Per far segno. La critica dantesca americana da Singleton a oggi 8886148038


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Per far segno. La critica dantesca americana da Singleton a oggi
 8886148038

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RINO

CAPUTO

PER FAR SEGNO La critica dantesca americana

da Singleton a oggi

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Roma

1993

Questo volume è stato pubblicato con il contributo M.U.R.S.T. 60%

ISBN 88-86148-03-8

Edizione/distribuzione Editrice

“il Calamo”

s.n.c.

Via B. Telesio, 4/b - 00195 Roma Tel. e Fax (06) 372.45.46

RO1095 0542?

Con questa iniziativa editoriale che abbiamo culturalmente denominata PAGUS, intendiamo proporre all'attenzione dei lettori più qualificati del campo filologico, serie organiche di STUDI (in brochure acquamarina), TESTI (in brochure verde), DISCUSSIONI in brochure polvere), RIPROPOSTE (in brochure oltremare).

Cum suis vivat valeatque amicis.

Digitized by the Internet Archive in 20283 with funding from Kahle/Austin Foundation

https://archive.org/details/perfarsegnolacri0000capu

PREFAZIONE di DANTE DELLA TERZA

Nell’ormai lontano 1959, all’atto della mia partenza per gli Stati Uniti, un generoso compagno di lavoro, Riccardo Scrivano, mi chiese di formulare per la "Rassegna della Letteratura Italiana", alla quale allora collaborava, un qua-

dro contenuto, ma perspicuo, degli studi di italianistica quali si svolgevano nel paese che mi accingevo a visitare. Effettivamente, servendomi di interlocutori accreditati (e

ricorderò tra gli altri il compianto Hans Baron che operava allora alla Newberry Library di Chicago), riuscii in tempo utile a ragguagliare i lettori della rivista sui due argomenti che a me sembrarono di maggior rilievo: quello dantesco e quello relativo ai secoli dell’Umanesimo e del Rinascimento. La concentrazione tematica per la quale avevo optato aveva, a mio giudizio, motivi impellenti. L’argo‘mento umanistico, anticipato, per congiunture editoriali che mi sfuggono, rispetto a quello dantesco nelle pagine della rivista, rispecchiava scelte prioritarie italocentriche da parte di storici e storiografi tedeschi di alto prestigio espulsi dal loro paese: i Panofsky, i Baron, i Gilbert, i Kristeller ora attivi e in forte rilievo per la loro capacità di proselitismo nell’ambito della scuola americana. L’argomento dantesco s’ imponeva alla mia attenzione di presumibile esploratore di utili ragguagli comparativi per ragioni assai diverse. Da una parte, sempre rimanendo fermo alle opzioni tematiche dei componenti della diaspora intellettuale tedesca, mi pareva che in esso si rispecchiassero i termini di un dibattito cominciato altrove, tra le

Rino Caputo

pareti di un teatro europeo avvezzo ad una dialettica molto serrata tra le parti. Dall’altra, esso mi pareva esprimesse un bisogno molto americano di verità non saltuarie, l’ansia

della conquista dello spazio storico della certezza nel suo immergersi nel cuore poetico del più grande inventore di verità che il Medioevo abbia conosciuto: l’autore della Commedia. Leo Spitzer era venuto negli Stati Uniti nel 1936 per

rimanervi fino al 1960, molto alungo cioè. Erich Auerbach vi approderà nel 1946 per trattenervisi fino alla morte avvenuta poco più di un decennio dopo. Ernst Robert Curtius, oppositore "in pectore" del Nazismo, riuscirà a rimanere in patria e sarà degli Stati Uniti soltanto visitatore saltuario. Ma il discorso di argomento medievalistico e dantesco continuerà tra loro indipendentemente dalle frontiere del loro trasferimento, dalla loro contiguità o dalla distanza che li terrà separati. Spitzer continuerà cosî a scorgere nel lettore a cui Dante si rivolge una creazione improrogabile perché prodotto del bisogno profondo di chi può arrogarsi il diritto di sdoppiare la propria proposta inventiva. Auerbach rimane fermo, invece, ad una esplorazione cognitiva della dualità fermamente radicata nel

tempo della cultura poetico-teologica dantesca. Al Curtius che continuerà ad obiettare al coinvolgimento figurale sottolineato dall’ Auerbach di Figura, il polimorfismo metodologico presente nell’esegesi biblica promossa ed affrontata nel corso del Medioevo, Auerbach risponderà con duttile fermezza in Epilegomena zu Mimesis. Ma, ecco che proprio la tipologia interpretativa di stampo figurale legata alla semantica biblico-evangelica della umbra futurorum e della figura impleta, sintesi inventiva d’una trasferenza radicata nelle consuetudini esegetiche promosse dal dibattito teologico, snodava le consuetudini di un dibattito interpersonale tra studiosi provenienti dallo

Per far segno - Prefazione

stesso mondo culturale, per rendere disponibile il discorso auerbachiano ad un incontro assai diverso con una dantologia che partiva da sue proprie premesse, da memorie vagamente eliotiane per quanto riguardava il recupero del mondo della certezza, per poi diventare assertiva di una allegoria della vita terrena come viaggio. Tale allegoria appariva significata da un viaggio in un aldilà popolato dalla costante presenza di un personaggio guidato dal poeta verso il suo eterno destino di verità. Appare qui il nome del Singleton e a me era allora sembrato che la compresenza del suo nome e di quello dell’ Auerbach diventasse emblematica di un incontro di contiguità non casuale e perciò significativo ai fini di un’esegesi consonante di spazi di cultura medievale rivissuti attraverso il filtro della poesia del viaggio. E° certamente però vero che a parte una cauta recensione del 1950 dell’ Auerbach al libro di Charles Singleton sulla Vita Nuova di Dante, il dibattito tra idue esponenti di tradizioni che a me erano sembrate convergenti, non ebbe veramente mai luogo. Il mio discorso, partendo da istanze esplorative, esternava un proprio impulso in direzione di una dialettica auspicata, ma non dichiaratamente esplicitata, non confutabile unicamente perché non riconosciuta come plausibile dalle parti in causa. Devo dire che questo libro di Rino Caputo sulla critica dantesca americana contemporanea mi aiuta oggi ad approfondire e a chiarire ciò che allora mi era sfuggito. Il dibattito tra i due dantisti assume una sua propria valenza nell’atto stesso in cui viene gestito, e se non inventato, certo radicalmente elaborato. in territorio americano in quanto prodotto di una personale militanza critica, presa di coscienza di uno spazio critico nuovo che non s’identifica in senso stretto né con Singleton né con Auerbach, ma ad entrambi siriferisce come a costante imprescindibile di una

Rino Caputo

esegesi complessa e composita. Ha ragione in questo senso Caputo nel sottolineare l’importanza della recensione di John Freccero al volume di studi danteschi dell’ Auerbach apparso in italiano presso l’editore Feltrinelli nel 1963 e discusso dallo studioso americano nel numero del gennaio del 1965 della rivista "Modern Language Notes". Senza dubbio, lo studioso, sensibile al fascino della lezione del suo maestro Singleton, sottolineava in questo suo scritto la connotazione indiziaria che essa contiene, secondo la quale nell’itinerario dell’allegoria dei teologi si risale dal viaggio dantesco nell’aldilà al nostro viaggio nell’itinerario della vita umana che ogni lettore esperimenta. Scandito invece»nella sua differenza gli appariva l’approccio hegeliano dell’ Auerbach, secondo il quale il discorso dantesco nasce dall’esperienza terrena visto che il poeta «immerge il mondo vivente dell’agire e del patire e, più precisamente, delle azioni e dei destini individuali in una esistenza immutabile». Ma, per il Caputo, il Freccero non si ferma a constatare l’asserita dissociazione di due punti di vista per assumere un atteggiamento di consenso per un elemento soltanto della dicotomia segnalata. Nello sviluppo diacronico della propria interpretazione del testo, il Freccero, secondo l’acuta lettura suggerita dal Caputo, giunge ad una riagglomerazione dei due punti di vista, ma per prendere le distanze da entrambi. Per lui, Singleton (come Auerbach) «ha fatto confusione tra estetica moderna ed esegesi medievale, come se giudizio letterario e fede fossero intercambiabili» (p. 75). Ma, giunti a questo punto del nostro discorso introduttivo intendiamo chiederci: quali sono le coordinate critiche dello studio del Caputo e da quale esigenza esso nasce? Occorre dire che ci troviamo di fronte ad un lavoro scritto con fermezza e lucidità, preceduto da serio impegno esplorativo e da capacità, che definirei generazionale, di oltre-

Per far segno - Prefazione

passare le premesse cognitive di una circoscritta provincia mentale per esplorare terre incognite e rendersene edotti ai fini di un aggiornamento culturale impeccabile e di un arricchimento delle fonti ecdotiche della propria scrittura. I viaggi di esplorazione del Caputo in territorio canadese € statunitense sono tutt'altro che cosa rara e vorrei ricordare come gli sia stato dato in più occasioni di svolgere e seguire seminari in università nordamericane. La sua familiarità col mondo accademico americano si rispecchia nell’aggiornamento della sua informazione critica e nella passione con cui segue le scelte prioritarie della dantologia, che è il capitolo più impegnativo della ricerca degli studiosi italianisti statunitensi e canadesi del nostro tempo. Quanto alla solidità d’impianto del discorso che il Caputo svolge c’è da notare la plausibilità e l'aggiornamento dell’impostazione esperita. Io sarei portato a condividere la fermezza dello schema cognitivo e della trama dei pensieri critici che lo studio del Caputo svolge per nostra edificazione e consumo. Dobbiamo ritenere accettabile la centralità della presenza singletoniana tale quale egli la presenta al nostro sguardo? Oggi, come il Caputo stesso ci fa notare nel corso della sua ricerca, assistiamo ad un tentativo di erosione dei capisaldi d’un’impostazione critica che partiva dal Singleton ed al Singleton ritornava come a costante punto di riferimento. Un esperto di testi tomistici, A.C.Mastrobuono, formatosi alla scuola di un dantista italiano esperto e appassionato "debater" per anni attivo in università americane, Rocco Montano, si è di recente esercitato in un puntuale tentativo di demolizione della sapienza teologica del dantista americano e del suo maggior discepolo alla John's Hopkins di Baltimora, John Freccero. Intendo soprattutto riferirmi al libro Dante’s Journey of Sanctification apparso a Washington D.C. nel 1990. Occorre notare che il Mastrobuono

Rino Caputo

aveva dedicato un suo precedente libro, oltre che al Montano, allo stesso Singleton al quale si rivolgeva in referenziale (e reverente) confronto. Costanti letture dei testi

tomistici hanno rafforzato in Mastrobuono la diffidente separatezza e la localizzata acribia che è il fulcro del suo "scontro" con una tradizione che era parsa in America inattaccabile. Il Caputo fornisce anche ampi ragguagli sul lavoro di una più duttile dialogante, una studiosa ben nota anche in Italia, Teodolinda Barolini, che nel suo The Undivine Comedy: Detheologizing Dante ha reso edotto il pubblico dei suoi lettori delle complesse esigenze che si squadernano davanti agli occhi del critico che non intenda perdere di vista la ricchezza "anche" letteraria dell’avventura poetica di Dante.

Ma, il Caputo ha, a mio avviso, ragione nel tenersi ben saldamente ancorato ad una linea di conoscenza che, ripartendo dal Singleton, impone come prioritario all’informazione del lettore un più approfondite scandaglio della personalità dello studioso dantista. Ma sembra, da questo punto di vista, assai proficua la ricerca del Caputo quando traccia le linee interne che portano il Singleton a distaccarsi dal Boccaccio che nel Genealogia, in prospettica consonanza col suo critico ed interprete futuro, aveva parlato dell’ispirazione divina del testo di Mosè, scritto spiritu sancto dictante, e dell’identità di Museo e Mosè, per respingere con fermo movimento apotropaico il Boccaccio «dal cuore tranquillo», incapace di cogliere il senso dell’ allegoria dei teologi assorbita nell’itinerario del viaggio dantesco. Ugualmente interessante però mi si rivela (e in direzione, direi, opposta) l’istanza di recupero presente nelle pagine del Caputo, del rapporto stabilito dal Singleton tra senso letterale e secondo senso, ma trasferendolo per cosf dire 10

Per far segno - Prefazione

«in corpore vili», nella remota indagine sui Nuovi canti carnascialeschi che è del 1940. Il Singleton parlava colà, a quanto ci rivela il suo critico, del senso duplice del testo «letteralmente purgato e pulito e, insieme, connotativamente licenzioso». Condivido anche la dinamica interna, acutamente storicizzante, che porta il Caputo a giudicare il confronto Auerbach-Singleton, convergenze e divergenze, non in astratto, ma nella concretezza con cui appare rivissuto nella coscienza critica del Freccero. L’allontanamento dal Singleton avviene dunque, nell’interpretazione che ne fornisce il Caputo, senza scarti e per linee interne, senza cedere ad istanze correttive e ad impul-

si causidici. Merito del critico è stato quello di aver saputo tener conto con duttilità e comprensione dello spirito del discorso nell’ambito del quale vanno inquadrati nella loro pregnanza esegetica gli stessi "errores" che abbiamo l’obbligo di segnalare. A me pare, da questo punto di vista, che le pagine più convincenti dello scritto del Caputo siano dedicate all’intelligente e perspicua ricerca delle fonti che giustificano gli scarti del Freccero dalle consuetudini di un magistero singletoniano, mai veramente obliterato. In questa direzione, sulla scorta di alcune indicazioni della Jacoff, portavoce appassionata ed esperta della dantologia frecceriana, il Caputo ci inizia anzitutto al contatto dello

studioso col metodo "logologico" di Kenneth Burke, che punta sulla intercambiabilità tra categorie linguistiche e teologiche. Seguendo un suo proprio istinto di ricercatore di aggiornanti metafore di allontanamento non precedute da drastiche rotture di contatti di scuola, il Caputo punta

su usi eccentrici della terminologia dantologica frecceriana collegandola al pathos ironizzante del metodo decostruzionista d’un vicino e sodale dello studioso americano, Paul De Man. Determinanti però si rivelano i reperti dedicati dal Caputo 1l

Rino Caputo

all’intensa lettura partecipe da parte del Freccero del testo agostiniano per lui gravitante attraverso linee interne di esuberante consenso verso la Commedia di Dante. Le pagine dedicate al Freccero rappresentano il paradigma delle scoperte più felici dell’intero scritto del Caputo. Ma, oltre al lucido ed efficace ritratto del Singleton e del Freccero, non sono certo da trascurare i paragrafi di aggiornamento che densamente occupano l’ultimo capitolo dello studio che qui presentiamo. Un dialogo a più voci che comprende i versatili interventi della Barolini, dello Hollander, di Amilcare Iannucci, di Antonio D'Andrea, di Michelangelo Picone, del Dronke, del Botterill e del Baranski, riempie di preziosi tasselli il quadro che il Caputo ha saputo presentarci. Il suo è un libro ricco e utilissimo.

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PREMESSA

Il mio interesse alla critica dantesca americana non ha avuto altra origine (e titolo) che la curiosità intellettuale.

Nell’anno accademico 1992-1993 la Facoltà di Lettere della Seconda Università di Roma "Tor Vergata" mi ha affidato, per la seconda volta consecutiva, l’insegnamento di Storia della Critica Letteraria e ho tenuto il corso sulla critica dantesca americana contemporanea. Ringrazio ancor oggi gli studenti che lo hanno seguito e che, con la loro attenta partecipazione, mi hanno recato più che utili riscontri. Ma già da qualche anno l’ America era diventata per me realtà più concreta, ben oltre il "mito" consolidatosi nell'immaginario della mia generazione intellettuale dagli anni Sessanta in poi. Nell’autunno del 1986, infatti, ero stato invitato, su segnalazione di R. Scrivano, presso la cui cattedra di Letteratura Italiana della Facoltà di Lettere e Filosofia della Seconda Università di Roma "Tor Vergata" svolgevo allora la funzione di collaboratore didattico, a tenere una relazione al convegno di Ottawa su Luigi Pirandello, un autore a me familiare per lungo studio, avviato fin dagli esordi universitari e più intensamente ripreso nell’occasione della ricor-

Rino Caputo

renza del cinquantenario della sua scomparsa. Ho potuto cosî apprezzare, oltre alla cortesia degli organizzatori, divenuti poi amichevoli colleghi (in particolare, tra gli altri pur numerosi, Massimo Ciavolella, Amilcare Iannucci e Maria Predelli) la realtà specificamente originale della cultura universitaria nordamericana, canadese ma anche statunitense, per molti aspetti lontana dalle rigidità nostrane, tanto spesso implausibili e sgradevoli, e quasi mai tributaria dell’impronta ideologico-culturale europea e, soprattutto e in particolare, di quella italiana. Le esperienze d’insegnamento e i contatti di studio degli anni successivi, incentrati soprattutto su Dante, Petrarca e la letteratura italiana medievale, si sono coagulati nella relazione sulla critica dantesca americana contemporanea tenuta al convegno del maggio 1991 su Dante oggi, organizzato dall’ Associazione culturale "Elicona" di Latina. Ho ricavato, fin da allora, l'impressione che la realtà

americana sia dotata di una dimensione storico-culturale ancipite: da un lato la pratica, e la coscienza teoricometodologica, del nuovo; dall’altro, l’idea malcelata che

l'America, nel campo critico letterario, debba reperire i

fondamenti "iuxta propria principia", anche quando si manifesta in tutta interezza il peso, per cosî dire, formativo

della vecchia Europa e anche se, occorre dirlo, sono oggi avvertibili impulsi crescenti all’integrazione intercontinentale e multiculturale (italiana e italianistica, in partico-

lare).

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Per far segno - Premessa

Tutto ciò ha altresi confermato, in presa diretta, quello che da tempo ho letto e ascoltato sulla cultura critico-letteraria americana, in sedi pubbliche e in colloqui privati, dall’amico Dante Della Terza, esperto e prestigioso esponente accademico "dei due mondi", ma anche sobrio espositore delle rispettive specificità istituzionali e intellettuali. L’ulteriore attenzione da me prestata alle vicende della cultura americana è, infine, da riferire ai termini del dibat-

tito critico-letterario italiano della seconda metà degli anni Ottanta e di questi primi anni Novanta, nei quali, a mio avviso, anche attraverso l’introduzione della tematica dell’"allegoria", viene sancito il protagonismo della cultura americana contemporanea (anche quando vengono esibite ascendenze genetiche di stampo benjaminiano, al fine di attestare la validità "moderna" e non "medievale" dell’uso attuale; ma è doveroso riconoscere che la questione è più complessa della pronuncia appena tentata in questa sede). Si veda, in particolare, il lavoro di Luperini e di altri,

raccolto intorno alla rivista "Allegoria" e, ancora recentemente, nel volume collettivo Teoria e Critica Letteraria oggi, Milano, Franco Angeli, 1991 (che dà conto dei risultati del convegno sulle tendenze della critica letteraria

italiana contemporanea, svoltosi a Siena nel maggio del 1990 e, non a caso, organizzato d’intesa tra le università di Siena e di Toronto); ma si pensi anche al decostruzionismo

divulgato in Italia da J. Culler, alla ripresa italiana del riuso "americano" di De Man e Derrida e, insieme, della linea

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Rino Caputo

teorica e politico-culturale di Jameson, fino alla recentissima reintroduzione editoriale di H. Bloom nel nostro panorama critico-letterario (e altro ancora si potrebbe menzionare, ché l’intero decennio trascorso ha internazionalizzato, con luci e ombre, la provincia italiana e, natural-

mente, verso Occidente). Ma non vorrei dar l’impressione di un discorso critico precostituito: le conclusioni raggiunte sono il frutto di un effettivo sforzo ermeneutico che, almeno nelle intenzioni,

si è voluto scevro da pregiudizio. Ecco perché, talvolta, l'esposizione potrà sembrare troppo aderente all’oggetto d’indagine, inseguendo forse troppo puntigliosamente gli snodi teorici e narrativi (in qualche caso di pregevole scrittura, anche se si tratta di... critici!).

Da ultimo, Per far segno mi è parso un titolo adatto a sintetizzare, nella sua larga polisemia, non solo, e non tanto, le allusive metafore espressive ritrovate nei testi degli autori esaminati (la «command performance» di Freccero, innanzitutto), quanto soprattutto il lascito più proficuo, pragmatico più che teleologico, intellettualmente aperto più che ideologicamente costretto, della critica dantesca americana contemporanea. E poiché, come annota lo scriba della Commedia alla vigilia della sua euforica catastrofe e con il termine caro al suo (ex?) primo amico, nessun segno è descrivibile fuori

dal sensato, che è lo specifico dell’uomo, oltre che del poeta, al lettore di queste osservazioni, se vuole, l’impegno

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Per far segno - Premessa

ma, anche, il piacere di aggiungere senso alla critica, e all'opera, di Dante. Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestial cha men salita.

Cosf parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d’intelletto degno. Per questo la Scrittura condescende a vostra facultate, e piedi e mano

attribuisce a Dio, e altro intende (Pd 4,37-45) Rino Caputo

Ischitella nel Gargano, agosto 1993

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Ringrazio la Direzione e il Personale del Dipartimento di Lingue e Letterature Comparate dell’ Università di Roma "Tor Vergata" e, in particolare, gli operatori del Centro Informatico Dipartimentale, il Direttore dott. Nicola Papa e Tommaso Livoli. A tutti loro, e direttamente a Tommaso Livoli, si deve l’impostazione e la realizzazione del progetto editoriale di questo lavoro. Un sentito grazie va a Giorgio Brugnoli, esimio studioso di Dante latino e volgare, per i preziosi e larghi consigli. Amilcare Iannucci mi ha costantemente aggiornato sulla dantologia americana, pressoché in tempo reale, ed è stato, inoltre, paziente e attento lettore del preprint. A lui va la mia gratitudine, nella speranza di essere riuscito a raccogliere il senso delle sue osservazioni. Ancora grazie a Dante Della Terza per aver voluto onorare questo tentativo di ricerca storico-critica con la sua più competente valutazione.

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Dedico questo libro a mia moglie Mirella e a mio figlio Valerio che mi hanno aiutato a scriverlo

Rino Caputo

Elenco delle principali abbreviazioni usate

Allegoresi =

*Dante e le forme dell’allegoresi, a cura di M. PICONE, Ravenna, Longo, 1987.

Annali=

*Dante and Modern American Criticism, edited by D:S. CERVIGNI in "Annali d’Italianistica", 8, 1990.

Dante today =

*Dante today edited by A.A. IANNUCCI in "Quaderni d’ Italianistica", special Spring & Fall vol. X, n. 1-2, 1989.

Freccero =

J. FRECCERO, Dante. La poetica della conversione,

Bologna, Il Mulino, 1989. Singleton =

CH.S. SINGLETON, La poesia della Divina

Commedia, Bologna, Il Mulino, 1978.

Freccero

1992=

Mimesis =

Studi =

J. FRECCERO, Conversione e Allegoria della "Commedia" in "Intersezioni", anno XII, n. 1, aprile 1992, pp. 5-34. E. AUERBACH,

Mimesis, Torino, Finaudi, 1986.

E. AUERBACH, Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 1973.

Studi americani =

*Studi americani su Dante, a cura di G.C. ALESSIO e R. HOLLANDER

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Milano, Franco Angeli, 1989.

Per far segno - Dante e l’ America

1. Dante e l'America

Tra Dante e l’ America esiste una relazione speciale. Non è, certamente, quella, fantasiosa, d’un felice anacronismo,

risolto nell’improbabile profetica e/o poetica prefigurazione del Nuovo Mondo. Dante, in questo, non è Petrarca che osa indirizzare la sua opera in versi e ’n rime a gente che di là forse l’aspetta; per lui, invece, oltre l'emisfero boreale ci sono realtà ed apparenze non viste mai fuor ch’a la prima gente o, in definitiva, c’è il folle volo oltre che, positivamente, la montagna del Purgatorio, che è un "altro" mondo e non certo il Nuovo Mondo. Bisogna notare piuttosto la tradizionale sensibilità mostrata dalla cultura americana nei confronti di Dante fin dal costituirsi della identità "statunitense" sganciata dal ceppo anglosassone (che, pure, resta l’ovvio e diretto tramite della conoscenza della personalità di Dante e della sua opera). Ma già a questo punto è necessario operare una distinzione: "Dante e 1’America" significa Dante e la cultura nordamericana, soprattutto quella situata nel mondo accademico variamente circolante nelle e tra le università degli USA e del Canada. Senza togliere alla restante parte sudamericana e ispano-americana, peraltro quantitativamente maggioritaria, lo specifico e autonomo contributo agli studi danteschi, bisogna riconoscere preliminarmente che quando si parla del rapporto tra Dante e 1’ America è alla 23

Rino Caputo

realtà settentrionale del Nuovo Mondo che occorre riferirsi!. "Dante e 1’ America" diventa così lo studio del modo di collocarsi dell’opera di "Dante in America", che assume fin dall’inizio una particolare conformazione: nelle università americane Dante è piuttosto considerato un autore universale che uno (0, magari, il più grande) degli autori

della letteratura italiana e la Commedia, di conseguenza, è ritenuta patrimonio culturale e occasione di lettura critica da parte degli studiosi appartenenti all'intera "melting pot"

socio-linguistica e non solo di quelli di estrazione italo-americana e/o di formazione italianistica. Nelle Università americane esistono cattedre e insegnamenti esclusivamente versati su Dante; la tradizione dei "Dante Studies" è annosae fiorente e solo più recentemente si è collegata a quella, ancora un po’ troppo sporadica, degli "Italian Studies". Anche soltanto un tentativo di esaminare le profonde ragioni storiche e sociali di tale situazione spingerebbe l’analisi troppo oltre ma, almeno, è possibile e opportuno dire che l’assetto istituzionale suaccennato non è ininfluente sul modo e la qualità del rapporto tra Dante e l’ America ovvero, in maniera più esplicita, tra la critica

dantesca americana e l’opera del "divino poeta". L'attenzione crescente della cultura nordamericana nei confronti di Dante trova il suo punto di snodo nel primo Novecento. Non è che, lo si ripete, siano mancate prove di fedeltà a Dante nei due secoli precedenti; ma è chiaro che 24

Per far segno - Dante e l’ America

a partire dallo scorcio di fine secolo XIX si assiste ad una vera e propria scoperta di Dante. E anche in America si riproduce la particolare costellazione della critica dantesca: di essere, cioè, oltre che occasione di una nuova e più accreditata interpretazione dell’opera di Dante, una sede di verifica delle tendenze teorico-ermeneutiche più aggiornate e più onnivalenti (0 che si pretendono tali) dell’intero panorama critico-letterario. Si pensi, ad esempio e a tale

proposito, per fermare l’attenzione soltanto alla realtà italiana, almeno a La poesia di Dante di Benedetto Croce, pubblicato nel 1921, nel sesto centenario della morte del poeta, e alla gran messe di studi - oltre che alla più moderna edizione critica di G. Petrocchi - raccolti intorno al settimo centenario della nascita, nel 1965. Non stupirà allora di trovare, agli albori della critica dantesca americana del Novecento, personalità come Eliot e Pound, scrittori, poeti e saggisti definiti da R. Wellek nella sua Storia della critica moderna «le figure centrali dell’evoluzione del gusto e del cambiamento della teoria critica del nostro secolo»; oppure come G. Santayana, filosofo ma soprattutto, per Wellek, «grande critico»; 0vvero critici letterari in senso stretto come Burke e Winters,

già per tempo, tra l’altro, sostenitori o oppositori dell’al-

legorismo applicato ai testi letterari . Eliot, in particolare, influenza l’ambiente critico-letterario con la sua autorevole impostazione del rapporto tra poesia e religione, fondato sulla visione dell’arte come esperienza emergente dal simbolismo, vivificato dai valori 25

Rino Caputo

della società cristiana. In maniera cronologicamente più datata, come ironicamente Wellek rileva con le parole di

un altro importante critico-letterario, R.P. Blackmur, «il "culto" per Dante si era diffuso da Bloomsbury a Cape Cod», così individuando il nesso che lega la migliore cultura inglese primonovecentesca-quella, appunto, del "Bloomsbury Group", di V. Woolf, L. Strachey, ecc. e, per altro verso, dello stesso Eliot-alla più tipica e avanzata cultura nordamericana di stampo anglosassone (anzi "wasp'), quella, appunto, del New England, di Boston e della Harvard University . MaElliotè sacerdote del culto dantesco anche e soprattutto in qualità di poeta e critico teorico della poesia. L’inse-

gnamento di Dante riguarda «l'ampiezza dell’arco emotivo», la «completa gradazione delle "profondità" e delle "altezze" dell’emozione umana», e nello stesso tempo, il poeta Dante pensa in «terza rima»”. Il culto di Dante risente in America, altresì, di una specifica connessione con la dimensione religiosa tanto originaria quanto onnipervasiva, che è tipica dello "spirito pubblico" statunitense, contrassegnato dall’eredità puritana e biblico-scritturistica dei Padri Fondatori (e si pensi, almeno, a due personalità come Longfellow e R.W. Emerson). E se a tutto ciò si aggiunge la particolare sensibilità di altre fedi religiose, quella ebraica innanzitutto, nei confronti della Parola scritta nel testo sacro, si può ulteriormente, e agevolmente, comprendere l’importanza riconosciuta dalla critica letteraria americana alla relazione 26

Per far segno - Dante e I’America

presupposta permanente e costitutiva tra Testo (sacro) e testo (letterario). Si pensi, per menzionare solo un esponente di tale pratica ermeneutica, a H. Bloom, rabbino e critico”. E° per la somma di questi motivi che la critica dantesca americana del Novecento trova, fin dagli esordi, un terreno fecondo per il solco ermeneutico vivificatore e pronto, quindi, a dare copiosi frutti. Ma, come spesso accade nelle vicende della critica letteraria, la tradizione acquisita e consolidata permette un compiuto dispiegarsi di tutte le potenzialità che contiene solo quando il soggetto operatore protagonista avverte il contatto con altre tradizioni lontane nel tempo e nello spazio ma non sempre necessariamente allotrie nei tratti fondamentali. E questo è il caso del primo grande dantista americano, Ch.S. Singleton.

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Per far segno - Singleton

2. Singleton

E’ stato rilevato, da recensori tempestivi e attenti, che l’appartenenza di Singleton alla tradizione americana procede in una con la sua formazione culturale e più strettamente professionale, filologico-letteraria, connessa all'Europa e all’Italia. La precoce esperienza di filologo editore di testi fiorentini del Rinascimento e l’apprestamento di una edizione criticamente riveduta del Decameron (pubblicata nel secondo dopoguerra e, quindi, qualche decennio più tardi) attribuiscono concretamente a Singleton l’immagine di un "clericus" vagante per le biblioteche fiorentine, italiane ed europee, a contatto con le istituzioni accademiche dei paesi visitati, ma, soprattutto, con le figure eminenti o emergenti della cultura europea. Singleton è così protagonista di un "tour" forse un po’ diversamente motivato da quello che, pure, coinvolge molti intellettuali americani negli anni Venti e Trenta.

Non c’è infatti, come

in Santayana,

il

ripudio del New England puritano e, peraltro, l’assenza dal continente americano non è giustificata da una scelta "laica" o anticonformista: il giovane Singleton è un appas-

sionato studioso di filologia e letteratura umanistica e rinascimentale e in tale veste, si deve credere, incontra anche Dante e la sua opera.

Ma, nel contesto storico-critico americano, l’incontro di Singleton con Dante viene fatto risalire piuttosto agli anni VO

Rino Caputo

più maturi, dopo il ritorno in patria e l’inserimento nella dimensione accademica statunitense, in particolare della costa atlantica, che varrà a Singleton, pur nato e formatosi nella West Coast, l’epiteto di «egregio harvardiano» da parte di un altro grande dantista, filologo e critico accademico italiano, come G. Contini . La premessa filologico-letteraria europea degli anni giovanili si riduce, forse un po’ troppo, ad una parentesi slegata dall’attività successiva, prevalentemente esegetica. Ma lo studio di Boccaccio e lo stesso allestimento della raccolta di testi dei Canti Carnascialeschi possono, in qualche modo, definire un incontro di Singleton con Dante, foriero degli sviluppi della maturità, se si valorizzano alcuni preziosi indizi contenuti direttamente o indirettamente nei lavori di questo primo periodo. E° nota la fermissima convinzione di Singleton che, senza penetrare nel mondo dell’autore, senza compartecipare delle motivazioni strutturali dell’opera, non si danno conoscenza e godimento effettivi dell’evento artistico. Con bella e intensa parafrasi di un brano delcommento di Benvenuto de’ Rambaldi da Imola, tra i primi e più noti esegeti danteschi, e a conclusione dell’«Appendice» agli

Elementi di Struttura, il primo libro scritto su Dante (edito nel 1957), che apre la silloge italiana La poesia della Divina Commedia, Singleton quasi sentenzia: Non ti paia sconveniente, lettore, che questo viaggio di un vivo nel mondo oltremondano ti sia presentato nel suo primo senso come letteralmente e storicamente vero. E se tu dici: "Non cre-

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Per far segno - Singleton

do che Dante abbia mai visitato l’oltretomba", io allora risponderò che con coloro che rifiutano di credere ciò che un poema esige sia creduto è inutile discutere oltre”.

In Benvenuto la tesi è sostenuta con il corredo di un’af-

fermazione esplicita e inequivocabile: Si enim vis intelligere opus istius autoris, oportet concedere

quod ipse loquatur catholice tamquam perfectus christianus, et qui semper et ubique conatur ostendere se christianum (Singleton 128).

Singleton fa sua la convinzione di Benvenuto e anzi la estende

a norma

ermeneutica costante, attraverso l’uti-

lizzazione, come si vedrà tra breve, della cosiddetta "allegoria dei teologi". Ma Benvenuto condivide con altri uomini di cultura del Trecento, eruditi, studiosi e poeti, l’idea che Dante sia un poeta-teologo (come recita persino l’epitafio posto sulla tomba ravennate dall’amico "bucolico"

Giovanni del Virgilio)”. In particolare, è da far risalire a Boccaccio l’esaltazione della virtà poetica dantesca in una con la sua qualifica dottrinale teologica. E, in effetti, nelle opere dedicate a Dante, Boccaccio si rivela, oltre che appassionato cultore dell’illustre conterraneo, primo interprete critico tanto da poter oggi affermare che, per tanti aspetti, Dante perviene alla posterità immediata e lontana "attraverso" Boccaccio (ciò che appare essere, molto spesso, la funzione più e meno deliberata della "critica letteraria" nei confronti della "letteratura"). A Boccaccio risale la convinzione, strenuamente difesa in polemica con gli esponenti delle discipline giuridiche, 31

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mediche e perfino teologiche, suggerita dallo stesso Dante del Convivio, che la poesia emerge ex sinu Dei alla stregua della teologia, senza essere perciò ancella o grado secon-

dario dell’itinerario a Dio”.

E proprio perché espressione compiutamente divina, la poesia è fervor oltre che exquisita locutio, pertiene al sacro fuoco divino come alla più fredda ma ben elaborata facoltà linguistico-stilistica umana Essa è perciò, altresì, tramite diretto del verbo divino nelle più elevate articolazioni umane. Il poeta-vate, il "poeta" che è anche "profeta", è visto da Boccaccio come l’esempio, predeterminato fin dagli albori dell’umanità, della connessione paritetica tra poesia e teologia e, anzi, pur con qualche esitazione etimologica, viene persino personalizzato: Mosè = Museo, come registra in Genealogia 964: Museus et Moyses unus et idem. Non deve passare inosservata l’arditezza ideologica che spinge Boccaccio a legare "ab origine" cultura classica pagana e cultura ebraico-cristiana. L'esempio è del resto, come s'è già accennato, nel Dante di Cv 4, 5, 6, ben prima, quindi, di ogni successiva "teologizzazione" della critica: fu in uno temporale che David nacque e nacque Roma, cioè che Enea venne di Troia in Italia, che fu origine de la cittade

romana, sf come testimoniano le scritture. Per che assai è manifesto la divina elezione del romano imperio, per lo nascimento della santa cittade che fu contemporaneo a la radice de la progenie di Maria;

ma Boccaccio va più in là, fino a sostenere che Moysem...non soluto stilo, sed heroyco scripsisse carmine, Spi82

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ritu Sancto dictante (Genealogia 956).

Tale impostazione, è bene dirlo, non traspare espliMEGA dai primi scritti singletoniani, versati piuttosto, com’è stato ampiamente puntualizzato, sui notevoli problemi della tradizione del testo del Decameron! Nella «Premessa» al volume degli Scrittori d’Italia dedi-

cato a Boccaccio la traccia dantesca registrata da Singleton è apparentemente irrisoria e un po’ convenzionale. Da un lato la ripresa dell’immagine di esordio della Commedia, la "scena del prologo", per dirla con Freccero («ma solo i fatti studiati senza preconcetti avrebbero potuto rischiararmi la diritta via per selva sì oscura»), versi, però, tanto

commentati successivamente e divenuti quasi architrave dell’intera ricostruzione critica di Singleton e dei suoi migliori allievi, Freccero innanzitutto, appunto come «the

prologue scene» ”. Dall'altro, quasi riecheggiando l’intuizione eliotiana testé accennata, una singolare osservazione numerologica sulla "terza rima", anch’essa ripresa negli studi più maturi e a tal punto importante da spingere il diretto e prestigioso allievo J. Freccero a dedicare al tema il saggio che la curatrice R. Jacoff ha posto a chiusa della silloge italiana pubblicata nel 1989"° Singleton rileva che, quanto all’ Alva critica del voluminoso testo decameroniano, non fa meraviglia quindi se nessuno vi si accingesse. Non solo a ragione della mole stessa di cento novelle e di una comice già in sé lunga; bensî per la natura stessa di quest'opera in prosa che non si protegge nella sua forma materiale con nessuna linea formale e recisa (si pensi alla Divina Commedia e a quel che

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rappresenta la terza rima a questo riguardo!)...!4

Ma, per completare l’accenno agli spunti preliminari, è nelle avvertenze all’edizione dei Canti carnascialeschi del 1936 e dei Nuovi canti carnascialeschi del 1940 che Singleton sembra sperimentare, "in corpore vili" o almeno profano, trattandosi di componimenti non certo degni del poema sacro, l’efficacia di alcune categorie ermeneutiche portanti l’intero edificio della sua critica dantesca. Dopo un ribadito riscontro stilistico-numerologico (come il Decameron, i Canti carnascialeschi «hanno subito la sorte di tutte quelle forme di espressione non ben solidamente fissate e legate dal verso o dal ritmo e trasmesse oralmente» °),è nei Nuovi canti che Singleton assume il carico

del problema del senso duplice del testo, letteralmente purgato e pulito e, insieme, connotativamente licenzioso. Ma basta qualificare diversamente la frase di Singleton per farle acquistare immediata pregnanza dantesca: Ma bisogna osservare che è proprio il secondo senso che detta la scelta del soggetto e dell'apparato e fa da sostegno al senso letterale!°,

Trail senso letterale e il «secondo senso» non vi è soltanto interazione semantica, ma anche relazione sociale, nella misura in cui il testo, o l’opera che dir si voglia, è riconducibile a un sistema comunicativo La produzione, trasmissione e ricezione del significato trae senso dalle reciproche aspettative degli artisti produttori, inventori, creatori, operatori di vario grado e del pubblico fruitore. Ecco perché, ancora una volta, l’os34

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servazione "carnascialesca" di Singleton apre la via, nella sua perentorietà, alla più globale applicazione sul testo dantesco: Il concetto equivoco di un canto carnascialesco non è creato da quel canto, ma è diffuso nel pubblico che lo ascolta e se lo

aspetta.

Nel Singleton editore filologico di testi circola imperativamente l’esigenza di immettersi nel mondo dell’autore, quello, si direbbe oggi, estetico-cognitivo (mentre altri ha parlato, in passato, di «mondo intenzionale») e quell’altro più largo, artistico-intellettuale e ideologico-

letterario, sedimentato dal contesto storico-sociale. E tale istanza poietica e comunicativa, mentre getta luce sulla prassi filologico-critica esercitata, sembra motivare anche la familiarità ante litteram di Singleton con alcune tra le più prestigiose categorie della critica dantesca coeva, a partire, come si vedrà tra breve, da quelle di E. Auerbach. Ma, intanto, a cogliere più perspicuamente i passaggi fondativi della formazione critica singletoniana, soccorre l’appoggio della posizione esegetica boccacciana. Negli ultimi libri del Genealogia la definizione teorica della poesia e dei suoi rapporti con le altre branche dell’attività intellettuale umana si vale dell’opera di Dante come esemplare esercizio di lettura, oltre che come autorevolissimo precedente dottrinale, poetico e teologico: Et sic alios non nullos equo modo magnalia Dei sub metrico velamine licterali, quod "poetico" nuncupamus, finxisse (Genealogia 956).

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L’argomentazione è condensata soprattutto nell’equazione poeta-teologo: nostrum Dantem sacre theologie implicitos persepe nexus mira demonstratione solventem, non sentiat eum non solum phylosophum, sed theologum insignem fuisse (Genealogia 968) OVVEroO:

Et, ut ex multis aliquid ostensum sit, noster Dantes, dato materno sermone, sed artificioso scriberet, in libro quem ipse Comediam nuncupavit defunctorum triplicem statum iuxta sacre theologie doctrinam designavit egregie (Genealogia 1056),

che permette a Boccaccio perfino di "allegorizzare" sulla Commedia e, dettagliatamente, su Pg 30, in forme non dissimili da Singleton, che, com’è noto, fa di questo canto il fulero dell’«avvento di Beatrice»: Et si hoc existimet, qua fultus ratione arbitrabitur eum bimembrem gryphem, currum in culmine severi montis trahentem, septem candelabris et totidem sociatum nimphis, cum reliqua triumphali pompa, ut ostenderet quia rithimos fabulasque sciret componere? (Genealogia 968).

Occorre tuttavia precisare che il Singleton della fase esegetica più matura tenderà a deprimere il ruolo critico dell’autore della sua gioventiîi, non tanto rimproverandogli le pecche filologiche (peraltro non secondarie, se si pensa sg i À 19 agl’interventi arbitrari sul testo della Vita Nuova

); quan-

to, piuttosto, rimpiangendo l’incapacità irreversibile dell’umanista Boccaccio di rientrare nel mondo di Dante, da lui distante appena una generazione. Ribaltando la valutazione su quello che può essere stato il primo vero ausilio alla sua intuizione esegetica, Single36

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ton ha parole dure per la sostanziale inintelligenza boccacciana del poema dantesco, ritenuta addirittura modalità capostipite dell’allontanamento, se non dell’indifferenza, dello sguardo critico dei secoli successivi, troppo "rinascimentali" e "illuministici" per apprezzare l’ordinata armonia del mondo (anche dantesco) medievale: Forse un giorno ci renderemo conto che una delle indagini più importanti da intraprendere negli studi danteschi potrebbe consistere in una rigorosa considerazione del modo in cui abbiamo perso contatto, per dir cosî, con Dante e il suo tempo - e con il poema; ripercorrere la storia di questa nostra perdita e delmodo in cui essaèavvenuta nel corso dei secoli significherebbe infatti acquisire una più acuta consapevolezza di quello che dobbiamo fare per recuperare il tempo e il "mondo" di Dante, nonché il poema in cui quel tempo e quel mondo si riflettono (Singleton 467).

Attribuendo poi a Boccaccio la funzione di revisionista laico della spiritualità agostiniana che permea tutta la dimensione religiosa medievale (il cor inquietum dell’esordio delle Confessiones) e, forse, trascurando l'importante mediazione, "umanistica" certo, ma anche, se non soprat-

tutto, agostiniana di Petrarca, Singleton cosî conclude la

sua argomentazione e, insieme, conferma, "e contrario", le basi della sua teoria dell’allegoria nell’opera dantesca: Eppure, ben presto dopo la Commedia, appena una generazione

piu tardi, viene il Decamerone con il suo "cor quietum" e un Boccaccio che non intende più l’allegoria dantesca del cor inquietum, ma legge il poema come se Dante avesse scritto nei modi di un’allegoria pagana del "cor quietum" (Singleton 48).

Boccaccio, cioè, soprattutto nel Comento a parere di Singleton, riconosce l’allegoria come nucleo fondante del DI

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poema dantesco, ma ne assume la duplicità del senso in modo genericamente culturale. Eppure, ancora in Genealogia, è dato ritrovare affermazioni nette ed esplicite come

questa: et quod poeta "fabulam" aut "fictionem" nuncupat, "figuram" nostri theologi vocavere (Genealogia 960)

ma, in definitiva, Singleton rimprovera a Boccaccio di non saper recuperare la sostanza dell’ispirazione dantesca. E «recupero», fin dalle prime pagine della Poesia della Divina Commedia, è una categoria critica che connota fortemente l’esegesi singletoniana”” Non c’è dubbio, tuttavia, che, almeno sul piano della raccolta delle argomentazioni teoriche, la prima esegesi dantesca di Singleton si vale di alcune intuizioni boccacciane e, in ogni caso, della mediazione storico-critica che il più giovane scrittore trecentesco opera nei confronti di un predecessore da subito avvertito come maestro e in maniera molto più conclamata ed esplicita degli altri suoi colleghi contemporanei, Petrarca innanzitutto. Ma è invece tutta del critico americano novecentesco l’insistenza sul «recupero» del mondo dantesco, inteso non soltanto come sostrato poetico-dottrinale dell’identità individuale dell’autore della Commedia, ma come parte di una realtà che si presenta a Singleton - uomo di cultura ma, è bene ricordarlo, uomo di fede cristiana - come governata da una mentalità umana collettiva fondata sull’ordine trascendente di tutte le cose naturali e di tutte le vicende storico-sociali: 38

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Per mondo - è chiaro - non intendo semplicemente i fatti accertabili concernenti le centinaia di persone, luoghi e avvenimenti e le migliaia di allusioni che concorrono a popolare il "mondo" interiore del poema [...] intendo invece le forme precipue del pensiero e della sensibilità medievali, gli schemi fondamentali della mentalità e della fantasia cristiana che erano

venuti prevalendo Dante aveva buon costituire parte del come vivo contesto

attraverso secoli di Cristianesimo - e che motivo di ritenere avrebbero continuato a nostro retaggio e a restare nei nostri cuori del suo poema (Singleton 466).

L’impulso intenzionale quasi teologico dell’interesse singletoniano per Dante "medievale" affiora fin dalle prime pagine della Presentazione, anche attraverso l’analogia con la condizione dell’arte architettonica coeva: Nessun artista è in grado di prevedere i cambiamenti che il tempo potrà apportare al contesto pubblico della sua opera [...] Nell’opera, quale egli l’aveva composta, il significato interiore e privato era in tensione con ciò che stava all’esterno, con un contesto che finiva per essere una specie di "dimensione pubblica" [...] Quella "dimensione pubblica" di un’opera d’arte non esiste, naturalmente, che in noi: ma noi siamo cambiati moltissimo. Nel caso dell’arte medievale, tale dimensione, nella sua portata più generale, non era altro che la persuasione che in questo mondo nulla importa quanto la salvezza (salus) dell’anima, e che la vera salvezza è possibile solo per mezzo di Cristo (Singleton 9),

facendo emergere in tal modo l’istanza convintamente religiosa sottesa alla sua attività critico-esegetica: Ecco perché, chi desidera comprendere un’opera in sé, dovrà parlare cosî spesso di cose che sembrano al di fuori e al di là di essa (Singleton 10). i

E, in particolare nella Divina Commedia, l'esigenza di rintracciare le «dimensioni di significato», che sono, altre39

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sf, gli «elementi fondamentali della struttura» s'imbatte da

subito nelle cose che, per cosf dire, sono fuori dalle parole, anche se da queste sono espresse: la poesia di Dante nella Divina Commedia è un esempio supremo di "imitazione": l’opera fu deliberatamente costruita come analogia di quel grande "poema" che nella concezione del Medioevo cristiano è l’universo creato (Singleton 15).

Non va taciuto, tuttavia, che a queste perentorie affermazioni, peraltro non ellittiche perché argomentate in molte pagine, sarà obiettata da parte della critica dantesca non singletoniana una contraddittorietà non solo critico-letteraria ma anche teologica e, cioè, di aver reso Dante un competitore non solo poetico ma quasi luciferino del Creatore effettivo di tutte le cose e le parole!”! Ma, prima di ciò, va notato che il «recupero», in quanto cornice metodologica, è sostenuto da una spinta alla compenetrazione dello sguardo critico con l’oggetto di studio. Coni termini della teologia cristiana, si tratta per Singleton di vera e propria incarnazione, ovvero della necessità di ridarsi con piena e totale disponibilità della mente e del cuore al mondo che fu di Dante. L’atto della volontà coincide con l’atto critico. Infatti, anche se ciò ha potuto e, forse, potrà sorprendere più d’uno, secondo Singleton anche un ateo può conoscere e gustare la poesia (religiosa e cristiana, come s’è visto) della Divina Commedia se attua, per il tempo che serve, una sospensione e un trasferimento; cosî come la disponibilità del cristiano verso una poesia che per Singleton è definibile 40

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come laica e areligiosa (se non proprio irreligiosa) è comprovata sul testo che ha ricevuto le maggiori attenzioni del filologo "as a young man", il Decameron (Singleton 469). Non è contraddittorio, quindi, ritrovare l'affermazione che, per apprezzare la situazione di partenza del Purgatorio, «noi siamo invitati a considerare l’episodio come se avesse luogo nella vita terrena» e che, per far questo, poiché noi siam peregrin come voi siete (Pg 2, 63), occorre «immedesimarci nella nostra vera condizione di Cristiani» (Singleton 41).

E° necessario insomma condividere il mondo di Dante, essere in comunione

(e il termine è allusivamente pre-

gnante in questo caso e per niente affatto parodistico) con Dante e con tutto ciò con cui è in comunione Dante. A partire, magari, dalla constatazione della sicura coscienza dantesca di operare, attraverso il poema sacro, una sorta di imitazione sia dell’universo creato da Dio sia del Libro parlato, per cosî dire, da Dio: le cose, appunto, e le parole, da cui scaturiscono in maniera conseguenziale i procedimenti tecnico-espressivi del «simbolismo» (imitazione della struttura del mondo reale) e dell’«allegoria» (imi-

tazione della struttura della Sacra Scrittura). Ma risalta intanto, e in via preliminare rispetto al concreto dispiegarsi dell’interpretazione singletoniana dell’opera di Dante, l’uso di categorie critiche, teoriche, ermeneutiche e

più propriamente filologico-esegetiche di provenienza ed uso non puramente danteschi. Le «dimensioni del significato» accennate da Singleton 41

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in esordio non esauriscono la loro realtà sul piano tematico o contenutistico: esse sono, invece, «elementi fondamenta-

li della struttura del poema» e come tali assumono la veste di protagonisti della costruzione dei registri stilistico-espressivi del testo dantesco. L’allegoria e il simbolismo non sono arnesi posticci, impalcature provvisorie ma appunto, per iterare la metafora edilizia, «struttura», che è nozione piuttosto attinente agliesiti filosofico-linguistici e antropologici delle scienze umane e naturali del (primo) Novecento e, per giunta, non riducibile a quel grado della stessa metafora edilizia, con cui condivide solo il campo teorico, utilizzato da Benedetto

Croce per affermare, già trent'anni prima di Singleton, che la Divina Commedia era un «romanzo teologico», l’allegoria una «criptografia allotria» e che, anzi, a proposito di mondo dantesco, «quelle dottrine vi stanno non in quanto pensate ma solo in quanto immaginate, e perciò non si dialettizzano nel vero e nel falso» e che Paragone per paragone, si potrebbe piuttosto raffigurarla come una fabbrica robusta e massiccia, sulla quale una rigogliosa vegetazione s’arrampichi e stenda e s’orni di penduli rami e di festoni e di fiori, rivestendola in modo che solo qua e là qualche pezzo della muratura mostri il suo grezzo o qualche spigolo la sua dura linea?”

Cosî come è quasi sorprendente riscontrare, al termine di

una lunga argomentazione tra le più costitutive dell’interpretazione singletoniana di Dante e della Commedia, il ricorso ad una categoria critica gravata, quant’altre mai, dai termini più intensi ed estremi del dibattito teorico,

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storico-critico, storico-ideologico e politico-culturale del primo e secondo Novecento: il "realismo". Se, ancora una volta, simbolismo e allegoria sono «elementi fondamentali della struttura» dell’opera, e dunque coessenziati ad essa, se, cioè, per usare le stesse parole di Singleton L’intero viaggio nell’aldilà va oltre il linguaggio metaforico, non è riducibile alla specie di allegoria entro cui ha avuto origine. Quando la figura di quest'uomo vivo, questa persona in cui anima e corpo sono ancora uniti, varca la porta dell’ Inferno, il poema abbandona la doppia visione, ben riconoscibile e familiare, con cui era iniziato, e perviene a una visione singola ed assolutamente singolare, cioè a dire un viaggio singolo: a una visione resa fisicamente sensibile, che possiede una corposità e una forza di persuasione quali non si sarebbero potute attendere dall’inizio. Lî si dipana il filo di un viaggio letterale presentato come reale... (Singleton 30),

allora Dovunque è il particolare, l’individuale, il concreto, il sensibile, l’incarnato, con tutta la forza e l’irriducibilità della realtà stessa. Qui è visione fatta davvero carne, e la possibilità che ciò abbia luogo ha origine proprio là, nel prologo del poema (ibidem).

La conclusione è netta e sicura: «se solo guarderemo il mondo nel modo in cui lo concepiva lui», premette Sin-

gleton cosî "recuperando" Dante, «ci renderemo conto che l’arte di questo poeta religioso è essenzialmente realistica» (Singleton 50).

Si può affermare, in definitiva, che se "allegoria" e "simbolismo" sono i capisaldi della Commedia e di Dante, "struttura" e "realismo" sono gli ambiti teorici e operativi entro i quali è possibile iscrivere l’attività critico-letteraria 43

Rino Caputo

di Singleton. E la critica dantesca americana eredita in linea indiretta, quasi subliminale, la lettura che di queste categorie teoriche è stata fatta in ambito europeo e, in particolare, si trova

a utilizzare il concreto apporto agli studi danteschi, e medievali, di E. Auerbach . Certo, una ricostruzione a sé stante meriterebbe, in via preliminare, l’ampia fondazione del discorso che Singleton presenta nel Saggio sulla "Vita Nuova" del 1949, edito successivamente nel 1958 (An Essay on the "Vita Nuova", Cambridge, Mass., Harvard University Press) e, in Italia, con la traduzione di G. Prampolini, dal Mulino nel 1968. Basti dire che sono riconoscibili, nell’edizione italiana, interi passi (conil relativo processo argomentativo) che dal Saggio sono trasferiti nella prima parte della Poesia della Divina Commedia: come, ad esempio, la questione dell’ «analogia» e del rapporto tra artista, pubblico e opere (p. 10) testé notata, la ripresa del confronto critico con Curtius (p. 40), Auerbach (p. 44) e Spitzer (p. 11 e 66), i riferimenti

suggestivi a Petrarca (p. 69 e 92) e a Cavalcanti (p. 102 e 133), oltre che all’Epistola a Cangrande (p. 121). Pur essendo ormai riconosciuto il contatto tra Singleton e Auerbach (e oggi persino Freccero ribadisce, come si vedrà, in modo molto argomentato convinzioni testimoniate già da alcuni decenni‘), è stata rilevata, tuttavia, la singolare coincidenza tra la produzione dell’ultima fase, americana appunto, del lavoro dello studioso tedesco e la prima esplicita formazione delle tesi critico-esegetiche di 44

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Singleton. Nel decennio a cavallo degli anni Cinquanta essi elaborano e pubblicano le loro interpretazioni dantesche senza reciprocamente menzionarsi. Ciononostante si trovano ad essere ospitati nello stesso numero del 1952 dedicato a Dante dalla "Kenyon Review" (la rivista ritenuta allora l’organo portavoce dei più prestigiosi aderenti al cosiddetto "New Criticism"), in compagnia dei maggiori studiosi americani e stranieri (Contini, ad esempio). Solo recentemente, insomma, con le precisazioni di Ba-

ranski e le definitive ammissioni di Freccero 1992, che fanno tesoro anche delle prime e già corrette annotazioni degli anni Sessanta di Della Terza, la critica dantesca

americana ha evidenziato il filo che lega le due esegesi della Commedia che più delle altre, nel primo e secondo Novecento, valorizzano dell’opera di Dante il rilievo figurale dell’allegoria e la densità poietica del simbolismo, la

pregnanza della realtà individuale e la generalità teoretica ed artistica del tipico”. Per Auerbach nella struttura della Commedia risiede il fondamento della poesia di Dante. Come rileva Della Terza, nella Prefazione all’edizione italiana degli Studi su

Dante, se la struttura è il «principio di costruzione valido a scoprire il meccanismo che fa scattare il destino poetico dei personaggi danteschi», allora «non vi è altra poesia che la struttura stessa» (Studi X). Viene in tal modo ribaltata anche da Auerbach la posizione crociana, cosîf come fa Singleton che anzi, da parte sua, accusa esplicitamente il filosofo abruzzese di operare 45

Rino Caputo

un indebito recupero di Dante nella sua concezione estetica

e di non disporsi, quindi, a ricevere con partecipe apertura il messaggio dell’opera. E la struttura del poema è costruita, secondo Auerbach, e proprio come pensa Singleton, ad imitazione della struttura del mondo creato da Dio. Di qui l’inferenza allegorica che in Auerbach si specifica come interpretazione figurale e in Singleton come rispecchiamento analogico del senso letterale e del senso duplice. La «mimesis», l'imitazione 0, come meglio si potrebbe dire oggi, accogliendo la proposta terminologica di G. Genette, la «simulazione» della realtà nel testo è, per ambedue gli esegeti, principio poietico attivo della «struttura» e, insieme, garanzia teoretica ed estetica di «realismo». E, quanto alla struttura, la «mimesis» agisce come

espressione della memoria poetica che fabbrica, costruisce, simula, appunto, non tanto «copia di cose determinate», ma, piuttosto, si ritiene autorizzata a «fondere a suo piacimento il suo materiale di realtà, tratto dall’infinito numero delle cose di cui la memoria dispone»”° Essa perciò identifica l’imitazione della realtà con «l’imitazione dell’ esperienza sensibile della vita terrena» (Mi-

mesis 207) e in tal modo, poeticamente «l’aldilà diventa teatro . dell’uomo e delle sue passioni» (Mimesis 218). Dante è «poeta della vita terrena» (come s’intitola un famoso saggio auerbachiano) e "perciò" realista. La nozione di realismo di Auerbach non-dipende dalla «verisimiglianza e la credibilità dei fatti», ma, piuttosto, da 46

Per far segno - Singleton

un genere di rappresentazione che raffigura i fatti in modo evidente, siano essi verosimili oppure no, sicché il problema della loro verisimiglianza può sorgere solo ad una riflessione successiva[...] secondo la concezione qui seguita importa l’evidenza della cosa rappresentata (Studi 3-4)

e se per Singleton Dante è «poeta di Platone» (Singleton 101), l'esegeta tedesco s’inserisce a suo modo nella tradizione filosofico-estetica classica, valorizzando le inferenze

teoriche del platonismo nella operatività aristotelica. Un intreccio, è bene precisarlo, che percorre altresî tutto il medioevo: Aristotele ha quindi formulato la nozione che il particolare formalmente determinato realizza l’idea e con ciò lo ha riabi-

litato come oggetto dell’imitazione,

con la conseguenza che la cosa artisticamente imitata rappresenta qualcosa di più fortemente formato che non il suo modello empirico, e dunque di maggior valore (Studi 9).

Nonè chi non veda che tali affermazioni, oltre a connotare originalmente la categoria del realismo, conducono esplicitamente al cuore dell’esegesi dantesca e diventano perspicue anche se vengono riferite, allusivamente, alle basi

teoriche della lettura singletoniana. Affine, poi, a quella di Singleton è l’utilizzazione auerbachiana della «dottrina» di Dante non separabile dal suo «genio poetico» (Studi 158). Di qui l’importanza totalizzante (anche se, forse, non totalitaria come talora appare in Singleton) del fondamento cristiano dell’opera dantesca, inteso soprattutto nel suo aspetto "creaturale", e, cioè,

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di valorizzazione intensa della specificità dell’umana creatura che, particolarmente nella sofferenza, è posta in con-

tatto con il suo Creatore, nella persona di Cristo uomo e dio. Anche per Auerbach, ma l’"anche" non mira a stabilire un "posterius" rispetto a Singleton, il realismo dantesco è il riflesso artistico della sua convinzione teologica: per Dante «la misura della storia non è la storia stessa ma il perfetto ordine divino del mondo»

(Studi 60). Ed è altrettanto

avvertita dallo studioso tedesco l’esigenza peculiarmente singletoniana di «recupero» del sentimento dantesco del mondo: Evidentemente la sua concezione dell’accadere, della storia non è identica a quella generalmente diffusa nel mondo moderno: in verità egli non lo vede solamente come evoluzione terrena, come sistema d’avvenimenti sulla terra, bensî in continua correlazione con un piano divino, che è la meta a cui conti-

nuamente volge l’accadere umano (Mimesis 211).

Il mondo terreno di Dante si realizza, anche poeticamente, nell’"altro" mondo che gli dà senso (come Auerbach afferma, sulla base di una nota osservazione di Hegel sulla Commedia, in Mimesis 207).

Ed ecco quindi, ad imitazione della Sacra Scrittura, che è la traduzione umana del piano divino, l’interpretazione figurale come completamento del senso umano, terreno e creaturale: L’interpretazione figurale stabilisce fra due fatti o persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche l’altro, mentre l’altro comprende o adempie il

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Per far segno - Singleton

primo (Mimesis 209).

Ma, per Auerbach, il realismo figurale consente altresî di ottenere e garantire «la conservazione del carattere storico e reale delle figure contro correnti spiritualistico-allegoriche» (Mimesis 213).

Anche per Singleton è necessario dare valore autonomo alla realtà letterale dell’evento, pur interrelato col più compiuto significato secondo. Nella Poesia della Divina Commedia si insiste molto spesso sulla formula del «questo e quello», ovvero della realtà duplice delle "cose" che

sono e, insieme, significano. E le cose sono tutti gli aspetti della creazione, ovvero i due "libri" scritti da Dio, quello della natura e quello, più indiretto, trascritto dall’uomo con le parole. Nemmeno il termine «figura» è assente dal lessico singletoniano, ma, come per tanti altri elementi compositivi dell’esegesi applicata al testo dantesco, esso deriva da una fonte che è esplicitamente dichiarata teologica: le cose esistono «per il significato che esse esprimono» (Singleton 359), afferma il critico riprendendo l’agostiniano gratia significandi e, quindi, per citare un’applicazione esemplare dello schema, Matelda, realtà dell’ Eden situato fisicamente, poeticamente e teologicamente in cima alla montagna (ancora) terrena e umana del Purgatorio, è «la figura della condizione umana prima del peccato» (Singleton 364) ovvero «di una perfezione naturale di cui nessun vi-

vente potrà mai più godere» (Singleton 375). Ed è appunto evidente, a tal proposito, l’influenza, semiotica ante 49

Rino Caputo

litteram, di Agostino, soprattutto nella netta e sicura distinzione tra "verba" e "res", pur ricondotta alla matrice divina”. Essa dà luogo in Singleton a un complesso e conseguenziale ragionamento, fondato su parallelismi e analogie, al termine del quale appare quella che con icastica formula viene chiamata la «sostanza delle cose vedute». Singleton argomenta che, poiché tutte le cose sono «in grembo a Dio», quando esse sono «vedute», acquistano un tratto imprescindibile di oggettività. Perciò il mondo terreno e creaturale, per dirla con i termini di Auerbach, è per Singleton oggettivo e, dunque, non solo reale ma «realistico»: Dante «vede da poeta, e da poeta realizza, quello che è già concettualmente elaborato e fissato nella dottrina

cristiana» (Singleton 142). In verità è questo, forse, l’unico momento in cui Singleton sembra riconoscere e notevolmente apprezzare, al di là di ogni eccessiva o troppo conseguenziale "teologizzazione", la consistenza letteraria dell’opera dantesca: dall’ammissione che la Commedia è «prima di tutto una narrazione, il racconto di un viaggio» (Singleton 137) che è rievocato nella memoria («e proprio perciò non può essere presentato in forma drammatica» Singleton 27), al riconoscimento della liceità della «fictio» non solo come foriera della veritade ascosa sotto bella menzogna (che è, come si sa, la formula con cui Dante nomina la cosiddetta "allegoria

dei poeti" nel Convivio), ma come condizione di esprimibilità di quella «sostanza delle cose vedute» che, altri50

Per far segno - Singleton

menti, resterebbero perfettamente vere, oggettive e reali, ma prive di ricezione umana. Ecco perché, utilizzando ancora una volta l’eco agostiniana, in particolare quell’importantissimo passo dei Soliloquia, 2, 10 in cui si afferma, pur dopo lunga, complessa e vivace argomentazione, che «certe opere devono essere false per poter essere vere»

(Singleton 90), Singleton perviene a sintetizzare con un famoso paradosso la dimensione strutturalmente realistica del poema dantesco: «La fictio della Divina Commedia è che essa non sia una fictio» (Singleton 88). Ma, a differenza di Auerbach, che tende piuttosto a met-

tere in rilievo la progressiva emancipazione della concreta raffigurazione poietico-fantastica del "poeta", Singleton tralascia ben presto il coté più propriamente estetico, per rimarcare, ove ce ne fosse bisogno, la cornice fideistico-

teologica che garantisce a Dante la pretesa e il destino di "profeta". E° qui che le posizioni dei due grandi esegeti tendono a distanziarsi, anche se, oggi, dopo tanti studi che hanno evidenziato le differenze, è forse il caso di rintracciare, ancora una volta, le somiglianze, comuni, del resto, come si vedrà subito, ad altre apparentemente più lontane posizioni critiche. Singleton riprende totalmente l’Epistola XIII indirizzata a Can Grande della Scala, da lui attribuita a Dante senza ombra di dubbio, e esalta, in particolare, la formula allegorica che l’estensore della lettera propedeutica alla lettura del Paradiso propone e, cioè, il poema come polysemum, S1

Rino Caputo

itinerarium mentis ad Deum, conversio anime de luctu et

miseria peccati ad statum gratie, e cosî Via. ‘Il viaggio è quindi, nello stesso tempo, del cor inquietum e della persona viva "là", attraverso l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, "qui", avvenimento reale e oggettivo della nostra vita (Singleton 137); il "viator" è Dante e, insieme, «Everyman»

(Ognuno)

o, meglio,

«Whicheveryman»

(Chiunque, Qualsiasi Uomo).

Perciò l’allegoria di Dante, in quanto effettiva imitazione dell’allegoria biblica, «è esplicitamente radicata nella teologia del suo tempo» (Singleton 134) e ciò significa che «il poeta non ha inventato la dottrina» (Singleton 142) ma ha avuto la capacità di mettere in versi la realtà vera e oggettiva: perfino nelle osservazioni più direttamente versate sulla "forma" del poema Singleton non può evitare la ripresa della tesi generale e la «terza rima», giovanile intuitiva occasione ermeneutica, gli sembra «riflettere la realtà che è una e trina» (Singleton 101) (e da qui prenderà le

mosse J. Freccero, per il suo «significato della terza rima» in Freccero 335-350, mentre, ancora una volta, occorrerà registrare l’analoga intuizione di Auerbach, del 1929: «La santa Trinità si rispecchia nella tripartizione del poema, nel numero dei canti, nella terzina, e nell’ordine delle rime. Trinità dei versi e trinità delle rime...» Studi 153).

La posizione di Singleton che, cosî argomentata, rischia l’elusione del problema della "poesia" di Dante a favore della "teologia" (o, come pure è stato notato; di una diversa accezione della «struttura» come «non poesia») è sostan52

Per far segno - Singleton

zialmente condivisa dalla critica dantesca coeva, almeno nel senso che appare difficile prescindere dal manifesto rilievo critico-esegetico e critico-ermeneutico dell’"allegoria dei teologi" nella Commedia, ma, nello stesso tempo, sembra impossibile rinunciare alla specificità letteraria del testo poetico. E° ilcaso problematico dello stesso Auerbach: «la potenza poetica di Dante non avrebbe raggiunto cosî alta perfezione, se non si fosse ispirata ad una visione di verità trascendente ogni significato immediato e attuale» (Studi

322); ma è anche quello, più implicito e inatteso, di un critico come Contini, da sempre equilibrato mediatore tra "poesia" e "teologia", anche perché attento lettore sia di Auerbach che di Singleton: l’inesauribile facoltà rappresentativa è fatta servire alla dottrina o alla narrazione figurata, dà una vera garanzia d'indipendenza alle scene, tanto potenti da valere, al postero, per sé; qui è il nodo del rapporto fra "struttura" e "poesia", ma occorre riferire questa situazione alla peculiare condizione della libertà nel medio evo. Diversamente che nel mondo odierno, essa si attua con straordinaria elasticità entro un perimetro di assoluta sicurezza, autorità 0 fede?8.

Tutti gli autori finora menzionati avvertono, in definitiva,

l’importanza dell’esigenza diretta e indiretta di "recupero" del mondo dantesco sollevata per la prima volta da Singleton, ma non tutti, soprattutto nella critica dantesca di generazione più contemporanea; sono disposti a condividere i tratti perentori e compatti con cui è disegnato lo schema d’interpretazione

dell’opera di Dante, dalla Vita

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Rino Caputo

Nuova al Convivio alla Commedia. La richiesta di Singleton di accettare il mondo di Dante e, nell’accettarlo, di attraversarlo col cuore e con la mente fino a coinvolgersi nel «riorientamento» (Singleton 457) salvifico, coincide in

maniera forse troppo totalizzante con l’invito a compartecipare dello stesso sguardo critico che valorizza quel mondo: a sostituire, insomma, l’orizzonte d’attesa del lettore moderno del testo dantesco e medievale con quello che si presume organicamente inserito nel testo dantesco e medievale, che l’esegeta ha svelato con fideistica intui-

tività e che il lettore moderno non può rifiutare. Spesso, a tal proposito, l’argomentazione è affascinante, tende a un consenso del cuore, appunto, piuttosto che dell’intelletto. Singleton si meraviglia, ad esempio, che «non uno tra le dozzine di commenti della Commedia pubblicati negli ultimi cinquant’ anni si preoccupa di seguire il disegno dell’allegoria più che in modo sporadico» (Singleton 133); addebita a Croce la responsabilità di aver

attualizzato nel Novecento il rifiuto dell’allegoria, di provenienza rinascimentale, e lo accusa soprattutto di tendenziosità ideologica: Come al solito lo studioso di estetica non conduce i propri passi verso l’opera, ma pretende che sia l’opera a venire da lui, per farsi giudicare in base alle sue categorie (Singleton 23).

Andare verso l’opera significa, invece, fare l’esperienza nuova e inattesa, dichiarata quasi con candore: «Non so perché tutto questo non l’abbiamo visto prima» (Singleton 82) e, a proposito dell’osservazione numerologica sui canti 54

Per far segno - Singleton

centrali del Purgatorio, e della Commedia, su cui si basa l’intero saggio // numero del poeta al centro, la scoperta non suscita troppi rimpianti retrospettivi di tipo filologico o storiografico: «...l’importante è che la vediamo ora» (Singleton 454). Ma l’esposizione più conseguente della linea teologica che guida la lettura singletoniana della Commedia è raggiunta, senza dubbio, nella ripresa ermeneutica di un "passaggio" tra quelli più centrali (se non il più centrale), del testo biblico e, insieme, secondo il critico, del testo dante-

sco: l’immagine dell’ Esodo. "In exitu Isriel de Aegypto" è infatti, oltre che un allusivo verso della Commedia (Pg 2, 46), il titolo di un saggio di

Singleton del 1960 che costituisce il frutto maturo e, per certi aspetti, conclusivo dell’esegesi del testo dantesco (ora raccolto in Singleton 495-520). Singleton aderisce alla quadruplice significazione dell’evento storico-letterale contenuto nella Bibbia, cosfcome

viene esposta nel paragrafo 7 dell’ Epistola a Cangrande, riusandola con tutto il corredo della fraseologia medievale,

dal distico mnemonico riassuntivo dei quattro sensi (Littera gesta docet, quid credas allegoria/moralis quid agas, quo tendas anagogia, Singleton 141), alla derivazione delle «due specie di allegoria», per Dante e in Dante, dalla rielaborazione tomista dell’intera tradizione classico-cristiana, non puramente aristotelica, bensî anche platonica, neoplatonica e, soprattutto, agostiniana (come si può leggere nell’importante Appendice: le due specie di allegoria in 55

Rino Caputo

Singleton 115-129)”. Ma, secondo lo schema del «questo e quello», l’allegoria teologico-biblica diventa altresî nella Commedia la quadruplice significazione del viaggio del pellegrino raccontato dal poeta. L’Esodo è figura coessenziata a Dante che, a suo vantaggio e in nome di - e al posto di - tutte le altre creature umane, esce dall’Egitto, compie l’attraversamento

del Mar Rosso (ovvero del Mare dei Giunchi,

come quasi enigmisticamente, ma brillantemente, suggerisce Singleton con riferimento alla prima scena purgatoriale), fino a raggiungere la terra promessa dell’ Eden-Israele (anche se, poi, il "passaggio" non è cosf netto e immediato: prima dell’Eden-Israele c’è il Giordano, fiume di fiumi, "fiumana" che può "vantare" la consistenza di mare, che è la vera e definitiva frontiera da superare, affinché l’uomo nuovo arrivi al paese nuovo, come osser-

verà più estesamente J. Freccero nel suo saggio che si fonda, esplicitamente, «sulle parole stesse di Dante e sulla dimostrazione di Charles Singleton» °).

Il fulcro dell’esegesi, nonché del poema, è individuato da Singleton nel canto 30 del Purgatorio, in cui viene descritto l’Eden, luogo dell’avvento di Beatrice mediante la processione trionfale, il punto in cui, come il critico dirà successivamente, il viaggio di Dante con Virgilio «verso» Beatrice si trasforma nel viaggio «con» Beatrice verso Dio. Singleton asserisce che Beatrice è la stessa che, senza sbalzi, appare e "significa", per cosî dire, a Dante fin dalla Vita Nuova («Qui la Commedia accoglie entro di sé l’espe56

Per far segno - Singleton

rienza della Vita Nuova», Singleton 79). Essa percorre la traiettoria dantesca coincidendo con i momenti salienti della vita intellettuale e morale del poeta e, anche quando sembra discostarsene, magari per far posto alla donna Petra o a Madonna Filosofia, incombe comunque sul destino essenziale del protagonista. A Singleton non pare che il processo esegetico descritto,

fondato altresîf su un’interpretazione univoca dello stesso processo autoesegetico dantesco, possa mostrare crepe, lacune e contraddizioni:

si tratta, fin dall’inizio, di un

"Journey to Beatrice" e Viaggio a Beatrice s’intitola, com’è noto, il volume apparso nel 1958 e ora compreso nella Poesia della Divina Commedia, di cui Il disegno al centro

costituisce il capitolo terzo (Singleton 69-85). Beatrice, auerbachianamente, è «figura Christi», al punto che nell’Eden il trionfo è della Donna (beatrice) "al posto

di" Cristo: come afferma Singleton, con felice e acuta intuizione critica, a proposito di Pg 30, 19 (Tutti dicean: "Benedictus qui venis!"), «A venire non è Cristo - è Beatrice che viene come Cristo» (Singleton 77). Anche Beatri-

ce è nella relazione di «questo e quello» con Cristo e il suo significato è completato dal significato che per ogni credente, e per Dante innanzitutto, ha Cristo e Singleton pron-

tamente osserva che «qui si ha, in figura, una concezione del tempo, e della storia, che non potrebbe essere più cristiana» (Singleton 74). Ecco perché, attraverso la descr-

izione del viaggio a Beatrice, Singleton si propone di «portare in luce il disegno generale dell’allegoria della 57

Rino Caputo

Commedia» (Singleton 133), facendo ricorso, senza dub-

bio con abilità e dottrina, agli elementi di teologia, e di "teologia morale", presenti nel corpus della cultura medievale, da Agostino a Tommaso, fino ai mistici vittorini e, anche, ma sporadicamente, agli scrittori di "poetria": testimoni oggettivi, questi ultimi, e talora ingombranti, della "letterarietà" dantesca, che il critico allegorico «non esclude dal novero di ipotesi di lavoro plausibili, ma che nella pratica operativa che ci cotramandati risulta come messo tra parentesi e sottaciuto» . L’"avvento di Beatrice" non è per Singleton mera occasione esemplificativa ma, come s’è già visto, tale centro esegetico da poter arguire che, per il critico, l’azione effettiva della narrazione dantesca si concluda nell’ Eden e che il Paradiso (luogo e cantica) sia appendice quasi ridondante, se non inessenziale, del centro di manifestazione e, per certi aspetti, di realizzazione della Giustizia divina ovvero dell’ordine cosmico, terreno ed umano. Le cose non stanno, ovviamente, in questo modo, soprattutto perché Singleton motiva l’importanza dei culmini teologico-narrativi attraverso la dichiarazione che essi realizzano compiutamente ciò che precede, nel tempo sia della vita che della narrazione, sia del senso letterale che di quello

allegorico. Ritorna, cioè, ma per assumere una posizione definitivamente centrale, la consueta analogia, qualitativamente connessa, tra «questo e quello», tra il punto raggiunto dal protagonista del viaggio, pellegrino e/o poeta, e ciò che lo ha preceduto, per cosf dire, "in verbis” e "in 58

Per far segno - Singleton

factis". Si tratta di quella dinamica allegorico-teologica, certo, ma dotata di inevitabili riflessi sulla architettura

narrativa del poema, che, ancora una volta con felice colpo d’ala ermeneutico, Singleton ha chiamato della «visuale retrospettiva» (e The Vistas in retrospects’intitola il saggio relativo, Singleton 463-494, non a caso presentato come testo del discorso tenuto il 21 aprile 1965 a Firenze, in

occasione del Congresso Internazionale di Studi Danteschi e, come si può notare, nel settimo centenario della nascita

di Dante). Tributando alla dimensione letteraria del testo dantesco un omaggio che, forse, va al di là delle intenzioni, Singleton argomenta che la visuale retrospettiva permette di cogliere il senso profondo e secondo del senso letterale proprio quando un evento, un episodio o una connessione tematica vengono inseriti nella struttura del poema considerato come una «frase»: In verità, non c’è mezzo più infallibile per distruggere una poesia che impedirle di attuarsi secondo l’intendimento del poeta, che intromettersi dicendo al lettore quello che egli deve apprendere soltanto nello svolgimento e capire soltanto dalla fine [...] è come se uno, ascoltata la prima parola di una frase (fuor di metafora), interrompesse colui che parla per spiegare quale sarà il significato di quella parola quando saranno state pronunciate le altre che costituiscono la frase. Eppure è questo il metodo costantemente praticato dai nostri commentatori [...] che cosa dovrà fare il nostro chiosatore? Come potrà rispettare la forma del poema? La risposta mi sembra chiara: egli dovrà escogitare dei modi di commentare le varie «frasi» dalla loro «fine», dovrà sapersi voltare indietro a guardare le varie sequenze di significato da posizioni donde sia possibile

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Rino Caputo

comprenderle, vale a dire, da dove queste «totalità» possano essere viste retrospettivamente come tali (Singleton 483-484).

Ora, a parte l’intrusione di un altro termine teorico-critico appartenente al campo storico e semantico della steal ra» e del «realismo» come quello di «totalità» , conta rilevare che la conclusione esegetica di Singleton, nel mentre

allude, con singolare anticipazione,

ai moderni

metodi di trattamento narratologico dell’opera dantesca, intesa, appunto, innanzitutto come testo narrativo, realizza altresi, a suo modo, la definizione auerbachiana di «figu-

ra», intesa come senso completo e compiuto dell’evento e del senso (storico, letterale) che lo ha preceduto. Ma tale

duplice risultato dell’esegesi singletoniana comporta un ineludibile intreccio, produttivo di inedite e creative inferenze negli studiosi che in anni più recenti si sono dedicati alla critica dantesca, a cominciare dallo stesso Freccero. Ma, intanto, a riequilibrare i piani della poesia e della teologia, soccorre in conclusione questa «frase» di Auerbach, che vale a connotare l’apporto migliore della generazione di critica dantesca della prima metà del Novecento e che Singleton, pur dopo qualche esitazione, avrebbe potuto accettare e infine condividere, forse, con calore, trattandosi della sua Beatrice, secondo Auerbach un «demone particolare»: nella sorte eterna il fenomeno non è distinto dall’idea, ma è contenuto e trasformato in essa. Solo la poesia è disposta e capace di dar forma a ciò; essa supera la filosofia dottrinale, che non può abbandonare e oltrepassare la ragione; essa sola è all’altezza della rivelazione e può esprimerla; ed essa esce dal-

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Per far segno - Singleton

l’ambito della bella apparenza, non è più imitazione e non sta al terzo posto nell'ordine dopo la verità, bensî la verità rivelata e la sua forma poetica sono una cosa sola (Studi 91).

Poesia e teologia rimangono, dopo Auerbach e Singleton, i poli della critica dantesca americana. E, accanto a chi svolge la propria lectura Dantis intorno a uno ed uno solo dei termini, c’è chi, come J. Freccero, tenta di raccogliere,

e spesso raccoglie, l’eredità congiunta dei grandi maestri, per spostare, innovativamente, il senso della Commedia e della critica dantesca.

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“ Mint categorie linguistiche e teologiche Nella Scena del prologo (The Prologue Scene), anch'esso del 1966, Freccero infatti afferma che lo scenario, che pure ci è familiare, non sembra possedere una effettiva consistenza poetica indipendentemente dal significato allegorico che gli è stato attribuito (Freccero 21).

Nella seconda parte del saggio, dedicata alle «ali» di Ulisse inteso come l’«antitipo» della esperienza filosofica personale di Dante, Freccero fonda l’analogia, o meglio l’«omologia» della struttura letteraria con quella teologica e, cosî facendo, dà conto altresî della separazione funzionale tra Dante poeta e Dante pellegrino, a partire dalla piena utilizzazione della categoria ermeneutica capitale della «conversione», secondo lo schema agostiniano: Ancor più rilevante delle analogie biografiche è l’analogia, 0, meglio, omologia, di struttura letteraria tra le Confessioni e il poema dantesco. Come in tutte le autobiografie spirituali, anche qui c’è una radicale distinzione tra personaggio e autore [ma il testo originale ancor più esplicitamente dice: «between the

protagonist and the author who tells his story» R.C.] (Freccero 48-49).

E° interessante che il riferimento a Burke, presente almeno dalla metà degli anni Sessanta, sia documentato da Freccero solo nell’ultimo saggio della raccolta, // significato della «terza rima» (Freccero 335-350), del 1983,

quando, cioè, lo studioso ha ormai elaborato il suo pi personale e originale linguaggio critico: se la teologia consiste in parole che trattano di Dio, in cui si uti-

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Per far segno - Freccero

lizzano analogie linguistiche per descrivere una divinità trascendente, allora la «logologia» consiste nella riconversione di principi teologici entro il dominio delle parole (Freccero 337).

Il risultato è certamente proficuo per quel che riguarda il superamento della semplice attenzione stilistico-formale al testo dantesco (e qui Freccero sembra riecheggiare pienamente la formula teologica singletoniana avversa alle isolate e isolanti "lecturae Dantis"); ma già a questo punto della sua elaborazione Freccero presta il fianco a serie obiezioni critiche, proprio a causa della pur dichiarata ascendenza esegetica e, paradossalmente, soprattutto per il suo modernizzante ancoraggio teorico a modelli critici contemporanei, in primo luogo, come si è già detto, Burke, il "new criticism" di Yale e di altre università statunitensi, e, poi, Bloom, la semiotica di Peirce e, persino, il postmo-

derno decostruzionismo ispirato da De Man. E se per incrinare la solidità del riferimento a Burke può valere la sempre equilibrata, anche se schietta, obiezione di Wellek: In Burke gli estremi s’incontrano con facilità. Tutte le distinzioni vengono meno. Le leggi dell’evidenza hanno cessato di funzionare. Egli si muove in un universo verbale da lui stesso creato, nel quale ogni cosa può significarne un’altra? ;

ben più complessa appare la questione della valutazione globale dell’interpretazione frecceriana di Dante e della Commedia, appunto perché, a differenza del maestro Singleton, molto più stretti e determinanti appaiono nell’allievo i vincoli del dibattito teorico-critico odierno. Del resto, se si postula, e spesso brillantemente e suggestivamente, la stretta connessione tra «poetica» e «tematica», 71

Rino Caputo

per usare fin da ora le più mature e aggiornate categorie ermeneutiche di Freccero sostitutive di "poesia" e "teolo-

gia", è inevitabile esporsi a obiezioni di vario segno critico e, anche, politico-culturale, come, si vedrà, è il caso di alcune più recenti contestazioni nordamericane (Barolini e, soprattutto, Mastrobuono)

Ma, intanto, occorre riconoscere che lo sforzo euristico di Freccero permette di superare alcune più ossificate posizioni di Singleton: attraverso la mediazione della "conversione" agostiniana e agostinista, per cosî dire, viene vieppiù valorizzata, oltre il dualismo della formula, la posizione del Dante poeta rispetto al Dante pellegrino, fino a condividere, come Freccero dichiarerà nel saggio suc-

cessivo Medusa: la lettera e lo spirito, del 1972, che per tanti aspetti costituisce, come si è già accennato, un vero e proprio spartiacque della sua esegesi dantesca e della sua elaborazione teorico-critica, l’affermazione continiana che «la biografia di un poeta, in quanto poeta, è la sua poesia» (Freccero 187). Va precisato, tuttavia, che il riconoscimento tributato a Contini non è esteso alla coeva critica dantesca italiana, ritenuta, come osserva l’allieva Jacoff, irreversibilmente marchiata dallo stampo crociano. Per Freccero, escluso

appunto Contini, si deve andare oltre Croce, ma all’indietro: come nelle pagine del predecessore Singleton, i saggi del Dante sono pieni di rispettosi accenni e riferimenti soltanto nei confronti della generazione di critici danteschi che hanno operato a cavallo tra Otto e Nove10.

Per far segno - Freccero

cento, ad esempio Del Lungo, Busnelli e Vandelli, G. Casella e, in particolare, F. D’Ovidio, valido altresî «per riassumere le varie teorie» (Freccero 59). Tra quelli con-

temporanei a Croce (e a Singleton) Freccero cita talora Chimenz e, soprattutto e "pour cause", Bruno Nardi, in

quanto studioso della "filosofia" di Dante.

Ma la rivalutazione della "poesia" complanare e non più contraria alla "teologia" passa in Freccero attraverso un radicale ripensamento delle acquisizioni esegetiche di Singleton e Auerbach. Lo spostamento teorico-critico non è vistosamente immediato, ma avviene nel progressivo dipanarsi dei vari saggi e si coagula, nella definitiva formulazione, a ridosso della svolta ermeneutica degli anni Ottanta, nei tre lavori pubblicati nel 1983: Le ferite di Manfredi e la poetica del "Purgatorio" (Freccero 261-275), Il significato della terza rima e, soprattutto, Ironia infernale: le porte dell’inferno (Freccero 143-162).

L’attacco frontale non è inizialmente portato alle categorie singletoniane, bensî alle pit acute, suggestive e prestigiose intuizioni critico-esegetiche di E. Auerbach; malo scontro coinvolge di fatto ambedue i maestri e l’esito è un netto rovesciamento delle posizioni consolidate. Già nei primi saggi Freccero utilizza la nozione auerbachiana di «figura» per spiegare alcune argomentazioni di Singleton. Ma è in Medusa, il cui titolo contiene la significativa estensione «la lettera e lo spirito», che Freccero denuncia il ruolo di (involontari) "chorizontes"(separatori, x cosî come il termine è stato storicamente inteso, dalla 73

Rino Caputo

questione omerica fino a oggi), in ciò non dissimili da Croce, sia di Singleton, il quale, pur di valorizzare l’allegoria teologica è disposto a ignorare la rilevanza funzionale della forma poetica sia, d’altro canto, di Auerbach il quale, pur di valorizzare la pregnanza storico-semantica dell’individuale «terreno», perde di vista, in ultima istanza, il disegno tipologico dell’opera dantesca. E insomma, per Freccero, si assiste nei due maestri alla scissione tra «questo e quello», dove il primo termine resta appannaggio, per cosf dire, di Auerbach e il secondo di Singleton. L’inseparabilità di teologia e poesia, perorata da Freccero, è invece legata al riconoscimento della poeticità intrinseca della costruzione allegorica di Dante. Maè nei saggi degli anni Ottanta che la critica a Singleton e ad Auerbach viene esplicitata, inizialmente con affermazioni ellittiche inserite nel pieno del dettaglio analitico del discorso critico: ... il realismo dantesco è qualcosa di meno pacifico di quanto Auerbach e Singleton mostrano di credere (Freccero 146) ...la riproduzione dantesca della realtà non è affatto quella pacifica operazione estetica che voleva Auerbach (Freccero 154)

e poi con l’accusa rivolta, in particolare, ad Auerbach di non aver dimostrato, nel suo saggio Figura «peraltro magistrale» (Freccero 336), come la concezione medievale dell’allegoria dei teologi può conciliarsi con un modello formale ed essere quindi accessibile ad ogni lettore, senza presupposizioni teologiche (Freccero 337):

Freccero riconosce a Singleton di aver almeno dichiarato 74

Per far segno - Freccero

il collegamento tra teologia e poesia ma, da ultimo, non esita ad asserire che anche il maestro nordamericano, come

Auerbach, ha fatto confusione fra estetica moderna ed esegesi medievale, come se giudizio letterario e fede fossero intercambiabili (Freccero 1992, p. 15).

La verità è che in ambedue emerge il conflitto fra l'immediatezza della finzione ed morale... Per Singleton, l’ Allegoria per il virtuosismo poetico dantesco; tranquillamente ignorare (Freccero

il suo peso teologico o teologica era un pretesto per Auerbach, essa si può 1992, p. 16).

Ma, tornando a Medusa, già a questa data dei primi anni Settanta, riprendendo la famosa formula di Singleton sulla "fictio", Freccero osserva che, lungi dal proporre una concatenata asserzione, essa attiene piuttosto al campo della significazione ironica: piegata, cioè, e rivolta su se stessa, in una interminabile specularità alla stessa stregua della presunta qualità terrena della tipologia figurale auerbachiana, perlaquale si deve parlare di falsificazione poietica piuttosto che di (illusoria) rappresentazione realistica. Non già «questo» è l’espressione della «mimesis» del reale terreno, bensi «quello» crea nella Commedia il particolare, sovrapponendosi e sostituendosi al mondo umano e terreno. Di qui il valore ironico del cosiddetto "realismo" dantesco; ma di qui, anche, il riflesso poietico che struttura formalmente l’allegoria dei teologi. Secondo Freccero, l’ironia è inerente a tutte le rappresentazioni

di tipo mimetico; perciò la «mimesis» auerba-

E)

Rino Caputo

chiana e il «realismo» singletoniano, lungi dal definire una realtà sostanziale, fanno parte della dimensione poietica, fittiva ed estetica e il limite di un tale indirizzo critico consiste, appunto, nell’ «aver trasformato in principi esege-

tici il giudizio estetico». E se ciò è servito a ridurre la portata della separazione crociana di poesia e teologia (come non poesia), ha a sua volta comportato una contrapposizione che Freccero cosî sintetizza: La forza mimetica dei versi danteschi, difatti, non ci dice nulla della loro storicità, cosî come la verità storica non rende un testo più profondo e neppure più interessante (Freccero 1992, p. 14).

Per Freccero è sempre valida la distinzione aristotelica della Poetica tra storia e poesia ovvero tra ciò che è e ciò che potrebbe essere; ma tale convinzione, lungi dal congelare sterilmente le distinzioni, permette al critico di valorizzare l’aspetto attuale, teorico-estetico, del problema a vantaggio della considerazione letteraria del testo dantesco e, anzi, fino al punto di ritenere Dante (e la Commedia)

occasione privilegiata di verifica delle maggiori e più raffinate tendenze ermeneutiche contemporanee. E Freccero non esita a presentare la raggiunta consapevolezza di tutto ciò al lettore della sua opera: Bisogna stare attenti a non privilegiare nessuno dei due poli: tra tematica (cioè teologia) e poetica può esservi un collegamento che non ripugna né alle esigenze di comprensione storica, né a quelle dello scetticismo contemporaneo, giacché in entrambi i casi si discute di una coerenza in primo luogo linguistica. Cosfil problema tradizionale di poesiae fede si spo-

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Per far segno - Freccero

sterebbe su di un piano filosofico: l'ordine del linguaggio riflette l’ordine della realtà, o la «realtà trascendente» è una semplice proiezione del linguaggio? Quello che abbiamo sempre considerato un problema della critica dantesca, si rivela come il problema epistemologico fondamentale di qualsiasi interpretazione (Freccero 337-338).

La qualità teorica progressivamente emergente dalle pagine del Dante permette allora di fare osservazioni variegate sulla posizione critica di Freccero, fino a poterla collegare, con un attendibile e lecito margine di documentata generalizzazione, alle tendenze critiche prevalenti, volta a volta, nel dibattito nordamericano e intercontinen-

tale. Il salto di qualità è compiuto nell’importante saggio /ronia infernale: le porte dell’inferno, del 1983, in cui Freccero innalza le proprie argomentazioni sul piano teorico, operando uno stacco non solo nei confronti del maestro Singleton, ma anche rispetto alla propria precedente critica dantesca, strettamente intesa. Non si tratta tanto, o non

solo, del riporto sul testo dantesco di una nozione critica come quella di «ironia» mutuata dalla tradizione romantica, filtrata dalla teoresi primonovecentesca e infine fo-

calizzata con i contorni definiti dall’attività critico-teorica di P. De Man; quanto, piuttosto, della dimostrazione brillante, suggestiva e, insieme, plausibile della capacità di Dante (del testo della Commedia)

di sopportare l’inter-

vento interpretativo di uno strumento euristico prodotto, si potrebbe dire con le stesse parole di Freccero, dallo «scetticismo contemporaneo». (0)

Rino Caputo

Le premesse di un tale mutato atteggiamento sono tuttavia reperibili, oltre che nei primi lavori degli anni Sessanta, nei saggi degli anni Settanta in cui è riscontrabile una messa a punto dei riferimenti pit stabili della critica frecceriana. In particolare, nei due saggi pubblicati prima di Medusa, La danza delle stelle, del 1968, e Introduzione al "Paradiso", del 1970, Freccero introduce, appunto per la terza cantica della Commedia, categorie d’uso critico sempre meno "teologiche" e sempre più "poetiche" ovvero legate alla struttura narrativa del poema. Cosî è per la nozione di «command performance» (Freccero 299) tratta dalla tradizione del teatro elisabettiano e shakespeariano (per il pellegrino-poeta viene allestito, per cosf dire, lo spettacolo del Paradiso, attraverso la letterale realizzazione di una rappresentazione adeguata ad una fruizione non "trasumanata"); e altrettanto vale per la tesi, che rovescia l’impostazione crociana, di un Dante che consapevolmente si misura con la «poesia dell’irrappresentabilità» (Freccero 277). Ma è nei tre saggi successivi a Medusa e, cioè, Il canto di Casella: "Purgatorio" II, 112, del 1973, L’Ulisse di Dante: dall’epica al romanzo, del 1975 e «Bestial segno» e «pan de li angeli»: "Inferno" XXXII e XXXII, del 1977, che Freccero ricapitola, rispettivamente, i temi salienti della tradizione teologica singletoniana (Casella come tappa intermedia e transitoria del viaggio salvifico dantesco e momento esemplare della visuale retrospettiva, contro 0gni ipotesi di considerarlo episodio poetico autonomo dal direzionamento teologico), del rilievo narrativo e, insieme, 78

Per far segno - Freccero

narratologico del testo (la "figura" antifrastica di Ulisse consente a Freccero, dopo le primissime intuizioni del 1959, di mostrare effettivamente dispiegato il passaggio, in Dante, dall’ultimo epos «circolare» al primo romanzo «lineare», valendosi anche della teorizzazione lukacsiana)

e, infine, dell’approfondimento del nesso tra senso letterale e senso allegorico su un argomento da sempre connotato da un’intensa e appassionata ermeneutica (la confusione semantico-antropofagica di Ugolino e dei suoi figli). Tutta la novità dell’approccio analitico frecceriano va a confluire poi, sinteticamente, in /ronia infernale. Ma l’avvisaglia metodologica è abbondantemente registrata in Medusa, oltre che nei contributi appena menzionati, soprattutto lî dove il critico accosta la dicotomia "cecità/visione", centrale, com’egli stesso osserva, in Sofocle,

nella Bibbia e in Paolo, alla figura della «conversione». Con un notevole esempio di abilità ermeneutica, probabilmente ispirato non soltanto dalla tradizione scritturistica ma anche da più recenti esperienze di stampo heideggeriano, Freccero risemantizza l’opera dantesca nei termini conseguenziali dell’alternativa tra «pietrificazione» (equivalente volgare, allusivamente "petroso", nel caso di Dante, di termini classico-cristiani come "parosis", "obtusio", "duritia cordis") e «rivelazione»

(il velame come

segno ambiguamente neutro, esitante tra velo che copre e velo che permette di vedere). Il velame, che è, peraltro, termine dantesco, consente al critico di abbandonarsi ad una progressiva spiegazione di ciò che in Singleton era 79

Rino Caputo

ancora troppo densamente teologico e, cioè, l’allegoria generale del poema. Manon vataciuto che, nello stesso tempo e quasi sorprendentemente, Freccero adatta al testo di Dante la dicotomia "cecità/visione" ripresa da quella elaborata da P. De Man a ridosso di oggetti letterari ottonovecenteschi. La lezione sofoclea, biblica e paolina diventa cosî, attraverso De Man, la struttura estetico-cognitiva del critico contemporaneo che svela il testo della Commedia, nelle coordinate teologiche come negli snodi diegetici: Trail sottrarsi allaminaccia temporale e il convertirsi alla verità cristiana, cioè alla dottrina, si situa, nell’esperienza del pellegrino, la realtà del Cristo, in cui si riunificano i percorsi del pellegrino e del poeta. Da questo momento ideale, Dante esplica pienamente per il lettore la funzione di una sorta di Virgilio, capace di sottrarre lo sguardo del suo protetto dal «Dio di questo mondo», cioè dalla tentazione dei temporalia, ima non ancora di guidarlo alla rivelazione... Iletteralisti sono ciechi alla verità spirituale proprio perché essi vedono molto bene le cose temporali, mentre le cose di questo mondo non sono visibili a quelli che sanno vedere nell’intimità dello spirito (Freccero 180).

Di qui l’importanza della figura di Medusa che si presta perfettamente a incarnare questa sorta di giudizio retrospettivo per la sua natura intimamente diacronica, incapace di porre in risalto la storicità e il mutamento: prima e dopo, allora e ora, il bello che diviene brutto, la fascinazione che si muta in orrore (Freccero 185).

Ma, a questo punto, per illuminare la «rappresentazione della temporalità della retrospezione» non basta più Paolo (e nemmeno Singleton). Occorre (e soccorre) l’elaborazio80

Per far segno - Freccero

ne di P. De Mane, in particolare, The Rhetoric of Temporality (raccolto in una silloge italiana degli anni Settanta nel Sr o 40 R volume intitolato, appunto, Cecità e visione) ; cosîf come è J. Lacan che aiuta Freccero, con e dopo la basilare distinzione paolina tra la «lettera» che uccide e lo «spirito» che salva, a svelare il nesso tra Medusa e la «tirannia della

lettera»: è il potere che la lettera ha di soggiogare l’osservatore che la rende simile a una Medusa, una manifestazione del desiderio che, rivolgendosi al passato, vorrebbe intrappolare il suo soggetto in un’immovbilità che è l’esatto contrario del dinamismo del linguaggio e del desiderio (Freccero 192);

anche se il saggio termina con parole che risultano una testimonianza di devozione al maestro Singleton: L'appello al lettore [è Inf 9, 61-63 O voi ch’avete li ’ntelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / sotto ’l1 velame de li versi strani, R.C.] perciò non è una sorta di didascalia, ma un invito alla conversione, un monito ad aspettare il messaggero celeste sì da poter anche noi, come il pellegrino, «trapassare dentro». Sotto il velo di Mosè, vediamo la luce del Vangelo; sotto il velo dei versi di Dante, la dottrina è derivata da quello,

o non è nulla (Freccero 193).

Ma è invece l’aspetto ermeneutico novecentesco che, più

durevolmente, ristruttura l’esegesi frecceriana. E, infatti, in Ironia infernale torna come un caposaldo centrale pro-

prio il riferimento a P. De Man che diviene, in esordio, insieme al "romantico" Schlegel, il sostegno teorico-semantico all’uso che della nozione di «ironia». ivi si fa.

Ma, prima di addentrarsi nella disamina di questo saggio cosî importante, è necessario soffermarsi ancora su alcuni 81

Rino Caputo

aspetti di Medusa che, sebbene in forma ellittica, forniscono alcune suggestive e decisive indicazioni sulla critica dantesca di Freccero. Freccero osserva che l’allegoria della Medusa, pur non essendo l’allegoria generale del poema postulata da Singleton, permette una comprensione globale poiché Medusa non è altra cosa dall’espressione del rapporto medievale (ma non soltanto medievale) tra eros e linguaggio ovvero, come spiega il critico, «tra il protendersi del desiderio verso ciò che i mortali non potranno mai possedere e il protendersi del linguaggio verso il silenzio» (Freccero 188). La poesia, e la poesia d’amore in specie, è particolarmente esposta a questa doppia catastrofe, poiché «soggetto della poesia d’amore è la poesia non meno dell’amore, e alla reificazione dell’amore corrisponde una reificazione delle parole che lo celebrano» (ibidem).

C'è, in proposito, in Medusa una pagina dedicata a Francesco Petrarca, poeta della poesia, appunto, almeno quanto dell’amore, che diventa esempio correlato non occasionale della dimensione metamorfica «petrosa» (pietrificata e reificata) della poesia dantesca prima (alla vigilia) della Commedia. Petrarca, argomenta arditamente Freccero, «quasi contemporaneo di Dante» ma non più fiducioso nella malleveria della donna-angelo (della donna che an-

nuncia l’ Amore e non solo l’amore), sembra accontentarsi del livello umano e terreno del linguaggio della poesia e dell’amore fino a identificare amore e poesia (si potrebbe 82

Per far segno - Freccero

dire, con le parole di un’epistola famosa dello stesso autore, fino a far coincidere

"Laura"

e "lauro" Dik Dante,

invece, tramite Virgilio, poeta dell'amore rasserenato anche se non celestialmente sublimato, riesce a "protendersi" oltre il pericolo di identificarsi con il suo linguaggio d’amore ormai pietrificato schivando, come adombra Freccero, il destino del disdegnoso amico Guido. Ora, sarebbe oltremodo interessante approfondire l’intuizione critica frecceriana sul testo poetico petrarchesco; ma conviene, per opportuna brevità, fermarsi a questa sorta di "petrarchizzazione" che Freccero opera di alcune componenti stilistiche, tematiche e ideologiche del testo dantesco. Al di là di ogni riserva sull’anacronismo della relazione istituita tra Dante e Petrarca, è importante notare che, in tal modo, Freccero valorizza la «letterarietà» dantesca, facendola emergere, come chiarirà successivamente in Ironia infernale, dalla «letteralizzazione», dall’autonomia terrena, umana e poietica che assume la «lettera» senza (se

non, proprio, contro) lo «spirito». L’esegesi frecceriana degli anni Ottanta riceve quindi da Medusa un supporto ermeneutico di gran peso: l’allegoria generale del poema è abilitata dalla particolare curvatura che nel testo dantesco assume il linguaggio della poesia e dell’arte narrativa. Medusa è figura teologica quanto Matelda, secondo Freccero ad essa coordinata: ma Medusa è

altresî figura poetica quanto Matelda; cosîf come non sono testi sacri per teologia che offrono a Dante lo spunto per configurare Medusa, bensf libri d’amore e di poesia (di 83

Rino Caputo

poesia d’amore) come il Roman de la Rose (e qui l’ipotesi

frecceriana è veramente suggestiva e gravida di tante inferenze filologico-esegetiche).

In Ironia infernale la letteralizzazione è, per Freccero, una categoria critica totalmente esplicativa della sua rinnovata lettura: l’ironia di Dante trasforma non solo le parole in icone, le anime in corpi, lo spirito in lettera, essa trasforma pure le figure

retoriche in cose" (Freccero 158).

E, ancora, secondo Freccero, per Dante nell’/Inferno le pene «sono» i peccati poiché «il peccato ha con la pena lo stesso rapporto che le anime dell’inferno hanno con i loro corpi fittizi: significati divenuti icone» (Freccero 159). In tal modo Freccero rovescia irreversibilmente, facendo esplicito ricorso alle premesse agostiniane, il rapporto che, seppure in forma tenue o controversa, esisteva in Singleton e Auerbach tra teologia e poesia: Poiché il cosmo, suprema creazione divina, è il modello della bellezza e della proporzione, l’ordine della Giustizia imita l’ordine della natura come un testo poetico imita la realtà. L’affermazione di Agostino è ovviamente reversibile: se l’iscrizione sulla porta dell’inferno è inevitabilmente in terza rima, la Divina Giustizia è una proiezione della mano di Dante (Freccero 158).

Se la letterarietà del testo dantesco è preminente, allora l’iscrizione sulla porta infernale, da cui prende le mosse il saggio di Freccero ma, anche, e, forse, soprattutto, il viaggio effettivo dei due pellegrini e, insieme, la narrazione «circolare» e «lineare» del poeta, è lo specimen dell’ironia 84

Per far segno - Freccero

infernale che costituisce la realtà del poema: diegetica, appunto, e non mimetica. A tale scopo Freccero ricorre ad una accurata esegesi della prima terzina del canto III, non priva di sottigliezze ermeneutiche e di echi delle tendenze critico-metodologiche contemporanee più aggiornate e innovative. Si pensi alla nozione di «icona» («segni che istituiscono un rapporto di somiglianza con ciò che significano» Freccero 149), estratta dal vocabolario di Peirce, non a caso "harvardiano" di secondo Ottocento, ma di cui solo oggi si sta valutando pienamente l’apporto alle discipline semiotiche; oppure si badi alla traduzione in termini di linguaggio delle codificazioni della giustizia penale, operata da M. Foucault e brillantemente ripresa da Freccero per spiegare, della Giustizia nella Commedia, ciò che Singleton, nonostante il suo largo commento, aveva trascurato Freccero, infatti, progressivamente e quasi inavvertitamente, riprende le formule di Singleton solo per attenuarne la portata teorica, finalizzata alla precomprensione teologica della poesia della Divina Commedia e, al massimo, per rivalutarla nella prospettiva ironica che è, lo si

ripete, la messa in discussione della presunta corposità sostanziale della realtà.

E soltanto sull’onda dell’ironia, allora, la più famosa asserzione di Singleton («La finzione di Dante è che la sua finzione non è una finzione», com’è tradotta in italiano in Freccero 152) può essere ritenuta geneticamente precedente a quella, omologa, di Freccero: 85

Rino Caputo

la strategia espressiva di questa scena d’apertura consiste nel fingere che non vi sia strategia espressiva, rappresentando l’iscrizione tramite la riproduzione implicita del suo testo (Freccero 150).

Ma, appunto, per Freccero non si dà «fictio» senza «strategia espressiva» e dunque Dante presenta, con l’iscrizione ironica sulla porta dell’oltretomba, il proprio «metodo di rappresentazione»: L’auto-referenzialità che abbiamo visto operante a livello semiotico nelle parole dell’iscrizione, vale anche tematicamente nella rappresentazione dei dannati. Come, nel testo dell’iscrizione, il significato dei segni coincide con i segni stessi, cosî le anime dei dannati (che sono, a loro volta, per cosî dire, dei "significati") sono rappresentate come se fossero i corpi da cui esse derivano. Nella tradizione paolina il corpo è associato alla "lettera" e l’anima al significato. Nell’Inferno le anime morte sono ironicamente raffigurate come corpi vivi. All’iconicità dell’iscrizione corrisponde l’iconicità dei dannati (Freccero

152-153).

Come si può notare, Freccero parla di autoreferenzialità del testo dantesco, per spiegare il ripiegamento ironico della rappresentazione sui materiali di cui si compone. Superando le difficoltà di un linguaggio critico arduo e, talora, algebrico ma pur sempre coerente all’assunto teorico (una frase per tutte: «La rappresentazione dell’inferno prevede la negazione di quella negazione del reale implicita nella fictio» Freccero 152), il lettore è posto, tuttavia, di fronte al rovesciamento delle tesi di Singleton e di Auerbach: nell’Inferno non si dà realismo o mimesis e, anzi, «paradossalmente, la riproduzione mimetica ha come sua principale strategia la messa in questione del reale» 86

Per far segno - Freccero

(Freccero 162) e solo in questo senso essa è «peculiarmente infernale». Dante, insomma, non descrive la realtà infernale, ma la costruisce.

Freccero non modifica, in apparenza, la terminologia dei maestri, ma ne offre una traduzione allineata alle ipotesi teoriche contemporanee, come nel caso di «mimesis» che vale simulazione, artificio piuttosto che riproduzione realistica 0, peggio, rispecchiamento. Il contatto è, forse, con Genette e con Jauss, per l’insistente allusione alle tematiche del fittivo e del finzionale. Ma, di converso, occorre notare che è l’esegesi dantesca propriamente intesa e dispiegata che favorisce l’elaborazione teorico-critica e, quindi, molto spesso, Freccero mostra nelle pagine del Dante un’attitudine generalizzante dotata di notevole autonomia teorica. D'altro canto, Freccero non ha dubbi nel riconoscere sempre valida l’insistenza di Singleton e Auerbach sul «privilegiamento allegorico della prospettiva finale», ma tale istanza è confermata e confortata dall’individuazione critico-tematica di segni pervasi di letteralizzazioni e di significazioni globali, diffusi lungo tutto il testo della Commedia e non solo nelle più icastiche ed esemplari icone infernali. Il riferimento è ai due saggi coevi Le ferite di Manfredi e la poetica del"Purgatorio" e Il significato della «terza rima». Nel primo, il confronto con Auerbach è avviato senza neppure manifestare il consueto rispetto iniziale: le ferite di Manfredi potrebbero rassomigliare alla "cicatrice di Ulisse" (con cui si apre Mimesis), ma invece,

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Rino Caputo

«in esse si esprime un’intenzione ben più profonda del puro rispecchiamento realistico» (Freccero 262). Lo scarto

ermeneutico operato da Freccero coinvolge gli aspetti antropologico-culturali, rituali, dotati di elevata carica simbolica sul livello psico-sociale, penetrati nella critica letteraria del secondo Novecento spesso con incerta attendibilità ma, talora, con sicuro profitto. Freccero storicizza ulteriormente l’episodio auerbachiano della "realtà rappresentata" nella "cicatrice di Ulisse" proprio ricollegandolo al piano della realtà individuale e collettiva delle strutture antropologiche delle più antiche comunità greche e mediterranee. In tal modo anche il significato generale ovvero allegorico delle ferite di Manfredi può essere lecitamente predicato: si tratta dell’«analogia tra corpo aereo e poema» (Freccero 267) e, cioè, del parallelismo tra le ferite come

contrassegni della storia di Manfredi, che sussistono addosso a un corpo purgatoriale, quindi «aereo», marcandone anche l’anima, e la scrittura, che tutto deforma in nome del significato. La poetica del Purgatorio è anche questo: Comele

ferite sono assurde in relazione ad un corpo aereo, cosî

la stessa scrittura è assurda se applicata a ciò che si vuole come rappresentazione esatta di una visione ultramondana. Paradossalmente, il testo «rispecchia» l’altro mondo nelle sue sospensioni (Freccero 266).

Ma Freccero si dimostra, ormai, veramente lontano anche dall’impostazione singletoniana della rappresentazione realistica, nel momento in cui mette in discussione la "sostanza delle cose viste", trasferendo la loro validità dal piano teologico a quello tematico, narrativo e, in ultima analisi, 88

Per far segno - Freccero

poetico. E /ronia si chiude, inconfondibilmente, questa ammissione palinodica:

con

Le «cose viste» sono come le ombre della caverna platonica; solo l’ironia, la «morta poesì», può dare loro sostanza (Freccero 162).

Ma la vera conclusione prospettica del saggio si svolge nelle righe precedenti, dove e quando Freccero riprende la formula di De Man dell’ironia come «figura dell’auto-coscienza» e la accosta al procedimento poietico della "confessione" agostiniana che, com’è noto), è alle origini del genere narrativo dell’autobiografia. Ma in Dante, e nella Commedia, ciò vuol dire per Freccero che l’ironia permette il racconto delle vicende individuali e generali del soggetto umano protagonista. Infatti Che sia possibile o meno nel mondo reale sottrarsi all’ironia, certo in letteratura ciò è possibile traducendo l’ironia stessa in una struttura narrativa, soprattutto di genere autobiografico,

dove le fasi alterne del modello ironico sono investite di una temporalità ideale che distingue l’io-personaggio dall’io-nar-

ratore (Freccero 161).

Ecco perché, allora, conclude veramente Freccero, solo attraverso la poetizzazione narrativa, nel racconto, l'ironia

diventa l’ «allegoria della conversione». E la «poetica della conversione» può costituirsi come formula critico- ermeneutica riassuntiva del Dante di Freccero solo quando ha manifestato la sua più autentica sostanza letteraria e narrativa. Occorre rimarcare, a questo punto, che il filo conduttore emergente dalle argomentazioni esegetiche frecceriane è 89

Rino Caputo

estratto, costantemente, dalle opere e dalla figura intellettuale e religiosa di Agostino. L’esperienza di vita, soprattutto interiore, "raccontata" da Agostino nelle Confessiones e, più indirettamente, nelle altre opere, dai Soliloquia al De vita beata al De Civitate Dei, è alla base dell’interpretazione frecceriana di Dante che "racconta" il percorso della sua vita interiore, quel processo de la sua vita che, come già verificatosi nel rife-

rimento archetipico agostiniano riportato esemplarmente nel Convivio, fu di non buono in buono (Cv sofà Frec-

cero, al riguardo, troppo interessato al profilo globale dell’esperienza delle singole personalità, non cerca di esibire eccessivi riscontri di strutture verbali e narrative parallele, anche se individua suggestivamente luoghi omologhi, capitali per lo scatenarsi dell’azione delle rispettive vicende, come, ad esempio, l’immagine delle fiere nell’esordio del settimo libro delle Confessiones e della Commedia. E proprio sull’"immagine" s’addensa, nell’accumulo progressivo dell’esegesi frecceriana, la qualità precipua dell’apporto di Agostino a Dante (o, se si vuole, del riuso da parte di Dante della figura e dell’opera di Agostino). E” forse questa l’osservazione che, una volta condivisa, può attenuare l’energica e dirompente accusa promossa contro il lavoro complessivo di Freccero da parte dei critici più attenti alla verifica del rapporto dell’opera di Dante con le idee, i pensieri, i "contenuti" della filosofia e teologia medievali e, in particolare, tomisti (come è il caso, pit recentemente, di A.C. Mastrobuono).

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Per far segno - Freccero

Freccero muove la sua ermeneutica sull’onda delle cate-

gorie critiche che nascono fruttuosamente dalla messe delle immagini portate fino al Novecento dalla tradizione diretta delle opere e da quella indiretta della critica. E se Dante suggerisce a Spitzer, com’è noto, l’icastica definizione del metodo critico (Dal centro al cerchio e si dal cerchio al centro, Pd 14, 1), è poi Spitzer, insieme alle

«metamorfosi del cerchio» di G. Poulet, che aiuta Freccero a comprendere esegeticamente l’"immagine finale" della Commedia, cioè Dio, come «una circonferenza e, insieme,

un centro» (Freccero 340 E sempre di immagini si tratta (e non di concetti, per dirla

con Pirandello, un autore che Freccero mostra di conoscere anche nella veste di critico dantesco ironico e umoristico), quando il critico nordamericano conclude la sua

Introduzione al "Paradiso", del 1970, con la valorizzazione poetico-formale del culmine del racconto dantesco, di quell’ultimo verso l’amor che move il sole e l’altre stelle che contiene una definizione teologica, molto simile a quella esposta già nel 1964 nelle ultime righe dell’/mmagine finale (Freccero 334), ma, anche, la proposta di una

teoria e pratica della poesia: L’infaticabile impulso del verso dantesco raggiunge il suo climax e la sua quiete nel termine «Amor» dell’ultimo verso, proprio come il desiderio, insaziabile in termini umani, è

pienamente soddisfatto solo nell’amore di Dio. Ciò che viene dopo questa parola rappresenta il ritorno alla terra, cioè a noi, dopo il momento dell’estasi. La piena attuazione dei più intimi desideri personali del poeta si armonizza perfettamente con quell’amore che è la forza motrice dell’intero universo, del sole

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Rino Caputo

e delle altre stelle. Dal punto di vista spaziale, parlare di sole e stelle significa tornare alla nostra prospettiva umana, sollevando lo sguardo a quei corpi celesti che erano stati ampiamente superati dal pellegrino nel suo viaggio verso l’Empireo. Perciò nella parola «Amor» si congiungono il cielo e la terra, il poeta e il suo pubblico, e in essa è racchiusa la sostanza dell’intero poema (Freccero 288).

Nel Significato della «terza rima», terzo saggio del 1983 e ultimo della silloge del Dante, Freccero dà inizio alla sua argomentazione rovesciando preliminarmente, quanto decisamente, i termini della consueta riflessione critico-esegetica. E se nei precedenti lavori il testo dantesco costituiva la premessa esemplare anche sul piano filologico-documentario di ogni possibile teorizzazione estetica, ora è la teoria critica contemporanea che si vuole confermare sul corpo nobile dell’opera di Dante, e sulla Commedia in particolare, come strumento valido di più globale e sovrastorica ermeneutica e, insomma, come "metodo".

Antici-

pando chiaramente istanze e tensioni più proprie dei primi anni Novanta e della più giovane e recente critica dantesca americana (come, specialmente, quella di T. Barolini), ma,

nello stesso tempo, tenendo conto sia di suggestioni indirette o non menzionate come Jameson, sia dei più coerenti e visibili riferimenti critico-categoriali acquisiti da De Man, Poulet, ma, anche, Blackmur, Bloome, in lontananza

- pur rivisitati - ancora Singleton, Auerbach e Spitzer,

Nardi e Contini, Freccero postula fin dall’inizio il ricorso al "formalismo" per darconto della carica autoreferenziale,

metalinguistica e, in definitiva, della letterarietà del testo 92

Per far segno - Freccero

dantesco‘”. Grazie soprattutto alle formulazioni di Jakobson, è possibile applicare anche agli studi medievali, e all’opera di Dante in particolare, l’assioma tutto novecentesco dell’attenzione non soltanto «per il messaggio in quanto tale, ma piuttosto per la consapevolezza che il messaggio ha di se stesso in quanto messaggio» (Freccero 335). Freccero si lascia in tal modo alle spalle il contenutismo teologico medievale e medievista (tanto da ritenere corresponsabili del disvalore metodologico, nell’ordine di gravità, Spitzer, Auerbach e lo stesso maestro Singleton)

per sostenere il collegamento tra «forma» e «significato» come sintesi sostanzialmente rinnovata del consueto rapporto tra forma e contenuto, «l’eterno problema dell’interpretazione letteraria» (ibidem) ovvero, per dirla con i termini costitutivi del più recente linguaggio critico frecceriano, tra «poetica» e «tematica». Il supporto metodico dichiarato è quello dei formalisti russi, del "new criticism”

americano e dello strutturalismo francese (oltre, come si è

già detto, alla non evidenziabile suggestione di Jameson). Ma Freccero non rinuncia a riformulare i principi teorici in strumentazione concreta, anche se talora sperimentale e sperimentalistica, come nel caso delle coppie ermeneutiche individuate: l’esito è quello, appunto, della rinominazione delle dicotomie più attinenti al testo dantesco, a partire da "poesia" e "fede" ovvero "poesia" e "teologia", ricomprese nella più moderna e perspicua coppia «poetica» e «tematica», derivata, come si è appena visto, da quella più generale di «forma» e «significato». 593

Rino Caputo

Per tale via, inoltre, non viene liquidata la tradizione

esegetica precedente, impersonata innanzitutto da Ch.S. Singleton; anzi l’acquisto "allegorico" del maestro è inteso come una premessa positiva dell’attenzione formale dell’allievo: egli [Singleton] ha dimostrato il rilievo che la teologia può avere non solo per chi fa «archeologia» letteraria, ma anche per il critico... (Freccero 336).

E questo avviene perché Singleton, rinunciando alla considerazione sporadica e parcellizzata delle "lecturae dantis", ha posto «la necessità di considerare la teologia essenziale alla coerenza dell’opera» (ibidem).

Ma Freccero avverte che i due elementi strutturali singletoniani devono esserè separati «nella nostra analisi», per poterli verificare indistinguibilmente uniti nel poema. E, quindi, di critica delle forme

c’è bisogno,

di «un

corretto accostamento» tra «forma» e «significato», per valorizzare, della Commedia, sia la «poetica» che la «tematica». Freccero sceglie deliberatamente un «aspetto formale» che, essendo presente nelle pieghe micro e macroscopiche del poema, può funzionare come dettaglio e, insieme, cornice, come centro e cerchio, come elemento sia poetico che tematico: la «terza rima». Come già per Eliot, Auerbach, Singleton e, insomma, per la tradizione più versata sul "questo e quello", anche per Freccero la "trinità" della rima è antesignana di ogni trinità presente nel poema fino alla Trinità "teologica" ma, nello

94

Per far segno - Freccero

stesso tempo, ricapitola il senso della vicenda del poeta che si fa pellegrino: Il modello formale delle rime intrecciate, in cui l’interruzione arbitraria corrisponde simmetricamente all’arbitrarietà dell’inizio, si fa più significativo se riflettiamo un momento su quello che è il suo corrispettivo tematico, cioè il movimento del pelle-

grino verso un traguardo che rappresenta, nello stesso tempo, il punto di partenza logico della narrazione (Freccero 340).

Freccero, ancora una volta, converte tutta l’attenzione critica sulle conseguenze narrative che l’assunto tematico ha nella Commedia. A tale scopo riemerge preponderante la figura e l’opera di Agostino, iniziatore creativo del movimento «che vale anche a rappresentare spazialmente la logica narrativa, in particolare quella dell’autobiografia» (Freccero 341). E non a caso il passo testuale agostiniano, utilizzato con

finalità esemplare ed esemplificativa, Confessiones, 11,28, è lo stesso che compare in una delle più centrali argomentazioni della Scena del prologo, il settimo saggio in ordine cronologico, ma il primo della silloge del Dante, sia perché riguardante l’esordio della Commedia, sia anche perché fondativo delle più caratteristiche categorie critiche frecceriane. Il suggestivo parallelismo stabilito da Agostino tra la "canzone" e la vita umana ovvero tra le unità micro-strutturali foniche, musicali e linguistiche, da un lato, e le com-

ponenti della storia dell'umanità, l'individuo, le generazioni successive, il genere umano, dall’altro, apre e chiude circolarmente l’esegesi del critico nei due saggi” 95

Rino Caputo

Resta solo da osservare, en passant, che è comunque avvertibile una differenza tra i due contesti frecceriani, all’interno dei quali è menzionata la citazione agostiniana. Nel primo, l’accento teorico-critico ed ermeneutico è posto sulla «necessità di una lettura retrospettiva del poema» dantesco, per la quale la «critica formale non è sufficiente» e, anzi, più esplicitamente Sia per Agostino che per Dante, un’opera poetica va interpretata come un’unità non per la sua qualità di «oggetto letterario», ma perché il suo significato può essere colto solo quando essa è perfettamente compiuta. Non si tratta semplicemente di un fatto letterario, ma piuttosto della manifestazione di una realtà spirituale (Freccero 51).

Nel secondo, e ultimo, saggio la gerarchia è rovesciata: Si direbbe che la teoria cristiana della storia deriva dal tentativo di imporre un termine linguistico al dominio della temporalità, trasformando l’entropia, quello che Agostino definirebbe il tempo del peccato, in un discorso formale, o tempo della redenzione (Freccero 348),

con la definitiva e irreversibile conclusione: Se è possibile vedere nella forma letteraria adottata da Dante un riflesso delle sue opinioni in materia di teologia, è altrettanto possibile vedere in quella teologia la proiezione delle sue forme letterarie (ibidem).

Ad Agostino, quindi, risale l'impostazione della struttura estetico-cognitiva medievale e dantesca: La struttura narrativa che abbiamo descritto, come lo schema metrico, privilegia la fine, il momento della conclusione, facendolo coincidere con l’inizio. Questo rovesciamento logico corrisponde teologicamente al movimento della conversione, della morte e resurrezione... (Freccero 342)

96

Per far segno - Freccero

... L’analogia tra modello agostiniano e storia dantesca si evidenzia nella distinzione tra pellegrino e poeta... (Freccero 343) ... Sul piano logico, la conversione implica la distruzione di una forma precedente e la creazione di una forma nuova. Come il processo dell’autobiografia, essa inizia con due oggetti: il peccatore attuale e il santo futuro, che corrispondono rispettivamente al pellegrino e all’autore (Freccero 344).

Ecco allora che, proprio nel punto in cui Freccero sembra ripercorrere la trama esegetica di Auerbach e Singleton, la scrittura critica, assumendo tutte le conseguenze della valorizzazione formale dei testi (del Testo) di Agostino, si

rovescia nell’esaltazione della letterarietà del modello apparentemente teologico. Se «i principi teologici che sembrano sottendere il modello formale dantesco sono essi stessi a loro volta derivati da principi letterari» e se perfino la «teoria cristiana della ricapitolazione proviene da categorie linguistiche», allora è Agostino, «oratore e vescovo, quello che dimostra maggiore consapevolezza dell’analogia tra il regno delle parole e la teologia del Verbo.... Per lui non solo interpretazione letteraria e storia della salvezza non sono in conflitto tra loro, ma addirittura la poesia è emblema dell’intelligibilità del cosmo» (Freccero 348).

Come si può notare, conclusivamente, Agostino non è tanto, secondo Freccero, la fonte da cui Dante tira la cor-

rente quantitativamente diretta di moduli espressivi e di

temi, quanto piuttosto la premessa strutturale, poietica

della Commedia. A ciò, forse, non dà il giusto rilievo quella parte di critica dantesca nordamericana che, da un lato, tende a esaltare la lettura agostiniana di Dante operata da Freccero esibendo 97

Rino Caputo

riscontri testuali, talora più o meno sfocati, con l’obiettivo di avvalorare il rapporto diretto tra Agostino e Dante; oppure, dall’altro, al fine di demolire l'impianto esegetico della "poetica della conversione", denuncia invece incongruenze filologiche, supporti testuali troppo carenti e, s0prattutto, l’arbitrarietà della scelta critica del rapporto tra con) 0 l’opera agostiniana e quella dantesca . Ma, infine, proprio attraverso Agostino, può prendere corpo la proposta teorico-metodologica più esplicita di Freccero e, nello stesso tempo, proprio attraverso la curvatura agostiniana della "terza rima" dantesca, la lettura critica definitiva della Commedia: Come il metro modella e regolarizza lo scorrere altrimenti indefinito delle nostre parole, cosî l’intenzione provvidenziale di Dio riempie di significato lo scorrere del tempo. La storia stessa

si può definire il poema di Dio, sottratto sia all’eternità atemporale dei platonici che alla morte del peccato dal Verbo che fonda il tempo della redenzione. In tale piano, le vite umane sono come le sillabe collegate l’una all’altra dal metro della Provvidenza e la morte non è che quel silenzio della sintassi da cui solo può emergere il significato (Freccero 348).

Poco importa, a questo punto, se, sull’onda di troppo suggestive omologie, Freccero arriva a collegare, nelle ultime righe del saggio e con ellittica consequenzialità, Dante a Hegelovvero a configurare la terza rima «come un modello della sintesi di tempo e significato nella storia» (Freccero 350). Conta, soprattutto, che la "tematica" agostiniana sia accolta e, per cosî dire, armoniosamente. regolata dalla "poetica" dantesca.

98

Per far segno - Freccero

Lo schema metrico, che s’identifica con la struttura formale della Commedia, è espresso tuttavia da una dualità che lo incornicia, «giacché non può esservi memoria nel primo istante, né alcuna aspettativa nell’ultimo» (Freccero 350). La dualità coesiste in tal modo con la dichiarata struttura triadica hegeliana e rinvia piuttosto, pur nell’apparente contraddittorietà delle asserzioni, a una lettura delle premesse agostiniane in chiave quasi "manichea" (e in ogni caso binaria)”.

Freccero motiva ambedue le dimensioni ermeneutiche con un supporto tematico di tipo teologico: nella nota finale del Significato della «terzarima» si accoglie la tesi dell’ «analogia tra la teoria della storia della lettera agli Efesini e la dialettica hegeliana» (Freccero 350).

Occorre dire, però, che l’ambito argomentativo rimane nei limiti critico-letterari consueti e non ambisce ad allargarsi a proposta teorico-filosofica generale. In tal senso appare eccessiva l’accusa di insufficiente competenza dottrinale,

filosofica e, soprattutto, teologica, recentemente formulata da Mastrobuono nei confronti del lavoro complessivo di Freccero. Le obiezioni, efficaci nella sostanza tecnica, risultano elusive rispetto al terreno specificamente critico-letterario dell’esegesi dantesca frecceriana, anche se

colpisce, al termine della lunga e virulenta recensione, l’affermazione che l’interesse poetico e narrativo sia simile ai «nuovi vestiti dell’imperatore» e che, perciò, in fondo, «the emperor is naked»! Ma ben oltre il suggestivo quanto apparente hegelismo, è Lo

Rino Caputo

proprio la dualità la cifra costitutiva del successivo e più contemporaneo lavoro di Freccero. Non si potrebbe definire altrimenti, infatti, la dimensione strutturale, pressoché architettonica, del saggio Allegoria e Conversione della "Commedia", apparso in Italia nell’aprile del 1992 su "Intersezioni", la rivista bolognese legata alla casa editrice del Dante italiano di Freccero, Il Mulino (Freccero 1992).

Si tratta di un contributo che meriterebbe, da solo, una larga e dettagliata disamina teorico-critica, sia perché è da considerarsi per tanti aspetti la summa dell’esegesi dantesca frecceriana, sia perché in esso vengono riprese molte

questioni del Dante, al fine di riassumerle, precisarle e chiarirle, tenendo conto indirettamente delle posizioni alternative, integrative o polemiche, emergenti dal tito innestato in Nordamerica dal maggior volume, metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Nel riepilogare i temi salienti del Dante, Freccero al proprio percorso di scrittura il metodo della pitulatio» usato per l’oggetto di studio.

dibattra la

adatta «reca-

Riaffiorano, in effetti, le obiezioni antirealistiche a Sin-

gleton e a Auerbach, l’opposizione radicale tra «ironia» e «allegoria» e la descrizione della «conversione» teologica e topologica di Dante e del viaggio e del mondo ultraterreno.

Le argomentazioni non sono tuttavia autosufficienti, poiché sono altresî rivolte a favorire la tenuta dell’esegesi frecceriana di fronte agli attacchi plurimi degli agguerriti critici, più e meno giovani, che, sottoponendo a severo 100

Per far segno - Freccero

esame storico-critico il lavoro del maestro Singleton, si trovano ad aggredire, anche involontariamente, i risultati ermeneutici dell’allievo, senza verificare preventivamente se questi siano in continuità o in rottura con la precedente genetica impostazione. E’ lecita perciò l’impressione che il saggio ammetta in origine l’esigenza di dare risposte pit definitive agli snodi interpretativi del testo della Commedia e della critica dantesca, alla svolta degli anni Novanta. E’ il caso, manifestamente, della rivalutazione compiuta da Freccero dell’«allegoria dei poeti», per l’innanzi considerata subalterna e quasi ancillare all’«allegoria dei teologi»: un esito conseguenziale prodotto dal rovesciamento operato nei saggi del Dante della gerarchia precedentemente istituita tra «teologia» e «poesia», ridefinita, com’è ormai chiaro, nei termini della dualità, aspirante a sintesi, di «tematica» e «poetica». La dualità, infatti, è esibita in modo precostituito fin dall’intitolazione dell’articolo e, poi, dei paragrafi che avvolgono l’esposizione critico-esegetica: «conversione e allegoria», appunto, e, di seguito, «Gerione e Ulisse», «allegoria dei poeti e allegoria dei teologi», «allegoria teologica e struttura narrativa», «Il Libro dell’Esodo e l’ Allegoria teologica», «poetica e tematica» dei «tre regni». Ma non c’è dubbio che l’esigenza fondamentale della lunga e complessa argomentazione di Freccero consiste nel tentativo di unificazione e di sintesi, più e meno hegeliana (anche attraverso la "logologia" di Burke) o più e meno 101

Rino Caputo

cristologica (l’Incarnazione del Verbo tra Padre e Spirito Santo), delle suddette polarità rischiosamente oppositive. La soluzione, come ormai è evidente, è individuata nella riduzione allo strutturale, al poetico, al narrativo del teologico e del tematico della Commedia. Ancora una volta, non si tratta per Freccero di smentire

radicalmente Singleton; si vuole piuttosto valorizzare il teologico come parte tematica integrante del livello primario poetico del testo dantesco. Da qui la ripresa di stilemi singletoniani intrecciati con quelli agostiniani più familiari all’allievo: Singleton ha mostrato che l’avvento di Beatrice nel Purgatorio voleva essere un’applicazione tropologica dell’avvento di Cristo nella vita di Dante, una morte dell’uomo vecchio, per dirla con S. Paolo, e la nascita di quello nuovo. L'uso dell’ Allegoria dei teologi da parte di Dante nel poema è strettamente connesso a questa conversione (Freccero 1992, p. 17),

che comporta, conseguenzialmente, la dichiarazione d’intenti critico-esegetici: Le osservazioni che seguono intendono sostenere che nel poema dantesco alcuni elementi teologici sono pit intrinseci ai valori formali di quanto non pensino generalmente i critici. Vedremo che l’insistenza di Singleton sulla natura teologica dell’allegoria dantesca può essere accolta, se soltanto la interpretiamo in senso strutturale anziché tematico (ibidem).

Agostino, una volta di più, costituisce per il critico lo strumento euristico e il banco di prova di ogni affermazione: da un lato vi si fa ricorso, nel saggio, per sostenere «l’analogia fra coerenza teologica e coerenza letteraria» (p. 18) oppure perl’equivalenza tra "cosmo" e "libro"; dall’al102

Per far segno - Freccero

tro, soprattutto, perché nelle Confessioni «egli ci ha dato

l’esempio più chiaro del modo in cui la forma letteraria ed il suo contenuto teologico sono inseparabili» (p. 19). Il riferimento è, ovviamente, al nesso tra confessione, come

momento di avvio della conversione, e autobiografia, come momento di realizzazione narrativa dell’ annunciato programma etico, spirituale, religioso di mutamento: pur nella consapevolezza di adottare uno strumento «finto», il

racconto, per un’esperienza vera, la «conversione». Il saggio del ’92 riepiloga distintamente i passaggi più decisivi dell’esegesi frecceriana, secondo la registrata evoluzione del Dante, cui si può rinviare per ogni ulteriore precisazione, mentre conviene soffermarsi sull’acquisto più interessante di quest’ultima fase, produttivo di notevoli inferenze nel panorama della critica dantesca nordamericana contemporanea: si tratta, appunto, della testé accennata rivalutazione dell’«allegoria dei poeti». Nell’esordio analitico del saggio, Freccero oppone Gerione a Ulisse non perché le due "figure" abbiano una diversità qualitativa che possa permettere a una delle due di superare la condizione infernale ma perché, in definitiva, i rispettivi «viaggi esistono allo stesso livello di significazione, in quanto rappresentazioni drammatiche di tentativi opposti di raggiungere l’assoluto» (p. 8). Ma l’opposizione si allarga all’altro viaggio, quello di Dante, in termini non puramente tematici (e, cioè, soltanto teologici). Freccero osserva che, di contro al folle volo di

Ulisse, Gerione vola (e fa volare) il pellegrino-poeta verso 103

Rino Caputo

una meta più profonda epperò funzionale al compimento positivo del suo viaggio: la fraudolenza è messa, imperscrutabilmente, al servizio divino Ma l’argomentazione critico-esegetica tralascia ben presto il livello tematico per ridefinirsi sul piano poetico e narrativo: l’opposizione brillantemente individuata e descritta nelle sue interrelazioni contenutistiche si ricostituisce nella coppia contrastiva, ironica e formale, di Gerione, sozza imagine di froda che ha tuttavia faccia d’uom giusto e di Dante che assicura il lettore della Commedia di raccontare quel ver c’ha faccia di menzogna: La fraudolenza di Gerione viene contraffatta dal volto della verità, mentre la storia che Dante racconta è verità nascosta sotto una artistica menzogna (Freccero 1992, p. 8).

Freccero ripete la famosa definizione dantesca del Convivio (veritade ascosa sotto bella menzogna Cv 2, 1, 3), da

sempre ritenuta espressione propria dell’«allegoria dei poeti», per rivalutarne l’importanza strutturale e, appunto, poietica nei confronti della Commedia. A tale scopo, sulla scorta degli apporti interpretativi di Bruno Nardi, uno dei maggiori dantisti italiani della prima metà del Novecento

(ripreso nell’ambiente

nordameri-

cano, come si vedrà, non soltanto da Freccero, e, oggi, me Lo apprezzato dalla stessa critica italiana contemporanea

), viene evidenziata la qualità "fittiva" della stessa

lettera a Cangrande. Freccero non interviene sulla vexata quaestio dell’autentica paternità dantesca della lettera, pur in presenza di un dibattito ormai avviato e, talora, con toni 104

Per far segno - Freccero

accesi, proprio tra i dantisti nordamericani; gli basta osservare che, in ogni caso, l’epistola espone e descrive i sensi del poema senza rinunciare, pur nel contesto eminentemente teologico, alla valorizzazione del modus poeticus sive fictivus” Ma, anche ora, non si tratta tanto di rovesciare la tradizionale dicotomica gerarchia tra le due allegorie; quanto piuttosto, attesa l’«inseparabilità» delle due componenti essenziali dell’opera, di tradurre in letteratura ciò che in

precedenza -da Singleton e Auerbach- era stato scritto in codice teologico e con lessico contenutistico. A tale scopo la stessa intuizione teorico-estetica del maestro e, cioè, l’interessante ripresa dell’osservazione agostiniana sul misterioso eppure produttivo rapporto tra vero e falso («certe cose devono essere false per poter essere vere» Singleton 90), viene ripresa da Freccero, con il corredo di ulteriori

ed icastici riscontri testuali desunti dalle opere agostiniane (il Contra mendacium,

innanzitutto), per sanzionare

la

definitiva plausibilità della scelta "poetica" dantesca”. Anzi, è l’«allegoria dei poeti» l’unica risorsa che permette a Dante di «conformare» il suo poema al fine prestabilito: «esprimere il significato che vuol trasmettere» (p. 10). L’istanza pragmatica sottesa all’intento poetico dantesco si precisa e, in un certo senso, si distende nello svolgimento del racconto della peripezia nei "tre regni" che è anche, metalinguisticamente, il viaggio della poesia con e oltre le

sue dimensioni tematiche. Freccero passa in rassegna gli argomenti canonici di ogni 105

Rino Caputo

esegesi della Commedia, anche se rivisitati con straniante intelligenza critica moderna: da quello della politica («uno dei conflitti ironici dell’Inferno che prosegue nel Purgatorio è quello fra ordine politico reale e ordine politico ideale» p. 32) a quello del rapporto ovvero discrasia tra pellegrino e poeta («il contrasto più significativo, tuttavia, è quello che esiste fra le percezioni del pellegrino e il giudizio del poeta» p. 31), che svela, nel contempo, il fraintendimento della critica che intende troppo letteralmente (e dei critici che "tropizzano" ). Ma senza dubbio è sul discorso della poesia che l’accento critico di Freccero cade con sempre maggiore insistenza. Esso si precisa tuttavia in considerazioni di natura teorico-estetica e critico-linguisticaestratte dall’esegesi concretae talora dettagliatamente minuta: come nella ripresa dell’"ironia infernale" per attestare l’analogia tra semiotica e psicagogia teologica («la referenza è la vita di un segno cosî come l’anima è la vita del corpo» - p. 26 - ovvero «l’anima è la vita del corpo, come la traiettoria del significato è la vita di una figura» p. 27); oppure come nella configurazione del Purgatorio come poesia del «visibile parlare» e del Paradiso come poetico «tentativo di raffigurare la trascendenza cercando di descrivere ciò che essa non è» (ibidem).

Il crescendo poietico dell’argomentazione frecceriana si coagula nella lettura della figura di Virgilio che presenta i tratti consueti, perfino più tradizionalmente corrivi, e insieme le valenze funzionali poietico-narrative più suggestive e inedite. Essa è, infatti, rivestita di panni profetici (pur 106

Per far segno - Freccero

sempre rovesciati, ribadisce Freccero, rispetto alla significazione diretta dell’ Eneide) ma è anche metafora della

poesia, attraverso la relazione instaurata da Dante con un’altra figura di poeta, Stazio, convertito da Virgilio, per cosî dire, alla teologia e alla poesia, («il resoconto che

Stazio fornisce della propria conversione è un modello per comprendere la conversione come una funzione del potere della parola» p. 32). Virgilio e, in particolare la sua scomparsa in occasione dell’"avvento" di Beatrice, significa per Dante, secondo Freccero, «il suo venire a maggiore età come poeta». Ma il critico non sa trattenersi dal confermare la sempre postulata inseparabilità tra tematica e poetica e le ultime parole delsaggio del 1992 risultano piuttosto come l’eco moderna delle parole di Singleton, l’antico maestro teologico: E’ come se Orfeo venisse sostituito dal Cantico dei cantici. La scomparsa di Virgilio non è un fatto esclusivamente tematico: i riferimenti alla sua opera si affievoliscono sotto i nostri occhi, dalla citazione diretta («Manibus, oh, date...») alla traduzione

letterale («conosco i segni...») fino all’allusione più debole («Virgilio... Virgilio... Virgilio») nel momento in cui Beatrice, il che è come dire Dante, ne prende il posto (pp. 33-34).

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Per far segno - La critica dantesca americana oggi

4. La critica dantesca americana oggi

Non c’è dubbio che, a voler considerare appena superficialmente i contorni e i dettagli, l’orizzonte della critica dantesca americana oggi appaia più variegato, mobile, fertile di iniziative molteplici e plurivoche, lontano dall’immagine un po’ monolitica accreditata dall’affermazione prolungata e ritenuta, forse a torto, univoca, dell’esegesi singletoniana. Eppure si commetterebbe un errore di prospettiva storica e critica se si decidesse, anche soltanto per ragioni di opportunità espositiva, di riprendere i termini dell’operazione continiana di trent'anni fa che, nel mettere a punto la geografia "politica" internazionale della critica dantesca, mutuava appunto dal linguaggio della politica le distinzioni teoriche e le propensioni pratiche dei diversi schieramenti. Il Dante "di destra" («simbolico-allusivo»), "di sinistra" («lirico-melodico») e "di centro" («allegorico-plurisen-

so») - ma Contini aggiungeva poi il suo «della realtà e della sperimentazione continua» e «plurilinguistica» - ha perso oggi una efficace configurabilità persino ideologica come, del resto, sono state sottoposte a radicale critica storica e linguistica categorie d’uso, politico e non, come destra, centro e sinistra Si potrebbe, forse, ancora osservare che quel "centro" continiano, allegorico-plurisenso, in cui il critico mani109

Rino Caputo

festamente inseriva la pratica critico-esegetica di Singleton, l’autore di «un libro americano su Dante», si è oggi in America irradiato in varie e talora opposte direzioni. La descrizione di tale processo, avvenuto soprattutto nell’ultimo quindicennio, è stata proficuamente effettuata ed esposta in forma di rassegna critica, in particolare da

Baranski, da Cervigni e, da ultimo, da Botterill, perché occorra, in questa sede, un riporto minuto di dati e posizioni (ma, a tale proposito, sarebbe meritevole di ben maggiore attenzione, e non della semplice menzione che qui se ne fa, la personalità critica di Th. G. Bergin, dantista pressoché coetaneo di Singleton)®. Ma s’impone oggi, proprio per il relativamente ampio e soddisfacente apprestamento del materiale storico-critico, un tentativo di interpretazione del senso delle vicende

storico-intellettuali manifestatesi, da compiersi attraverso la puntuale ripresa delle effettive posizioni critiche. L’operazione è, peraltro, solo apparentemente facilitata dal fatto che, come

hanno già notato alcuni commentatori

diret-

tamente coinvolti, si può cogliere oggi un impulso all’avvicinamento o, almeno, ad una più pacifica interazione tra tendenze di critica dantesca per l’innanzi in aperto

e inconciliabile dissidio: il rischio di confusione coesiste con quello della inintelligenza del senso autentico delle varie opzioni critiche. Se, però, è Singleton il nume tutelare e, insieme, oppressivamente ingombrante dell’odierna critica dantesca, non c’è alcun dubbio che dei vivi e attivi si discute, quando si 110

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

portano lodi o attacchi agli estinti. E’ il caso, lo si è visto già in parte, dell’intervento di Mastrobuono, che dedica alla radiografia del testo singletoniano due terzi del suo libro, al fine di evidenziarne,

spietatamente,

le aporie

quantitative e qualitative, e poi riprende, in appendice al volume, ma, in realtà, come seconda parte organicamente

connessa alla prima, la recensione già fatta al Dante frecceriano, con pervicace intento demolitorio nei confronti dell’interlocutore polemico attuale”. Così come la prassi critica di Barolini, coagulatasi più recentemente in posizione teorico-metodologica, al fine di "deteologizzare" Dante ovvero di lasciarsi alle spalle Singleton, non può evitare di incontrare le stesse problematiche insistentemente affrontate da Freccero almeno dagli anni Settanta in poi. E°’ difficile quindi prescindere da Freccero: «poetica» e «tematica», binomio brillantemente innovativo della vecchia dicotomia poesia-teologia, è la soluzione teorico-critica che ha permesso all’allievo di Singleton di lasciare la terra dell’allegoria (portando con sé, si badi bene, i frutti

migliori e tutte le produzioni più caratteristiche) per compiere l’esodo nella terra promessa della narratività, ovvero il luogo in cui la Commedia e Dante sono considerati (soltanto) soggetti e oggetto di letteratura. Se tale "passaggio" fosse nitido e ben segnato nelle sue tappe e, soprattutto, universalmente condiviso, non ci sarebbe alcuna esitazione nell’affermare che il percorso esibito dal lavoro di Freccero è quello della critica dantesca americana contemporanea. 111

Rino Caputo

Una tale configurazione della realtà critica, sia teorica che operativa, confinerebbe ai margini (di destra? di sinistra? di centro?) soltanto le posizioni di coloro che tendono a

reintervenire sulla costellazione critico-esegetica singletoniana o per forzarne la valenza biblico-scritturistica, fino

a consumare eccessi enigmistici sulla Commedia oppure, come si è testé accennato, per misurare l’esatto dosaggio quantitativo del corpus testuale e dottrinale della "teologia" nel tessuto dell’opera (e della critica) dantesca; e, inoltre,

di quelli che, decostruzionisticamente, spostano il senso del poema fino agli abissi della non-comprensione, lf dove non esistono più opere piccole e grandi per significatività, ma soltanto testi intercambiabili nella loro aspecifica e improduttiva negatività”. Emergono, tuttavia, anche dall’alveo della tradizione americana, traguardata in tutte le sfaccettature, tentativi di superare le divisioni teorico-metodologiche rinnovando i termini della discussione, soprattutto attraverso l’utiliz-

zazione dei nuovi strumenti di informazione e comunicazione. E’ forse questa, in effetti, la prospettiva meno sterile in cui riproporre Dante, la Commedia e la stessa critica dantesca a un pubblico di lettori più e meno colti, più e meno professionali. In tale direzione sono da valutare

positivamente le iniziative concrete d’ordine filologicodocumentario, come il "Dartmouth Dante Project", ideato e coordinato da R. Hollander, già autore di un esauriente volume sull’allegoria nella Commedia, e quelle di sperimentazione didattica degli strumenti audiovisivi, con 112

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

intento non puramente divulgativo, di A.A. Iannucci (e converrà ricordare altresî, in proposito, particolarmente la realizzazione cinematografica del canto V dell’Inferno effettuata dal regista P. Greenaway, che costituisce a suo modo un’originale interpretazione critica del testo dantesco). E non è un caso, del resto, che proprio a due studiosi non comprimibili nei margini stretti dell’appartenenza critico-ideologica, cui pure s’ispirano, si deve lo sforzo di aprire nuovi orizzonti ermeneutici nei nuovi spazi espressivi messi a disposizione dal presente tecnologico. Ma è anche vero che, almeno per tutto il corso degli anni Ottanta, la critica dantesca americana si è esercitata sulle questioni nodali individuate, direttamente e indirettamente, dalla tendenza singletoniana e, quindi, ha svolto la discussione nelle forme canoniche del dibattito accademico-scientifico che, per il Nordamerica, significa altresî contenere la contesa ideologica e politico-culturale negli ambiti istituzionali universitari. E’ da registrare come fatto positivamente rilevante la geminazione pluralistica di iniziative di studio dell’opera dantesca, in particolare attraverso la convergenza, nelle "lecturae dantis" (significative, ad esempio, la "virginiana", la "newberriana" di Chicago, la "californiana", ecc.) e in imprese editoriali collettive, di gruppi di ricerca non ideologicamente predeterminati o, almeno, non preventivamente chiusi agli apporti esterni teoricamente e metodologicamente diversificati . L'impressione che si ricava dall’ampio panorama attuale della critica dantesca americana è di un impetuoso e proficuo sviluppo, tanto più 113

Rino Caputo

notevole se si pensa alla vita grama di istituzioni culturali (anche dantesche) in altre parti del pianeta ma nello stesso emisfero boreale (dove molto spesso la "politica" fa di tutto per confermare la sua miopia nei confronti dello sguardo alto e lungo della "cultura"!). Alle soglie degli anni Ottanta, la situazione teorico-metodologica della critica dantesca americana è ancora configurabile, forse un po’ riduttivamente, nell’ambito continiano dello scarto tra «filologia» ed «esegesi» ovvero tra un’attenzione ai registri stilistico-espressivi del testo, sulla scorta della tradizione europea - italiana in particolare - peraltro minoritaria in America, e la preponderante impostazione singletoniana, apparentemente esclusiva, prima che maggioritaria. Per la verità non erano mancati già negli anni Settanta accenti di prudente quanto non superficiale correzione del presunto monolitismo allegorico, soprattutto attraverso il riporto dello stesso metodo di Singleton alle sue dirette e indirette matrici metodologiche europee. Cosî D. Della Terza, nel dichiarare la sua propensione alla critica «sincronica» («se per approccio sincronico s’intende l’assoluta priorità data al testo e ai valori testuali del mondo dantesco») metteva l’accento sulla necessità di prestare attenzione al tessuto dinamico delle immagini del poema considerandole come il campo di individuazione di strutture culturali significative filtrate attraverso la memoria poetica dantesca;

e allora, purriconoscendone «solide fondamenta», metteva in guardia dall’intendere troppo superficialmente il «valore seminale» dell’interpretazione critica di Singleton: 114

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

Ciò che noi impariamo ad evitare attraverso un'attenta lettura pragmatica degli esempi più convincenti di critica sincronica è da una parte la coerenza rigida ed astratta d’un quadro generale alla quale vengono sacrificati importanti risultati poetici specifici e, dall’altra, una lettura estetica che ignora il rapporto esistente tra gli episodi e la totalità del viaggio.

Un tentativo di superare le secche della sterile contrapposizione tra filologia ed esegesi è quello compiuto verso la metà degli anni Ottanta dagli studiosi raccolti da M. Picone intorno al volume collettivo Dante e le forme

dell’allegoresi. Nelle Parole introduttive (pp. 7-10) lo stesso Picone chiarisce l’intento della pubblicazione. Opponendo l’«allegoresi», e, cioè, l’insieme «delle pratiche

esegetiche e delle tecniche ermeneutiche che venivano riservate nel Medioevo

allo studio della Bibbia (e ben

presto estesa anche allo studio degli auctores)» all’ «allegoria» ovvero «la lettura più tradizionale dei testi profani, retorica e letteraria», Picone non intende tanto ribadire la validità esegetica ed ermeneutica dell’"allegoria dei teologi", per stazionare sui risultati del figuralismo auerbachiano o dell’allegorismo biblico singletoniano; quanto piuttosto ambire a fornire una pratica critica aggiornata. Si tratta di una «novità», com’egli riconosce piuitosto metodologica e applicativa. L'attenzione tende infatti a focalizzarsi più che sull’allegoria come figura dell’inveramento religioso-profetico, sull’allegoria come procedimento esegetico, che consente di leggere e interpretare un testo nella prospettiva vincolante di un altro o di altri testi, dai

quali esso riceve, e ai quali esso attribuisce senso. L'interesse si viene insomma a spostare dall’idea alla techne, dalla teoria artistica alla prassi testuale (Allegoresi p. 8).

115

Rino Caputo

Il riferimento metodico di Picone è, ovviamente, quello

dei risultati più recenti e proficui della medievistica intertestuale e interdisciplinare (con Jauss come riscontro emblematico ed esemplare) al quale si aggiunge il ricorso alla tradizione di studi italiani rappresentata da Contini e da alcuni studiosi portatori di contributi specifici al volume (M. Corti e G.C. Alessio), mentre è da notare la presenza di studiosi più attinenti alla dimensione critica nordamericana come (oltre allo stesso Picone) Baranski, Costa,

D’ Andrea, Iannucci e, inoltre, Friedman e Caravaggi . Allegoresi,in definitiva, ribadisce la polisemia della Commedia, accettando la duplicità del senso allegorico, giusta la Lettera a Cangrande, ma intesa come «duplicità di livelli di scrittura». Il volume appare, in tal modo, già come una tappa di quell’esodo testé individuato dalla teologia alla letterarietà poietico-narrativa. Si badi, tra gli altri pur interessanti contributi, alla ripresa della problematica stilistica e storico-tematica della Vita Nuova compiuta dallo stesso Picone (La «Vita Nuova» fra autobiografia e tipologia, pp. 59-69), alla precisazione filologico-esegetica dell’"allegoria dei poeti" da parte di A. D’ Andrea (L’"allegoria dei poeti". Nota a «Convivio», II 1, pp. 71-78) e all’utilizzazione del corpus iconografico medievale per coonestare il metodo allegorico applicato da J.I.Friedman su un argomento singletoniano quant’altro mai (La processione mistica di Dante: allegoria e iconografia nel canto XXIX del «Purgatorio», pp. 125-148). Studi americani su Dante, del 1989, è anch’essa, come al116

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

lusivamente precisa lo stesso titolo e alla stregua di Allegoresi, una pubblicazione "italiana" di critica dantesca nordamericana, pur confezionata da studiosi culturalmente residenti "in utroque". Si noterà, invece, che le altre due

importanti raccolte di saggi di cui si parlerà, Dante today e Dante and Modern American Criticism sono più propriamente "americane", sia nella occasione genetica che nel taglio critico-metodologico. Il volume, curato da Alessio e Hollander e aperto dall’introduzione di Della Terza che ricostruisce criticamente, in maniera per molti aspetti decisiva, la «lezione singletoniana», annovera tra gli autori, oltre ai già menzionati Iannucci, Hollander e Picone, studiosi americani di varia e più o meno controversa discendenza critico-metodologica, ma per lo più singletoniana e frecceriana, come Jacoff, Stephany, Frankel, Cassel, Shoaf, Ferrante, Schnapp, Ka Yo Davis, Rossi e Mazzotta, oltre alla più defilata Barolini L’obiettivo dei curatori è quello di costatare la situazione di fatto degli studi danteschi americani e, soprattutto, di presentare al lettore italiano il coagulo critico-esegetico più recente e, per certi aspetti, ermeneuticamente brillante; anche se Della Terza (La critica dantesca in America: la

lezione singletoniana, pp. 7-22) non manca di notare, nel denunciare la scarsa o sottaciuta considerazione da parte di Singleton del «versante di letterarietà» del testo dantesco, che talora i discorsi su Dante dei critici americani dell’ultima generazione praticano un «metodo assertivo» difficilmente condivisibile (p. 16). Sintomatici tuttavia di ly

Rino Caputo

uno sforzo genuinamente euristico all’interno di tale tendenza sono, tra gli altri pur interessanti contributi, i saggi di R. Jacoff sulle "lacrime di Beatrice" ovvero su quella prolungata "scena del prologo" dell'Inferno, recentemente assunta da Mastrobuono come experimentum crucis dell’accertamento, nell’opera e nella critica dantesca, della effettiva presenza della grazia santificante come preventivo viatico del viaggio salvifico oppure come frutto tardivamente conseguibile e conseguito (Le lacrime di Beatrice: «Inferno» II, pp. 23-36); e diJ.T. Schnapp sull’inversione dei generi grammaticali nella Commedia, che riprende la prima e suggestiva intuizione di Singleton su Beatrice "come" Cristo (Virgilio madre e Beatrice ammiraglio: generi grammaticali e letterari nella «Commedia», pp. 221-242). Il saggio di Iannucci, d’altro canto, insiste su un tema in cui convergono gli aspetti particolari e generali, microstrutturali e macrostrutturali sia del materiale tematico che di quello stilistico di cui si compone il testo dantesco, conefficace sintesi tra le nozioni non sempre armonizzabili di dottrina e allegoria, arte e filosofia/teologia (Musi-

ca e ordine nella «Divina Commedia»: «Purgatorio» II, pp. 87-112). Dante today è invece la raccolta, curata dall’ultimo danti-

sta menzionato, A.A. Iannucci, che presenta un equilibrato prospetto della situazione critica americana e, in particolare, di quella «struggle for meaning» che è, poi, la lotta per il significato ovvero per la - migliore - interpretazione del poema dantesco come, parafrasando, si potrebbe rende118

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

re in Italiano la formula centrale del Foreword che apre il volume . Ma Iannucci va oltre la registrazione delle diverse posizioni, dichiarandosi propenso, sul piano critico-ese-

getico, a considerare la Commedia dalla parte di Dante come produttore poietico («producerly»), rifiutando, perché parziali, le collocazioni «writerly» (puramente scrittorie) e «readerly» (di pura leggibilità) e, quindi, a configurare l’opera come produzione di «distinctive textual characteristics»: The Comedy s uncanny ability to generate meaning derives not so much from its formal, hierarchical allegory as from the allusive density of its literal narrative... In saying this, I do not mean to imply that ihe Comedy s polisemy is boundless and structureless... Rather the text defines the terrain within which meaning may be made (p. IV).

Iannucci fa discendere da una tale conformazione dell’approccio critico la più marcata sensibilità contemporanea a «recuperare» il significato del testo dantesco attraverso le strumentazioni tecnologiche che esaltano il livello dell’oralità e della fruizione audiovisiva dell’opera letteraria (di ogni testo "verbale", orale e/o scritto). In effetti,

com’egli conferma, inoltre, più largamente e dettagliatamente nell’articolo che apre la raccolta, Dante, Television, and Education (pp. 1-33), i sussidi tecnologici

permettono not only to retrieve, transmit, and receive meaning, but also to alter the balance in the struggle for meaning (p. VI)

soprattutto se essi sono filtrati attraverso la mediazione "semiotica", ben presente nel contesto culturale norda119

Rino Caputo

mericano

(e a Toronto, in particolare, dove lo studioso

lavora, esiste un centro di semiotica erede dell’impostazione di M. Mac Luhan). Non a caso, quindi, è ospitata in Dante today la comunicazione di R. Hollander sulla nascita, evoluzione, conformazione aggiornata e previsione pro-

spettica del "Dartmouth Dante Project" (pp. 287- 298) ovvero sulla raccolta di 60 commenti alla Commedia antichi, moderni e contemporanei, effettuata dallo stesso suddetto studioso con la collaborazione di dantisti e di specialisti informatici presso il Dartmouth College del New England, al fine di organizzare una banca dati ragionata, utile per il prosieguo degli studi danteschi ad ogni latitudine, anche grazie a un elaborato e specifico programma telematico. L'argomento, com’è evidente, desta il più vivo interesse appunto per la stimolante novità del punto di vista da cui è ripreso lo studio di Dante. Mail contributo decisamente più rilevante del volume, sia perla sua collocazione d’apertura della serie degl’interventi esegetici, sia per le dimensioni problematiche che contiene in ordine alla configurazione della critica dantesca americana contemporanea, è quello di T. Barolini (Detheologizing Dante: for a "new formalism" in Dante studies,

pp. 35-53). La studiosa, pur dichiarandosi favorevole ad un «more ecumenical approach to Dante studies» (p. 39), esprime una netta opzione verso la specificità letteraria del testo dantesco, irriducibile perciò a ogni pressione tematicocontenutistica, non soltanto teologica, e su questa con120

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

vinzione basa la sua istanza di «new formalism». Ma non c’è dubbio che la proposta di riprendere il filo dell’attenzione ai registri stilistico-espressivi cosîf come si addensano nella concreta strutturazione narrativa del testo va,

poi, di pari passo con l’invito a liberarsi, nella sede criticoesegetica, della cappa teologica che avvolge, soprattutto in America, la Commedia: l’obiettivo polemico è naturalmente in primo luogo Singleton, ma non sfuggono alla

critica i «Singleton’s heirs» che «make the poet more and more a theologian» (p. 39). Barolini rivaluta l’esegesi dantesca di B. Nardi, uno studioso che, come si è già visto nel caso di Freccero, ha cominciato a godere di crescente attenzione presso i dan-

tisti americani soprattutto da quando è stato avvicinato a Singleton e ad Auerbach piuttosto che alla più consueta tradizione italiana, formalista e non. La visione di un Dante «profeta», perorata da Nardi (secondo la studiosa «less a

literary critic than a historian and philosopher», p. 37), è assimilabile all’allegorismo di Singleton e al figuralismo auerbachiano. Ma la differenza emerge, secondo la Barolini, quando si tratta di risolvere la «fondamentale» questione della «visione verace» ovvero della esplicita dichiarazione fatta non sporadicamente da Dante nella Commedia che il "poeta" sta raccontando ciò che veramente ha esperito il "pellegrino", il viaggio sotterraneo e ultraterreno, innanzitutto: How are we to respond to the poet ’s insistence that he is telling us the truth? ... Did Dante himself believe in the literal truth of

121

Rino Caputo

those things for which he claims literal truth? (p. 36).

Nardi, continua la studiosa, ha dato una risposta affermativa («far from inappropriate», p. 37) che è, però, strettamente collegata alla convinzione del dantista italiano dell’inautenticità della Lettera a Cangrande””. E’ nota, al contrario, la soluzione di Singleton, «ironica» secondo l’al-

lievo Freccero, tesa a sostenere la consapevolezza dantesca della finzione in una con il credito alla paternità dantesca della Lettera; ma, pur mantenendo tutte le riserve precedentemente esposte che arrivano a coinvolgere, appunto, la «Singleton’s legacy», la Barolini ritiene che proprio la celebre e tanto discussa affermazione singletoniana (si può arguire, almeno nell’accezione frecceriana) è in grado di

prospettare il nuovo modo di considerare Dante e la Commedia: Singleton’s attempt to locate the source of illusion in the fiction that pretends it is not a fiction is a first step to dismantling the Commedia’s textual metaphysics (p. 48).

Prima di arrivare a tale ammissione, almeno in apparenza, sconcertante, la Barolini svolge un prolungato ragionamento, non privo di connessioni conseguenziali non sempre distinguibili a prima vista, che conduce a demolire alcuni capisaldi delle precedenti modalità esegetiche, come, ad esempio, il Dante dicotomizzato di Croce, il quale lascia in eredità all’«Italian dantismo» la «protectionist attitude toward what it calls the poetry» (p. 39); oppure il "realismo" di Dante («in Dante the profetic stance is indissolubly wedded to the poet’s concern with achieving 122

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

supreme mimesis», p. 44); infine il nodo inestricato di poesia e teologia, i termini che debbono rimanere «independent strands of Dante studies» e che perciò le fanno dire: We are interested in the Commedia’s poetry, meaning its rhetoric and philology, and in its theology, meaning its moral phirt aspects of the poem that we keep resolutely apart (p.

Da ciò deriva la necessità, dettata da motivazioni non riduttivamente polemiche, di «deteologizzare Dante»: We must detheologizing our reading if we are to understand what makes the theology stick (p. 46).

In termini più costruttivi, la Barolini risponde all’interrogativo critico-esegetico testé posto sulla pretesa di verità della visione dantesca sostenendo che si può credere a Dante "profeta" solo se, e, in tal caso, contro Spitzer e con Auerbach e Nardi, se ne verifichi l’efficacia poietica («Only then can we see the pressures such claims exert upon a poet» p. 44). La proposta è di leggere la Commedia «less theologically and more practically» (p. 46). L'istanza pragmatica discende dall’ammissione, da parte del critico, dell’attendibilità poetica e non già teologica della pretesa di verità dichiarata da Dante, lontana perciò da ogni assoluta e sostanziale realtà preesistente al testo: In my opinion, Dante knowlingly used the means of fiction poetic and narrative strategies - in the service of a vision he believed to be true, thus creating what he defined a "truth that has

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Rino Caputo

the face of a lie" - "un ver c’ha faccia di menzogna" ... the Commedia is a "non falso errore", not a fiction that pretends to be true, but a fiction that IS true... (p. 43). n

n

Ma tale argomentazione, tributaria in primo luogo dell’impostazione esegetica singletoniana, in particolare per il riferimento oggettivo alla teoresi estetico-cognitiva di fonte agostiniana su "vero" "falso" e "finto", riporta la que-

stione ai termini problematici già individuati nel lavoro critico di Freccero e soprattutto configurati, nel più recente saggio del ’92,.con sorprendente sintonia tematica e perfino lessicale con il contributo della Barolini, che appartiene agli ultimi anni Ottanta”. La focalizzazione ermeneutica sulla "figura" di Gerione, da parte di ambedue i critici (ma sorprende l’assenza di riscontri critico-bibliografici reciproci!), comporta analoghe prospettazioni semantiche e narratologiche; anche se è da osservare, a scanso di equivoci, che nell’impianto teorico-critico della Barolini l’"indistinguibilità" frecceriana di poetica e tematica viene risolta costantemente e decisamente nella esclusiva considerazione formale del testo dantesco (da cui il

convinto pronunciamento a favore della "deteologizzazione" dell’opera di Dante). Il «new formalism» predicato dalla studiosa dipende strettamente dall’approfondimento specifico della nozione di opera d’arte (la Commedia, in questo caso) come «work» («how the Commedia works than in what it says... « p. 46) ovvero da una prassi critica definita, con le parole mutuate da G.B. Conte, «una filologia della struttura narrativa» 124

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

(ibidem). Più esplicitamente, riprendendo la questione della verità della e nella Commedia, la Barolini afferma: We must work to show how the illusion is constructed, forged, made by a man who is precisely, after all, "only" a fabbro, a maker... a poet (p. 48)

ovvero, come più nettamente precisa nel saggio Narrative and Style in Lower Hell, ospitato nel volume collettivo curato da D.S. Cervigni Dante and Modern American Criticism ma anche, nello stesso anno 1990 e in italiano, dalla

rivista "Lettere Italiane" (Stile e narrativa nel basso inferno dantesco, n. 2, aprile-giugno 1990, pp. 173-207): In ultima analisi, dobbiamo deteologizzare, e chiederci: come potrebbe un poeta rappresentare effettivamente l'assenza senza aver istituito una certa presenza con cui controbilanciarla? Come potrebbe creare contro-culmini, grandi o piccoli, senza creare anche culmini narrativi? Quando i requisiti della narrativa sono in conflitto con le leggi della giustizia, Dante deve sottomettersi alla narrativa... la Commedia è un universo in definitiva testuale, dove le leggi sono più sue [di Dante] che di Dio (p. 207).

Dante

and Modern

American

Criticism

è, infine, il

volume collettivo che più organicamente collega la critica dantesca specialisticamente intesa alle diverse, e spesso contrastanti, correnti teorico-metodologiche che hanno percorso e tuttora percorrono, talora in parte residua, l’orizzonte critico-letterario americano. L’intento della raccolta espresso dal curatore D.S. Cerapi 69 _ ; : agrt: vigni, a sua volta studioso di Dante , è quello di ripartire

dall’esegesi singletoniana per verificare la validità attuale dell’approccio "allegorico-teologico", in qualche modo 125

Rino Caputo

ancora ritenuto patrimonio peculiare del dantismo nordamericano, di fronte alle nuove, agguerrite e prevalenti ipotesi di lettura del testo dantesco. Cervigni individua nel panorama dantistico contemporaneo, successivo alla generazione dei maestri americani e di quelli appartenenti alla diaspora europea tra le due guerre, le positive modalità di «tensione» e «dinamismo»: da unlato, cioè, la querelle tra gli studiosi che si richiamano

o si oppongono a Singleton è suscettibile di effetti benefici appunto perché stimola innovativamente il dibattito critico-ermeneutico; dall’altro, proprio l'insorgenza di riferimenti teorici e metodologici plurali permette di innovare i "Dante studies" e perfino di riscoprire tendenze esegetiche, affermatesi da tempo e ormai sedimentate in altri contesti culturali, europei soprattutto e italiani innanzitutto. E° perciò che D. Robey nel suo contributo sul rapporto tra

Dante e il poststrutturalismo può parlare di un’«alliance of semiotics and philology», registrando il nuovo dinamismo della critica dantesca americana (Dante and Modern American Criticism: Post-structuralism, pp. 116-131), mentre P. Colilli, nel tentativo di descrivere i tratti caratteristici dell’attenzione di H. Bloom al testo dantesco, può sanzionare la condizione ormai post-teologica della lettura americana dell’opera di Dante (Harold Bloom and the Post-theological Dante, pp. 132-143). Bloom, infatti, non vede nella Commedia l’ "allegoria dei teologi" ma «an immense trope of pathos and power, the power of the singular individual who was Dante» e, pur nel riconoscimento del valore 126

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

critico, giudica la lettura di Freccero come «a Nietzchean, agonistic view of Dante» (p. 10). Cosîf come R. Quinones auspica una «healty amnesia» della «legacy» singletoniana e, anzi, in maniera colorita, nega a Singleton la funzione di «way station» e inclina piuttosto a considerarlo un «roadblock» per le attuali dinamiche energie critiche (p. 12). S. Botterill, infine, ricostruendo la diffusione dell’influsso

critico di Singleton attraverso l’analisi di Dante Studies, la rivista che per lungo tempo ha costituito l’esclusiva voce (singletoniana) del dantismo americano ("Dante Studies"

and the Study of Dante, pp. 88-103), fa acute osservazioni sulla parabola teorico-critica di Freccero in buona parte non dissimili da quelle testé prospettate nel presente studio, ribadite nell’intervento che appare a tutt'oggi il più recente sguardo critico sulla più generale configurazione del dantismo americano contemporaneo (S. Botterill, Dante in North America: 1990-1991 in "Lectura Dantis", University of Virginia, 11, Fall 1992, pp. 3-25). Occorre tuttavia ammettere che non tutte le voci esprimono tale desiderio di liquidazione dell’esperienza allegorico-teologica: G. Mazzotta, in particolare, proprio nell’Epilogue (pp. 412-419) che riassume, in maniera abbastanza equilibrata, i temi salienti del "modern ame-

rican criticism" dantesco, collega geneticamente la lettura singletoniana alla «visionary charge of the Puritans pilgrims» (p. 6) e, con ardito ma suggestivo scarto ermeneutico, annoda inscindibilmente tematica teologica e for127

Rino Caputo

ma dell’espressione poetica nella più globale semiosi della realtà: for Dante the world is not reducible to the selfnor is itreducible to language or to pure thought, no more, anyway, than truth is reducible to the measure of man. The poetic insight Dante has into the nature of existence is profoundly religious and exilic (for exile is the heart of the religious imagination) in the sense that the fold of Dante” s text always invites us to think otherwise and to realize, in the words of one of the fragments of an ancient sage, that "the Lord neither speaks nor conceals... but gives a sign (alla semainei)" (p. 419).

E° però inevitabile soffermarsi conclusivamente, pur tra i tanti contributi meritevoli di ulteriore e dettagliata disamina, sull’ampia ricostruzione storico-critica operata da Z. Baranski (Reflecting on Dante in America, pp. 58-86), quasi contemporaneamente leggibile in versione italiana allargata e aggiornata come Rassegna sullo studio di Dante nell’America del dopoguerra (in "Lettere Italiane", n. 4, otto-

bre-dicembre 1990, pp. 626-656: una rivista accademica italiana quest’ultima - sia lecito osservare en passant - che si distingue per la costante attenzione dedicata ai temi e ai a Serata | 70 protagonisti critici del dantismo americano)

.

Baranski non si ferma alla semplice descrizione filologica e fenomenologica delle correnti, dei movimenti e dei protagonisti critici, ma si chiede soprattutto «perché» alcune tendenze ermeneutiche hanno avuto il sopravvento oppure lamentano una relativa marginalità di posizione nell’attuale dibattito critico. Interessante, in tale direzione, appare la ricostruzione puntuale dell’attività critico-esegetica di Singleton, opera128

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

ta anche attraverso un costante richiamo documentario al rapporto con gli altri grandi dantisti della sua generazione, in primo luogo Auerbach, Curtius e Spitzer e, in ambito americano, mettendo in rilievo la tradizione "nazionale"

che fa da contorno e influenza direttamente Singleton come, ad esempio, il gruppo dei "St. Louis Hegelians", Eliot e Santayana. Lo studioso, dantista di origine e formazione non americana, è tuttavia profondo conoscitore della situazione che si trova a descrivere. Perciò la sua rassegna, come giustamente osserva Cervigni, più che una «reflexion» è una vera e propria interpretazione storico-critica, che interviene sui nodi teorici e metodologici, ermeneutici ed esegetici, ancora fondamentali perché ancora attualmente presenti. Baranski non ha dubbi nel richiedere al dantismo americano un’equilibrata sintesi di tradizione e innovazione proprio perché la situazione in Nord America è oggi cambiata. Né Singleton, né nessun altro studioso godono di una posizione di preminenza. La nuova parola d’ordine è la varietà. Però questo nuovo credo si sta facendo strada solo lentamente. Gli studiosi continuano a guardarsi nervosamente dietro le spalle. L'ombra di Charles Singleton non ha smesso d’incombere su di loro. Tale tensione tra il passato e il presente si può notare particolarmente in vari lavori collaborativi, i quali, fregiandosi del proprio pluralismo ideologico, sono diventati un po’ un simbolo dell’apertura di questi ultimi anni. Mentre queste iniziative offrono una prova concreta del cambiamento di clima, allo stesso tempo, rivelano la forza dei vincoli che le legano ancora al passato (p. 632).

L’operazione puòessere facilitata, argomenta Baranski ri129

Rino Caputo

prendendo Robey, se, ad esempio, si individua il punto di contatto tra gli aspetti più durevoli dell’ermeneutica di Singleton e le istanze del post-strutturalismo americano degli

anni Ottanta; oppure se si prende atto che, anche grazie a Singleton Dante non appartiene al feudo personale degli italianisti, come gli italianisti non si sottraggono ai cambiamenti culturali che li circondano. Il massimo dei poeti "universali" ha il diritto di essere letto "da tutti" (p. 637).

Di qui, altresi, l’utilità di intrecciare metodi euristici diversificati, in particolare quello dell’a/legoresi, secondo Baranski «cosf pertinente nei confronti del poema "enciclopedico" di Dante» (p. 641) e tale da spostare la discussione sull’allegoria dal piano definito, e «frainteso», da Singleton; ma da ciò, anche e in conclusione, l’ottativa proposta che «il contributo di Singleton dovrebbe essere depositato nel fondo comune, e discusso criticamente e non in toni polemici» (p. 655).

L'invito è allora quello di preservare non nazionalisticamente l’«American reading» di Dante, riconoscendo a ogni tendenza la propria giusta collocazione. L’Introductory Essay di Cervigni fornisce, dal suo canto, una buona sintesi dell’ampio spettro di posizioni critiche

contenute nel volume e ad esso è possibile far ricorso per un’esauriente, anche se inevitabilmente sommaria, informazione sui molto numerosi contributi. Ma non va sottovalutato l’impianto programmatico dell’introduzione che, pur da un’ottica sostanzialmente non malevola nei con130

Per far segno - La critica dantesca americana oggi

fronti del ceppo critico-esegetico autoctono, si spinge a garantire diritto di presenza storico-critica a ogni tendenza. Cervigni sollecita altresî il «modern american criticism» a occuparsi di più e meglio dell’età medievale superando

gli aspetti riduttivi di una pur brillante tradizione che ha incentrato il rapporto culturale con l'Europa, e con l’Italia in particolare, sul Rinascimento. In altre parole, l'intento

di Cer vigni sembra essere quello di valorizzare l’acquisita produttività, sul piano della ricerca storica e critico- letteraria, della cosiddetta «alterità» del Medioevo (per mutuare il termine di Jauss ben presente nel dibattito americano e

molto analogo alla nozione singletoniana di «recupero». ), per sospingere lo studio dell’opera di Dante verso direzioni nuove, sorrette da quella «tensione» e quel «dinamismo» che allo studioso appaiono come le caratteristiche funzionali migliori della odierna critica dantesca americana.

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Per far segno - Note

NOTE 1) Cfr. H.R. MARRARO, Bibliografia dantesca americana dal Settecento al 1921, in "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere

ed Arti (Classe di Scienze Morali e Lettere)", 123, 1964-65, pp. 189-277; L. GIOVANNETTI, Dante in America. Bibliografia 1965-1980, Ravenna, Longo, 1987, in part. pp. 10-11 e 122-123. Cfr., inoltre, Z. BARANSKI,

Rassegna

sullo studio di Dante

nell’America del dopoguerra in "Lettere Italiane", 42, 4, ott.-dic.

1990, pp. 626-656: è la versione italiana, allargata e aggiornata, della rassegna Reflecting on Dante in America: 1949-1990 in

"Annali d’Italianistica", 8, 1990, Dante and Modern American Criticism, edited by D.S. CERVIGNI (d’ora in poi Annali con l’indicazione della pag.), pp. 58-86. Cfr., ora, la notevole iniziativa bibliografico-editoriale di E. ESPOSITO, Bibliografia analitica degli scritti su Dante (1950-1970). Dantologia, Firenze, Olschki,

1990 e, inoltre, L’opera di Dante nel mondo. Edizioni e traduzioni nel Novecento, " Atti" del Convegno internazionale di studi. Roma, 27-29 aprile 1989, a cura di E. ESPOSITO, Ravenna, Longo, 1992. 2) Cfr. R. WELLEK, Storia della critica moderna. VI. La critica americana 1900-1950, Bologna, Il Mulino, 1991, in part. pp. 8-9,

p. 82, p.86 e p. 93.

3) Ivi, p. 305. 4) Giustamente A. Dolfi lega il profilo eliotiano di Dante alla fase genetica capostipite della presenza di Dante nel Novecento italiano: cfr. A. DOLFI, Dante e i poeti del Novecento in "Studi Danteschi", 58, 1986, pp. 307-342, in part. pp. 321-322. Su Eliot e Pound, e sul rapporto tra critica dantesca americana e traduzioni nordamericane della Commedia, cfr. il recente contributo di D. DELLA TERZA nel volume collettivo di "Studi in memoria di Fredi Chiappelli", Roma, Bulzoni, 1992, Le traduzioni della "Commedia” dantesca in inglese (area nordamericana), pp. 17-28, in

E93

Rino Caputo

part. pp. 18-19. 5) Cfr. H. BLOOM, ed. Dante, New York, Chelsea House, 1986 (si

tratta di un’antologia di critica dantesca americana curata da Bloom, sulla quale si veda la rec. di L.D. in Dante today, p. 337-338, che accusa la raccolta di essere "dominated by the «school of Freccero »"). Su H. Bloom cfr., ora, P.COLILLI, Harold Bloom and the Post-theological Dante in Annali, pp. 132-143. 6) G. CONTINI, Un libro americano su Dante in Un’idea di Dante,

Torino, Einaudi, 1986, pp. 217-224, in part. p. 217. Cfr., inoltre, BARANSKI 1990, cit., p.637 e sgg. e D. DELLA TERZA, La critica dantesca in America: la lezione singletoniana (d’ora in poi Della Terza 1989), introduzione agli Studi americani su Dante, a cura di G.C. ALESSIO e R. HOLLANDER, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 7-22, in part. p. 9-10 (d’ora in poi Studi americani con l’indicazione della pag.). Ma cfr., dello stesso autore, il profilo singletoniano steso per l’Enciclopedia Dantesca, vol. V, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1976, pp. 264-266. 7) CH.S. SINGLETON, La poesia della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino, 1978, (d’ora in poi Singleton anche nel testo con l’indicazione della pag.), p. 129. 8) Cfr., a tal proposito, G. PADOAN, Introduzione a Dante, Firenze, Sansoni, 1992”, p. 128.

9) Cfr. P. DRONKE, Dante e le tradizioni latine medievali, Bologna,

Il Mulino, 1990, in part. pp. 17 e sgg.

10) G. BOCCACCIO, Genealogia deorum gentilium in G. BOCCACCIO, Opere in versi, Corbaccio, Trattatello in laude di Dante, Prose latine, Epistole, a cura di P.G. RICCI, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965, pp. 893-1061, in part. p. 956 (d’ora in poi Genealogia nel testo con l’indicazione della pag.).

134

Per far segno - Note

11) Cfr. Della Terza, 1989, cit., pp. 7-9. 12) G. BOCCACCIO, Il Decameron, a cura di CH.S. SINGLETON, Bari, Laterza, 1955, p. 3; cfr., inoltre, J. FRECCERO, The Prologue Scene in J. FRECCERO, Dante. The Poetics of Conversion, edited and with an Introduction by R. JACOFF, Cambridge, Harvard

University Press, 1986, pp. 1-28, ora La scena del prologo in J. FRECCERO, Dante. La poetica della conversione, introduzione e traduzione di C. CALENDA, Bologna, Il Mulino, 1989, (d’ora in

poi Freccero nel testo con l’indicazione della pag.), pp. 21-52.

13) Cfr. Il significato della "terza rima” in Freccero 335-350. 14) G. BOCCACCIO, Il Decameron, cit., p. 3. 15) Canti carnascialeschi del Rinascimento, SINGLETON, Bari, Laterza, 1936, p. 47.

a cura

di CH.S.

16) Nuovi canti carnascialeschi del Rinascimento, a cura di CH.S.

SINGLETON, Modena, Società Tipografica Modenese, 1940, p.11. 17) Ma cfr., oggi, per una inedita e qualitativa distinzione tra festo e opera,

A. ASOR

ROSA,

Il canone

delle opere,

in Letteratura

Italiana. Le Opere. I. Dalle Origini al Cinquecento, Einaudi, 1992, pp. XXIII-LV, in part. pp. XXIV e sgg.

Torino,

18) Nuovi canti, cit., p. 11. 19) Cfr., in part., A. D'ANDREA, La struttura della "Vita Nuova": le

divisioni delle "Rime", Offprint Yearbook of Italian Studies, vol. 4 (1980), pp. 13-40, ora in A. D’ANDREA, // nome della storia, Napoli, Liguori, 1982, pp. 25-58, e anche, dello stesso autore, Dante, la mémoire et le livre: Le sens de la "Vita Nuova" in Jeux de mémoire, a cura di B. ROY e P. ZUMTHOR, Montréal-Paris, Les presses de l’Université de Montréal & Vrin 1985, pp. 91-97.

L95

Rino Caputo

20) E’ interessante notare che lo stesso termine viene usato da

Singleton, secondo la testimonianza diretta di Della Terza, quasi alla fine della sua attività esegetica, a confermare non solo la lunga fedeltà a Dante, ma soprattutto, al suo modo di leggere Dante! (cfr. Della Terza, 1989, cit., p. 22). 21) Cfr. G. PADOAN, Introduzione a Dante, cit., soprattutto pp. 110 e sgg. e, in part., T. BAROLINI, Ricreare la creazione divina: l’arte aracnea nella cornice dei superbi in Studi americani, pp. 145-164; ora, più esplicitamente, J. FRECCERO, Conversione e allegoria della "Commedia" in "Intersezioni", a. XII, n. 1, aprile 1992, pp. 5-34 (d’ora in poi Freccero 1992 con l’indicazione della pag.), in part. p. 14. Si veda, inoltre, il contemporaneo articolo Allegoria e autobiografiain "Filologia Antica e Moderna", 4, 1992, pp. 27 sgg. 22) B.

CROCE,

La poesia

di Dante,

Bari, Laterza,

19661),

rispettivamente p. 56, p. 5, p. 10 e p. 61. Anche Contini, in Un'idea di Dante, cit., nel ritenere che il saggio crociano «è stato il primo richiamo all’intelligenza moderna dell’opera» (p. 71), invita a ridurre «in più giusti confini quel soverchiare dell’interpretazione ideologica al quale gli studiosi della cultura dantesca si sentono irresistibilmente inclinati» (p. 93). Il tributo a Croce è poi esplicito lf dove Contini individua nella «critica verbale» il modello operativo che può dare un «solido fondamento» all’esegesi ideologica «buona» (p. 117).

23) Cfr. E. AUERBACH, Studi su Dante, prefazione di D. DELLA TERZA, Milano, Feltrinelli, 1988° (d’ora in poi Studi anche nel testo con l’indicazione della pag.); ID., Mimesis, Torino, Einaudi, 198411, voll. Ie II, in part. vol. I (d’ora in poi Mimesis anche nel testo con l’indicazione della pag.). Per la nozione di «realismo» cfr., almeno, G. LUKACS, Saggi sul realismo, Torino, Einaudi, 1974?, in part. p. 15 e pp. 198 e sgg.; ID., /l marxismo e la critica

letteraria, Torino, Einaudi, 1964, in part. pp. 18 e sgg., pp.42 e sg2., pp. 279 e sgg. 24) Cfr., ora, di J. FRECCERO,

136

oltre al Dante, cit., anche Freccero

Per far segno - Note

1992, in part. pp. 15-16. Cfr., altresi, Della Terza, 1989, cit., pie, che, tra l’altro, fa menzione della recensione dello stesso Freccero

agli Studi averbachiani apparsa in "Modern Language Notes", 80 (1965), pp. 105-108. 25) Cfr. D. DELLA

TERZA,

Studi danteschi

in America

in "La

Rassegna della Letteratura Italiana", mag-ago, 1960, pp. 218-230. Per la nozione di "tipico" cfr. G. LUKACS, Saggi sul realismo, cit., p. 15. 26) Cfr. Studi 55 e G. GENETTE, Nuovo discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1987, p.9. Un tentativo di approfondimento problematico della finzione tra narrazione e rappresentazione, tematizzato su alcuni significativi autori della letteratura italiana, è stato compiuto da chi scrive in R. CAPUTO, / preliminari della mente in AA.VV., Le partizioni del testo ("Quaderni di Retorica e Poetica" 1988-89), Padova, Editoriale Programma, 1993, pp. 26-38.

27) Cfr., per una illustrazione dei principi estetico-poietici agostiniani e per un’analisi della loro durevole influenza sulla cultura artistico-letteraria occidentale R. CAPUTO, Cogitans Fingo. Petrarca tra "Secretum" e "Canzoniere", Roma, Bulzoni, 1987, in part. il cap. II "Agostino". Per quanto riguarda la "figura" di Matelda, sarà interessante notare che G. Pascoli, poeta e, anche,

studioso di ogni significato che si cela "sotto il velame" del testo dantesco, identifica la fanciulla con «la natura umana primordialmente libera, felice, innocente» e, cioè, con la poesia, che cosî, appunto, da questi attributi è qualificata (Cfr., Il Fanciullino in G. PASCOLI, Opere, a cura di M. PERUGI, Milano-Napoli, Ricciardi, 1980, t. II, pp. 1642-1686, in part. p. 1673). Rinvio, a tale proposito, al mio // cannocchiale rivoltato e la poesia all’incontrario ovvero Pirandello e Pascoli in "Rivista di Studi Pirandelliani", 3, 1989, pp. 29-52. 28) G. CONTINI, Un’idea di Dante, cit., p. 9. Cfr., analogamente, E. AUFRBACH: «... e in una civiltà spiritualistica, che non conside-

137

Rino Caputo

rava affatto l’accadere o lo considerava solo come preparazione allegorica della sorte eterna, lo spazio storico dell’uomo poteva essere trovato soltanto partendo da questa sorte eterna, scopo €

senso della vita terrena" (Studi 160) e, più icasticamente, "solo in rapporto all’aldilà l’aldiqua ha un senso" (Studi 14). 29) Si dà qui, per chiarezza, il testo del paragrafo 7: «Ad evidentiam itaque dicendorum sciendum est quod istius operis non est simplex sensus, ymo dici potest polisemos, hoc est plurium sensuum; nam primus sensus est qui habetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et primus dicit litteralis, secundus vero allegoricus sive moralis sive anagogicus. Qui modus tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis versibus: "In exitu Israel de Egipto, domus Jacob de populo barbaro, facta est Iudea sanctificatio eius, Israel potestas eius". Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Egipto, tempore Moysis; si ad allegoriam, nobis significatur nostra redemptio facta per Christum; si ad moralem sensum, significatur nobis conversio anime de luctu et miseria peccati ad statum gratie; si ad anagogicum, significatur exitus anime sancte ab huius corruptionis servitute ad eterne glorie libertatem. Et quanquam isti sensus mistici variis appellentur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici, cum sint a litterali sive historiali diversi. Nam allegoria dicitur ab "alleon" grece, quod in latinum dicitur "alienum", sive "diversum"» (Cfr. D. ALIGHIERI, Epistole, a cura di A. FRUGONI e G. BRUGNOLI in ID. Opere minori, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979, p. 610, e, per l’intera

Epistola XIII, pp. 598-643). 30) Cfr. J. FRECCERO, Ilfiume di morte: "Inferno" II, 108in Freccero 91-110, in part. p. 92 (è il capitolo terzo del Dante, pp. 55-69 dell’edizione americana The poetics of conversion, cit., dove, inoltre, a p. 318 è registrata la data della prima pubblicazione, risalente al 1966). 31) Cfr., per l’autoesegesi di Dante, A. D’ ANDREA, Dante interprete

138

Per far segno - Note

di se stesso: Le varianti ermeneutiche della "Vita Nuova" e la Donna gentile in "Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia nel 50 della sua laurea", Modena, Mucchi, 1989, pp. 493-507 e, dello stesso autore, L’allegoria dei poeti: Nota a "Convivio" II 1 in Dante e le forme dell’allegoresi, a cura di M. PICONE, Ravenna, Longo, 1987 (d’ora in poi Allegoresi con l’indicazione della pag.), pp. 71-78 e, infine, Per una teoria pluralistica della storiografia. Ricostruzioni storico-letterarie: Fonti e Strutture in "Lettere Italiane", 4, 1988, pp. 465-485, in part. pp. 471-474.

32) Cfr. Della Terza, 1989, cit., p. 14. Si veda, altresi, l’estesa e ben documentata argomentazione che svolge, in proposito, P. DRONKE, 1990, cit., in part. pp. 7-64, cosî riassumibile: «I metodi allegorici, quali venivano impiegati dai commentatori biblici, e a volte anche da quelli dei testi classici, non erano né gli unici né i più rilevanti strumenti interpretativi disponibili» (p. 8). 33) Sulla nozione di «totalità» cfr. G. LUKACS, Teoria del romanzo,

Milano, Sugar, 1962, in part. p. 62, oltre alle altre opere cit.. La «visuale retrospettiva» è altresì da mettere in relazione con le suggestioni critiche derivate a Singleton da Spitzer e, in particolare, dalle note formule del «clic» e del «circolo di comprensione» (cfr., in proposito, D. DELLA TERZA, Istanze tradizionali e prospettive di aggiornamento nella critica dantesca in "Lettere Italiane", XXVII (1975), pp. 245-262 poi compreso nel volume Forma e memoria, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 71-92, in part. p. 82-83 e l’osservazione di R. Jacoff nell’introduzione a FRECCERO 1989, p. XD. Ma cfr., soprattutto, A.A. IANNUCCI, Forma ed Evento nella "Divina Commedia", Roma, Bulzoni, 1984, in part. pp. 51 e

see. 34) Cfr. Dante today, p. 337. 35) Cfr. G. CONTINI, Un'idea di Dante, p. 138.

139

Rino Caputo

36) L’argomentazione di Singleton è presentata con molta ampiezza a partire dalla p. 175 della Poesia della Divina Commedia: la conversione è un «volgersi della volontà verso Dio» e ciò, oltre a inserirsi nella «generale rifusione della teologia cristiana entro lo stampo del pensiero aristotelico» (p. 182), avvenuta nel corso del XIII sec., definisce un «ordo naturalis ad gratiam» (p. 194) che è il «processo di giustificazione» (p. 208); per cui Virgilio diventa la giustizia «secondo i filosofi» e Beatrice la «gratia justificans» (p. 209). 37) Nell’introduzione alla raccolta americana dei saggi frecceriani, The poetics of conversion, cit. (non compresa nell’edizione italiana), R. Jacoff rileva altresî la differenza tra la critica dantesca italiana e quella americana: «modern Italian Dante criticism still bears the stamp of its Crocean origins, while contemporary American Dante criticism for the most part has proceeded from Singleton and Auerbach» (Introduction, p. X). Ma la Jacoff attribuisce a Freccero il fine di sintetizzare i due approcci, a partire dalla convinzione della «poem’s coherence and its potential for intelligibility» (ibidem), anche attraverso il metodo spitzeriano del «Das Ganze im Fragment»; mentre la «conversione» è vista «both as religious experience and as poetic structure» (p. XII) che definisce in Dante (e in Freccero ) una doppia polarità: «the novelistic and epic, the linear and circular, the syntagmatic and paradigmatic, the pilgrim and the poet» (p. XII). 38) Cfr. R. WELLEK, La critica americana. 1900-1950, cit., p. 352. 39) Le nuove definizioni sono contenute in Freccero 1992, in part. p. 23 e 29. Cfr., inoltre, T. BAROLINI, Detheologizing Dante: for a

«new formalism» in Dante studies in Dante today, pp. 35-53 (ora ricompreso, insieme ad altri saggi, in The Undivine Comedy: Detheologizing Dante, Princeton, Princeton University Press, 1992); A.C. MASTROBUONO, Dante’s Journey of Sanctification, Washington D.C, Regnery Gateway Editions, 1990. 40) Cfr. Freccero 160.

140

Per far segno - Note

41) Cfr. F. PETRARCA, Le Familiari, edizione critica per cura di V. ROSSI in Edizione Nazionale delle Opere di Francesco Petrarca,

voll. X-XIII, Firenze, Sansoni, 1933, in part. vol. X, pp. 90-97 (è la Fam, 2,9). Freccero si è occupato di Petrarca nel saggio The fig tree andthe laurel: Petrarch’spoeticsin "Diacritics", Spring 1975, vol. 5, n. 1, pp. 34-40. 42) Cfr. G. PRONI, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani, 1990 e, su Foucault, la stessa annotazione di Freccero in Freccero 158.

43) Cfr. A. LEJEUNE, Le pacte autobiographique, Paris, Seuil, 1975 e J. STAROBINSKI, L’occhio vivente, Torino, Einaudi, 1987.

44) A tale proposito, rinvio al mio Agostino duca e maestro in Giornate Petrarchesche, Pisa, ETS, 1993, pp. 91-109.

45) Cfr. A.C. MASTROBUONO, cit., in part. la prima parte. 46) Sul metodo

Dante’s Journey of Sanctification,

di Spitzer, cfr. L. SPITZER,

Critica stilistica e

semantica storica, Bari, Laterza, 1966 (ma la prima edizione Critica stilistica e storia del linguaggio è del 1954). In particolare Linguistica e Storia letteraria (pp. 73-105 dell’ed. italiana curata

da A. SCHIAFFINI) non è altro che il saggio compreso nell’ed. americana Linguistics and Literary History. Essays in Stylistics, Princeton University Press, 1948, pp. 1-39, coevo, come si può notare, alla produzione critica di Auerbach e Singleton. Per alcune formule spitzeriane caratteristiche e famose, cfr. il «Zirkel im Verstehen» (p. 94), il «Zirkelschluss» (p. 274), il «to-and-frommovement» (p. 15), il «clic» (p. 103) e il «Wort und Werk» (p. 13

e p. 52). Sui rapporti tra Spitzer e Singleton cfr. l’utile nota 110 di p. 654 di BARANSKI, 1990, cit. Cfr., inoltre, anche perl’importante presenza nell’orizzonte critico nordamericano, G. POULET, Le metamorfosi del cerchio, Milano, Rizzoli, 1971, ma, in edizione originale, Les métamorphoses du cercle, Paris, Plon, 1961.

141

Rino Caputo

47) Per l’attenzione a Pirandello cfr. Freccero 1992, pag. 7.

48) Cfr. T. BAROLINI, Detheologizing Dante, cit., e gli altri saggi «narrativi» raccolti ora in The Undivine Comedy, cit. e, per una rassegna più ampia delle posizioni della critica dantesca nordamericana, BARANSKI, 1990, cit. Quanto a Jameson, che nel suo Inconsciopolitico parla di «narrazione come atto simbolico», (oltre che di «interpretazione politica del testo letterario»), si tratta di un riferimento invisibile e, insieme, forse, di inesplorata interazione: ma si pensi almeno all’esordio "allegorico" di Marxism and Form, quando il pensiero («thought») di W. Benjamin è configurato in livelli che «are not without resemblance to that ultimate model of allegorical composition described by Dante when he speaks in his letter to Can Grande della Scala of the four dimensions of his poem» (F. JAMESON, Marxism and Form, Princeton, Princeton

University Press, 1974, pag. 60); oppure all’esplicita dichiarazione di «metodo allegorico» premessa all’Inconscio politico, dove l’interpretazione è intesa come «atto essenzialmente allegorico, che consiste nel riscrivere un certo testo secondo i termini di un particolare codice interpretativo primario» (F. JAMESON, L’inconscio politico, Milano Garzanti, 1990, pag. 10, ma, in edizione originale, The Political Unconscious, Cornell University Press, 1981). Sulla presenza influente di Jameson nel dibattito dei dantisti americani contemporanei €, in particolare, sulla sua nozione del rapporto forma-contenuto, cfr. D.S. CERVIGNI, An Introductory Essay in Annali, in particolare pp. 19 e sgg.

49) Il passo di Conf, 11, 28 è cosi ripreso da Freccero in Freccero 349-350 (ma è utilizzata la nota e puntuale traduzione italiana di C. Carena): «Accingendomi a cantare una canzone (canticum) che mi è nota, prima dell’inizio la mia attesa si protende verso l’intera canzone; dopo l’inizio, con i brani che vado consegnando al passato, si tende anche la mia memoria e l’energia vitale dell’azione è distesa verso la memoria, per ciò che dissi, e verso l’attesa, per ciò che dirò: presente è per la mia attenzione, per la quale il futuro si traduce in passato. Via via che si compie questa azione, di tanto si abbrevia l'attesa e si prolunga la memoria, finché tutta l’attesa s’esaurisce, quando l’azione è finita e passata interamente

142

Per far segno - Note

nella memoria. Ciò che avviene per la canzone intera, avviene anche per ciascuna delle sue particelle, per ciascuna delle sue sillabe, come pure per un’azione più lunga, di cui la canzone non fosse che una particella, per l’intera vita dell’uomo, di cui sono parti tutte le azioni dell’uomo; e infine per l’intera storia dei figli degli uomini, di cui sono parti tutte le vite degli uomini». 50) Cfr., in part., J. TOOK, Dante and the Confessions of Augustine in Annali, pp. 360-382; A.C. MASTROBUONO, Dante’s Journey of Sanctification, cit., in part. l’Appendix, pp. 212-279 e, ora, con osservazioni più generali, $. BOTTERILL, Dante in North America: 1990-1991 in "Lectura Dantis", n. 11, Fall 1992, pp. 3-25. 51) Cfr., per una lettura contemporanea del pensiero e della vicenda intellettuale di Agostino, K. FLASCH, Agostino d’Ippona, Bologna, Il Mulino, 1983. Rinvio altresi al mio Cogitans Fingo, cit., in part. cap. II.

52) Cfr. A.C. MASTROBUONO, cit., p. 279. 53) Cfr., sul tema, R. MERCURI, Semantica di Gerione, Roma, Bulzoni, 1984.

54) Cfr. T. BAROLINI, Detheologizing Dante, cit., in part. pp. 37 e sgg.; per l’ambito italiano cfr., almeno, M. CORTI, La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi, 1983 e ora, della stessa autrice, Percorsi dell’invenzione, Torino, Einaudi, 1993.

55) Cfr. Epistola XIII in D. ALIGHIERI, Opere minori, cit., in part. pp. 612-614. Una prima equilibrata discussione del problema è in A.A. IANNUCCI, Forma ed Evento, cit., in part. pp. 37 e sgg. e pp.90 e sgg.; cfr., ora, D.S. CERVIGNI, An Introductory Essay, cit., pp. 19

e seg.

143

Rino Caputo

56) Tra i molti luoghi «finzionali», per dirla con Jauss, presenti nell’opera agostiniana, esplicite appaiono queste affermazioni, vere e proprie tesi estetico-cognitive, contenute sia in De Vera Religione, 33, 61 («ille mentitur qui vult videri id quod non est; quod autem non volens aliud putatur quam est, non mentitur, sed fallit tantum. Nam ita discernitur mentiens, quod inest omni mentienti voluntas fallendi, etiamsi non ei credatur: fallens autem esse non potest, qui non fallit»), sia in Soliloquia, 2, 9, 16, dove il «falsum» ovvero «quod aut se fingit quod non est, aut omnino esse tendit et non est» è distinto dal «fallax» ovvero «quod habet quemdam fallendi appetitum» e dal «mendax», poiché «omnis fallax appetit fallere; non autem omnis vult fallere qui mentitur». AI «mendax» corrisponde, per Agostino, il «finto» artistico e va notato che il prosieguo del passo («nam et mimi et comoediae et multa poemata mendaciorum plena sunt, delectandi potius quam fallendi voluntate, et omnes fere qui jocantur, mentiuntur») fino al successivo par. 10, ha costituito oggetto d’attenzione per Freccero e, soprattutto, per Singleton (cfr. Singleton 90-91). Per un approfondimento storico-teorico, anche riferito alla situazione culturale medievale, cfr. R. CAPUTO, Cogitans Fingo, cit., in part. Pe52.cp2603:

57) Cfr. G. CONTINI, Un’idea di Dante, cit., p. 110. 58) Cfr. BARANSKI

1990, cit., D.S. CERVIGNI, cit. e BOTTERILL

1992, cit. Su Thomas Goddard Bergin cfr. inumerosi ed esaustivi riferimenti in L. GIOVANNETTI, Dante in America, cit. e, più recentemente, la testimonianza della sua allieva R. WEST, Mr. Bergin: A Remembrance in "Lectura Dantis", University of Virginia, n. 10, spring 1992, pp. 3-7. 59) In Dante’s Journey of Sanctification, cit., Mastrobuono dedica alla stroncatura delle tesi critiche di Singleton almeno i primi due capitoli (pp. 1-166), oltre al Preface (pp. V-XIII) e riserva a Freccero l’Appendix: A book twenty-five years in the making (pp. 212-279). Cfr. inoltre, per un riscontro abbastanza completo delle

144

Per far segno - Noie

reazioni critiche al volume di Mastrobuono, le recensioni di CH. RYAN in "Italian Studies", 46 (1991), pp. 110-114; R.A. SHOAF in "Italica", 69, n 2, summer 1992, pp. 256-258; W. WILSON in "Lectura Dantis", 11, Fall 1992, pp. 96-98; A. WINGELL in "Qua-

derni d’Italianistica", 1993, in corso di stampa.

60) Cfr., in particolare, sugli esiti più ravvicinati delle varie tendenze critiche, Annali, a partire dall’ Introductory Essay del curatore D.S. CERVIGNI.

61) Cfr. R. HOLLANDER, Princeton, Princeton UP,

Allegory

in Dante’s

«Commedia»,

1969 e si veda, inoltre, per Iannucci,

Greenaway e lo stesso Hollander, Dante today. 62) La "lectura dantis" virginiana («A forum for Dante research and interpretation») è, ovviamente, edita dall’ University of Virginia, mentre si assiste ad un sempre più frequente pullulare di centri di "lectura" dantesca intorno alle istituzioni universitarie nordame-

ricane. 63) Cfr. D. DELLA TERZA, Forma e memoria, Roma, Bulzoni, 1979, rispettivamente p. 84 e p. 90. Della Terza rivaluta Nardi: «l'impatto d’un’interpretazione dell’ampiezza di quella d’un Nardi (o di un Parodi o di un Barbi) non si esaurisce nelle risultanze schematiche che noi per comodità di discorso rievochiamo...» (p. 77) e giudica

più severamente il lavoro degli studiosi della "scuola storica" (alcuni dei quali, lo si è già visto, sono stati ripresi sia da Singleton che da Freccero): «essi finirono coll’imporre, occasionalmente, mere ipotesi di lavoro trattandole alla stregua di inoppugnabili verità filologiche» (p. 71).

64) Cfr. Allegoresi, in particolare pp. 7-8. Interessante, anche ai fini del chiarimento dei nodi più consueti della critica dantesca americana, il contributo di Z. BARANSKI, La lezione esegetica di "Inferno" I: allegoria, storia e letteratura nella "Commedia", pp.

145

Rino Caputo

79-98. Ma si ritiene utile riportare l’intero indice del volume: M. PICONE, Parole introduttive, p.7;M. CORTI, Il modello analogico nel pensiero medievale e dantesco, p. 11; G.C. ALESSIO, L’allegoria nei trattati di grammatica e di retorica, p. 21; E. COSTA, Il «Tesoretto» di Brunetto Latini e latradizione allegorica medievale, p. 43; M. PICONE, La «Vita Nuova» fra autobiografia e tipologia, p. 59; A. D’ ANDREA, L’ "allegoria dei poeti”. Nota a «Convivio», II. 1, p. 71; Z. BARANSKI, La lezione esegetica di «Inferno» I: allegoria, storia e letteratura nella «Commedia», p. 79; A.A. TANNUCCI, Dottrina e allegoria in «Inferno» VIII, 67 -

IX, 105, p. 99; J.I. FRIEDMAN, La processione mistica di Dante: allegoria e iconografia nel canto XXIX del «Purgatorio», p. 125;

G. CARAVAGGI,

Francisco Imperial e il ciclo della «Stella

Diana», p. 149 (è aggiunto, infine, p. 174, un interessante «Indice topografico dei manoscritti» menzionati nel volume). 65) Si riporta l’indice del volume: D. DELLA TERZA, Introduzione La critica dantesca in America: la lezione singletoniana, p. 7; R. JACOFF,

Le lacrime di Beatrice:

«Inferno» II, p. 23; W. A.

STEPHANY, L’autoadempimento delle profezie di Pier della Vigna: l’«Elogio» di Federico II e «Inferno» XIII, p. 37; M. PICONE, Baratteria e stile e comico in Dante («Inferno» XXIT-XXII), p. 63; A. A. ANNUCCI, Musica e ordine nella «Divina Commedia» («Purgatorio» II), p. 87; M. FRANKEL, La similitudine della zara («Purgatorio» VI, 1-12) e il rapporto fra Dante e Virgilio nell’antipurgatorio, p. 113; T. BAROLINI, Ricreare la creazione divina: l’arte aracnea nella cornice dei superbi, p. 145; A.K. CASSEL, Il sapore dell’amore: i canti dell’invidia, p. 165; R.A. SHOAF, «Lo gel che m’era intorno al cor» («Purgatorio» XXX, 97) e «Frigidus circum praecordia sanguis» («Georgiche» II, 484): la trascendenza dantesca di

Virgilio, p. 185; J. FERRANTE, Parole e immagini nel «Paradiso»: riflessi del Divino, p. 203; J. SCHNAPP, Virgilio madre e Beatrice ammiraglio: generi grammaticali e letterari nella «Commedia», p. 221; R. KAY, Il giorno della nascita di Dante e la dipartita di Beatrice, p. 243; CH. DAVIS, Roma e Babilonia in Dante, p. 267; R. HOLLANDER & A. ROSSI, Il repubblicanesimo di Dante, p.

146

Per far segno - Note

297; G. MAZZOTTA, La luce di Venere e la poesia di Dante, p. 325: 66) Ecco l’indice del volume, diviso in «Articoli»: A.A. IANNUCCI, Dante, Television and Education, p. 1; T. BAROLINI,

Detheologizing Dante: For a «New Formalism» in Dante Studies, p. 35; M. VERDICCHIO, Error in Dante’ s «Convivio», p. 55; D.S. CERVIGNI, L’Acheronte dantesco: morte del Pellegrino e della

poesia, p. 71; D. CLAY, Dante’s Broken Faith: The Sin of the Second Circle, p. 91; E. COSTA, From «locus amoris» to Infernal Pentecost: the Sin of Brunetto Latini, p. 109; CH. KLEINHENZ, Deceivers Deceived: Devilish Doubletalk in «Inferno» 21-23, p. 133; M.U. SOWELL, Dante’s Nose and Publius Ovidius Naso: A Glos on «Inferno» 25.45, p. 157; M. FRANKEL, Juno among the

Counterfeiters: Tragedy vs. Comedy in «Inferno» 30, p. 173; D. PIETROPAOLO, Dante’s Paradigms of Humility and the Structure of Reading, p. 199; Z.G. BARANSKI, Dante’s Three reflective Dreams, p. 213; G. CARUGATI, Dante "Mistico"?, p. 237; M. PICONE, La "viva speranza" di Dante e il problema della salvezza

dei pagani virtuosi. Una lettura di «Paradiso» 20, p. 251; R. SCRIVANO, Paradiso 28, p. 269; e «Note e Rassegne»: R. HOLLANDER, The Dartmouth Dante Project, p. 287; N. DE BLASI, Il «Giardeno», poema di imitazione dantesca del 400:

edizioni promesse e citazioni reticenti in un secolo di bibliografia, p. 299; R.A. SHOAF, Dante and Peraldus: The «aqua falsa» of Maestro Adamo (A Note on «Inferno» 30. 64-69), p. 311; C.L. MEAD, "Domine, labia mea aperies": Forese Donati and Ugolino,

p. 315; M. PASQUARELLI, «Purgatorio» 32.32, p. 323.

A proposito

del «crese»

di

67) Un sintetico riassunto della questione è posto dall’autrice nella nota 18 (p. 156) del suo saggio ospitato da Studi americani (Ricreare la creazione divina: l’arte aracnea nella cornice dei

superbi, pp. 145-164). Ma cfr., ora, la "Cangrande Dispute", per il cui svolgimento essenziale è utile consultare le ultime annate della Lectura Dantis "virginiana": in part. L. PERTILE, Cantocantica-Comedia e l’"Epistola a Cangrande" in "Lectura Dantis",

147

Rino Caputo

9, fall 1991, pp. 105-123; Z. BARANSKI,

"Comedia".

Notes on

Dante, the Epistle to Cangrande, and Medieval Comedy in "Lectura Dantis", 8, spring 1991, pp. 26-55; T. BAROLINI, For the Record: the Epistle to Cangrande and Various "American Dantisti” in "Lectura Dantis", 6, spring 1990, pp. 140-143 e la «brief response» di R.G. HALL & MADISON U. SOWELL, On Dante and "Cursus": a brief response to "For the Record", pp. 143-144; R.G. HALL & MADISON U. SOWELL, "Cursus" in the Can Grande Epistle: a Forger shows his Hand? in "Lectura Dantis", 5, fall 1989, pp. 89-104. 68) La tematica è già affrontata nel saggio cit. di Studi americani, p. 164: «La zona di passaggi metapoetici posti nel centro del poema giunge al suo scioglimento nella cornice degli iracondi dove il pellegrino significativamente apprende gli esempi di mansuetudine e di ira sotto forma di visioni estatiche. Tali visioni, che io credo Dante consideri analoghe alla Commedia stessa, vengono chiamate non falsi errori (Pg XVII, 117), un’elaborazione di quell’originale enigma testuale dell’episodio di Gerione ver c’ha faccia di menzogna (If XVI, 124). Attraverso il paradosso di non falsi errori Dante esprime il dilemma dell’arte e offre la formula che sintetizza i vari aspetti della cornice dei superbi: ogni forma artistica è errore, ma alcune -come quella sua e quella di Dio- sono "non false"». Sono altresf da menzionare, tra i vari contributi dedicati dalla Barolini a Dante nel corso degli anni Ottanta, il volume Dante’s Poets: Textuality and Truth in the Comedy, Princeton, Princeton UP, 1984 ora in edizione italiana // miglior fabbro, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, oltre al più recente e già menzionato The Undivine Comedy.

69) Cfr. D.S. CERVIGNI, Dante’s Poetry ofDreams, Firenze, Olschki, 1986 e L’Acheronte dantesco: morte del Pellegrino e della poesia in Dante today, pp. 71-89. Ma anche per questo volume si riporta l’indice dei contributi divisi in sezioni: D.S. CERVIGNI, Dante and Modern American Criticism: An introductory Essay, p. 5; I Perspectives on Dante and Modern American Criticism: R.J. QUINONES, Dante and Modernism, p. 30; C.S. ROSS, Dante and

148

Per far segno - Note

Dominion: Castles from Epic to T.S. Eliot, p. 38; Z.G. BARANSKI, Reflecting on Dante in America: 1949- 1990, p. 58; S. BOTTERILL, "Dante Studies" and the Study of Dante, p. 88; R. MONTANO, I/ commento alla «Divina Commedia» di Charles S. Singleton, p. 104; D. ROBEY, Dante and Modern American Criticism: Post-structuralism, p. 116; P. COLILLI, Harold Bloom and the Post-theological Dante, p. 132; TH.J. CACHEY JR., Between Hermeneutics and poetics: Modern American Translation of the «Commedia», p. 144; M.R. de FAZIO, Dante Studies: A Decade of American Dissertations (1980-1989), p. 166; II. From the «Vita nuova» to the «Commedia»: Phenomenology, Historicity, Authority, and Philosophy: R.P. HARRISON, Phenomenology of the «Vita nuova», p. 180; A.R. ASCOLI, "Neminem ante nos”. Historicity and Authority in the «De vulgari eloquentia», p. 186; M. TROVATO, Dante’s Poetics of Good: From Phenomenology to Integral Realism, p. 232; J.A. SCOTT, Dante and Philosophy, p. 258; III. The «Commedia»: Narrative and Interpretive Strategies: P. VALESIO, La vena WLASSICS, Crux and BAROLINI, Narrative KLEINHENZ, Biblical

ermetica della «Commedia», Context in Dante’s «Comedy», and Style in Lower Hell, p. Citation in Dante’s «Comedy»,

p. 278; T. p. 300; T. 314; CH. p. 346; IV.

Textuality and Intertextuality: J. TOOK, Dante and the «Confessions» of Augustine, p. 360; R.A. SHOAF, "Dante in Ynglyssh": The Prologue to the «Legend of Good Women» and «Inferno» 13 (Chaucer and Pier della Vigna), p. 384; K. SCHILLER, Dante and Kantorowicz, p. 396; G. MAZZOTTA, An

Epilogue, p. 412. 70) Cfr., tra gli altri interventi dedicati

a Dante, Z. BARANSKI,

The

power of influence: aspects of Dante’s presence in twentiethcentury italian culture in "SC", n.s., I (1986), 3, pp. 343-376 e

Reviewing Dante in "Romance Philology", 42, 1988, pp. 51-76 e, infine, per un pit esauriente elenco, la nota 14 di p. 630 di BARANSKI,

1990, cit.

71) Cfr., almeno, H.R.

JAUSS, Alterità e Modernità della Letteratura

Medievale, Torino, Bollati Boringhieri, 1989.

149

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Da

Indice

dei nomi

Per far segno - Indice dei nomi

Indice dei nomi

Agostino 50, 58, 65, 66, 68, 84, 90, 95, 96, 97, 98, 102, 137, 141, 143, 144 dessionGi22. I10, 117, 134, 146 Ascoli, AR. 149 Asor Rosa, A. 135 Auerbach, E. 6, 7, 8, 11, 22, 35, 44-53, 60, 61, 73, 74,75, 84, 86, 87, 92, 93, 94, 97, LOU. I05,121, 123, 129, 136, 137, 140, 141

Baranski, Z. 12, 45, 110, 116, a 130) 133-134, 141, 142, 144, 145, 146, 147, 148, 149 Barbi, T. 145 Barolini, “T:-10, 12, 72, 92, PEG OIT7,, /20-125-1306, 140, 142, 143, 146, 147, 148, 149 Baron H. 5 Benjamin, W. 142 Benvenuto (de’ Rambaldi da Imola) 30, 31 Bergin, Th.G. 110, 144

Blackmur, R.P. 26, 92 Bloom, H. 16, 27, 71,92, 126, 134, 149 Boccaccio, G. 10, 30, 31, 32, 33, 36-38, 134, 135 Botterill, S. 12, 110, 127, 143, 144, 149 Brugnoli, G. 19, 138 Burke, K. 11, 25, 69, 70, 71, 101 Busnelli, G. 73

Cachey Jr., Th.J. 149 Calenda, C. 135 Caputo, R. 7-12, 17, 137, 144 Caravaggi, G. 116, 146 Carena, C. 142 Carugati, G. 147 Casella, G. 73 Cassel, A.K. 117, 146 Cavalcanti, G. 44, 143 Cesvigni\D.S:

22, (L10125,

126, 129-131, 133, 142, 143, 144, 145, 147, 148 Chimenz, S. 73 Ciavolella, M. 14 Clay, D. 147

153

Rino Caputo

Colilli, P. 126, 134, 149 Conte, G.B. 124 Contini, G. 30, 45, 53, 64, 72, 92, 109, 116, 134, 136, 137, 139, 144 Corti, M. 116, 143, 146 Costa, E. 116, 146, 147 Courcelle, P. 65 CrocerB/25,.42,.54!7273, 74, 122, 136 Culler, J. 15 Curtius, E.R. 6, 44, 129

D'Andrea, A. 12, 116, 135,

138, 146

i

D’Ovidio, F. 73 Davis, Ch. 117, 146 De Blasi, N. 147 De Man, P. 11, 15, 71, 77, 80, 81, 89, 92 Del Lungo, I. 73 Della Terza, D. 5, 15, 19, 45, 114,