surriscaldamento estivo. Il primo solaio e le strutture verticali sono protetti dall’umidità di risalita con un vespaio aerato. La disposizione bioclimatica dell’edificio, i materiali utilizzati e gli importanti spessori di materiale isolante hanno consentito di sfruttare il sistema di ventilazione meccanica a recupero di calore anche per il riscaldamento degli ambienti, risolto attraverso una batteria di post-riscaldamento alimentata da una piccola caldaia a pellet che viene usata anche per la produzione dell’acqua calda sanitaria.

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Figura 4.4.2 - La pianta dei tre livelli dell’edificio.

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Figura 4.4.3 - Il corpo di fabbrica prevede gli ingressi sul lato Est e sfrutta il pendio per renderli entrambi facilmente accessibili.

Figura 4.4.4 - Le grandi vetrate a Sud consentono una continuità visiva tra l’ambiente interno ed esterno.

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Figura 4.4.5 - L’ambiente giorno dell’appartamento più grande è inondato dalla luce naturale.

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4.5 ABITAZIONE IN TERME (PD)

LEGNO, SUGHERO E CANAPA A

GALZIGNANO

4.5.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: edificio residenziale unifamiliare ex novo Località: Galzignano Terme (PD) Anno di costruzione: 2014 Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Architetto Agostino Fontana Progettista/consulente termotecnico: p.i. Mario Pagnan Progettista impianti: p.i. Mario Pagnan Imprese di costruzione: Biohabitat Service srl Costo di costruzione (€/m2): 1800 Tipologia di costruzione: Sistema a telaio strutturale in legno lamellare Materiali utilizzati: legno massiccio (senza collanti), sughero, fibra di canapa, fibra di legno, calce, argilla Superficie utile netta riscaldata: 288 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 10,3 kWh/m2 anno Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: Masterclima MC11300 Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: -

Figura 4.5.1 - Il fronte Sud dell’edificio.

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4.5.2 Descrizione del progetto L’intenzione che ha animato il progetto è stata quella di costruire nello stesso lotto due fabbricati attigui, uno destinato a residenza abbinato ad uno spazio ricettivo (di futura realizzazione), immersi nel parco dei Colli Euganei e realizzati utilizzando esclusivamente materiali naturali. Il progettista ha riservato una particolare attenzione nei confronti del contesto circostante, rappresentato da un borgo rurale sorto su una sella compresa tra due colline, oltre che alle viste e all’inquadramento del paesaggio, che sono stati risolti con una percezione che cambia in continuo rapporto tra interno ed esterno. L’edificio è stato costruito con la collaborazione diretta della proprietà ed in parte autocostruito. Il corpo di fabbrica principale riprende lo schema dell’architettura locale delle barchesse e si inserisce naturalmente nella pendenza del terreno in modo da ridurre l’impatto visivo dell’edificio rispetto al paesaggio collinare. Ne risulta un ampio fronte vetrato aperto a Sud, arricchito da un portico reinterpretato con un linguaggio contemporaneo che permette una comunicazione diretta tra il giardino e il grande ambiente soggiorno/pranzo/cucina che vi si affaccia interamente. Quest’ultimo è caratterizzato da una scala a giorno rivestita all’intradosso con tavole di legno massello di diverse specie (rovere, tiglio, ciliegio, pioppo). L’abitazione prosegue verso Nord con un volume a due piani affacciato su un patio ricavato nel pendio, una corte intima su cui si affacciano la camera matrimoniale ed alcuni ambienti di servizio al piano terreno e le stanze da letto dei figli al piano primo. Il patio ipogeo non funziona solo come elemento compositivo che rappresenta l’ingresso all’abitazione ed un luogo di aggregazione protetto, ma funge anche da fonte di luce naturale indiretta e rappresenta un sistema per captare le brezze da Nord capaci di innescare la ventilazione naturale estiva degli ambienti. Sul fronte opposto, la grande vetrata a Sud capta il calore passivo nel living durante l’inverno, mentre d’estate la stessa parete trasparente, in buona parte apribile, assieme al portico adiacente sono protetti dal sole dallo sporto di copertura che continua con una pergola di vite americana a foglia caduca. Verso gli altri punti cardinali le aperture sono contenute per limitare dispersioni e guadagni termici eccessivi. La costruzione è stata realizzata tramite una struttura composta da setti verticali e solai in legno massiccio realizzati con tavole di abete connesse tra di loro tramite cavicchi in legno di faggio, interamente coibentata con sughero e fibra di legno. I rivestimenti sono tutti di origine naturale ed ispirati alla tradizione locale: legno di rovere o larice all’esterno, intonaci di calce o argilla di scavo, pavimenti esterni in trachite euganea grigia ed interni in “terrazzo alla veneziana” realizzato con cocciopesto e calce. Gli ambienti sono dotati di un sistema di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore, mentre l’impianto di riscaldamento consiste in una stufa a legna abbinata ad un sistema radiante a pavimento che sfrutta l’inerzia termica delle strutture ed è alimentato da una pompa di calore aria – aria che produce anche l’acqua calda sanitaria. Esiste un sistema di recupero delle acque piovane, utilizzate per l’irrigazione e per i servizi igienici, e sulla copertura ventilata rivestita in lamiera di alluminio è stata prevista una serie di pannelli fotovoltaici che rappresentano una potenza nominale complessiva di circa 6 kWp.

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Figura 4.5.2 - La pianta dei due piani.

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Figura 4.5.3 - Il fronte nord caratterizzato dal patio ipogeo.

Figura 4.5.4 - Le grandi finestre apribili consentono una continuità tra il soggiorno ed il portico esterno.

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Figura 4.5.5 - Il grande ambiente al piano terra si apre verso l’esterno ed è caratterizzato dalla scala centrale.

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4.6 ABITAZIONE

IN LEGNO, PAGLIA E SUGHERO A

MAGNAGO (MI)

4.6.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Edificio unifamiliare ex novo Località: Magnago (MI) Anno di costruzione: 2018 Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Arch. Luca Compri, studio LCA Progettista/consulente termotecnico: Ing. Matteo Bernardi Progettista impianti: Ing. Matteo Bernardi Imprese di costruzione: Novello Case Srl Costo di costruzione (€/m2): 1200 Tipologia di costruzione: struttura portante in legno e telai prefabbricati in legno e paglia di riso Materiali utilizzati: legno, paglia di riso, sughero granulare espanso a vista Superficie utile netta riscaldata: 265,90 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 32,31 kWh/m2 Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: -

Figura 4.6.1 - Il fronte Nord dell’edificio, su cui si affaccia la serra che ospita la zona pranzo e le aperture della cucina e del soggiorno.

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4.6.2 Descrizione del progetto L’edificio è stato progettato assumendo come punti cardine l’impiego di materiali salubri e naturali e la qualità del costruito. Il lotto si trova in una zona periferica del paese, caratterizzata da un contesto agricolo, ed è cinto da una piccola area boschiva, che il progettista ha voluto caratterizzasse gli spazi esterni ed interni dell’abitazione tramite una connessione visiva. La forma del corpo di fabbrica reinterpreta in chiave minimalista le cascine tipiche del territorio lombardo, eliminando gli sporti di gronda e realizzando un corpo compatto anche con lo scopo di ridurre la superficie disperdente. La distribuzione degli ambienti rispetto all’asse eliotermico si differenzia rispetto a quella classica che presentano gli edifici a ridotto consumo energetico. La parte centrale dell’abitazione è caratterizzata da una sezione trasparente su entrambi i lati che va a creare una zona living, addossata ad una serra trasparente volta a Nord che funziona da zona pranzo; entrambi gli ambienti presentano almeno uno spazio a doppia altezza e attraverso queste trasparenze l’architetto ha ottenuto una continuità visiva sia verso il giardino a Sud che verso il bosco e l’area agricola presente sulla parte opposta, immergendo di fatto gli stessi nel paesaggio. La sezione della serra presenta anche una copertura trasparente, resa possibile dalla esposizione a Nord, mentre il living è uno spazio caratterizzato da un tetto opaco e da una parte ad altezza ridotta. L’inserto trasparente, interpretato come un pozzo di luce, è caratterizzato anche da un camino centrale che lo attraversa per l’intero sviluppo verticale e confina con due ali opache progettate con un sapiente gioco di incastri che si traduce in una fluidità spaziale. Ad Ovest si trovano la zona notte e la scala che porta al sottotetto, che a sua volta ospita una stanza ulteriore ed un locale multifunzionale, mentre ad Est sono stati previsti la cucina ed alcuni locali di servizio, oltre all’ingresso. La maggior parte delle aperture, realizzate con serramenti a doppio vetro e alluminio, è stata disposta sui fronti lunghi dell’edificio, caratterizzati da una sequenza di tagli verticali che attribuiscono al volume un interessante ritmo armonico. Gli ambienti interni sono rivestiti con materiali naturali, come il parquet di rovere sui pavimenti. La costruzione è stata realizzata con un sistema prefabbricato in pannelli di legno riempiti con paglia di riso, con l’intenzione di ottenere un continuum tecnologico che mira alla massima riduzione dell’effetto dei ponti termici. L’involucro è ulteriormente protetto verso l’esterno con un cappotto di sughero bruno auto espanso che grazie alla sua resistenza funziona anche da rivestimento esterno, conferendo all’edificio un aspetto inusuale. Il pavimento controterra è stato isolato con pannelli in vetro cellulare. La copertura è stata equipaggiata con un sistema di pannelli fotovoltaici che sviluppano nel complesso una potenza di circa 5 kWp. È stato inoltre previsto un impianto di ventilazione meccanica controllata a recupero di calore e un sistema di riscaldamento ad aria alimentato da un sistema a pompa di calore che produce anche acqua calda sanitaria, integrato dal camino centrale.

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Figura 4.6.2 - La planimetria dei due piani su cui si organizza l’abitazione.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

Figura 4.6.3 - Il fronte Ovest dell’edificio ospita la porta di ingresso in posizione arretrata rispetto al fronte.

Figura 4.6.4 - Da Est l’edificio si presenta interamente in sughero, tranne che per la finestra che corrisponde alla camera da letto prevista sul piano superiore.

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Figura 4.6.5 - Sulla copertura è presente un impianto fotovoltaico.

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4.7 ABITAZIONE

IN LEGNO E PAGLIA IN

FRANCIACORTA (BS)

4.7.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Edificio unifamiliare ex novo Località: Franciacorta (BS) Anno di costruzione: 2015 Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Architetto Nino Franzoni - Quarzo Studio Progettista/consulente termotecnico: Architetto Federico Morandini Imprese di costruzione: Mozzone Building System Costo di costruzione (€/m2): 1600 Tipologia di costruzione: struttura portante in legno e isolamento in paglia Materiali utilizzati: legno, paglia, pietra di botticino Superficie utile netta riscaldata: 160 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 26,5 kWh/m2 Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: Termolog Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: -

Figura 4.7.1 - La villa è interpretata come un telescopio attraverso cui osservare il panorama.

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4.7.2 Descrizione del progetto Il progetto parte dalla volontà dei committenti di vivere in un contesto a contatto con la natura in una abitazione realizzata con materiali salubri e di origine naturale, rispettosi del pianeta anche per quanto riguarda i processi produttivi. Il contesto è quello della Franciacorta, dove i proprietari avevano a disposizione un lotto di circa 1000 m2 posto in cima ad una collina e caratterizzato da una orografia che presenta un dislivello di circa 12 metri. Il progettista è partito dalla felice collocazione del lotto per realizzare quella che poi è stata chiamata “Telescope Villa”, una abitazione orientata come un telescopio sia per offrire una vista dello splendido panorama sottostante in varie direzioni grazie ai diversi terrazzi sia per sfruttare al meglio l’energia gratuita del sole in modo passivo. L’edificio è composto da due volumi distinti e sovrapposti, uno zoccolo inferiore adibito ad autorimessa ed un paralelepipedo superiore che ospita lo spazio abitativo. I due corpi sono ruotati l’uno rispetto all’altro di circa 15 gradi e sono stati disegnati in modo che le grandi pareti vetrate a Sud ed Ovest siano schermate dal calore diretto del sole durante il periodo estivo e ridurre così il rischio di surriscaldamento. L’organizzazione planivolumetrica, abbinata alla conformazione del terreno, ha permesso di ricavare terrazzi panoramici su tre diversi prospetti dell’abitazione, mentre verso strada il fronte risulta chiuso da due muri importanti realizzati con gabbioni riempiti con pietra locale. Su questo prospetto, che guarda ad Oriente, si trova l’ingresso protetto da una bussola che porta ad un corridoio centrale, il quale distribuisce l’unico grande ambiente living aperto a Sud- Ovest e le camere da letto a Nord. Le ampie vetrate del soggiorno sono interpretate come un generatore di calore passivo, schermato durante l’estate dalla particolare conformazione del volume abitato. Esse sono state realizzate con serramenti in legno lamellare con vetrocamera bassoemissivo a tre vetri con doppia intercapedine riempita con gas argon. La struttura dell’abitazione è stata realizzata con un telaio di travi abbinate a pilastri e setti in legno isolato con paglia, un sistema che va a costituire pareti esterne dallo spessore molto importante (sul fronte Nord arrivano a misurare quasi un metro). Il tutto poggia su fondazioni realizzate tramite gabbioni riempiti in brecciato di Botticino, le stesse utilizzate per creare il muro di recinzione esterno della proprietà. Le pareti divisorie interne sono state costruite con strutture in legno tamponate con cannicciato lacustre, rinforzate con calce e canapa e intonacate in argilla prelevata dal terreno stesso in cui sorge la casa. I pavimenti e i soffitti sono invece rivestiti da grandi tavole di okumè e betulla, mentre i fronti esterni dell’edificio sono caratterizzati da listoni in legno di larice non trattato. Non sono stati previsti né un impianto di ventilazione meccanica controllata né un sistema di climatizzazione, in quanto i progettisti hanno calcolato che gli apporti passivi interni di calore, integrati dalla installazione di una stufa a legna da 11 kW, sono sufficienti a mantenere una temperatura di comfort all’interno dell’abitazione. Sulla copertura è presente un impianto fotovoltaico da 4,5 kWp. Esiste inoltre un sistema di raccolta di acqua piovana tramite una cisterna da 1000 litri utilizzabile per gli scarichi del WC e per l’irrigazione del giardino.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

Figura 4.7.2 - La pianta dell’abitazione.

Figura 4.7.3 - L’ingresso della villa su strada.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

Figura 4.7.4 - Le finestre delle stanze sul fronte Nord.

Figura 4.7.5 - Il living, rivestito interamente con materiali naturali ed aperto al panorama della Franciacorta.

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4.8 ABITAZIONE IN D’ADDA (BG)

LEGNO, PAGLIA E SUGHERO A

4.8.1 Scheda progetto • • • • • • • • • • • • • • •

Tipologia intervento: Edificio unifamiliare ex novo Località: Fara Gera d’Adda (BG) Anno di costruzione: 2018 Protocollo di certificazione: Progettista architettonico: Quarzo Studio Progettista/consulente termotecnico: Ingegner Michele Carnevali Imprese di costruzione: Casalogica Srl Costo di costruzione (€/m2): 1700 Tipologia di costruzione: struttura portante in legno e isolamento in paglia Materiali utilizzati: legno, paglia, sughero Superficie utile netta riscaldata: 130 m2 Risultato test di tenuta all’aria: Fabbisogno termico per il riscaldamento annuale: 23 kWh/m2 Tipo di programmi utilizzati per i calcoli energetici: Termus Acca Eventuali test strumentali effettuati durante o dopo il cantiere: -

Figura 4.8.1 - L’edificio visto da Sud Est.

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FARA GERA

Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

4.8.2 Descrizione del progetto Il progetto parte dalla convinzione della committenza circa la necessità di costruire con materiali naturali ed energeticamente performanti, i più possibili locali, ottimizzandone l’impiego realizzando una casa a basso consumo energetico in modo da contribuire attivamente alla rigenerazione dell’ambiente. La planimetria dell’abitazione è caratterizzata dalla giustapposizione di due sezioni molto diverse tra di loro sia a livello formale che funzionale. La zona giorno è caratterizzata da un unico ampio locale che si affaccia verso mezzogiorno ed è definita da un involucro dalla forma organica, che si snoda in un profilo curvilineo in buona parte vetrato orientato verso Sud Ovest ed in parte apribile. Una parte di questo ambiente è chiuso in un guscio opaco e illuminato da un taglio netto verticale che illumina di luce naturale diffusa la parete di fondo. Questa sezione della casa è coperta da una tettoia rettangolare che va a definire un portico previsto per proteggere l’ingresso e la parete vetrata dalla pioggia, oltre che per fornire alla vetrata stessa il corretto ombreggiamento nella stagione estiva. L’estremità più ad Ovest della membrana trasparente è protetta dal soleggiamento estivo anche dalla sagoma del paralelepipedo retrostante, che sporgendo definisce un impedimento verticale ideale per schermare il sole su questo fronte. La zona notte ha per contro una conformazione regolare, essendo contenuta in un parallelepipedo privo di sporti di gronda che vede la maggior parte delle stanze affacciarsi sul fronte Nord. I due volumi presentano un contrasto anche anche per quanto riguarda il loro rivestimento esterno: mentre la parte giorno è intonacata e dipinta a calce di un bianco candido che riflette la luce rimandandola diffusa negli ambienti interni attraverso la grande parete vetrata, il parallelepipedo che contiene la zona notte è rivestito da sughero scuro autoespanso a vista e presenta aperture di dimensione più modesta. L’intero edificio poggia su un vespaio aerato realizzato con ghiaia di vetro cellulare ed è sorretto da una struttura a telaio con travi e pilastri in legno, tamponato con ballette di paglia spesse 36 cm e assemblate in opera in forma di grandi mattoni a realizzare pareti da 40 cm di spessore che consentono una trasmittanza dell’involucro opaco ridotta. Questa caratteristica, assieme alla grande vetrata esposta a Sud Ovest ed interpretata dai progettisti come un sistema di riscaldamento passivo, ha consentito di ridurre notevolmente la domanda di energia per la climatizzazione degli ambienti. In copertura è presente un impianto fotovoltaico da 6 kWp, che serve ad alimentare la pompa di calore abbinata ad un serbatoio di accumulo da 500 litri previsto per la produzione di acqua calda sanitaria e una serie di split presenti in ogni stanza per garantire un controllo puntuale delle temperature. Per scelta di committenti e progettisti non è stato previsto invece un impianto di ventilazione meccanica controllata.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

Figura 4.8.2 - La pianta dell’abitazione.

Figura 4.8.3 - Sul fronte Est si apprezza il contrasto di forme e materiali caratteristico del progetto.

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Capitolo 4 - Edifici rigenerativi

Figura 4.8.4 - La parete curvilinea del soggiorno guarda a Sud Ovest ed è protetta da una tettoia.

Figura 4.8.5 - L’interno della zona living.

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APPENDICE

INDICE DELLE FIGURE, TABELLE E CHECK LIST CAPITOLO 1 - I FONDAMENTI DEGLI EDIFICI PASSIVI Tabella 1.1.1 L’approccio progettuale ideale per gli edifici passivi. Tabella 1.1.2 I presupposti delle case passive. Tabella 1.2.1 Sorgenti di inquinamento interno. Tabella 1.2.2 Fabbisogno di aria fresca di una persona. Check list 1.2.1 La salubrità degli ambienti. Tabella 1.5.1 Cosa perseguire e cosa evitare nel progetto di un edificio passivo. Tabella 1.6.1 Regole progettuali per edifici passivi in clima mediterraneo. Tabella 1.7.1 Le fasi della riqualificazione energetica profonda. Figura 1.8.1 Materiali naturali e tecnologie avanzate. Figura 1.8.2 Dal green building all’edificio rigenerativo. Tabella 1.8.1 Cosa fare e cosa evitare per contribuire alla architettura rigenerativa. Check list 1.8.1 I principi del progetto rigenerativo. CAPITOLO 2 - LE REGOLE PROGETTUALI Figura 2.1.1 Lo schema della casa di Socrate. Figura 2.1.2a L’architettura alpina. Figura 2.1.2b Il trullo. Figura 2.1.3 L’evoluzione tecnologica dell’architettura. Figura 2.1.4 Il benessere fisiologico. Tabella 2.1.1 Azioni da fare e da evitare nel progetto di un edificio passivo. Check list 2.1.1 Le strategie del progetto passivo. Figura 2.2.1.1 Forma e proporzioni degli edifici in funzione delle fasce climatiche. Figura 2.2.1.2 Strategie di ombreggiamento. Figura 2.2.1.3 La definizione degli aggetti orizzontali a Sud per ottimizzare i guadagni solari passivi. Figura 2.2.1.4 Il percorso del sole nei diversi momenti dell’anno.

259 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura

2.2.1.5

Figura Check list Figura Figura Figura Figura

2.2.1.6 2.2.1.1 2.2.2.1 2.2.2.2 2.2.2.3 2.2.2.4

Figura Figura

2.2.3.1 2.2.3.2

Figura

2.2.3.3

Tabella

2.2.3.1

Tabella

2.2.3.2

Tabella

2.2.3.3

Tabella

2.2.3.4

Tabella

2.2.3.5

Check list Figura Tabella Figura Figura Figura

2.2.3.1 2.2.4.1 2.2.4.1 2.2.4.2 2.2.4.3 2.2.4.4

Figura Tabella Check list Figura Tabella Tabella

2.2.4.5 2.2.4.2 2.2.4.1 2.3.1.1 2.3.1.1 2.3.1.2

Check list Tabella

2.3.1.1 2.3.1.1.1

Figura Figura Figura Figura

2.3.2.1 2.3.2.2 2.3.2.3 2.3.2.4

La definizione degli aggetti laterali ad Est ed Ovest volti ad ostacolare l’irraggiamento diretto. Sagomare l’edificio per ottimizzare gli apporti passivi. Checklist forma e posizione dell’edificio. Progettare per sfruttare l’effetto serra. La planimetria bioclimatica ideale. La configurazione delle serre bioclimatiche. Tipologie di serre bioclimatiche in funzione del tipo di scambio termico. Le dinamiche della illuminazione naturale. La posizione delle mensole di luce in relazione alle diverse fasce climatiche. Relazione tra fattore di trasmissione luminosa τ e fattore solare g. Valori convenzionali di trasmittanza U, fattore solare g e fattore di trasmissione luminosa τ dei vetri. Intervalli ottimali dei fattori di riflessione delle superfici interne suggeriti nella UNI EN 12464-1. Valori del coefficiente di riflessione luminosa di diversi materiali usati per rivestimenti interni. Percezione luminosa associata al valore del fattore di luce diurna. Azioni da fare e da evitare per sfruttare al meglio l’energia termica e luminosa del sole. Comfort ed energia solare passiva. I trattamenti delle superfici vetrate. Caratteristiche termiche medie dei distanziatori. I componenti del telaio di un serramento. La posizione del telaio rispetto alla muratura. Il metodo dei tre livelli ed il progetto di posa dei serramenti. La posa di un serramento senza controtelaio. Azioni da fare e da evitare nel progetto dei serramenti. Serramenti. L’isolamento di muratura e copertura. Gli impieghi dei materiali isolanti più comuni. Azioni da fare e da evitare nel progetto dell’isolamento termico. Isolamento termico. Contenuto di energia grigia di diversi materiali isolanti a confronto. Le diverse funzioni della massa termica. Tetti verdi e massa termica. Smorzamento, sfasamento e materiali edilizi. Strategie passive legate alla massa termica.

260 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura Check list Figura Tabella Check list Figura Figura Figura Figura

2.3.2.5 2.3.2.1 2.3.3.1 2.3.3.1 2.3.3.1 2.3.3.2.1 2.3.3.2.2 2.3.3.2.3 2.3.3.2.4

Figura Figura

2.3.3.2.5 2.3.3.2.6

Figura

2.3.3.2.7

Figura

2.3.3.3.1

Tabella Check list Figura Tabella Figura Figura Tabella Check list Tabella Figura

2.3.3.3.1 2.3.3.3.1 2.4.1.1 2.4.1.1 2.4.1.2 2.4.1.3 2.4.1.2 2.4.1.1 2.4.2.1 2.4.2.1

Figura Figura Tabella

2.4.2.2 2.5.1.1 2.5.1.1

Figura

2.5.1.2

Figura

2.5.1.3

Tabella

2.5.1.2

Check list Figura Figura Figura

2.5.1.1 2.5.2.1 2.5.2.2 2.5.2.3

Una tecnica costruttiva massiva. Massa termica. I ponti termici. Le regole per prevenire i ponti termici. I Ponti termici. I ponti termici lineari. Il ponte termico tra fondazione e murature. Il taglio termico tra muratura perimetrale. Il ponte termico tra fondazione e murature esterne isolato con gonna coibentante. Il ponte termico in corrispondenza del balcone. Il ponte termico in corrispondenza del nodo tra muratura e copertura. La distribuzione delle temperature nel ponte termico ideale in corrispondenza del nodo tra muratura e copertura. Il ponte termico in corrispondenza dell’attacco tra murature e serramenti esterni. Azioni da fare e da evitare nel progetto dei ponti termici. Ponti termici. Gli strati di tenuta all’aria e tenuta al vento. La permeabilità all’aria di alcuni elementi edilizi. La tenuta all’aria nelle strutture intelaiate. La cavità di servizio nelle strutture intelaiate. Azioni da fare e da evitare a favore della tenuta all’aria. Tenuta all’aria. Resistenza al vapore di alcuni elementi edilizi. Classificazione delle membrane in funzione dello spessore di aria equivalente alla diffusione del vapore acqueo. La tenuta al vento nelle pareti ventilate. La posizione delle bocchette di mandata e di ripresa. Valori di riferimento per il calcolo delle portate d’aria secondo la UNI EN 15251. Schema di funzionamento di un impianto VMC a recupero di calore. Esempio di schema di bilanciamento nel progetto di una abitazione. Azioni da fare e da evitare con un impianto di ventilazione meccanica controllata. Ventilazione meccanica controllata. Raffrescamento passivo e ventilazione naturale. I profili di vento. I flussi termici della ventilazione monoaffaccio e di quella passante.

261 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura Figura

2.5.2.4 2.5.2.5

Figura Figura Figura Figura

2.5.2.6 2.5.2.7 2.5.2.8 2.5.2.9

Figura

2.5.2.10

Check list Tabella

2.5.2.1 2.6.1.1

Tabella

2.6.1.2

Check list Figura Check list Figura Tabella

2.6.1.1 2.6.2.1 2.6.2.1 2.6.3.1 2.6.3.1

Tabella Tabella

2.6.3.2 2.6.3.3

Tabella Check list

2.6.3.4 2.6.3.1

Diverse modalità di ventilazione naturale monoaffaccio. Esempi di ventilazione incrociata che sfruttano anche l’effetto camino. Ventilazione naturale e direzione del vento. L’effetto camino. L’effetto camino negli edifici pluripiano. La dissipazione della temperatura in funzione della velocità del vento. La dissipazione della temperatura in caso di effetto camino. Ventilazione naturale. Schema di calcolo del dimensionamento dell’impianto di riscaldamento. Azioni da fare e da evitare con un impianto di riscaldamento. Impianto di riscaldamento. L’impiego dell’impianto di VMC per il raffrescamento. Impianto di raffrescamento. Illuminazione naturale diffusa. Valori di illuminamento consigliati per diverse attività in diversi contesti. Caratteristiche delle lampade per uso residenziale. Consumo di energia elettrica delle famiglie italiane in abitazioni di circa 80-100 mq. Costo energetico di alcuni apparecchi durante lo stand by. Impianto di illuminazione.

CAPITOLO 3 - GLI STRUMENTI PER LA PROGETTAZIONE Figura 3.1.1 Le targhe. Figura 3.1.1.1 Il logo CasaClima. Figura 3.1.2.1 Il logo Passivhaus. Tabella 3.2.1.1 Raffronto tra parametri analizzabili con diversi programmi di simulazione dinamica. Tabella 3.3.1 Clima e microclima. Figura 3.3.1 La definizione del file climatico con dati Meteonorm. Tabella 3.4.1 Contenuto di energia grigia di alcuni materiali edilizi. Figura 3.4.1 Un esempio di biomateriale rigenerativo. Tabella 3.4.2 Proprietà fisiche di alcuni materiali edili rigenerativi. Tabella 3.4.3 Pro e contro nell’utilizzo di scarti agricoli come materiali isolanti. Tabella 3.4.4 Alcune categorie dei materiali isolanti naturali. Tabella 3.4.5 Analisi di alcuni materiali isolanti provenienti da scarti vegetali ed agricoli. Tabella 3.4.6 Emissioni incorporate di CO2 per ogni chilogrammo di materiale isolante prodotto.

262 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Tabella

3.4.7

Tabella Figura Tabella Figura

3.4.1.1 3.4.1.1 3.4.1.2 3.4.2.1

Tabella Figura Tabella Tabella Figura Tabella Tabella Figura Tabella Figura Tabella Tabella Figura Tabella Tabella Figura Figura Tabella Figura Tabella Figura Figura Tabella Tabella Figura Figura Figura Tabella Figura

3.4.2.1 3.4.2.2 3.4.2.2 3.4.3.1 3.4.3.1 3.4.3.2 3.4.4.1 3.4.4.1 3.4.4.2 3.4.5.1 3.4.5.1 3.4.5.2 3.4.5.2 3.4.5.3 3.4.5.4 3.4.6.1 3.4.6.2 3.4.6.1 3.4.6.3 3.4.6.2 3.4.7.1 3.4.7.2 3.4.7.1 3.4.7.2 3.5.1 3.5.2 3.5.3 3.5.1 3.6.1

Tabella Tabella

3.6.1 3.6.2

Caratteristiche dei materiali isolanti più impiegati in bioedilizia. Caratteristiche principali della fibra di legno. L’impiego della fibra di legno in copertura. Applicazioni tipiche della fibra di legno. L’impiego del sughero espanso per la realizzazione di cappotti termici. Caratteristiche principali del sughero espanso. Il sughero nel riempimento dei solai. Applicazioni tipiche del sughero. Caratteristiche principali della lana di pecora. Prodotti isolanti a base di lana di pecora. Applicazioni tipiche della lana di pecora. Caratteristiche principali della fibra di cellulosa. L’uso della fibra di cellulosa sfusa. Applicazioni tipiche della fibra di cellulosa. Massetto alleggerito in calcecanapulo. Caratteristiche principali della fibra di canapa. Caratteristiche principali del calcecanapulo. Tamponamento esterno in calcecanapulo. Applicazioni tipiche della fibra di canapa. Applicazioni tipiche del calcecanapulo. L’uso della paglia come materiale isolante. L’impiego della paglia in sistemi prefabbricati. Caratteristiche principali della paglia. Una stratigrafia in legno e ballette di paglia. Applicazioni tipiche della paglia. Isolamento delle pareti controterra. Taglio termico tra fondazioni e murature perimetrali. Caratteristiche principali del vetro cellulare. Applicazioni tipiche del vetro cellulare. Il blower door test. Termografia a servizio del blower door test. L’uso dell’anemometro a filo caldo. Strumenti e tecniche non distruttivi usati in cantiere. Distribuzione delle diverse voci di costo durante la vita di un componente edilizio. Durata di vita utile per tipologia di intervento. Input di base per la valutazione della convenienza economica degli investimenti in efficienza energetica.

CAPITOLO 4 - EDIFICI RIGENERATIVI Figura 4.1.1 Il fronte principale dell’edificio di Chamois. Figura 4.1.2 Il progetto dello studio Tiziana Monterisi Architetto prevede una distribuzione degli spazi su tre piani.

263 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura Figura

4.1.3 4.1.4

Figura

4.1.5

Figura Figura Figura Figura Figura Figura Figura Figura

4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5 4.3.1 4.3.2 4.3.3

Figura Figura Figura Figura Figura

4.3.4 4.3.5 4.4.1 4.4.2 4.4.3

Figura

4.4.4

Figura

4.4.5

Figura Figura Figura Figura

4.5.1 4.5.2 4.5.3 4.5.4

Figura

4.5.5

Figura

4.6.1

Figura

4.6.2

Figura

4.6.3

Figura

4.6.4

Figura Figura

4.6.5 4.7.1

Il corpo di fabbrica originario oggetto di intervento. Un particolare degli elementi frangisole in legno che caratterizzano l’edificio. L’interno di una delle due stanze all’ultimo piano, rivestita come tutta l’unità abitativa con materiali naturali. Il fronte privato dell’abitazione. La pianta del piano terreno. L’ingresso sul lato Ovest dell’edificio. Il patio a Sud su cui si apre il soggiorno. Il soggiorno a doppia altezza. L’edificio visto da Sud Ovest. La pianta dei tre livelli dell’edificio. La sezione mostra come è stata ottenuta la continuità del manto isolante. L’edificio visto dalla strada. La vista della zona giorno al piano terreno. Il fronte Sud dell’edificio. La pianta dei tre livelli dell’edificio. Il corpo di fabbrica prevede gli ingressi sul lato Est e sfrutta il pendio per renderli entrambi facilmente accessibili. Le grandi vetrate a Sud consentono una continuità visiva tra l’ambiente interno ed esterno. L’ambiente giorno dell’appartamento più grande è inondato dalla luce naturale. Il fronte Sud dell’edificio. La pianta dei due piani. Il fronte Nord caratterizzato dal patio ipogeo. Le grandi finestre apribili consentono una continuità tra il soggiorno ed il portico esterno. Il grande ambiente al piano terra si apre verso l’esterno ed è caratterizzato dalla scala centrale. Il fronte Nord dell’edificio, su cui si affaccia la serra che sopita la zona pranzo e le aperture della cucina e del soggiorno. La planimetria dei due piani su cui si organizza l’abitazione. Il fronte Ovest dell’edificio ospita la porta di ingresso in posizione arretrata rispetto al fronte. Da Est l’edificio si presenta interamente in sughero, tranne che per la finestra che corrisponde alla camera da letto prevista sul piano superiore. Sulla copertura è presente un impianto fotovoltaico. La villa è interpretata come un telescopio attraverso cui osservare il panorama.

264 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura Figura Figura Figura

4.7.2 4.7.3 4.7.4 4.7.5

Figura Figura Figura

4.8.1 4.8.2 4.8.3

Figura

4.8.4

Figura

4.8.5

La pianta dell’abitazione. L’ingresso della villa su strada. Le finestre delle stanze sul fronte Nord. Il living, rivestito interamente con materiali naturali ed aperto al panorama della Franciacorta. L’edificio visto da Sud Est. La pianta dell’abitazione. Sul fronte Est si apprezza il contrasto di forme e materiali caratteristico del progetto. La parete curvilinea del soggiorno guarda a Sud Ovest ed è protetta da una tettoia. L’interno della zona living.

INDICE DEI CREDITI DELLE FIGURE Figura Figura

1.7.1 2.3.1.1

Figura Figura Figura

2.3.2.2 2.3.2.5 2.3.3.2.3

Figura

2.3.3.2.5

Figura

2.4.1.3

Figura

2.4.2.2

Figura

2.5.1.4

Figura Figura Figura

2.6.3.1 3.1.1 3.4.1

Figura

3.4.1.1

Figura

3.4.2.1

Figura Figura

3.4.2.2 3.4.3.1

Figura

3.4.4.1

Figura

3.4.5.1

Materiali naturali e tecnologie avanzate - Elia Sbaraini. L’isolamento di muratura e copertura - Alberto Trabucchi. Tetti verdi e massa termica - Paolo Boni. Una tecnica costruttiva massiva - Olver Zaccanti. Il taglio termico tra muratura perimetrale documentazione tecnica Foamglas®. Il ponte termico in corrispondenza del balcone - Paolo Boni. La cavità di servizio nelle strutture intelaiate - Arthur Pichler. La tenuta al vento nelle pareti ventilate - Agostino Fontana. Esempio di schema di bilanciamento nel progetto di una abitazione - Paolo Boni. Illuminazione naturale diffusa - Marco Reggi. Le targhe - Arthur Pichler. Un esempio di biomateriale rigenerativo - Beatrice Spirandelli. L’impiego della fibra di legno in copertura - Enrico Baschieri. L’impiego del sughero espanso per la realizzazione di cappotti termici - Enrico Baschieri. Il sughero nel riempimento dei solai - Paolo Boni. Prodotti isolanti a base di lana di pecora documentazione tecnica Isolana. L’uso della fibra di cellulosa sfusa - documentazione tecnica Climacell®. Massetto alleggerito in calcecanapa - Olver Zaccanti.

265 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura

3.4.5.2

Figura

3.4.6.1

Figura

3.4.6.2

Figura Figura

3.4.6.3 3.4.7.1

Figura

3.4.7.2

Figura Figura

3.5.1 3.5.2

Figura Figura

3.5.3 4.1.1

Figura

4.1.3

Figura

4.1.4

Figura

4.1.5

Figura Figura Figura

4.2.1 4.2.3 4.2.4

Figura Figura Figura Figura Figura Figura

4.2.5 4.3.1 4.3.4 4.3.5 4.4.1 4.4.3

Figura

4.4.4

Figura

4.4.5

Figura Figura

4.5.1 4.5.3

Figura

4.5.4

Tamponamento esterno in calcecanapulo - Olver Zaccanti. L’uso della paglia come materiale isolante - Jimmi Pianezzola. L’impiego della paglia in sistemi prefabbricati - Elia Sbaraini. Una stratigrafia in legno e ballette di paglia - Paolo Boni. Isolamento delle pareti controterra - documentazione tecnica Foamglas®. Taglio termico tra fondazioni e murature perimetrali documentazione tecnica Foamglas®. Il blower door test - Manuel Benedikter. Termografia a servizio del blower door test - Manuel Benedikter. L’uso dell’anemometro a filo caldo - Manuel Benedikter. Il fronte principale dell’edificio di Chamois - Elia Sbaraini. Il corpo di fabbrica originario oggetto di intervento - Elia Sbaraini. Un particolare degli elementi frangisole in legno che caratterizzano l’edificio - Elia Sbaraini. L’interno di una delle due stanze all’ultimo piano, rivestita come tutta l’unità abitativa con materiali naturali - Elia Sbaraini. Il fronte privato dell’abitazione - Alberto Sinigaglia. L’ingresso sul lato Ovest dell’edificio - Alberto Sinigaglia. Il patio a Sud su cui si apre il soggiorno - Alberto Sinigaglia. Il soggiorno a doppia altezza - Alberto Sinigaglia. L’edificio visto da Sud Ovest - Paolo Boni. L’edificio visto dalla strada - Paolo Boni. La vista della zona giorno al piano terreno - Paolo Boni. Il fronte Sud dell’edificio - Arthur Pichler. Il corpo di fabbrica prevede gli ingressi sul lato Est e sfrutta il pendio per renderli entrambi facilmente accessibili - Arthur Pichler. Le grandi vetrate a Sud consentono una continuità visiva tra l’ambiente interno ed esterno - Arthur Pichler. L’ambiente giorno dell’appartamento più grande è inondato dalla luce naturale - Arthur Pichler. Il fronte Sud dell’edificio - Matteo Colla. Il fronte Nord caratterizzato dal patio ipogeo - Matteo Colla. Le grandi finestre apribili consentono una continuità tra il soggiorno ed il portico esterno - Matteo Colla.

266 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

Appendice

Figura

4.5.5

Figura

4.6.1

Figura

4.6.3

Figura

4.6.4

Figura

4.6.5

Figura

4.7.1

Figura Figura Figura

4.7.3 4.7.4 4.7.5

Figura Figura

4.8.1 4.8.3

Figura

4.8.4

Figura

4.8.5

Il grande ambiente al piano terra si apre verso l’esterno ed è caratterizzato dalla scala centrale - Matteo Colla. Il fronte Nord dell’edificio, su cui si affaccia la sera che sopita la zona pranzo e le aperture della cucina e del soggiorno - Marie-France Boucher. Il fronte Ovest dell’edificio ospita la porta di ingresso in posizione arretrata rispetto al fronte - Marie-France Boucher. Da Est l’edificio si presenta interamente in sughero, tranne che per la finestra che corrisponde alla camera da letto prevista sul piano superiore - Marie-France Boucher. Sulla copertura è presente un impianto fotovoltaico Marie-France Boucher. La villa è interpretata come un telescopio attraverso cui osservare il panorama - Nino Franzoni. L’ingresso della villa su strada - Nino Franzoni. Le finestre delle stanze sul fronte Nord- Nino Franzoni. Il living, rivestito interamente con materiali naturali ed aperto al panorama della Franciacorta- Nino Franzoni. L’edificio visto da Sud Est- Luca Abbadati. Sul fronte Est si apprezza il contrasto di forme e materiali caratteristico del progetto- Luca Abbadati. La parete curvilinea del soggiorno guarda a Sud Ovest ed è protetta da una tettoia- - Luca Abbadati. L’interno della zona living - Luca Abbadati.

267 AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.

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Bibliografia

- Waltjen T., “Passivhaus-bauteilkatalog/details for passive houses: okologisch bewertete konstruktionen/a catalogue of ecologically rated constructions”, Springer Wien New York, 2007. - Wienke U. “Manuale di bioedilizia”, DEI Tipografia del genio civile, 2004.

RINGRAZIAMENTI Ringrazio in particolare alcune tra le tante persone che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla stesura di questo libro. Enrico Baschieri Manuel Benedikter Paolo Boni Miriana Borghesi Giuseppe Cabini Antonio Caligiuri Luca Compri Dino De Paolis Agostino Fontana Nino Franzoni Fabio Magliano Marco Moroni Tiziana Monterisi Consuelo Nava Francesco Nesi Jimmi Pianezzola Arthur Pichler Giancarlo Tintori Alessandro Trevisan Marco Vicinanza Roberto Vincenzi Olver Zaccanti

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Beatrice Spirandelli

PROGETTARE EDIFICI PASSIVI CON MATERIALI NATURALI Questo volume mette a disposizione gli strumenti e le conoscenze necessarie per realizzare progetti di restauro e costruzione che - in linea con le richieste dell’odierna industria edilizia conseguano gli obiettivi di soddisfazione del committente e di riduzione del consumo energetico anche ai fini delle possibili agevolazioni, garantendo nel contempo il minimo impatto ambientale presente e futuro dell’opera. Vengono a tal fine esposte le più importanti regole e strategie progettuali per la casa “passiva”, in cui il fabbisogno energetico degli impianti sia ridotto al minimo: da come sfruttare al meglio i guadagni solari passivi, all’isolamento termico delle strutture opache disperdenti (murature, copertura e solai che danno verso l’esterno, verso locali non riscaldati o direttamente sul terreno) alla tenuta all’aria e al vento, alla ventilazione meccanica, con alcuni cenni di impiantistica. Vengono poi illustrati gli strumenti per la progettazione, da come simulare e monitorare il comportamento energetico degli edifici, a dove reperire i dati climatici, alla diagnostica non distruttiva per i controlli in cantiere, a come valutare in maniera semplice ed efficace la convenienza economica a lungo termine. Ampio spazio è dedicato alla scelta - in relazione agli scopi e alla destinazione dell’edificio - di materiali e sistemi isolanti “rigenerativi”, nella più ampia ottica di favorire cicli produttivi circolari e minimizzare l’impatto sulle risorse del pianeta. Infine, sono presentati otto esempi di edifici “rigenerativi” realmente realizzati, sia di nuova costruzione che di restauro. Di ausilio al lettore, 16 check list che supportano il tecnico nel percorso di ideazione e realizzazione del progetto. Beatrice Spirandelli Laureata in architettura al Politecnico di Milano, specializzata in bioarchitettura e progettazione sostenibile dell’ambiente e progettista certificato Passivhaus. Nella sua carriera ventennale ha all’attivo decine di articoli e libri inerenti vari aspetti della sostenibilità ambientale in architettura, seminari e conferenze nazionali ed internazionali, una cattedra di tipologia di materiali ed una in cultura illuminotecnica presso l’Istituto Europeo di Design di Milano

Edizioni di

Legislazione Tecnica

Tariffa Roc - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - DCB - ROMA. Pubblicazione trimestrale registrata al Tribunale di Roma il 10 aprile 1982 al n. 159. AVVERTENZA Questo ebook e’ stato acquistato da [email protected] per uso strettamente personale. Sono severamente vietate la diffusione, la distribuzione e la riproduzione di quest’Opera attuate con qualsiasi mezzo. Il titolare della proprieta’ intellettuale Legislazione Tecnica, secondo quanto risultante dai propri server di controllo, perseguira’ con ogni mezzo di legge i trasgressori e chiunque diverso dall’acquirente sia in possesso di copia dell’Opera.